Atti del Convegno Nazionale NUOVI ASSETTI DELLE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO eISBN 978-88-6561-005-3, ISBN 978-88-6561-006-0 DOI 10.2423/csdn.cp2011p187 © CASPUR-CIBER Publishing, http://caspur-ciberpublishing.it Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro Valerio Speziale – Università di Chieti-Pescara 1. L’ambito e le finalità dell’analisi. Il rapporto tra contratto collettivo e il contratto individuale è uno dei temi storici del Diritto del lavoro e la sua analisi consente di verificare lo sviluppo e l'evoluzione dell'intera materia. Non è un caso che le prime interpretazioni sul tema in Francia, Germania e in Italia risalgano alla fine dell'’800 ed ai primi del ‘900 e che tale dibattito si collochi alle origini di questo settore del diritto. Senza dimenticare che, nel nostro paese, esso ha interessato intere generazioni di studiosi, con una bibliografia pressoché sterminata. Queste brevi considerazioni sono sufficienti a scoraggiare chiunque si accosta all'argomento, che non solo presenta una grande complessità, ma riguarda aspetti fondamentali della disciplina lavoristica. Infatti, l'inderogabilità del contratto collettivo da parte dell'autonomia privata implica l'esame di concetti chiave, quali l'interesse collettivo, la sua prevalenza su quello individuale, la funzione e la natura del sindacato, il valore giuridico dell’adesione del singolo alle associazioni sindacali, il rapporto tra ordinamento giuridico nazionale e quello intersindacale e così via. Dico subito che non intendo effettuare un'analisi a tutto campo dell'argomento, che oltretutto potrebbe assai difficilmente essere contenuta in un unico saggio e richiederebbe sicuramente un lavoro monografico molto più ampio. Il mio intento, assai più limitato, è quello di verificare, alla luce dell'evoluzione legislativa e della contrattazione collettiva negli ultimi anni, quale sia lo «stato dell'arte», anche in considerazione di recenti interpretazioni teoriche che hanno riattualizzato il tema. Mi sembra, infatti, che l'evoluzione del sistema giuridico 187 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro consenta di trovare soluzioni in parte diverse da quelle usualmente seguite. Inoltre, ritengo che alcune teorie risalenti nel tempo vadano rilette in un contesto che può attribuire loro un valore assai più pregnante di quello da esse avute nel passato. Il mio obiettivo, dunque, è di sollecitare alcune riflessioni nella speranza di fornire un utile contributo alla analisi di problemi di non facile soluzione. Non mi occuperò delle transazioni collettive. Il tema, assai complesso, riguarda la disponibilità da parte dell’autonomia collettiva di diritti individuali allo scopo di trovare una composizione di specifici conflitti. Analizzerò invece solo la tradizionale funzione normativa del contratto collettivo, intesa come attitudine a porre regole generali ed astratte di disciplina del rapporto di lavoro1. 2. La inderogabilità del contratto collettivo da parte di quello individuale nell’ordinamento intersindacale. Nei sistemi giuridici europei, come è noto, l’autonomia collettiva non è necessariamente inderogabile. In Inghilterra, ad esempio, il contratto collettivo non è a legally enforceable contract ed il suo contenuto non è vincolante per quello individuale, a meno che, attraverso un richiamo diretto o implicito, non ne diventi un implied term. Si tratta di una condizione, assai spesso inespressa, molto vicina al nostro modello, di origine giurisprudenziale, del recepimento del contratto collettivo nel rapporto individuale in conseguenza della sua costante applicazione nel tempo2. In altri ordinamenti il contratto collettivo ha efficacia solo obbligatoria e non reale3, oppure non è derogabile né in 1 Su tali concetti rinvio, per tutti, a Giugni 1989, 154 – 155, 168 ss.; F. Santoro Passarelli 1978, 41; Sciarra 1989, 67. 2 Cfr., sul punto, M. G. Garofalo 2011, 515 ss., con indicazione di riferimenti legislativi e della dottrina. Ma si vedano anche Doyle 1986, 114 ss. e Napier 1986, 343 ss.; Davies, Freedland 1984, 281 ss.; Deakin, Morris 2001, 786 ss. Tra l’altro, il recepimento del contratto collettivo non ne determina l’inderogabilità, poiché le sue disposizioni «may as such be abandoned or varied by the simple agreement of the parties» (Napier 1986, 343). 3 Vardaro 1985, 203 – 204, con riferimento alla situazione esistente negli anni ’80. 188 Valerio Speziale melius, né in peius4. Mentre, ad esempio in Germania e Francia esiste il principio, previsto dalla legge, della inderogabilità peggiorativa e della deroga migliorativa5. Nell’ordinamento intersindacale il contratto collettivo è certamente inderogabile in senso peggiorativo e ammette solo trattamenti individuali di miglior favore. Questa natura inderogabile è innanzitutto implicitamente presupposta dalle parti sociali quando stipulano il contratto. Già nel 1967, Giugni osservava che la costante giurisprudenza che applicava l'articolo 2077 del codice civile interagiva «sull’attività contrattuale dei privati» ingenerando in essi «una certezza dell’inderogabilità degli effetti… che le parti contraenti neppure rendono palese, come in fondo sarebbe possibile (dato che non è inibito all'autonomia privata esplicitare un effetto di sostituzione automatica), nella convinzione che si tratti di una circostanza già pacificamente scontata»6. L’analisi dei contratti collettivi consente di affermare che, molto spesso, questa inderogabilità, ed altri caratteri costitutivi della contrattazione collettiva, sono previsti in modo chiaro e «resi palesi». Sono presenti, infatti, clausole con le quali si stabilisce che «le parti, col presente Contratto, non hanno inteso sostituire le condizioni, anche di fatto, più favorevoli al lavoratore attualmente in servizio non derivanti da accordi nazionali, le quali continueranno ad essere mantenute ad personam»7. Clausole analoghe sono contenute in altri importanti contratti collettivi8. 4 Come affermava Giugni alla fine degli anni ’60 (1989, 168). In tal senso, tra gli altri, Bellocchi 2007, 291; Nogler 1997, 167, con riferimento alla Repubblica Federale Tedesca. Per una visione comparata della contrattazione collettiva in Europa, anche in relazione alle funzioni indicate nel testo, v. Sciarra 2006, 447 ss., spec. 450 ss. 6 Giugni 1989 175 – 176. In tempi più recenti questa tesi è stata ripresa da Romei 2011, 218 e M. G. Garofalo 2011, 530. 7 Art. 1 del C.C.N.L 20 gennaio 2008 delle aziende metalmeccaniche (industria). 8 Come ad esempio quello delle aziende Chimiche farmaceutiche (industria) del 10 maggio 2006 («le parti si danno reciprocamente atto che stipulando il presente Contratto non hanno inteso modificare le condizioni più favorevoli acquisite dal lavoratore»: art. 67) o per le imprese edili («… restano immutate le condizioni più favorevoli eventualmente praticate ai lavoratori in servizio presso le singole imprese alla data di entrata in vigore del presente contratto»: art. 110 C.C.N.L 29 gennaio 2000). In senso analogo l'art. 80 de C.C.N.L 23 aprile 1999 per l'industria del vetro e molti altri. 5 189 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro La formulazione letterale di queste disposizioni contrattuali sollecita alcune riflessioni. È evidente, in primo luogo, che le parti sociali ritengono che C.C.N.L. è in grado di attribuire ai soggetti del rapporto individuale diritti ed obblighi, conformandone il contenuto. I termini «sostituire» o «modificare» ed il riferimento alle condizioni più favorevoli applicate in concreto ai singoli lavoratori (che vengono conservate) sono inequivocabili, perché esprimono l'idea di disposizioni collettive che disciplinano direttamente il contratto individuale – su cui operano mutandone il contenuto salvo i limiti posti dallo stesso ccnl - e senza costituire semplici impegni privi di carattere vincolante. Tra l’altro l’autonomia collettiva vuole disciplinare anche i contenuti negoziali determinati autonomamente dai contraenti individuali (ed a cui è estranea), a riprova della sua volontà di incidere sul programma negoziale fissato dal datore di lavoro e dal lavoratore. Un elemento, quest’ultimo, che rafforza la tesi secondo cui le parti sociali attribuiscono al ccnl effetti regolativi diretti del rapporto individuale. Inoltre, le organizzazioni sindacali ritengono che il C.C.N.L. é idoneo a modificare la disciplina del precedente contratto collettivo. Affermare che il contratto non incide solo sulle condizioni individuali più favorevoli significa stabilire indirettamente la modificabilità delle posizioni soggettive previste dall’autonomia collettiva e di quelle individuali peggiorative. D’altra parte, il mutamento del precedente contratto collettivo è impicitamente previsto dalle parti sociali, quando riregolano in senso peggiorativo o migliorativo un istituto normativo o economico già disciplinato e che riguarda il contratto individuale. Anche le clausole migliorative sono mantenute a livello individuale per effetto di una espressa previsione del ccnl e non sono giuridicamente legittimate esclusivamente dalla regolamentazione determinata dalla autonomia negoziale del datore di lavoro e del lavoratore. Esse, dunque, sono disciplinate anche dal ccnl che, ad esempio, potrebbe teoricamente prevedere la loro eliminazione. Mi sembra, dunque, che le parti sociali affermino in modo chiaro che il contratto collettivo opera come fonte esterna del rapporto di lavoro, senza alcuna incorporazione del suo 190 Valerio Speziale contenuto in quello individuale. Infatti le disposizioni contenute nel singolo programma negoziale non si consolidano mai in modo irreversibile ma possono essere sempre modificate e trovano il proprio fondamento nell’autonomia collettiva, anche in relazione alle condizioni migliorative. Infine, queste clausole sanciscono indirettamente la inderogabilità peggiorativa dell'autonomia collettiva. La conservazione solo delle condizioni di miglior favore presuppone che il C.C.N.L. non abiliti i contraenti individuali a peggiorare gli standards da esso previsti, in assenza, tra l’altro, di una espressa previsione in tal senso. Infatti, se si è affermata la salvaguardia delle condizioni migliorative, si sarebbe potuta introdurre anche la deroga peggiorativa. Il silenzio del contratto sul punto e la statuizione espressa del principio opposto assumono dunque un preciso significato negoziale: il divieto della deroga in peius. Ritengo, quindi, che anche la inderogabilità peggiorativa sia positivamente individuata dalle parti sociali e da esse comunque ritenuta come carattere «fisiologico» del contratto collettivo. In base, dunque, a precise scelte dei soggetti dell’ordinamento intersindacale non mi sembra che si possa affermare che il contratto collettivo, in tale ordinamento, sia «geneticamente derogabile»9. L’inderogabilità dell’autonomia collettiva non rispecchia soltanto «una (storica) funzione politico economica», definita come «irrinunciabile»10, ma, oltre ad essere presupposta, è anche formalmente regolata come tale dalle parti sociali. Le clausole dei contratti collettivi qui analizzate sono da molti anni già ampiamente utilizzate. Si può quindi affermare che da tempo l'autonomia collettiva ha deciso di codificare espressamente sia l’inderogabilità, sia altri effetti della contrattazione. Ed anche se non è possibile enfatizzare il linguaggio dei contratti collettivi, spesso espresso con formulazioni atecniche e prive del rigore linguistico che i giuristi tendono ad attribuirgli, mi sembra che, alla luce dei criteri di interpretazione delle clausole negoziali (artt. 1362 ss. c.c.), i significati 9 Maio 2008, 45 ss. e 76 ss. Maio 2008, 50 e 53. 10 191 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro sopra descritti siano indiscutibili11. Essi, d’altra parte, sono coerenti con le funzioni storiche che il contratto collettivo, quale strumento di regolazione dei rapporti di lavoro, ha da sempre svolto quantomeno in molti Paesi europei. 3. Il problema dell’autonomia individuale e della inderogabilità del contratto collettivo nel Diritto del lavoro. I soggetti dell’ordinamento intersindacale intendono, dunque, attribuire ai contratti collettivi effetti assai precisi. Bisogna chiedersi, a questo punto, se analoghe caratteristiche sono riconosciute anche dall'ordinamento statale. La legge nazionale, infatti, potrebbe anche non assegnare al contratto collettivo queste funzioni, come nelle esperienze storiche maturate in altri Paesi e già descritte. In ogni caso, la realtà del contratto collettivo nelle relazioni industriali italiane non può non influenzare anche la interpretazione delle regole legali in materia. E questo in ossequio alla tesi, riconducibile ad Ascarelli, secondo la quale gli istituti giuridici devono essere letti nella realtà sociale con riferimento a quell’ «ordinamento tipologico della realtà…indipendentemente dal quale le norme non potrebbero essere interpretate ed applicate»12. Nell'ordinamento intersindacale, la inderogabilità del contratto collettivo è stata considerata come un suo effetto «naturale», perché essa, in caso contrario, «sarebbe inutile»13. Infatti, la disparità di forza contrattuale a livello individuale potrebbe sempre determinare una ulteriore regolazione peggiorativa delle condizioni economiche e normative di fatto imposte dal datore di lavoro. Queste considerazioni sono condivise anche in relazione alla funzione del contratto collettivo 11 Sulla interpretazione del contratto collettivo in base ai criteri previsti dagli artt. 1362 ss. c.c. si rinvia, per tutti, a AA.VV. 2004, 1 ss. 12 Ascarelli 1959, 156. Questa teorica è seguita anche da Giugni (1989, 152 – 153), secondo cui l’analisi della realtà sociale del contratto collettivo doveva costituire la base per una sua ricostruzione unitaria. 13 M. G. Garofalo 2011, 528. Contra Maio 2008, cit. a nt. 9. 192 Valerio Speziale dell'ordinamento statuale14, dove l'autonomia collettiva viene presa in considerazione anche per questa sua attitudine a riequilibrare la diseguale distribuzione di poteri negoziali nel singolo rapporto di lavoro. In tempi recenti, tuttavia, la inderogabilità del contratto collettivo è stata espressamente messa in discussione. In un saggio molto interessante, Roberto Romei, dopo aver espresso un’originale opinione sulla funzione organizzativa del contratto collettivo, afferma che l'atto di autonomia collettiva non è dotato di efficacia diretta e generalizzata sui rapporti di lavoro e non é assistito dalla requisito della inderogabilità, potendo essere liberamente derogato dalle parti del rapporto individuale sia in senso migliorativo, sia in senso peggiorativo15. In una recente monografia sul contratto collettivo, dopo aver affermato che l’inderogabilità non è un suo attributo fisiologico16, si sostiene che questo effetto è positivamente stabilito dall’art. 2113 c.c., riprendendo una interpretazione che, a suo tempo, era stata sostenuta da Gaetano Vardaro17. Tra l’altro, con un denso articolo sul tema, Antonino Cataudella ha riconfermato la propria importante teoria “associativa” già espressa nel 1966, rivisitando in modo esaustivo l’intera problematica18. Ed un autorevole studioso, che a suo tempo espresse una importante ricostruzione dell’autonomia collettiva, ha sentito la necessità di replicare alle sollecitazioni sollevate da quel saggio 19. Il tema della inderogabilità del contratto collettivo è tornato dunque di attualità anche nel dibattito scientifico. Prima di approfondire questi aspetti, va comunque sottolineato che, come già rilevava Giugni nel 1967, il contenuto del contratto collettivo di lavoro è uno strumento per la realizzazione dei "principi generali di tutela 14 Tra gli altri, da ultimo, Bellocchi 2007, 291; Romei 2011, 189; Zoli 2010, 505. Romei 2011, 216 – 217. 16 Maio 2008, 45 ss. 17 Vardaro (1985, 291 ss., 306 ss.), come è noto, critica le interpretazioni per cui l’art. 2113 può risolvere il problema della inderogabilità del contratto collettivo e la sostituzione automatica della clausola individuale peggiorativa (ad es. 303). Tuttavia, egli ritiene che anche il contratto individuale «può configurarsi come atto abdicativo…al trattamento collettivamente riconosciutogli ed, in quanto tale, può essere impugnato (limitatamente all’aspetto abdicativo) ex art. 2113 c.c.» (307). Maio (2008, 73 ss.) sviluppa questi tesi anche alla luce delle recenti acquisizioni della dottrina e giurisprudenza civilistica in tema di nullità di protezione. 18 A. Cataudella 2008, 61 ss. 19 Persiani 2008, 759 ss. 15 193 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro del lavoro, come sono resi espliciti dalla Costituzione"20. Mi sembra che la nostra legge fondamentale valorizzi in modo determinante sia la tutela del lavoro, sia la funzione del contratto collettivo come strumento per garantire il raggiungimento di questo obiettivo. Analogo carattere è individuabile anche nell'ordinamento europeo (per quanto riguarda la protezione del lavoro) e dove il contratto collettivo è considerato sia come strumento di diretta produzione di fonti normative di livello europeo (artt. 154 e 155), sia come mezzo di implementazione, nei sistemi nazionali, delle direttive (art. 153, comma 3), oltre a svolgere funzioni ulteriori nell’ambito delle politiche sociali21. In questo contesto mi sembra evidente che l'inderogabilità del contratto collettivo sia perfettamente funzionale al principio secondo cui la libertà sindacale è finalizzata proprio a realizzare la emancipazione dei lavoratori (art. 3, comma 2 ed art. 35 Cost.)22. Emancipazione che sarebbe fortemente ridotta qualora il contratto collettivo non avesse effetti inderogabili e la gestione dei rapporti di lavoro fosse lasciata entro i limiti della legge - alla piena disponibilità delle parti individuali del contratto di lavoro e dello squilibrio di forze e poteri in esso esistente. Senza dimenticare che si è sottolineato come la inderogabilità in peius del contratto collettivo è un indispensabile garanzia funzionale del diritto fondamentale alla contrattazione collettiva23. Questo non implica che l’art. 39, comma primo, della Costituzione garantisca la inderogabilità della contrattazione collettiva. Il «sovraccarico funzionale» di questa disposizione, che è frutto di molte interpretazioni volte a colmare l’anomia del Diritto sindacale italiano, non mi sembra consenta di attribuire anche questo effetto. L’art. 39, nell’ambito di una interpretazione «ragionevole» che non cerchi di trarre dal testo più di quanto esso dica (e sia anche ricavabile dalla intenzione dei costituenti), garantisce la libertà ed attività sindacale ed è il 20 Giugni 1989, 160. Le disposizioni indicate nel testo sono contenute nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Su tali aspetti si rinvia, per tutti, a B. Caruso, A. Alaimo 2011, p. 34 ss. 22 Così anche M. G. Garofalo 2011, 529. 23 Nogler 1997, 145 ss. e 148. 21 194 Valerio Speziale fondamento costituzionale dei suoi contenuti, tra cui «anche la libertà di contrattazione»24. Mi sento quindi di condividere l’opinione secondo la quale la norma costituzionale non garantisce «il meccanismo della inderogabilità...»25. Tuttavia, ritengo che l’inderogabilità del contratto collettivo consenta meglio il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla Costituzione e dall’ordinamento europeo. Ovviamente questo non significa ancora avere individuato nel sistema giuridico italiano il fondamento normativo dell’effetto inderogabile, che è tipico, invece, dell’ordinamento intersindacale. 4. I casi in cui la legge attribuisce al contratto collettivo una funzione inderogabile e regolativa del rapporto individuale. La inderogabilità del contratto collettivo trova numerosi riconoscimenti nell’ordinamento giuridico italiano26. Essa, nei rapporti con l’autonomia individuale, è positivamente definita da tutte le norme del codice civile contenute nel Libro V, particolarmente se lette insieme a quanto previsto dall'art. 2077. Tuttavia, analizzando la produzione legislativa post costituzionale, non vi è dubbio che vi sono innanzitutto disposizioni di carattere generale che regolano la materia. Accanto all'art. 2113 c.c., che è la fonte più studiata, si affiancano altre disposizioni che presuppongono l'inderogabilità (art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.; art. 829, ultimo comma, c.p.c, art. 420 bis c.p.c.)27. Queste norme non possono essere 24 Giugni 1979, p. 280. In senso analogo Carabelli 1984, 41 ss. e, da ultimo, tra i molti autori concordi, Ghera 2010, 323; Romei 2011, 199. Su tali aspetti, si vedano, in generale, tra gli altri, Bellocchi 2007, 268 ss.; Rusciano 2003, 12 ss.; Nogler 1997, 123 ss. e Proia 1994 (a questi autori si rinvia per ulteriori indicazioni bibliografiche). 25 Romei 2011, 199. In tal senso, da ultimo, anche Maio 2008, 77; A. Cataudella 2008, 85; Nogler 1997, 73; contra, Bellocchi 2007, 295 ss., che riprende la tesi di Scognamiglio 1971, p. 162 ss.; Mazziotti 1965, p. 88 ss; Zoli 2010, 505 ss. 26 In verità queste conclusioni sono estensibili anche all’ordinamento internazionale del lavoro, anche se non posso analizzare tale aspetto. 27 La tesi dell’art. 2113 quale norma che presuppone l’inderogabilità senza fondarla è sostenuta, tra gli altri, da D’Antona 1991, 478; Vardaro 1985, 306 ss.; Rusciano 2003, 100; Bellocchi 2007, 296; A. Cataudella 2008, 73 – 74. Al contrario, altri a. ritengono che l’art. 2113 sia il riconoscimento espresso della inderogabilità del contratto collettivo: Mengoni 1976, 33 ss; Giugni 1988, 9; Nogler 1997, 162. Si rinvia, sul punto, alle ulteriori indicazioni bibliografiche di Curzio 1984, 116, Nogler 2007, 395, Bellocchi 2007, 293 ss. 195 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro considerate come fondative dell'effetto inderogabile perché, a differenza di quelle che svolgono espressamente tale funzione (come l'art. 2077 c.c.), non disciplinano direttamente i rapporti tra il contratto collettivo e quello individuale e non stabiliscono ambiti di competenze normativi, gerarchia tra norme, limiti della capacità derogativa28. Esse peraltro prendono atto del carattere inderogabile delle disposizioni dell’autonomia collettiva (art. 2113) oppure ne riconoscono implicitamente tale effetto. Si consideri, ad esempio, l'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Il ricorso in Cassazione per violazioni di norme dei contratti ed accordi collettivi di lavoro implica che le disposizioni in esse contenute non possono essere liberamente modificate dalle parti del rapporto di lavoro. In caso contrario, infatti, se esse potessero disciplinare il contenuto del contratto in modo difforme, non si porrebbe un problema di possibile violazione delle regole collettive. Queste ultime, dunque, in tanto possono essere violate in quanto devono necessariamente prevalere sull'autonomia individuale, che non è abilitata ad introdurre una regolazione diversa, ed il giudice ne può imporre alle parti la loro applicazione cogente. Analoghe considerazioni possono essere svolte per l'art. 829, ultimo comma, c.p.c. per l’arbitrato rituale. Anche l'art. 420 bis c.p.c. sembra implicare l'inderogabilità del contratto collettivo. Il giudice, infatti, deve decidere una questione pregiudiziale connessa al C.C.N.L. Il presupposto è che il contratto collettivo contiene un contenuto normativo non disponibile dalle parti individuali, tanto da costituire la regola concretamente applicabile per risolvere il caso controverso. A queste disposizioni di carattere generale si affianca un'impressionante numero di interventi legislativi di carattere settoriale. Si tratta di tutte quelle norme che rinviano al contratto collettivo e gli 28 Anche in altri ordinamenti, le disposizioni che regolano i rapporti tra autonomia collettiva ed individuale hanno un contenuto espresso molto più articolato delle disposizioni indicate nel testo. Si veda, ad es. il § 4, comma 3, del Tarifvertragsgesetz nella Repubblica Federale Tedesca, secondo il quale «accordi derogatori sono ammessi solo se previsti dal contratto collettivo oppure se contengono una modificazione della regolamentazione a favore del lavoratore» (Nogler 1997, 167). 196 Valerio Speziale attribuiscono funzioni diverse ma che sempre si possono ricondurre alla fissazione di regole attinenti alla disciplina del rapporto di lavoro29. Vi sono innanzitutto le disposizioni con le quali s'impone l'osservanza del trattamento economico e normativo previsto dai contratti collettivi, considerati come «minimi» di disciplina30, o quelle che assumono la retribuzione da essi stabilita come parametro di base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali31. In altre ipotesi il contratto collettivo svolge una funzione «paralegislativa» perché è abilitato a consentire l’accesso a tipologie negoziali in aggiunta a quelle tassative previste dalla legge32. Vi è poi l’elevatissimo numero di disposizioni di fonte primaria che affidano al contratto collettivo il compito di introdurre limiti quantitativi33, di durata massima34, o che gli attribuiscono i compiti regolativi più svariati e sempre connessi alla disciplina del rapporto individuale di lavoro35. 29 Le funzioni del rinvio della legge al contratto collettivo e le diverse tipologie previste sono state molto analizzate dalla dottrina. Si rinvia, in epoche diverse, agli studi di Mengoni 1980, 692 ss; De Luca Tamajo 1985, 16 ss.; Ballestrero 1989, 362 ss.; D’Antona 1991, 470 ss.; Liso 1998, 248 ss.; Zoli 2004, 370 ss. Carabelli, Leccese 2004, 1 ss.; Passalacqua 2005 (ed agli ulteriori riferimenti bibliografici ivi contenuti). 30 Si vedano, ad es., l’art. 11, c. 1, lettera c, della legge n. 25/1955, in materia di apprendistato oggi abrogato («il datore di lavoro ha l’obbligo di osservare le norme dei contratti collettivi di lavoro e di retribuire l’apprendista in base ai contratti stessi»); l’art. 118, c. 6, del d.lgs. n. 163/2006 in materiali appalti (che impone all’appaltatore di «osservare integralmente il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi..»: v. infra nel testo e nel § 5); l’art. 36 della l. n. 300/1970 (che ha contenuto analogo alla disposizione del codice degli appalti pubblici); l’art. 36, comma 1, del d.lgs. 276/2003 sull’indennità di disponibilità nel lavoro intermittente (il quale prevede che essa «è stabilita dai contratti collettivi»); l’art. 10 della l. n. 30/2003 (che ha sostituito l’art. 3 del D.L. n. 71/1993, convertito nella l. n. 151/1993), che subordina il riconoscimento di benefici normativi e contributivi «all’integrale rispetto degli accordi e contratti» collettivi di diverso livello; l’art. 1, c. 1175, della l. n. 296/2006 che ha contenuto analogo. 31 Art. 1, c. 1, della l. n. 338/1989, dove si prevede espressamente che il contratto individuale può costituire un parametro di riferimento superiore a quello collettivo, quale condizione di miglior favore. 32 Come nel caso dell’art. 20, c. 3, lettera i, del d.lgs. n. 276/2003 sulla somministrazione a tempo indeterminato o dell’art. 34, c. 1, del d.lgs. 276/2003 sulla individuazione delle esigenze di carattere discontinuo od intermittente. 33 Ad es., l’art. 58, c. 2, del d.lgs. 276/2003 sulle percentuali massime nei contratti di inserimento. L’art. 10, c. 7, del d.lgs. n. 276/2003 per i contratti a termine e l’art. 3, c. 2, del d.lgs. n. 61/2000 sul numero massimo di ore di lavoro supplementare con le relative causali. 34 Art. 3, c. 7, n. 3 del d.lgs. n. 61/2000 sui limiti massimi di variabilità in aumento della durata del part time. L’art. 4, c. 1, del d.lgs. n. 66/2003 (durata massima settimanale dell’orario di lavoro), il cui c. 4 prevede il limite massimo di estensione della durata media prevista dai commi 2 e 3. L’art. 2118, comma 1, in relazione al periodo del preavviso o l’art. 2110 in tema di comporto in caso di malattia o infortunio (in considerazione del fatto che la giurisprudenza ritiene costantemente che il rinvio alle «norme corporative» deve essere riferito al contratto collettivo di diritto comune). 35 Si pensi alla definizione dei piani formativi individuali nel contratto di inserimento (art. 55, c. 2, del d.lgs. n. 276/2003) e di apprendistato (art. 2, c. 1, lettera a, del d.lgs. n. 167/2011). Ma lo stesso può dirsi per la individuazione del lavoro notturno, delle modalità di esecuzione del lavoro straordinario e della sua remunerazione, della fissazione del periodo di comporto, delle deroghe alla disciplina in materia di riposo 197 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro Queste disposizioni sono così numerose e relative a pressoché tutti gli aspetti della disciplina del rapporto di lavoro che è molto difficile farne un inventario completo36. Alcune di queste norme sono qualificate dalla legge come espressamente inderogabili, quando ad esempio si stabilisce che è necessario «osservare integralmente il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionali e territoriali in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni»37, o si prevede che «la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da… contratti collettivi…»38. Tuttavia, anche le altre tipologie di disposizioni che rinviano al contratto collettivo possiedono indiscutibilmente tali caratteristiche39. E questo non solo per la formulazione imperativa utilizzata40 ma anche per la funzione di definire - tramite il contratto collettivo - contenuti vincolanti del rapporto di lavoro e per l'assenza di previsioni che consentono all'autonomia individuale di derogare in senso peggiorativo rispetto alla disciplina del contratto collettivo a cui la legge rinvia. In definitiva, l'ampiezza e la rilevanza dei rinvii al contratto collettivo dimostra che il sistema giuridico, in forme assai più ampie di quanto Giugni già rilevava nel 1967, ha inteso riaffermare che questo contratto è strumento di realizzazione dei «principi generali di tutela del lavoro» previsti dalla Costituzione e dall'ordinamento europeo41, qualificando l'autonomia collettiva come atto di parte che promuove un giornaliero, pause, lavoro notturno, durata massima settimanale previste dal codice civile o dal d.lgs. n. 66/2003. In tale ambito va ricompresa anche la determinazione di criteri di scelta alternativi a quelli di legge nei licenziamenti collettivi (art. 5, c. 1, l. n. 223/1991). 36 Si rinvia alle analisi degli autori citati nella nt. 29, ed al minuzioso elenco di disposizioni effettuato recentemente da Scognamiglio 2011, 509 – 510 (con riferimento anche a lavoro a domicilio, contratto di formazione lavoro, fiscalizzazione degli oneri sociali, forme pensionistiche complementari, lavoro pubblico ecc.) 37 Art. 118, c. 6, del d.lgs. n. 163/2006, che é la versione aggiornata del principio previsto nell’art. 36 della l. n. 300/1970. 38 Art. 1, c. 1, della l. n. 338/1989. 39 Come quelle sopra indicate e le ulteriori descritte da Scognamiglio 2011, 510. 40 Secondo il classico insegnamento di De Luca Tamajo 1976, 20 (che rinvia alla tesi di Barassi). Ma si vedano, in tempi più recenti, le osservazioni di Novella 2008, 11 ss. 41 Giugni 1989, 160, ovviamente solo in rapporto alla Costituzione. 198 Valerio Speziale obiettivo – la protezione dei «lavoratori» (art., 3, c. 2, Cost.) – che è considerato dall’ordinamento come interesse generale ed é necessariamente tutelato attraverso norme inderogabili42. L’inderogabilità, dunque, è una caratteristica di tutte queste norme di legge che, nell'attribuire al contratto collettivo le funzioni analizzate, non solo riconoscono espressamente l’autonomia collettiva43, ma di fatto stabiliscono che esso condivide la medesima natura inderogabile della legge. Le disposizioni descritte, sia quelle di portata generale, sia quelle settoriali, consentono inoltre di affermare che la legge presuppone o attribuisce al contratto collettivo la funzione normativa - intesa come capacità di regolazione del contenuto dei rapporti di lavoro44 - e la sua efficacia diretta, con effetti che si producono automaticamente e senza la necessità di un'espressa manifestazione di volontà dei soggetti individuali45. Infatti, a parte le singole formulazioni usate (ad esempio, il riferimento ai diritti «derivanti» da norme inderogabili del contratto collettivo: art. 2113 c.c, dopo la riforma del 1973)46, i caratteri sopra indicati scaturiscono dalla equiparazione tra legge e contratto collettivo (art. 360, c. 1, c.p.c.; art. 829, ultimo comma, c.p.c.) o dall'attribuzione specifica ad essa del potere di disciplinare il rapporto di lavoro. Infatti, il contratto collettivo viene posto sullo stesso piano della fonte primaria per quanto riguarda alcuni effetti, perché non vi è differenza, per l’art. 2113 ed in relazione agli atti abdicativi o transattivi, tra i diritti «derivanti» da legge o contratto (post corporativo), mentre, per le altre disposizioni, si 42 Si è detto che «nella prospettiva dell’ordine pubblico di protezione, il legislatore rinvia al contratto collettivo per determinare ed aggiornare i minimi di trattamento inderogabile», specificando che «in materia di lavoro l’ordine pubblico di protezione può essere inteso come limite al libero mercato..» (Maio 2008, 193). Su tale nozione v. anche M.C. Cataudella 2008, 81 ss. (con ulteriori indicazioni bibliografiche). 43 Scognamiglio 1971, 159. 44 Si rinvia agli autori citati a nt. 1. Nogler (1997, 109 ss.) parla di «funzione regolativa» (112), sostenendo che «l’aspirazione delle parti del contratto collettivo di influire sulla attribuzione di nuovi diritti soggettivi in capo ai soggetti individuali..» può essere realizzata solo «nell’ipotesi in cui le clausole del contratto collettivo debbano essere assunte dal giudice come criteri o regole del giudizio» (116 – 117). 45 Un problema, questo, già sollevato dalla dottrina tedesca nel 1923 (E. Molitor: si veda Nogler 1997, 30) e ben noto anche alla dottrina italiana (per tutti, oltre a Nogler 1997, cfr. Mengoni 1976, 33 ss.). 46 La «derivazione» dei diritti dal contratto collettivo sarebbe, quindi, per molti autori il fondamento della sua efficacia diretta: si vedano, tra gli altri, Vardaro 1985, 306 ss.; Sciarra 1989, 71, Nogler 1997, 164; Mengoni 1976, 33 ss.; Zoli 2010, 302. Per Runggaldier (1980, 301) l’art. 2113 è «norma confermativa del potere normativo dei soggetti collettivi.». 199 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro può in ugual modo far valere in giudizio la violazione di norme di fonte legale o contrattuale, che, da questo punto di vista, non sono differenti. Lo stesso può dirsi quando la legge delega all’autonomia collettiva espressamente una funzione di regolazione. Tra l'altro, l’art. 8 della l. 148/2011, con il suo vasto ambito di applicazione, esprime ancora una volta la volontà dell'ordinamento di considerare unitariamente la legge ed il contratto collettivo. La facoltà di deroga concessa alla contrattazione decentrata presuppone che il contratto collettivo – di qualsiasi livello – operi su quello individuale allo stesso modo della fonte primaria, potendo anche modificare in senso peggiorativo il contenuto del rapporto di lavoro. In tutti questi casi, in sostanza, il contratto collettivo svolge la stessa funzione normativa ed ha la medesima applicazione immediata che sono tipici della legge, perché, in relazione a questi specifici effetti, essa lo considera quale atto negoziale a sé equivalente. A parte queste ulteriori caratteristiche, non vi è dubbio, comunque, che gli innumerevoli richiami legislativi consentono di affermare che il contratto collettivo è per l'ordinamento giuridico nazionale espressamente qualificato come inderogabile. Non mi sembra pertanto che si possa sostenere che l'autonomia collettiva non è «assistit(a) dal requisito della inderogabilità»47. Le fonti nazionali, per la qualità e quantità delle materie regolate, per le formulazioni utilizzate e le finalità perseguite sono tali da condurre a conclusioni esattamente opposte e di rilievo generale. In questo caso quindi l’inderogabilità del contratto, che nell’ordinamento intersindacale è presupposto dalle parti sociali ed anche regolato espressamente in tal senso, viene assunto con tale carattere anche dal sistema giuridico nazionale che ribadisce formalmente questo suo storico ruolo sociale. Una conclusione, questa, confermata non solo da quanto la legge prevede espressamente, ma anche da una sua interpretazione coerente con l’insegnamento di Ascarelli ed effettuata quindi alla luce del ruolo che il contratto collettivo svolge in quella particolare ed autonoma realtà sociale costituita dall’ordinamento intersindacale. 47 Romei 2011, 217. Con diverse argomentazioni è di tale opinione anche Maio 2008, 45 ss. e 76 ss. 200 Valerio Speziale Questa interpretazione, tra l'altro, prescinde dalla questione, assai complessa, della configurazione del contratto collettivo quale fonte del diritto in generale o almeno nelle ipotesi nelle quali la legge prevede un rinvio ed una delega normativa48. L'accoglimento di questa tesi, infatti, consentirebbe di trovare un ulteriore fondamento alla inderogabilità. Tuttavia, anche se in questi casi la trasformazione dell'autonomia collettiva in un atto normativo potrebbe essere sostenibile (ma non posso qui approfondire la questione), in ogni caso mi sembra indiscutibile che l'inderogabilità del contratto collettivo sia positivamente stabilita dalla legge a prescindere dalla sua configurazione quale fonte legale o espressione di poteri negoziali. In sostanza, anche se non si volesse qualificare il contratto collettivo come fonte, i contenuti della legge (e le altre caratteristiche sopradescritte) mi sembra consentano di affermare in ogni caso la sua inderogabilità. 5. L’inderogabilità del contratto collettivo nei casi previsti dalla legge. Nelle ipotesi in cui la legge utilizza l'autonomia collettiva come strumento di regolazione inderogabile del contratto individuale, la inderogabilità peggiorativa e la deroga migliorativa da parte dei soggetti individuali del rapporto viene garantita dai principi generali in tema di nullità previsti dagli articoli 1418 e 1419 del codice civile. Il mancato rispetto del contratto collettivo, infatti, è violazione di legge, perché il contenuto dell’atto espresso dall’ordinamento sindacale diventa, per volontà del legislatore, parte integrante della disciplina legale. La deroga compiuta dai contraenti individuali è in contrasto sia con il contratto collettivo, sia con la legge cha ad esso ha delegato poteri normativi ed è quindi soggetto alle regole di invalidità proprie delle fonti primarie inderogabili. 48 Sul punto si rinvia, per tutti, a Modugno 2011, 1 ss. (dattiloscritto); Id. 2010, 7 ss.; Ghera 2010, 309 ss.; M. G. Garofalo 2011, 531, Romei 2011, 201 ss.; Persiani 2004, 1 ss.; Proia 1994, 185 ss. 201 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro Questa disciplina, peraltro, non può essere applicata indifferentemente a tutti i casi in cui la legge attribuisce al contratto collettivo il compito di regolare aspetti del rapporto individuale. Infatti, come da tempo ha sottolineato la dottrina, le tecniche di rinvio sono tra loro molto differenziate e «lo schema classico dell'eteronomia collettiva (efficace reale più inderogabilità solo in pejus) non si adatta ai casi in cui la norma collettiva, anziché generalizzare trattamenti minimi, stabilisce standard, o condiziona l'esercizio dei poteri imprenditoriali, o modifica in peggio trattamenti esistenti……»49. Per questa ragione è necessario procedere ad un'analisi caso per caso delle varie fattispecie. Vi sono ipotesi, ad esempio, nelle quali il contratto collettivo deve essere necessariamente rispettato e non sono possibile deroghe. Si pensi al caso in cui la legge pone «tetti quantitativi» ad alcune tipologie contrattuali (ad es. per i rapporti a termine). In questa situazione la disposizione o non è applicata (perché il ccnl non impone alcun limite) o, se introdotta, impone necessariamente il suo rispetto. Senza dimenticare che la fissazione di percentuali massime di assunzione non costituisce una disciplina del contenuto rapporto individuale di lavoro, ma solo un forma di regolazione dell’acceso al tipo negoziale50. Lo stesso può dirsi quando la fonte primaria abilita l’autonomia collettiva ad integrare le fattispecie legali che consentono di utilizzare una specifica tipologia contrattuale (come nel caso della somministrazione a t. indeterminato). Analoghe conclusioni riguardano le ipotesi in cui, in base alla legge, il contratto collettivo individua standards che, «incorporando un interesse proprio del sindacato al controllo su certi aspetti dell’organizzazione del lavoro, non (consentono) deroghe né peggiorative né migliorative»51. Al contrario, i principi in tema di nullità per contrasto con norme di legge saranno applicabili quando la legge utilizza il contratto collettivo come regola minima di disciplina del rapporto individuale. Ad esempio, quando si impone di «osservare integralmente il trattamento economico e 49 D’Antona 1991, 484 – 485. Le medesime considerazioni possono essere espresse per l’art. 58, c. 2, del d.lgs. 276/2003 per quanto attiene le percentuali massime degli assunti con contratto di inserimento. 51 D’Antona 1991, 480, a cui si rinvia per l’analisi e la casistica. 50 202 Valerio Speziale normativo stabilito dai contratti collettivi nazionali e territoriali in vigore per il settore e per la zona nel quale si eseguono le prestazioni»52 ed in altre ipotesi analoghe53. Queste norme, infatti, ammettono una eventuale disciplina individuale più favorevole (ad es. il sottoinquadramento per un solo livello invece di due nel contratto di inserimento o nell’apprendistato o trattamenti superiori a quelli previsti dall’autonomia collettiva). In sostanza, le regole in tema di nullità potranno essere usate in tutti i casi in cui la legge impone l'utilizzazione del contratto collettivo come strumento per garantire l'applicazione di discipline minime di carattere economico e normativo, o quando introduce limiti massimi di regolamentazione che non possono essere superati (perché a svantaggio del lavoratore), ma che tuttavia ammettono miglioramenti a livello individuale. E non vi è dubbio che si è in presenza di un numero assai elevato di ipotesi che costituiscono la maggioranza di quelle in cui la legge affida al contratto collettivo funzioni regolative del rapporto individuale. Le disposizioni descritte sono sicuramente imperative, almeno secondo la tesi più diffusa in dottrina e giurisprudenza sul carattere imperativo di una norma54. Esse infatti sono finalizzate alla tutela di interessi generali55. La legge, come si è già detto, per mezzo del contratto collettivo attua diritti fondamentali e principi costituzionali nazionali ed 52 Art. 118, c. 6, del d.lgs. 163/2006. Ad esempio, nel caso in cui si prevede che «i lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte» (art. 23, c. 1, d.lgs. n. 276/2003) o in relazione a quanto disposto dall’art. 11, c. 1, lettera c, l. n. 25/1955 sull’apprendistato (oggi abrogato). Lo stesso può dirsi per le disposizioni che, in tema di contratto di inserimento o di apprendistato, consentono di inquadrare il lavoratore non oltre due livelli inferiori rispetti a quelli previsti dal ccnl (art. 59, c. 1, d.lgs. n. 276/2003; art. 2, c. 1, lettera c, d.lgs. n. 167/2011) e per le altre disposizione già citate retro nel testo e nelle note (particolarmente la nt. 30). 54 La nozione di norma imperativa é alquanto controversa nel Diritto civile (rinvio, per un’ampia analisi del problema, a Putti 2002, 193 ss., con le varie opinioni, ed a Albanese 2003), mentre nel Diritto del lavoro vi è la tendenziale coincidenza tra norma inderogabile e norma imperativa (De Luca Tamajo 1976, 16 ss.; Voza 2007, 16), anche se non mancano diverse recenti opinioni (Novella 2008, 31 ss. 72 ss.; M. C. Cataudella 2008, 12 ss., a cui si rinvia per una panoramica delle differenti interpretazioni in ambito lavoristico). 55 Ed è questa, secondo la interpretazione prevalente in dottrina e giurisprudenza, ciò che rende la norma «imperativa». Si rinvia agli autori indicati nella nt. precedente anche per indicazioni relative alla giurisprudenza (tra cui Cass. 17 maggio 1991, n. 5569). 53 203 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro europei di protezione del lavoro56. Il legislatore, inoltre, utilizza l'autonomia collettiva come strumento di regolazione del mercato del lavoro, per disciplinare l'accesso all'occupazione, le tipologie di lavoro flessibile e standard, per limitare la concorrenza tra lavoratori e imprenditori e per individuare complessivamente discipline che, anche quando sono dirette soltanto alla tutela di un contraente debole, hanno effetti diretti o indiretti di regolazione delle dinamiche occupazionali, di quelle salariali e così via. Queste disposizioni, dunque, rientrano nell'ambito di applicazione degli articoli 1418 e 1419 c.c. Un principio, questo, affermato in generale dalla Corte costituzionale per tutte le norme inderogabili di legge relative al rapporto di lavoro57 e che sicuramente, a maggior ragione, è estensibile a disposizioni che hanno le caratteristiche di regolazione «macro» del mercato. Inoltre, l'effetto invalidante si realizzerà soltanto per le disposizioni che introducono deroghe peggiorative. Per verificare, infatti, la violazione di una norma imperativa occorre indagare «sullo scopo della legge ed in particolare sulla natura della tutela apprestata…»58. La clausola del contratto individuale derogativa in melius non viola la norma imperativa in quanto non è in contrasto con la finalità della legge, che intende evitare discipline inferiori al trattamento minimo e non impedire condizioni migliorative di carattere economico o normativo. Pertanto, ad esempio, l’inquadramento del lavoratore assunto con un contratto di inserimento ad un solo livello inferiore a quello previsto dal ccnl, e non a due livelli come la legge consentirebbe, non solo non è in contrasto con la formulazione letterale della disposizione, ma è soprattutto coerente con la sua ratio di tutela59. 56 Non va dimenticato che sono in ogni caso «imperative le norme costituzionali, o che attuano principi costituzionali di tutela di interessi generali o particolari non disponibili…» (Zatti 1994, 228). 57 Infatti, con la nota sentenza 11 maggio 1992, n. 210 (FI, 1992, I, 3232 ss.), la Corte Costituzionale, nel ricostruire in generale i principi in tema di nullità parziale nel rapporto di lavoro e nell’affermare che la regola è quella della «sostituzione automatica» prevista dall’art. 1419, c. 2, c.c., elenca tutta una serie di varie disposizioni qualificate come tutte imperative (in tema di patto di prova, professionalità patto di non concorrenza ecc.) ed inoltre indirettamente lascia chiaramente intendere la piena coincidenza tra norma inderogabile e quella imperativa. 58 Cass. 18 luglio 2003, n. 11256. Conf. Cass., S. U., 21 agosto 1972, n. 2697. 59 L’art. 59, c. 1. del d.lgs. n. 276/2003 prevede che il sottoinquadramento non può essere inferiore «per più di due livelli» a quella prevista dal ccnl. Dunque, anche dal punto di vista letterale, l’attribuzione di un solo 204 Valerio Speziale Quando la pattuizione del contratto individuale è nulla per contrasto con norma imperativa, vi sarà la sua sostituzione automatica con quella del contratto collettivo ai sensi dell'art. 1419, c. 2, c.c. Il primo comma di questa disposizione, che valorizza l'essenzialità della clausola invalida ai fini della sopravvivenza dell'intero contratto, non potrà essere applicata. Alcune recenti teorizzazioni, in verità, hanno cercato di riaffermare l'utilizzazione di questa regola del rapporto di lavoro, anche alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nel 200560. Il tema è così complesso da non poter essere affrontato in questa sede, anche se ho già avuto modo di spiegare le ragioni che impediscono l'applicazione del primo comma dell'art. 141961. La Corte costituzionale, comunque, con la sentenza n. 210/1992, ha già ricostruito in termini generali le regole operanti nel caso di nullità del contratto di lavoro per contrarietà a norme imperative, sottolineando come esse richiedono «significativi adattamenti». Infatti, «sarebbe palesemente irrazionale che dalla violazione di una norma imperativa… posta proprio al fine di tutelare il lavoratore…. potesse derivare la liberazione del datore di lavoro da ogni vincolo contrattuale», perché, se così fosse, la normativa «non sarebbe in sintonia con la Costituzione»62. Di qui la necessaria applicazione del secondo comma dell'art. 1419, anche perché «il principio di conservazione del contratto è l'ovvio rovescio della tutela inderogabile del lavoratore, ed ha lo scopo di mantenere, proprio nei casi in cui il regime di diritto comune si avrebbe nullità o l'annullamento, la stabilità del rapporto contro la parte meno interessata alla conservazione del vincolo»63. Questo spiega, d’altra parte, perchè la stessa Corte Costituzionale abbia affermato che non vi è livello inferiore non è impedita dalla disposizione. D’altra parte, l'appaltatore, obbligato (ai sensi dell’art. 118, c. 6, del d.lgs. n. 163/2006) ad osservare il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti, se introduce clausole di miglior favore, non si pone in contrasto con la finalità della norma imperativa e lo stesso vale, ovviamente, nell’ipotesi del contratto di inserimento ed in tutti i casi i cui la disposizione interessata prevede minimi di trattamento. 60 Vallebona 2005, 527 ss.; M. C. Cataudella 2008, 37 ss. 61 Speziale 2001, 405 ss.; Id. 2008, 222 ss. 62 C. cost. 11 maggio 1992, n. 210, cit, 3240. 63 D’Antona 1991, 477, che, come ben si vede, anticipa le argomentazioni poi espresse da C. cost. n. 210/1992, cit. 205 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro «spazio per l’indagine – soggettiva o oggettiva – circa la comune volontà dei contraenti» in ordine alla volontà di conservare o non conservare il contratto nella sua interezza»64. E non è un caso che la giurisprudenza costantemente confermi queste regole negli ambiti più svariati65. D'altra parte mi sembra che, a favore dell'applicazione dell'art. 1419, c. 2, c.c. nel rapporto di lavoro, vi siano due ulteriori argomenti. Innanzitutto la diffusione, nel diritto civile, delle nullità di protezione come categoria generale di invalidità diretta alla conservazione del contratto ed alla sostituzione della clausola nulla con quella imperativa in situazioni molto diverse, ma tutte caratterizzate dalla tutela del «contraente debole»66. Una tendenza che mi sembri rafforzi ulteriormente le ragioni dell'applicazione di questa forma di nullità parziale nel Diritto del lavoro, dove la «debolezza contrattuale» è il presupposto giustificativo dell'intera disciplina inderogabile di legge e di contratto collettivo. Inoltre, il primo comma dell’art. 1419, ai fini della valutazione sulla essenzialità o meno della clausola invalida (per determinare l'eventuale nullità dell'intero contratto), richiede la ricostruzione della volontà delle parti obiettivamente deducibile dal testo contrattuale67. La disposizione, dunque, presuppone contraenti titolari di «pari forza» contrattuale e che concorrono liberamente alla definizione del contenuto del contratto. Una situazione, quest'ultima, difficilmente riscontrabile nel rapporto di lavoro, dove, anzi, l'ordinamento considera questo 64 C. cost. n. 210/1992, cit., 3241. Si veda, ad es. in riferimento al contratto a termine Cass. 21 maggio 2008, n. 12985; Cass. 15 novembre 2010, n. 23057; Cass. 21 novembre 2011, n. 24479 (ma ormai è giurisprudenza costante della Cassazione). Ma analoghe considerazioni possono essere fatte per il contratto di formazione e lavoro (Cass. 22 gennaio 1999, n. 619), in tema di discriminazioni (Cass. 3 gennaio 1984, n. 42), di contrasto tra contratto collettivo e fonti del diritto (Cass. 2 febbraio 1984, n. 808), di patto di prova (Cass. 3 gennaio 1995, n. 25) e così via. Mentre l’utilizzazione dell’art. 1419, comma 1, in tema di part time, che trova fondamento nella sentenza della C. cost. n. 283/2005, oltre a prestarsi alle critiche indicate nel testo (ed a quelle ulteriori da me espresse in Speziale 2008, 222 ss.), si muove nella stessa ottica di tutela espressa dalla giurisprudenza sopra citata. In questo caso, infatti, non viene prevista la conversione automatica in un rapporto a tempo pieno perché si ritiene che il tempo parziale possa essere un vantaggio per il lavoratore, del quale si privilegia la ricostruzione della volontà ai sensi del primo comma dell’art. 1419 c.c. (a mio giudizio comunque non applicabile nel contratto di lavoro). 66 Si rinvia, per tutti, a Girolami 2008, 388 ss.; Passagnoli 1995, 20 ss.; M.C. Cataudella 2008, 71 ss.; Maio 2008, 99 ss. 67 M. C. Cataudella 2008, 41 ss. Ma si tratta di un risultato interpetativo ormai consolidato nella dottrina civilistica. Sul punto si veda, per tutti, Di Marzio 1999, 408 ss. (a cui si rinvia per ulteriori indicazioni bibliografiche). 65 206 Valerio Speziale presupposto come inesistente «in ragione della disuguaglianza di fatto delle parti del contratto»68. 6. L’inderogabilità del contratto collettivo nei casi non espressamente previsti dalla legge. Il dibattito dottrinario e alcuni problemi. L'ordinamento giuridico, dunque, qualifica espressamente il contratto collettivo come inderogabile e offre, con le regole in tema di nullità parziale, una positiva soluzione al rapporto tra l’autonomia collettiva e quella individuale. Le più recenti interpretazioni in materia, quando non arrivano a negare l'inderogabilità del contratto69, giustificano la prevalenza dall'autonomia collettiva in base all'art. 211370, oppure con l'iscrizione al sindacato e la supremazia dell'interesse collettivo71 o tramite il riferimento all'art. 39 Cost.72. In sostanza, vengono ribadite opzioni teoriche «storiche» che si sono formate in epoche differenti, quando la legislazione in tema di contratto collettivo era molto più esigua e inoltre l'ordinamento europeo non esisteva o, quanto meno, non aveva l'attuale importanza. Oggi, in presenza di un quadro normativo nazionale molto mutato, è possibile, a mio giudizio, ipotizzare la diversa soluzione in precedenza prospettata. Il problema, tuttavia, rimane aperto nei casi in cui la legge non rinvia al contratto collettivo la regolazione del rapporto individuale di lavoro. Queste situazioni sono in verità molto meno numerose del passato, ma comunque mantengono una grande importanza. E qui, dunque, occorre confrontarsi con un imponente dibattito teorico in materia. Nell'arco di oltre sessant'anni, l'inderogabilità del contratto 68 C. cost. n. 210/1992, cit., 3241. Cfr. Romei 2011 e Maio 2008, cit. nelle nt. 47. 70 Maio 2008, 75 ss., che riprende con diverse argomentazioni la tesi di Vardaro 1985, 306 ss. e si aggiunge all'ampia schiera di autori che hanno utilizzato questa disposizione. Cfr, tra gli altri, Mengoni, Nogler, Sciarra (che valorizza, peraltro, anche l’art. 2077: 1989, 71) e Zoli cit. alla nt. 46, a cui adde Maresca 1985, 704 ss. 71 A. Cataudella 2008, 61 ss. (che conferma la tesi già espressa nel 1966, rispondendo alle critiche che gli sono state mosse). 72 Bellocchi 2007, 297, in coerenza con quanto a suo tempo affermato da Scognamiglio 1971, 140 ss. 69 207 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro collettivo è stata affermata da diverse teorie e con argomentazioni e fondamenti normativi differenti. Si è fatto riferimento all’art. 2077 c.c, all’art. 2113 c.c., ai principi in tema di mandato irrevocabile o sono state utilizzate specifiche norme costituzionali (artt. 39 o 36 Cost.). Percorrendo vie diverse, si é qualificata l'iscrizione al sindacato come «dismissione di autonomia in favore del gruppo»73 o come presupposto di una «gestione accorpata dei rapporti di lavoro» in base ad «un contratto plurilaterale»74, o si è rinviato ai principi in tema di autotutela e di effettività e così via75. Queste interpretazioni, che si sono sviluppate in un lungo periodo storico, non possono ovviamente essere considerate tutte sullo stesso piano e debbono essere necessariamente contestualizzate. Ad esempio, la teoria del mandato irrevocabile di Francesco Santoro Passarelli esprime una fisiologica reazione alla dimensione pubblicistica ed autoritaria che il contratto collettivo aveva nell'ordinamento corporativo76. Essa, inoltre, si è sforzata di individuare un bilanciamento tra principi costituzionali in tema di libertà sindacale e valorizzazione delle organizzazioni sindacali quali formazioni sociali ai sensi dell'art. 2 Cost., anche se la dottrina degli anni ‘50 è stata accusata di aver perseguito un disegno di «decostituzionalizzazione» del Diritto sindacale77. D'altra parte, molte di queste interpretazioni, oltre a voler riaffermare con forza la logica privatistica del contratto collettivo sono anche conseguenza della «anomia» tipica di questa materia. Non è un caso che l'apparire, negli anni ’70, di una disposizione come l'art. 2113 c.c., riformulata dal legislatore post costituzionale, sia stata salutata come l'avvento (finalmente!) di una soluzione di diritto 73 Cessari 1967, 145 ss. Dell’Olio 1980, 20 ss., 90 ss. Lambertucci (2009, 556 ss.) vede nel contratto associativo plurilaterale «la subordinazione dell’autonomia individuale al potere regolativo dell’autonomia collettiva». 75 Ovviamente non è possibile neppure accennare alle varie teorie in materia. Per la loro descrizione si rinvia, in epoche diverse, a Curzio 1984, 87 ss.; Vardaro 1985, 172 ss.; Sciarra 1989, 69 ss.; Nogler 1997, 49 ss.; Rusciano 2003, 88 ss.; Bellocchi 2007, 291 ss.; A. Cataudella 2008, 62 ss.; Maio 2008, 25 ss.; Romei 2011, 186 ss.; Scognamiglio 2011, 494 ss. 76 Romei 2011, 185, il quale sottolinea come Santoro Passarelli ha il merito «di aver mantenuto saldo l’ancoraggio dell’autonomia collettiva al diritto privato contro le incrostazioni corporative dell’art. 39 Cost e le derive pubblicistiche di una parte della dottrina degli anni ’50 dello scorso secolo». 77 Vardaro 1984, 61 (criticato da Romei 2011, 185 ss.). 74 208 Valerio Speziale positivo al problema della inderogabilità del contratto collettivo78. E questo nonostante la disposizione, come si è visto, presupponga l'effetto inderogabile senza regolarlo direttamente. Il problema è che la mancanza di un fondamento giuridico ha spinto la dottrina ad enfatizzare la portata della norma, facendole dire molto più di quanto da essa si possa effettivamente dedurre. L’art. 2113, infatti, riguarda atti abdicativi unilaterali (rinunzia) o transattivi, che richiedono una manifestazione di volontà non equiparabile a quella con la quale si stipula un contratto di lavoro peggiorativo rispetto a quello collettivo79. In questo caso, il lavoratore non rinuncia ad un proprio specifico diritto - di cui ha piena consapevolezza - ma definisce un programma negoziale con la volontà di regolare il rapporto e non di disporre di singole posizioni soggettive in un'ottica di soluzione di un conflitto. Il recente tentativo di «rivitalizzare» questa disposizione, affermando che anche la deroga contenuta nel contratto individuale equivale ad una rinuncia80, non convince. In primo luogo spesso, se non sempre, il lavoratore, quando stipula il contratto al momento dell'assunzione, non è consapevole di perdere uno specifico diritto. Elemento, questo, del tutto indispensabile perché si possa parlare di un atto dispositivo ai sensi dell'art. 211381. Inoltre, si confondono le conseguenze pratiche con le caratteristiche di due manifestazioni di volontà diverse. Sul piano concreto deroga e rinuncia possono essere equiparate in quanto possono determinare la medesima situazione di fatto, ma - a parte il carattere unilaterale dell'atto dismissivo e la bilateralità del contratto - esse sono profondamente diverse per le ragioni già spiegate (non si può confondere la definizione del contenuto del rapporto - che è volontà negoziale - con l'atto abdicativo di uno o più diritti specificamente individuati). D'altra parte, attribuire all'art. 2113 gli stessi effetti dell'art. 2077 significa determinare un'indebita 78 Bellocchi 2007, 293. L’equiparazione del contratto in deroga agli atti dismissivi dei diritti (indirettamente affermata da Vardaro 1985, 302 ss.) è stata criticata da Tursi 1996, 172 ss. e da A. Cataudella 2008, 73, nt. 44. 80 Maio 2008, 144 ss. 81 Si rinvia, per tutti, a Pera 1990, 48. In giurisprudenza, tra le tante, Cass. 17 maggio 2006, n. 11536; Cass. 11 luglio 2001, n. 9407: giurisprudenza costante. 79 209 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro sovrapposizione tra inderogabilità della legge o del contratto collettivo ed indisponibilità dei diritti. Si tratta, infatti, di due aspetti connessi ma che devono essere tenuti rigorosamente distinti, perché l'inderogabilità si riferisce ad una qualificazione normativa effettuata dalla legge o dall'autonomia collettiva per fini generali o a tutela del gruppo professionale e quale regolazione generale astratta riferita ad una serie indefinita di casi. L’indisponibilità si muove invece sul piano individuale della disposizione di singoli diritti già acquisiti al proprio patrimonio giuridico82. La funzione «creativa» della dottrina può essere inoltre efficacemente descritta sottolineando l'importanza attribuita all'iscrizione al sindacato quale fondamento della inderogabilità del contratto collettivo, in quanto espressione di un mandato irrevocabile o di un assoggettamento del singolo al potere dell'associazione di regolare i propri interessi. Si è recentemente rilevato che qualificare l’iscrizione come conferimento del potere irrevocabile di compiere uno o più atti giuridici (artt. 1703, 1723, c. 2, 1726 c.c.) fa sorgere qualche «dubbio»83. Una lettura degli statuti dei sindacati più importanti rivela come in essi non si parla mai di contratto collettivo né sia possibile desumere - anche con la massima «espansione» interpretativa - qualsiasi disposizione che consenta di affermare che il lavoratore conferisce un mandato - secondo le regole del diritto civile - al compimento di atti giuridici. Senza dimenticare che, anche ammettendo di essere nell'ambito degli artt. 1703 ss. c.c. (e non mi sembra che sia questo il caso), si tratterebbe di un mandato invalido per l'assoluta indeterminatezza dell'oggetto84. Inoltre, se il lavoratore conferisse un mandato con rappresentanza anche nell’interesse del sindacato (mandatario), al lavoratore dovrebbero essere 82 Mi permetto di rinviare a Speziale 2011a, 36 ss. (ed alle indicazioni bibliografiche su inderogabilità/indisponibilità ivi contenute) per una recente analisi di questa problematica. La tesi espressa nel testo è stata sostenuta anche da Tursi 1996, 172 ss. 83 Scognamiglio 2011, 495 84 L’oggetto del mandato, infatti, deve essere determinato o determinabile (Luminoso 1984, 123; Id. 2007, 401; Carnevale 1990, 3). Le critiche alla teoria del mandato irrevocabile sono state molteplici (si vedano gli a. cit. a nt. 75, a cui si rinvia per la loro descrizione). 210 Valerio Speziale direttamente imputati gli effetti del contratto collettivo (perché questa è l’essenza del mandato con rappresentanza)85. Mentre, come è noto, questo non avviene perché il lavoratore iscritto deve comunque stipulare un distinto contratto individuale (il cui contenuto è conformato dall’autonomia collettiva) ed il sindacato è parte negoziale del contratto collettivo (elemento questo estraneo al mandato con rappresentanza anche se nell’interesse del mandatario). D’altra parte, se l’organizzazione sindacale avesse ricevuto un mandato senza rappresentanza, essa, dopo la stipula del contratto collettivo, dovrebbe compiere atti giuridici per ritrasferire ai mandanti (i lavoratori) i diritti e gli obblighi scaturenti dall’atto negoziale86. Ovviamente nulla di tutto questo accade e non è neanche considerato dagli agenti collettivi come una possibilità o necessità. Ad analoghe conclusioni si giunge qualora si cerchi di individuare nell'iscrizione al sindacato una dismissione dei poteri negoziali individuali o una supremazia del contratto espresso dal gruppo professionale. Queste tesi devono completamente trascurare le regole poste dalla stessa associazione sindacale tramite gli statuti, che, al contrario, ne costituiscono la «legge fondamentale», definendone scopi e disciplina di funzionamento87. Tali teorie, inoltre, trascurano la stessa realtà sociale di riferimento (secondo l'insegnamento di Ascarelli), nella quale l'iscrizione al sindacato esprime spesso solo la volontà di ottenere un servizio (l'assistenza fiscale, legale, previdenziale, ecc.), senza alcun rapporto con la contrattazione collettiva o esprime genericamente una volontà di protezione priva di reali effetti sul piano negoziale. D’altra parte, sempre con riferimento alla realtà sociale, «i sindacati decidono non di rado di sottoporre l’approvazione del contratto collettivo al voto dei lavoratori, 85 Sul punto cfr., per tutti, Galgano 2010, 433, il quale specifica che «il rappresentante agisce per procura del rappresentato; conclude contratti i cui effetti si producono non nei propri confronti, ma nei confronti del rappresentato…». 86 Galgano 2010, 436; Luminoso 1984, 346 ss. 87 Non è un caso che A. Cataudella, il quale fonda sulla iscrizione al sindacato la prevalenza dell’interesse collettivo su quello individuale, sia costretto ad ammettere (come in verità già aveva fatto nel 1966) che tale prevalenza opera «a prescindere da eventuali previsioni dello statuto sindacale» (2008, 85). Un opinione che, alla luce dell’importanza giuridica degli statuti, desta molte perplessità. 211 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro dal quale viene fatta dipendere la sua efficacia»88, che non scaturisce, dunque, dalla iscrizione. Non è un caso che Giugni, già nel 1967, qualificasse il conferimento di poteri all’autonomia collettiva come «vago»89. E ritengo quindi di concordare con chi ha recentemente ribadito che «iscrivendosi ad un'associazione sindacale, il lavoratore conferisce un mandato assolutamente generico per la tutela dei propri interessi che si avvicina alla rappresentanza di interessi di tipo politico»90. Le varie interpretazioni in tema di inderogabilità del contratto collettivo, che rappresentano, per la loro complessità e profondità, alcuni tra i migliori prodotti intellettuali espressi dalla dottrina lavoristica italiana, non possono essere descritte o criticate neppure in modo sommario. L'impressione complessiva che se ne trae, comunque, è quella di un'estrema indeterminatezza della materia e delle soluzioni proposte. L’assenza di una normativa speciale che, come in altre realtà giuridiche continentali, regoli i rapporti tra autonomia collettiva e individuale sicuramente aumenta il grado di incertezza. E non è un caso che la giurisprudenza, sin dagli anni ‘50, abbia percorso la strada più agevole, anche se molto discussa, rappresentata dall'applicazione dell’art. 2077 c.c. Tuttavia, alla luce dell'imponente sviluppo delle fonti legali che utilizzano il contratto collettivo come strumento di regolamentazione del rapporto individuale, è possibile tentare una diversa interpretazione che valorizzi questa caratteristica ormai strutturale del nostro sistema giuridico. 88 Scognamiglio 2011, 495. Giugni 1989, 177. 90 Romei 2011, 211, a cui si rinvia per le indicazioni bibliografiche degli altri autori che concordano su tale tesi (tra cui Lambertucci 2009. 557 ss.). 89 212 Valerio Speziale 7. L’inderogabilità del contratto collettivo come principio generale dell’ordinamento giuridico. L'evoluzione normativa, come si è già detto, ha determinato lo sviluppo di fonti legali che qualificano espressamente o indirettamente il contratto collettivo come inderogabile. L'ordinamento giuridico italiano esprime in modo inequivocabile la volontà di recepire la natura inderogabile dell'atto negoziale dell'ordinamento intersindacale in coerenza con la volontà espressa o implicita delle parti sociali. In tal modo, un carattere proprio di un prodotto normativo di un settore autonomo della realtà giuridica acquista il valore di una caratteristica generale del sistema. I riferimenti in materia sono così numerosi, qualitativamente rilevanti ed in alcune ipotesi universali da escludere che il riconoscimento operato possa essere limitato soltanto alle situazioni in cui il contratto collettivo è espressamente menzionato dalla legge o da atti normativi sovraordinati. Dunque, il problema dell’inderogabilità dell'autonomia collettiva è ormai positivamente risolto e non richiede l'utilizzazione di singole disposizioni come l'art. 2077 o 2113 c.c. Si è in presenza di una caratteristica dell'ordinamento lavoristico che, anche per la rilevanza costituzionale della tutela del lavoro in tutte le sue forme e per la necessaria strumentalità dell'inderogabilità alla realizzazione di tale obiettivo91, diventa un principio generale dell'ordinamento92. D'altra parte, se il favor lavoratoris è un principio settoriale assunto come generale93, una simile conclusione deve necessariamente essere affermata anche per l'inderogabilità del contratto collettivo in conseguenza del rilievo che ad esso viene attribuito dal sistema giuridico nazionale. Si è sottolineato come «la dottrina dominante più recente ammette pacificamente che i principi generali sono espressi in specifiche 91 V. retro § 3. Infatti, «anche i principi limitati ad un istituto, ad una materia, ad un settore dell'ordinamento possono assurgere a principi generali, ogni volta che li si ritenga caratteristici di un modo di essere proprio dell'ordinamento complessivo» (Modugno 1991, 5; conf. Bartole 1986, 524 ss.). Sui principi generali, oltre agli autori citati, vedi anche Pizzorusso 2011, 670 ss.; F. Ferrara 1943, 313 ss.; Crisafulli 1941. 93 Modugno 1991, 5. 92 213 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro disposizioni»94. E, quando vengono posti direttamente dal legislatore, essi possono esser utilizzati «dall'interprete al fine di ricavarne in via deduttiva le norme di dettaglio mancanti…»95. Pertanto, nei casi in cui il contratto collettivo svolge la funzione di minimo inderogabile di trattamento economico e normativo o comunque in tutte le ipotesi nelle quali è concretamente possibile una deroga migliorativa a livello individuale, il principio espresso di inderogabilità contenuto nelle fonti normative consente – anche quando non vi è una regolazione diretta da parte della legge - di applicare la disciplina in tema di nullità parziale che é stata in precedenza descritta, con risultati del tutto analoghi alle situazioni in cui l'inderogabilità è positivamente riconosciuta da una disposizione specifica, come quelle già esaminate. In questi casi, infatti, il giudice, sollecitato a decidere nei rapporti tra autonomia collettiva e individuale, in via interpretativa dedurrà dal principio espresso in una pluralità di fonti normative la «norma di dettaglio» che sancisce la inderogabilità peggiorativa e la deroga migliorativa. Questa nuova disposizione, di carattere imperativo come quelle da cui viene desunta96, assume lo stesso valore di una regola di legge espressa ed il magistrato quindi potrà, ai sensi dell'art. 1419, comma 2, c.c definire il giudizio (dichiarando invalida la clausola individuale peggiorativa o legittimando quella di miglior favore). Si potrebbe obiettare che le innumerevoli fonti costituzionali e ordinarie che qualificano il contratto collettivo come inderogabile non sono tali da consentire di definire questa caratteristica come un principio generale espresso dell'ordinamento giuridico. Una tesi che, a mio giudizio, significa rifiutare una realtà normativa indiscutibile ed é poco coerente con i risultati a cui, in tema di principi dell'ordinamento, è pervenuta l'interpretazione teorica a livello costituzionale o di teoria generale del diritto. Se, ad esempio, l’art. 39 Cost. é stato letto come 94 Modugno 1991, 3 (a cui si rinvia per le numerose indicazioni bibliografiche); Pizzorusso 2011, 703 - 704. Pizzorusso 2011, 704; Modugno 1991, 3. F. Ferrara parla di principi generali come «principi di diritto positivo che si estraggono da disposizione concrete legislative e che si ampliano in formule generali, comprensive di nuove applicazioni…» (1943, 313 ss.). 96 V. retro §§ 4 e 5. 95 214 Valerio Speziale fondativo anche della libertà di contrattazione collettiva (pur se riferito espressamente solo alla dimensione organizzativa del sindacato)97, non vedo come i numerosi e molto più pregnanti riferimenti contenuti nell'ordinamento italiano ed europeo possano escludere l'inderogabilità quale caratteristica espressamente riconosciuta. Tuttavia, questa lettura riduttiva del nostro sistema giuridico non esclude che le conclusioni già descritte sull'applicazione delle regole in tema di nullità parziale possono essere confermate. Infatti, le varie disposizioni che attribuiscono al contratto collettivo natura inderogabile possono quantomeno essere considerate come fondative di un principio generale «implicito» dell'ordinamento giuridico. Quest’ultimo infatti, pur non direttamente enunciato in formali disposizioni costituzionali o primarie, può, con un processo induttivo, essere desunto dalle norme di dettaglio, con lo scopo «di costruire principi generali non espressi al fine di dedurne poi norme regolative di un casus omissis»98. Anche volendo seguire questa linea interpretativa, dunque, non vi è dubbio che il contratto collettivo, pur in assenza di una disposizione espressa, deve essere considerato inderogabile, con le conseguenze già analizzate. Il principio «implicito» infatti possiede la stessa autorità normativa di quello espresso e, sempre sul piano interpretativo, svolge la medesima funzione integrativa dell'ordinamento99. Il meccanismo analizzato è lo stesso che giustifica l'interpretazione analogica. Quest'ultima, peraltro, va effettuata in relazione ad una singola disposizione il cui contenuto precettivo è esteso ad un caso non contemplato per la comunanza della ratio legis100. Tuttavia, in questa ipotesi il giudice deve ricercare la norma espressa che contiene la «somiglianza rilevante» e permette di colmare la lacuna giuridica101. 97 Cfr. retro gli autori cit. a nt. 24. Pizzorusso 2011, 704. In senso analogo Modugno 1991, 3 ss.; Guastini 2004, 104 ss., 208 ss. 99 Modugno 1991, 4; Crisafulli 1941, 64 ss. 100 In coerenza con il tradizionale insegnamento di Bobbio 1968, 603 ss.. Si veda, per tutti, anche Guastini 2004, 154 ss. 101 «L’interprete deve limitarsi…a risalire, mediante un processo di astrazione logica, dalle norme espresse e particolari della legge al principio che ne ha suggerito la statuizione, al fine di saggiare, in rapporto al caso non espressamente previsto, la possibilità di un’identità di ratio…» (Cass. 11 aprile 1962, n. 699; Cass. 19 aprile 1961, 863). 98 215 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro Un'indagine che, in considerazione della pluralità di fonti normative che qualificano il contratto collettivo come inderogabile, può essere difficile e complessa. Al contrario, la rilevazione deduttiva o induttiva di un principio generale dell'ordinamento espresso o implicito consente di individuare in generale una regola di inderogabilità dell'autonomia collettiva e permette una sua immediata applicazione al caso oggetto di giudizio, senza la necessità di ricercare una specifica disposizione. Le conclusioni indicate, ovviamente, sono discutibili. Da un lato, infatti, la inferenza di un principio generale espresso o implicito presuppone un processo interpretativo connotato da elevata discrezionalità e dove le «precomprensioni» dell'interprete, in assenza di disposizioni formali di legge, hanno una incidenza ancora più accentuata di quelle che normalmente condizionano in generale l'interpretazione del giurista (che può, qui, essere ancora più propenso a giustificare aprioristicamente una propria tesi invece di argomentarla in modo convincente). Inoltre, affermare l'esistenza di un principio generale dell'ordinamento che sancisce l'inderogabilità del contratto collettivo su quello individuale potrebbe costituire una conferma della qualificazione dei prodotti dell'autonomia collettiva come fonti del diritto. Un problema che, come già detto, non posso approfondire in questa sede, anche se ho cercato di spiegare che l’inderogabilità del contratto collettivo e il suo carattere di atto normativo legale sono questioni diverse e tra loro autonome (v. retro § 4). Se tali conclusioni possono essere sostenute nei casi in cui la legge utilizza espressamente il contratto collettivo come strumento di regolamentazione di quello individuale, il medesimo risultato interpretativo può essere esteso al principio generale, che mutua dalle disposizioni di legge in materia le medesime caratteristiche. In ogni caso, pur con tutte le perplessità descritte e le necessarie cautele, mi sembra che la interpretazione avanzata abbia una certa plausibilità e sia, forse, meno «azzardata» di alcune teorie, già descritte, sulla prevalenza del contratto collettivo su quello individuale. 216 Valerio Speziale 8. Il «diritto vivente» sull’art. 2077 c.c. e la diversa interpretazione proposta. L'ipotesi teorica qui prospettata si aggiunge a quelle, molto numerose, espresse dalla dottrina in oltre sessant'anni di incessante attività interpretativa. Essa, peraltro, cerca di fornire una soluzione che, in qualche modo, valorizzi lo sviluppo delle fonti normative in materia e, quindi, prenda atto delle novità intervenute nella legislazione vigente. D'altra parte sembra difficile, in presenza di un riconoscimento così importante dell'ordinamento intersindacale e dei suoi prodotti normativi, continuare a percorrere vie diverse che prescindono appunto dall'evoluzione complessiva del sistema. Probabilmente quest'ulteriore interpretazione non inciderà sulla giurisprudenza. Quest'ultima, ormai, dagli anni '50, si è consolidata sulla costante applicazione dell'art. 2077 c.c., secondo una scelta che fu qualificata come un «errore felice»102, mentre solo sporadicamente sono state usate diverse argomentazioni (come ad esempio il riferimento all'art. 2113 c.c.)103. Ovviamente, in questa sede, non posso neanche accennare al dibattito teorico connesso all’art. 2077 ed alle critiche legate alla utilizzazione di questa disposizione104. Una parte della dottrina postcostituzionale, peraltro ha ritenuto, in tempi diversi, che essa potesse costituire una valida soluzione al problema della inderogabilità del contratto collettivo105. L'entità complessiva delle sentenze che impiegano l’art. 2077, la loro continuità nel tempo, l'assenza di motivazioni articolate (perché l'uso di questa disposizione è dato per scontato) fanno di questa giurisprudenza un vero e proprio «diritto vivente». L'importanza di questi orientamenti, con riferimento alla «norma storicamente vivente», era stata già rilevata da Giugni e Persiani alla fine degli anni ’60 ed all'inizio del decennio 102 A. Cataudella 1966, 546. Tra queste, Cass. 21 novembre 1977, n. 5084, FI, 1978, I, 1264 ss. (in particolare 1268 – 1269). 104 Rinvio agli autori citati retro nella nt. 75. 105 Assanti 1967, 73 ss.; Ghera 1967, 169 (che ne affermava l’applicazione in via analogica); Ballestrero 1989, 383 ss., part. 388.; Tursi 1996, 176 ss. 103 217 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro successivo, anche se con motivazioni differenti106. Oggi, tuttavia, la Corte costituzionale e le elaborazioni della dottrina attribuiscono a questa nozione un significato indubbiamente molto più importante rispetto al passato. Infatti, in presenza di una interpretazione ampiamente condivisa in giurisprudenza che sia tale da qualificarsi come diritto vivente, la Corte esclude che il giudice del rinvio, prima di sottoporre la questione al giudizio di costituzionalità, debba effettuare un'interpretazione adeguatrice rispetto alla Carta fondamentale che ne elimini la contrarietà con la Costituzione. Lo stesso giudice delle leggi, inoltre, si astiene dal proporre una propria autonoma interpretazione e la sottopone - nella versione definita dal giudice ordinario o amministrativo - «a scrutinio di costituzionalità, perché la norma vive ormai nell'ordinamento in modo così radicato che è difficilmente ipotizzabile una modifica del sistema senza l'intervento del legislatore o di questa Corte»107. In presenza di orientamenti giurisprudenziali «stabilmente consolidati»108, soprattutto a fronte di numerose decisioni della Cassazione o di sentenze delle Sezioni Unite, l'interpretazione adottata di una disposizione è la norma da sottoporre a giudizio costituzionale, anche se molto diversa da quella che, ad una prima lettura, potrebbe sembrare il suo reale contenuto109. Tra l’altro, le recenti riforme del codice di procedura civile, ed il particolare l’introduzione dell’art. 360 bis, esaltano il valore del precedente giurisprudenziale (e, nel suo ambito, il ruolo delle Sezioni Unite della Cassazione)110. In altra sede ho già cercato di argomentare come queste innovazioni introducono, nell'ordinamento italiano, un sistema simile allo stare decisis di origine anglosassone e trasformino la 106 Giugni, infatti, considerava soprattutto l’impatto che la giurisprudenza aveva sulle parti sociali, determinando «una certezza dell’inderogabilità degli effetti» (1989, 175 – 176). Persiani, invece, riteneva che «la giustificazione della inderogabilità del contratto collettivo di diritto comune è ormai da ricercare soltanto nel costante orientamento giurisprudenziale» (1972, 92), che «induce ad escludere che esiste ancora il problema di cercare un fondamento dell’inderogabilità del contratto collettivo di diritto comune e della sua prevalenza sui contratti individuali» (7 – 8). 107 C. cost. 21 novembre 1997, n. 350, www.cortecostituzionale.it, 3. 108 C. cost. 21 novembre 1997, n. 350, 3, cit.; conf. C. cost. 16 maggio 2008, n. 146, www.cortecostituzionale.it, 5. 109 Sul diritto vivente e sulla dottrina e giurisprudenza (soprattutto costituzionale) in materia mi permetto di rinviare a Speziale 2008, 634 ss.; Id. 2011b, 1004 ss. 110 Si veda, in tale ambito, la formulazione dell’art. 374 c.p.c. 218 Valerio Speziale giurisprudenza dalla Cassazione da orientamento autorevole, ma non vincolante, a precedente da il cui magistrato non può discostarsi se non a precise condizioni111. Queste innovazioni rafforzano ulteriormente il valore del diritto vivente. In tempi recenti si è sostenuto che «la costante giurisprudenziale non è una norma» e influenzerebbe solo dall'esterno il comportamento delle parti collettive individuali112. In realtà quest'opinione, che riprende quanto già Giugni aveva intuito nel 1967113, non corrisponde alla realtà assunta nel nostro ordinamento dal diritto vivente che equivale (ed anzi prevale!) sulla disposizione formalmente espressa nella legge. Si è anche sostenuto che questa giurisprudenza costante costituirebbe una «consuetudine» e l'inderogabilità del contratto collettivo su quello individuale, per mezzo di questa norma consuetudinaria, sarebbe ormai ricompresa tra le fonti del diritto114. In realtà, la interpretazione giurisprudenziale non può mai essere qualificata come consuetudine, che presuppone «l'opera inconscia di un complesso di soggetti determinati e in determinabili (privi pertanto di qualunque qualificazione), fondata sulla diffusa convinzione della giuridicità del comportamento osservato, senza che tale giuridicità sia fatta risalire ad una interpretazione del diritto preesistente»115. Al più occorrerebbe verificare se possa qualificarsi come consuetudine praeter legem il comportamento delle parti del rapporto individuale che, in assenza di un espresso recepimento del contratto collettivo, applicano costantemente nel tempo l'autonomia collettiva in funzione inderogabile116. Una interpretazione, quest’ultima, forse possibile e che non posso approfondire in questa sede. In tale ipotesi, comunque, l'inderogabilità non opererebbe quale vincolo nascente dal precedente giudiziario uniforme. 111 Speziale 2011b, 1006 ss. Romei 2011, 218. Cfr. retro, testo e nota 6. 114 M. G. Garofalo 2011, 530. 115 Pizzorusso 2011, 653. 116 Sulla consuetudine praeter legem, v., per tutti, Pizzorusso 2011, 643 ss., part. 649 ss. e 660 ss. 112 113 219 Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro Indubbiamente, la «storicità» ormai assunta dall'interpretazione giurisprudenziale sull'art. 2077 difficilmente potrà essere messa in discussione dai giudici, in considerazione anche della «forza inerziale» del precedente, che consente di trovare una soluzione agevole al caso oggetto di giudizio senza particolari sforzi ricostruttivi. Tuttavia, ritengo di aver almeno fornito uno spunto di riflessione per suggerire una opzione alternativa, evitando così di ricorrere ad una norma che, pur se adattabile al nostro sistema di libertà e pluralismo sindacale, è stata pensata per un contratto collettivo profondamente diverso da quello oggi esistente. Riferimenti bibliografici AA.VV. (2004), L’interpretazione del contratto collettivo, Giuffrè, Milano. Albanese A. (2003), Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Jovene, Napoli. Ascarelli T. (1959), Problemi giuridici, I, Giuffrè, Milano. Assanti C. (1967), Rilevanza e tipicità del contratto collettivo nella vigente legislazione italiana, Giuffré, Milano. Ballestrero M. V. (1989), Riflessioni in tema di inderogabilità del contratto collettivo, RIDL, I, p. 357 ss. Bartole S. (1986), Principi generali del diritto (diritto costituzionale), Enc dir., XXXV, Giuffrè, Milano, p. 494 ss. Bellocchi P. (2007), Il contratto collettivo di diritto comune, in Bessone M. 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