Il cinico non è adatto a questo mestiere Conversazioni sul buon giornalismo Ryszard Kapuscinski Alcuni brani .........Il secondo elemento della nostra professione è il costante approfondimento delle nostre conoscenze. Vi sono professioni per le quali normalmente si va all'università, si ottiene il diploma e lì finisce lo studio. Per il resto della vita si deve semplicemente amministrare ciò che si è imparato. Nel giornalismo, invece, l'aggiornamento e lo studio costanti sono la conditio sine qua non. Il nostro lavoro consiste nell'indagare e nel descrivere il mondo contemporaneo, che è in continuo, profondo, dinamico e rivoluzionario cambiamento. Da un giorno all'altro noi dobbiamo seguire tutto questo ed essere in grado di prevedere il futuro. Perciò bisogna costantemente studiare e imparare. Ho molti amici di grande qualità insieme ai quali ho cominciato a fare il giornalista e che dopo pochi anni sono spariti nel nulla. Essi credevano molto nei loro talenti naturali, ma queste capacità nella nostra professione si esauriscono molto presto; così sono rimasti senza risorse e hanno smesso di lavorare. C'è una terza qualità importante per la nostra professione, ed è non considerarla come un semplice mezzo per arricchirsi. Per questo ci sono professioni che consentono di guadagnare molto meglio e più velocemente. All'inizio il giornalismo non dà molti profitti. Infatti quasi tutti i giornalisti alle prime armi sono gente povera, e per vari anni non godono di una situazione finanziaria molto florida. Si tratta di una professione dalla precisa struttura feudale: si sale di livello solo con l'età e ci vuole tempo. Si incontrano molti giovani giornalisti pieni di frustrazioni, perché lavorano tanto ad un salario molto basso, poi perdono il lavoro e magari non riescono a trovarne un altro. Tutto questo fa parte della nostra professione. Perciò, siate pazienti e lavorate. I nostri lettori, ascoltatori, telespettatori sono persone molto giuste, che riconoscono in fretta la qualità del nostro lavoro e altrettanto velocemente cominciano ad associarla al nostro nome; sanno che da quel nome riceveranno un buon prodotto. Questo è il momento in cui si diventa giornalisti stabili. Non sarà il nostro direttore a deciderlo, ma i lettori. Per arrivare fin qui occorrono, però, le qualità di cui ho parlato all'inizio: sacrificio e studio continuo. La domanda di Maria riguardava il peso che l'esperienza personale ha su ciò che si sta scrivendo. Dipende. Nella nostra professione si possono fare cose molto diverse. Con l'età ci si specializza in una particolare carriera. In generale i giornalisti si dividono in due grandi categorie. La categoria dei servi della gleba e la categoria dei direttori. Questi ultimi sono i nostri padroni, coloro che dettano le regole, sono dei re, decidono. Io non sono mai stato direttore, ma so che oggi non occorre essere un giornalista per essere a capo dei media. Infatti, la maggioranza dei direttori e dei presidenti delle grandi testate e dei grandi network non sono affatto giornalisti. Sono dei grandi manager. La situazione ha cominciato a cambiare quando il mondo ha capito, non molto tempo fa, che l'informazione è un grande business........ ..............RK: Le fonti sono diverse. In pratica sono di tre tipi: la principale sono gli altri, la gente. La seconda sono i documenti, i libri, gli articoli sul tema. La terza fonte è il mondo che ci circonda, in cui siamo immersi. Colori, temperature, atmosfere, clima, tutto ciò che è chiamato imponderabilia, che è difficile da definire e che pure è una parte sostanziale della scrittura. Il problema principale, oggi, è che le prime due fonti stanno crescendo incessantemente. Da qualunque parte si vada, ci sono sempre più persone. La selezione delle persone che vogliamo come "materiale" per i nostri reportage è una questione di scelta fatta grazie all'intuito e alla fortuna. E su questo è impossibile dare definizioni o fornire ricette. Una delle cose fondamentali da capire è che nella maggior parte dei casi la gente su cui scriveremo, la incontriamo per un brevissimo periodo della loro e della nostra vita. Talvolta vediamo qualcuno per cinque o dieci minuti, stiamo andando in altri luoghi e quella persona non la incontreremo mai più. Quindi il segreto di tutto sta nella quantità di cose che queste persone sono capaci di dirci in un tempo così breve. Il problema è che le persone, al primo contatto, sono di solito molto silenziose, non hanno voglia di parlare. È un'esperienza che appartiene a tutti: bisogna avere il tempo di adattarsi all'altro. Ma quei pochi minuti a volte sono gli unici che avete per parlare con una persona! Per un giornalista, se quei minuti passano in silenzio o danno vita a una comunicazione insoddisfacente, l'incontro è un fallimento. Il successo dipende allora da situazioni che sono completamente al di fuori del nostro controllo, quasi degli "incidenti". Un altro grande problema di questa professione, almeno sul piano del giornalismo internazionale, è quello della lingua. È un problema costante dell'umanità. Anche qui, oggi, tra di noi, esiste il problema della lingua. Se io parlassi nella mia lingua materna, il polacco, mi esprimerei in un modo assai più interessante. Ma parlando in inglese, la lingua di un altro popolo, non sono in grado di andare troppo per il sottile e una serie di sfumature vanno perdute. E Maria sta, oltretutto, traducendo da una lingua che a sua volta non è la sua. Quello della lingua è uno dei problemi crescenti nel mondo. Una delle caratteristiche del mondo contemporaneo è la crescita dei nazionalismi e delle lingue legate ad essi. Ogni nazione e ogni regione all'interno delle singole nazioni insiste sempre più a voler parlare la propria lingua e non quella degli "altri". Ciò si riflette anche sulla comunicazione interpersonale. Se qualcuno vuole parlare con me e deve farlo nella mia lingua, non riesce a esprimersi appieno. Vi faccio un esempio: recentemente è stato pubblicato un libro sulla storia degli Stati Uniti. L'autore, quando ha cercato i documenti relativi agli accordi scritti e firmati dai colonizzatori europei che erano in fase di espansione e dai capi delle tribù indigene, gli indiani d'America, ha scoperto improvvisamente che tutti questi trattati - in qualsiasi anno, luogo o situazione fossero stati adottati - erano scritti in una lingua estranea a una delle due controparti. E in più gli indiani che li firmarono erano analfabeti: oltre a non parlare quella lingua non sapevano neppure leggere né scrivere. Si è scoperto così che tutti questi trattati, proprio a causa del problema della lingua, sono in gran parte dei falsi. E quindi la storia degli Stati Uniti d'America si fonda su un'errata comprensione della lingua. Il problema della lingua non è solo internazionale, ma anche nazionale. Basti pensare alle differenze linguistiche esistenti in un paese come il vostro, dove la lingua nazionale convive con i dialetti, le lingue delle cosiddette minoranze e le lingue dei gruppi di recente immigrazione. Il problema della comunicazione, dunque, è tremendo, specialmente per i giornalisti, perché l'uso di un linguaggio preciso è una questione molto delicata per la nostra scrittura. Ricapitolando: c'è un primo problema psicologico, che consiste nel dover parlare con persone mai incontrate prima di allora e nel cercare di ricavarne il più possibile in incontri di solito brevissimi. Il secondo problema è quello linguistico: spesso non riusciamo nemmeno a comunicare con l'altro, perché non conosciamo la sua lingua né abbiamo traduttori a disposizione. E così magari costruiamo la storia solo su una percezione visiva. Vi faccio un esempio riportato anche in un mio libro, Le Shah, scritto nel periodo della rivoluzione khomeinista. Tale rivoluzione si esprimeva sotto forma di grandissime manifestazioni di strada. Quando ero a Teheran, vent'anni fa, le lingue europee erano vietate; la lingua locale era il farsi e io non lo parlavo. Le fonti ufficiali non avevano nessun interesse a far sapere alla stampa estera che cosa succedeva davvero nel paese. Le notizie relative a manifestazioni di piazza, assembramenti, eccetera, venivano regolarmente censurate. E, non conoscendo la lingua del posto, era davvero un problema trovare fonti alternative di informazione. Be', mi ci è voluto un po' di tempo, poi mi sono accorto che lavorando su certi indizi, su certi microsegnali in apparenza insignificanti, non era difficile prevedere quello che si stava preparando. Avevo notato che una piccola bottega di una via popolare di un certo quartiere, uno di quei negozietti che espongono le proprie mercanzie fin sulla strada, in determinati giorni non esponeva la propria merce o non apriva addirittura. Non mi ci è voluto molto a capire che potevo servirmi di questo segnale come di un dispaccio d'agenzia più che attendibile. A seconda dei movimenti di piazza, di cui era ovviamente al corrente, il proprietario della bottega sceglieva la sua linea di condotta, mandando così a dire a chiunque voleva capire l'antifona cosa aspettarsi, a che ora e in quale parte della città. Ci sono molti casi come questo, ma era solo per dire che nel nostro mestiere spesso bisogna fare grande attenzione non tanto alle cose che ci vengono dette dalla radio, dalla televisione o nelle conferenze stampa, ma a ciò che è semplicemente attorno a noi e che rientra, appunto, nelle imponderabilia....... ........Quanto alla seconda parte della sua domanda, la nostra professione non può essere esercitata al meglio da nessuno che sia cinico. Occorre distinguere: una cosa è essere scettici, realisti, prudenti. Questo è assolutamente necessario, altrimenti non si potrebbe fare giornalismo. Tutt'altra cosa è essere cinici, un atteggiamento incompatibile con la professione del giornalista. Il cinismo è un atteggiamento inumano, che allontana automaticamente dal nostro mestiere, almeno se lo si concepisce in modo serio. Naturalmente qui parliamo solo di grande giornalismo, che è l'unico di cui valga la pena occuparsi, non certo di quel cattivo modo di interpretarlo che vediamo di frequente. Nella mia vita ho incontrato centinaia di grandi, meravigliosi giornalisti, di diversi paesi e in epoche differenti. Nessuno di loro era un cinico. Al contrario, erano persone molto legate a ciò che stavano facendo, molto serie, in generale persone molto umane. Come sapete, ogni anno più di cento giornalisti vengono uccisi e varie centinaia vengono messe in prigione oppure torturate. In varie parti del mondo si tratta di una professione molto pericolosa. Chi decide di fare questo lavoro ed è disposto a pagarne il prezzo sulla propria pelle, con rischio e sofferenza, non può essere cinico...............