Laboratorio Montessori ISSN 1974-8787 Sabrina Scarpetta Essere e bello 2 Introduzione. La questione filosofica che ruota intorno al concetto di essere è di vastissima portata; essendo la domanda sull’essere una domanda che potremmo definire originaria, radicale, ovvero un quesito fondamentale che l’uomo si pone, è pacifico constatare come essa abbia interessato filosofi e pensatori di tutti i tempi. La fortuna della parola essere è peraltro fortemente connessa con il concetto di verità, verità che viene tematizzata, come d’altronde il discorso sull’essere, già al tempo dei Greci. Per i Greci, la verità è una manifestazione dell’essere. Ma come si perviene alla verità? L’uomo tende alla verità per le vie dell’arte, della religione e della filosofia. In particolare, per quanto riguarda l’arte, essa è stata sempre legata alla dimensione del bello, identificata da Platone nell’idea di bello, rivelativa del vero in maniera straordinaria. Ma la connessione tra arte e bello, e vero ed essere, è fortemente problematica, per via delle questioni circa la legittimità dell’arte e il suo valore conoscitivo. La filosofia esistenzialista, attraverso le riflessioni di Heidegger e Gadamer, si è occupata anche del problema dell’essere e del problema del bello. In questo breve lavoro si vuole mettere in luce l’approccio di questa corrente di pensiero alla questione dell’essere, e al problema del bello, così come viene analizzato da Gadamer nella sua opera maggiore, Verità e metodo1, nonché nei suoi studi sull’attualità del bello2. 1 H.G. Gadamer, Wahrheit und Methode, Mohr, Tubingen 1975, trad. It. Verità e metodo, a cura di G. Vattimo, Bompiani, Milano 1983. 2 H.G. Gadamer, Die aktualitat des Schoten, Reclam, Stuttgart 1977, trad.it. L’attualità del Bello, a cura di R. Dottori, e L. Bottani, Marietti, Genova 1986. 2 3 La metafisica occidentale come oblio dell’essere L’opera Essere e Tempo3 non è solo il lavoro fondamentale di Heidegger: essa è anche il caposaldo da cui si dipartono le riflessioni di Gadamer. Lo scopo dichiarato di Essere e tempo è quello di creare una ontologia capace di determinare in maniera adeguata il senso dell’essere. A tale scopo, occorre analizzare prima chi è colui che si interroga sul senso dell’essere. L’analitica esistenziale si occupa quindi dell’uomo come ente che ha, fra le altre possibilità di essere, quella di cercare il senso dell’essere, e che viene definito Dasein, cioè esserci. L’esserci dell’uomo però non è solo quell’ente che pone la domanda sull’essere, identificandosi così con una mera oggettività, come accade nella filosofia occidentale: l’esserci non è mai solo una semplice-presenza: per Heidegger è proprio quell’ente per cui tutte le cose sono presenti. Il modo di essere dell’esserci è l’esistenza. L’esistenza è sempre ciò che può essere: l’essenza dell’esistenza è data pertanto dalla possibilità, cioè dal poteressere. Dall’analisi delle strutture dell’esistenza, Heidegger ricava che il senso dell’essere non si può ottenere attraverso l’interrogazione di un ente: l’analisi dell’Esserci non rivela il senso dell’essere, bensì il nulla dell’esistenza. Nell’Introduzione alla metafisica Heidegger espone una critica radicale alla metafisica classica: essa, a partire da Aristotele fino ad Hegel, ha cercato il senso dell’essere indagando gli enti. La metafisica ha identificato l’essere con l’oggettività, ma in questo modo essa diventa una fisica assorbita dalle cose, che ha obliato l’essere. Secondo Heidegger, Platone è stato il primo responsabile della degradazione della metafisica. I primi filosofi, come Anassimandro, Parmenide o Eraclito, avevano concepito la verità come un disvelarsi 3 M. Heidegger, Sein und Zeit, 1927, trad. it. Essere e tempo, a cura di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1982. 4 dell’essere, come è evidente dall’etimologia del greco αλεθεια, dove è presente l’α privativa e la radice di λανθανω, che vuol dire nascondere4: la verità per i Greci equivale ad un uscire dal nascondimento, ed anche in tedesco l’etimo della parola verità conserva questo stesso significato (Un-Verbongenheit). Veritas e Wahrheit sono termini che rimandano dunque a ciò che si trattiene. Platone ha invece respinto la verità come non nascondimento dell’essere ed ha capovolto il rapporto tra essere e verità, fondando l’essere sulla verità, nel senso che la verità si trova nel pensiero che giudica e stabilisce rapporti tra le idee, e non nell’essere che invece si svela al pensiero. In questo modo, l’essere si relativizza alla mente umana, anzi al suo linguaggio. Ma il linguaggio dell’uomo può parlare degli enti, non dell’essere. Per questo, la rivelazione dell’essere non può essere l’opera di un ente, seppure privilegiato come l’Esserci, ma può aversi soltanto attraverso l’iniziativa dell’essere stesso. La svolta data dal pensiero di Heidegger è appunto che l’uomo non può svelare il senso dell’essere: ma allora dove avviene lo svelamento dell’essere? L’essere si svela nel linguaggio5, e di conseguenza, il giusto atteggiamento dell’uomo nei confronti dell’essere è quello del silenzio per l’ascolto dell’essere: l’abbandono (Gelassenheit) all’essere è il solo atteggiamento corretto. L’uomo deve rendersi libero per la verità, concepita come svelamento dell’essere, e così libertà e verità si identificano. Quindi sono i pensatori quali Parmenide o Eraclito ad essere testimoni e ascoltatori della voce dell’essere, non certo la metafisica occidentale: l’uomo occidentale si è trasformato, invece, in padrone dell’ente (Die Fuge der Technik). La svolta data da Platone al concetto di verità e con ciò al destino della metafisica spiega il triste primato della tecnica nel mondo moderno: la tecnica è l’esito scontato di quello sviluppo per cui l’uomo, obliando l’Essere, secondo Heidegger, si è lasciato travolger dalle cose, rendendo la realtà un puro oggetto da dominar e da sfruttare, e divenendo così fondo (Bestand). 4 M. Heidegger, Von Wesen des Wahrheit,1943, trad. It. Sull’essenza della verità, a cura di U. Galimberti, La Scuola, Brescia 1973. 5 M. Heidegger, Das Haus des Seins, (La casa dell’essere), trad. It. In Lettera sull’Umanesimo, a cura di A. Bixio e G. Vattimo, Sei, Torino 1975. 4 5 Per Gadamer, il recupero della nozione di linguaggio è fondamentale, tanto da rappresentare il filo conduttore che va dall’ermeneutica all’ontologia ermeneutica, ovvero tanto da essere la determinazione dell’atto ermeneutico. Nelle fasi conclusive della sua opera, Gadamer esamina il concetto di linguaggio in rapporto al λογοσ greco, traendone delle interessanti conseguenze. A sua volta, il concetto greco di λογοσ appare connesso con l’idea di bello, cioè con il καλον, ed è proprio questo rapporto che ora si passerà ad analizzare,seguendo il pensiero del filosofo che si concluderà, in linea con i suoi intenti speculativi, con la riaffermazione del primato universale dell’ermeneutica. Λογοσ e καλον. Il percorso della metafisica occidentale. Una ragionevole speranza circa la possibilità di un farsi reale della ragione dell’uomo, non come esperienza di una semplice evidenza, bensì come esperienza di partecipazione e di appartenenza, può essere offerta alla filosofia dalla riscoperta dell’importante, originario nesso tra λογοσ e καλον.6 Infatti, secondo Gadamer, gli errori e lo sviamento dello scientismo degli ultimi due secoli che stanno quasi portando all’oblio l’essere proprio della metafisica occidentale, possono essere corretti attraverso il recupero dell’essenza più antica del λογοσ metafisico, che era presente nel pensiero greco e di cui Hegel rappresenta la continuità. Mentre il grandioso tentativo della metafisica greca è stato quello di aver cercato la ragione nel cosmo7, e di aver trovato in esso quel νουσ che agisce, ordinando e 6 H.G. Gadamer, La ragione nell’età della scienza, Il Melangolo 1982, pg.17. 7 Aristotele, Methafisica, II: …αστρα τιµιωτατα.... 6 distinguendo, in tutte le formazioni naturali, Hegel ha cercato di riconoscere quella stessa razionalità anche nel campo della storia. Nella nozione hegeliana di un λογοσ presente nella storia c’è un esplicito nesso con la vita dei popoli e delle nazioni, intendendo per popolo una comunità linguistica: dunque è nel linguaggio comunemente condiviso, parlato e parlante nella vita delle umanità storiche che vive il λογοσ. Gadamer individua altresì questo λογοσ non come una struttura della storia, con una logica scientificamente determinabile nel suo sviluppo, bensì come una sorta di ambito di comprensione a cui tutto viene riportato, nella ricerca di una coincidenza sempre più piena di reale e razionale. È il λογοσ nel quale anche il Socrate platonico intende rifugiarsi per sottrarsi alla caoticità confusiva della apparenze, è il δοκει µοι di Socrate, la fuga nei λογοι, e non è quindi una verità evidente all’uomo interiore, ma è l’incontro vissuto e giàsempre costituito dall’esserci (come la pre-comprensione heideggeriana): è un insieme di λογοι condivisi da una comunità e presenti nel linguaggio. La razionalità dell’essere, ipotesi della filosofia greca, non è un tratto distintivo della coscienza dell’uomo, bensì una determinazione dell’essere stesso: ecco perché a Gadamer piace risalire ai Greci. Non solo: inoltre, nell’identificazione del bello con il vero, dogma costante della metafisica e delle estetiche razionalistiche, si può rintracciare l’origine che spiega che cosa sia il λογοσ inteso come tale dai greci fino ad Hegel. Il bello nel senso di καλον si riscontra quando, come si è già visto, il comportamento si conforma consapevolmente a scopi su cui non c’è bisogno di discutere, perché si tratta di scopi comuni e voluti da tutti; quindi tutto ciò che oltre passa la mera utilità e il mero utilizzabile in vista di, acquista una connotazione particolare: è il καλον strettamente connesso con il λογοσ, a sua volta strettamente connesso con la θεορια, essendo rivolto a qualcosa che, sopravvenendo con la sua presenza, si offre a tutti come dono comune. Qui per Gadamer si realizza la vera nascita del concetto di ragione: quanto più si presenta qualcosa che tutti considerano desiderabile, e gli uomini si trovano accomunati da esso, tanto più essi acquistano in senso positivo la libertà, ovvero una vera identità che è comune a tutti. 6 7 Ovviamente, tale riconoscimento di una continuità tra il λογοσ metafisico greco e quello hegeliano, su cui tanto insiste Gadamer, viene qualificato espressamente in senso ermeneutico8. Nel 1812 Hegel esclamava che un popolo senza metafisica è come un tempio privo di santuario, e rispondeva alla antica domanda circa la metafisica del tutto dandole un nuovo fondamento: essa è il linguaggio, inteso come orientamento verso il tutto, esattamente così come nella filosofia greca si verifica l’atteggiamento dialettico di Socrate e la fuga nei λογοι di Platone e Aristotele. Infatti, che cosa è questa loro fuga nei λογοι se non la risposta alla filosofia presocratica? Platone sostiene che i suoi predecessori erano solo dei narratori di favole 9, e che era giunto il momento di andare verso i λογοι. La direzione di Platone sarà quella della metafisica e della dialettica, quella di Aristotele invece, come si è già visto, è tutta calata nella fisica. Il pensiero di Platone si sviluppa a partire dalla domanda sull’origine dell’anima 10 . Nel Fedone, anticipando la risposta che ne dà Aristotele nella Fisica, si legge che la finalità interna dell’anima è il bene11, così come la realtà è fondata sull’idea del bene, e a Gadamer non sfugge di rilevare l’attualità di questa struttura teleologica della filosofia che indica un concetto di totalità in cui natura, uomo e società appartengono 8 H.G. Gadamer, La filosofia di Hegel e l’influsso che ha esercitato fino ad oggi, in La ragione nell’età della scienza, Il Melangolo, Genova 1982. 9 Platone,cfr. Teeteto e Sofista. 10 Gadamer, L’inizio della filosofia occidentale, Guerini e Associati, Milano 1993. 11 Platone, Fedone, 99c. 8 allo stesso sistema, certo di contro alle scienze moderne che invece accumulano solo esperienze senza mai raggiungere la totalità. Il passaggio dall’anima al λογοσ si compie nel Teeteto e nel Sofista: nell’indagine circa il conoscere, Platone scrive che i tre aspetti del conoscere sono la ψυχη, la δοξα e il λογοσ, e su quest’ultimo si sofferma abbondantemente nel Sofista, dove analizza finemente i procedimenti retorici dei sofisti e sviluppa la sua idea di dialettica, rinnovata da Hegel nello spirito oggettivo. Per Gadamer infatti la filosofia che vuole sopravvivere nell’età della scienza è lavoro del concetto (ferme restando le pretese, in parte giustificate, di verità dell’arte), fuga nei λογοι, ovvero collocazione di ogni linguaggio formalizzato delle scienze all’interno del reggente metalinguaggio, cioè il linguaggio della storia vivente, lo spirito hegeliano che include anche lo spirito assoluto: istituzioni, opere, forme simboliche di ogni tipo. Hegel ha dunque sviluppato la logica trascendentale muovendo dal concetto greco di λογοσ, ammettendo così il suo legame con le origini greche di una tradizione filosofica e scientifica che prende le mosse dalla fuga nei λογοι, questo rivolgersi al mondo che può e deve essere compreso in quella modalità che il Socrate platonico ha indicato come altra via: comprendere il mondo così come si comprende la condotta giusta quando si è riconosciuto che qualcosa è buono. Ma l’età della scienza, iniziata dopo il crollo e la dissoluzione della grande sintesi hegeliana, non ha più potuto accogliere quella eredità, e si manifesta così il progressivo estraniarsi reciproco di filosofia e scienza del XX secolo. Gadamer si chiede se con la morte di Hegel, nel 1831, l’epoca della metafisica sia ormai giunta al suo compimento, e vede gli sventurati sviluppi filosofici di questo secolo e la dissoluzione del neokantismo come una conseguenza del distacco della filosofia dalla scienza12. La filosofia dell’esistenza si sviluppa proprio sulla base della rivendicazione della filosofia dei suoi diritti. Essa crea un suo proprio concetto di esistenza mettendone in risalto il carattere razionale. La pretesa fondativa di questa filosofia gravita nella trascendenza di metafisica, religione e arte, ed è mossa dall’inquietudine dell’esistenza provocata dalla vincolante 12 Gadamer, L’ermeneutica come filosofia pratica, in La ragione nell’età della scienza, op. cit. ppg. 69-90. 8 9 esattezza delle scienze da cui essa aveva preso le distanze, e si riduce entro i limiti del privato. La nuova svolta viene data da Husserl e soprattutto da Essere e tempo di Heidegger, che sostituisce alla coscienza trascendentale la temporalità dell’esserci, cioè la sua finitezza e storicità. In altre parole, Heidegger ha forzato il senso ovvio che il pensiero greco aveva dato al concetto di essere dimostrando che il pensiero moderno non aveva mai chiarito il concetto di coscienza che pure era all’origine della filosofia dell’età moderna. Nella sua famosa conferenza Che cosa è la metafisica? Egli sostiene che la metafisica tradizionale non si era posta affatto il problema dell’essere, ma al contrario, essa erigeva l’edificio della metafisica muovendo dal concetto di ente. Il senso della domanda che cosa è la metafisica racchiude in quell’è l’interrogativo su ciò che è realmente metafisica, in opposizione a ciò che vuole essere tale e che come tale si comprende. Tale domanda filosofica si è posta per la prima volta quando i Greci alzarono la testa, liberandosi dalle catene del mito e dai legami della religione e osarono chiedersi perché è, che cos’è, qual è la provenienza di ciò che viene dall’essere? Così posta la domanda, all’inizio del pensiero metafisico, essa acquista per Heidegger una nuova forza provocatoria e si rivela un esempio del nuovo concetto di interpretazione, proprio quello che Gadamer delinea nella sua teoria ermeneutica, e che ne oltrepassa i limiti: il nuovo concetto di ermeneutica, infatti, racchiude un concetto completamente nuovo di comprensione e autocomprensione, come si è già visto. Secondo Gadamer, l’ultima parola dell’ontologia greca è proprio quella della metafisica che si trova nella finitudine dell’ente, di contro alla scienza moderna, che invece ha portato alla morte della metafisica: lo scientismo difatti esclude la partecipazione (Mit-spielen) tra soggetto e oggetto perché vuole dominare quest’ultimo con il metodo e, nel fare ciò, esclude anche il fondamento della partecipazione dell’uomo al bello, bene, giusto, valori. Il modello della conoscenza, il luogo dove si verifica il conoscere non è nell’incontro-dominio tra la soggettività autonoma e l’oggetto dominato, bensì è nel dialogo13. 13 Cfr. M. Heidegger, Die Frage der Technik, op. cit. 10 Su questa linea si trova anche Heidegger quando definisce il Positivismo la forma peggiore di metafisica perché mette da parte l’uomo per la centralità della tecnica. In origine, la metafisica degli antichi greci separava l’essere dall’ente, e affidava l’essere al super-ente, cioè al dio, cercando di soffermarsi quindi sull’essere. Dopo la speculazione medievale, la metafisica affida l’ente al soggetto, cioè all’uomo, che riduce così la totalità dell’ente a sua rappresentazione (Gestalt): è in questo passaggio che pian piano si liquefa l’ontologia e l’uomo approda al nichilismo, poiché l’ente che viene ridotto a pura rappresentazione diventa nulla. Secondo Heidegger, questo è il nichilismo della tecnica, che ha annullato l’essere e il mondo. Con la sua filosofia dell’esserci, Heidegger si sforza di concepire in modo nuovo il problema dell’essere, accentuando la dimensione pratico-morale dell’esistenza, e cercando così di arrestare il destino della tecnica moderna, dove l’essere è uguale al padroneggiamento dell’essere inteso come Gestelt. Riconosciuta dunque l’importanza del nesso λογοσ−καλον e delineato l’itinerario della metafisica occidentale, non resta che soffermarsi ad analizzare più da vicino la metafisica del bello: con questo esempio Gadamer porta a compimento la sua maggior opera sistematica e corona la sua riflessione ermeneutica evidenziandone la portata universale. Metafisica del bello. Data la piega ontologica che ha ormai preso la nostra problematica ermeneutica, incontriamo ora un concetto metafisico…il concetto di bello…Si vedrà 10 11 come questo antico concetto del bello possa servire anche a una ermeneutica universale quale è quella che si è venuta delineando in base alla nostra critica al metodologismo delle scienze dello spirito14. Ovviamente Gadamer intende analizzare il concetto all’origine, cioè quello che i greci intendevano e chiamavano bello: il καλον. Sebbene questo termine non abbia dei corrispondenti perfetti né in tedesco né in italiano (forse una certa mediazione è stata operata dal latino pulchrum), tuttavia il pensiero greco ha esercitato una forte influenza riguardo alla fortuna del significato che si attribuiva alla parola; Gadamer ancor oggi riconosce in molteplici usi del concetto di bello il senso antico della parola καλον. Per esempio, Gadamer ricorda l’espressione linguistica la bella eticità con cui l’idealismo tedesco aveva caratterizzato il mondo dello stato e dell’eticità greca (Schiller ed Hegel): la bella eticità intesa non come eticità piena di bellezza, ma nel senso di una bellezza che si manifesta e vive in tutte le forme della vita comune, che ordina il tutto e fa si che l’uomo, nel suo proprio mondo, incontri continuamente se stesso. Comunemente, si ammette che qualcosa sia bello per il fatto che venga riconosciuto pubblicamente da usi e costumi, oppure si ammette che la determinazione del bello sia il riconoscimento e il consenso dato da tutti. Perciò fa parte del sentimento naturale circa il bello il fatto che non si possa chiedere perché esso piaccia: senza avere di mira alcuno scopo e senza aspettarsi alcun profitto, il bello trova il proprio compimento in una specie di autodeterminazione. Tutto ciò che non appartiene alla sfera della necessità della vita, tutto ciò che non è utile (χρησιµον) in vista di qualcos’altro, bensì riguarda il come del vivere, lo ευ ζην, è καλον. Le cose belle sono quelle preferibili per se stesse (δια αυτο αιρετον), il cui valore rifulge di per sé. Anche l’opposizione più comune al concetto di bello lascia intravvedere il superiore rango ontologico di ciò che è καλον : αισχρον, il brutto, è ciò che non sopporta alcuno sguardo, invece bello è tutto ciò che può lasciarsi vedere: per 14 Gadamer, Verità e metodo, op. cit. parte III, 3, C, pag. 544. 12 esempio, il κοσµοσ, l’ordinamento del cielo, costituisce la vera e propria manifestazione visibile del bello. Il κοσµοσ, subentrato al χαοσ primordiale, indica per i Greci il più alto modello e la più alta rappresentazione visibile dell’ordine che possa esserci: l’ordinamento regolare del cielo, l’avvicendarsi delle stagioni o dei giorni, sono le costanti dell’esperienza dell’ordine nella vita umana. Anche il concetto pitagorico-platonico di misura, ταξισ, è strettamente legato all’idea del bello: Platone stesso definisce il bello mediante i concetti di misura, convenienza e proporzione; Aristotele ne indica gli elementi costitutivi nell’ordine (ταξισ), nella simmetria (συµµετρια) e nella definizione (ωρισµενον15) e li trova realizzati in modo esemplare nella matematica16. Dunque l’ordine matematico del bello e l’ordine del κοσµοσ ribadiscono che esso è il più alto esempio di bellezza nell’ambito del visibile, e misura e simmetria sono la condizione decisiva della bellezza. Nella filosofia platonica si trova un’altra strettissima connessione, quella tra l’idea del bello e l’idea del bene, αγαθον17. Entrambe sono al di sopra di tutto ciò che è condizionato e molteplice: il bello in sé viene incontro all’anima al termine di un cammino che essa ha percorso attraverso il bello molteplice, così come il bene in sé sta al di sopra di tutto il condizionato e il molteplice. La gerarchia degli enti che conduce all’unico bene coincide con la gerarchia del bello. Nel Simposio l’itinerario giunge al bello in sé18, come nella Repubblica giunge al bene in sé19. Inoltre, la loro 15 Aristotele, Poetica, VII, 1450 b 34 – 1451 a 4. 16 Aristotele, Metafisica, M 3, 1078 a 31 – b 2. 17 Platone, già a partire da Gorgia, 475 A, e nell’Ippia Maggiore. 18 Platone, Simposio, 211 C. 12 13 separazione è all’origine di alcune distinzioni che caratterizzano la Modernitat, come per esempio il concetto di ορθωτεσ e di adeguatio. A Gadamer preme però mettere in luce un altro aspetto del fenomeno del bello, sempre attraverso Platone, che gli serve per la sua ricerca sull’ermeneutica. È vero che Platone ha legato l’idea del bello con quella del bene, ma è pur vero che egli ha ben chiare le differenze tra di esse, e anzi una differenza che comporta la peculiare superiorità del bello. Infatti, nel tentativo di cogliere il bene in sé, succede che questo si rifugia nel bello20; allora il bene è inafferrabile, mentre il bello è più suscettibile di essere colto, anche perché fa parte della sua essenza il fatto di essere qualcosa che appare, cioè visibile. Dunque, nella ricerca del bene, ciò che si mostra è il bello. Mentre le immagini esemplari delle virtù umane si lasciano riconoscere solo oscuramente nei fenomeni, e l’uomo si lascia ingannare da semplici apparenze di virtù, invece il bello conquista immediatamente, perché possiede una peculiare chiarezza: solo la bellezza sortì questo privilegio di essere la più percepibile dai sensi e di tutte la più amabile21. Nella ricerca del bene, ciò che si mostra è il bello, e ciò che si mostra in forma perfetta, come è appunto il bello, attira a sé l’amore. In questa funzione anagogica del bello si manifesta un aspetto strutturale ontologico del bello, anzi, è la funzione ontologica più importante che ci sia: quella della mediazione tra idea e fenomeno. 19 Platone, Repubblica, X . 20 Platone Filebo, 64 e 5. 21 Platone,Fedro, 250 d. 14 Poiché il carattere peculiare del bello rispetto al bene è quello per cui esso si presenta da se stesso e si rende evidente nel suo essere, la funzione ontologica è appunto quella di colmare l’abisso che si apre tra reale ed ideale. Proprio questo è il punto cruciale della metafisica platonica. Platone si concentra sulla µεθεξισ, l’idea di partecipazione, e sui rapporti del fenomeno con l’idea, e delle idee tra loro. L’idea del bello partecipa dell’idea del bene e viceversa, come illustra finemente nel Fedro, e questo serve per rendere chiara la παρουσια dell’ειδοσ che Platone ha in mente, cercando così di superare le difficoltà logiche di una partecipazione del divenire all’essere. Lo iato, il χωρισµοσ, tra mondo sensibile e mondo ideale viene saldato qui: non solo il bello si manifesta in ciò che esiste visibilmente, ma proprio in virtù di tale fatto si stacca dal resto come una unità. Il bello cioè è veramente ciò che di per sé è più manifesto (το εκφανεστατον). Il confine netto fra ciò che è bello e ciò che non partecipa dell’idea di bello è avvertibile ancora meglio sul piano fenomenologico: le opere ben fatte, infatti, sono tali che ad esse non si può aggiungere né togliere nulla22. Ancora, la caratteristica del bello, per cui esso attira immediatamente su di sé il desiderio dell’anima umana, è fondata nel suo essere stesso: in quanto strutturato secondo misura, l’ente fa apparire entro di sé una totalità in sé misurata ed armonica. Questa luminosità dell’apparire che si disvela appartiene all’essenza del bello, e Platone la definisce αλεθεια, verità nel senso etimologico di disvelamento23. La bellezza non è solo simmetria, ma l’apparire stesso di essa, che ha la natura del risplendere. La bellezza ha il modo di essere della luce. 22 Aristotele Eth. Nic. B 5, 1106 b c. 23 Platone, Filebo, 51 d. 14 15 La luce articola le cose belle in forme, che sono belle e buone; la luce però non si articola solo nel visibile, ma anche nel dominio intelligibile: è luce dello spirito, il νουσ. La metafisica della luce con i suoi risvolti successivi (la dottrina cristiana del verbum creans, le interpretazioni di Agostino, il pensiero patristico e scolastico ecc.), è di grande aiuto a Gadamer nell’indicare le conseguenze che la metafisica del bello ha per la problematica ermeneutica: infatti il compito è ora quello di mettere in luce lo sfondo ontologico dell’esperienza ermeneutica nel mondo. In base alla metafisica del bello Gadamer chiarisce due punti che risultano dal rapporto tra lo splendore del bello e l’evidenza dell’intelligibile24. Il primo è che il manifestarsi del bello, proprio come il modo di essere della comprensione, ha carattere di evento; il secondo è che l’immediatezza riconosciuta come caratteristica dell’esperienza del bello è la stessa immediatezza di cui partecipa anche l’esperienza ermeneutica come esperienza di un senso trasmesso e come esperienza dell’evidenza della verità. Quanto alla prima considerazione, Gadamer vuole puntualizzare alcune analogie tra la speculazione sul bello e sulla luce e l’esperienza ermeneutica. Per esempio, il fatto che il bello è evidente si ricollega alla tradizione retorica del verisimile, o dell’εικοσ, ovvero a concetti che rivendicano la propria legittimità di contro alla verità e alla certezza di ciò che è dimostrato (ovviamente si riferisce alle scienze moderne). Il bello infatti avvince senza con questo inserirsi e coordinarsi subito con la totalità dei nostri orientamenti e valutazioni: il bello è un tipo di esperienza che si distacca dal complesso dell’esperienza umana, imponendo all’uomo il problema di una integrazione ermeneutica. L’esperienza ermeneutica si colloca in questo ambito perché anch’essa è l’accadere di una esperienza autentica: il fatto che in un discorso qualcosa si imponga come evidente senza essere accertato si verifica proprio nel caso in cui qualcosa di trasmesso dal passato parla all’uomo. L’accadere del bello, proprio come l’evento ermeneutico presuppone la finitezza dell’esistenza umana. Ma c’è di più: Gadamer si chiede se uno spirito infinito possa 24 Gadamer, Verità e metodo, op. cit. pg. 552. 16 mai sperimentare il bello come lo sperimenta l’uomo: il presentarsi del bello sembra essere un’esperienza riservata alla finitezza dell’uomo. Quanto alla seconda considerazione, Gadamer aggiunge che, oltre a rilevare il carattere di evento del bello e la struttura eventuale di ogni comprendere, ci sono altre importanti conseguenze. Come il bello si è rivelato essere il modello di una struttura ontologica universale, lo stesso accade per il concetto di verità che adesso si ricollega. La verità che viene tematizzata al tempo dei greci è una manifestazione dell’essere nel senso di svelamento. L’etimo della parola greca è molto chiaro: αληθεια, da α − privativo e la radice di λανθανω, io sono nascosto. Quindi la verità in greco è un uscire dal nascondimento, da se stessi, così come in tedesco il termine Un-verbongenheit rimanda a ciò che si trattiene. L’αληθεια implica la stessa esperienza di verità dell’ermeneutica: tutta la dignità dell’esperienza ermeneutica risiede nel fatto che la comprensione non si realizza in un virtuosismo tecnico o nell’utilizzo di un metodo capace di comprendere qualsiasi scritto. È invece nell’incontro con ciò che viene dal passato e che dice qualcosa che si realizza l’autentica esperienza di verità. Tale incontro si compie nell’attuarsi dell’interpretazione nel linguaggio: il fenomeno del linguaggio infatti si presenta come universale modello dell’essere e della conoscenza, e permette di determinare più precisamente, alla fine di questa ricerca, il senso della verità che è in gioco nel comprendere. La comprensione non è una operazione di penetrazione in uno scritto o in uno stato d’animo, ma è l’oggetto che acquista la sua piena determinatezza di senso in rapporto ai caratteri contingenti della situazione. Ma questo determinarsi in base alla situazione e al contesto, che fa del discorso una vera totalità di senso, non è qualcosa che appartenga al parlante ma alla cosa espresso. Quando si comprende un testo, il significato di esso si impone esattamente come avvince il bello: esso si fa valere e si impone già prima che l’uomo, dice Gadamer, se ne possa accorgere; nel comprendere, l’uomo è incluso entro un accadere di verità e in un certo senso arriva troppo tardi se vuole sapere ciò che deve o non deve credere. Le conclusioni di Gadamer che interessano in relazione a questo lavoro di tesi, ma che trovano collocazione proprio nelle pagine conclusive della sua opera maggiore, Verità e metodo, ribadiscono che la sicurezza fornita dall’impiego di metodi scientifici non basta a garantire la verità. 16 17 Per le scienze dello spirito, questo vuol dire non diminuirne la scientificità, ma legittimare la pretesa di un particolare ambito che le caratterizzi: la verità che esse raggiungono viene realizzata attraverso la disciplina del domandare e del ricercare. E, come nell’ultimo esempio di cui si è servito Gadamer, il bello è il modello di una struttura ontologica universale, così è anche per il concetto di verità, il quale, compiendosi nell’attuarsi dell’interpretazione del linguaggio (che è un modello universale dell’essere e della conoscenza), e determinandosi a sua volta in base alla situazione e al contesto, viene veramente garantito dalla disciplina a cui Gadamer ha riconosciuto un aspetto universale: l’ermeneutica. BIBLIOGRAFIA M. Heidegger, Sein und Zeit, 1927; trad. it. Essere e tempo, a cura di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1982. M. Heidegger, Von Wesen des Wahrheit, 1943; trad. it. Sull’essenza della verità, a cura di U. Galimberti, La Scuola, Brescia 1973. M. Heidegger, Das Haus des Seins, trad. it. La casa dell’essere, in Lettera sull’umanesimo, a cura di A. Bixio e G. Vattimo, SEI, Torino 1975. M. Heidegger, Holzwege, Klostermann, Frankfurt M. 1950; trad. it. Sentieri interrotti, a cura di P. 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