Indignados yankee Nicola Melloni La crisi del capitalismo occidentale, e non solo, ripropone con forza il tema del disagio sociale, della protesta, della rivolta. Gli indignados spagnoli hanno acceso la miccia di un movimento che ormai dilaga: in Grecia è sciopero generale, in Cile una marea di studenti è in lotta contro il governo, ora anche in America si scende in piazza, da Wall Street fino alla California. L'establishment politico ed economico, ovviamente, già parla di antipolitica. Cittadini che protestano, indignati, appunto, e ce l'hanno con tutto e con tutti. Qualunquisti, forse. Potenziali criminali, addirittura, se dobbiamo basarci sulle feroci repressioni dei governi. Tutte descrizioni di comodo per evitare di fronteggiare la realtà. Il movimento degli indignados non è anti-politico, è, anzi, intrinsecamente politico. Anti-politica, come suggerisce Carlo Galli dalle colonne di Repubblica, è la tecnocrazia degli organismi sovranazionali, del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Centrale Europea, della Ue. Anti-politica è quel modo di concepire l'arte di governare come tecne, tecnica e competenza, la politica intesa come scienza. E quindi una politica che non è mai scelta tra due o più opzioni, ma piuttosto un processo meccanico di scelte obbligate. E' la TINA - There Is No Alternative, non ci sono alternative - di Margaret Thatcher, il motto sacro del neo-liberismo che svuota la democrazia del suo potere decisionale. La politica diventa amministrazione e l'economia politica sparisce, rimpiazzata, anche in questo caso, dalla scienza, la scienza economica, quella che faceva dire a Larry Summers (già ministro del Tesoro con Clinton e consigliere di Obama): «Le leggi dell'economia sono come le leggi dell'ingegneria. Funzionano ovunque». In fondo, sono i numeri a governare l'economia, e i numeri non sono opinioni. Anti-politica, soprattutto, è dunque il capitalismo liberale, quello che non dà scelta: c'è la crisi, bisogna salvare le banche. C'è la crisi, dovete pagarla voi. C'è la globalizzazione, dovete diventare flessibili. C'è la Cina, i salari devono essere abbassati. Fino ai piani di salvataggio imposti a governi e parlamenti da oscure istituzioni che non rispondono a nessuno, se non ai mercati. La verità, naturalmente, è tutt'altra. Dietro la tecnica, i numeri, le scelte obbligate si nascondono rapporti di forza, rapporti di produzione. Non esiste una politica neutra, non esiste una economia neutra; tutto, come direbbe Marx, è economia politica. E dunque c'è sempre una diversa scelta possibile. Solo che, in questi trent'anni, si sono ostinati a negarla. Proprio contro questa anti-politica, questa impossibilità di scegliere, si sono ribellati gli indignados. Giovani, studenti, lavoratori, che vogliono semplicemente riprendersi il loro futuro. Le proteste a Wall Street, dunque, c'entrano in pieno il cuore del problema, ed hanno identificato perfettamente l'obiettivo: non Washington e la Casa Bianca, ma New York e Wall Street, il centro dell'impero dell'anti-politica, quel mercato che non vuole bastoni tra le ruote ma che controlla con morsa d'acciaio presidenti e parlamenti. No, gli indignados di Wall Street non sono assimilabili alle proteste anti-stato dei Tea Party, come invece prova a spiegare Zucconi. Sono l'esatto contrario, chiedono più politica e non meno politica. Chiedono una politica nuova che se ancora non è rivoluzionaria e palingenetica è comunque di rottura, di cambiamento epocale. E' il risveglio del lavoro, del fattore umano mortificato al rango di merce dal capitalismo, ma che merce non è, perché ha una sua soggettività ed una sua coscienza. Sono proprio le contraddizioni del capitalismo a far riemergere questa soggettività, per decenni sopita. Una soggettività vecchia di secoli ma al tempo stesso nuova, figlia proprio della globalizzazione neo-liberale. E dunque, in questa globalizzazione, ci troviamo di fronte ad un movimento globale, internazionalista nel suo senso più puro perché la crisi attuale è la crisi di tutto l'Occidente capitalista, di tutto un sistema di produzione che non ha confini. Già Marx, centocinquanta anni fa, parlava di proletari di tutto il mondo. Poi le Guerre Mondiali e la crisi del '29 avevano portato alla formazione di economie nazionali con problemi e dinamiche non sempre convergenti, superate però oramai dall'emergere della globalizzazione capitalista. Ed è in questo nuovo scenario che la sinistra deve trovare il suo campo di battaglia, pensando a forme nuove di organizzazione e collegamento tra movimenti che, fondamentalmente, chiedono tutti il superamento dell'anti-politica liberista. 07/10/2011