«Istruire non basta, servono maestri veri» DAL NOSTRO INVIATO A

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«Istruire non basta, servono maestri veri»
DAL NOSTRO INVIATO A PISA
PAOLO VIANA
A lla scuola italiana servono meno professori e più maestri perché, per quanto necessaria, l’istruzione non basta a
educare. Di fronte al ministro Beppe Fioroni, ieri pomeriggio, guidata da suor Marcella Farina, teologa dell’Auxilium di
Roma, l’assise pisana ha detto chiaramente di credere in un nuovo modello scolastico. Per usare le parole di Giorgio
Chiosso, storico della pedagogia dell’Università di Torino «per creare un circuito virtuoso tra bene comune e educazione
servono strategie educative dirette alla formazione del carattere, come insegnano non solo i pedagogisti, ma anche sociologi, politologi ed economisti. E per sviluppare la dimensione del carattere servono regole e divieti, ma il giovane deve
anche essere provocato da chi è in grado di avanzare una proposta credibile e suscitare nel cuore del giovane una
risposta».
Malgrado i segnali scoraggianti che provengono dalla cronaca scolastica, non siamo all’anno zero: «La riscoperta della
dimensione del maestro – ha precisato Chiosso – è già in corso. Per i giovani italiani, come dimostrano le ricerche più
recenti, la famiglia resta il punto di riferimento primario e a scuola risultano efficaci quei docenti che sanno creare una
dimensione interpersonale con i ra- gazzi». Ricetta antica, come ha ricordato Michele Colasanto, sociologo delle relazioni
dell’Università Cattolica. Ricetta in voga già ai tempi di san Bernardo di Clairvaux («i nostri maestri ci hanno insegnato
non ad apprendere sempre e mai ad arrivare alla conoscenza della verità, ma mi hanno insegnato a vivere », come ha
ricordato Colasanto) ma tuttora praticabile, se è vero che la riforma dell’istruzione in Gran Bretagna, solo qualche anno
fa, ha scatenato un intenso dibattito proprio sui limiti di un sistema educativo fondato esclusivamente sulle
«competenze». Per Chiosso, questo sbilanciamento è frutto della «diffusa mentalità funzionalistica, secondo la quale
andare a scuola serve solo se l’apprendimento è immediatamente utile. Questa concezione utilitaristica del sapere si
congiunge a modelli di vita individualistici che costituiscono oramai una metastasi sociale» ha commentato, incontrandosi
con l’analisi di Luisa Ribolzi, sociologa dell’educazione dell’Università di Genova che ha misurato il contributo della
scuola privata alla riconciliazione tra istruzione ed educazione, chiedendo esplicitamente allo Stato di valorizzare questa
presenza: «Negli Usa le scuole cattoliche – ha spiegato – sono quelle che funzionano meglio con studenti afroamericani
non cattolici. Non solo la scuola confessionale non fonda steccati ideologici, ma al contrario offre elementi di crescita».
Per imporsi, tuttavia, questi elementi devono essere veicolati da «modelli di adulto imitabili » che possono essere
forgiati solo dalla scuola e dalla società insieme e alla collaborazione tra le diverse agenzie educative ha fatto appello
anche il ministro dell’istruzione Beppe Fioroni. Chiedendo di non fare della scuola italiana «il capro espiatorio» dell’emergenza e tradendo un certo fastidio per quei «quindici anni di dibattito sulla scuola che o educa o istruisce: educare
istruendo è l’unica formula» ha affermato. Al mondo cattolico che si preoccupa per il debito educativo e difende la parità
scolastica, Fioroni ha promesso un’istruzione più seria. «Dobbiamo ritornare a una scuola che non confonda le
competenze fondamentali con quelle marginali, smettere di fare progetti su tutto e tornare alla didattica in classe» ha
detto, annunciando un’iniezione di educazione alle regole dalla violenza in classe al debito scolastico, perché «se non
siamo in grado di premiare e punire non possiamo parlare di legalità, né sostenere che nel paese c’è qualcosa di vero».
Al contempo, però, Fioroni ha chiesto di non «sovraccaricare» la scuola di compiti educativi, ha puntato l’indice contro la
tivù e anche contro la famiglia, che «è titolare del problema educativo» e non può limitare la sua richiesta di
corresponsabilità solo alla «condivisione del curriculum o dell’offerta formativa» ma dev’essere pronta a farsi carico degli
errori dei figli, ad esempio quando vandalizzano una scuola. «Concorrere tutti a remare dalla stessa parte» è stata
l’esortazione finale, con il retrogusto di una chiamata di correo.
Suor Marcella Farina
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