sabato 7 maggio ORE 21.00 – ROVERETO, SALA FILARMONICA [SPETTACOLI E CONCERTI] DIMITRI ASHKENAZY E IL QUARTETTO ENDELLION Dimitri Ashkenazy, clarinetto Note di sala QUARTETTO ENDELLION: Andrew Watkinson, Ralph de Souza, violini Garfield Jackson, viola | David Waterman, violoncello Tutti sanno, e chi non lo sa sarebbe comunque pronto a immaginarlo, che Mozart scriveva musica con una velocità incredibile, quasi di getto, senza correzioni e ripensamenti. Vuoi per la sua ricchissima vena creativa, vuoi per bisogno economico, vuoi per una questione di marketing o semplicemente per consuetudine, fatto sta che la stesura di un concerto richiedeva al trentenne Mozart non più di qualche ora, e quella di una sinfonia meno di una settimana. Eppure tra le carte che Mozart lasciò alla sua morte figura una grande quantità di schizzi riferibili a un ristretto gruppo di composizioni, i sei Quartetti “Haydn”, che prendono il nome del loro dedicatario. In effetti la composizione di questi quartetti occupò Mozart dal dicembre 1782 al gennaio 1785, un lasso di tempo enorme rispetto alle abitudini mozartiane. Cosa stava succedendo? Dopo un’infanzia di viaggi in tutta Europa e un’adolescenza passata alla ricerca di un posto fisso e dell’emancipazione dalla tirannia (seppur illuminata) paterna, Mozart aveva finalmente conquistato l’indipendenza sentimentale ed economica: era finalmente un libero professionista di successo, trasferito ed ammogliato nella capitale. I Quartetti “Haydn” sono l’emblema di questo sogno realizzato. Mozart infatti li compone nei ritagli di tempo libero, quando la pressione delle commissioni si allenta. Mozart inizia a pensare la musica come un percorso personale di ricerca, muovendo i primi passi verso una rivoluzione del pensiero che tramite Beethoven sboccerà direttamente nel romanticismo. Per farlo si cimenta con un genere, quello del quartetto, che proprio Haydn aveva strappato dal salotto aristocratico per trasformarlo nella quintessenza della musica assoluta, cioè quella musica sganciata dalla parola che sarebbe diventata, di lì a qualche anno, la più alta forma di espressione artistica. Mozart adotta quindi la forma mentis di Haydn autore dei rivoluzionari Quartetti op. 33 (“Gli Scherzi”) piuttosto che considerare questi come veri e propri modelli compositivi. L’obiettivo della ricerca è lo stesso: costruire una musica che tragga le massime conseguenze da un materiale musicale minimo, impiegando un elaboratissimo contrappunto di ascendenza bachiana per esplorare le possibilità offerte dalla forma musicale più attuale, la forma-sonata. Ovvero, trattare gli strumenti come quattro entità pari e abbandonare la scrittura di “melodie accompagnate”. Tutto ciò è evidente già nell’Allegro del Quartetto KV 464. Questo movimento è infatti monotematico, e lo sviluppo sottopone il materiale di partenza ad un lavoro di intreccio contrappuntistico estremamente complesso, quasi ossessivo. Dopo un Minuetto serioso, lontano dal carattere di Scherzo sperimentato da Haydn, il “cimento compositivo” riemerge nell’Andante. Le cinque variazioni esplorano con rigore le possibilità compositive offerte dal tema, più che quelle emotive. Nell’Allegro ritorna la situazione iniziale: un motivo cromatico di quattro note discendenti è tutto ciò che occorre a Mozart per evocarla. Sembra dunque inevitabile che qualcuno muovesse a Mozart la solita accusa: quella di comporre musica troppo difficile. ‘Solita’ accusa perché era la stessa rivolta a Bach mezzo secolo prima, e sarebbe stata rivolta a Beethoven dopo pochi anni. Nonostante ciò la pubblicazione dei quartetti fu un vero successo editoriale che fruttò a Mozart molto denaro. Haydn, avendoli ascoltati in casa di Mozart, rivelò a Leopold che suo figlio era il miglior compositore che conoscesse. Eppure da quel momento Mozart imboccò la strada del declino, noncurante dei consigli paterni di venire incontro ai gusti del pubblico. Forse Haydn era stato più accorto. Quando compone i Quartetti “Erdödy”, tra il 1795 e il 1797, è il compositore più stampato d’Europa, e sicuramente uno dei più famosi al mondo. Il recente soggiorno londinese, lui che non aveva mai lasciato la corte dei principi Esterházy, lo aveva finalmente fatto apprezzare anche in Austria come il migliore (giacché, si sa, nemo profeta in patria). Rientrato a Vienna, torna a scrivere dei Quartetti. Colui che aveva “inventato” il quartetto così come lo intendiamo, che ne aveva lanciato la moda nella Vienna degli anni Settanta e Ottanta, sembra tornare ora a quella forma speculativa per instaurare una sorta di conversazione postuma con Mozart, l’amico, il fratello massone, il figlio adottivo la cui scomparsa lo addolora. All’ascolto il Quartetto op. 76 n. 1 di Haydn risulta più facile, meno ermetico rispetto a quello mozartiano, cui è imparentato specialmente nei movimenti estremi. Forse perché il compositore, in particolar modo nello Scherzo, mantiene viva quella vena di arguzia, di spirito, che contraddistingue tutta la sua opera (si pensi alle sinfonie), e che nella partitura si trasforma in una miriade di beffe, colpi di scena, tradimenti delle aspettative dell’ascoltatore, inserimenti di elementi popolareschi. Ciò non vuol dire che queste composizioni non siano d’avanguardia: pubblicate nell’ultimo anno del Settecento, profumano già di Romanticismo. Ne è mirabile esempio l’Adagio, che si apre con un motivo che non può non richiamare alla mente il motto della Sonata “degli Addii” di Beethoven, e che crea una meravigliosa parentesi di intimità in tutto questo comporre fitto. E proprio l’intimità diventa sostanziale nel Quintetto op. 115 di Brahms. Anche se questa composizione sembra molto distante dai due quartetti dei maestri classici, il percorso di ricerca che vi soggiace è lo stesso: portare alle estreme conseguenze il contrappunto e la tecnica di variazione in sviluppo degli elementi di partenza per testare i limiti della forma. Neanche a dirlo, pure Brahms un tempo era stato accusato spesso di scrivere musica troppo complicata. Ora il vecchio maestro (siamo nel 1891), che aveva deciso di smettere di comporre, decide di prendere di nuovo in mano la penna per scrivere un Quintetto per archi e clarinetto (strumento di cui si era innamorato all’improvviso) che, insieme a quello di Mozart (KV 581) figura tra le più belle pagine di sempre. La complessità compositiva svanisce tra le pieghe della lirica che impregna l’intera composizione. Il motto che apre l’Allegro, gli articolati gruppi tematici che lo popolano, lo sviluppo che stravolge i caratteri dei temi, fondendoli e sovrapponendoli, trasformandoli da dolci a forti e rassicuranti, da nervosi a caldi e tenebrosi, tutto ci parla senza drammi della fine di una vita, ed ha il colore dell’autunno, come il suono del clarinetto in La. Se eccettuiamo qualche momento dell’Andantino, Brahms non è mai scherzoso, neanche negli improvvisi sbalzi d’umore. Così come il rapsodico Adagio, che vede il clarinetto protagonista indiscusso, è gitano nell’essenza, e perciò riesce ad esserlo senza essere popolaresco. Così come Mozart nel Quartetto K464, anche Brahms si cimenta nel suo Quintetto con la forma della variazione, che era una delle sue specialità. Accade nell’ultimo movimento, Con moto. Saltando da un carattere all’altro, e sempre in bilico tra modo maggiore e minore (come del resto gran parte del quintetto), il compositore ci riconduce fino al motto che apriva la composizione. Questo si dissolve nell’aria senza drammi, regalandoci un briciolo di empatica comprensione, ma lasciandoci comunque, dopo tanta luce, al buio. Gabriele Sfarra