LEZIONE N. 7
RISERVATEZZA E PRIVACY
Il diritto alla riservatezza è un diritto nuovo, non espressamente contemplato nella costituzione.
In realtà, ci sono comunque riferimenti ad esso negli artt. 13, 14 e 15, e il diritto in questione può
considerarsi ricompresso nei diritti di cui all’art. 2 cost.
Il diritto alla riservatezza si può intendere in un duplice modo: a) diritto del singolo al controllo
delle informazioni che lo riguardano; b) diritto di autoescludersi dalle altre persone e da ogni sorta
di informazione.
Dunque, da un lato, secondo la tipica accezione statunitense, il diritto alla privacy deve intendersi
come il right to be alone, diritto di essere lasciati soli: in questo senso, negli USA si parla di diritto
alla privacy già dalla fine del 1800. ognuno ha dunque diritto di difendere la propria sfera di
intimità.
Dall’altro, secondo la tipica accezione europea, il diritto alla riservatezza deve intendersi come
diritto alla protezione dei dati personali: in questo senso, si comincia a parlare di diritto alla
riservatezza in Italia solo nel 1996, con la legge n. 675 che recepisce una direttiva comunitaria in
materia.
Certo è che con le nuove tecnologie il problema della riservatezza come tutela dei dati è oggi molto
sentito, dal momento che i nostri dati circolano ovunque.
Analizziamo quindi come nasce il diritto alla riservatezza nel nostro ordinamento.
Negli anni 50 nascono i primi casi relativi alle persone pubbliche (in cui si finisce comunque con il
negare l’esistenza di tale diritto).
Caso Caruso: dopo la morte del celebre tenore venne girato un film, criticato però dalla famiglia,
perché nell’opera si metteva molto in evidenza la povertà del tenore. In un primo momento il
Tribunale di Roma riconosce l’esistenza del diritto alla riservatezza con riferimento all’abuso
dell’immagine altrui. Al corte d’appello di Roma confermò questa pronuncia, mentre la Corte di
Cassazione si espresse contro l’esistenza di tale diritto, considerando che chi non ha saputo
nascondere i fatti della propria vita non può poi pretendere che il segreto sia mantenuto da altri.
Caso del libro “Il grande amore”- Mussolini-Petacci. Si riteneva che questo libro di memorie
ledesse la dignità e la riservatezza di Claretta Setacci. La corte di appello di Milano ritenne violato
il diritto alla riservatezza come facoltà giuridica di escludere ogni invadenza sulla propria sfera di
intimità. Questo orientamento della corte di appello di Milano trova conferma nell’art. 8 della
convenzione europea dei diritti dell’uomo recepita in Italia nel 1955, in cui si dichiara che ogni
persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua
corrispondenza.
Caso della imperatrice di Persia Soraya: il marito le aveva concesso una rendita purchè conducesse
una vita illibata. Venne invece ritratta da un giornale in situazioni non corrispondenti a questa
previsione. Venne fatta causa al giornale, e la corte di cassazione ammise per la prima volta
l’esistenza del diritto alla riservatezza, che consiste nella tutela di quelle situazioni e vicende
personali e familiari che non hanno per i terzi un valore socialmente apprezzabile contro le
ingerenze, che sia pure compiute con mezzi leciti non sono giustificate da interessi pertinenti. Si
pongono dunque con questa pronuncia anche dei limiti al diritto di cronaca, e si ammette che anche
le persone note possano tutelare il loro diritto alla riservatezza.
Per arrivare però ad una disciplina del diritto alla riservatezza in Italia bisogna aspettare la legge n.
675 del 1996, che recepisce la direttiva Ce n. 95/46, sul trattamento dei dati personali e la libera
circolazione degli stessi. In questo senso, si dice che la normativa UE sia sul punto la più severa al
mondo.
La legge n. 675 introduce dunque nel nostro ordinamento il principio per cui la riservatezza delle
persone fisiche e giuridiche è un diritto assoluto e inviolabile, meritevole di tutela con l’imposizione
di sanzioni civili, penali e amministrative. Con questa disciplina si permette al cittadino di sapere
quali sono le informazioni che lo riguardano, in quali banche dati sono contenute, si richiede
necessariamente il consenso per la circolazione delle informazioni.
La legge n. 675 è oggi stata sostituita dal testo unico d.lgs. n. 196 del 203.
I punti salienti sono:
la notifica al Garante della privacy delle banche e degli archivi dei dati
l’informativa sul trattamento dei dati che deve essere data dagli utilizzatori al titolare dei dati
il consenso dell’interessato al trattamento dei dati che lo riguardano.
Il testo unico n. 196, in più rispetto alla legge n. 675, prevede anche una serie di disposizioni
specifiche relative a: sanità, lavoro, pubblica amministrazione; disposizioni sulle liste elettorali;
trattamento dei dati in ambito giudiziario; codici deontologici per internet, la videosorveglianza, il
direct marketing, eccetera.
Analisi del codice.
Suddivisione del codice: a) disposizioni generali b) parte sui settori speciali c) tutela contro l’uso
indebito dei dati.
Contenuti del codice.
Art. 1- chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano.
Art. 2- individua le finalità della protezione normativa
Art. 4- contiene le definizioni, in primo luogo quello che è l’oggetto del trattamento da parte dei
titolari di banche dati, ovvero il dato personale (normalmente nome e cognome, attraverso cui una
informazione viene legata ad un certo soggetto); il dato sensibile (ovvero quel dato che è idoneo a
rivelare determinate caratteristiche intime e personali dell’individuo, di tipo religioso, politico o
altro). Per i dati sensibili vigono norme più restrittive: si prevede per esempio la necessità del
consenso scritto al trattamento ai sensi dell’art. 23 comma 4, e la necessaria autorizzazione del
Garante della privacy per il trattamento ai sensi dell’art. 26. ci sono poi regole specifiche per le
attività sanitarie (titolo V, parte II); per le pubbliche amministrazioni (titolo IV, parte III).
Dopo aver individuato l’oggetto, cioè i dati, il codice individua le operazioni che si possono
realizzare in relazione ad essi.
L’art. 4, comma 1, lett. A individua il concetto di trattamento: è una definizione molto estesa, che
rischia di ricomprendere qualsiasi attività in cui vengano comunque in considerazione dati personali
(si pensi ad una agendina personale con numeri di telefono di amici, contatti di lavoro, ecc): il
legislatore esclude espressamente dalla portata della legge il trattamento di dati personali effettuati
da persone fisiche, per uso personale. Con il passare del tempo si sono esclusi dalla applicazione di
questa disciplina anche i professionisti che usano per esempio questi dati (giornalisti, avvocati,
ecc.).
Nel trattamento dunque si ricomprendono: la comunicazione (art. 4 comma 1 lett. L) e la diffusione
(art. 4, comma 1, lett. M). Il meccanismo del trattamento si regge sul principio della notificazione al
Garante della volontà di procedere al trattamento, effettuata dai titolari delle banche dati, cui fa
seguito l’autorizzazione del garante. In realtà oggi, ai sensi degli artt. da 37 a 41 del codice, si
hanno molti casi di autorizzazioni generali, che valgono cioè per tutte le ipotesi di trattamento di
quella determinata tipologia di dati.
E’ necessario poi, come si è detto, il consenso dell’interessato al trattamento dei dati che lo
riguardano. Ai sensi dell’art. 23 del codice, solo con il consenso il trattamento può essere effettuato
da privati e da enti. Il consenso deve essere prestato liberamente, per iscritto, sulla base delle
informazioni ricevute. Si attua dunque il principio dell’opt in system, per cui è necessario il
consenso preventivo per il trattamento dei dati (in America vige invece il principio dell’opt in
system, per cui il consenso al trattamento si ritiene implicito a meno di espressa opposizione
dell’interessato).
La soluzione adottata dal nostro legislatore è dunque ovviamente più garantista. Lo stesso
legislatore ha previsto comunque anche casi in cui, ovviamente, si deve eludere l’obbligo del
consenso, per esempio quando il trattamento dei dati sia necessario per adempiere ad un obbligo
previsto dalla legge o da un contratto, o quando riguarda dati contenuti in pubblici registri, o atti
conoscibili da chiunque, o quando è in gioco la vita dell’interessato che è impossibilitato a prestare
il consenso (art. 24 del codice).
Altre deroghe all’obbligo del consenso sono previste dall’art. 137 comma 2 del codice per quanto
riguarda il trattamento effettuato nell’esercizio della attività giornalistica e per il perseguimento
delle proprie finalità. A questa deroga si accompagnano però obblighi di deontologia. Ai sensi
del’art. 139 del codice è infatti necessario un codice deontologico dei giornalisti sul trattamento dei
dati personali. L’all. A del codice riproduce questo codice deontologico. Ai sensi dell’art. 1, il
trattamento dei dati per un giornalista si differenzia dalla stessa attività esercitata da altri soggetti
perché è condizione per l’esercizio della professione e per l’esercizio del diritto-dovere di cronaca.
Dunque il giornalista, resa nota la sua identità, non deve avere il consenso per il trattamento dei dati
personali, e può continuare a detenere i dati per il tempo necessario all’esercizio della sua
professione. Queste deroghe si giustificano altresì con l’osservanza del principio di essenzialità
dell’informazione, ai sensi degli artt. 6, 7 e 11 del codice.
Dopo aver individuato oggetto e operazioni, bisogna considerare i soggetti che intervengono nel
trattamento dei dati.
Titolare, è colui cui competono le decisioni sulle modalità di trattamento dei dati, compreso il
profilo della sicurezza
Responsabile, è il soggetto preposto dal titolare al trattamento dei dati
Interessato, è il soggetto cui si riferiscono i dati
Incaricato, è la persona fisica autorizzata a compiere operazioni di trattamento dal titolare o dal
responsabile
Garante, è una autorità amministrativa indipendente che opera in piena autonomia e indipendenza,
composta di 4 elementi, eletti due dalla camera e due dal senato, più il presidente. Le funzioni del
garante e le sue finalità sono chiaramente indicate negli artt. 152 e 153 del codice.
Gli attuali problemi, più rilevanti in materia di riservatezza sono:
a) rapporto tra diritto alla riservatezza e diritto alla trasparenza (accesso agli atti
amministrativi): sul punto bisogna dire che mentre in un primo momento si riteneva che il
diritto alla riservatezza dovesse comunque prevalere, e dunque si negavano per esempio
richieste di accesso quando c’erano problemi di riservatezza, dopo la legge n. 675 e dopo il
codice le cose sono cambiate. Si prevede infatti che il legislatore debba bilanciare questi
interessi contrapposti, e che comunque il diritto alla trasparenza debba prevalere quando si
debbano far valere propri diritti in giudizio.
b) mutevolezza del concetto di riservatezza: si tratta di un diritto legato alle diverse
contingenze dei diversi momenti storici. A seconda dei cambiamenti della società potrebbe
cambiare anche la percezione di questo diritto. Si pensi al problema del terrorismo, che
limita la privacy in quanto necessariamente si debbono avere più controlli. Per esempio
negli Usa il diritto alla privacy è in questo senso un diritto come gli altri, che deve essere
bilanciato e comparato rispetto a tutti gli altri (salute, sicurezza, ecc.).
Anche nel nostro ordinamento è dunque importante evitare che per tutelare la privacy si debbano
violare altri diritti altrettanto importanti o metterli in pericolo.
Si tratta comunque di una materia oggetto di profonda evoluzione.