CLASSE 2° E A.S. 2011/2012 In questo anno scolastico la nostra classe ha partecipato a diverse conferenze
tenute da esperti dell’Istituto storico della resistenza della Provincia di Lucca in
collaborazione con la Scuola per la Pace e la cooperativa C.R.E.A., su vari aspetti
della seconda guerra mondiale e nello specifico abbiamo parlato della SHOAH,
dello STERMINIO DEI DISABILI, del RAZZISMO e NAZISMO.
Confrontandoci e creando diversi lavori di gruppo abbiamo conosciuto le diverse
opinioni di ognuno di noi, che sono, poi ,state esposte alla classe.
CONFERENZA CON IL PROFESSOR BUCCIARELLI
Il 9 gennaio 2012 abbiamo partecipato alla conferenza con il professor Bucciarelli
che ha strutturato un percorso introduttivo su “La scienza e la shoah” che ci ha
permesso di riflettere sul contributo che biologi, medici e scienziati in genere
dettero allo Sterminio concepito come strumento di eugenetica razziale e sociale.
Bucciarelli ci ha fatto vedere che dobbiamo risalire alla prima metà del '700 per
rintracciare studiosi dediti allo studio delle classificazioni del mondo. Tra tutti va
ricordato Carlo Linneo (1707-1778), il grande naturalista svedese autore del
Sistema naturae (1735), opera nella quale classificò, per la prima volta, il genere
umano all'interno della specie Homo Sapiens. Successivamente, a tre anni di
distanza dal suo primo lavoro, aggiunse una quadripartizione del genere Homo,
collegandolo a quattro differenti modalità caratteriali. Questa prevedeva:
-
un Homo sapiens americanus, tenace, soddisfatto, libero;
-
un Homo sapiens europeus, spiritoso, vivace, inventivo;
-
un Homo sapiens asiaticus, austero, orgoglioso, avaro;
-
un Homo sapiens afer, definito come astuto, lento, negligente.
Nel corso del XVIII E XIX secolo iniziarono ad acquistare importanza gli studi
relativi alle misurazioni del cranio e della sua forma, nella convinzione che
potessero essere rivelatori di differenze qualitative, di tipo intellettivo, tra i
diversi gruppi umani.
Durante il nazismo la scienza ha affiancato il nazismo nell’affermare che
esistono razze superiori quali la razza ariana e razze inferiori quali gli slavi e gli
ebrei e Bucciarelli ci ha fatto vedere numerosi manifesti dell’epoca dove i tratti
fisici erano messi in evidenza.
Tali studi hanno portato all’attuazione dell’ Aktion T4, nome dato dopo la prima
guerra mondiale al Programma nazista di eutanasia che, sotto responsabilità
medica, prevedeva la soppressione di persone affette da malattie genetiche
inguaribili o da più o meno gravi malformazioni fisiche.
Per quanto riguarda la posizione del fascismo, Bucciarelli ci ha detto che in Italia
non ci sono stati progetti di purificazione della razza, anche per la presenza del
Vaticano, ma nel 1938 vennero fatte leggi contro la razza ebrea; nelle scuole
vennero cacciati quest’ultimi e venne impedito loro di fare alcune normalissime
attività:
REGIO DECRETO LEGGE 5 SETTEMBRE 1938-XVI, N. 139
REGIO DECRETO-LEGGE 5 settembre 1938-XVI, n. 1390
Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista
VITTORIO EMANUELE III
PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTA' DELLA NAZIONERE D'ITALIA
IMPERATORE D'ETIOPIA
Visto l'art. 3, n. 2, della legge 31 gennaio 1926-IV, n. 100;
Ritenuta la necessità assoluta ed urgente di dettare disposizioni per la difesa della razza nella scuola
italiana;
Udito il Consiglio dei Ministri;
Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per l'educazione nazionale, di concerto con
quello per le finanze;
Abbiamo decretato e decretiamo:
Art. 1 All'ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado e nelle
scuole non governative, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere ammesse
persone di razza ebraica, anche se siano state comprese in graduatorie di concorso anteriormente al
presente decreto; né potranno essere ammesse all'assistentato universitario, né al conseguimento
dell'abilitazione alla libera docenza.
Art. 2 Alle scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non
potranno essere iscritti alunni di razza ebraica.
Art. 3 A datare dal 16 ottobre 1938-XVI tutti gli insegnanti di razza ebraica che appartengano ai
ruoli per le scuole di cui al precedente art. 1, saranno sospesi dal servizio; sono a tal fine equiparati
al personale insegnante i presidi e direttori delle scuole anzidette, gli aiuti e assistenti universitari, il
personale di vigilanza nelle scuole elementari. Analogamente i liberi docenti di razza ebraica
saranno sospesi dall'esercizio della libera docenza.
Art. 4 I membri di razza ebraica delle Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze,
lettere ed arti, cesseranno di far parte delle dette istituzioni a datare dal 16 ottobre 1938-XVI.
Art. 5 In deroga al precedente art. 2 potranno in via transitoria essere ammessi a proseguire gli studi
universitari studenti di razza ebraica, già iscritti a istituti di istruzione superiore nei passati anni
accademici.
Art. 6 Agli effetti del presente decreto-legge è considerato di razza ebraica colui che è nato da
genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica.
Art. 7 Il presente decreto-legge, che entrerà in vigore alla data della sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale del Regno, sarà presentato al Parlamento per la sua conversione in legge. Il
Ministro per l'educazione nazionale è autorizzato a presentare il relativo disegno di legge.
Visto, il Guardasigilli: Solmi.
Registrato alla Corte dei conti, addì 12 settembre 1938 - Anno XVI
Atti del Governo, registro 401, foglio 76 - Mancini.
INCONTRO CON ARMANDO SESTANI SUL PROGRAMMA “AKTION T4”
Il 17 gennaio 2012 abbiamo incontrato il dott. Armando Sestani ricercatore
dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in Provincia di
Lucca che, insieme ad alcuni ragazzi della cooperativa sociale C.R.E.A. è venuto
nella scuola per installare una mostra composta da diversi pannelli con cui ci ha
illustrato il programma “Aktion T4”. Tale mostra è rimasta a disposizione di tutte le
classi della nostra scuola fino al 26 gennaio quando abbiamo affrontato in
biblioteca una riflessione e un dibattito su tale programma.
PROGETTO CON LA DOTTORESSA SILVIA ANGELINI
“Si appartiene ad una specie quando due individui danno origine a una prole
fertile”
La dottoressa Angelini ci ha parlato delle leggi razziali, dicendoci che le razze
possono esserci e non esserci; se esistessero quest’ultime, sarebbero legate ad
aree geografiche con criteri comuni per creare gruppi di razze . Insieme a lei
abbiamo fatto anche un lavoro di gruppo, confrontando il “manifesto della razza”
del 1938, con il “manifesto degli scienziati antirazzisti” del 2008 e commentandolo.
In allegato abbiamo inserito gli articoli del Manifesto degli scienziati antirazzisti del
2008 e Manifesto della razza del 1938.
Fonti:
Google immagini
Appunti incontro Signor Bucciarelli
Appunti incontro Dott.ssa Angelini
Appunti incontro Signor Sestani
Peace reporter.net
“Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista”
(http://it.wikisource.org/wiki/R.D.L._5_settembre_1938,_n._1390__Provvedimenti_per_la_difesa_della_razza_nella_scuola)
Lavoro svolto da: Ica Anais Marilena, Quilici Giulia, Fabbri Elisabetta, Masini Lisa, Soriano
Marwin
A seguito dei tre incontri abbiamo deciso di approfondire
ulteriormente queste pagine della storia leggendo libri e
consultando diversi siti internet.
La Shoah
AKTION T4
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L’origine
La Shoah
Con il termine Shoah venne ufficialmente indicato lo sterminio degli ebrei operato dai
nazisti.
Questo vocabolo venne usato per la prima volta nel 1938 nella Palestina sottoposta al
mandato britannico durante una riunione del Comitato Centrale del Partito Socialista,
in riferimento al pogrom della cosiddetta “Notte dei Cristalli”:
(durante la quale Nella notte tra il 9 e il 10 novembre venne anche scatenata una vera
e propria caccia all’uomo contro gli ebrei, i cui furono bruciate centinaia di Sinagoghe
e uccise 90 persone: dalla quantità dei vetri rotti rimasti per le strade, quella notte
fu chiamata notte dei cristalli.
Da allora ebbero inizio le deportazioni nei campi anche degli ebrei arrestati nel corso
dell’azioni punitive.
Possiamo dire che la Germania nazista combatté due guerre parallele: una contro i
nemici esterni, che ebbe inizio il 1 settembre del 1939 e sfociò nel dramma della
seconda guerra mondiale; l’altra contro gli ebrei secondo le leggi naziste colpevoli di
esistere, è di qui che ebbe origine la Shoah.)
Commento [O1]: Questa è
un’immagine che riguarda per
l’appunto la notte dei cristalli, era
cosiì che fu ridotta la citta
La parola..
Nella parola Shoah , voce biblica che significa “catastrofe,disastro”, è implicito che
quanto è accaduto non ha alcun significato religioso, contrariamente a ciò che richiama
il termine olocausto, spesso usato, che rinvia a un’idea di sacrificio di espiazione.
La Shoah è piuttosto un genocidio, ovvero un’azione criminale che, attraverso un
complesso e preordinato insieme di azioni, è finalizzata alla distruzione di un gruppo
etnico, nazionale, razziale o religioso.
Ben sei milioni di ebrei (secondo fonti tedesche) giovani, ricchi, neonati e adulti,
furono uccisi dalla violenza nazista.
Le cinque fasi della Shoah
1) La privazione dei diritti civili dei cittadini ebrei;
2) La loro espulsione dai territori della Germania;
3) La creazione di ghetti circondati da filo spinato, muri e guardie armate nei
territori conquistati a est dal Terzo Reich, dove gli ebrei furono costretti a vivere
separati dalla società e in precarie condizioni sanitarie ed economiche;
4) I massacri delle Einsatzgruppen (squadre di riservisti incaricate di eliminare
ogni oppositore del nazismo nei territori conquistati dell’Ucraina e della Russia)
durante le azioni di rastrellamento;
5) La deportazione nei campi di sterminio in Polonia dove, dopo un’immediata
selezione, gli ebrei venivano uccisi subito con il gas o inviati nei campi di lavoro e
sfruttati fino all’esaurimento delle forze.
Queste tappe possono essere suddivise in due periodi storici:
- dal 1933 al 1940 quando il nazismo vide la soluzione della questione ebraica
nell’emigrazione;
- dal 1941 al 1945 quando venne attuato lo sterminio.
- Il nazismo fece dell’attacco agli ebrei uno dei propri elementi fondanti, dal
momento in cui giunse al potere, si scagliò contro i cittadini ebrei con ogni
mezzo di propaganda e con una fitta campagna di leggi.
Il programma del nazismo
Per convincere anche la pubblica opinione della necessità di questa lotta, furono
utilizzate le accuse di deicidio, di inquinamento della razza ariana e di arricchimento
mediante lo sfruttamento del lavoro e delle disgrazie economiche altrui.
Gli ebrei, secondo i piani di gerarchi nazisti, avrebbero dovuto scomparire dalla faccia
della terra.
Il progetto di Hitler, infatti, era quello di rendere tutto il mondo libero dagli ebrei.
La furia violenta del nazismo si scagliò non solo contro gli ebrei ma anche contro i
tedeschi residenti, gli zingari, i testimoni di geova, i prigionieri di guerra e i portatori
di handicap (sterilizzati, e i prima a essere gassati in apposite “case di cura” o su
camion destinati alla gassazione, in base al programma Eutanasia.)
Bisogna però ricordare che mentre ebrei e zingari furono vittime dello sterminio di
interi gruppi familiari, colpevoli solo di esistere, tutti gli altri vennero perseguitati
perché avversari del regime al potere o non adatti al nuovo ideale razzista di “uomo
tedesco”.
Questa differenza si rispecchiava anche nelle diverse tipologie di campi creati dai
nazisti per i propri nemici.
In base ad una indagine compiuta da uno dei maggiori studiosi dell’universo
concentrazionario, i gerarchi nazisti istituirono più di 10.000 campi sul suolo del Terzo
Reich.
Cinquanta erano le categorie in cui venivano suddivisi i lager, in base alle diverse
finalità, ma sei in tutto erano i campi di sterminio dove i deportati venivano selezionati
e uccisi con il gas, creati solo per ebrei e zingari:sono questi i luoghi delle Shoah.
Il programma politico di Hitler
Il programma politico di Hitler era chiaro: egli predicava la superiorità della razza
ariana, incarnata dai popoli tedeschi, su tutte le altre.
Per raggiungere questo scopo voleva l’annientamento delle razze inferiori che avevano
contaminato la purezza germanica e la conquista di uno spazio vitale in cui tornare a
far prosperare gli eletti ariani.
Dal 1923 Hitler divenne un punto di riferimento per tutti i movimenti dell’estrema
tedesca.
Il 9 novembre 1923 forte del consenso ottenuto organizzò il Putsch (colpo di stato) a
Monaco; dopo il suo fallimento e la sua incarcerazione egli capì che doveva puntare
sulla ricompattazione del popolo del tedesco.
Condannato a cinque anni di reclusione per alto tradimento, Hitler trascorse agli
arresti meno di un anno, in cui detto al compagno di cella Rudolf Hess il Mein Kampf
(il libro in cui era esposto il progetto politico di Hitler).
A causa della propaganda contro il comunismo, attuata da Hitler, nacquero due corpi
paramilitari, chiamati SA e SS.
Divenuto cancelliere egli eliminò dalla scena politica tutti i suoi oppositori, come per
esempio i comunisti furono accusati di aver provocato l’incendio del Reichstag
(provocato in realtà dai nazisti).
Leggi sugli Ebrei
Con le leggi di “ degiudeizzazione” del 1933, con cui tolse i posti di lavoro alle cariche
pubbliche degli ebrei e diede nuovi posti di lavoro agli ariani.
Con le leggi di Norimberga invece, Hitler diede ufficialità alle proprie idee antisemite
già espresse nel Mein Kampf. Da quel momento gli ebrei divennero ufficialmente
cittadini inferiori per legge e nascita.
Numerose furono le leggi che scandirono la loro “vita diversa” , come quella per cui
dovevano frequentare solo luoghi a loro riservati ( esistevano addirittura panchine
solo per gli ebrei) o quella per cui dovevano premettere ai nomi propri Israel ,se
maschi , o Sarah se femmine.
Sitografia:
Tutte le informazioni le abbiamo ricavate dal sito www.binario21.org
Lavoro svolto da: Claudia Buchiniani, Vanessa Carlesi, Alessandra Chebakova,
Chiara Del Priore, Silvia Pardini.
AKTION T4
Aktion T4 (1933-1939) fu il nome dato dopo la prima guerra mondiale al Programma
nazista di eutanasia che, sotto responsabilità medica, prevedeva la soppressione di
persone affette da malattie genetiche inguaribili o da più o meno gravi malformazioni
fisiche.
Il nome Aktion T4 non è nei documenti del tempo. I nazisti usavano il nome in codice
EU-AKtion o E-Aktion (E, EU significava eutanasia) e T4 è l'abbreviazione di
"Tiergarten strasse 4", l'indirizzo della villa di Berlino dove era situato il quartier
generale dell’ente pubblico per la salute e l'assistenza sociale.
La sede dell'operazione eutanasia
in Tiergartenstrasse 4
Karl Brandt, medico personale di
Hitler e iniziatore del T4
Il programma Aktion T4 non può essere considerato a tutti gli effetti eutanasia: non
prevedeva infatti il consenso dei pazienti, ma la soppressione contro la loro volontà. Il
programma non era poi motivato da preoccupazione per il benessere dell'ammalato,
come il desiderio di liberarlo dalla sofferenza, ma veniva invece portato avanti
principalmente per migliorare la specie.
Il programma di sterminio fu il punto di arrivo di un percorso avviato fin dal 1933 con
la diffusione di teorie che sostenevano l’utilità dell’eliminazione coatta delle vite “non
più degne di essere vissute”: inizialmente fu varata la legge sulla sterilizzazione e nel
1935 quella sulla cosiddetta “salute coniugale” che vietava i matrimoni tra persone con
disabilità con la motivazione di “preservare la purezza della razza”. Quando, il primo
settembre 1939 ebbe inizio la guerra, l'apparato per sopprimere i disabili era pronto
e le uccisioni ebbero inizio. Il primo passo fu l'assassinio dei bambini disabili a cui
seguì lo sterminio degli adulti disabili.
Alle uccisioni in attuazione del programma T4 devono essere sommate quelle relative
agli internati nei campi di concentramento uccisi in seguito all'Aktion 14F13, dalla
sigla del formulario utilizzato nei campi per registrare i decessi. Non è possibile
stabilire quante persone vennero uccise nel quadro della Aktion 14F13. Occorre
tenere presente che nell'ambito della operazione vennero eliminate anche persone non
affette da nessuna malattia.
Monumento commemorativo sulla Tiergarten strasse a Berlino
L’uccisione dei bambini disabili
Quando i nazisti nel 1933 persero il potere, iniziarono una politica di difesa della
razza riprendendo le teorie di “purificazione” della razza già diffuse in America e in
Europa tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900.
La Germania di Hitler fu il luogo dove queste teorie prosperarono e si attuarono. Le
prime vittime furono i disabili, soprattutto i bambini.
Il 18 agosto 1939 fu emanato un decreto che ordinava alle ostetriche e ai medici di
dichiarare tutti i bambini nati con specifiche condizioni di handicap. Oltre ai neonati, i
medici dovevano dichiarare tutti i bambini sotto i 3 anni affetti da tali condizioni. Al
Decreto fu allegato il modulo di dichiarazione formulato in modo da sembrare
un’indagine scientifica per usi statistici.
Il dottor Ernst Wentzler della Commissione per
le malattie genetiche ed ereditarie al lavoro.
Per l’uccisione dei bambini il Comitato del Reich creò reparti di eutanasia infantile
presso i grossi ospedali statali, i cosiddetti “reparti per l’assistenza esperta dei
bambini”. Il Ministero chiese che il sistema assistenziale coprisse i costi dei ricoveri
assicurando che sarebbe stato denaro ben speso perché i risparmi futuri avrebbero
abbondantemente compensato il costo iniziale.
Ordine scritto di Adolf Hitler in data 1° settembre 1939.
L'ordine recitava: "Il Reichsleiter Bouhler e il dottor Brandt sono incaricati, sotto la propria
responsabilità, di estendere le competenze di alcuni medici da loro nominati, autorizzandoli a
concedere la morte per grazia ai malati considerati incurabili secondo l’umano giudizio, previa
valutazione critica del loro stato di malattia".
La politica della “purificazione” della razza infantile fu affidata ai medici dei reparti
infantili, i quali utilizzavano farmaci che non provocavano la morte immediata dei
bambini, ma davano luogo a complicazioni mediche, per esempio la polmonite, che alla
fine provocava la morte. A quel punto i medici potevano constatare una “morte
naturale”. L’uccisione dei bambini fu il primo atto del programma della “purificazione”
della razza; i bambini erano considerati importanti perché rappresentavano il futuro.
Ben presto il progetto di uccidere i bambini disabili fu affiancato da quello di uccidere
anche gli adulti disabili.
Si pensa che i bambini uccisi inutilmente siano almeno 5000.
Uccisione dei disabili adulti
Il primo centro di uccisione fu costruito vicino a Berlino, ma in breve tempo altri 5
campi coprirono tutto il territorio tedesco, quasi tutti ex ospedali o case di cura
riconvertiti.
Inizialmente i pazienti vennero uccisi con iniezioni letali. Il metodo era però lento ed
inefficace e con il prosieguo della guerra, quando i farmaci utilizzati nelle iniezioni
divennero sempre più scarsi, fu trovato un nuovo metodo: l'utilizzo di monossido di
carbonio puro - prodotto industrialmente, a differenza di quello che accadde
successivamente in alcuni campi di sterminio dove era invece prodotto dai fumi di
scarico di grossi motori - in apposite camere a gas.
Il cimitero della clinica di sterminio di Hadamar
La clinica- castello di Hartheim
I centri di uccisione funzionavano come una catena di montaggio e al loro interno vi
erano camere a gas. Quando il programma di uccisione arrivò al culmine, nelle camere a
gas venivano uccise più di 300 o 400 persone a volta.
Quando il 24 agosto 1941, pressato dall’opinione pubblica interna, Hitler ordinò la
temporanea sospensione delle esecuzioni si calcolò che il progetto T4 avesse fatto più
di 70000 vittime, ma gli storici hanno accertato come questa cifra sia eccessivamente
inferiore alla realtà.
Lapide stradale sita al n°4 della Tiergartenstrasse
Documento del Ministero dell'Interno del Württemberg
riguardante la clinica di eliminazione di Grafeneck.
In basso l'avvertenza: "Non lasciar cadere nelle mani del nemico!
Distruggere in caso di pericolo nemico
I disabili dei Paesi occupati a differenza di quelli tedeschi, dopo un breve periodo
d’internamento, venivano deportati nei campi di sterminio e, in quanto ritenuti inabili al
lavoro o troppo deboli, erano tra i primi ad essere soppressi, appena scesi dai treni.
Lo sterminio dei disabili, da parte della Germania nazista fu la fase iniziale della
Shoah, che proseguì con lo sterminio degli ebrei e degli zingari causando più di sei
milioni di vittime.
La deportazione dei disabili ebrei, la truffa di Cholm II
I disabili ebrei furono inclusi nel programma di eutanasia fin dall’inizio, in un primo
tempo solo in quanto disabili, poi anche in quanto ebrei. La persecuzione di massa nei
confronti dei disabili ebrei avvenne a partire dal 15 aprile 1940 quando una circolare
impose a tutti gli ospedali di dichiarare la presenza di pazienti ebrei al fine di riunirli
in appositi centri di raccolta che altro non erano se non l’anticamera dei campi di
sterminio.
Quando le pressioni di parenti, associazioni e magistratura per aver notizie sulla sorte
dei disabili internati si fecero forti, i vertici del T4 architettarono un ignobile
inganno: la truffa di Cholm.
Le direzioni degli ospedali di provenienza, a chiunque chiedesse notizie dei propri
congiunti, rispondevano che erano stati trasferiti nell’unità di Cholm, vicino a Lublino,
in Polonia, con tanto di indirizzo e casella postale. I cespiti dovuti per l’assistenza
ospedaliera dovevano quindi essere versati a questa struttura.
Ma Cholm era solo una casella postale fittizia. Due o tre mesi dopo il trasferimento, la
direzione di Cholm comunicava ai parenti l’avvenuto decesso.
La lucrosa e criminale truffa durò poco più di un anno perché quando nell’agosto del
1941 il Reich decise la deportazione in massa degli ebrei tedeschi ed austriaci, anche i
disabili ebrei seguirono la sorte di tutti nei campi di sterminio.
Ebrei disabili psichici detenuti nel lager di Buchenwald:
le vittime designate per l'operazione 14F13
Persecuzione e sterminio degli handicappati ed ebrei
Nell’ambito del processo di Norimberga, si affermò sotto giuramento che nessun
disabile ebreo fosse stato internato nei campi di uccisione nell’attuazione del piano di
eutanasia delle persone handicappate. Per rincarare la dose si disse anche che ai
disabili ebrei non era dovuta quella “morte compassionevole” (la gasazione), riservata
solo agli handicappati tedeschi. Non servivano certo le testimonianze contrarie per
rivelare l’assoluta falsità di queste affermazioni.
20 NOVEMBRE 1945-1 OTTOBRE 1946
La persecuzione dei disabili ebrei si svolse esattamente sulla falsariga di quanto era
avvenuto per gli handicappati tedeschi. Guardando ai pazienti di religione ebraica
internati negli ospedali tedeschi prima del 1933, si ravvisa come la campagna di
sterilizzazione, in quanto disabili, non li risparmiò di certo. Le prove documentali
afferenti al 1939 parlano di almeno una paziente ebrea sterilizzata nell’ospedale di
Amburgo.
Anche l’Italia ebbe le sue vittime tra i disabili. Le vittime italiane, furono soprattutto
ebrei, destinati alla deportazione verso Auschwitz, che non fecero neanche in tempo a
scendere dai convogli. Nella maggior parte dei casi infatti vennero uccisi subito dopo il
loro arrivo al campo.
Campo di concentramento di
Auschwitz
Memoriale a Treblinka; ciascuna pietra rappresenta una città
la cui popolazione ebraica fu annientata nel campo di sterminio.
Fonti:
http://www.olokaustos.org/argomenti/eutanasia/eutanasia14.htm
http://www.storiaxxisecolo.it/deportazione/deportazionedisabilie.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Aktion_T4
http://liberaliperisraele.ilcannocchiale.it/
Purificare e distruggere di Michael Tregenza. Ombre corte 2006
Lavoro svolto da: Rebecca Amato, Chiara Mariani, Giulia Del Sarto, Giada Nieri, Asia Buchignani.
SIAMO ANCORA VIVE!
Questo libro è il fedele resoconto di Amalia Navarro, ebrea, nata a Venezia nel
1917 stesso luogo in cui venne arrestata il 5 maggio del 1944, detenuta nei
campi di concentramento di Auschwitz, Bergen-Belsen, Raghun (Buchenwald),
Theresienstadt'. Lei, tra i pochi testimoni ancora viventi di quel martirio, ha
voluto nel 2002, rendere pubblico un testo che aveva scritto, di getto, appena
tornata a Venezia, il 20 settembre del 1945. La sua è una cronaca precisa, con
nomi, date, luoghi descritti con assoluta precisione, annotando particolari che
solo la sensibilità di una donna può cogliere. E' un documento storico, ma
insieme anche privato, che testimonia come la caparbia volontà di sopravvivere
abbia consentito a lei e alla sorella Lina di ritornare in Italia.
Amalia è riuscita a scappare da i nazisti e i fascisti per quasi un anno, 16
ottobre 1943-5 maggio 1944, quando fu arrestata nella sua casa a Venezia con
la sua famiglia e condotta prima nel carcere di Santa Maria Maggiore e poi nel
campo di concentramento di Fossoli.
Fossoli: ” Le baracche erano composte di dieci camere, in ognuna delle quali
dovevamo abitare in sei o sette persone; sebbene non vi fossero letti pure con
i pagliericci e una coperta ciascuno si poteva dormire. Come vitto ci passavano
una zuppa e 200g di pane al giorno ma poiché esisteva un fondo cassa
costituito da tutti noi prigionieri le condizioni di vita venivano migliorate. Non
eravamo obbligati a nessun lavoro e non vi erano appelli.”
Successivamente venne trasferita al campo di Auschwitz dove le cose erano
completamente diverse da Fossoli.
Auschwitz: ” Era ormai tardi quando ci condussero a dormire in una baracca;
in uno spazio di 2 metri quadrati. Sul legno dei cosiddetti letti a castello
dovevamo sdraiarci in 14 senza coperte, battevamo i denti dal freddo perché
quando pioveva a dirotto pioveva anche dentro la baracca. Alle 3 del mattino
fummo svegliate da un brusco comandante in tedesco per l’appello che durò
fino alle 6.”
Appena entrate nel campo venivano spogliate sia dei vestiti che della loro
dignità e personalità: “Camminammo circa mezzora e fummo lasciate in una
baracca vuota. A una a una ci chiamarono per l’ordine alfabetico(quella fu
l’ultima volta che ci chiamarono per nome; da allora in poi saremmo state solo
un numero) ci fecero un tatuaggio, incidendoci sul braccio nudo il numero di
matricola. Questa incisione veniva fatta con una penna stilografica a forma di
ago da iniezioni, e il numero era composto da tanti buchi vicinissimi. Avevo
una paura pazza perché sentivo le altre gridare e piangere; qualcuna sveniva
per il dolore, ma la malvagia polacca si indispettiva sempre di più con quelle
poverine e incideva con maggior violenza, facendole tacere a forza di calci.
Strinsi i denti e chiusi gli occhi mentre mi pungeva e mi trovai tatuato il mio
numero di matricola: A.8483 . Mi hanno detto che si potrebbe fare una plastica
e cancellarlo, ma perché cancellare questa testimonianza sulla carne viva delle
nostre sofferenze? “
All’ingresso di Auschwitz venivano effettuate delle selezioni tra chi poteva
lavorare e chi no. La madre di Amalia, essendo troppo vecchia, venne esclusa:
“Mentre la polacca era intenta ai tatuaggi, entrò nella baracca una dottoressa
italiana, la signorina triestina Bianca Morpurgo; era la prima persona con cui
potevamo parlare nella nostra lingua e subito affannosamente le chiedemmo
se sapeva in quale campo avessero destinato le nostre mamme. Ella con
esaltazione ci rispose : - Ragazze, non pensate più a nessuno. Pensate a voi,
che avete avuto la fortuna di essere salve, di entrare in campo. Tutte quelle
che non sono entrate sono finite là. – E prendendomi per un braccio mi
condusse alla finestra e mi indicò un immenso camino che sputava fiamme fino
al cielo. – quello è il crematorio – mi disse. Io la odiai a morte per la brutalità.
Benchè terrorizzate dalle sue parole, non le prestammo fede. Più tardi
costatammo che aveva detto il vero.”
All’interno del campo di concentramento, i detenuti svolgevano anche numerosi
lavori. Le donne erano sorvegliate dalle blockowa (capoblocco) che
sorvegliavano anche le baracche. Le detenute erano sottomesse a queste e
subivano percosse e maltrattamenti: “Due giorni dopo il nostro arrivo
cominciammo il lavoro. Alle sei del mattino, finito l’appello, venne a prenderci
una prigioniera tedesca, incaricata di accompagnarci al lavoro. Era una
prostituta, come tutte le donne preposte a noi ebree e nominate, per sfregio,
comandanti con la più ampia autorità. A noi ragazze furono consegnati a chi
una pala, a chi un piccone, e ci fecero scavare una buca profonda per la
tubatura dell’acqua. Guai a quella che, stanca, sostava un momento
appoggiandosi alla pala, perché subito un grosso bastone la colpiva in testa.
Quel primo giorno lavoravo coscienziosamente ed ero curva sulla pala, quando
mi sentii arrivare un potente schiaffo dalla comandante. Disgraziatamente non
capivo quello che mi diceva e, non conoscendo ancora il regolamento, secondo
cui bisognava sopportare le percosse senza replicare, anche se si aveva
ragione, mi rivoltai con grande ira, chiedendo come mai mi schiaffeggiasse. In
risposta ricevetti un altro schiaffo, più forte del primo. Ero molto avvilita, non
solo per il dolore alla guancia, ma per non potermi difendere, poiché avevo
capito, se continuavo con quel tono, non avrebbe mai finito di picchiarmi. Da
quel momento imparai a stringere i denti e a lasciarmi picchiare.”
“Ma quasi più dei castighi e delle botte, nella nostra miseria infinita, ci
offendevano il vestiario e il vitto, la ricchezza dell’abbigliamento e la
raffinatezza dei cibi delle superiore, specialmente le lageralteste (comandanti
supreme del campo). Mentre razzolavamo in cerca di bucce di patate, spesso ci
accadeva di veder passare, portate sui vassoi delle stubowe, torte, pizze e
bottiglie di liquori che le tedesche si scolavano alla sera con i soldati nelle loro
orge. “
“Tutte le mattine, dopo l’appello, a cinque a cinque, accompagnate da due
donne comandanti, uscivamo dal comando dirette al lavoro. Dovevamo
percorre 10 km per arrivare a destinazione. Man mano che si procedeva col
lavoro i km da percorrere aumentavano; da ultimo dovevamo superarne 20 e
si arrivava così stanche e affamate, che soltanto Dio ci da la forza di continuare
il lavoro. Nostro compito era di preparare il fronte lungo il fiume Vistola, cioè
tagliare gli alberi che nascondevano la visuale. Il lavoro era ancora più duro:
non potevamo mai concederci un attimo di riposo perché i soldati, se ci
vedevano, ci aizzavano addosso quei cagnacci, grandi quasi quanto una
persona, e a quelli preferivamo i bastoni. “
Successivamente Amalia e la sorella vennero portate al campo di Belsen dove
lavoravano molto duramente. Le condizioni delle prigioniere erano pessime:
venivano lasciate senza cibo e senza acqua e a volte anche senza alloggio ed
erano costrette a dormire all’aperto sotto l’acqua o sotto la neve. Venivano
effettuati esperimenti sui corpi delle prigioniere e si inoculava alle sventurate il
microbo del vaiolo o di altre terribili malattie che i medici avessero intenzione
di studiare. Quanti delitti commessi in nome della scienza!
Le italiane, nei campi di concentramento, erano mal viste come le greche: ” il 4
febbraio alcune prigioniere russe diedero l’assalto alla camera del pane, ma la
punizione come al solito, toccò a noi italiane. Ci lasciarono ancora 48ore a
digiuno, ma quella fu fortunatamente l’ultima punizione perché, quando già
avevamo perduto ogni speranza di partire, arrivò l’ordine definitivo.”
Dopo il campo di Belsen, fortunatamente, lei e la sorella furono trasferite nella
fabbrica di Raghun dove le condizioni erano migliori. Avevano cibo e alloggio
dignitosi e il lavoro era meno estenuante.
Dopo la fine della guerra vennero trasferite a Theresienstadt, in un paese
abitato di ebrei liberati. Per trasferirsi da un luogo all’altro dovevano affrontare
viaggi lunghi 5 giorni con una sola razione di pane. Arrivati in quel paese,
Amalia si ammalò di tifo e venne, per la prima volta, divisa dalla sorella. Passò
giorni di agonia e in isolamento non sapendo dove fosse la sorella. Una volta
guarita si mise in cerca della sorella. Dopo un altro faticoso viaggio riuscirono
finalmente a tornare in Italia: “Udimmo tre colpi di moschetto sparati dal
capitano e comprendemmo di aver finalmente toccato davvero il suolo
benedetto della nostra Italia!!!”
FONTI:
Amalia Navarro “Siamo ancora vive” ed. Messaggero – Padova, 2002
LAVORO SVOLTO DA:
Barsotti Angela
Corsi Sara
Donati Beatrice
Pippi Eleonora
Bertilacchi Leonardo
LE DONNE DI RAVENSBRÜCK
Testimonianze di deportate politiche italiane
“Spesso esse si videro opporre un muro di disinteresse, di
incomprensione, di diffidenza e talora persino di ostilità. A loro
specialmente veniva applicata la morale di Renzo…”
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“Io dicevo un giorno a una classe che la donna fu praticamente
la linfa della Resistenza, perché senza la donna la Resistenza
non sarebbe potuta essere. È alle donne che i partigiani
dovettero tutto…”
Bianca Paganini Mori
La Resistenza rappresenta la fase in cui nascono e si
sviluppano le premesse per la nascita della
Costituzione e della Repubblica democratica.
Nel ricordare la lotta partigiana raramente si
parla del ruolo delle donne e del loro
contributo alla Resistenza anche per questo
motivo si parla di “Resistenza taciuta”.
Ciononostante la collaborazione delle donne fu
un contributo molto importante, soprattutto
nella gestione organizzativa quotidiana. Le
donne si occupavano della stampa dei
materiali di propaganda, attaccavano i
manifesti e distribuivano i volantini,
svolgevano funzione di collegamento,
curavano il passaggio delle informazioni,
trasportavano e raccoglievano armi, munizioni,
esplosivi, viveri, indumenti, medicinali,
svolgevano funzioni infermieristiche,
preparavano i rifugi e i nascondigli per i
partigiani
anche se
raramente
partecipavano in primo piano nelle azioni
di combattimento. Alcune di loro,
provenienti da famiglie di tradizione
antifascista, furono coinvolte ancor prima
dell’Armistizio di Cassibile dell’8 settembre
1943. L’ingresso delle donne nel
movimento clandestino è fatto risalire ad
un episodio del 1941. A Parma, il 16 ottobre 1941, scoppiò una violenta rivolta
in seguito alla diminuzione giornaliera della razione individuale di pane,
ulteriormente ridotta a 150 grammi, sebbene Mussolini, che aveva visitato la
città pochi giorni prima, avesse promesso di non abbassare le razioni
alimentari: le donne assaltarono un furgone della Barilla che trasportava un
carico di pane. Appena sparsa la notizia, altre donne uscirono dalle fabbriche e
formarono dei cortei spontanei in molte vie della città. Le donne manifestarono
numerosissime e molte di loro furono arrestate. Era soprattutto il
peggioramento delle condizioni di vita a spingerle ad agire per porre fine alla
guerra e alla fame. La protesta fu chiamata “sciopero del pane” e rappresentò
un momento importante nella cronologia di sviluppo del movimento
clandestino di Liberazione: per la prima volta le donne rischiarono il posto di
lavoro e l’incarcerazione, scendendo in piazza.
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“Nel campo eravamo quasi tutte prigioniere politiche, donne
cioè che avevamo un’ideale, (…) una volontà ci aveva unite,
italiane, francesi, belghe, polacche anche, facendoci lottare
contro i tedeschi; è logico che questa unità non venisse meno…”
Bianca Paganini Mori
I deportati politici non erano solo
antifascisti, sindacalisti, operai in
sciopero, ma anche persone prive di
connotazione ideologica ma impegnate
in una contrapposizione di resistenza
civile. Per esempio le donne che
protestavano per la mancanza di cibo o
chi ascoltava radio Londra, chi
rifiutava l’arruolamento per il lavoro
coatto, i sacerdoti, i disertori della
leva, quelli sospettati di aver aiutato gli
ebrei e tutti i detenuti nell’attesa di
giudizio. Quasi tutti i documenti tedeschi riguardanti la deportazione politica
furono distrutti dalla Gestapo di Verona alla fine della guerra, ma si sa che tra
l’autunno del 1943 e la primavera del 1945 l’apparato nazista deportò tutti gli
italiani considerati colpevoli di dissenso e di disobbedienza e quindi nemici
del Reich. Circa trentamila
persone, arrestate o trattenute
per sospetti, furono avviate ai
campi di transito, come quello di
Fossoli o di Bolzano, per essere
poi trasferite nei lager; di queste
solo il 10% è riuscito a
sopravvivere e a ritornare in
Italia. Si calcola che nei venti
mesi dell’occupazione tedesca i
trasporti di politici dall’Italia
verso il Reich siano oltre ottanta.
Dachau fu il principale campo di
destinazione di politici italiani, seguito da Mauthausen, Buchenwald,
Ravensbrück e Flossenburg. La deportazione politica fu una ricorrente del
nazismo, che la esibiva in funzione intimidatoria per scoraggiare ogni forma
di dissenso; fu fatta accettare dall’opinione pubblica come una scelta
necessaria per la sicurezza del regime.
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“Noi non avevamo neanche la più lontana idea di quello che ci
aspettava…”
Bianca Paganini Mori
Il campo di concentramento di Ravensbrück era situato a 90 chilometri a nord
di Berlino, nei pressi di Fürstenberg/Havel. A differenza della maggior parte
dei campi, Ravensbrück era destinato prevalentemente alle donne e bambini.
Ravensbrück aveva trentuno sottocampi utilizzati dai nazisti come riservati
alla manodopera schiavile, disseminati tra il Mar Baltico e la Baviera. Il 25
novembre 1938 su ordine del Reichsführer delle SS Heinrich Himmler, furono
trasferiti 500 prigionieri dal campo di concentramento di Sachsenhausen per
la costruzione di un nuovo campo a Ravensbrück. Il 15 maggio 1939, le prime
900 deportate austriache e tedesche provenienti dal campo di concentramento
femminile di Lichtenburg furono internate a Ravensbrück che da questo
momento, e fino alla definitiva caduta del regime nazista nel maggio 1945,
divenne il lager femminile principale della Germania. Il 29 giugno dello stesso
anno giunsero al campo, provenienti dall'Austria, 440 deportate zingare
insieme ai loro figli: entro il 1945 ne erano transitate un totale di circa 5.000.
Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale e la successiva invasione
tedesca della Polonia, il 23 settembre 1939, le prime deportate polacche
giunsero al campo. Entro il termine del conflitto furono internate a
Ravensbrück provenienti
dalla Polonia e dagli altri
territori occupati dell'est circa
40.000 donne. Il 6 giugno
1941 sorse a Ravensbrück un
campo di concentramento
maschile, separato da quello
femminile, con l'arrivo dei
primi 300 deportati
provenienti da Dachau. Dal
novembre 1941 il medico
eugenista del campo,
Friedrich Mennecke, condusse
diverse "selezioni" per eliminare le deportate fisicamente più debilitate. Il 23
marzo 1942 circa 1.000 internate furono trasferite al campo AuschwitzBirkenau, dove diedero origine al primo nucleo del nuovo campo femminile in
costruzione ad Auschwitz. Tra il 1942 ed il 1943 continuarono i trasferimenti
di deportate ebree in seguito agli ordini pervenuti dall'Ufficio centrale per la
sicurezza del Reich che prevedevano l'internamento di tutti i deportati
d’origine ebraica nel campo di Auschwitz, al fine di rendere la Germania (dove
Ravensbrück si trovava) Judenrein, ovverosia "priva di ebrei". Il 20 luglio 1942,
iniziarono gli esperimenti "medici" sulle internate (principalmente polacche),
effettuati dal medico delle SS Karl Gebhardt. All'inizio del 1944 le autorità del
campo, per eliminare le deportate stremate, iniziarono la costruzione di una
camera a gas funzionante a Zyklon B (acido cianidrico) e di un forno
crematorio: la prima gasazione documentata risale al 22 giugno dello stesso
anno. In totale furono uccise oltre 2.000 persone nella camera a gas di
Ravensbrück. Il 23 aprile 1945, con l'avvicinarsi della fine per il regime
nazista, Heinrich Himmler trattò, sperando di salvarsi, con il conte svedese
Folke Bernadotte la liberazione di circa 7.000 internate che furono trasferite
dalla Croce Rossa svedese al sicuro. Il 27 aprile, le SS ordinarono l'evacuazione
delle restanti deportate (e deportati del campo maschile) che furono costrette
ad una marcia della morte, durante la quale la maggior parte perse la vita. Il
30 aprile 1945 le forze sovietiche liberarono il campo: trovarono 3.000
prigioniere scampate all'evacuazione, e circa 300 prigionieri uomini, per la
maggior parte gravemente ammalati e completamente denutriti. Poche ore
dopo l’unità sovietica in avanzata liberò anche le scampate alla marcia della
morte. Si stima che tra il 1939 e il 1945 il campo di Ravensbrück abbia
ospitato circa 130.000 deportati, dei quali 110.000 donne. I documenti
sopravvissuti alla distruzione da parte delle autorità del campo indicano circa
92.000 vittime.
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Bianca Paganini Mori nasce a La Spezia il 1° febbraio del 1922 da una famiglia
composta di 7 persone (madre, padre e 5 figli). I genitori sono iscritti al partito
popolare e il babbo partecipa anche alle lotte antifasciste. Diventato poi
però padre di famiglia abbandona la lotta armata, ma si rifiuta ugualmente
di aderire al fascismo. Lui ha un’impresa, una banca in società con due
svizzeri che gli è tolta in seguito al 1933, l’anno della grande crisi, dopo
che si rifiuta
ulteriormente di aderire al
partito fascista. A causa
del grave colpo si ammala
e nel 1938 muore. Pure la
mamma tenendo fede ai
suoi principi si rifiuta di
aderire al partito fascista.
Intanto Bianca e i suoi
fratelli studiano, ormai
quasi tutti come studenti
universitari. Appena
scoppiata la guerra, la
famiglia si rifugia a San
Benedetto a causa dei
bombardamenti che
imperversano a La Spezia e dello scompenso cardiaco della madre. È subito
dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 che la famiglia comincia ad operare a
fianco della Resistenza. La mattina del 9 settembre 1943 mentre si alzano
vedono file ininterrotte di carri armati tedeschi diretti verso La Spezia; così
Bianca e Alfredo vanno a vedere. I tedeschi hanno occupato la città e vogliono
portare via militari e prigionieri allora loro ne aiutano il più possibile a
scappare.
ARRESTO
Verso Luglio dopo l’arresto d’Alfredo arrivano nella casa tre repubblichini e
cinque SS che per cinque ore perquisiscono tutto nella ricerca di qualcosa che
possa ricollegarli ai partigiani e alle cinque del mattino portano via tutte.
CARCERAZIONE
Sono portate alle carceri di La Spezia e per una ventina di giorni sono
martellate di domande. L’8 settembre 1944 sono caricate su un camion e
portate alle carceri di Marassi. Il 26 settembre 1944 sono di nuovo caricate su
un pullman e portate nel campo di concentramento a Bolzano. La mattina del 5
o del 6 ottobre sono caricate assieme ad altri detenuti su alcuni carri
bestiame, con i quali si fermano a Dachau per far scendere gli uomini. Poi
ripreso il viaggio fanno un’altra sosta alla stazione di Lipsia e infine dopo
cinque giorni e cinque notti arrivano a Ravensbrück. Sono stabilite nel blocco
17 dove tutte le mattine Bianca e Bice sono prese per vari lavori (come tagliare
la legna nei boschi o spalare la sabbia o ancora tirare i vagoni della Ducauville)
mentre la madre rimane nel campo perché non è in grado di lavorare. Il 2
novembre Bianca e Bice sono trasferite al campo Siemens, mentre la madre
resta da sola nel campo grande dove morirà il 1° gennaio 1945. Lì a Siemens
fabbricano manometri e voltmetri nell’Halle 21. Il lavoro è di dodici ore
quotidiane per sei giorni la settimana, mentre il settimo giorno, la domenica, è
festa, anche se ci si può riposare ben poco perché le SS le affidano lavori
extra. La sorella, Bice soffre di dissenteria ed è ricoverata in gravi condizioni
all’infermeria, ma per fortuna riesce a cavarsela. Con l’avanzata degli alleati
Siemens è chiuso e le prigioniere sono portate a spingere dei carri ferroviari
pieni di patate, poi sono smistate in altri campi e lei e Bice finiscono al
Betrieb, dove lavorano a macchina le divise per i soldati. Il 27 aprile il campo è
evacuato e le prigioniere sono costrette a marciare senza sosta fino al 2
maggio, quando fanno una sosta nel paesino di Lübz.
LIBERAZIONE
Qui riescono a scappare dalle SS e in seguito arrivano fino a Parchim dove
sono curate. In seguito sono trasferite a Lüneburg dove sono sistemate
insieme con altri in un paesino che avevano evacuato in precedenza.
RITORNO A CASA
Da lì il 6 o l’8 settembre sono imbarcate su un treno per il ritorno a casa.
Arrivate a San Benedetto la loro casa è distrutta e per qualche mese si
stabiliscono da una zia a La Spezia. Poi Bianca e Bice decidono di ricominciare
un’altra vita, si fanno prestare dei soldi dalla banca e rimettono a posto la loro
casa così poco per volta riprendono la propria vita.
Il percorso di Bianca Paganini Mori
FFO
TII::
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ON
www.centrostudiluccini.it/attivita/resistenza/pdf/
donne.pdf
www.testimonianzedailager.rai.it/testimoni/pdf/te
st_10dati.pdf
www.memoriedinciampo.it/politici.htm
Le donne di Ravensbrück, Lidia Beccarla Ridolfi e
Anna Maria Buzzone; ed. Einaudi, Torino 1978
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CATUREGLI FRANCESCA; LELLI GIADA
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