Hegel
Hegel riprende la doppia accezione del termine “dialettica” sia come
metodo della filosofia, sia come suo contenuto: l’idea è che la realtà
stessa sia un sistema razionale di opposizioni, laddove è
l’opposizione stessa a garantire l’unità degli opposti.
Hegel e il movimento “idealista” di cui fa parte sostengono l’idea per
cui proprio il confrontarsi con le contraddizioni sia l’unico modo per
giungere all’Assoluto (noumeno kantiano),a ciò che consente di
superare il sistema di opposizioni della modernità mostrandone
l’intima unità.
La critica kantiana alla metafisica viene assunta dall’autore come
punto di partenza per l’articolazione di una nuova metafisica
dialettica, capace di perseguire l’obiettivo di cogliere i principi primi
della realtà - l’essenza - e su tale base, di fondare razionalmente
ogni sapere umano
“La dialettica viene usualmente considerata come un’arte estrinseca
che arbitrariamente porta confusione in concetti determinati e
produce una semplice apparenza di contraddizioni in essi, in modo
che non queste determinazioni, ma quest’apparenza sarebbero un
nulla e l’intellettivo invece sarebbe il vero” (G. W. F. Hegel,
Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio). Qui viene
descritta l’accezione “kantiana” di “dialettica” come logica
dell’apparenza: l’insorgere di contraddizioni segnala all’intelletto
che sta seguendo una strada sbagliata. La verità non sta nel
seguire le contraddizioni della ragione, ma nella chiara
determinazione intellettuale dei concetti.
Hegel contrappone a questa visione una una idea di dialettica come
metodo e al contempo contenuto della ragione: metodo per
conoscere l’Assoluto e struttura stessa dell’Assoluto come
unità razionale degli opposti.
“L’elemento logico quanto alla forma ha tre lati: a) il lato astratto o
intellettivo; b) il lato dialettico o negativamente razionale; c) il lato
speculativo o positivamente razionale […] il pensiero come intelletto
si ferma alla determinatezza fissa e alla sua diversità da altre
determinatezze […] Il momento dialettico è il superarsi di tali
determinazioni finite e il loro passare nelle determinazioni loro
opposte […] l’elemento speculativo o positivamente razionale coglie
l’unità delle determinazioni nella loro contraddizione, l’elemento
affermativo che è contenuto nella loro risoluzione e nel loro passare
in altro”.
Hegel sta dunque parlando della dialettica in quanto metodo ma, in
prospettiva “dialettica” designa allo stesso tempo la struttura stessa
della realtà. Il “momento dialettico”, ovvero la “negazione” di questo
sistema astratto, mostra come ogni determinazione “passi”
necessariamente nel suo contrario: in altri termini il pensiero porta
ogni tesi fino alle sue estreme conseguenze, ovvero finché non si
giudica necessario sostenere la tesi opposta.
“La causalità naturale presuppone la libertà” e l’antitesi “c’è solo causalità naturale, la
libertà non esiste” sono entrambe egualmente dimostrabili benché contraddittorie tra
di loro.
Nel momento in cui le si analizza singolarmente, ognuna delle tesi rivela problemi e
contraddizioni che conducono ad adottare l’altra, e così via. E’ per questo che,
sostiene Hegel, “Il momento dialettico, preso dall’intelletto come per sé separato,
costituisce […] lo scetticismo.” Il momento dialettico sembra cioè condurci a
sostenere che nulla può essere conosciuto, dal momento che ogni tesi implica
problemi e contraddizioni. Il terzo momento, speculativo o positivamente razionale,
interviene a questo punto: nel passare da una tesi al suo contrario il pensiero scopre
“l’unità delle determinazioni nella loro contraddizione”: le determinazioni, in altre
parole, non esistono isolatamente l’una dall’altra, ma ognuna presuppone l’altra e la
sua opposizione all’altra.
Non a caso il “momento speculativo” (“superamento”): ciò che si supera è
l’astrattezza delle opposizioni (il supporre che gli opposti esistano
indipendentemente dalla relazioni di opposizione) mentre si conserva l’identità
specifica degli opposti.
Dal punto di vista metafisico Hegel ritiene che l’incondizionato sia un processo
dialettico, un processo che si rivela a se stesso nella storia umana o, come direbbe
Hegel, nello “Spirito”. Con questo termine si intende l’insieme delle attività umane
sia a livello individuale (lo Spirito soggettivo) che politico-sociale (lo Spirito
oggettivo) sia nelle forme della cultura (lo Spirito assoluto: arte, religione, filosofia).
L’idea è quindi che l’Assoluto non è qualcosa cui si possa pervenire
come pensatori isolati rispetto alle concrete attività umane: le stesse
attività umane sono cioè momenti dialettici dell’Assoluto. Ed è in
particolare con la filosofia (vertice dello Spirito assoluto) che
l’Assoluto rivela sé a se stesso come Spirito, ovvero come soggetto
capace di pensare se stesso.
Dal punto di vista oggettivo (dal p.d.v. della filosofia come scienza)
il contenuto della filosofia risulta costituito dal seguente movimento
dialettico:
Logica (scienza del pensiero considerato come determinazione
astratta)
Filosofia della natura (la scienza della natura vista come negazione,
contrapposizione rispetto al pensiero)
Spirito (scienze dell’uomo e delle attività umane, ovvero l’Assoluto
che pensa se stesso nell’unità di pensiero e natura).
Premessa del sistema è la Fenomenologia dello spirito: lo svolgersi
del movimento dialettico è visto dal punto di vista del manifestarsi
(fenomenologia) dello spirito al soggetto. L’individuo “nasce” come
semplice coscienza dell’oggetto, si nega come autocoscienza
(coscienza di sé come un io identico a se stesso) e giunge infine al
momento speculativo, la “ragione”: l’individuo scopre l’unità di
pensiero e natura, di mente e mondo, solo all’interno della
società e della storia.
La caratteristica specifica della dialettica hegeliana è che, sebbene
dal punto di vista cronologico la determinazione astratta sia
precedente alla negazione e quest’ultima alla Aufhebung razionale,
quest’ultima è invece logicamente precedente: logica e natura
sono opposti solo all’interno dell’unità dello spirito e
famiglia e società civile sono opposti solo all’interno dello Stato, che
ne costituisce l’unitaria condizione di possibilità.
La dialettica servo-padrone
La dialettica servo-padrone costituisce la sezione iniziale del momento
dell’autocoscienza della Fenomenologia dello spirito: l’autocoscienza è il
soggetto in quanto consapevole di sé e della propria identità in quanto
distinta dall’identità dell’oggetto.
L’autocoscienza ai suoi primi stadi è essenzialmente desiderio
dell’oggetto: l’autocoscienza desidera qualcosa e, appagando il proprio
desiderio, possiede l’oggetto, lo consuma, lo nega (si pensi al cibarsi) e
passa poi a desiderare altro. In questo modo essa afferma
inconsapevolmente, mediante le proprie capacità negatrici, la propria
identità astratta (che è tale perché, appunto, inconsapevole). Solo un
oggetto sembra sottrarsi alla potenza negatrice dell’autocoscienza, ovvero
un’altra autocoscienza: quest’ultima infatti è oggetto solo dal punto di vista
dell’autocoscienza desiderante, ma è in se stessa soggetto di desiderio tanto
quanto la prima autocoscienza.
Il secondo momento dialettico – la negazione della determinazione astratta
dell’autocoscienza – è allora la lotta per il riconoscimento: le due
autocoscienze cercano, cioè, tramite la lotta, di affermare la
propria identità e indipendenza contro quella dell’altra
autocoscienza, negando con ciò l’astrattezza originaria,
l’inconsapevolezza di quell’identità.
Il terzo momento è il termine della lotta, che avviene nel momento in cui
una delle due autocoscienze mette a rischio la propria vita mentre l’altra
sceglie di conservarla: la prima, vittoriosa, asservisce la seconda.
Il riconoscimento dell’identità dell’autocoscienza ha dunque luogo
all’interno di una relazione sociale, quella, appunto, di servo e padrone.
Il servo, da parte sua, in quanto tale riconosce l’identità e indipendenza del
padrone ma, per converso, proprio perché quest’ultimo ottiene il
riconoscimento deve a sua volta riconoscere nel servo non un mero oggetto
di desiderio, ma un soggetto di riconoscimento.
Il padrone, in altri termini, non solo ottiene riconoscimento, ma deve a sua
volta riconoscere nel servo un’altra autocoscienza capace di riconoscere:
solo nel terzo momento (Aufhebung) si ha dunque una identità
consapevole, per conseguire la quale si è dovuto passare attraverso il
rapporto conflittuale con l’altro. Ciò significa che non è possibile un
soggetto assolutamente isolato dall’altro, dal momento che l’identità del
soggetto autocosciente richiede la relazione con l’altro in quanto potenziale
negatore di quella identità
Famiglia, società civile e Stato: la
dialettica dello Spirito oggettivo.
La dialettica dello Spitito oggettivo inizia dalla contraddizione tra
l’individuo in quanto soggetto morale (il soggetto kantiano) e in
quanto soggetto giuridico (vincolato nelle proprie azioni dal diritto,
emanato da uno Stato che egli sente come fondamentalmente
estraneo).
La dialettica dello Spirito oggettivo ricompone tale contraddizione
mostrando come lo Stato non sia una entità estranea alla
formazione dell’individuo e della sua identità e come lo Stato stesso
renda possibile la libertà individuale incarnandola concretamente
nelle istituzioni.
La dialettica inizia con la determinazione astratta della “famiglia”,
entro la quale il soggetto sperimenta contemporaneamente la
pluralità delle relazioni sociali (genitori-figli) e delle funzioni sociali
(gestione del patrimonio ed educazione dei figli), ma anche l’unità.
La famiglia, infatti, si rapporta con l’esterno (il resto della società)
come una unità, ed essere membro di una famiglia significa
appartenere, appunto, ad una unità.
La negazione di tale unità è costituita dalla società civile: infatti
fuori dalla famiglia ogni soggetto scopre la frammentazione, la
competizione individualistica tra attori economici volti ad affermare
i propri interessi e a soddisfare i propri bisogni.
In un tale sistema ( “sistema dei bisogni”) la competizione, per
quanto libera, è pur sempre mediata da diversi fattori: a) la cultura,
trasmessa dalla famiglia e dal sistema dell’istruzione, che concorre a
plasmare l’individuo e le sue azioni; b) l’appartenenza a una classe
sociale (quella degli agricoltori, degli industriali e commercianti,
quella dei funzionari di Stato), che costituisce una forma di
appartenenza non fondata su legami di sangue (diversamente dalla
famiglia) ma su interessi comuni di ordine sociale e/o economico; c)
l’amministrazione della giustizia, che regola mediante il diritto i
conflitti sociali tra gli attori economici, vincolandone così la libertà
d’azione.
Lo Stato costituisce il terzo momento di questo movimento dialettico, in cui
la libertà individuale viene realizzata come fondata sul libero volere
razionale dello Stato.
Lo Stato è soggetto in quanto è dotato di una volontà razionale, che esso
autodetermina mediante la propria capacità legislativa universale (il potere
legislativo); mette in atto attraverso decisioni particolari (il potere
esecutivo); ed esprime la propria unità di azione e decisione nella persona
del monarca, che simboleggia l’unità dello Stato (modello UK).
È lo Stato che fonda e rende possibili la libertà e unità della famiglia e la
libera competizione della società civile mediante il diritto: il matrimonio,
patto fondativo della famiglia, è un istituto giuridico, come lo sono i patti e i
contratti che regolano le transazioni economiche nella società civile. Senza
di essi cadrebbe il fondamento stesso dell’individualità moderna, ossia la
libera autodeterminazione dell’agire, che non avviene mai nell’astratta
situazione dello stato di natura, ma sempre nei binari già tracciati dal
diritto e dalle istituzioni statali.
Non esiste, dunque, qualcosa come il contratto sociale, semplicemente
perché la libera volontà razionale dei soggetti richiede di essere fondata
dalla libera autodeterminazione dello Stato mediante gli istituti giuridici, e
non viceversa.
Ma siccome ogni Stato è in sé soggetto razionale dotato di libero volere, non potrà
esservi un diritto internazionale che aggiudichi eventuali dispute tra Stati.
Da questo p.d.v. ogni Stato è in sé un individuo autonomo e autoconsapevole che
rifiuta di sottomettersi ad autorità esterne.
Le controversie tra stati, dunque, come la controversia tra autocoscienze (dialettica
servo-padrone) può essere risolta soltanto con la lotta: è del tutto legittimo per H. un
uso della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali,
nonché (come avviene per le autocoscienze) come mezzo di formazione
dell’autocoscienza statale nei suoi rapporti con l’esterno.
Unico giudice delle lotte tra stati diventa, allora, la “storia del mondo”: il vincitore
della contesa sarà il popolo che rappresenta maggiormente lo “spirito del tempo”.
In ogni epoca infatti, secondo Hegel, esistono i “popoli dominanti” che rappresentano
in massimo grado lo “spirito del tempo”, ovvero il grado di sviluppo
dell’autocoscienza cui è giunto lo Spirito.
Se la Francia napoleonica rappresenta lo “Spirito del tempo” per aver rivelato lo
Spirito come libertà nell’azione politica, spetta invece al pensiero filosofico tedesco da
Kant in poi aver tentato di pensare lo Spirito come libertà, rivelandolo così a se
stesso nella più alta forma del pensiero concettuale.