Page 1 COMITATO EUROPEO DIREZIONE GENERALE EDUCACIONE E CULTURA ISBN 960-88505-0-9 Gli Akriti d’ Europa 3:10 AM La commedia dell’arte nella sua dimensione europea 12/27/04 ACRINET exo biblio IT.qxp Esponente Responsabile del Programma - PRISMA - Centro di Studi per lo Sviluppo Responsabile della coordinazione scientifica - Accademia di Atene, Centro di Ricerca del Folclore Greco Soci del programma - Ministero della cultura, Direzione della Cultura Popolare - Università dell' Europa - Università I della Sorbona, Panteon - Consiglio Superiore delle Ricerche Scientifiche di Spagna, Istituto di Filologia, Dipartimento di Studi Bizantini e Neoellenici - Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia - Università di San Clemente di Ocrida a Sofia, Dipartimento di Filologia Slava, di Etnologia e di Letteratura Bizantina. La commedia dell’arte nella sua dimensione europea Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia In copertina: Giandomenico Tiepolo, Pulcinella innamorato, 1797. Ca’ Rezzonico (Venezia). Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:55 PM Page 1 La commedia dell’ arte nella sua dimensione europea Giornata di studio Venerdì 14 novembre 2003 Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:55 PM Page 2 P La presente pubblicazione con il titolo generale Akriti d'Europa è stata realizzata nell'ambito del programma interstatale ACRINET con il finanziamento da parte del Comitato Europeo entro il più largo programma CULTURE 2000. L'edizione è costituita complessivamente da 6 volumi, che contengono gli atti di nove incontri scientifici e congressi attuati nei paesi partecipanti e rappresentano gran parte del lavoro prodotto dal gruppo scientifico di ACRINET A Volume I: A Volume II: A Volume III: A Volume IV: A Volume V: A Volume VI: Akriti d'Europa (Atene 2002 & 2004, Ioannina 2004, Karpathos 2004, Thessaloniki 2004) Les Mythes et les legendes que partagent les peuples de l'Europe (Parigi 2003) Ressons èpics en les literatures i el folklore hispànic (Barcellona 2003) La commedia dell'arte nella sua dimensione europea (Venezia 2003) Krali Marko, l'eroe-custode dei confini (Sofia 2004) Heroes of the Frontiers in European Literature, History and Ethnography: the contribution of ACRINET: Il presente volume contiene gli atti dell'incontro scientifico organizzato dall'Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia tenutosi a Venezia il 14 novembre 2003. A Cura generale dell' edizione: Hélène Ahrweiler A Cura del presente volume: Eirini Papadaki A Coordinazione dell'edizione: PRISMA - Centro di Studi per lo Sviluppo Edito dall'Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia, 2004 ISBN: 960-88505-0-9 Copyright: ACRINET Progetto, cura artistica e stampa del volume: ABILITY Integrated Communication, e-mail: [email protected] A2 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:55 PM Page 3 CONTENTS page 5 ...................... LA RETE EUROPEA PER LA TRADIZIONE AKRITICA "ACRINET" Fuli Papagheorghiu 7 ...................... PREMESSA Prof. Chryssa Maltezou Direttore dell'Istituto Ellenico 9 ...................... "STRATHIOTTI PALICARI": VENEZIA, LA DIFFESA DEL DOMINIO E LA TRADIZIONE MILITARE BIZANTINA Ennio Concina 21 ...................... INTRODUZIONE 27 ...................... LA 41 ...................... GREEK 51 ...................... "SON 87 ...................... COMICI 95 ...................... IL DEL GREGHESCO NEL TEATRO VENEZIANO E IL SUO TRAMONTO Manlio Cortelazzo COMMEDIA DELLE LINGUE SULLA SCENA VENEZIANA DEL SECONDO CINQUECENTO Piermario Vescovo THEATRE PRACTICE AND COMMEDIA DELL’ ARTE: A LATE RE-DISCOVERY Platon Mavromoustakos D’ ILLIRICA PATRIA, PATRIA FAMOSA AL MONDO": SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA Anna Scannapieco E BUFFONI TRA ITALIA E BAVIERA NEL XVI SECOLO Daniele Vianello MITO DELLA COMMEDIA DELL’ ARTE IN RUSSIA DEL PRIMO NOVECENTO Raissa Raskina 103 ................... TRACES OF THE COMMEDIA DELL’ ARTE IN MODERN GREEK THEATRE (XVIII-XIX CENTURIES) Walter Puchner 3A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P A4 11:55 PM Page 4 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:55 PM Page 5 LA RETE EUROPEA PER LA TRADIZIONE AKRITICA "ACRINET" L a Rete Europea per la tradizione Akritica ACRINET, su iniziativa della quale si attua la presente edizione, si è assunta il compito dello studio esauriente e scientifico della tradizione akritica, come pure del simbolismo del fenomeno dell'akrita, dell"estremità", del "confine", dell'"alterità", dell' "identità", della "differenziazione" tanto in epoche più antiche, quanto nella società europea contemporanea. L'attività della Rete è stata finanziata dal Comitato Europeo. ACRINET cerca di evidenziare i valori della coesistenza pacifica di molteplici etnie e culture in campo europeo, entro l'attualità dei riferimenti dei canti e dei testi akritici. In questa direzione si muove la ricerca della diacronicità, della trasformazione e della sopravvivenza della tradizione akritica europea. Ricercatori degli organismi che partecipano alla Rete applicano una metodologia storica, filologica ed etnografica. Localizzano, studiano, analizzano e archiviano testi e documentazioni scritte della tradizione akritica. Parallelamente esaminano e trascrivono elementi della tradizione akritica sopravvissuti fino ad oggi in manifestazioni popolari, spontanee e di gruppo. ACRINET si occupa di una espressione dell'eredità culturale europea, che mette in risalto quali valori la collaborazione, il reciproco rispetto e la mutua comprensione tra differenti religioni, lingue, culture. Nel mezzo di critiche evoluzioni internazionali, la tradizione akritica dà lezioni di convivenza pacifica e di coesistenza, come si sono impresse nella sua forma orale e scritta. Analizzando in tal modo il passato, ACRINET cerca di rintracciare e consolidare i dati comuni di un'identità europea, indispensabile nell'ambito di un raggiungimento europeo. Questo scopo hanno assolto gli organismi collaboranti con un intenso e vario programma dell'attività, dando al vasto pubblico la possibilità di conoscere la tradizione akritika con tangibili ed evidenti risultati. La presente edizione degli atti degli incontri scientifici e dei congressi realizzati dalla Rete Europea per la tradizione akritica costituisce uno dei suoi più importanti successi. Sono stati organizzati complessivamente dieci incontri scientifici e due congressi, tutti con distinta partecipazione. Originali lavori scientifici su vari temi della tradizione akritica europea sono stati presentati e discussi in nove di queste riunioni, con la partecipazione di studiosi della maggior parte dei paesi europei. Gli atti di questi incontri sono inclusi in sei volumi, cinque dei quali corrispondono ai relativi paesi promotori (Grecia, Italia, Spagna, Francia, Bulgaria) e un volume comprende i risultati generali della ricerca e i 5A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:55 PM Page 6 P riassunti di tutte le comunicazioni, come "fascicolo di riferimento". Parallelamente agli incontri scientifici si è inoltre organizzato un numero rilevante di manifestazioni culturali, con la presenza di balli e canti ispirati alla tradizione popolare akritica, di rappresentazioni folcloristiche e di frammenti provenienti dalla tradizione erudita con epicentro gli akriti-eroi. Sulla base della ricerca scientifica e della collezione di materiale originale ed erudito, che documenta la comune tradizione akritica dell'Europa, è stata anche organizzata una mostra itinerante sul tema "Gli Akriti d'Europa", presentata in Grecia, Francia e Spagna, mentre esposizioni su tema particolare dedicate a tradizioni ed eroi nazionali hanno avuto luogo in Italia e Bulgaria. L'esposizione greca, costituita da 64 panelli e da un importante numero di oggetti, dopo il giro in quattro città, è finita a Paleochora in Creta, dove è stato fondato un Museo della Tradizione Akritica Europea, sotto l'egida del Ministero della Cultura e dell'Accademia di Atene. Gli esponenti, che con la loro collaborazione hanno contribuito mediante instancabile lavoro, la loro specializzazione scientifica ed il loro entusiasmo, alla materializzazione delle attività della Rete Europea per la tradizione Akritica, provengono da cinque paesi europei e sono: Esponente Responsabile del Programma - PRISMA - Centro di Studi per lo Sviluppo Responsabile della coordinazione scientifica - Accademia di Atene, Centro di Ricerca del Folclore Greco Soci del programma - Ministero della Cultura, Direzione della Cultura Popolare - Università dell' Europa - Università I della Sorbona, Panteon - Consiglio Superiore delle Ricerche Scientifiche di Spagna, Istituto di Filologia, Dipartimento di Studi Bizantini e Neoellenici - Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia - Università di San Clemente di Ocrida a Sofia, Dipartimento di Filologia Slava, di Etnologia e di Letteratura Bizantina. Desideriamo esprimere i nostri ringraziamenti alla Direzione Generale “Educazione e Cultura” del Comitato Europeo, che ha contribuito al finanziamento delle attività di ACRINET nell'ambito del più largo programma CULTURE 2000 e ha così concorso in modo decisivo alla realizzazione dell'importante lavoro, presentato nella presente edizione. Fuli Papagheorghiu Responsabile dell'Amministrazione Interstatale e della Coordinazione del Programma ACRINET Direttrice Generale del Centro di Studi per lo Sviluppo PRISMA A6 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:55 PM Page 7 PREMESSA N el novembre del 2003 l'Istituto Ellenico organizzò a Venezia un'incontro scientifico dedicato a la commedia dell'arte, questa forma di rappresentazione teatrale, unica al mondo, che è nata e si è sviluppata in Italia nel corso del Cinquecento e che ha avuto come origini le feste carnevalesche e le sacre rappresentazioni. Inizialmente la commedia dell'arte o “commedia improvvisa” fu soprattutto un fatto popolare ma in seguito si perfezionò e si diffuse in tutta l'Europa. Nell'ambito del convegno si è parlato specificamente della commedia dell'arte nella sua dimensione europea, non solo perché nei vari personaggi presenti nella commedia erano compresi anche stradioti, ma soprattutto perché tra le lingue che usavano i protagonisti c'era il cosiddetto dialetto venetogreco, noto come greghesco (Manoli Blessi di Antonio Molino e La Spagnolas di Andrea Calmo). Questo interessante idioma linguistico, che fiorì a Venezia nel XVI secolo e passò nella “commedia dialettale”, si basava su parole ed espressioni della vita quotidiana in bocca ai greci, che vivevano e lavoravano a Venezia. La presenza di parole e frasi greche nei testi veneziani rivela, a parte la commistione di greci e veneziani, la profonda influenza interculturale tra le due comunità nazionali. Nell'incontro scientifico di Venezia parteciparono dieci studiosi (Ennio Concina, Manlio Cortelazzo, Piermario Vescovo, Maria Ida Biggi, Platon Mavromoustakos, Anna Scannapieco, Daniele Vianello, Raissa Raskina, Walter Puchner, Spyros Evanghelatos), i quali esaminarono tanto l'influenza della commedia dell'arte sul teatro greco, dalmata, bavarese e russo, quanto anche il fenomeno dell'introduzione del greghesco nel teatro veneziano. Prof. Chryssa Maltezou Direttore dell'Istituto Ellenico 7A Biblio 17x24 IT.qxp A8 3/22/05 11:55 PM Page 8 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:55 PM Page 9 “STRATHIOTI PALICARI”: VENEZIA, LA DIFESA DEL DOMINIO E LA TRADIZIONE MILITARE BIZANTINA Ennio Concina N ella complessa, articolata serie di rapporti che si intrecciano tra Venezia e il mondo greco in età rinascimentale appare in primo piano il ruolo militare svolto dagli stradioti, sul quale sarebbe superfluo insistere.1 È importante rilevare, anzitutto, come si tratti di un ruolo consapevole ed esplicitamente rivendicato, com' è ben noto, fino dalle prime richieste, contrastate dal patriarca veneziano Antonio Contarini, di fondare una scuola e una chiesa intitolate al nome del confalonier nostro santo Georgio, abbandonando San Biagio, inadeguata come sito di identità (luogo a un tempo [di] diverse gente, lengue, voci et offizi greci e latini, [sì che] si fa una confusion che passa quella di Babilonia). Richieste fondate principalmente sul riconoscimento del notevole contributo militare già dato sia nel corso delle guerre d'Italia, sia durante il durissimo conflitto con Beyazid II conclusosi con gli accordi del 1503; presentate da chi rammenta di essersi esposto a continua morte ma ha reputà cosa gloriosa sparzer el sangue ad amplificazion dello stado nostro.2 In effetti, nella difesa come nell'espansione del Dominium fino dal secondo Quattrocento Venezia aveva integrato - assai più di altre potenze - fra i propri 'strumenti' e le proprie arti della guerra il combattere 'alla maniera greca', potremmo dire, (la definizione di homeni d’arme, como se dixela stratioti [sic] a l’usanza griega risale già al 1451) che, intorno a un nucleo propriamente greco e albanese cristiano aggregava il militar alla stratiotta (1496) o al costume di stratioti di gente di varie etnie balcaniche (anche dalmati e croati), fino al 1 Per la documentazione di base rimandiamo principalmente a C. N. Sathas, Documents inédits relatifs à l'Histoire de la Grèce au Moyen Age, Parigi 1988; F. Babinger, “Albanische Stradioten in Dienste Venedigs in augehenden Mittelalter”, Studia Albanica 1 (1964), 95-105; quanto al quadro dell'organizzazione militare veneziana in età rinascimentale principalmente a M. E. Mallet, L'organizzazione militare di Venezia nel '400, Roma 1989 e J. R. Hale, L'organizzazione militare di Venezia nel '500, Roma 1990. 2 Le citazioni da Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia (in seguito B.M.V.), Cod. Marc. Ital. VII 526 (coll. 8196): Raccolta di quanto è occorso in ordine alla chiesa di San Giorgio de' Greci erreta in questa città da motivi di sua errezione sino al presente, cioè dal 1470 sin 1720. 9A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:55 PM Page 10 ENNIO CONCINA temporaneo impiego di italiani alla stradiotta (1497)3 e a casi particolari di appartenenti alla vecchia nobiltà coloniale veneta in Levante come i do da Cha Zorzi di Negroponte fuziti da' Turchi, zentilhomeni nostri per il sangue, valenti di spada e di lancia, imprigionati con la presa della città e ritornati a Venezia con Giovanni Valaresso, dopo essere stati schiavi e soldati a Damasco. Risultano documentari persino alcuni casi di turchi arruolati come stradioti: il Sanudo, che vi accena già nelle Vite, ne ricorda ancora un esempio nel 1508.4 Sullo scorcio del Quattrocento, il flusso di uomini d'arme dal Levante verso Venezia si accelera, documenta Girolamo Priuli: li stratiotti in grande quantità capitavanno a Vinegia senza eser chiamati et questo perchè avevano intexo quelli che fo ala guera de Italia et francexe esser doventati richi (1498).5 Dalle parole del diarista patrizio traspare forse un certo fastidio, non nuovo del resto, negli ambienti cittadini, di fronte a varie ondate immigratorie. Ma è evidente come contemporaneamente la loro presenza in città e nel territorio del Dogado vada stabilizzandosi, organizzata intorno a specifici siti di riferimento, sì da ‘appartenere’ precocemente allo spazio urbano e immediatamente circumurbano. Già fra tardo Quattrocento e primissimo Cinquecento, infatti, questi tengono le loro mostre - riviste, rassegne periodiche - al Lido, dove arrivano almeno dal 1484, e a Mestre (nello stato da terra a Manerba, San Bonifacio di Verona e Sacile). E naturalmente hanno stabilito legami diretti con la chiesa di San Biagio, nei pressi dell'arsenale in uso anche alla comunità greca per decreto del Consiglio dei Dieci del 1498. Assai prima del ben noto cerimoniale di esequie per Teodoro Paleologo (1532) - e un anno prima della richiesta ai Dieci per l'istituzione formale della Scuola di San Nicolò della nazion Greca - Venezia può assistere a rituali pubblici analoghi, come quello per Zorzi Malacassa di Nauplia: portato a sepelir a la grecha a San Biasio, accompagnato dal suo cavalo e da la lanza et capelo fino a la sepultura, dove, a la grecha, li fo facto pianto et honorato assai (4 maggio 1497).6 Ma anche nella 'scena' urbana, nel quadro cioè di ritualità pubblica e di autocelebrazione simbolico-allegorica che la Venezia del Quattrocento rielabora, esalta e codifica,7 l'ingresso degli stradioti appare contemporaneo. Di particolare Locuzioni frequentemente ricorrenti in M. Sanudo, I Diarii, Venezia 1878-1902, passim. Quanto alla citazione datata 1451: Archivio di Stato, Venezia ( in seguito IA.S.V., Senato Mar, reg. 4, cc.77v-78v. 4 Marchesino e Nicolò̀ Zorzi, figli di Giacomo da Negroponte, fratello di Antonio il Cavaliere, signore di Caristo: Sanudo, I Diarii, op. cit., vol. 1, coll. 379, 1087, 1109; vol. 7, coll. 184, 269, 701. M.Sanudo, le vite dei dogi (1474-1494), Padova 2001-2, p. 420; vol. 2. 5 G. Priuli, I Diarii, a cura di A. Segre, vol. 1, Città di Castello 1913, p. 95. 6 Sanudo, I Diarii, op. cit., vol. 1, col. 497. 7 Si vedano principalmente: E. Muir, Il rituale civico a Venezia nel Rinascimento, Roma 1984; Lina Urban, Processioni e feste dogali, Vicenza 1998. 3 A 10 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:55 PM Page 11 “STRATHIOTI PALICARI”: VENEZIA, LA DIFESA DEL DOMINIO E LA TRADIZIONE MILITARE BIZANTINA importanza, da questo punto di vista, risultano le informazioni pervenuteci per la festa della S e n s a, il fastoso cerimoniale solenne della desponsatio m a r i s, del 1497. Nei pressi del monastero di San Nicolò del Lido (dove si celebrava il rito immediatamente successivo a quello centrale svolto nelle acque del porto: rito d'incontro fra il doge con il patriarca e l'abate, custode delle reliquie di san Nicola il Grande, san Nicola picolo e san Teodoro il Martire, oggetto di una ricognizione ufficiale nel 1449),8 nei pressi dunque del monastero, sbarcati da arsili, gli stradioti avevano organizzato una giostra, nella quale corer la lanza, mostrando la velocità e gagliardia lhoro.9 Gli uomini dello stato da mar, insomma, venivano in tal modo esplicitamente associati alla simbolica affermazione cerimoniale della legittimità e della perennità dell' imperium maritimum della Repubblica. Il loro impiego di parata, di demonstratione e di componente tutt'altro che secondaria di scenografie pubbliche, d'altronde, non è certo isolato. A questo proposito, due esemplificazioni possono risultare particolarmente utili. Di significato apertamente politico è la sfilata dei settecento stradioti di Bernardo Contarini per l'ingresso in Roma del febbraio 1496, ben visti da li romani et...ben in ordine, sotto gli occhi del papa Alessandro VI in persona: unde el Pontefice li volse veder intrar et per vederli andò in castel Sancto Anzolo con la soa guardia et tutto quel castello se messe in arme per più magnificentia et treseno più di 200 botte di bombarda.10 Esibizione manifesta, da parte veneziana, non soltanto di capacità bellica, ma anche di 'potere in Oriente', si potrebbe dire in estrema sintesi. Tanto più che le cerimonie allora si concludono con la celebrazione d'una messa e l'udienza, concessa al Contarini e ai suoi uomini dal pontefice, al quale tutti i stratiotti... andono a basar li piedi: episodio che assai probabilmente va inquadrato in un'immagine che Venezia intende dare di sè come tramite di unificazione fra cattolicesimo romano e cristianità del Levante. Di natura in parte diversa appare invece la partecipazione stradiota all' accoglienza che Giorgio Corner, allora podestà a Brescia, riserva nel 1497 alla sorella Caterina, già regina di Cipro, in visita alla città. Anche in questo caso si assiste a una parata, di duecento cavalieri con bandiruole; ma anche un caro tiumphal che viene allestito è trainato da 4 cavali leardi [grigi] da ducati 100 l'uno de pretio, quali sono de stradiotti, con corni in fronte a modo de lioncorni.11 Per di più, nel quadro dei festeggiamenti viene organizzata una giostra, alla quale viene fatta partecipare appunto una squadra vestita alla stratiotta. Qui, F. Corner, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia e di Torcello, Padova 1758, pp. 58-59. 9 Sanudo, I diarii, op. cit., vol. 1, col. 497. Si veda anche lidem, le vite, op. cit., vol.2 10 Op. cit., col. 53 (20 febbraio 1496). 11 Op. cit., coll. 763-766. 8 11 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 12 ENNIO CONCINA insomma, è senz'altro l'accezione scenica del militar alla stratiotta a prevalere e ad essere sottolineata, con fini certo evocativi; 'costume di Levante' da un lato come cornice conveniente offerta a colei che nel Levante era stata sovrana, dall'altro come spettacolo di 'potenza sui popoli' esibito - fra le altre magn i f icenze - ai cittadini d'una città da terra attraverso gente da mar. In definitiva, Venezia attinge in vari modi e 'integra' nelle proprie risorse militari 'post-bizantine' in gran parte disponibili nei propri domini d'oltremare. Ma il nostro obiettivo è anche di accertare se oltre al ricorso strumentale all' ampio reclutamento di stradioti e al ricorso a questo anche a fini di immagine, nel pragmatico umanesimo diffuso presso le élite politiche veneziane tra Quattro e Cinquecento, vi siano prove di altri rapporti con la tradizione militare bizantina, eventualmente con questi intrecciati a loro volta. Ora, fino dalla metà circa del XV secolo, al conf litto fra imperi - quello veneziano e quello ottomano - da parte veneta si accompagnano non soltanto l'elaborazione ideologica del proprio mito di altera Roma, ma anche il perseguimento dell'obiettivo di recuperare i principi delle capacità belliche dell'antico. Obiettivo al quale va applicandosi anche la ricerca erudita e certamente partecipato in modo diffuso. Basti pensare, a questo proposito, alle articolate richieste di interventi per la difesa di Creta presentate a Venezia nel 1471 dai nobili di Candia Matteo Muazzo e Nicolò Grimani, che nel preambolo - di elevato tono culturale - richiamano la necessità di ricorrere al modello romano, alla capacità di questo di azione in tempore belli, richiamandosi anche a citazioni di poeti, di tragici, di storici e, attraverso Vegezio, alla trattatistica antica di arte militare.12 In questo contesto alcune precise circostanze ci sembrano di notevole interesse: - nei primi decenni immediatamente successivi alla caduta di Costantinopoli, a Venezia si fa strada l'idea di attingere alle ondate di profughi balcanici provocate dall'espansione ottomana per la difesa dei confini orientali della Terraferma veneta, in particolare del Friuli; - quando ancora non ci sono note discussioni sulla forma del corscivo um romano secondo Polibio, viene messa a punto una seconda idea: quella di creare, ai confini orientali della Terraferma, una città di fondazione di elevata specializzazione funzionale, dal carattere cioè di castrum permanente in funzione antiturca per lo sbarramento dei guadi dell'Isonzo; 12 A 12 H. Noiret, Documents inédits pour servir à l’ histoire de la domination vénitienne en Crète de 1380 à 1485, tirés des archives de Venise, Parigi 1892, pp. 514-515 (11 ottobre 1471). La questione è esaminata con maggiore ampiezza nel nostro “Tempo novo”. Venezia e il Quattrocento, in corso di pubblicazione presso Marsilio Editori, Venezia. Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 13 “STRATHIOTI PALICARI”: VENEZIA, LA DIFESA DEL DOMINIO E LA TRADIZIONE MILITARE BIZANTINA - nel quadro di un ampio programma difensivo per il Friuli, predisposto fra il 1469 e il 1479, le due idee vengono combinate, decidendo di insediare nella città-castrum cavallerie leggere reclutate fra i profughi balcanici, stabilizzandole anche mediante l'assegnazione di lotti di terreno agricolo nell'area immediatamente circumurbana del nuovo centro: provvedimento non privo di importanti precedenti, come le concessioni di 40 stremati di terreno incolto, 4 di vigna e di abitazioni in rovina disposte per il ripopolamento e la difesa di Argos dopo l’invasione turca, riconfermate nel 1451 con una specifica delibera de terrenibus stratiotorum. Nasce così l'unica città nuova del Quattrocento nello stato da terra di Venezia, dal nome umanisticamente evocativo di Hemopolis (l'attuale Gradisca) e viene disposto di popolarla a partire da un nucleo di 110 profughi con le loro famiglie, i sopravvissuti fra i 350 che poco prima avevano partecipato alla difesa di Scutari presa dai turchi (febbraio 1479) di grande probità, gagliardia, constantia, virilità e fede.13 Hemopolis: il nome è quello di Giovanni Emo, urbis conditor, luogotenente della Patria del Friuli, legato fra l'altro a Marc'Antonio Coccio Sabellico, che gli dedica un suo scritto sulle antichità aquileiesi. Ma alla definizione del programma generale e del progetto specifico hanno partecipato certamente alcuni tra i principali politici-umanisti veneti, tra i quali Bernardo Giustinian, Candiano Bollani e Zaccaria Barbaro. E qui si giunge al nodo della questione, poiché vi sono da sottolineare alcune concomitanze personali e cronologiche di estrema importanza per contribuire a spiegare la svolta accennata. Bernardo Giustinian, infatti, stava procedendo a una codificazione dei percorsi di ritorno all'Antico che, tra l'altro, a partire dagli ambienti del revival tolemaico con cui aveva stabilito stretti contatti, lo aveva visto, come capo del Consiglio dei Dieci, tra i promotori di un programma di rilevamento cartografico del Dominio in vera pictura, destinato ad usi 'operativi'.14 Il Bollani era stato il più autorevole fra i tre patrizi che avevano presentato in Senato il decreto relativo alla realizzazione della porta magn a dell'arsenale, la prima architettura compiutamente rinasci- A.S.V. Senato Mar, reg. 11, c. 22 r (8 maggio 1479); ibidem, Luogotenenza della Patria del Friuli, b. 272, reg. G; D. Malipiero, Annali Veneti dall’ anno 1457 al 1500, Firenze 1843: preso de dar a quei de Scutari la terra de Gradisca in Friul sul Lisonzo e de divider el territorio arativo in 150 parti fra l o r o; R. Corbellini, “Analisi storica della città”, in C. Visintini, Gradisca. Analisi della fortezza veneta, Trieste 1985, pp. 14-21; E. Concina, “Il rinnovamento difensivo nei territori della Repubblica di Venezia nella prima metà del Cinquecento. Modelli, dibattiti, scelte”, in Architettura militare nell’ Europa del XVI secolo, Atti del Convegno di studi (Firenze, 25-28 novembre 1986), a cura di C. Cresti-A. Fara-Daniela Lamberini, Siena 1988, pp. 93-96. A.S.V., Senato Mar, reg. 4, 77v-78v 14 Rimandiamo al nostro “ 'In vera pictura': Venezia, le città del Dominio, il Mondo. 1459 'more veneto'”, in La vita nei libri: edizioni illustrate a stampa del Quattro e Cinquecento dalla Fondazione Giorgio Cini, catalogo della mostra, a cura di M. Zorzi, Venezia 2003, pp. 151-156. 13 13 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 14 ENNIO CONCINA mentale edificata in Venezia.15 Quanto a Zaccaria Barbaro, il padre di lui, il celebre Francesco (umanista, ma anche impegnato in congiunture militari: difensore di Brescia, capitano a Treviso, provveditore in campo e altro, ma anche luogotenente, appunto, della Patria del Friuli), oltre ad aver discusso con Flavio Biondo sulle forme architettoniche delle 'magnificenze dell'antico' (ante 1454), attraverso Antonio Panormita e lo stesso Biondo, fino dal 1451 aveva stabilito il primo contatto esteso, potremmo dire, con la trattatistica militare greca antica e bizantina, ottenendo in lettura una lunga, significativa serie di opere de re bellica pertractantes: fra gli altri lo Strategikon di Maurizio, i precetti militari di Niceforo II Fokas, i Taktikà di Leone VI, ma anche Eliano, Onosandros, Ateneo De machinis et instrumentis bellicis con miniature, il De jaculis di Jerone, la poliorcetica di Apollodoro e altri scritti fra cui vari anonimi. E proprio lo stesso Zaccaria Barbaro, come savio agli Ordini, nel medesimo 1451 s’era accupato della conferma delle proprietà degli stradioti di Argos.16 Certamente lo studio 'applicato' della storiografia e della trattatistica militare antica ebbe a proseguire nel primissimo Cinquecento entro la cerchia di Bartolomeo d'Alviano, capitano generale di Venezia (che, non va dimenticato, il 5 maggio 1515 sosteneva in Collegio l'urgenza di costruire una libreria dove rendere consultabili le opere lasciate dal Bessarione)17 e del suo stretto collaboratore, il condottiero senese Baldassarre Scipioni. Sappiamo che il principale 'consulente' dello Scipioni nella stesura di epistole e di scritture in materia bellica è allora Vettor Fausto, il futuro successore di Marco Musuro sulla cattedra di greco della Scuola di San Marco, già da tempo in rapporto con Demetrio Doukas e con il corfiota Giustino Decadio, e studioso, fra molto altro, di argomenti teatrali (è del 1511 il suo De comoedia libellus) .18 Non disponiamo di dettagli molto precisi sui temi dei conversari circa l'arte della guerra antica che si tengono allora presso lo Scipioni e l'Alviano, come lo stesso Fausto testimonia. Certo è però che la sua terza orazione ne evoca probabilmente alcuni degli argomenti. Quello della guerra d'ingegn o, anzitutto: due sono gli animali - egli scrive - che combattono con la testa, vale a dire il toro e l'uomo. Ma il primo lo fa con le corna, il secondo usa il cervello. E fra gli strumenti dell'ingegno sono lo studio e Rimandiamo al nostro L'Arsenale della Repubblica di Venezia. Tecniche e istituzioni dal medioevo all'età moderna, Milano 1984, pp. 54-58. 16 B.M.V, Cod. Marc. Lat. 59 (coll. 4152); Antonii Beccatelli Siculi cognomento Panhormitae Epistolarum Gallicarum libri quatuor; accedit etiam ejusdem Epistolarum Campanarum liber; his praemittuntur epistolae sex ex cod. mss. nunc primum in lucem erutae, Napoli 1746, pp. 366-368; Fr. Barbaro, Epistolario, a cura di C. Griggio, Firenze 1999. 17 M. Zorzi, La Libreria di San Marco. Libri, lettori, società nella Venezia dei Dogi, Milano 1987, pp. 98-99. 18 E. Concina, Navis. L'umanesimo sul mare (1470-1740), Torino 1990, pp. 26-182. 15 A 14 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 15 “STRATHIOTI PALICARI”: VENEZIA, LA DIFESA DEL DOMINIO E LA TRADIZIONE MILITARE BIZANTINA l'insegn amento della storia. Il condottiere non ignarus litterarum saprà studiare e riprendere le regole dei Lacedemoni quando si tratterà di ordinare uno schieramento per lo scontro frontale; se invece dovrà combattere una guerra di agguati e di imboscate dovrà tener conto delle esperienze di Timoteo, di Ificrate e di Annibale.19 Dibattiti, discussioni di campo. Sullo sfondo, in questo stesso ambiente dell'Alviano e dello Scipioni, sappiamo della presenza di un gruppo di capi stradioti (Costantino Boccali, Repossi Busichio, Teodoro Manassi, Nicolò Rali, e i Paleologi Costantino, Giovanni, Nicolò e Teodoro, oltre a numerosi altri); ma, per ora almeno, non ci è possibile documentare una qualche loro partecipazione diretta ai conversari teorici. Tuttavia, una linea assai precisa di rapporto fra armi e lettere risultava stabilita. E questa avrebbe raggiunto coerenza sistematica nella cerchia di Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino, capitano generale di Venezia dal 1523 al 1538, del suo rappresentante permanente a Venezia Giovan Jacopo Leonardi (che ne prolunga gli interessi oltre la metà del XVI secolo) e del figlio del primo, Guidubaldo II della Rovere.20 Cerchia di elevatissimo tono culturale oltre che militarmente tecnico. Entro la quale, anzi, i programmi di renovatio, l'esperienza diretta sul campo del militar a la stratiotta e lo studio della storia e della trattatistica militari bizantine, oltre che di quelle romane, giungeranno a incrociarsi in termini ben documentabili. In sintesi, Francesco Maria della Rovere, oltre che come condottiero, è riconosciuto per tutto il secolo come il massimo promotore del rinnovamento dell'arte della guerra: delle tattiche e delle strategie, delle gerarchie decisionali, del controllo militare del territorio, dei principi della fortificazione urbana. Nell'ambito della tradizione familiare (i duchi d'Urbino infin dalle fasce sono riputati i signori di quello stato capitani, perciochè egli nascono con autorità grande con tutta Italia scrive nel 1547 Federico Badoer),21 Francesco Maria secondo l'opinione generale dei contemporanei è colui che senza contradizione alcuna ottenne il principato alli giorni suoi nell'arte della guerra.22 V. Fausto, Orationes quinque eius amicorum cura quam fieri potuit diligenter impressae, Venezia 1551, ff. 48v-49v. 20 Si vedano principalmente: I Della Rovere. 1508-1631, catalogo della mostra, a cura di G. G. Scorza, Pesaro 1981; T. Scalesse, “Introduzione” a G. G. Leonardi, Il libro delle fortificazioni dei nostri tempi, Roma 1975; E. Concina, La macchina territoriale. La progettazione della difesa nel Cinquecento Veneto, Roma-Bari 1983, pp. 15-62. 21 Relazioni degli Ambasciatori Veneti al Senato, a cura di A. Segarizzi, vol. 2, Bari 1968 (ristampa anastatica dell'ed. 1913), p. 180. 22 G. B. Leoni, Vita di Francesco Maria di Montefeltro della Rovere III Duca d'Urbino, Venezia 1605, p. 450. Quanto al tema di queste pagine, del resto, non va neppure trascurata la ben nota, antica familiarità di Federico da Montefeltro con il Bessarione. 19 15 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 16 ENNIO CONCINA Tralasciando la questione del suo determinante ruolo di supervisione generale anche al programma di fortificazione dello stato da terra, esteso a valutazioni e interventi relativi alla Dalmazia, a Corfù e a Creta (dove condiziona gli interventi del Sanmicheli che è invitato a seguire gli ordini e rispetti che altre volte in sì fatte cose gli sono stati da me mostrati) ,23 Francesco Maria della Rovere nel 1532 delinea al Gritti le linee strategiche dell'imminente confronto con i turchi. E in quell'occasione ritorna una posizione concettuale fondamentale: la guerra 'moderna' di Venezia non può essere che guerra d'ingegn o, contrapposta all' enorme capacità ottomana di mobilitare masse e risorse. La stessa che aveva espresso Vettor Fausto e che, fra l'altro, affondava le sue radici nelle esposizioni trattatistico-teoriche antiche e bizantine (Strategikon di Maurikios, Taktikà di Leone VI).24 E nel pensiero del duca una posizione risulta centrale: la guerra d'ingegn o consiste tutt'altro che secondariamente nella reinterpretazione sistematica dei principi dell'arte della guerra degli antichi alla luce della situazione tecnica e politica contemporanea. Non per caso Pietro Aretino, uno dei suoi principali interlocutori fra gli intellettuali contemporanei, dichiara appunto che quella del della Rovere vada letta fondamentalmente come restitutio: che rende a la nostra età la disciplina dell'antico Marte.25 Ora, alle attività sul campo di capitano generale, Francesco Maria della Rovere, insieme con il Leonardi, accosta una sorta di 'seminario' permanente di confronto fra 'pratica' contemporanea e lezioni della trattatistica de re militari e della storiografia antica. Come prima l'Alviano e lo Scipioni si compiacque et hebbe cognitione delle Historie antiche; sopra le quali era solito di sentire vari discorsi...avendo deputato a questo particolare essercitio alcune hore del giorno, e convocandosi in camera sua molti non solo leterati, ma soldati... In Venetia spetialmente...la congregatione si faceva più formatamente e con magior concor so, solevano intervenire de' più gravi e sperimentati senatori della Repubblica.26 La cerchia dei partecipanti a siffatte congregationi è quanto mai sign i f i c a t iva: comprende, fra gli altri, Vettor Fausto, il grecista 'archiproto' del quale già abbiamo detto, il matematico Nicolò Tartaglia che stava fondando gli studi di B.M.V., Cod. Marc. Ital. VII 109 (coll. 7805), cc. 174v-176r: lettera a Giovan Jacopo Leonardi, edita da ultimo in Concina, La macchina, op. cit., pp. 105-106. 24 Osservazione già di A. J. Toynbee: per la mentalità romano-orientale la guerra era un'attività intellettuale e l'essenza dell'arte della guerra consisteva nel raggiungere gli obiettivi attraverso un impiego massimo di acme intellettuale e un minimo di forza bruta (in A. J. Toynbee, Costantino Porfirogenito e il suo mondo, trad. M. Stefanoni, Firenze 1987, p. 124). 25 P. Aretino, Lettere: Il primo e il secondo libro, a cura di F. Flora, Milano 1960, p. 288, lettera no 1 (13 novembre 1537). 26 Leoni, Vita, op. cit., p. 454. 23 A 16 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 17 “STRATHIOTI PALICARI”: VENEZIA, LA DIFESA DEL DOMINIO E LA TRADIZIONE MILITARE BIZANTINA balistica, Michele Sanmicheli, ingegnere alle fortificazioni da terra e da mar. Ma attraverso il Leonardi raggiunge il Palladio e il Genga, è in stretto contatto con Daniele Barbaro che si accinge al commento a Vitruvio. E si allarga agli ambienti aristocratici vicentini (a Giangiorgio Trissino, ai Thiene e altri) e friulani (a Giulio Savorgnan, massimo esperto di progettazione fortificatoria della seconda metà del XVI secolo). Come si è appena notato, tra i diretti interlocutori del duca d'Urbino compare colui che lo era stato, e per i medesimi temi, dell'Alviano e dello Scipioni: Vettor Fausto, ormai titolare della cattedra di greco della Scuola di San Marco. Di quest'ultimo, l'attività concretamente applicativa del ritorno filologico all'antico nell'ambito della costruzione navale per la guerra marittima può essere perfettamente sintetizzata con il giudizio dato di lui da Pietro Bembo: per la qual cosa dico, che tutti i leterati huomini gli hanno ad avere un grande obligo. Che non si potrà più dire a niun di loro, come per adietro si solea: va, et statti nello scrittojo et nelle tue lettere, quando si ragionerà d'altro, che di libri et di calamai.27 Parole che esprimono con grande efficacia un'attitudine culturale di fondo e la sua ragione di collocarsi nell'ambiente del quale stiamo restituendo in breve i contorni. In un siffatto contesto, tuttavia, è possibile documentare appunto come anche l'esperienza del militar a la stratiotta sia certamente partecipe del programma intellettuale roveresco di restitutio rei militaris. E ciò principalmente attraverso Mercurio Bua, che già nel 1526 risulta fra gli accompagnatori di Francesco Maria della Rovere in sopralluogo a Legnago per la fortificazione del luogo; ma che, soprattutto, è coinvolto nei dibattiti e nei ragionamenti veneziani, intervenendo fra l'altro a una lunga discussione teorica del 22 febbraio 1537 sulla fortificazione delle città, preparatoria per la partenza per Candia di Giovanni Moro come provveditore generale.28 Sicuramente anche Niccolò Boccali, da Leontari in Morea, può essere inquadrato nel medesimo gruppo, visto il suo ruolo di luogotenente del della Rovere; e non è improbabile che lo stesso si possa dire per Costantino Arianiti, a lungo legato ai della Rovere, e per Teodoro Manassi, che come il Bua nel 1524 era stato a Cassano con il capitano generale.29 G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, vol. 2, Venezia 1754, p. 459. 28 F. M. della Rovere, Discorsi militari, Ferrara 1583, ff. 14v-17v. 29 Quanto al Bua e all'Arianiti rimandiamo anche alle voci di H. J. Kissling e F. Babinger in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, rispettivamente vol. 14, 1972, pp. 747-748 e vol. 4, 1962, pp. 141-143. Per il Boccali, si veda anche E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, vol. 1, Venezia 1824, pp. 249-250. 27 17 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 18 ENNIO CONCINA La diffusione delle discussioni, delle riflessioni, delle posizioni maturate nell'ambiente del duca d'Urbino avvenne attraverso diversi canali che sarà opportuno riepilogare brevemente. Circola in un primo momento attraverso numerosi manoscritti, in parte raccolti postumi nel volume dei Discorsi Militari di Francesco Maria della Rovere (Ferrara 1583). Vi contribuisce in maniera determinante, poi, il Libro delle fortificazioni di Giovan Jacopo Leonardi rappresentante permanente del duca presso il governo veneto e fedele interprete del punto di vista di quegli in materia di architettura militare: opera rimasta allora inedita, ma ben conosciuta, annunciata da Daniele Barbaro come complementare al suo commento a Vitruvio. Nel 1573, ancora, avveniva a Venezia la pubblicazione da parte di Giovanni Franco, entro Gl'ordini della militia romana tratti da Polibio in figure di rame, della ricostruzione grafica d e l l 'Alloggiamento de' Romani cavato da Polibio da Francesco Maria Duca d ' U r b i n o. Questione di grande importanza. Poiché va sottolineato come si trattasse di uno fra i prodotti di una lunghissima serie di studi che aveva occupato il duca-capitano, fino dall'impianto del suo accampamento secondo il modello del castrum romano attuato a Cassano d'Adda, studiato e considerato dall'arte militare rinascimentale come un classico, tanto che la pianta di quest'ultimo veniva pubblicata dalla celebre Arte militare di Mario Savorgn a n ancora nel 1599. E proprio questi interessi del capitano generale, come già abbiamo segnalato, dovevano aver stimolato a nostro avviso la pubblicazione a Venezia nel 1529 della prima edizione in greco e in latino del frammento del sesto libro di Polibio De militia Romanorum et castrorum metatione curata da Giano Lascaris. Di più, l'interpretazione data dal duca d'Urbino alla testimonianza di Polibio per la sua applicazione alla progettazione fortificatoria urbana - così intendo io Polibio30 - era stata oggetto di un lungo confronto teorico disputa - tra questi e Alfonso I d'Este a Napoli alla presenza di Carlo V31 ed era stata ripresa, sul piano concretamente operativo, per gli studi relativi alla difesa della piana friulana e della Dalmazia. Attorno al nucleo della cerchia di cui parliamo, frattanto, gli studi si allargano. Del 1546 è la pubblicazione da parte di Gabriel Giolito de' Ferrari nella nostra lingua volgare per utilità pubblica dell'Ottimo Capitano Generale et del suo ufficio di Onosandros; edizione che viene dedicata appunto a Giovan Jacopo Leonardi e ancora una volta annuncia gli scritti di questi (ho voluto Della Rovere, Discorsi militari, op. cit., ff. 22v-24r, con alcune correzioni di convenienza rispetto al testo del manoscritto conservato presso la Biblioteca del Museo Correr di Venezia, Cod. Cicogna 2862, XIX, c. 10 r-v. 31 Op. cit. 30 A 18 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 19 “STRATHIOTI PALICARI”: VENEZIA, LA DIFESA DEL DOMINIO E LA TRADIZIONE MILITARE BIZANTINA anco inviarlo a persona, cui più si convenisse, scrive l'editore, e a tutto 'l mondo ne fa chiarissimo testimonio l'universal concorso, che ogni dì si fa a lei da gli huomini più intendenti et più valorosi; ma si spera anco che i celebratissimi scritti suoi in cotal materia, quando appariranno in pubblico, ne debbano dare intiera contezza, et por silentio a tutti gli altri, che dopo voi verranno) .32 E ulteriori notevoli sviluppi vanno sottolineati. Si è già accennato agli stretti legami tra Francesco Maria della Rovere, il Leonardi e l'aristocrazia vicentina, in gran parte dedita al mestiere delle armi al servizio della Repubblica di Venezia. E altri hanno sottolineato da tempo i rapporti fra tale ambiente e gli interessi di Andrea Palladio alla scienza militare (i disegni illustrativi ai Commentari di Cesare editi nel 1574-75, gli studi e i disegni perduti per l'interpretazione - una volta ancora - delle regole della castrametatio a partire da Polibio).33 Frattanto, il vicentino Valerio Chiericati in stretto rapporto con il Palladio e direttamente seguace del Leonardi dal punto di vista della teoria della fortificazione - come uomo d'arme è più volte impegnato nello stato da mar: inviato da Venezia a Cipro (1560 e/o 1568), inviato a Creta nel 1574 (dove muore nel 1576) su sollecitazione del provveditore Jacopo Foscarini per formar nuove compagnie [di fanti] per li contadi, come aveva già fatto nel 1573 in Friuli, nel Trevigiano e nel Feltrino.34 Il principio del risvegliar l'antico Marte, l'antica disciplina militare che anch'egli riaffermerà nel suo trattato della Militia rimasto inedito è seguito alla lettera: si tratta di rifarsi, reinterpretandoli, ai modelli della falange e della legione; si tratta, a Creta, di descrivere, ordinare, armare et esercitare le genti atte alla guerra di quell'isola, con le sue leggi et ordini militari antichi.35 Con le sue leggi et ordini militari antichi: e dunque riprendendo in conside- Dedicatoria di Gabriele Giolito, che fra l’ altro si afferma “in debito” verso il Leonardi. J. R. Hale, “Andrea Palladio, Polybius and Julius Caesar”, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 40 (1977), 245-246. 34 Rimandiamo principalmente a L. Puppi, Andrea Palladio, Milano 1973, pp. 281-283 e alla biografia, ancora del Puppi, del Chiericati, in Dizionario Biografico, op. cit., vol. 24, Roma 1980, pp. 693-696; ma si veda anche L. Pezzolo, “Aspetti della struttura militare veneziana in Levante fra Cinque e Seicento”, in Venezia e la difesa del Levante. Da Lepanto a Candia, 15701670, catalogo della mostra, Venezia 1986, pp. 86-96. 35 Dedicatoria di Filippo Pigafetta premessa a Documenti et avisi notabili di guerra ne' quali s'insegn a distintamente tutta l'arte militare, non solo di formare gli esserciti et ogni apparecchiamento di guerra, ma anco di ogni maniera di battaglia et ogni altra cognitione spettante ad informare un perfet to soldato et capitano, di Leone Imperatore. Ridotto dalla greca nella nostra lingua per M. Filippo Pigafetta, con le annotationi del medesimo ne' loghi che n' hanno di mestieri, Venezia 1602. Sul Pigafetta: A. Da Schio, “La vita e le opere di F. Pigafetta”, in F. Pigafetta, La descrizione del territo rio e del contado di Vicenza (1602-1603), a cura di A. Da Schio e F. Barbieri, Vicenza 1974, pp. 1214; G. Lucchetta, “Viaggiatori, geografi e racconti di viaggio dell'età barocca”, in Storia della cultura veneta, Il Seicento, vol. 4/II, Vicenza 1984, pp. 201-250. 32 33 19 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 20 ENNIO CONCINA razione l'arte militare del mondo bizantino. Che in effetti dovrà essere oggetto di nuovo studio, partendo dai Taktikà di Leone VI (il trattato di Leone impera tore de gli apparecchi della guerra), la cui traduzione - al tempo che egli navigò in Cipri, tra il 1560 e il 1568, appunto - viene affidata dal Chiericati al cugino Filippo Pigafetta, uomo di scienza (questi pure in rapporto con Palladio per Polibio) oltre che uomo d'arme. Dopo la scomparsa dello stretto et amato parente, il Pigafetta rivedeva t u t t o quel primo lavoro mio et raffrontandolo con altri testi greci, che dianzi non hebbi. Collazionava il manoscritto di cui già in precedenza era in possesso con altri appartenenti a Jacopo Contarini (intendente di tutte le belle cose, sia architettura, pittura, scultura o strumenti bellici, armonici et matematici)36 ed a Gian Vincenzo Pinelli. Si apprestava quindi ad approfondirne l'interpretazione tenendo conto dello Strategikon attribuito a Maurizio e di Onosandros, ma anche di autori come Giorgio Cedreno e Giovanni Zonara e degli Oracula L e o n i s. E confrontava poi alcuni dettagli relativi ad armi e vestimenti con ciò che hoggidì è rimasto, nel Levante, presso greci, albanesi e turchi. L'opera sarebbe stata data alle stampe nel 1602, dedicata a Jacopo Alvise e Marc' Antonio Corner. Dichiaratamente come riaffermazione della lunga attitudine rinascimentale di adattare quei buonissimi ordini antichi all'ottime armi moderne; e in aperta polemica con chi li avesse a ritenere hoggimai ranci et invecchiati.37 36 37 A 20 Dedicatoria di G. Porro in V. Scamozzi, Discorsi sopra le antichità di Roma, Venezia 1582. Dedicatoria di Filippo Pigafetta premessa a Documenti et avisi, op. cit. Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 21 INTRODUZIONE DEL GREGHESCO NEL TEATRO VENEZIANO E IL SUO TRAMONTO Manlio Cortelazzo S i sa che con il nome di greghesco s'intende l'imitazione scherzosa ed esasperata del veneziano, come si riteneva fosse parlato nel Cinquecento dai numerosi greci convenuti a Venezia. Ormai è abbandonato, come fuorviante, l'originario stradiotesco, probabilmente introdotto da Vittorio Rossi (una letteratura, che vorremmo chiamare stradiotesca). Parecchie furono le composizioni scritte in questo artificioso linguaggio, che incontrò la sua maggior fortuna negli spettacoli teatrali a cominciare dalle commedie di Andrea Calmo. Assegnato a personaggi diversi (uno stradioto, un medico, un vecchio, una ruffiana), il modello fu subito ripreso nella C a p r a r i a e nella Zingana del Giancarli (un vecchio) e nella Pace di Marin Negro (ancora un vecchio). Ma chi, in realtà, lo introdusse per primo nelle scene? Anche se negli ultimi decenni abbiamo assistito alla fioritura di valenti studiosi, che si sono attivamente interessati al teatro rinascimentale veneziano, indagandone ogni aspetto, anche se da una parte, specie per opera di Louis Coutelle, di Lucia Lazzerini e dei Kahane, conosciamo tutti i meccanismi, che spiegano i vari tipi di interferenza greco-veneziana, dall'altra, per quanto riguarda la genesi di questa invenzione letteraria, siamo ancora fermi al 1561, quando Ludovico Dolce affermava nella dedica a Giacomo Contarini del poemetto I fatti e le prodezze di Manoli Blessi stratioto di Antonio Molino, detto il Burchiella, che fu proprio questi il primo, che le mutò [le commedie] in più lingue. Nelle quali divenne cosd chiaro, che oltre alla comune lingua italia na, contraffacendo la greca e la bergamasca, passò in quelle cosd avanti, che egli meritatamente si può chiamare il Roscio della nostra età. Mentre sulla contraffazione (non, quindi, riproduzione) del bergamasco possiamo porre in serio dubbio le parole dell'amico affettuoso, tanti sono gli esempi di precoci esperienze del suo uso letterario (Corti nel 1974, Cortelazzo nel 1980, Paccagnella nel 1984), per il neogreco la questione è ancora sub iudice. Per ora si pue solo sottoscrivere il prudente giudizio di Paolo Fabbri: Forse non fu il Molino l'inventore di una tal miscela, ma certo la coltive con fortuna costante (p. 189). Su questo autore e sulla sua opera (peraltro giuntaci sfortunatamente solo in 21 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 22 MANLIO CORTELAZZO parte: ignoriamo completamente le sue commedie, che pure sembra abbiano riscosso un grande successo) hanno rivolto negli ultimi decenni la loro attenzione diversi ricercatori, dal Fabbri alla Uberti, da Vincent a Vescovo, dal compianto Panayotakis a Cortelazzo (con una timida ipotesi su una possibile fonte dei Fatti), ma nessuno di loro ha rintracciato una sola prova che confermasse o smentisse tale primato. Per questo ogni indizio, anche minimo, pue servire a gettare un barlume di luce sull'oscuro problema. E percie ancora una volta insistiamo su un testo, che avrebbe il vantaggio di una data ante quem abbastanza precisa, anche se non riferito ad una rappresentazione teatrale. Premettiamo che il greghesco è testimoniato nelle stampe a partire dal 1553, anno dell'edizione delle Egloghe del Calmo. Non che a questo fatto si debba attribuire un'importanza, che non ha, dal momento che la pubblicazione segue di regola ed anche di molti anni, la recita, ma trovare qualche traccia di greghesco di molto anteriore pue offrire una buona base di discussione e ricerca. Ora, in una ricchissima raccolta, in parte ancora inedita, di testi letterari veneziani, contenuti nel codice Marciano It. XI 66, è riportato un sonetto privo della terzina finale con inserti gregheschi. Il tema è banale, un semplice fatto di cronaca: un senatore, oppresso da copiose bevute, si addormenta in Senato, suscitando l'ilarità dei presenti. Se si riuscisse a trovare un cenno all'episodio in fonti cronachistiche (prima fra tutte i Diari di Marin Sanudo - attentissimo a minuti fatterelli, come questo - che, giungendo fino al 1533, superano cronologicamente la data più recente attestata nel codice, che è il 6 ottobre 1530, anche se contiene alcune poesie forse dell'Aretino attribuibili al 1531-32), potremmo ricavarne certamente altri preziosi particolari sull'aneddoto e, forse, anche sull'autore del sonetto. Comunque, l'espediente di far parlare tanti forestieri nella loro lingua, diciamo cosd, ‘reale’ deve avere avuto un certo successo. Lo deduciamo dal messaggio pubblicitario sottinteso nei titoli delle commedie del Calmo a stampa, dove questo particolare viene enfatizzato in vario modo. Dapprima con l'esplicita dichiarazione della loro presenza: “Comedia del S. Scarpella bergamasco, et altre diverse lingue de personaggi” (S p a gnolas2, 1551), “Comedia… in diverse lingue ridotta” (Pozione, 1552), poi, ponendola seconda fra i suoi pregi: “Comedia stupenda et ridiculosissima piena d'argutissimi moti, et in varie lingue recitata” (R o d i a n a,1553), infine, riservandole il primo posto: “Comedia… di varie lingue adornata, sotto bellissima inventione” (T r a v a g l i a, 1556). E veniamo alla parte finale, che riguarda l'individuazione dell'ultima opera teatrale a noi nota, in cui intervenga un personaggio che usa il greghesco. A 22 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 23 INTRODUZIONE DEL GRECHESCO NEL TEATRO VENEZIANO E IL SUO TRAMONTO È comunemente accettato che la grande stagione del teatro veneto plurilinguistico si concluda con la Pace di Marin Negro, pubblicata per la prima volta nel 1561. Ma per quanto riguarda la commedia con più linguaggi, fra cui il veneziano storpiato ad arte dei Greci, dobbiamo spostare la data al 1562, quando uscì a Venezia Il Sergio, scritto da Lodovico Fenarolo essendo quasi fanciullo, e più tosto in poche ore, che in molti giorni. Sappiamo tanto poco di questo autore da non conoscere con precisione nemmeno la sua patria: Brescia o Verona? La commedia, ad ogni modo, è ambientata a Venezia e mostra chiaramente la sua dipendenza dalle commedie del Calmo, a cominciare dalla difesa, fondata sull'intenzione di rendere realistica la vicenda, dell'uso di lingue e dialetti diversi (lasciando che altri prima di me l'hanno pur fatto, essendo la comedia immitatione, e concorrendo in Venetia ov'ella è figurata, tante genti, e c o sd varie nationi, ragionevolmente pue essere accaduto un caso d'una cosd fatta imitatione). Che il Coutelle si fermi alla Pace è giustificabile. Lo è meno per studiosi che abbiamo ripreso il tema dopo il 1972, quando è uscito un nostro contributo su documenti letterari in greghesco non ancora sfruttati, tra cui, appunto, le battute di Alessandra grega, moglie di Sergio, tenuta vedova, e dopo il 1978, quando uscd un'edizione della commedia a cura di Noemi Messora, non ineccepibile, ricca, comunque, di notevoli spunti e annotazioni. Si potrà dire che, in fondo, la distanza fra le due commedie, un anno appena, non è granché, ma pue diventare significativa, se consideriamo che alcuni esperti critici hanno trovato indizi tali da proporre di retrodatare la rappresentazione della P a c e alla metà degli anni Cinquanta (Vescovo), più precisamente al carnevale del 1553 (Padoan). Anche se, a onor del vero, il passo di un monologo di un personaggio veneziano, oramai vecchio, farebbe anteporre la recita del Sergio al 1558 (dal 1503 fin adesso che semo del 1558 el mondo è pezorao nonanta per cento), coerente con il cordoglio, come di un lutto recente, per la morte di Stefano Tiepolo (1557). Gli elementi lessicali di base greca in questa commedia non sono molti e almeno due non sono compresi nell'inventario stilato da Coutelle: ti orisis (‘chie comandeu?’), da τί ïρίζεις; protogera (‘arrogante’), femminile di πρ ωτ όγερ ος, senza contare pame apano (‘andemo del suso’), con due elementi separati, che appartengono al citato glossario; vanno poi aggiunte alcune varianti non accertate altrove, come naderfi ‘surenla’, michrià ‘picudgline’, sopa ‘tasè’, scarsamente significative perché legate alle eventuali edizioni consultate. Questi particolari ci portano, comunque, a ritenere che il Fenarolo abbia attinto anche ad altre fonti a noi ign o t e . La controprova si potrebbe avere esaminando i tratti fonetici e morfosintattici caratterizzanti la parte della greca (tra parentesi, anche il proverbio tute le 23 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 24 MANLIO CORTELAZZO greghe sé dolce de pieghe (I 6) sembra inedito). Ne segnaliamo un periodo, come campione rappresentativo: E surenla, naderfi, nol besogneu chie vui parlaro del mio belenza, perché mi seu oramai vegnuo venchia dal tandj fastidij chie mi ho ambuo chie staa [?] haveri perduo dio fie michrià picudgline e 'l mio mario; nol se chiesti dolori d'amazzari aloghi, cavagli, no chi el mi (I 6). Sulla scorta della serrata analisi della Lazzerini (allo studio della quale rinviano i numeri delle pagine) non c'è dubbio che tutti i principali fenomeni del mistilinguismo veneziano-greco erano già noti: la sonorizzazione della labiale, dentale o velare sorda preceduta da nasale (p. 52): t a n d i; l'epentesi di nasale (p. 53): surenla, belenza, venchia, ambuo; la palatalizzazione del gruppo -l j- (p. 61): picudgline, cavagli; la confluenza del che italiano e del καί greco (p. 61): non solo c h i e, ma anche perché. Per quanto riguarda le forme verbali si segnala l'estensione della seconda persona singolare con pronome enclitico (p. 63): nol besogneu, mi seu; gli infiniti in -a r o (p. 63): p a r l a r o. Da questo lato, dunque, nulla che non sia già stato documentato. Che la commedia del Fenarolo possa essere l'ultimo degli esempi teatrali, in cui il greghesco abbia una sua parte, ci pare confermato dalla sua completa estraneità all'ambiente, dove esso, con una completa sintonia degli autori/attori, perfettamente uniti nell'impresa, è stato ampiamente sperimentato, incontrando l'appagante accoglienza del pubblico. Marin Negro, tentando di recuperarne l'atmosfera oramai perduta, nel prologo della Pace tesse l'elogio (che pare funebre) dei grandi nomi di questo teatro, rievocando i tempi andati (ci scusiamo per il ricordo di un passo citatissimo): le comedie oggidd sono venute in tal conditione ch'ogni vil scioccarello ardisse d'imbrattare carte, e alle sue goffarie dare titolo di comedie, e ogn'uno gli corre dietro, come vedete qui, talché per questo io [parla l'ombra di Gigio Artemio] pienamente lodo il piacevole, e pieno di soggetto, messer Antonio da Molino detto Burchiella, e il famoso messer Andrea Calmo, e l'ingenioso e gentil messer Pietro d'Armano, se s'hanno con honore di tal carico levati. Niente di tutto cie nel Fenarolo (uno di questi scioccherelli?), che non ritiene di aver debiti da pagare ai suoi predecessori, né di ricordare i suoi maestri, almeno il Calmo, dal quale trasse tanti motivi e lo stesso suggerimento d'introdurre un personaggio greco. La grande stagione del teatro con inserti gregheschi era oramai finita e nell'epigono ne avvertiamo solo un'abile, ma scialba riproduzione. A conclusione di questo rapido accenno all'estinzione di tale parlata, che, per quanto artificiosa, aveva incontrato per qualche decennio il favore degli A 24 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 25 INTRODUZIONE DEL GRECHESCO NEL TEATRO VENEZIANO E IL SUO TRAMONTO spettatori, possiamo chiarire che il suo impiego sulle scene è stato il primo a cadere (salvo la scoperta futura di qualche altro testo fin qui sconosciuto); toccherà poi alla poesia con le ultime prove del venerando Burchiella, che mostrava di comporre ancora nel 1572, quando aveva settantasette anni, accettando l'ipotesi del Fabbri, che sia nato intorno al 1495. Infine tocce alla prosa extrateatrale che, in realtà, non aveva mai dato grande segno di vitalità nella precedente letteratura greghesca, con una lunga novella - esempio singolare, tardo e isolato - di Celio Malespini (la II 54 delle Duecento novelle pubblicate a Venezia nel 1609), nella quale ha una larga parte un servitore greco, che si esprime nel greghesco della tradizione soprattutto teatrale, ma oramai tarda e sterile collazione di termini e locuzioni di accatto, non più intese nel loro significato: Lucia Lazzerini, studiando le varie lezioni della locuzione cach_ labernachi, risolta come κακc λαµπρή νά’ χης ‘che tu abbia la mala pasqua’, ha dimostrato che questa espressione nel brano malespiniano si era oramai ridotta a una “intrusione gratuita”, che nulla poteva più dire sul valore greghesco della formula. Siamo all'ultimo atto di quella felice esperienza letteraria. BIBLIOGRAFIA DEGLI AUTORI CITATI A. Calmo, La Spagnolas. Comedia di Scarpella Bergamasco, Venezia 1549. - , La Pozione, Venezia 1552. - , Rhodiana, Venezia 1553. - , Le giocose moderne et facetissime Egloghe pastorali, Venezia 1553. - , Il Travaglia, Venezia 1556. M. Cortelazzo, “Nuovi contributi alla conoscenza del greghesco”, L'Italia dialettale 35 (1972), 50-63. - , “Esperienze ed esperimenti plurilinguistici”, in Storia della cultura veneta, vol. 2, Vicenza 1980, pp. 183-213. - , “ 'I fatti, e le prodezze di Manoli Blessi strathioto': titolo e nomi imitati o parodiati?”, Quaderni veneti 29 (1999), 177-179. Maria Corti, “ 'Strambotti a la bergamasca' inediti del secolo XV. Per una storia della codificazione rusticale nel Nord”, in Tra latino e volgare: per Carlo Dionisotti, vol. 1, Padova 1974, pp. 349-366. L. Coutelle, Le Greghesco. Réexamen des éléments néo-grecs des tex t e s comiques vénitiens du XVIe siècle, Salonicco 1971. 25 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 26 P MANLIO CORTELAZZO Maria Cristofari, Il codice marciano It. XI, 66, Padova 1937. P. Fabbri, “Fatti e prodezze di Manoli Blessi”, Rivista italiana di musicologia 11 (1976), 182-196. L. Fenarolo, Il Sergio. Comedia nuova et piacevole, Venezia 1562. G. A. Giancarli, La Capraria. Comedia, Venezia 1544. - , La Zingana. Comedia, Mantova 1545. H. e Renée Kahane, “A Case of Glossism: Greghesco and Lingua Franca in Venetian Literature”, in Mélanges de linguistique dédiés à la memoire de Petar Skok (1881-1956), Zagabria 1985, pp. 223-228. Lucia Lazzerini, “Il greghesco a Venezia tra realtà e ludus. Saggio sulla commedia poliglotta del Cinquecento”, Studi di filologia italiana 35 (1977), 29-35. C. Malespini, Ducento novelle, Venezia 1609. Noemi Messora (a cura di), Commedie bresciane del '500: il teatro lombardo sotto la Repubblica veneta, Bergamo 1978. A. Molino detto Burchiella, I fatti e le prodezze di Manoli Blessi strathioto, Venezia 1561. M. Negro, La Pace. Comedia non meno piacevole che ridicolosa, Venezia 1561. I. Paccagnella, Il fasto delle lingue. Plurilinguismo letterario nel Cinqucento, Roma 1984. G. Padoan, “Per la datazione della 'Pace', commedia di Marin Negro”, in Saggi di linguistica e di letteratura in memoria di Paolo Zolli, a cura di G. Borghello, M. Cortelazzo e G. Padoan, Padova 1991, pp. 579-582. N. M. Panayotakis, “Le prime rappresentazioni teatrali nella Grecia Moderna: Antonio Molino a Corfù e a Creta”, Thesaurismata 22 (1992), 345-360. V. Rossi (a cura di), Le lettere di Messer Andrea Calmo riprodotte sulle stampe migliori, Torino 1888. M. Sanuto, I diarii (MCCCCXCVI-MDXXXIII), Venezia 1879-1902. Maria Luisa Uberti, “Un conzontao in openion di Andrea Calmo: Antonio Molino il Burchiella”, Quaderni veneti 16 (1993), 59-98. P. Vescovo, “L'Accademia e la 'fantasia dei brighenti'. Ipotesi sul teatro dei Liquidi (Andrea Calmo, Antonio Molin, Gigio Artemio Giancarli)”, Biblioteca teatrale 5/6 (1987), 58-59. A. L. Vincent, “Antonio da Molino in Greece”, Ellinica 26 (1973), 114-116. A 26 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 27 LA COMMEDIA DELLE LINGUE SULLA SCENA VENEZIANA DEL SECONDO CINQUECENTO 1. Piermario Vescovo Anzitutto una preliminare ripartizione del campo, nel rapporto tra l'argomento sul quale mi è stato chiesto di intervenire e il titolo che reca questo incontro, dedicato alla dimensione europea della commedia dell'arte. Sul secondo e generale fronte sono certamente tra coloro che parteggiano per un uso ristretto della categoria di “commedia dell'arte”. Un uso che distingua, anzitutto, dalla storia il mito del XIX e XX secolo - confusione che permetteva ad Allardyce Nicoll di intendere in maniera tanto inattendibile quanto eloquente commedia dell'arte come “commedia della bravura” - dal significato originario dell'etichetta, o quantomeno, da quello acquisito nel suo emergere dal gergo delle c o m p a gnie teatrali, a quanto sappiamo, verso la metà del XVIII secolo, dunque nel suo identificare qualcosa che altre definizioni o categorie non bastavano a definire. Per la necessità prioritaria in campo storiografico di separare l'esperienza reale delle compagnie professionali italiane dal mito retrospettivo di un teatro delle maschere, dell'improvvisazione, del primato corporale e acrobatico, basti rinviare al testo fondamentale di Ferdinando Taviani, Il segreto della Commedia dell'arte. La memoria delle compagnie italiane del XVI, XVIII e XVIII secolo (Firenze 1982: con ricca antologia di letteratura storica e critica a cura di Mirella Schino). Altre ricerche, negli ultimi decenni, hanno cominciato a tracciare una storia dell'esperienza delle compagnie professionali italiane tra la fine del XVI e del XVIII secolo, fuori da un raggio semplicemente erudito, nell'ambito più vasto della storia del teatro a statuto commerciale europeo (su questo fronte ricorderò il libro, assai rilevante, di Siro Ferrone, Attori mercanti corsari. La commedia dell'arte in Europa tra Cinque e Seicento, Torino 1993). Per quel che riguarda, molto più modestamente, i miei interessi di studio in questo settore, mi sono occupato circa un decennio fa soprattutto della questione del significato originale dell'etichetta, tra Goldoni, Baretti e Gozzi, che identifica nel linguaggio di mezzo Settecento non una categoria e nemmeno una tradizione, ma a delle pièces particolarmente diffuse, come Il Convitato di pietra o Pantalone mercante fallito. Nel suo apparire sempre al plurale - le commedie dell'arte o anche, per sciogliere ogni dubbio, parallelamente le commedie del 27 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 28 PIERMARIO VESCOV mestiere - il termine si riferisce non a un fenomeno ma a dei titoli, a pièces di tradizione attoriale in quanto lungamente trattate, assorbite nel repertorio, e “senza autore”; pièces rappresentate in ogni dove, nelle minime città di provincia e nelle grandi capitali europee. [Uso la parola pièces per evitare l'eccessivo peso letterario del termine “testi” e l'eccessiva immaterialità spettacolare del termine “spettacoli”; resto risolutamente contrario - spero senza apparire pedante - alla recente e inessenziale diffusione in italiano del termine “pezzo”, soprattutto per superficiale e cattiva ricezione dal tedesco S t ü c k]. Alle prime attestazioni letterarie che ci risultano - per esempio ne Il teatro comico di Carlo Goldoni (1750) o nell'Account of the manners and customs of Italy di Giuseppe Baretti (1766) -, l'impiego di un termine tratto dal gergo degli attori serve sempre a un riferimento al repertorio e alla tradizione. Impiego polemico nel caso di Goldoni, nell'atto di teorizzare un teatro riformato, nelle affermazioni che mette in bocca alla sua prima-donna: Se facciamo le commedie dell'arte, vogliamo star bene. Il mondo è annoia to di veder sempre le cose istesse, di sentir sempre le parole medesime, e gli uditori sanno cosa deve dir l'Arlecchino, prima ch'egli apra la bocca. Per me vi protesto, signor Orazio, che in pochissime commedie antiche reciterò; sono invaghita del nuovo stile, e questo solo mi piace: dimani a sera reciterò, perché, se la commedia non è di carattere, è almeno condot ta bene, e si sentono ben maneggiati gli affetti. Impiego documentario nel caso di Baretti, al fine di dare notizia in una lingua straniera e a un pubblico straniero e diverso - quello inglese - di un fatto caratterizzante un costume e una cultura: commedie dell'arte: a cant name for those burlesque plays substituted to the commedie antiche Due passi, peraltro, che mostrano un'opposta polarizzazione di nuovo e vecchio: per il riformatore Goldoni “vecchia” è la tradizione attoriale, mentre il nuovo stile è quello della riappropriazione d'autore del testo drammatico; per Baretti, al contrario, “vecchia” è la tradizione letteraria della drammaturgia italiana dei secoli passati e “nuova”, perché più recente e perché caratterizzante, l'esperienza del trattamento attoriale del testo offerta dal teatro di mestiere. È evidente che queste definizioni - che pure si appoggiano all'uso tradizionale e al plurale del termine - contengono un'idea di teatro che supera la mera demarcazione offerta dall'etichetta d'uso. Per un esempio, davvero decisivo, di svolgimento - e di una codificazione al singolare - il passo fondamentale mi sembra spettare a Carlo Gozzi, che in una pagina del suo Ragionamento ingenuo (1772) si riferisce non a una o più pièces di tradizione ma a un modo A 28 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 29 LA COMMEDIA DELLE LINGUE SULLA SCENA VENEZIANA DEL SECONDO CINQUECENTO t r a d i z i onale di concepire, in generale, il testo drammatico, proprio alla tradizione attoriale italiana: La commedia improvvisa, detta commedia dell'arte, fu sempre la più utile alle comiche italiane compagnie. Da trecent'anni ella sussiste. Fu combat tuta in ogni tempo, e non perì mai. [...] La commedia dell'arte sussiste nell'Italia, e nel suo vigore, ad onta delle persecuzioni assai più ridicole della commedia dell'arte. Più in là, al principio del XIX secolo, nella sua ultima opera-testamento - L a più lunga lettera di risposta che sia stata scritta - il vecchio conte Gozzi riconoscerà lucidamente la morte ormai irreversibile di quella tradizione: I poeti non hanno più necessità di urlare contro il genere comico alla sprovveduta. Quel genere non è oggidì che uno scheletro senz'anima imputridito e schifo. Il rincaro a forti tinte - nel paragone con la decomposizione corporea - è naturalmente un passaggio essenziale per il tentativo di una resurrezione di quel corpo dalla storia alla leggenda, dalla tradizione al mito. Già la generazione romantica stava, infatti, raccogliendo dalle mani dell'ottuagenario quel lascito testamentario, che è anche l'atto di nascita - io credo - del mito della commedia dell'arte. L'etichetta commedia dell'arte - definizione senza virgolette d'intonazione gergale - è, dunque, in questa postfazione che Gozzi scrive per la seconda edizione delle sue opere, all'inizio del nuovo secolo, un dato centrale e capace di polarizzare intorno a sé il ventaglio dei sinonimi, delle definizioni nuove e antiche. Ecco, dunque, in queste importantissime pagine - assai trascurate dalla critica - un uso per lo più raddoppiato o rinterzato dagli aggettivi accessori, in sfumature volta a volta diverse, nonché significative variazioni per sostituzione: commedia improvvisa dell'arte italiana, commedia improvvisa italiana con le maschere, farsa improvvisa dell'arte, farsa dell'arte all'improvviso, farsa dell' arte italiana all'improvviso con le maschere, e così via. Questa perpetua sfaccettatura non avrebbe senso, naturalmente, senza la parallela insistenza sui tratti di una definizione che scivola volentieri dalla storia (cioè dall'osservazione puntuale dell'organizzazione del teatro professionale di un tempo) all'idealizzazione: hanno qui ruolo dominante i caratteri di una antichità leggendaria del fenomeno, di una assoluta popolarità, di una ingenuità o innocenza prevalenti anche nel trattamento di materia volentieri licenziosa e lubrica. Così la commedia dell'arte assume i tratti di un “materiale, popolare, caricato, allegro e innocente divertimento scenico”, da opporre al teatro della sottoletteratura e alla cultura improntata al fanatismo e alla cupidigia che esso esprime. E qui, si converrà, ci sono già tutti gli ingredienti delle plurime rinascite moderne. Lo scivolamento semantico da una definizione del gergo dei comici - “pièces particolarmente diffuse nel repertorio delle compagnie professionali italiane” 29 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 30 PIERMARIO VESCOV (nel senso corporativo che la parola arte ha nell'italiano antico) - all'identificazione generale e retrospettiva di una cultura teatrale - la tradizione del teatro professionale italiano di tradizione attoriale, col suo primato del ruolo-maschera e della recitazione all'improvviso tra la fine del XVI secolo e la fine del XVIII secolo - e ancora alla mitizzazione di quell'esperienza nella sua perenne reinvenzione, dall'Ottocento romantico alle avanguardie del Novecento, fino alla per lo più piatta routine dei nostri giorni, è un tracciato troppo ampio per pensare di illustrarlo qui minimamente. Ci basta averlo richiamato, nello stesso modo in cui si può additare una carta geografica di un territorio di grande estensione, all'atto di vedere come e in che modo possiamo cercare di reperire in questa superficie la regione o la provincia di cui dobbiamo qui occuparci. 2. La prima tentazione - che manifesterebbe però un sussiego vicino all'incapacità di comprendere, tipica dello studioso “settoriale” - potrebbe essere quella di respingere del tutto l'accostamento, giudicandolo non pertinente, tra il teatro plurilinguistico di Andrea Calmo e compagni e la “commedia dell'arte”. Respingerlo anche in nome delle semplificazioni indebite che si sono spesso operate confondendo un'esperienza precisa e limitata a una, spesso, generica e indifferenziata. La cittadella della tradizione plurilinguistica veneziana non si trova, ovviamente, nella carta geografica della “commedia dell'arte”, per le semplici e concomitanti ragioni che questa tradizione precede cronologicamente le prime documentate presenze di compagnie professionali, perché i suoi personaggi più importanti - come Andrea Calmo - non furono comici di professione - nonostante le sciocchezze che ancora si leggono in certa, spensierata, letteratura critica -, perché in questa tradizione, poniamo, non recitavano donne e non si usavano, a quanto sappiamo, maschere, e per il fatto che questa drammaturgia ci è testimoniata come una tradizione spettacolare comunque stabilita sul primato del testo letterario. Però, se è in sé corretto stabilire in questi termini un riconoscimento di extraterritorialità, marcando storicamente territori e distanze, è altrettanto importante comprendere perché è lecito ragionare su questo terreno - che viene prima o poco prima - per avvicinare quello che comincia la sua lunga estensione dopo, o poco dopo. Così come l'osservazione attenta della nascita e dell'apparizione di un'etichetta nel linguaggio diffuso - quella di “commedie dell'arte”, appunto - funziona un po' da definizione in articulo mortis di un'esperienza bisecolare, nell'atto del suo superamento o del venir meno dei suoi presupposti fondativi, così è importante, forse indispensabile, cercare di comprendere - fuori da ogni facile prospettiva delle “origini” o delle “premesse”, sempre viziata da semplificazioni evoluzionistiche - i nessi culturali che A 30 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 31 LA COMMEDIA DELLE LINGUE SULLA SCENA VENEZIANA DEL SECONDO CINQUECENTO stanno immediatamente al di qua di un'esperienza, quella del teatro italiano a statuto commerciale, che si irradia potentemente nel giro di pochi decenni nei numerosi piccoli stati che formavano l'Italia pre-unitaria e nei grandi stati europei. L'argomento è di enorme estensione e non intendo, ancora una volta, affrontarlo nello spazio di pochi minuti o poche pagine; mi limito dunque a citare uno splendido passo - in un contributo, a propria volta, di sintetica e generale illuminazione storica a largo raggio - che contiene alcune delle cose che è essenziale sapere e ricordare e - per continuare il precedente paragone cartografico - per disporre di una sorta di bussola storica che ci indichi la giusta direzione di viaggio. Il passo è tratto dal fondamentale saggio di Carlo Dionisotti, “La letteratura italiana nell'età del Concilio di Trento” (nel volume Geografia e storia della letteratura italiana, Torino 1967, p. 248), che presenta l'eccezionale fase espansiva e associativa, e quindi le sue chiusure, nel panorama della cultura italiana di metà Cinquecento: Conseguentemente, e necessariamente, si aprivano fratture a taglio netto, si instauravano definizioni e classificazioni esclusive, là dove era stata una mediocre e confusa, e però anche fertile e cordiale concor dia discors vent'anni prima. Fra gli esempi che possono addursi di questo generale processo, ricorderò quello che a prima vista pare più lontano e che è invece caratteristico e di fondamentale importanza: il distacco e precipitazione che in questi anni avviene, dalla letteratura militante in un teatro di mestiere, letterariamente irresponsabile, della commedia dell'arte, e per essa di vitali, se anche incomodi e inquietan ti, fermenti drammatici e satirici che a quella letteratura appartenevano. La generazione di Andrea Calmo (nato nel 1510) è, dunque, quella contrassegnata da questa fondamentale espansione e associazione della cultura italiana e, insieme, dai primi segni di questa chiusura e precipitazione. Questa generazione viene, anzitutto, al mondo e in esso muove i suoi primi passi quando la stampa è divenuta già un'industria fiorente e ha rivoluzionato le modalità di circolazione e di ricezione della letteratura, quando la lingua italiana si mette a punto - da Venezia e dalla codificazione bembiana sul toscano delle “corone” trecentesche - come lingua della comunicazione e della letteratura, decretando la recessione in seconda posizione del latino umanistico, già lingua che aveva imposto la cultura italiana all'Europa. Sul fronte del teatro - dopo la generazione di Angelo Beolco detto il Ruzante, tanto per fare un nome prossimo e vicino -, la riscoperta del modo drammatico e dell'esperienza scenica, proprio in questi anni, segna quella necessaria specializzazione e invenzione dei ruoli di scena e del compattamento della figura dell'autore-attore senza cui sarebbero impensabili le associazioni 31 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 32 PIERMARIO VESCOV corporative come avvio di un “mestiere del teatro”. Riassumendo brevissimamente le direzioni di ricerca che mi hanno impegnato nel corso soprattutto degli anni ottanta e della prima metà degli anni novanta - parallelamente all'impegno editoriale sul fronte del teatro plurilinguistico di Andrea Calmo - potrei dire di essermi concentrato, da una parte, in un lavoro di ricerca documentaria e, insieme e conseguentemente, di riduzione dalla storia di una tradizione alla storia di una compagnia (i miei saggi sull'argomento sono rifusi e ripensati nel volume Da Ruzante a Calmo. Tra “Signore Comedie” e “Onorandissime Stampe”, Padova 1996). La ricerca documentaria - a partire dalla collocazione borghese di Andrea Calmo, figlio di un tintore e a sua volta proprietario di una tintoria, membro del gruppo dirigente della Scuola Grande di San Marco - ha permesso di ricostruire la storia di una tradizione come, in sostanza, la storia di un gruppo accademico dedito alla letteratura, al teatro e alla pratica scenica e alla musica e, dunque, di ricondurre all'ambiente della Scuola dei Liquidi tutte le maggiori esperienze di punta della tradizione plurilinguistica veneziana e veneta di mezzo Cinquecento, poiché a questo consesso appartennero e collaborarono - anche sulla scena - accanto al Calmo, personalità come il veneziano Antonio da Molin detto Burchiella (che Lodovico Dolce ricorda come il “primo” a “mutare in più lingue” le commedie) e il rodigino Gigio Artemio Giancarli. La storia della commedia plurilinguistica veneziana si riduce, di conseguenza, dalla storia di una tradizione alla storia di una compagnia preprofessionale, dei suoi fondatori (Calmo, Molin, Giancarli) e dei loro continuatori-imitatori (Negro, Fenarolo, ecc.). Così - per quanto riguarda il motivo implicito di caratterizzazione in rapporto alla sede del presente incontro - la storia del greghesco, cioè dell'invenzione teatrale e letteraria forse più mirabile e caratterizzante della storia del plurilinguismo veneziano del Cinquecento, è anzitutto la storia del registro inventato - sulla scena, sulla pagina scritta, infine nell'ambito della scrittura musicale, tra gli anni '30 e gli anni '70 del secolo - da uno dei fondatori dei Liquidi, quello a cui Andrea Calmo in una delle sue Lettere si rivolge come il compagno fondamentale di attività, il già ricordato Antonio da Molin, il Burchiella. Accanto alla specialità del Calmo nella parte del vecchio veneziano proto-Pantalone - e della sua più ampia pratica, in prosa e in versi, di un bizzarro veneziano arcaico, di remota e burlesca fondazione lagunare e isolana, irto di chiazze di latino grosso e di linguaggio avvocatesco -, noi possiamo seguire quelle di Antonio da Molin, impegnato nelle commedie di Calmo e Giancarli nei ruoli assortiti dei personaggi che si esprimono in greghesco, e fuori, come autore del rilevante poema I fatti e le prodezze di Manoli Blessi stratiotto, fino all'invenzione del genere musicale della “greghesca”. A 32 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 33 LA COMMEDIA DELLE LINGUE SULLA SCENA VENEZIANA DEL SECONDO CINQUECENTO Mentre Giancarli - pittore, letterato e attore, autore de La capraria e La zingana - muore presumibilmente all'inizio degli anni cinquanta, Calmo e Burchiella - insieme ad altri compagni di recite - risultano a questa data essersi ritirati dalle scene. Non è questa la sede per percorrere, nemmeno per grandi linee, la storia di questa esperienza e di ragionare sulle possibili cause della fine della pratica attiva del teatro. Ma è certamente istruttivo che il compito di invenzione e sperimentazione di questo gruppo e di questa generazione si arresti a questo punto, sulla soglia del principio dell'esperienza del teatro di mestiere. La prima “commedia dell'arte” batterà non solo le piste dei Liquidi, in un'imitazione spesso serrata, ne erediterà esperienze, strutture comiche, repertorio e fondazione dei ruoli, ma riceverà tutto questo - come abbiamo sentito nel passo sopra citato di Dionisotti - al seguito di una caduta o di una precipitazione, di una divisione di saperi e ruoli, che rappresenta il vero spartiacque tra la pluricompetenza di questi dilettanti e la determinazione di un mestiere, che è prima e piuttosto una chiusura e un depauperamento - lo si ricordi, fuori dalle mitologie retrospettive - che un'investitura o un ampliamento di esperienza. 3. Tra il prima della fase espansiva e associativa e il d o p o della ripartizione professionale molti fili potrebbero essere oggetto di analisi riavvicinata, riconoscendo all'esperienza veneziana appena descritta il valore di un campo privilegiato di osservazione. Elementi di continuità e discontinuità potrebbero essere, in questa direzione, oggetto di applicazione non generica, proprio a partire da una preliminare distinzione storica: il rapporto tra l'orizzonte letterario-spettacolare e la riduzione a moduli di repertorio; l'invenzione di specialità di scena e la pratica dei ruoli con la loro chiusura e codificazione nella definizione di un organico di compagnia; il teatro riflesso nell'opera letteraria (come mostrano le Lettere del Calmo o il poema di Molin-Manoli Blessi) e la riduzione di quella letteratura a g e n e r i c i, a prontuari per battute e situazioni sceniche da parte dei comici di mestiere; la pluricompetenza di un gruppo scelto di uomini di spettacolo dilettanti e la determinazione, o chiusura, di tecniche professionali, e così via. In questa sede - anche per la comodità di riprendere cose già scritte e per la specifica caratterizzazione di questo incontro e della sua sede - proverò a soffermarmi brevemente sul fatto tra tutti caratterizzante questa esperienza, la pratica del plurilinguismo comico, come dato di rilevante differenza ma anche come elemento per tentare un'ulteriore ripartizione del campo. La restrizione della commedia plurilinguistica, nel senso più appropriato del 33 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 34 PIERMARIO VESCOV termine, all'interno di una generale e larga caratterizzazione in senso parodistico ed espressivo del registro linguistico e dell'imitazione dei diversi linguaggi, come pure di una più o meno “organica” presenza dei dialetti sulla scena, può essere forse descritta con un'opposizione che ho provato, per necessità pratica di distinzione, a mettere in campo qualche anno fa, nelle ricerche sopra ricordate. Si tratta, naturalmente, di una formula argomentativa, che sacrifica la ricchezza e l'individualità della storia alla necessità di una descrizione sintetica, che però, se ovviamente schematica e selettiva, non mi sembra falsa. Si tratta della differenza di questo plurilinguismo, che chiamerei “connotativo”, all'interno della vastissima estensione di un plurilinguismo inteso come risorsa essenzialmente “simulativa”. La differente complessità che questa circoscritta stagione della sperimentazione comica veneziana pone consiste in una funzionalità meno ovvia e scontata di quella che generalmente risulta dal quadro medio, prima e dopo, di una secolare esperienza di imitazione, in proporzione deformata dalla finalità comica, delle parlate “straniere”. Gli oggetti - anzitutto il greghesco, quindi lo schiavonesco, ma anche le applicazioni al tedesco o all'arabo, che troviamo come risorse particolari, probabilmente legate a singoli interpreti, in alcune commedie di questo àmbito - sono dei linguaggi, certo artificiali, costruiti come vere e proprie lingue comiche di scena, ma che presumono una attenta osservazione e ricreazione delle lingue reali. I testi del Calmo e del Giancarli che ci sono giunti - più in là della semplice risorsa del riso suscitato dalla simulazione eterolinguistica - riescono infatti a realizzare quello che Manlio Cortelazzo ha definito un comico dell'equivocità interlinguistica. Motore di questo comico non è la semplice imitazione di alcuni tratti caratterizzanti una lingua - procedimento che si applica spesso e ovunque - ma una meditazione sull'interferenza del sistema linguistico primario dei personaggi fatti agire in commedia sul sistema linguistico per essi secondario, che è invece la lingua del pubblico; la lingua che essi, semplificata come una base di lingua franca, tentano di parlare è quella su cui poggia la comunicazione (tanto di questi personaggi con altri personaggi che di questi personaggi col pubblico). Parlanti inevitabilmente goffi e maldestri, per l'ufficio comico loro riservato, i protagonisti e i comprimari alloglotti di queste commedie risultano sì comicamente messi a malpartito dalle difficoltà della comunicazione, ma capaci di assicurare tuttavia agli altri personaggi e agli spettatori un livello sufficiente di comprensione. Queste lingue sono, dunque, costruite anzitutto secondo una caratterizzazione fonetica e morfologica a partire dall'interferenza delle “lingue in contatto” nel parlar franco (secondo una sintassi e una grammatica semplificate); secondariamente caratterizzate da non banali inserti alloglotti, che comprendono le espressioni più comunemente diffuse e note ma anche A 34 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 35 LA COMMEDIA DELLE LINGUE SULLA SCENA VENEZIANA DEL SECONDO CINQUECENTO inserti complessi; un sistema di autoglossa - che sulla scena sarà stato ovviamente amplificato da un sistema mimico di relazione e traduzione - offre infine una restituzione più o meno approssimativa - per quanto il personaggio sa e può - nella lingua di chi ascolta. Questa complessità è ovviamente estranea alla contraffazione che abbiamo definito “simulativa”, che ha per lo più proporzioni brevi, che imita le risorse meramente “coloristiche” delle altre lingue, addirittura prescindendo dal contenuto semantico, o che distribuisce su una parlata altrimenti “normale”, o storpiata entro termini del tutto convenzionali, una serie di tratti distintivi come una patina comica. É nel quadro di risorse, appunto, eminentemente simulative che rientra la tradizione buffonesca che precede - e che certo affianca - i tempi di Calmo e sodali, come poi la secolare tradizione delle caratterizzazioni linguistiche anche nella cosiddetta commedia dell'arte, in cui agirono certo e la simulazione fonetica senza contenuto semantico - una direzione che sembra testimoniata da quella che viene descritta già come una specialità monologica dei buffoni veneziani: il vespro o brigata di voci - e la generica caratterizzazione fonetica che traveste, come per esempio francesi, inglesi o spagnole, le parlate di molti personaggi. 4. Questa rapidissima descrizione sembrerà, al contrario dell'assunto iniziale, voler seccamente opporre un uso “modulato” dei registri plurilinguistici - che si esprime nella caratterizzazione di speciali lingue di scena e nel loro plurimo scambio comico nel dialogo teatrale -a una comune risorsa delle lingue “stroppiate”, che caratterizza in larga parte il teatro di tradizione attoriale italiana o, almeno, il suo versante più noto e visibile. In realtà l'opposizione ora messa in campo - in nessun senso esclusiva - si potrebbe meglio intendere come riferibile alla densità di un procedimento: non si tratta, infatti, di stabilire l'estraneità totale alla bisecolare storia del teatro comico italiano dei professionisti a un plurilinguismo “modulato”, quanto la minorità di questa risorsa - elettiva, invece, per l'esperienza della compagnia dei Liquidi - rispetto ai più diffusi tracciati della “simulazione” linguistica. Soprattutto la breve descrizione offerta nel paragrafo precedente intendeva mettere in campo una questione più ampia, che è forse la vera questione del nostro argomentare: quella della caratterizzazione linguistica che oppone un prima e un dopo rispetto a una bisecolare tradizione del teatro italiano che per comodità possiamo comprendere sotto il nome di commedia dell'arte, almeno nel senso in cui una “commedia delle lingue” diventa patrimonio dell'organizzazione professionale della commedia. 35 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 36 PIERMARIO VESCOV L'opposizione più ampia - e che davvero appare tra i tratti essenziali della storia del teatro italiano - è quella tra monolinguismo e plurilinguismo, e che riguarda anche, più generalmente, la difficoltà dell'impiego dell'italiano come lingua del teatro e la plurima ricchezza delle letterature dialettali in rapporto alla scena. La caratterizzazione in un ampio ventaglio di lingue distingue la tradizione italiana da altre tradizioni, anche e in particolare nel plurilinguismo riferito all'assortimento delle parti fisse che caratterizza la “commedia dell'arte”. Come la scelta monolinguismo/plurilinguismo (ovvero: caratterizzazione linguistica non imitativa o imitativa dei personaggi) s'imponga agli snodi essenziali della storia teatrale italiana - e grossomodo, potremmo dire, specialmente prima e dopo la commedia dell'arte - vorrei mostrare riprendendo qui un'esemplificazione, di cui mi sono già servito in altra occasione, che coinvolge due scritture di carattere apologetico: due testi composti a Venezia a difesa dai pregiudizi del pubblico, di fronte a un medesimo problema, visto però da due prospettive diverse, rese opposte dalla tradizione intercorsa, a distanza di due secoli. All'autore del secondo testo - Carlo Goldoni - il primo non era senz'altro noto, e il fatto di ripassare per le medesime argomentazioni, invertendole completamente di segno, può essere un indice per cercare di comprendere quanto accaduto tra l'una e l'altra testimonianza. Nel 1546, dovendo presentare al pubblico veneziano Il Travaglia, Andrea Calmo ricorre alla penna di un'illustre difensore, il teologo domenicano Sisto Medici. La difesa considera, dunque, anzitutto le regioni degli avversari del plurilinguismo, presentandole come legittime: So che li vostri generosi spiriti amano le comedie di subbietti arguti e giocondi, ma però di casi facili da intender con parole cotidianamente u s a t e, dove le persone da diverse patrie parlino nel nostro idioma in modo che noi rallegriamo i spirti e faciamo solletico e gatuzole alle orecchie del cuore. Si tratta di una sintetica descrizione del principio monolinguistico, secondo cui la lingua resta sempre quella del pubblico quale sia lo statuto linguistico dei personaggi che agiscono in scena. Ma a questa convenzione viene subito opposto un principio di inverosimiglianza, che riguarda non tanto le azioni uniformabili nel segno convenzionale della lingua di chi ascolta - una commedia tutta di greci o inglesi o francesi e che, quindi, parleranno uniformente in italiano - ma, diciamo così, il differenziale linguistico che alcuni personaggi pongono rispetto alla loro immediata estrazione dalla quotidianità, al luogo del contatto e dello scambio, e quindi della confusione e della mescolanza, delle lingue. Il luogo dove lo “straniero” deve esprimersi attraverso una lingua che non gli appartiene e che spesso non domina: Vorrebono costoro [i detrattori del plurilinguismo] che un greco o dalmati A 36 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 37 LA COMMEDIA DELLE LINGUE SULLA SCENA VENEZIANA DEL SECONDO CINQUECENTO no, parlando in italiano, favellasse con gli accenti e i modi toscani, il che non è men fori dell'ordinario che se un bergamasco avesse a parlar in fiorentino o un fiorentino in bergamasco. È qui evidente che la scelta del plurilinguismo - anche appoggiandosi alla reale esperienza della lingua franca - si pone pur sempre all'interno del nostro idioma: qui lo scarto dalla semplice “simulazione”, che si accontenta di un effetto coloristico e non consente la modulazione e lo scambio dialogico. Di conseguenza, la scelta di una risorsa più ampia non può che avvenire nella mescolanza delle altre lingue con l'italiano. I due modelli di “messa a fuoco” dello statuto linguistico della commedia che qui Medici brevemente e acutamente descrive - monolinguismo azzerato sull'italiano d'uso e plurilinguismo come espressione di differenze dentro il registro italiano - dovrebbero essere reciprocamente alternativi, ma in realtà, osservando il campione reale della drammaturgia del Calmo qui coinvolto, non lo sono. D'altra parte è evidente, a un'analisi più attenta, che solo uno statuto monolinguistico assoluto abolisce le differenze, mentre l'apertura del plurilinguismo non può disdegnare non solo l'apertura del ventaglio alle lingue della realtà - che, evidentemente, il teatro manipola sempre scenicamente - ma della stessa lingua “artificiale”. E Calmo e compagni - che sembrano partire da un plurilinguismo organico, dove ruoli e lingue rispondono all'estrazione dalla realtà (bullo di quartiere che parla in gergo, stradioto che parla in greco, facchino che si esprime in bergamasco, contadino che parla in pavano, e così via) - imbocca in seguito la strada che non gli nega alcuna possibilità, tra babele della piazza veneziana reale e lingua letteraria. Se La spagnolas è una commedia dove tutti i personaggi parlano una lingua diversa - greghesco, todesco, bergamasco, pavano, veneziano eccetera -, opere di data successiva come la Rodiana e il Travaglia mescolano personaggi che parlano il toscano letterario (pur essendo di bassa estrazione sociale, come per esempio i servi) ad altri caratterizzati dalla differenziazione dei registri connotativi. Ciò non perché Calmo non si renda conto della differenza dei piani, ma anzi, al contrario, perché le sue opere più complesse sono definite non solo dal comico delle lingue in contatto ma dei modelli in contatto, facendo reagire, e talora esplodere comicamente, le convenzioni della commedia d'impianto letterario nell'orizzonte del genere che le riceve. In fondo, si potrebbe osservare, l'alternanza in compresenza della scelta del monolinguismo e del plurilinguismo, o meglio della caratterizzazione sociolinguistica e geolinguista, si mostra già operativa nei generi narrativi. Ci sono, per esempio, alcune novelle del Decameron - tra l'altro, immenso serbatoio di personaggi e trame per la commedia cinquecentesca - dove alcune piccole coloriture dialettali sono espressive di ambientazioni precise e “realistiche” (per 37 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 38 PIERMARIO VESCOV esempio nella novella veneziana di frate Alberto, ricca di nomi, toponimi, circostanze della vita cittadina reale), altre in cui la differenza di livello sociale e di collocazione geografica dei personaggi sono espresse non dalla caratterizzazione linguistica ma dal livello stilistico della loro parlata: Peronella è napoletana, per esempio, non perché il suo discorso sia chiazzato di qualche napoletanismo, ma perché la scelta stilistica ne caratterizza una maggiore espressività. Ciò che nella Rodiana e nel Travaglia - o nelle commedie di Giancarli esprime una compresenza di sistemi, tra personaggi che parlano un italiano stilisticamente caratterizzato e personaggi che parlano lingue che ne caratterizzano il ruolo, è un sistema che si ritrova - semplificato e più rigidamente organizzato nella determinazione di un organico chiuso di compagnia - nella tradizione teatrale italiana dei professionisti. Anche qui le lingue caratterizzanti le maschere e i tipi fissi - il veneziano di coloritura arcaica di Pantalone, lo pseudo-bergamasco degli Zanni, il bolognese del Dottore, lo pseudo-spagnolo del Capitano - convivono con la fisionomia linguistica e comportamentale generica dei personaggi che parlano l'italiano, come gli innamorati, le servette e le mogli dei “vecchi”. Ma veniamo al secondo esempio. Rispondendo non solo alle critiche di piazza ma a una commedia rivale - La scuola delle mogli di Pietro Chiari -, Carlo Goldoni scriveva nel 1748 un Prologo apologetico alla sua Vedova scaltra. Un interlocutore immaginario, in ruolo di critico, rinfaccia all'autore ciò che evidentemente gli rimproverava il pubblico: lo sproposito che nella sua commedia “un inglese, un francese ed uno spagnolo parlano perfettamente italiano”. L'autore afferma dapprima che ciò può darsi anche nella realtà, ma poi, più pertinentemente, dichiara che questi personaggi non parlano davvero nella commedia in italiano ma le loro lingue tradotte in italiano, aggiungendo questa massima riassuntiva: “la lingua non fa la commedia, ma il carattere”. Anche qui è chiaro come per la precedente affermazione del Medici - che la parte avversa, e la stessa commedia plurilingue (perduta) del Chiari, non pretendevano certo che la commedia fosse determinata esclusivamente dalla lingua e non dal carattere. La rinuncia goldoniana a far “balbettare malamente” un italiano misto di lingue straniere ai suoi personaggi, tocca ancora una volta, in un esempio limite perché il Goldoni più maturo userà spesso, al bisogno, coloriture linguistiche nei suoi lavori a venire, nel teatro di parola e nel teatro per musica - il problema della messa a fuoco linguistica e l'opposizione tra statuto monolinguistico e plurilinguistico. Mentre questa opposizione non ha senso in una commedia che prevede un'uniforme ambientazione linguistica - tutti gli inglesi e i francesi e gli spagnoli di una commedia ambientata rispettivamente in Inghilterra in Francia o in Spagna possono parlare indistintamente in italiano - essa è necessariamente sollevata in una commedia, come è La vedova scaltra, dove il personaggio si A 38 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 39 LA COMMEDIA DELLE LINGUE SULLA SCENA VENEZIANA DEL SECONDO CINQUECENTO traveste e simula per esigenze di trama le lingue e i comportamenti dei suoi assortiti spasimanti. Dunque, in essa: ... gli uditori si figurano di sentirli parlare [i personaggi] nelle loro materne lingue, [...] che tutti parlino nel proprio loro linguaggio, in italiano tradotto; e ciò per la più comoda intelligenza di chi l'ascolta, per non far scomparire il personaggio con parole stroppiate, e per non mettere soverchiamente in ridicolo le nazioni. Così la Vedova non parla davvero in italiano, ma le varie lingue tradotte in italiano: Ella parla inglese, francese e spagnuolo, tradotto in italiano, come si intende parlino i tre nazionali, e le ragioni cghe ho detto di loro, fanno per la Vedova istessamente. E in questa commedia, addirittura, il dialetto - la lingua materna - va pensato tradotto in italiano: lo stesso veneziano si trova azzerato nello spazio bianco della convenzione linguistica unificante. A differenza di quanto osservato per il caso del Travaglia del Calmo - in realtà a cavallo tra due sistemi che dovrebbero essere tra loro incompatibili -, la Vedova scaltra, con un'oltranza che Goldoni non seguirà più nella sua carriera, prova ad applicare fino in fondo un modello, perdendosi nelle contraddizioni di un sistema autoimpostosi e rigidamente seguito, come accade non di rado nella storia. 5. Tra i due esempi che abbiamo messo in campo - o meglio oltre un sistema di libera pratica del plurilinguismo in una pretesa organica di corrispondenza di lingue e di caratteri e al di qua di un rigido statuto di azzeramento della lingua sul carattere - si snoda, dal punto di vista della composizione linguistica, la compresenza di sistemi - ancorché ripartiti - che caratterizza l'esperienza del teatro italiano di tradizione attoriale, tra la seconda metà del XVI e la fine del XVIII secolo. In questa eredità linguistica e nella possibilità di fare proprie altre lingue di comunicazione “veicolare” con altri pubblici - si pensi al rapportarsi al francese nella secolare esperienza della Comédie italienne come lingua-base o seconda lingua della comunicazione col pubblico - sta indubitabilmente uno dei nessi essenziali, per tornare al nostro titolo, che caratterizzano la dimensione europea della commedia dell'arte. 39 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P A 40 11:56 PM Page 40 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 41 GREEK THEATRE PRACTICE AND COMMEDIA DELL’ ARTE: A LATE RE-DISCOVERY Platon Mavromoustakos I have to say right from the beginning that, as it often happens in a conference orientated towards historical approaches or literary tradition, my paper is situated in the margins of the subject of this meeting organized by professor Chryssa Maltezou and the Acrinet with this wonderful hosting of the Greek Institute of Venice. It is situated in the margins for an additional reason: my paper refers to acting and performance history rather than textual analysis and furthermore it has to do with recent, contemporary, developments of theatre practices instead of presenting events having happened long centuries ago. I shall also say as an introductory note that tracing influences of theatre practices from one country's theatre traditions to another country's theatre activities is rather an uneasy task since we have a huge lack of evidence. As you know national archives give rather an insignificant space for theatrical documents, and the amount of narrative sources on theatre practice is quite rare in most of the cases, and even if existing, the information given, if it is not dubious, it is not as much detailed as we would desire. This is much more evident if we refer to Greek theatre, due to obvious historical reasons. Still we have some rare references that make us believe that there might be some important moments of encounters between Commedia dell'Arte actors and practices within the Greek world mainly in the Ionian Islands to be added to the influences retraced in the Cretan texts.1 Apart the much advertised tour of Antonio Molin in Corfu and Crete during the 16th century and the performance of La Fanciulla in 1583,2 there are two more intriguing mentions of the For a complete approach on the problems of theatre historiography in Greece and detailed bibliographical evidence see W. Puchner, “Μεθ ο δ ολογ ικ οί πρ οβλη µ ατισ µ οί και ιστ ο ρ ικ ές π ηγές για το ελληνικό θέ ατρο του 18ου και 19ου αιώνα. Προοπτικ ές και διαστά σ ει ς , περ ιπ τ ώ σ ει ς ", P a r a b a s i s 1 (1995), 11-112. 2 See N. Panayotakis, “^O Antonio Molino στcν Κέρκυρα, στcν Κρήτη καd στc Βενετ ί α” , Ariadni 5 (1989), 261-278, and idem, “Le prime rappresentazioni teatrali nella Grecia Moderna: Antonio Molino a Corfù e a Creta”, Thesaurismata 22 (1992), 245-360. See also St. Kaklamanis, “^H χρονολόγηση τοÜ Κατσούρµπου”, in ‰Eρευνες γιa τe πρόσωπο καd τcν âποχc τοÜ Γεωργίου Χορτάτση, Iraclion 1993, pp. 35-37. 1 41 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 42 PLATON MAVROMOUSTAKOS involvement of Greeks with Commedia dell'Arte provided in quite dubious sources for the 17th and 18th century consecutively. The first reference is provided from a book written in 1929 by Pierre Louis Duchartre mentioning a Greek Commedia dell'Arte group in Paris that has supposedly given performances of comedies, farces and ballets in 1624.3 This unverified information, to my knowledge up to now, having not left any trace in important research works concerning theatre activities in 17th century Parisian theatre life might be something that needs to be explored. If more information on the matter could be gathered it would be very interesting to discover such a group of actors as it is concerning quite an early age of Greek theatre history. The second information, also unverified, is provided by the Mémoirs of Giacomo Casanova. Casanova in his chapters where he describes his life in Corfu, most probably between 1745 and 1747,4 a period where the decadence of the Commedia dell'Arte, as a very popular genre, was obvious in Italy and the whole of Europe. It is true that we have concrete evidence for theatre activity in Corfu for the introduction of the opera in the year 1733 and much more evidence for a continuous theatre life after 1770.5 Still there is no significant evidence for theatre activities in Corfu during the 1740s. Casanova, in love with the wife of an Venetian official, as usually desperately, in order to fulfil her desire for theatre during the period of the carnival decided to travel to Italy and bring a theatre group for her entertainment. Following his writings he arrived in Otranto where he found a Venetian group of actors. He says: It was a pleasure for me to see a Venetian whom I knew, who was playing Pantalone, three female actresses that could make people like them, one Policinella and one Scaramucia, and the whole looked quite satisfying.6 Following the records kept in the Archives of Corfu it is impossible to verify if an Italian group arrived in this island due to the Casanova ef f o r t .7 So we can still have a wishful thinking that some day we might find some concrete evidence on this event. After the 18th century we have no other mention of any Greek performance that has to do with the Commedia dell'Arte groups or Commedia dell'Arte techniques. Furthermore if we find any evidence for that type of performances our P. L. Duchartre, The Italian Comedy, New York 1966, p. 77. J. Casanova de Seingalt, Mémoires. Histoire de ma vie, Paris 1993, chapter XIV, pp. 176-238. 5 On the matter see P. Mavromoustakos, “Το ιταλικό µελόδραµα στο θέατρο Σαν Τζιάκοµο της Κέρκυρας (1733-1798)”, Parabasis 1 (1995), 147-191. 6 Je vis avec plaisir un Venitien que je connaisais et qui jouait Pantalon, trois actrices qui pouvaient plaire, un Polichinelle, un Scaramouche, et le tout me parut assez passable (in Casanova, Mémoires, op. cit., pp. 224-227). 7 On the matter see Puchner, “Μεθοδολογικοί προβληµατισµοί”, op. cit., 80; Mavromoustakos, “Το ιταλικό µελόδραµα”, op. cit., 161. 3 4 A 42 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 43 GREEK THEATRE PRACTICE AND COMMEDIA DELL’ ARTE: A LATE RE-DISCOVERY idea on Greek theatre practice history would not change. The Commedia dell'Arte never penetrated in a significant way Greek theatre practices but we can only retrace some echoes of the characters in several of the Greek texts. We have to wait until almost the end of the 20th century to find, in a strange way, concrete interest for Commedia dell'Arte. It is quite funny to see that this interest for Commedia dell'Arte is due to the revival of the interest of Greek theatre practitioners for Carlo Goldoni, the writer to whom European history is indebted the great reform of the Commedia dell'Arte and the final transformation of the genre. The influence of Goldoni in Greek theatre is much more important dating from the 18th century due mainly to translations of his plays and some quite early performances of his opera librettos in the island of Corfu.8 Performing Goldoni in the 19th century is relatively frequent9 and the same goes for the first years of the 20th century. But really frequent presentation of Carlo Goldoni's works by Greek scenes is obvious within the last 35 years of the 20th century and this fact is clearly illustrative of the Venetian author's growing popularity. It must be noted that this recent trend in the repertoire choices of Greek theatrical companies is the end product of a long-term speculation that can be detected in the European scene from the start of the previous century. At the same time, we must also state that the scenical approach in the Goldonian plays was determined from the initial questioning that characterized the first performances in our century. Furthermore we could say that this new approach of Goldoni's collective works was essentially determined by two different approaches, opposing at most, but also onesided (partial). On the one side we are in a position to detect a naturalistic approach (without doubt C. Stanislawski and the performance of Locandiera by the Art Theatre of Moscow introduced this trend into the European scene); on the other hand we can recognize an approach that is based on the image that the 20th century formed for the stylisation of the Commedia dell'Arte acting (the emergence of which can be largely attributed to the director Max Reinhard and the performance of Il servitore di due padroni in 1923). These two different approaches would come to determine Goldoni's treatment until recent times.10 See Mavromoustakos, “Το ιταλικό µελόδραµα”, op. cit., 165. On Goldoni and his inf luence during the 19th century see D. Spathis, Ο διαφωτισµός και το νε ο ελληνικό θέατρο, Thessalonica 1986, more specifically his paper “Gheorgios N. Sutsos traduce/riadatta Guarini, Metastasio, Goldoni” delivered at the conference Testi letterari italiani tradotti in greco (dal '500 ad oggi), ed. M. Vitti, Messina 1994, pp. 163-172 and Anna Tabaki, Η νε ο ελληνική δραµατ ο υ ργία και οι δυτ ικές της επιδράσεις (18ος-19ος αι.). Μια συγκριτική προσέγγιση, Athens 1993. 10 A clear and complete evaluation of tendencies in modern direction is provided by B. Dort in “Pourquoi Goldoni ajourd'hui”, Théâtre Réel, Essais Critiques 1967-1970, Paris 1971, pp.78-91. 8 9 43 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 44 PLATON MAVROMOUSTAKOS A fresh outlook to his works came with the consecutive directions of Il servitore di due padroni by Giorgio Strehler who provided the Italian and the European public one of the most important performances of the century, returning continuously to this play from 1947 to 1977.11 In many purposes this play that derives most from the famous canovaccio of Luigi Riccoboni has been an important link between the Commedia dell'Arte and modern scenic practices, very much influenced by the work of Giorgio Strehler. His approach, it could be said, is primarily based on the famous quote by Goldoni himself: The two books on which I delved the most and which I will never regret using are World and the Theatre.12 According to the rather conclusive - following a systematic study of Strehler's performances - notion by Bernard Dort we must accept that Strehler never ceases to explore this connection between World and Theatre - if by audience we mean the description of daily activity which is dominated by need and leads to an economic activity; and by theatre a game that is regulated both by tradition and a series of events and which, in turn, reaches its conclusion within spending- two rather opposite notions that can become joined in a third one, however ephemeral, that is festivity.13 We should also add that, for Goldoni, this speculation between life and theatre corresponds to the social questioning of the relationship between the middle class on the one side and the aristocratic upper class or the people, the plebes, on the other: the first being moretheatrical, the latter nearer the lively.14 We must presume that within this environment - the new re-discovery of Goldoni's plays by Greek scenes became a reality after the initial echoes of Strehler's direction is often defined by the director's tendency of repeating the same plays, gradually altering the way in which he views the play. Without doubt, the most quite evident example of the above is the frequent staging of the Servant of Two Masters, a play that has invariably determined both the career course and the reputation of Strehler himself. This particular play was first put up on stage by Strehler in 1947. It stayed on stage over the course of the following two years (1948-49). In 1952, a new version was introduced, which remained on the repertoire of the Piccolo Teatro until 1956. A third version was introduced in 1963 which was performed up to 1968, with a fourth version following in 1973; in 1977 a fifth version was presented which has remained in production up to the present date. (All information with regard to Strehler's performances is derived from the magazine of the Piccolo Teatro di Milano). For a more detailed approach see also: Catherine Douël Dell'Agnola, “Cinq versions d' 'Arlequin'. Evolution de la scénographie”, in Strehler, Paris 1989 [Les Voies de la création théâtrale 16], pp. 141-153. 12 This quote is derived from the prologue of the first collection of his comedies; Mario Barrato was the first to point out its great importance for the further understanding of Goldoni's works. An extract of Barrato's study (in Greek) has been published in the theatre magazine Theatrica Tetradia 16, under the title “Ο µαθητευόµενος της πραγµατικότητας”,13-15. 13 See B. Dort, “Στρέλερ και Γκολντόνι”, Theatrica Tetradia 16, 17; idem, “Goldoni le bourgeois contre Gozzi l'aristocrate”, Le Monde Dimanche, 20 February 1983, which deals with more recent performances of Goldoni in France. 14 In Le Monde Dimanche, 20 February 1983. 11 A 44 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 45 GREEK THEATRE PRACTICE AND COMMEDIA DELL’ ARTE: A LATE RE-DISCOVERY Strehler's directions sparked off renewed interest for the relation of Goldoni's work and the Commedia dell'Arte in Greek theatre practice. With respect to Goldoni's recent performance list, we must note that for some time, his plays were absent from the Greek scene of the immediate post-war era.15 Being much more approached in an academic way it is almost normal that his texts where more or less neglected by innovating theatre groups. We must also postulate that a new interest in his plays has been brought due to certain important performances in the last few decades. The first performance to re-kindle interest for Goldoni was that of the Servitore di due padroni (translation by Gerasimos Spatalas) - directed by Giorgos Lazanis at the Veaki Theatre, the stage belonging to the famous Karolos Koun Art Theatre.16 After 1976, Goldoni starts to appear more frequently in Greek scenes - while in the twenty years ever since that first staging other important significant performances further renewed interest for this particular writer.17 Goldoni's works would continue to be presented not only by Athenian scenes - but would also invariably constitute the basic core of the annual programme of municipal theatres - from the mid-1980's onwards, Goldoni would become frequently seen in Greek performance lists.18 Quite indicative of the limited interest registered by modern Greek theatre practitioners is the repertoire of the National Theatre of Greece. From a first list of performances of Goldoni's works by the National Theatre, it is rather evident that, despite the fact that his plays have always figured prominently in the repertoire of some of the major theatrical companies, nevertheless, within a wider perspective, Goldoni has had a relatively small presence. The National Theatre first performed a play of Goldoni in 1933, La locandiera directed by Photos Politis, its first director. Between 1933 and up to 2003 the Goldonian performances of the National Theatre have been the following: Servitore di due padroni (Υπ η ρ έτης δύο κυρίων) directed by Dimitris Rondiris in 1937, Il ventaglio (Η βεντά λ ι α ) directed by Takis Mouzenidis in 1941, again La locandiera directed by Costis Michaelidis in 1950, Il burbero di buon cuore (O κα λόκαρδος γρινιάρης), and La bottega del caffè (Το κα φ ε νείο) directed by Socrates Karantinos in 1951 and 1968 consecutively. Since that year only L'impresario delle Smirne (Ο ιµπρεσ ά ρ ι ος της Σµύρνης) directed by Giorgos Remoundos was played in 1993. (Information for these performances is provided by the chronological catalogue of performances in the volume 60 Χρόνια Εθνικό Θέατρο 1932-1992, Athens 1992, pp. 207-220 and the more recent catalogue compiled by Giorgina Kakoudaki annexed in 100 Χρόνια Εθνικ ό Θέατρ ο, [Athens] 2000 and the annual survey Epilogos for the years 2001-2003). 16 Premiered in October 29, 1976 with sets and costumes of Damianos Zarifis included in the casting several of the most important actors of the group such as Reni Pittaki (Beatrice), Giorgos Armenis (Troufaldino), Vassilis Papavassileiou (Dottore), Andonis Theodorakopoulos (Florindo) et.al. 17 Among the performances of recent years it is worth singling out that of Le baruffe chiozzote (Καυ γά δ ες στην Κιότζα) directed by Spyros A. Evangelatos at the National Theatre of Northern Greece in 1980 and I rusteghi (Οι αγροίκοι) directed by Lefteris Voyatzis in 1983. 18 In the period between 1984-1986, the Municipal Regional Theatres (created in 1982 in several Greek t o wns) frequently perform Goldoni's plays, as well as new companies created by actors and directors belonging. Every Municipal and Regional Theatre in Greece has performed at least one play of Goldoni. As for example of this practice we could mention the director Vassilis Papavassileiou who has directed La bottega del caffè (Το καφενείο) in the Municipal Regional Theatre of Larissa in 1984 and La casa nova (Το καινούργιο σπίτι) in the theatre group he created in 1985. 15 45 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 46 PLATON MAVROMOUSTAKOS Fig. 1 and 2: Two characteristic moments of the Arlechino servitore di due padroni directed by Giorgio Strehler. In the five versions of the performance the main role was played by the actors Marcello Moretti (from 1947 to 1961) and Ferruccio Soleri (from 1963 to 1977). (Photographs published in the programme of the performance) Fig. 3, 4 and 5: Arlechino servitore di due padroni at the Karolos Koun Art Theatre directed by Giorgos Lazanis. The actor Giorgos Armenis in the main role. (Karolos Koun Art Theatre Archive - Photo by D. Argyropoulos) A 46 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 47 GREEK THEATRE PRACTICE AND COMMEDIA DELL’ ARTE: A LATE RE-DISCOVERY Fig. 6: La Moscheta at the Karolos Koun Art Theatre directed by Giorgos Lazanis. Fig. 7: I due gemelli veneziani at the Karolos Koun Art Theatre directed by Mimis Kouyoumtzis. (Karolos Koun Art Theatre Archive - Photo by D. Argyropoulos) Although the works of Goldoni that we are aware of are only but a small fraction of his prolific play-writing production, his impressive volume of works, we must state that nowadays the Greek scene tends to run side by side with that of the rest of Europe, at least with respect to the choice of plays that are produced; at the same time, we must admit that acting by itself often presents significant solutions for the further investigation of the relationship of Goldoni's works to the previously existent Commedia dell'Arte. Within this line of reasoning, one can add the effort to display the lesser known texts by Goldoni, which are based on the forms of the Commedia dell'Arte and that not only do they deviate from the established form of the self-improvising scenario of the commedia's canovacci, but also attempt to introduce elements of a more rational approach to theatre by following the great model that the work Servitore di due padroni presented for both the writer and for the European stage of the 20th century in general. Probably to this fact is also due a sudden interest also for the play of Ruzzante La Moscheta that has been performed 47 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 48 PLATON MAVROMOUSTAKOS in the same context.19 We must also recognise that Goldoni always begins with the desire to use the technique of Italian actors - trying to show (within the plot of each play) a new fresh outlook for each single part. This, after all, constitutes the main theme behind the writing of many of his plays. On this purpose The Venetian Twins (I due gemelli veneziani) offers a significant example. It is an interesting coincidence that this play offers also the possibility to compare theatre practices in Greece and the European scene of the last years of the twentieth century. The play was performed by the Art Theatre of Karolos Koun in 1992 in a very interesting performance in which we recognise echoes from Strehler's approach.20 According to the evidence at our disposal, this play was written in 1747 and was performed at the Teatro di Sant'Angelo the following year.21 The Teatro di Sant'Angelo, originally intended for opera performances was rented out to Gaspare Gozzi for the theatrical season of 1747-8. With this programme, Gozzi attempted to bring a revival into Italian comedy; however, his efforts failed and the Medebach Company moved into the theatre, after its return to Venice in 1748. This theatre was added to the two other theatres of Italian comedy already in existence in Venice - the Teatro di San Samuele and the Teatro di San Luca. Only two actors could guarantee success to this recently arrived company in Venice, which had to compete against extremely talented opponents that were already well known in the Capitol, as Goldoni mentions in his Memoirs.22 These two actors were Teresa Mendebach (the wife of the manager of the theatre company) and the Pantalone Cesare Darbes. The former quickly established herself after assuming the leading role in the tragedy Griselda and especially in the comedy The Worthy Woman (La buona moglie). The only thing remaining was for the Pantalone Cesare Darbes to become established in turn. Two interesting performances have been produced. The first one in 1977, almost immediately after the success of Arlechino, by the Karolos Koun Art Theatre and the second in 1982 directed by Spyros Vrachoritis with his group in Volos. 20 Premiered in February 10, 1994 directed by Mimis Kouyoumtzis, one of the successors of Karolos Koun in the direction of the Art Theatre with sets and costumes of Lili Pezanou, music by Philippos Tsalachouris, the performance included in the casting several of the most important actors of the group young generation. 21 The Venetian Twins are included in Bettinelli's first edition of Goldoni's comedies (1750) and in that of Paperini in 1755; it is not included in Pasquali's edition (1751) which was published while Goldoni was still alive. After its great success in Venice, this play was later performed in Vienna (1751) where it was soon after published in translation (1752 and 1756). The above information is derived from Anna Fonte's entry note that accompanies the publication of Goldoni's works by the Bibliothéque de la Pleiade (pp. 1486-1487). 22 C. Goldoni, Mémoires de m. Goldoni pour servir à l'histoire de sa vie et a celle de son théâtre, Paris 1992, p. 243. 19 A 48 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 49 GREEK THEATRE PRACTICE AND COMMEDIA DELL’ ARTE: A LATE RE-DISCOVERY Goldoni thought that this marvellous actor could perform without wearing a mask and still triumph on stage. For this reason, he wrote a comedy that was only performed for one night, as it did not go down well with the audience. To regain his confidence, the actor himself chose to perform in a comedy while wearing a mask. This took place in the next performance, of the play L'uomo prudente. However, Goldoni was still not willing to refrain from any further attempts to establish the actor in parts that did not demand his face to be uncovered. The theatrical company then introduced I due gemelli veneziani that Goldoni had written for the same Pantalone in the summer of 1747 when the Mendebach Company was still in Pisa. This play, first performed in Venice in the autumn of 1748 and with 23 consecutive performances in the following two years, proved to be a sterling success. Goldoni's request found its definite expression in the comedy The Venetian T w i n s. The use of the motive of twins was very popular to the scenario writers of the Commedia dell'Arte. Disguised faces that by the end of the play prove to be brothers and sisters, lost children in shipwrecks are discovered after many episodes full of misunderstandings which are based on the fact that the audience is aware that each part is un-familiar with the other one during the course of the misunderstanding, which is the most tried and trusted method in European comedy. We see it in the works of both Shakespeare and Regnard as well as many other writers after Goldoni; without doubt its original inception belongs to Plautus. The scenic presentation of two, sometimes four or even six identical faces, with the misunderstandings that the simultaneous presence of so many identical faces is capable of bringing about, gave theatrical action a inexorable new find.23 Goldoni, just like Regnard did (in his own version of the Menaichmoi) revives the old theme by bringing in contrast the natural likeness with the tremendous difference in characters by juxtaposing the "happy, smart, pleasant" character of one part to the "uncouth and dismal" character of the other. Cesare Darbes, who lead both roles, would get a triumphal reception by the audience. Aside from the potential that the likeness motive can offer to the development 23 It is possible to single out many scenarios for improvisation by actors of the Commedia dell'Arte that not only reproduce the motive of similarity but also reproduce the essence of Goldoni's work itself. It must be noted that the works that belong to the era before the I due gemelli veneziani have served as the obvious pre-cursor to this play and have influenced the writer to a much greater extent than any of the plays belonging to his contemporaries. For example, from the scenarios of the Flaminio Scala, which was published for the first time in 1611, two such works can be distinguished: The Old Twins and The Twin Captains. See Scenarios of the Commedia dell'Arte. Flaminio Scala's Il Teatro delle Favole Rappresentative, transl. by H. F. Salerno, New York 1992. 49 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 50 PLATON MAVROMOUSTAKOS of a plot full of surprises, it can also present itself as a classic trick for selfimprovisation from actors of the Commedia dell'Arte that were used to playing all parts wearing a mask and by following certain ploys that were easily recognisable to the audience. In The Venetian Twins Goldoni took away these tricks and determined a new use for each role, which although known previously, are nevertheless presented through a new point of view that tends to subvert any preconceived theatrical image that might be developed by contemporary audiences. The request for the renewal of theatrical script is satisfied with Goldoni's work; however this leads to the emergence of a new request which is up to theatrical practice to satisfy. We can assume that this request makes us return to the initial conflict: the conflict between the free improvised acting of the Commedia dell'Arte and the more reserved and self esteemed acting that characterises "serious" comedy. For theatre practitioners today the balance leans towards improvisation and t h e r efore we can assume that popular motives and acting traditions of Commedia dell'Arte become a reason for the renewal of modern approaches to comedy. Our contemporary idea of what the Commedia dell'Arte techniques have been affects the work of the directors. Still a new question arises: are we repeating a conflict between popular theatre forms and "serious" theatre more than three centuries after the conflict of Goldoni and Gozzi? And if so where are we referring to: the World or the Theatre? Still Commedia dell'Arte remains the form that obliges us to remodel our vision towards theatre. A 50 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 51 «SON D’ ILLIRICA PATRIA, PATRIA FAMOSA AL MONDO... »: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA* Anna Scannapieco È triste che spesso, per essere un buon patriota, si sia il nemico del resto degli uomini. (Voltaire, Dizionario filosofico, 1764) D a Stiepo Bruich da Pastrovicchio, mercanta de castradina, al capitan Radovich di Cattaro, stirpe gloriosa, antica, / della sua patria amante, e della gloria amica:1 sotto questo ideale titolo ben potrebbe raccogliersi e sintetizzarsi il percorso tracciato dalle “frequentazioni” della Dalmazia esperite, nell'arco di un trentennio e in modi disomogenei, dal teatro goldoniano. Scarne frequentazioni, in verità, e tuttavia ben rappresentative di un'evoluzione più complessiva o - se si preferisce, e con maggior cautela - della natura composita e complessa dell'operato drammaturgico goldoniano: nel loro stesso oscillare tra convenzione e sperimentalismo, nel loro essere debitrici verso sedimentati codici spettacolari e costituire ad un tempo sensibile riflesso di un ben distinto engagement culturale e “politico”.2 Tanto più meritevoli di ricognizione e analisi, inoltre, in virtù del * Il presente contributo è stato all'origine di una più ampia indagine, che ha condotto alla realizzazione dell'edizione critica della Dalmatina, nell'ambito dell'Edizione Nazionale delle Opere di Carlo Goldoni (Venezia, Marsilio). D'ora in poi tutte le citazioni di questa tragicommedia - di assoluta centralità nel disegno critico qui delineato - si intenderanno tratte da tale edizione, indicata sinteticamente come Dalmatina, EN. Salvo diversa avvertenza, le citazioni goldoniane si intendono tratte da C. Goldoni, Tutte le o p e r e, a cura di G. Ortolani, 14 voll., Milano 1935-1956: al titolo dell'opera farà immediatamente seguito l'indicazione del volume e di pagina; nel caso di citazione dal corrispettivo maior di questa edizione (40 voll., Venezia 1907-1960), le indicazioni saranno precedute dalla sigla MV. Per quanto riguarda le citazioni a testo, esse sono desunte, rispettivamente, da La birba (X 1228) e da La dalmatina (EN, I.3.61-62). 2 Sull'oggettivo rilievo dell'engagement profuso dal commediografo veneziano nella discussione spettacolare di tematiche di emergente interesse politico, cfr. il fondamentale contributo di G. Cozzi, “Note su Carlo Goldoni, la società veneziana e il suo diritto”, Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti 137 (1978-1979), 141-157 (ora in idem, La società veneta e il suo diritto. Saggi su questioni matrimoniali, giustizia penale, politica del diritto, sopravvivenza del diritto veneto nell'Ottocento, Venezia 2000, pp. 3-17). Nell'ambito dell'Edizione Nazionale delle Opere di Carlo Goldoni, hanno sinora messo a frutto e sviluppato tale prospettiva interpretativa le edizioni critiche de L'uomo prudente (a cura di P. Vescovo, Venezia 1995), de Il padre di famiglia e de La buona madre (entrambe a cura di Anna Scannapieco, Venezia 20022 e 2001). 1 51 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 52 P ANNA SCANNAPIECO loro essere state oggetto di un'attenzione critica parziale o, soprattutto, aneddotica, concentrata sul monitoraggio della cordiale simpatia con cui il commediografo avrebbe guardato all'illirica patria piuttosto che impegnata a valutare fisionomia e funzione dei vari momenti in cui la sua produzione inglobò motivi alla Dalmazia variamente ispirati. Numericamente esigui - come si accennava - questi momenti, e sarà bene considerarli distintamente, nella successione che fu loro propria sulle scene della Venezia settecentesca. 1. Il «mercanta de castradina» L a prima tessera documentaria ci riporta alla - per così dire - preistoria del teatro goldoniano: si tratta de La birba, intermezzo per musica rappresentato al Teatro San Samuele di Venezia nel carnevale 1734-1735. Come ebbe a raccontare l'autore stesso - ben quarant'anni dopo, nella prefazione al tredicesimo tomo dell' edizione Pasquali3 - il motivo ispiratore del vivacissimo intermezzo sarebbe derivato dall'attenta e divertita osservazione di una delle più caratteristiche scene cittadine: Trattenendomi di quando in quando nella piazza San Marco, in quella parte che dicesi la Piazzetta, e veggendo ed attentamente osservando quella p r o d igiosa quantità di vagabondi, che cantando, suonando o elemosinando, vivono del soave mestier della birba, mi venne in mente di trar da coloro il sogget to di un intermezzo giocoso; e mi riuscì a maraviglia.4 Riattivando in realtà una delle più antiche tradizioni spettacolari “spontanee” che la storia veneziana Il tomo in questione venne pubblicato nel 1775. Per la ridefinizione cronologica dell'edizione Pasquali, i frontespizi dei cui volumi recano tutti la stessa data convenzionale del 1761, cfr. Anna Scannapieco, “Scrittoio, scena, torchio: per una mappa della produzione goldoniana”, Problemi di critica goldoniana 7 (2000), 214-217. 4 I 720. Cfr. anche Mémoires I, capp. XXXV-XXXVI: j'avois calqué la petite piece sur les batteleurs de la place Saint-Marc, dont j'avois bien étudié le langage, les ridicules, les charges et les tours d'adresse. Les traits comiques que j'employois dans les intermedes étoient comme de la graine que je semois dans mon champ pour y recueillir un jour des fruits mûrs et agréables. […] La Birba fit le plus grand plaisir (I 162 e 164). 5 A Venezia, vivacissima città cosmopolita, d'afflusso internazionale, convenivano numerosi i cantastorie, che a Rialto o in piazza San Marco intrattenevano per pochi soldi popolani e gentiluo mini. […] Di questo affollato concorso di gente d'ogni provenienza nazionale e sociale abbiamo dovizia d'informazioni letterarie e iconografiche. Ci sono alcune eloquenti pagine di straordinaria freschezza, che Tommaso Garzoni dedica all'attività di cerretani e cantimbanchi resoconto nel migliore stile giornalistico su quante ciurmerie, industrie, inganni, spettacoli e “prove ridicolose” si svolgevano quotidianamente a Venezia e sulle figure più rappresentative di quante scenette all'aperto, senza copione e senza canovaccio, si recitavano a San Marco […]. A pubblico interna zionale lingue eterogenee […]. È naturale che ad un siffatto pubblico, predisposto ad ascoltare e anche ad apprezzare le imitazioni linguistiche per quel che di sadico è nascosto in ogni parodia del comportamento alieno, si rivolgessero i cantimbanchi (M. Cortelazzo, “Esperienze ed esperimenti plurilinguistici”, in idem, Venezia, il Levante e il mare, Pisa 1989, pp. 34-35). 3 A 52 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 53 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA annoverava,5 Goldoni sceneggia in musica il variegato metamorfismo di ciarlatani e cantimbanchi, assegnando ad una delle birbe - giusta un collaudato anche se ormai obsoleto cliché - la parte del mercante schiavone.6 Nel gioco delle lingue e delle contraffazioni,7 la parlaura dalmatina - per usare l'espressione di chi primo ne aveva dato consapevole codificazione teatrale, Andrea Calmo - entra a contatto o si avvicenda con veneziano, napoletano e bolognese, e con essa entra in scena la rappresentazione convenzionale come da relativa tradizione spettacolare, e nei modi che vedremo - del relativo “tipo” sociale e umano. Rispetto al prototipo di linguaggio schiavonesco che si era venuto codificando nel Cinquecento veneziano,8 la lingua contraffatta dalla birba Cechina - il personaggio dell'intermezzo a suo tempo interpretato da Zanetta Casanova - sembrerebbe piuttosto inclinare verso una generica connotazione di lingua franca (la dominante dell'infinito polifunzionale costituisce infatti la cifra più immediatamente percepibile dell'impasto linguistico), e tuttavia non vi mancano caratterizzazioni fonetiche, morfologiche, sintattiche e lessicali che più puntualmente rinviano ai moduli che erano stati propri di quel prototipo: dal passaggio e> a in stara e Possiamo fondatamente ritenere che i cantimbanca del XVI secolo usassero spesso trarre dal loro repertorio la figura dello slavo, che divideva col tedesco, il greco, il bergamasco e il contadino pavano, il favore, se così si può dire, della folla degli ascoltanti, molto divertiti, evidentemente, delle parodie di atteggiamenti e di parlate di gruppi “estranei” non ancora assorbiti, per costumi e lingua, nella comunità veneziana e, quindi, facilmente derisi come out-group; con l'avvertenza che la “letteratura schiavonesca” - quel complesso, a dire il vero piuttosto modesto, di poesie e poemet ti popolari con riflessi nel teatro, scritti a Venezia nel corso del Cinquecento, ma attribuibili alla prima metà del secolo, con la manifesta intenzione di rendere, a scopo “ridicoloso”, l'imperfetta parlata veneziana degli Slavi (Schiavoni), che confluivano numerosi nella città dei Dogi per ragioni di occupazione, di commercio e di milizia (op. cit., p. 46) - vede la sua fortuna legata alla personalità dell'autore-attore che ne fu massimo promotore (Zuan Polo), e che tende pertanto ad esaurirsi nel corso dello stesso secolo che ne aveva visto la fioritura (op. cit., pp. 50-51). 7 Si potrebbe considerare una varietà in minore di quella “commedia delle lingue sulla scena veneziana” illustrato in questo stesso volume dal contributo di Piermario Vescovo, ferme restando le fondamentali distinzioni operate dallo studioso tra “plurilinguismo di modulazione” e “plurilinguismo simulativo”, tra “comico di interferenza” e “comico impressivo-coloristico”: distinzioni a cui pertanto senz'altro rinviamo, come a categorie d'analisi atte a interpretare anche il fenomeno richiamato in questa sede. 8 Nella ricerca di elementi caratterizzanti il modo di parlare veneto da parte dei Dalmati del litorale (dei Ragusei, solitamente), ricorrono, sì, all'immissione nel discorso cantato sulle piazze o recitato sulla scena di alcune parole croate (poche e le più diffuse, certamente, e note comunemente anche a Venezia) inserite in movenze morfosintattiche ritenute tipiche e, comunque, immediatamente riferibili per allusione ad un insieme etnico-linguistico ben preciso, ma l'ordito e la trama del tessuto parlato restavano nettamente veneziani e le chiazze spurie potevano fare spicco proprio perché in episodica opposizione all'uniformità idiomatica generale (M. Cortelazzo, “Contributo della letteratura schiavonesca alla conoscenza del lessico veneziano”, in idem, Venezia, il Levante e il mare, op. cit., p. 173). Una descrizione sistematica delle caratteristiche di tale linguaggio è in idem, “Il linguaggio schiavonesco nel Cinquecento veneziano”, Venezia, il levante e il mare, op. cit., pp. 125-165, in part. pp. 132-164). 6 53 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 54 ANNA SCANNAPIECO in mercanta, a quello e> i in forsi e mistier, o a quello o> a in f o r m a g g i a; dall'omissione dell'articolo all'inversione dei costrutti ritenuti normali (parlar de muggier mia), sino all'inserto di tessere lessicali o frastiche croate (l'immancabile dobro jutro gospsodine, “buongiorno signore”, che verrà ripescato anche nei Mémoires9 per punteggiare caricaturalmente il resoconto di una losca vicenda “ragusea”, su cui ci soffermeremo più avanti). Si tratta di un vero e proprio unicum10 nel pur sterminato quanto differenziato corpus goldoniano, e in quanto tale tanto più sorprende la sua mancata menzione nella letteratura critica d'argomento.11 Al di là di tutto quello che vorrà far credere la retrospettiva “automitografia” dell'autore,12 esso documenta in termini molto suggestivi i ben radicati legami (drammaturgici, oltre che linguistici) della prima produzione comica goldoniana con la tradizione dell'Arte e, nella fattispecie, con quegli Per la citazione del relativo passo, cfr. infra, n. 31. Niente a che fare con la parlata del levantino Isidoro - per l'esattezza, Caicchia Isidura - il personaggio delle Donne de casa soa a cui si fa solitamente riferimento per documentare presunte tracce di schiavonesco in Goldoni, a partire da una segnalazione di Isidoro Del Lungo (Florentia. Uomini e cose del Quattrocento, Firenze 1897, p. 356). Cfr. ad esempio M. Zorič, Italia e Slavia. Contributi sulle relazioni letterarie italo-jugoslave dall'Ariosto al D'Annunzio, Padova 1989, p. 91, che ne parla come di un'annotazione realistica e scherzosa sugli effetti dei contatti linguistici ed etnici nella Venezia cosmopolita del '700 e può essere riallacciato alla veneta “letteratura schiavo nesca” del primo '500. In realtà la parlata di Isidoro - come agevolmente rilevabile dall'analisi delle sue relative occorrenze (cfr. Le donne de casa soa, I.9-10, II.11-12, IV.4-6, V.1-2 e 4-ultima in V 1210-1212, 1225-1227, 1247-1252, 1256-1261, 1262-1268) - è genericamente levantina (e non a caso il personaggio stesso si dichiara di Corfù: cfr. V 1211), anche se dall'“etnocentrico” punto di vista dei suoi interlocutori veneziani la percezione complessiva del personaggio sfuma frequentemente i propri contorni in una confusa identità greco-dalmata (cfr. V 1205: El barba che v'ho dito veste alla levantina, / Che el par uno de quei che vende castradina; e V 1244: El sarà levantin, o pur qualche schiaon, / De quei: Tasé vu can, e parla ti patron). 11 La parlata di Cechina-Stiepo Bruich è infatti sfuggita sia allo zelante scrutinamento degli italianisti di area slava sia all'acutezza d'analisi e d'interpretazione di un Gianfranco Folena: nessun riferimento a inserti schiavoneschi è infatti rintracciabile nella puntuale disamina del plurilinguismo del Goldoni librettista comico realizzata dallo studioso (cfr., in formulazione sintetica, G. Folena, “Goldoni librettista comico”, in idem, L'italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, Torino 1983, p. 323, n. 18: Il Calepinus septem linguarum del Goldoni librettista comico compren de, con l'italiano (“tosco” o “romano” o “lombardo”) e il veneziano (e gli inserti di bolognese e napoletano come idioletti di maschere o di canterine), il francese, il tedesco e l'inglese (che di solito fanno tutt'uno), la lingua franca levantina (con specificazioni turchesche o grechesche), il latino dei medici […], dei notari […], dei pedanti […], con punte maccheroniche; per il mancato rilievo dello schiavonesco nella Birba, cfr. anche i n f r a, n. 12); solo un cenno, relegato a margine e lasciato criticamente inerte, nello studio in cui un'allieva di Folena, Nica Berlanda, è venuta sviluppando l'analisi del linguaggio degli intermezzi (Nica Berlanda, “Il linguaggio del Goldoni dagli intermezzi al 'Campiello' ”, Atti del il’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti 118 (1959-60), 270 n.). 12 Si riconsideri il modo in cui Goldoni presenterà la genesi della B i r b a tanto nelle Memorie italiane quanto nei Mémoires (cfr. le relative citazioni s u p r a, n. 4). La mistificante semplificazione retrospettiva è stata acutamente rilevata da Folena: la scoperta goldoniana del dialetto, non più come convenzione caratteristica e giocosa, […] si compie attraverso una serie di prove che hanno il loro punto di riferimento […] nell'esperienza plurilinguistica e pluristilistica dell'improvviso e 9 10 A 54 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 55 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA ascendenti per così dire indigeni e popolari che erano stati propri della tradizione di piazza nella Venezia cinquecentesca: una tradizione che - come appunto documentato dal nostro intermezzo - poteva avere ancora risonanza nell'offerta teatrale settecentesca e rispetto a cui i successivi sviluppi dell'itinerario artistico goldoniano sapranno prendere cospicue e non più colmabili distanze. Anche nella valutazione di questa tessera schiavonesca ben si potrà sottoscrivere quanto già da tempo autorevolmente argomentato sul plurilinguismo goldoniano - tanto caratteristico degli intermezzi (e, in parte, della produzione giocosa) quanto progressivamente sempre più estraneo, come residuo artificiale dell'improvviso, alle commedie -, cioè il suo non rivestire funzione realistica, caratterizzante, ma soltanto ludica, il suo inserirsi nella tradizione delle metamorfosi e dei travestimenti, ingrediente comico puramente giocoso, vero e proprio lazzo mimico-verbale-musicale.13 E tuttavia un peculiare aspetto della tradizione spettacolare ed editoriale di questo intermezzo consente di sfumare alquanto, nella valutazione dell' inserto schiavonesco, la misura di quella dimensione assolutamente "mimico-verbale-musicale" e di relativizzare quindi la portata della sua immediata - in quanto solo convenzionale e giocosa - spendibilità spettacolare: alludo alla circostanza per cui solo nei primi allestimenti - quelli veneziani, o comunque di area veneta - figurò il ruolo e la parlaura di Cechina-Stiepo Bruich, espunti sin dalla ripresa milanese del 1743 e poi per sempre rimossi nella tradizione editoriale del testo.14 Una riprova - mi pare - evidentissima del loro essere stati pensati interamente all'interno di quella variante spettacolare indigena di cui si diceva e che - senza nulla togliere al carattere nella sua lenta e progressiva riduzione. Di questo itinerario Goldoni ha voluto cancellare le tracce, con quel suo anacronistico ricercare nella sua esperienza passata le sue ragioni presenti. Così egli ci presenta il dialetto di un intermezzo giovanile, la Birba, quasi negli stessi termini che usa con ben diversa ragione per la lingua dei gondolieri nella prefazione della Putta onorata, che è il primo effettivo manifesto del suo “realismo” linguistico […]. […] prospettiva non c'è bisogno di dire quanto a posteriori, secondo una poetica maturata assai tardi: chi legge il Gondoliere, la Pelarina e soprattutto la Birba, si trova davanti al linguaggio più stilizzato e convenzionale dell'opera buffa; e nella Birba i tre personaggi parlano, oltre a un italiano appunto da melodram ma giocoso, ben tre dialetti canonici così dell'opera buffa come delle maschere, veneziano, napoletano e bolognese, e quel veneziano non è diverso dagli altri (G. Folena, “Il linguaggio del Goldoni dall'improvviso al concertato”, in idem, L'italiano in Europa, op. cit., p. 137). 13 Folena, “Goldoni librettista comico”, op. cit., pp. 314-315. 14 La redazione originaria - oltre che nella princeps Valvasense del 1735 - figura solo in un esemplare s.d. di Venezia-Bassano; l'allestimento milanese del 1743 - documentato dall'edizione Ghislandi - elimina del tutto gli inserti relativi al personaggio Cechina-Stiepo e in tale versione il testo del libretto sarà riprodotto nelle successive collettanee dei libretti goldoniani (vol. 4, Venezia (Tevernin) 1753; vol. 4, Torino (Olzati) 1757; vol. 8, Venezia (Savioli) 1770; vol. 41, Venezia (Zatta) 1794). 55 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 56 ANNA SCANNAPIECO comunque convenzionale e giocoso dell'ideazione - ne mette tuttavia in luce il vincolante grado di radicamento socioambientale. Non esportabile insomma, e nemmeno nella prospettiva puramente ludica e desemantizzata del plurilinguismo dell'Arte e del melodramma giocoso - l'inserto schiavonesco, che solo una platea veneziana avrebbe potuto gustare nella sua mimesi linguistica e rappresentativa. Che non si tratti solo della sopravvivenza inerziale di un retaggio spettacolare ormai in via di estinzione - paradossalmente legato, peraltro, alla firma del futuro riformatore Carlo Goldoni - può essere suggerito forse dalla puntualità di alcuni riferimenti, per certo non interamente risolvibili nei modi propri di uno stereotipo spettacolare: dall'ideazione onomastica di uno Stiepo Bruich alla precisa localizzazione della sua origine, quella Pastrovicchio che era esotico limine dell'Albania veneta, particolarmente famoso per la produzione della tanto familiare castradina e di altre più o meno popolari specialità menzionate dal nostro mercanta.15 Cesellature che innovano, rafforzandolo, il carattere convenzionale della rappresentazione, e ripropongono in agile e felice sintesi quelle che rimarranno le coordinate fondamentali entro cui - anche nella progressiva ascesa settecentesca e illuministica della cosiddetta dalmatologia - continuerà a muoversi la percezione e l'elaborazione letteraria degli Schiavoni: sicché attraversando le pagine in cui un Carlo Gozzi o un Casanova o un Vallaresso immortaleranno la “nazione” dalmata,16 tornerà familiare il ricordo del goldoniano mercanta de castradina che per quanto inurbato nella capitale Oltre alle convenzionali formaggia salada e botarga fumada, si riconsideri la menzione, meno abusata, delle candella ma Cattarina, rinomate candele di Cattaro. Merita ricordare che Pastrovicchio, nel distretto di Cattaro, occupava il litorale del contado di Budua fino al confine turco di Antivari per lo spazio di 10 miglia marittime; tra i suoi maggiori prodotti, oltre olio, vino e pesca, proprio la confezione delle carni salate e affumicate di castrato (cfr. V. Lago, Memorie sulla Dalmazia, Venezia 1869, vol. 1, parte seconda, pp. X-XI), molto diffuse a Venezia principalmente per la vendita che ne facevano appunto gli schiavoni negli stazi disposti lungo la riva a loro intitolata. 16 Per una sintetica panoramica di tali scritti, cfr. Zorič, Italia e Slavia, op. cit., pp. 82-84 e 106112; per un'acuta problematizzazione delle modalità rappresentative in essi riscontrabili, cfr. L. Wolff, Venice and the Slavs. The Discovery of Dalmatia in the Age of Enlightenment, Stanford - California 2001, in part. pp. 29-40, 54-55 e 265-270. 17 Così nell'ideazione e nella realizzazione drammaturgica di un giovanissimo Carlo Gozzi, apprendista militare a Zara che scopre e battezza in terra dalmata la sua futura vocazione teatrale: Io fui in Dalmazia una servetta celebre in sul teatro, nella commedia improvvisa. […] Bilanciando il genio de' miei ascoltatori e la nazione a cui doveva presentarmi, inventai un genere di servetta non più veduta. […] Lasciai da un canto la favella toscana, che usano le servette de' nostri teatri d'Italia, e perché aveva appresa la favella illirica soffribilmente, m'apparecchiai ad esprimere i miei sentimenti ne' dialoghi e ne' soliloqui improvvisi col dialet to veneziano alterato e dalla pronunzia e da molti vocaboli illirici italianizzati, a tal modo che il mio linguaggio era un gergone faceto (C. Gozzi, Memorie inutili, vol. 1, a cura di G. Prezzolini, Bari 19342, pp. 78-79, dalla parte prima, capp. X-XI). 15 A 56 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 57 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA conserva intatta, nel portamento e nel suo stesso "gergone faceto",17 la brutale rozzezza delle origini, esibita sin dai canonici mustachi e poi dispiegata in comportamenti variamente belluini, tanto nell'espressione dell'aggressività (Mi ella strangolar / E ti, razza de puorco, sbudellar; Se cortelada / voler, mi te la dar), quanto in quella - non meno grezza e grottesca - dell'affabilità (Se ti star bon amigo, / Se ti star bona femena, / Co mi cantar, ballar. […] / Se ti no ballar / Mi te sbusar. / Se ti no cantar / Mi te mazzar).18 Una ragione di più per valutare in tutta la sua portata la trasmutazione che queste modalità rappresentative subiranno al termine del “viaggio goldoniano” attraverso la Dalmazia: allorché - come già accennato, e come si avrà modo di considerare meglio in seguito - il simpatico troglodita Stiepo Bruich da Pastrovicchio, mercanta de castradina in una sorta di austero e non del tutto rassicurante contrappasso, risorgerà sotto le spoglie del capitano Radovich di Cattaro, leggendario alfiere della gloria illirica, paladino integerrimo del Leon generoso che dolcemente impera. 2. La «vezzosa ragusea» S empre sul versante della produzione per musica ma ad una considerevolissima distanza temporale, si colloca la seconda delle nostre tessere documentarie, costituita dalla protagonista eponima de La calamita de' cuori, dramma giocoso andato in scena al San Samuele, su musica di Baldassarre Galuppi, nel carnevale 1752-1753. Variante in minore di Mirandolina (con cui nasce “ad un sol parto” in quello stesso carnevale),19 Bellarosa è una bella che innamora, una dolce gradita / gentil calamita che attrae irresistibilmente i corteggiatori. Ed è proprio sul disvelamento della ignota identità straniera di questa vezzosa Ragusea, non meno che sulle sue arti seduttive, ad essere giocato l'intero sviluppo del melodramma, correntemente giudicato tra i migliori della produzione goldoniana. Il dato non è sfuggito agli studiosi (e Anche in questo caso soccorre il ricordo di una delle tante descrizioni al vetriolo lasciateci da Gozzi: Quelle fiere facinorose senza la menoma educazione, intendono d'esser suddite e vorreb bero conciliare però la sudditanza col poter rubare e assassinare a lor senno […]. Fui presente alla rassegna di quella specie d'antropofaghi che fu data alla marina della città di Zara […]. Ad ogni paio di que' lestrigoni rassegnati si dispensavano le paghe anticipate promesse, e quelli, per mostrare della contentezza, abbaiavano una non so quale loro canzone, facevano de' strani balletti presi per mano dinanzi all'E.S. e passavano nel naviglio (op. cit., pp. 68-70 [parte prima, cap. IX]; i tondi sono miei). 19 La locandiera andò in scena al Sant'Angelo nel carnevale 1752-1753. La stretta contiguità ideativa dei due personaggi fu puntualmente rilevata da Ortolani nella nota apposta all'editio maior d e l l 'omnia (MV, XXVIII 627-628) ed è poi divenuto motivo topico della riflessione critica. 18 57 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 58 ANNA SCANNAPIECO specie agli italianisti di area slava), propensi in genere a valutarlo nei termini di un cordiale omaggio del cosmopolita Goldoni alla città dalmata, quando non addirittura in quelli di uno specifico tributo rivolto all'amico raguseo Stefano Sciugliaga.20 Ma è proprio lo sviluppo drammaturgico di quel motivo (il nesso avvenenza-mistero, seduzione-natura ragusea) a scoraggiare simile prospettiva interpretativa (peraltro già di per sé intrinsecamente inconsistente),21 dato che lo scioglimento della vicenda si incarica di contornare le lusinghe della vezzosa ragusea con tratti giocosamente farseschi:22 che è quanto dire È interessante notare che allo Sciugliaga il Goldoni non dedicò nessuna delle sue numerose opere teatrali. […] Ma trovò, pare, un'altra maniera per onorarlo con un'opera: è da accettare l'opinione, secondo cui l'autore volesse esprimere all'amico particolare attenzione con uno dei suoi migliori melodrammi comici, La calamita de' cuori […] un elemento fondamentale della sua struttura [la non accidentale connotazione ragusea della protagonista] è ispirato dal gentile desiderio del commediografo di offrire una soddisfazione all'amico raguseo (F. Čale, “Stefano Sciugliaga in Garmogliesi difensore del Goldoni”, Studia Romanica et Anglica Zagrabiensia 2122 (1966), 201-257, in part. 220-222; analoghe considerazioni lo studioso ribadirà a più riprese in successivi contributi: “Goldoni e gli stranieri: 'La vedova scaltra' e 'La calamita de' cuori' ”, in Stimmen der Romania. Festschrift für W. Theodor Elwert zum 70 Geburtstag, Wiesbaden 1980, pp. 151-157; idem, “La 'Dalmatina' di Goldoni tra patriottismo conformistico e cosmopolitismo illuministico”, Studi goldoniani 8 (1988), 171-184). Anche in questo caso, come spesso accade in materia goldoniana, tale approccio interpretativo era stato già tracciato dalle note dei curatori dell'omnia, e da quelle silenziosamente mutuato (cfr. MV, XXV 89, dalla Nota storica di Edgardo Maddalena alla Dalmatina: forse col pensiero rivolto all'amico [Sciugliaga], il Goldoni nella Calamita de' cuori, libretto per musica, fa dell'eroina Bellarosa una “vezzosa ragusea” fiera della sua città). Carattere il più saggio e il più prudente del mondo, suo vero amico ed interessato all'estremo per i suoi vantaggi e per l'onor suo, era definito lo Sciugliaga da Goldoni in una lettera a Francesco Vendramin dell'11 luglio 1763 (XIV 293). Già determinante presenza nel difficile periodo della polemica con Chiari e, ancor più, nella complessa vertenza con l'editore Bettinelli (cfr. I. Mattozzi, “Carlo Goldoni e la professione di scrittore”, Studi e problemi di critica testuale 4 (1972), 95-153, part. 122-127 e 145-153), lo Sciugliaga sarà figura centrale degli anni sessanta, nella sua qualità di rappresentante presso il Vendramin degli interessi dell'autore, da questi autorizzato ad interventi anche di tipo compositivo sui testi (cfr. XIV 292-293 e 851). Quand'anche si volesse ritenere che il sodalizio con il raguseo fosse già ben definito all'altezza del 1752 (ma non si dispone di alcun dato documentario al riguardo), rimarrebbero comunque oscure le ragioni per cui Goldoni avrebbe dovuto esprimere un tributo d'amicizia nei termini di un dramma giocoso, e per di più attraverso la peculiare caratterizzazione di un personaggio che - come vedremo - alla nazionalità ragusea attribuisce connotati farseschi. E non a caso forse, nella citata analisi di Čale manca qualsiasi riferimento proprio a questa circostanza (per cui cfr. infra, n. 22) e più in generale ricorrono fraintendimenti interpretativi visibilmente derivati da un vero e proprio pre-giudizio valutativo (si considerino ad esempio le seguenti affermazioni: La scoperta che Bellarosa è Ragusea […] risultando dal desiderio del Goldoni di compiacere con lodi alla sua città natale confrontata con tante famose città italiane acquista un valore struttu rale ed una connotazione poetica tutt'altro che indifferenti; laddove ciascuna delle famose città italiane rispetto a cui si affermerebbe la presunta primazia ragusea è evocata in chiave palesemente caricaturale: Firenze e Genova ad esempio per lo spirito parsimonioso dal taccagno Pignone, Napoli e Brescia per la “braveria” dallo smargiasso Saracca ecc.). 21 Si veda quanto già segnalato nella precedente nota. 22 Allorché, nello snodo conclusivo della vicenda, la protagonista si accinge a soddisfare la 20 A 58 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 59 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA con ciò che davvero mal si addirebbe ad un'intenzione celebrativa. Parrebbe invece più verosimile ipotizzare che le scelte compositive del librettista Carlo Goldoni vadano poste in relazione con i modi affatto peculiari con cui era venutasi a Venezia definendo, nell'ambito di plurisecolari rapporti, la percezione dell'elemento raguseo, in termini di ben perimetrata individualizzazione rispetto al complesso della comunità dalmata (distinzione al limite riflessa sin nella toponomastica cittadina).23 Una percezione che per certo molto aveva a che fare con la particolarissima fisionomia - morfologica, storica e politica - della repubblica di Ragusa, 24 e che aveva non a caso ricevuto precisi riscontri, vere e proprie tematizzazioni, nelle elaborazioni letterarie di area veneta: dall'elezione di una fittizia identità autoriale (Ivan Pauvolicchio da Ragusi) per il massimo promotore del linguaggio schiavonesco, il Zuan Polo autore del Libero del Rado Stizuxo; ai personaggi e agli ambienti curiosità degli astanti fornendo ulteriori elementi di conoscenza relativi alla propria identità, lo spasimante che è riuscito ad essere eletto suo sposo le toglie precipitosamente la parola di bocca temendo gli effetti di una rivelazione che si annuncia imbarazzante (e che come tale è immediatamente fatta risuonare nei commenti degli altri personaggi): BELLAROSA Nacqui in Ragusi, / di nobile son figlia; / partita per piacer dal suol natio… GIACINTO Queste son cose ch'ho da saper io. Bisogno ora non c'è / Ch'altri le sappia, e le direte a me. ARMIDORO Misero sventu rato! SARACCA Oh che veleno! (III.ultima, in XI 46). 23 La toponomastica cittadina ancora oggi distingue luoghi “ragusei” (la calle e il ponte ad essi intitolati, nel sestiere di Dorsoduro) e luoghi “schiavoni” (primo tra tutti, la celebre riva ad essi intitolata, che si protende per più di mezzo chilometro verso il sestiere di Castello e l'estremità orientale della città). 24 Insieme a Venezia, Ragusa fu la maggiore repubblica marinara adriatica e rimase l'unica a poter fronteggiare la Serenissima Dominante in termini di analogie strutturali: sorta anch'essa in isole lagunari a seguito di movimenti migratori reattivi, sino all'annessione napoleonica nelle Province Illiriche seppe salvaguardare la propria sostanziale autonomia rispetto alle pressioni espansionistiche dei potenti domini limitrofi, nonché tutelare con fortuna i propri interessi commerciali, fino a costituire - sotto quest'ultimo profilo e proprio nel Settecento - una vera e propria spina nel fianco dell'Adriatico Impero della Serenissima. Per una panoramica complessiva, cfr. P. F. Palumbo, “La Repubblica di Ragusa nelle relazioni fra le due sponde adriatiche”, Quaderni di Storia e Civiltà 7 (1988), 3-30; sulle ragioni che determinarono l'ascesa settecentesca di Ragusa, ai danni di Spalato, sino allora porto per antonomasia della Dalmazia (ragioni sostanzialmente legate agli effetti della cattiva amministrazione veneziana che appunto ne determinarono il declino), cfr. M. Berengo, “Problemi economico-sociali della Dalmazia veneta alla fine del Settecento”, Rivista storica italiana 66, 4 (1954), 469-510 , in part. 497-498. 25 Per una rapida rassegna delle presenze ragusee in questi due autori, cfr. M. Zorič, Dalle due sponde. Contributi sulle relazioni letterarie italo-croate, a cura di Rita Tolomeo, Roma 1999, pp. 105-119. Anche nel caso di questo contributo si ha tuttavia la sensazione che la ricogn izione analitica sia spesso viziata da pre-giudizi interpretativi (cfr. ad esempio quanto si legge op. cit., p. 113: Tutto ciò sta a dimostrare quanto, in Italia, fossero tenuti in considerazione sia Ragusa che i ragusei, e contribuisce a farci capire i motivi per i quali questi personaggi, nell'am bito del teatro rinascimentale italiano, potessero essere rappresentati (basti pensare al messer Proculo di Calmo ed al messer Biagio di Dolce) con simpatia ed in un contesto comico dai toni moderati, come figure classiche di anziani, rese attuali da ben precise caratteristiche individuali che li configurano quali precursori della maschera veneziana di Pantalone). 59 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 60 ANNA SCANNAPIECO del teatro di un Calmo o di un Dolce,25 al motivo topico dell'avvenenza femminile, spesso peraltro “punita” negli esiti estremi delle sue virtù seduttive da una dinamica fictional che sembra ritenere molto del risarcimento compensatorio.26 Alla probabile esistenza di un vero e proprio filone r a g u s e o nella letteratura veneziana andrebbe quindi ricondotta anche l'ideazione della Bellarosa goldoniana, e l'interpretazione del suo tasso di originalità, o comunque della specifica valenza culturale che la rivisitazione del motivo assume nella drammaturgia del nostro autore, resta con ogni evidenza subordinata all'identificazione e alla valutazione storico-critica di quel filone. 3. Tra crimine e connivenza: il capitano raguseo e il diplomatico veneziano E ad una caratterizzazione ragusea riconduce anche la terza delle nostre tessere documentarie: benché in questo caso essa può essere ascritta non al confronto con una precisa convenzione letteraria ma all'originale immissione nell'orizzonte compositivo di una specifica quanto singolare 26 A 60 Si riconsideri quell'episodio della Lucerna (1625) di Francesco Pona relativo alla vicenda della ragusea Ormonda, superlativo paradigma del prototipo povera-ma-bella, con tutto quello che ne consegue (la fortuna fattami nascere in Ragusi fanciulla di bassissimi parenti, accordatasi con la natura attese a colmarmi delle più eccellenti bellezze che da Elena in qua fossero state vedute in creatura mortale): una bellezza ineffabile, e seduttiva in grado estremo, delle cui risorse Ormonda saprà avvalersi presto e appieno. Rapita infatti dai consueti corsari, ancora fanciulla, ne sa spegnere la ferocia conducendoli sino a morte nella contesa delle sue bellezze (la mia età toccava allora il quindicesimo anno, e già sollevarsi gentilmente vedeansi nel seno mio le due collinette di neve nelle quali Amore nutre i suoi fuochi. E tutta succosa il corpo nella svelta e maestosa statura dava di me stessa uno spettacolo agli occhi, che non sapeano punto volgersi altrove […]. E vagheggiandomi pure e ammirandomi quello e questo aspirando a possedermi, ecco che, pretendendo ognuno, cominciano a contender tra loro; […] s'accende nel naviglio la più orribile zuffa che possa la morte su la scena d'un marittimo teatro rappresentare); acquisita poi nel serraglio di Maometto il Grande, riesce - attraverso una studiatissima arte seduttiva - a incatenare in prigionia d'amore il gran sultano (aspirava a tiranneggiare il tiranno dell'Oriente […] E questa superba avidità mi insegnava artifici tali che non i baci e le lascivie premeditava, ma quasi i sonni, le positure, i respiri. […] Gli studi […] non furno vani, perché, fatta con assidua teorica discepola sopra i maestri, alla prima giacitura così soggiogai ogni sentimento di Maomette ch'egli ebbe per meraviglia l'uscirmi vivo dalle braccia). Pur ritrovandosi all'apice del potere e del piacere, l'infida e insaziabile Ormonda pensa bene di godersi le grazie di uno schiavo r i n e g a t o: scoperta l'infedeltà della donna, Maometto la diede in potere di duecento ferocissimi soldati, perché l'un dopo l'altro, stancandosi senza intermissione ne' suoi amplessi, la riducesse ro a morire. Cosa che puntualmente accade, nonostante le straordinarie risorse della famelica Ormonda: Alle prime lance, confesso ch'io resi indomita: e già più di trenta di quei giovani s'erano nella lotta resi per vinti che fresca ancora m'affrontava co' nuovi combattitori (Le citazioni sono tratte da Fr. Pona, La lucerna, a cura di G. Fulco, Roma 1973, pp. 196-207). Merita inoltre ricordare che il motivo della schiava ragusea ricorre frequentemente anche nei repertori teatrali: e proprio con tale titolo poteva andare in scena nel 1758 al teatro San Luca di Venezia una commedia nuova di Ferdinando degli Obizzi, estimatore e pubblico apologeta di Goldoni. Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 61 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA esperienza autobiografica dell'autore; inoltre, come vedremo, la connotazione ragusea del protagonista non inerisce in alcun modo la costituzione del testo ma è interamente risolta in quello che potremmo a ragion veduta definire il pre-testo dell'opera stessa. Si tratta dell'Impostore, commedia in prosa scritta nella primavera del 1754 per le recite dei convittori di un Collegio di Gesuiti (Bologna o Modena) e stampata in quello stesso anno nell'edizione Paperini delle opere goldoniane. La commedia, in aderenza alle regole rappresentative delle recite collegiali, non prevede parti femminili e non fu mai utilizzata nel repertorio di comici professionisti (né dalla compagnia goldoniana del San Luca né - a quanto mi consta - da altri complessi): su tale esclusione dal circuito pubblico avrà sicuramente influito la sua particolare configurazione drammaturgica (la mancata presenza di ruoli femminili doveva renderlo inidoneo agli equilibri interpretativi delle compagnie - nonché, più in generale, non rispondente all'orizzonte d'attesa del pubblico teatrale): ma è da ritenersi altamente probabile anche l'incidenza di un ben meditato calcolo di natura politica. La commedia infatti sceneggia la truffa perpetrata da un finto capitano (sorta di variante aggiornata del miles gloriosus e sue successive evoluzioni drammaturgiche)27 che, spacciandosi per ingaggiatore di milizie per conto di una potenza straniera e promettendo cariche e lucrose mansioni, estorce cospicue somme di denaro ai suoi creduli ospiti. In filigrana, e come l'autore stesso dichiara sin dalla prefazione alla prima edizione della commedia, è distinguibilissimo uno dei tanti episodi che costellarono la vita di quell' avventuriere non sempre onorato che fu Carlo Goldoni prima di dedicarsi professionalmente al teatro. Ma se l'identificazione dell'autore con uno dei personaggi è resa trasparente sin dalla sua denominazione (che assume il nome arcade di Goldoni, quel Polisseno [Fegeio] che ricorreva in bella vista sui frontespizi delle prime edizioni delle sue opere)28 e viene poi dettagliatamente Per l'ambientazione ragusea, il più calzante modello drammaturgico di riferimento potrebbe essere il Capitano del Dolce: anche se il protagonista eponimo è in realtà di origine senese, egli è comunque e non a caso proposto come prototipo di cittadino raguseo, soldataccio ottuso, brutto e libidinoso, nonché pronto a involarsi le donne altrui. Anche Orazio Sbocchia, il capitano impostore della commedia goldoniana, ha i connotati del gloriosus che in realtà è sprovveduto e pavido, e del losco seduttore. 28 La veneziana Bettinelli (1750-1757) e la fiorentina Paperini (1753-1757), e molte delle ristampe “pirata” che da quelle derivarono (la bolognese San Tommaso, la napoletana Venaccia, la pesarese Gavelli): cfr. Scannapieco, “Scrittoio, scena, torchio”, op. cit., 224-242. È probabile che sull'origine della scelta onomastica abbia inciso una volontà tra l'autoironico e il narcisistico di effigiare in commedia una delle considerazioni che saranno poi formulate nella prefazione al vol. XVII Pasquali: un poeta comico lasciarsi gabbare da un Impostore! Cent'altri sono caduti nella mia medesima rete ma io doveva cadervi meno degli altri. Io che aveva dipinto un Ludro imbroglione nel Momolo Cortesan, un Trappola nel Prodigo, un Marcone scroccone di piazza nella Bancarotta, mi sono lasciato gabbare, soverchiare, scroccare da un Frappatore! (I 755). 27 61 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 62 ANNA SCANNAPIECO dispiegata nel corredo esegetico che accompagna il testo a stampa, nulla né nella caratterizzazione del personaggio protagonista, né nell'articolazione della vicenda rappresentata, lascia trapelare alcunché della nazionalità ragusea dell'impostore, e nemmeno dei reali contorni politici della sua impostura. Su tali elementi si guarda bene dal fornire indicazioni anche la pur loquace prefazione della commedia, e analogo “riserbo” ostenteranno poi le più tardive Memorie italiane.29 Bisognerà non a caso aspettare i Mémoires una volta tanto non viziati da reticenze o confusioni - perché il racconto autobiografico, finalmente affrancato da ogni censoria cautela, possa far riaffiorare alcuni fondamentali quanto scabrosi elementi della vicenda. È solo in questa occasione infatti che l'autore viene spiegando che il sedicente capitano era appunto un raguseo (Je viens de faire la connoissance d'un capitaine ragusien […]. Il est en correspondance avec les principales cours de l'Europe; il a des commissions qui font trembler), e che la sua attività di ingaggiatore era mirata alla costituzione di un reggimento de deux mille esclavons; e che precisamente a tal fine avrebbe inteso avvalersi della competenza di un Gian Paolo Goldoni, militare ben esperto di quelle deux p r o v i n c e s, Dalmazia e Albania,30 da cui il ragusien avrebbe voluto appunto attingere de beaux hommes per il suo reggimento. L'attività di reclutamento doveva essere effettuata - non si manca infine di sottolineare - nella massima segretezza, stante la conclamata illiceità politica di tutta l'operazione (ô ciel! si le Gouvernement de Venise venoit à le pénétrer, nous serions perdus).31 La particolare vivacità con cui l'episodio viene riproposto nei Mémoires una delle pagine in cui la narrazione si dispiega in forme di teatralizzazione particolarmente accattivante - è stata forse all'origine di un utilizzo critico davvero curioso della fonte. Non si è mai ad esempio rilevato che la dovizia 29 30 31 A 62 Come già accennato, l'episodio è infatti narrato nella prefazione al diciassettesimo tomo Pasquali: cfr. I 753-755. Per la data di pubblicazione di questo tomo cfr. supra, n. 3 Come si ricorda nei Mémoires I, cap. XIX (I 87) il fratello dell'autore aveva condotto la sua formazione militare a Zara (dove una ventina d'anni dopo avrebbe sperimentato il proprio noviziato militare anche un Carlo Gozzi), sotto la tutela di un parente, Girolamo Visinoni, che ricopriva la ragguardevole carica di capitano dei dragoni e aiutante maggiore del provveditore generale di Dalmazia e Albania. In seguito era entrato a far parte dell'esercito del Duca di Modena, da cui si era congedato tra la fine del 1741 e l'inizio del 1742, in cerca di più remunerativi ingaggi. Ed è proprio in questa congiuntura che si sarebbe dato l'incontro col sedicente ingaggiatore raguseo. Pare peraltro che lo stesso Gian Paolo Goldoni già un paio d'anni prima, a Venezia, si fosse direttamente compromesso in questioni di reclutamenti illeciti e fosse stato in quanto tale tenuto sotto controllo dall'autorità giudiziaria (cfr. la documentazione allegata nelle note a Mémoires I, cap. XLIV, in MV, XXXVII 299-300). Tutte le citazioni sono tratte da Mémoires I, cap. XLIV. Merita riportare per esteso i passaggi più significativi: Je viens de faire [parla Gian Paolo Goldoni] la connoissance d'un capitaine ragusien, d'un homme…d'un homme comme il n'y en a pas. Il est en correspondance avec les Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 63 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA del dettaglio narrativo - non certo risolvibile, come si è avuto modo di constatare, in esigenze di stilizzazione comica - si produca appunto solo ad un mezzo secolo di distanza dagli eventi narrati; e, quel che più conta, con pubblicazione realizzata in terra straniera: quella Parigi in cui l'ormai anziano commediografo poteva ben sentirsi al riparo dalle conseguenze di così imbarazzanti rivelazioni. La mancata percezione delle sostanziali novità che la narrazione dei Mémoires propone rispetto a quelle precedenti è, a ben vedere, causa ed effetto ad un tempo della singolare deformazione prospettica con cui la critica ha sempre guardato all'episodio del raggiratore raguseo. Gustato come scena di commedia, interamente risolto nella briosa comicità delle sue macchiette e degli incresciosi ma pur sempre divertenti effetti di un'impostura subita, l'episodio non è mai stato considerato per quello che è, e per quello che gli stessi elementi informativi contenuti nella narrazione dei Mémoires consentivano di conoscere e di valutare: l'espressione cioè di uno dei reati a cui nel corso del Settecento il governo veneziano guardò con allarme crescente - il grave disordine di attrappar sudditi ne' stati nostri per servizio di altri sovrani - e a cui cercò di opporre una legislazione sempre più vigile e repressiva. Il grave disordine, per di più, poteva assumere connotati particolarmente molesti ed umilianti per una Serenissima Dominante costretta a misurarsi - nei ripetuti quanto vani tentativi di debellarlo - con gli effetti delle proprie insufficienze politiche: perché il dominio indiscusso degli ingaggiatori clandestini rimase, lungo tutto il secolo, quella Dalmazia che se aveva fornito - e continuava a fornire - il nerbo più qualificato e fedele dell' esercito veneziano, era anche provincia in cui la sostanziale latitanza amministrativa del governo aveva alimentato condizioni di povertà endemica: quelle stesse che rendevano agevole per gli ingaggiatori clandestini delle principales Cours de l'Europe; il a des commissions qui font trembler; il est chargé de faire des recrues pour un nouveau Régiment de deux mille esclavons; mais, ô ciel! si le Gouvernement de Venise venoit à le pénétrer, nous serions perdus. Mon frere… mon frere… J'ai lâché le mot, vous connoissez l'importance de la discrétion. […] il s'agit d'une place de capitaine pour moi; j'ai servi en Dalmatie, comme vous savez; mon ami le sait aussi […] vous serez l'auditeur, vous serez le grand juge du Régiment. […] finit par mettre sous mes yeux les lettres-patentes, écrites en langue Italienne, par lesquelles il étoit chargé de recruter deux mille hommes de nation Illirique, pour un nouveau Régiment, au service de la Puissance dont il tenoit la commission. […] je lui demandai d'abord par quel hasard nous serions assez heureux, mon frere et moi, pour intéres ser sa bienveillance en notre faveur. Monsieur votre frere, répondit-il, est un homme qui peut être très-utile à mes intérêts. Il connoît la Dalmatie et l'Albanie, où il a servi, ce sont les deux provinces qui peuvent fournir de beaux hommes pour mon Régiment. Je compte le munir de lettres et d'argent, et l'envoyer y faire des recrues. - Mon frere se jette au col du ragusien. - Vous verrez, vous verrez, mon ami; je vous emmenerai des dalmatiens, des albanois, des croates, des morlaques, des turcs, des diables; laissez-moi faire, Gospodina, Gospodina, dobro jutro, Gospodina (I 200-202). 63 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 64 ANNA SCANNAPIECO potenze straniere […] reclutare soldati in gran numero tra i contadini perenne mente assillati dalla fame.32 Per sradicare lo scandaloso e detestabile abuso di defraudare li pubblici stati de' propri sudditi ed altresì de' soldati, il Consiglio dei Dieci sarebbe giunto a comminare la pena di morte:33 il decreto, del 9 agosto 1754, veniva emanato nello stesso anno in cui Goldoni componeva e pubblicava una commedia che rammemorava - e al tempo stesso rimuoveva in chiave di sublimazione comica - il proprio concorso in reato di così grave entità. Che la responsabilità penale del sedicente capitano raguseo fosse in realtà circoscritta alla misura di un raggiro, ha fatto perdere di vista che così non poteva essere per i soggetti da lui raggirati: pronti ad impegnarsi nella corresponsabilità di quello che era considerato un vero e proprio attentato istituzionale. La gustosa figurina del poeta comico che si lascia gabbare da un Impostore34 ha posto in ombra che il suo reale interprete era fra l'altro stato, all'epoca dei fatti, un Carlo Goldoni console della repubblica genovese a Venezia, e in virtù della sua mansione autorizzato alla frequentazione delle massime istituzioni cittadine35: e pronto tuttavia, con discutibile pragmatismo, a porgere orecchio a chi gli offeriva miglior destino, sostenendone gli illeciti disegni e ricevendone in cambio la lucrosa carica (quindici zecchini il mese di certo, oltre i pingui avventizi che porta seco l'impiego)36 di auditore di un reggimento composto con fraudolenta sottrazione a li pubblici stati de' propri sudditi ed altresì de' soldati. In questa prospettiva meglio si comprenderà come L'impostore fosse stato commedia ideata e composta per circuiti privati, e come - anche dopo la stampa - rimanesse escluso dai repertori delle compagnie professioniste; e parrà inoltre Berengo, “Problemi economico-sociali della Dalmazia veneta”, op. cit., 492. Il passo citato rientra nell'analisi di quel fenomeno migratorio che contrassegnò visibilmente la storia della Dalmazia veneta nel sec. XVIII: una delle sue principali cause - l'aspetto del fenomeno che riesce più molesto ed umiliante al governo - è ravvisata proprio nel fatto che gli ingaggiatori clandestini delle potenze straniere non cessano mai di percorrere il paese, e riescono a reclutare soldati in gran numero tra i contadini perennemente assillati dalla fame. Il premio d'ingaggio, un salario assicurato, e la libera zione dall'incubo della siccità e della carestia, sospingono così folte schiere di Dalmati nell'esercito russo e, talora, anche in quelli imperiali e prussiani. […] Numerosissimi processi contro gli “ingaggiatori esteri” in Dalmazia si conservano nell'archivio degli Inquisitori di Stato; nei periodi di guerra, poi, si avevano delle vere e proprie leve abusive in tutta la provincia, specie al servizio russo per combattere contro i Turchi. Sul tentativo del governo di debellare il fenomeno dei reclutamenti clandestini attraverso una fitta rete di informatori, e sulle dimensioni particolarmente estese del fenomeno in Dalmazia, cfr. P. Preto, I servizi segreti di Venezia, Milano 1994, pp. 495-507; sui fenomeni migratori e sulle “diserzioni” di sudditi e soldati veneti in Dalmazia, con specifico riferimento al ruolo intermediario svolto da pericolosi concorrenti come Ragusa, cfr. il ricco materiale documentario contenuto in F. M. Paladini, “Un caos che spaventa”. Poteri, territori e religioni di frontiera nella Dalmazia della tarda età veneta, Venezia 2002, pp. 157-163. 33 Cfr. Preto, I servizi segreti di Venezia, op. cit., p. 502. 34 Cfr. s u p r a, n. 28. 32 A 64 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 65 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA del tutto comprensibile che Goldoni non fosse mai tentato di “rimpastare” in altre forme - come spesso il suo mestiere gli imponeva di fare - quella materia tanto, di fatto, comicamente efficace quanto, in potenza, politicamente incandescente. E anche se gli elementi che a vario titolo fanno gravitare il baricentro tematico della vicenda verso la Dalmazia - la caratterizzazione ragusea dell' ufficiale impostore, il reclutamento clandestino da realizzarsi nei domini veneti d'oltremare, la correità di veneziani anche istituzionalmente in vista - restavano interamente conclusi nel pre-testo della commedia, di quegli elementi e delle loro imbarazzanti implicazioni etico-politiche converrà ben ricordarsi all'atto di valutare La dalmatina, quarta ed ultima tessera documentaria del nostro excursus: opera composta per un pubblico veneziano, con cui, facendo vibrare caldi accenti di amor patrio e tracciando la mitografia spettacolare della lealtà politica e della virtù militare dei soldati illirici, il poeta di compagnia Carlo Goldoni metteva a segno uno dei più clamorosi successi della sua produzione e dell'intera offerta spettacolare veneziana del secondo Settecento.37 4. «Ho la mia patria in core, ho il mio Leone in petto…»: Radovich, nascita di una leggenda S ulla Dalmatina - tragicommedia in martelliani andata in scena per la prima volta al San Luca, nell'autunno del 1758 - non hanno mancato di riverberarsi gli effetti di quella deformazione prospettica con cui, come abbiamo visto, si è per solito letto e interpretato L'impostore. Si è così finiti per incorrere in un aneddotismo folclorico che rende ben poca giustizia alla complessità delle tematiche in gioco (oltre che della stessa personalità dell'autore, svilito nel Fui introdotto in Collegio avanti il Doge e li eccellentissimi Savi; distinzione non praticata cogl'al tri consoli, e che passerà in esempio a' miei successori: così, in una lettera del 14 gennaio 1741, il neoconsole dava notizia del privilegio accordatogli (XIV 6). 36 Dalla prefazione alla commedia, V 520-521. 37 Per una valutazione dello straordinario riscontro ottenuto dalla nostra tragicommedia, cfr. i dati documentari e la relativa interpretazione critica contenuti in Anna Scannapieco, “…gli erarii vastissimi del Goldoniano repertorio. Per una storia della fortuna goldoniana tra Sette e Ottocento”, Problemi di critica goldoniana 6 (1999), 143-238, in part. 167-177 e n. 52. A misurare il valore paradigmatico di tale riscontro anche dalla prospettiva della committenza, si riconsideri come il proprietario del San Luca - ad un anno di distanza dalla clamorosa accoglienza tributata alla Dalmatina - poteva rammentare al suo poeta di compagnia che le comedie in presen te piacciono quando sono teatrali, e non di parole, o di solo carattere. Nulla più le dico, perché ella ha veduto, che la sola Dalmatina ha avuto l'assenso del popolo; sicché la conseguenza è chiara (lettera di Francesco Vendramin a Carlo Goldoni, s.d. [ma luglio 1759], in D. Mantovani, Carlo Goldoni e il teatro di San Luca a Venezia. Carteggio inedito (1755-1765), Milano 1885 [rist. anastatica con introduzione di N. Mangini, Venezia 1979], pp. 117-118). Per una più ampia contestualizzazione del fenomeno qui discusso, cfr. il Commento e la Nota sulla fortuna in Dalmatina, EN. 35 65 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 66 ANNA SCANNAPIECO cartoon del mite Goldoni che sa elaborare il trauma della truffa patita ad opera del capitano raguseo e può quindi liberare in scena la sua “calda simpatia” per le genti dalmate).38 E soprattutto, per conseguenza, non è mai stata rilevata la scabrosa contraddizione tra il singolare difetto di amor patrio e il livido sfondo politico-amministrativo che, sia pur in controluce, animavano il quadro della commedia destinata a circuiti privati e - per converso - quella straordinaria strategia del consenso e della “cooptazione identitaria” su cui, come vedremo, si innerva la tessitura drammaturgica dell'opera ideata per catturare il pubblico teatrale veneziano. Ben altre ipoteche interpretative hanno d'altronde gravato sulla ricezione della D a l m a t i n a, l'opera in cui l'engagement politico dell'autore sembra essersi espresso nei suoi termini più programmatici (e problematici). Infatti, per quanto sostanzialmente ignorata dalla critica (fatte salve alcune occasionali annotazioni in margine a quella produzione esotica nel cui indistinto novero viene correntemente inglobata),39 la tragicommedia ha conosciuto una stagione di fortuna davvero inconsueta per un testo goldoniano: allorché, durante la conferenza di Versailles e la connessa impresa di Fiume, la sua vischiosa materia rappresentativa calamitò l'improvviso interesse di studiosi e politici, italiani e slavi, andando a costituire - come forse non è mai stato osservato40 - uno dei capitoli più interessanti delle pratiche di rifunzionalizzazione poste in opera per complessi storicoletterari italiani. In una temperie in cui l'irredentismo di matrice risorgimentale Così ad esempio nel più recente contributo sulla tragicommedia: Goldoni avrebbe potuto avere un atteggiamento più duro, magari censorio, nei confronti delle genti dalmate, se avesse lasciato raffiorare e prevalere su altre considerazioni un ricordo che troviamo registrato nei Mémoires […] Non era stato un episodio da poco […]. Tutto questo doveva essere stato rimosso dal Goldoni, nel momento in cui si apprestava a scrivere la tragicommedia della Dalmatina […] se non altro perché l'episodio del falso reclutatore di milizie durante il periodo del consolato goldoniano [ … ] aveva già trovato una sua sublimazione giocosa teatrale, con probabile rasserenamento della memoria, nella commedia L'impostore […]. Dopo quella rimozione o rasserenamento vengono a trovare possibilità di spazio, per la Dalmatina, gli effetti di ben altre suggestioni (G. Da Pozzo, “Coerenza e sperimentalità goldoniana nella 'Dalmatina' ”, La Rassegna della letteratura italia na 106, 1 (gennaio-giugno 2002), 17-18). Anche in questo caso, l'impostazione interpretativa era già stata nettamente tracciata nelle note storiche dell'omnia (cfr. MV, XXV 89), e poi variamente rimodulata dalla critica successiva, anche se il particolare sembra sfuggire allo studio citato (L'episodio [del raguseo profittatore della sua buona fede] non viene di solito ricordato dalla critica, quando si parla della Dalmatina, forse perché si pensa che esso contraddica l'ammira zione per i sentimenti della protagonista dalmata della commedia) . 39 Per un'analisi ragionata della bibliografia critica d'argomento, cfr. D a l m a t i n a, EN. 40 Il fatto che Goldoni's ideology of Adriatic empire was explicitly inserted into the national confronta tion between Italians and Slavs over Dalmatia in 1919 è stato acutamente sottolineato da Wolff, Venice and the Slavs, op. cit., p. 353, sulla scorta tuttavia dell'analisi di uno solo dei vari interventi che si produssero sull'argomento nel fatidico biennio 1919-1920 (quello di Cesare Levi, per cui cfr. infra, n. 46): in mancanza delle necessarie integrazioni documentarie, l'entità della manipolazione ideologica della fonte letteraria non viene pertanto adeguatamente posta in luce. Una rassegna 38 A 66 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 67 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA andava vieppiù metamorfizzandosi nell'aggressività imperialista del nazionalfascismo, quella tragicommedia che aveva infiammato le platee veneziane del secondo Settecento veniva a fornire un contributo fondamentale all'invenzione di un diritto esclusivo italiano sulla Dalmazia sulla base della cultura veneto-italia na.41 E andando a costituire un capitolo davvero singolare della critica goldoniana, di cui conviene rimeditare qualcuna delle più significative pagine: La Dalmatina di Carlo Goldoni non va annoverata fra i capolavori del grande commediografo. È un'opera piuttosto scialba, diluita in brutti martellia ni, con un intreccio melodrammatico ordito sopra un fondo d'ambiente orienta le da vecchia stampa, sul tipo di quelle varie Ircane e Persiane con le quali il Goldoni indulgeva di quando in quando al gusto esotico e romanzesco del suo tempo […]. Ma ciò che merita di essere notato, nella D a l m a t i n a, ciò che le conferisce pregio e interesse, è l'apologia, che essa contiene, del popolo di Dalmazia; è, oserei dire, il suo spirito adriatico, per il quale taluno potrebbe ravvisare nella mediocre commedia del Goldoni un primo sia pur pallidissimo s e gno di quella coscienza imperiale veneta che doveva un giorno trovare la sua matura sfolgorante espressione nella tragica grandiosità, nelle sonore e pittore sche magnificenze della N a v e, vaticinio della vigilia italiana. […] Né i dalmati possono ancor oggi desiderare un elogio più alto, più caloroso di quello che il Goldoni tessé delle loro virtù native. Meglio giova ad essi riconoscersi nelle immagini oneste e attraenti di Zandira e di Radovich anzi che nella figura abbastanza puntuale degli interventi critici sulla Dalmatina, anche con specifico riferimento a quelli di nostro interesse, è invece in Čale, “La 'Dalmatina' di Goldoni”, op. cit., 178-184, che si mostra tuttavia insensibile alle loro implicazioni politico-culturali (su tale contributo cfr. anche infra, n. 52). 41 Dalla temperie risorgimentale a quella irredentista a quella nazionalfascista, la rifunzionalizza zione della tradizione italiana e quindi l'invenzione di un diritto esclusivo sulla Dalmazia sulla base della cultura veneto-italiana e della tradizione giuridica comunale, come pure rispetto alla storia geopolitica, passa per la manipolazione letteraria, per le ricerche antiquarie e la selezione faziosa delle fonti storiche. Il culto per le vestigia del cosmo unitario dalmato-istrio-veneto e le matrici culturali liberal-risorgimentali e irredentistiche sono stati reinterpretati in Italia dalla fine degli venti e soprattutto nei trenta e nei primi quaranta in funzione delle esigenze del regime e della competizione con il Reich e il regime ustasa, ma anche di influenze dell'antroposociologia tedesca (Paladini, “Un caos che spaventa”, op. cit., p. 23). 42 Il riferimento è a Marko Kraljevic, il leggendario eroe epico in cui la poesia popolare serba e croata aveva celebrato le gesta di un aiducco storicamente esistito (in epoca medievale l'aiducco era il brigante di strada, che più tardi si trasformerà in protagonista delle insurrezioni e delle guerriglie contro i turchi). L'ironia della sorte vuole che uno dei più famosi aiducchi settecenteschi, Stanisalo Soçivizca, avesse come patronimico il nome del protagonista della Dalmatina goldoniana, Radovich. Del Soçivizca tracciò una celebre biografia Giovanni Lovrich nell'ambito della sua polemica replica al Viaggio in Dalmazia (Venezia 1774) di Alberto Fortis (Osservazioni sopra diversi pezzi del Viaggio in Dalmazia del signor abate Alberto Fortis, coll'aggiunta della vita di Soçivizca, Venezia 1776), biografia che venne più volte pubblicata come romanzo a sé e da cui venne anche ricavato un adattamento scenico (A. S. Sografi, Stanislao Soczivicza detto il f o r m i d a b i l e:andato in scena per la prima volta al Sant'Angelo il 26 dicembre 1797). 67 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 68 ANNA SCANNAPIECO poderosa ma scostumata del mitico beone Craglievic Marko,42 assunto eroe nazionale della Serbia dopo aver militato coi turchi oppressori della sua terra, il quale nelle rapsodie illiriche appare sempre troppo pronto ad ammazzare le donne che, come Rosanda, lo respingono, o che, come la Figlia del Re arabo, lo annoiano; e sovente non ha difficoltà a portar via alle sue amanti anche i quattrini. Il che può ammettersi forse tutto sommato, per un eroe balcanico, ma deve necessariamente ripugnare a coloro che, affacciati alla riva del nostro mare, respirano la civiltà e la moralità di un clima storico alquanto differente.43 Non era solo l'agguerrito e intemperante nazionalismo di un Giulio de Frenzi, alias Luigi Federzoni (il futuro ministro delle Colonie e dell'Interno)44 a porre in opera forme così vistose di strumentalizzazione ideologica, la cui sostanza infatti traluce anche nella rara finezza critica di un Pietro Paolo Trompeo45 o nella competenza di un Cesare Levi46 - nonché, “dall'altra sponda”, negli interessi politici dei goldonisti di area slava, pronti a ritenere doppiamente interessante occuparsi di quest'opera proprio oggi, quando quel fanfarone di D'Annunzio si G. de Frenzi [L. Federzoni], “'La Dalmatina' di Goldoni”, L'idea nazionale, 14 ottobre 1920. Per un profilo sintetico ma puntuale del Federzoni, uomo politico e intellettuale di punta dell'Italia primonovecentesca, si veda la voce redatta da A. Vittoria per il Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 45, Roma 1995, pp. 792-801. 45 La commedia vuol essere patetica: ma povera com'è di vero contenuto umano, co' suoi personaggi privi di vita intima, essa è soltanto sentimentale, nel peggior significato della parola. E non ci sarebbe altro a dire se da questa mediocre “comédie larmoyante” non si levasse su, intera e schietta, la nobile immagine della Dalmazia veneta. Storica, dunque e non artistica è l'importanza della Dalmatina, e tanto più oggi. […] Il fatto è che se Carlo Goldoni fu quella volta mediocre autor comico fu per contro ottimo politico e diplomatico accorto, senza cessar per questo d'esser uomo schietto e leale. Anzi la sua fine diplomazia s'esplicò appunto nel rappre sentar i dalmati quali erano e volevan essere: “nazione”, com'essi dicevano, e perciò non fusi co' veneti, ma nella loro affettuosa fierezza a San Marco fedeli fino alla morte. […] Cosa sarà della Dalmazia? La Conferenza ne disporrà secondo la lettera del patto di Londra? Verrà essa attribuita alla Serbia? o a quella Confederazione Danubiana di cui si ritorna a parlare di tanto in tanto? La vedremo unita alla Croazia in uno stato jugoslavo cattolico? O sarà dichiarata autonoma, come domanda - faute de mieux - l'onorevole Federzoni? Comunque […] in questo, credo, tutti gli italiani dovranno convenire: che nei nostri rapporti di convivenza o di vicinato con le popolazioni slave dell'altra sponda è necessario, per l'affermarsi della nostra civiltà, portare uno spirito che concilii la dignità nostra col rispetto dovuto ai parlanti altra lingua. E gli slavi alla nostra civiltà dovranno prima o poi riavvicinarsi, riprendendo una gloriosa tradizione più volte secolare. La finanza straniera non sarà così potente da distruggere ogni traccia di questa tradizione. […] Non sarà stato inutile […] aver ricordato che i dalmati […] hanno una gentile ambasciatrice accreditata presso le nostre lettere e un valido patrono in Carlo Goldoni (P. P. Trompeo, “La Dalmatina”, Le vie del mare e dell'aria 18 (1919), 3-4 e 6). 46 Dall'esame sommario delle opere, nelle quali appaiono personaggi di teatro dei dalmati, si può concludere che le buone qualità istintive della razza sono sempre messe nella luce migliore, e cioè: ardimento, che non indietreggia dinanzi alle più perigliose imprese, generosità di sentimenti, e nobiltà di carattere, e soprattutto amore alla patria ed orgoglio di essere associa ta alla secolare gloria di Venezia (C. Levi, “Dalmati sulle scene”, Il Marzocco, 11 maggio 1919). 47 R. M. Ivanovič, “Goldonijeva 'La dalmatina' ”, Hrvatska prosvjeta 7 (1920), 215, cit. in Čale, “La 43 44 A 68 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 69 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA pavoneggia a Fiume.47 Il fatto che una tragicommedia in martelliani, capace di sorprendere e conquistare l'immaginario del pubblico teatrale nella Venezia del secondo Settecento, ma anche di cadere poi in un rapido e irredimibile oblio (nonché di restare completamente estranea alla pur vivace attenzione con cui l'area slava, e specificamente croata, alimentò la fortuna del teatro goldoniano)48 potesse essere d'improvviso riesumata, e con tale dovizia di “eteronomi intenti”, ha naturalmente precise radici nella particolare fisionomia del testo stesso, forse il più politicamente esposto, come si accennava, di tutta la produzione goldoniana. Centro gravitazionale della materia rappresentativa non è certo la dalmatina Zandira, fatta schiava in Marocco e contesa da vari spasimanti (tra cui il connazionale, nonché promesso sposo, Radovich, il greco Lisauro e i musulmani Ibraim e Alì), e strumentalmente eletta dall'autore a personaggio eponimo in ossequio ai canoni della sua produzione “esotica” (che definisce rigorosamente al femminile il baricentro del proprio orizzonte compositivo, dalle Ircane alle Peruviane, dalle Selvagge alle Georgiane). A delineare con precisione l'argomento fu d'altra parte Goldoni stesso, allorché - nel varare la diffusione a stampa della tragicommedia, di cinque anni successiva al suo esordio spettacolare - pose in evidenza che si tratta in essa di una nazione fedele, e benemerita alla Repubblica Serenissima; si tratta in qualche maniera del nome glorioso de' veneziani, del valor de' schiavoni, e del rispetto che gli uni, e gli altri esigono principalmente sul mare.49 Sono affermazioni ricorrenti nella dedica della Dalmatina, non a caso l'unica tra tutte le “esotiche” a non ricercare legittimità e 'Dalmatina' di Goldoni”, op. cit., 182-183. Al riguardo, cfr. i dati discussi nella “Nota sulla fortuna”, in Dalmatina, EN. 49 Dalla dedica della tragicommedia, edita per la prima volta nel vol. IX dell'edizione Pitteri (1763). Cfr. anche M é m o i r e s, II, cap. XXXIV: Les vénitiens font le plus grand cas des dalmates, qui, étant limitrophes du turc, défendent leurs biens, et garantissent en même temps le droits de leur Souverains. C'est de cette nation que la République tire l'élite de ses troupes, et c'est parmi les femmes de ce peuple courageux que je choisis l'héroïne de mon drame (I 390). 50 È stato già sottolineato come, a livello di prassi dedicatoria, il genere tragicomico sembra pref i g u rare, per lui [Goldoni], una specifica strategia di attenzione verso l'universo femminile (M. Pieri, “Introduzione”, in C. Goldoni, La sposa persiana. Ircana in Julfa. Ircana in Ispaan, Venezia 1996 [C. Goldoni, Le opere, Edizione Nazionale], p. 82); né si è mancato di interpretare la dedica al femminile, che caratterizza - esclusa la patriottica Dalmatina […] - tutte le restanti esotiche, come chiave di lettura di determinate tipologie di personaggi femminili: femmes fortes che sembrano rimandare, nell'immaginario goldoniano, a caratteri di esotismo (Ilaria Crotti, “Per un Goldoni americano”, in Libro, Mondo, Teatro. Saggi goldoniani, Venezia 2000, p. 118). Per un più articolato inquadramento dell'attenzione con cui Goldoni cercò un patrocinio muliebre nella pubblicazione delle proprie opere (al di là della loro eventuale connotazione “esotica”), cfr. Anna Scannapieco, “'Sotto il manto dell'autorevole protezione vostra…'. Carlo Goldoni e le nobilissime dame veneziane”, in Luce di taglio: preziosi momenti di una nobildonna veneziana. Una giornata di Faustina Savorgnan Rezzonico, a cura di F. Pedrocco, Milano 2002, pp. 112-115. 48 69 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 70 ANNA SCANNAPIECO patronage in un'interlocuzione femminile,50 ma nel neo-procuratore di San Marco Gian Francesco Pisani, cioè - come Goldoni veniva significativamente sottolineando - in uno de' primi sostenitori del decoro, dell'onor della patria, il di cui zelo ha tutto sagrificato al bene, allo splendore, alla tranquillità dell'Adratico Impero.51 Il nesso patriottismo-apologia dei dalmati (della loro fedeltà e valor militare) era stato rilevato sin dai primi interventi critici sull'opera (e poi inerzialmente echeggiato, con vario grado di pertinenza, nei contributi successivi):52 ma per Dalla citata dedica della tragicommedia (il tondo è mio); la solenne proclamazione di GianFrancesco Pisani a procuratore di San Marco avvenne il 23 aprile 1763: nonostante la lontananza parigina, Goldoni partecipò alle celebrazioni non solo consacrando al neoeletto la Dalmatina, ma anche contribuendo alla realizzazione di una sontuosa raccolta di componimenti poetici (Venezia 1763; il contributo goldoniano - Per il solenne ingresso di Sua Eccellenza il signor Giovanni Francesco Pisani alla sublime dignità di Procur. di San Marco Capitoli tre - si legge ora in XIII 882-898). Per una disamina delle intenzioni argomentative soggiacenti alla strategia celebrativa della dedica al Pisani, cfr. il relativo commento in Dalmatina, EN. 52 Cfr. Maddalena, Nota storica alla Dalmatina, op. cit., in part. pp. 90-91 e idem, La “Dalmatina” del G o l d o n i, Roma 1927 (estratto dalla Nuova Antologia, 16 luglio 1927). A riprova di quanto si s e gnalava a testo sulla varia pertinenza con cui tale motivo è stato modulato nei contributi critici successivi, cfr. ad esempio come per Francesco Del Beccaro sia evidente che La Dalmatina rappre senta un atto sincero d’ amor patrio in un momento in cui la Serenissima aveva bisogno del consenso e dell’ appoggio morale di tutti i suoi figli. […] pensò di dedicarla a Gian Francesco Pisani, procura tore di San Marco, del quale sottolinea - dopo accenni alle giustificate apprensioni del momento l’ “eroico, costante amore” per la patria veneziana (F. Del Beccaro, “L’ esperienza ‘esotica’ del Goldoni”, Studi goldoniani 5 (1979), 90; sono evidenziate in tondo le affermazioni del tutto destituite di fondamento storico o documentario); o come per Giovanni Da Pozzo sia possibile sottolineare che mentre l’ eroe dalmata Radovich è il personaggio che menziona più volte la patria, riflesso forse del debito veneziano verso i combattenti schiavoni; […] mai invece quel sostantivo viene pronunciato da Argenide, punita forse come personaggio, in qualche modo, per il fatto di essere figlia di un greco, gente alla quale da parte veneziana, e non solo da quella, veniva assegnata un’ idea di fede mancata (Da Pozzo, “Coerenza e sperimentalità goldoniana nella ‘Dalmatina’ ”, op. cit., 28): trascurando del tutto che il termine ‘patria’ risuona anche nelle vibranti performances di Canadir, cioè quel padre di Argenide chiamato in causa dallo stesso studioso (cfr. inoltre i n f r a, n. 91). Il nesso patriottismoapologia dei dalmati è discusso anche in Čale, “La ‘Dalmatina’ di Goldoni”, op. cit., incline a ritenere che si esageri quando il trionfo teatrale della Dalmatina si mette in relazione con le lodi dell’ autore indirizzate alle virtù eccezionali dei dalmati e con la loro devozione al Leone (p. 171), e pronto invece a esaminare quel nesso nella prospettiva delle due categorie interpretative del conformismo patriot tico e del cosmopolitismo illuministico: alla prima andrebbe ascritto il tendenzioso corredo autoesegetico della dedica e la manciata di versi strumentalmente distribuiti nella tessitura drammaturgica a glorificazione della patria, e precisamente del suo espansionismo politico e militare - fatto che contraddice, confesseranno tutti, alla sua [di Goldoni] mentalità democratica e popolare (p. 172); alla seconda andrebbe ricondotta invece la ragione sostanziale del successo della pièce (le sue radici ispirative […] vanno collegate, invece, all’ unico tra i motivi di umanità goldoniana in esso presenti, all’ amicizia e alla stima reale per la gente oltre l’ Adriatico, sentimento sincero il quale, però, […] a Goldoni non era comodo esprimere a Venezia senza contaminarlo con quello della patria, p. 173). L’ idea di fondo è che mentre l’ acclamazione alla potenza del conquistatore-padrone temibile ma giusto suona come un cliché retorico, i versi di lode al carattere dei dalmati riflettono la simpatia più volte dimo strata dall’ autore alla gente d’ oltre mare (p. 176): che è modo, come ognuno ben vede, per proiettare sull’ effettivo cosmopolitismo goldoniano, un conformismo patriottico di “altra sponda”. Sul rapporto tra cosmopolitismo e patriottismo nella cultura europea illuministica e nella tessitura ideologica della tragicommedia goldoniana, mi permetto di rinviare all’ “Introduzione” alla Dalmatina, EN. 51 A 70 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 71 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA rimanere circoscritto in se stesso, e come risolto nella constatazione di un'evidenza. Che quel nesso invece evidente affatto non fosse - e che, a rigore, i suoi stessi costituenti fossero tutt'altro che prevedibili - possiamo oggi ben riconoscere, alla luce delle più recenti acquisizioni storiografiche; allo stesso Goldoni, del resto, non era sfuggito di aver innovato in profondità, e di aver violato con quella sua opera un ben definito orizzonte d'attesa, se nella prefazione alla commedia poteva ricordare come gli schiavoni […] fedelissimi sudditi della Repubblica Serenissima di Venezia, quando intesero annunciare una donna illirica sulle scene, temevano qualche tratto di licenza poetica sul carattere assai rispettabile della nazione.53 Era lo stesso orizzonte d'attesa al cui consolidamento, come abbiamo visto, non aveva mancato di contribuire, con La birba, anche e proprio il futuro autore della Dalmatina, e che sul limitare del secolo - in anni di ormai imperante “morlaccomania”54 - avrebbe ricevuto un poderoso omaggio retrospettivo nella narrazione delle Memorie inutili: allorché un Carlo Gozzi consapevole della propria “inattualità” e proprio per questo risoluto a ristabilire “verità” non più à la page,55 dedicherà alla Dalmazia, e in special modo alle d a l m a t i n e, alcune delle sue più sarcastiche e sprezzanti pagine. È il Gozzi che scopre ventenne e ottuagenario rammemora la natura libidinosissima delle femmine dalmate (i legislatori che conobbero essere impossibile in que' paesi il frenare la furia della libidine, hanno stabilita una tariffa sulla deflorazione d'una vergine morlacca poco maggiore della paga che vien data da un vizioso liberale a Venezia ad una mercantessa da peccati pian terreno), la loro barbarica e repulsiva bellezza (nella Dalmazia ci sono “L’ autore a chi legge”, op. cit. Dal Viaggio in Dalmazia di Fortis (e in particolare dal suo celebre e pluritradotto capitolo dedicato ai Costumi de’ Morlacchi) al romanzo di Giustina Wynne Rosenberg (Les Morlaques, Venezia 1788) al saggio di Giulio Bajamonti sul “Morlacchismo d’ Omero” (in Nuovo giornale enciclopedico d’ Italia, marzo 1797) la “morlaccomania” settecentesca si espresse in un crescendo che non mancherà di fruttificare anche nel secolo successivo. Sulle radici storico-culturali del fenomeno, e sulla sua fenomenologia settecentesca, cfr. le fondamentali pagine di F. Venturi, Settecento riformatore, vol. 5, L’ Italia dei lumi, t. 2, La Repubblica di Venezia (1761-1797), Torino 1990, pp. 347-424; per le elaborazioni letterarie e ideologiche del tema, cfr. anche Zorič, Italia e Slavia, op. c i t ., pp. 94-105 e, soprattutto, Wolff, Venice and the Slavs, op. cit., passim. 55 Nell’ introdurre i capitoli delle sue memorie “dalmatiche”, Gozzi sentiva non a caso l’ esigenza di misurarsi con il punto di vista espresso (e ormai imposto) dal Viaggio in Dalmazia di Fortis, chiamandolo esplicitamente in causa e in qualche modo ridimensionandone l’ attendibilità documentaria. Si consideri almeno la conclusione del lungo excursus: Questa narrazione […] potrebbe anche destare il sospetto ch’io abbia voluto porre in disegno di cattivo ritratto i popoli de’ villaggi della Dalmazia. Convien sofferire qualche mia osservazione […] (Gozzi, Memorie inutili, op. cit., pp. 68-70, la citazione a p. 70; per avere un “assaggio” delle osservazioni che venivano proposte dopo il passo citato, cfr. quanto di seguito menzionato a testo). Gli eventi narrati nelle Memorie inutili relativi alle esperienze fatte in Dalmazia fanno riferimento al periodo 1741-1744 (e sono distribuiti tra p. I, capp. IV- XIV, e p. II, capp. XLVII-XLVIII). 53 54 71 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 72 ANNA SCANNAPIECO delle belle femmine, che pendono, la maggior parte, alla robustezza maschile, e tra le morlacche de' villaggi que' Pigmaleoni che volessero consumare qualche staio di sabbia nel ripulirle, avrebbero de' bei simulacri animati), la loro “ontologica” e mercenaria sensualità (Le donne illiriche sono meno fedeli in amore delle donne italiane; […] accecate e sforzate dal loro temperamento ardente, dall'effetto del clima, dalla lor povertà, e sedotte facilmente dalla lor credulità a mancare di fede);56 il Gozzi che a Zara vive la sua educazione sentimentale con varie corsare di Venere57 e che sperimenta il proprio noviziato teatrale ideando e interpretando la “sua” dalmatina, quella Luce buffoncella servetta che è degna antitesi dell'eroica Zandira goldoniana.58 Eppure, accenti che nella bocca sensuale e mendace di una delle varie femmine dalmate gozziane avrebbe potuto suscitare solo le più grevi risate - Amor sull'alme impera, / Ma un'illirica donna usa a parlar sincera59 - inaugurarono, nella nuova rappresentazione goldoniana, la modulazione di un'inedita struttura di atteggiamento e di riferimento.60 Davvero imponente insomma la trasmutazione prospettica che dovette prodursi in quell' autunno del 1758 nel veneziano teatro di San Luca, allorché l'appassionata Caterina Bresciani61 entrava in scena scandendo con fierezza: Op. cit., pp. 71-72 (dalla parte prima, cap. IX). Op. cit., p. 92 (p. I, cap. XII): la memorabile definizione è riservata alla “dalmatina” che domina nei capitoli zaratini della prima parte, Tonina (una delle più belle giovanotte popolane che vedesse occhio umano […]. Ella aveva di molti spasimanti, e le sue cattiverie, i suoi nascondigli e l’ esca che sapeva dare a parecchi merlotti, diveniva cosa materiale e da poche lire, e nondimeno ella sapeva venderla de’ zecchini, op. cit., p. 89); meritevoli di una citazione integrale sarebbero i capitoli della seconda parte che recuperano in analessi il noviziato erotico dell’ autore: una narrazione che - come ha efficacemente sintetizzato Larry Wolff - demonstrated an imperial pattern of seduction, coercion, and exploitation (Wolff, Venice and the Slavs, op. cit., p. 36). Sarà opportuno naturalmente sottolineare che dietro il rabbioso conservatorismo, il plateale approccio “imperialista” di un Carlo Gozzi si esprime comunque una capacità diagnostica delle miserie e delle condizioni di sfruttamento coloniale in cui versava la Dalmazia settecentesca che è invece programmaticamente estranea alle sublimate (e sublimanti) rappresentazioni goldoniane: ma le implicazioni di tale tema sono senz’ altro meritevoli di separata e distesa trattazione. 58 I miei scorci muliebri dalmatini; le mie malizie in sugli aneddoti noti de’ miei compagni e della città, esposte con arti decenti e con delicatezza; i miei rimproveri; la mia ostentata castità; i miei riflessi, i miei lamenti, fecero tanto ridere il provveditore generale e tutti gli ascoltatori, che mi fu accordata universalmente la vittoria di poter essere considerata la più valente e buffoncella servetta che sia comparsa in sui teatri (Gozzi, Memorie inutili, op. cit., pp. 78-79 (parte prima, cap. XI). 59 Dalmatina, EN, I.6.35-36. 60 Per la definizione di tale categoria critica, d'obbligo il riferimento alla produzione di Edward W. Said (in particolare Orientalismo. L'immagine europea dell'Oriente, Milano 1999 e Cultura e imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto coloniale dell'Occidente, Roma 1998). 61 Lo stesso autore, nella prefazione alla commedia, riconosceva all'interprete un ruolo essenziale nel clamoroso riscontro spettacolare dell'opera: la valorosa signora Catterina Bresciani ha sostenuto con tanto spirito, e verità il carattere della dalmatina, che ha meritato gli applausi di tutti, e specialmente degli schiavoni (dall' “Autore a chi legge”, in Dalmatina, EN. Sulla Bresciani, cfr. ivi il relativo commento). 56 57 A 72 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 73 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA Il ver dalla mia voce solo sperar tu puoi, non san le oneste donne mentir coi labbri suoi; sia di me, di mia sorte quello che il ciel dispone, Amo più della vita l'onor di mia nazione. […] pria di negar la patria, perder saprei la vita. […] ho nelle vene un sangue noto, e famoso al mondo. Sangue d'illustri eroi, d'eterna gloria erede che alla sua vita istessa sa preferir la fede; che più d'ogni grandezza ama il natio splendore, che la fortezza ispira e il militar valore.62 Va da sé che dietro simile capacità di trasmutare orizzonti d'attesa (la pièce, come già ricordato, segnò i vertici del successo goldoniano a Venezia)63 non può esserci solo l'incidenza di una presunta suggestione letteraria (quelle Amazones della Du Boccage non a caso richiamate solo in un tardivo e tattico - quanto peraltro generico e, per così dire, passe-partout - omaggio del “Molière italiano” alla Sapho Parisienne) , 64 e tanto meno le ipotetiche sollecitazioni indotte dalla concorrente offerta teatrale di un Pietro Chiari, che proprio in Dalmatina, EN, I.3.19-22, 28, 30-34. Travolgimento e modifica che, giusta le fondamentali indicazioni di Hans Robert Jauss, si producono attraverso la negazione di esperienze familiari o la presa di coscienza di esperien ze che giungono ad espressione per la prima volta (H. R. Jauss, “Storia della letteratura come provocazione nei confronti della scienza della letteratura”, in Storia della letteratura come p r o v o c a z i o n e, a cura di P. Cresto-Dina, Torino 1999, pp. 166-225, la citazione a p. 197). Sullo straordinario riscontro spettacolare dell'opera, cfr. quanto segnalato s u p r a, n. 37; si consideri inoltre la testimonianza dello stesso autore: La mia Dalmatina è una di quelle commedie che in Venezia principalmente mi hanno fatto il maggior onore. Ho veduto il popolo interessato ad accoglierla, e farle festa (dalla dedica al Pisani, op. cit., in D a l m a t i n a,EN). 64 J'avois lu les Amazones de Madame du Boccage: j'imaginai une piece à-peu-près du même genre; mais elle avoit choisi les héroïnes du Termodonte pour sujet d'une tragédie, et je pris une femme courageuse et sensible de la Dalmatie pour le sujet d'une tragi-comédie, que j'intitulai la Dalmatina (Mémoires II, cap. XXXIV, in I 390; in questo stesso luogo ricorre anche la definizione, citata a testo, della Du Boccage come Sapho Parisienne). Merita sottolineare che solo nei Mémoires (e dunque in un contesto particolarmente favorevole a tale tipo di dichiarazioni) l'autore esplicitò il presunto modello, per la Dalmatina, del dramma della Du Boccage, mentre nessun riferimento a possibili fonti presenta la sede più deputata al riconoscimento della genealogia letteraria del testo, cioè la prefazione dell'opera (spazio appunto spesso utilizzato dall'autoesegesi goldoniana; per limitarsi ad un esempio tratto dalla produzione “esotica”, si veda come la prefazione della Peruviana - in IX 743-744 - istruisca il lettore sui rapporti genetici che legano la pièce al romanzo di Madame de Graffigny). La critica non ha mancato di rilevare l'insussistenza e la pretestuosità della tardiva indicazione dell'autore: Chiunque abbia la pazienza di leggere quei due drammi (e non so per quale dei due ce ne voglia di più!) vedrà che nel lavoro del Goldoni non c'è proprio nulla del francese, e che la è stata soltanto una cortesia del Goldoni verso la Du Bocage, da lui conosciuta di persona [ … ] l'asserire di doverle la Dalmatina (cfr. recensione di E. Maddalena a C. Rabany, Carlo Goldoni. Le théâtre et la vie en Italie au XVIII siècle, Parigi 1896, in Ateneo veneto, anno 20, 1 (aprile-maggio 1897), 271; cfr. anche idem, “Noterelle goldoniane. 'La Dalmatina' ”, Il Dalmata, 62 63 73 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 74 ANNA SCANNAPIECO quel torno di tempo avrebbe collaudato il trionfante riscontro spettacolare del nesso patriottismo-virtù muliebre.65 A perseguire soltanto l'individuazione di possibili fonti o suggestioni compositive, andrà semmai riconosciuta, ancora una volta, al nostro autore la capacità di utilizzare e far risuonare convenzioni rappresentative che si andavano codificando in altri ambiti, come quella che prevedeva, nel riconoscimento complessivo del genio militare proprio delle genti dalmate, la peculiare virtù, animosa e guerriera, delle loro donne, sperimentate amazzoni della contemporaneità: come andava raccontando, con ricchezza di riferimenti, quel repertorio del Salmon che Goldoni stava mettendo così ampiamente a frutto proprio nella sua produzione esotica,66 e come avrebbe puntualmente ribadito la dalmatologia di area illirica all'indomani del Viaggio in Dalmazia di Alberto Fortis.67 Zara 8 agosto 1891, nº 73: di fatto i due drammi non hanno nulla di comune, né per il contenuto né per gli episodi, e si piglierebbe un granchio a voler riguardare questo come fonte di quello). Un labile legame potrebbe tutt'al più essere riconosciuto nella figura dell'amante, conteso fra due donne punto del resto onde muove già la Sposa persiana - e in quel tanto di ardimentoso e di guerresco ch'è nel linguaggio e negli atti della protagonista Zandira che dalla violenza del corsaro si difende con la scure (idem, La “Dalmatina” del Goldoni, op. cit., p. 4). La figura dell'amante conteso - nella Dalmatina rappresentato dal greco Lisauro - documenta d'altronde un legame della tragicommedia goldoniana con un romanzo di Barthélemy Marmont du Hautchamp (Rethima ou la Belle Georgienne, 1735-36), che, come è stato persuasivamente argomentato, influenza il plot narrativo di ben tre “esotiche” goldoniane (Dalmatina, Bella selvaggia e Bella giorgiana): nello specifico della Dalmatina, tale possibile legame è riconoscibile nel fatto che la protagonista destinata, all'inizio della vicenda al serraglio del Gran Serraglio della Porta Ottomana con altre fanciulle georgiane a titolo di tributo, viene salvata durante il viaggio per mare e affidata ad un greco, Brigandini, che promette di farla educare e di sposarla e che poi invece si rivela un perverso (Del Beccaro, “L'esperienza 'esotica' del Goldoni”, op. cit., 96-97). Sorprende pertanto che al rapporto con il dramma della Du Boccage sia tornato a prestare attenzione - e nella totale indifferenza a quanto posto sinora in luce dalla letteratura critica d'argomento - il più recente contributo sulla Dalmatina (Da Pozzo, “Coerenza e sperimentalità goldoniana nella 'Dalmatina' ”, op. cit., 19-21). 65 Cfr. G. Ortolani, “Patria e libertà nei teatri veneziani del Settecento”, Gazzetta di Venezia, 2 gennaio 1926. L’ opera del Chiari chiamata in causa è Cordova liberata dai Mori (andata in scena al Sant’ Angelo nello stesso autunno 1758 in cui al San Luca trionfava La dalmatina). Per un’ analisi del rapporto tra le due pièces, cfr. comunque infra. 66 L'utilizzo del repertorio del Salmon per la cosiddetta “trilogia persiana” è oggi puntualmente ricostruito in Pieri, “Commento”, in Goldoni, La sposa persiana, op. cit.; mentre ne hanno illustrato il rapporto con La bella georgiana i contributi di N. K. Orlòvskaja, “'La bella Georgiana' di Carlo Goldoni”, Trudy tbilisskog gosudarstvennogo universiteta 101 (1962), 8196 e N. Kaucisvili, “A proposito della 'Bella georgiana' del Goldoni”, Studi goldoniani 1 (1968), 135-142.. Mai rilevate invece, e nemmeno ipotizzate, le suggestioni che, anche in riferimento alla Dalmatina, Goldoni avrebbe potuto ricavare dal repertorio del Salmon. Esse figuravano nella parte seconda del t. XX, Che comprende la città di Venezia, il Dogado, il trivigiano, il bellunese, il feltrino, il Friuli, l'Istria, la Dalmazia e Levante veneto (edito nel 1751). Giova considerarne una possibile campionatura: a) sulle virtù militari dei dalmati e la loro fedeltà alla Serenissima: Il mare tuttavia in molti luoghi supplisce a' mancamenti della terra colle abbondanti pescagioni […]: fonte da cui traggono in gran parte i suoi abitatori la sussistenza, congiungendolo a quello, che lor somministra A 74 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 75 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA Ma anche ammessa l'esistenza di un terreno di cultura da cui potrebbe aver tratto alimento lo scarto prodotto dalla Dalmatina rispetto allo standard rappresentativo di riferimento letterario, resta indubbio che il decisivo salto di qualità viene da Goldoni autonomamente guadagnato con il suo porre in scena i nuovi interessi amministrativi, politici, ideologici che il ceto dirigente marciano andava proiettando sulla sua primogenita provincia.68 Non a caso, il consueto protagonismo muliebre proprio della produzione esotica resta, in questa singolare p i è c e, decisamente in penombra, e comunque - dalla prima all'ultima apparizione in scena - interamente risolto nell' appassionata rappresentazione di un meditato progetto politico di integrazione, pacificazione e autocelebrazione: Della Dalmazia in seno ho il mio natal sortito, l'arte militare, cui siccome genti animose, robuste, e frugali pajono dalla natura istessa inclinati. Le migliori truppe di marina della Repubblica si traggono per lo più da questa provincia: né in verun tempo hanno dato segni di viltà o di timore; tutta la nazione Dalmatina generalmente si pregia di singolare fedeltà verso il suo Principe, e di marzial valore, e nelle recenti guerre della Repubblica ne ha copiose testimonianze. b) Sullo specifico del valore bellico nella popolazione di Cattaro, a cui appartiene il goldoniano Radovich: oltre alle moderne fortificazioni, e un grosso presidio, la piazza [di Cattaro] siccome frontiera è guernita di buone artiglierie, di magazzini, e d'altri militari attreccj; e i suoi abitanti possono computarsi come altrettanti buoni e animosi soldati. c) Sulla fierezza muliebre: [nei dintorni di Zara, a Selve o Silba, 600 ab.] la campagna, non gran fatto feconda di biade e vino, è coltivata dalle femmine, le quali in oltre sono tanto animose e gagliarde, che occorrendo, sarebbono sufficientissime a guardare la villa dagl'insulti dei corsari; [durante gli assedi turchi di Sebenico, 1539 e 1569] ritentatane da essi [turchi] la espugnazione, ne riportarono tanto maggior confusione e vergogna quanto che usciti già dalla città in partita contra il nimico quasi tutti gli uomini, le sole femmine, rinnovando gli antichi esempi di Salona si difesero con tal vigore, che giunto l'ultimo soccorso, furono costretti i turchi a levare il campo, ed andarsene; dicesi che [Salona, città vicino Spalato, un tempo nobile e vasta, sede degli antichi Re dell'Illiria] assedia ta da' Romani a' tempi di Augusto, fosse gagliardamente difesa dalle femmine, che uscite valorosa mente di notte posero il fuoco al campo Romano, e lo costrinsero a ritirarsi. E in vero le donne del paese de' giorni nostri non lasciano dubitare della verità del racconto, robuste e animose come sono (T. Salmon, Lo stato presente di tutti i paesi, e popoli del mondo naturale, politico e morale. Con nuove osservazioni, e correzioni degli antichi e moderni viaggiatori [1725-1738], vol. XX, p. II, Che comprende la città di Venezia, il Dogado, il trivigiano, il bellunese, il feltrino, il Friuli, l'Istria, la Dalmazia e Levante veneto, Venezia 1751, pp. 301, 326, 327, 331-332, 409, 445-446. Sulla larga diffusione negli ambienti intellettuali della città, nonché sugli errori dell'opera, cfr. P. Preto, Venezia e i turchi, Firenze 1975, pp. 411-412 e relativa bibliografia ivi citata). 67 Per un Pietro Nutrizio Grisogono, ad esempio, le donne al par delle lacedemoni, riguardano con disprezzo i bisogni a quali la natura non le ha assoggettate e sono instancabili più che gli uomini alla fatica e alla sofferenza (P. N. Grisogono, Riflessioni sopra lo stato presente della Dalmazia, Firenze 1775, cit. in Venturi, Settecento riformatore, vol. 5, t. 2, cit., p. 349). Sul valore bellico delle donne dalmate si vedano le esemplificazioni documentarie prodotte in A. Berlam, “Le milizie dalmatiche della Serenissima ossia i fedeli Schiavoni”, La Rivista dalmatica 59 (1988), 4, 311. 68 È la sintomatica espressione con cui veniva designando la Dalmazia Marco Foscarini nell'orazione pronunciata al Maggior Consiglio il 17 dicembre del 1747 (Degli inquisitori da spedirsi nella Dalmazia, ora in E. Morpurgo, Marco Foscarini e Venezia nel secolo XVIII, Firenze 1880, pp. 195235; la citazione a p. 231). Sul valore politico e culturale di tale orazione, cfr. infra, n. 84. 75 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 76 P ANNA SCANNAPIECO dove l'Adriatico mare bagna pietoso il lito. Dove goder concede felicitade intera il Leon generoso, che dolcemente impera. Sì, quel Leone invitto che i popoli governa Con saper, con giustizia, e la clemenza alterna. Che sa premiar il merto, che sa punir l'audace, che nel suo vasto impero fa rifiorir la pace. L'almo Leon temuto, cui della fede il zelo caro agli uomini rende, e lo protegge il cielo. […] sai che non sa mentire chi nata è dalmatina. Questo costume antico nel nostro ciel si ammira, nuovo zel, nuova fede chi vi comanda inspira; e per mare, e per terra siete alla gloria nati, oh dell'Adriatico impero popoli fortunati.69 Già riconosciute, durante il “secolo di ferro”, non meno theatri famosi de publici gloriosi trionfi, che antemurali della patria e della libertà,70 dopo Passarowitz le province di Dalmazia e Albania diventano il nuovo baricentro dello stato da mar, come significativamente testimonia anche l'evoluzione semantica dello stesso termine oltremarino (che appunto nel Settecento tende a sostituire l'elemento slavo al referente originario, greco-mediterraneo).71 Ed è proprio la nazione oltramarina, che seppe con tanto vigore […] reprimere l'orgo glio di Musulmani,72 sono proprio il valore militare e la lealtà politica degli La dalmatina, I.3.35-44 (sono versi che la protagonista pronuncia durante la sua prima comparsa in scena) e V.ultima.76-80, in Dalmatina, EN. 70 Così il provveditore generale di Dalmazia e Albania Antonio Priuli nella sua relazione consuntiva del marzo 1670, in Commissiones et relationes venetae, vol. 8 (annorum 1620-1680), a cura di G. Novak, Zagabria 1977 [Monumenta spectantia historiam Slavorum meridionalium 51], p. 15. 71 Cfr. P. Del Negro, “La politica militare di Venezia e lo stato da mar nel Sei-Settecento”, Studi Veneziani n.s. 39 (2000), 120: Se nel Tre-Quattrocento erano i greci di Cipro e delle altre isole del Mediterraneo orientale ad essere designati quali oltramarini, fin dal Cinquecento tale etichetta era stata estesa a tutti coloro che erano di lingua greca e in seguito anche a coloro che parlava no lingue diverse dal greco, ma che erano di rito greco. Infine, a partire dagli anni a cavallo tra Sei e Settecento si era gradualmente imposta l'identificazione degli oltramarini anche, se non soprattutto con gli schiavoni, in larga maggioranza croati, della Dalmazia. Un fenomeno questo, dello spostamento del baricentro militare all'interno dello stato da mar dai greci agli slavi, che si può ricondurre, in parte, alla significativa ristrutturazione territoriale dei domini veneziani, che aveva visto sul fronte della Grecia perdite significative come quella di Candia oppure conquiste effimere come quella della Morea e al contrario una costante, ancorché relativamente parsimo niosa, dilatazione dei possedimenti veneziani in Dalmazia a spese degli Ottomani. 72 Così nell’ espressione di un Morosini, cit. in E. Concina, Le trionfanti et invittissime armate venete. Le milizie della Serenissima dal XVIº al XVIIIº secolo, Venezia 1972, p. 31. 69 A 76 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 77 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA schiavoni di Dalmazia - nella variante paradigmatica di un capitano di Cattaro73 - a costringere la protagonista Zandira in una posizione, per così dire, ancillare. Come ricorda l'autore stesso, se il nucleo più interessato del pubblico era costituito da quegli schiavoni che in teatro andavano a truppe co' loro spadoni a vedere la loro compatriota, il loro entusiasmo era poi tutto per l'onora to Radovich, allora quando vantavasi di portare gelosamente Il suo Leone in petto. Questo - continua l'autore, in toni inconsuetamente vibranti - è quel Leone glorioso che gelosamente in petto anch'io custodisco, che mi ha animato a scrivere questa commedia, che mi ha ispirato i tratti, e i sentimenti che hanno formato il maggior piacere della commedia.74 Che non si tratti di un'occasionale sussulto d'amor patrio, magari confezionato a posteriori, e che l'investimento ideologico giocato sulla Dalmatina avesse invece radici profonde, e in profondità capaci di risuonare, è comprovato dal fatto che a questa sua particolare “esotica” un Goldoni ormai parigino sarebbe ritornato per trarne una nuova versione, L'esclave généreuse ou La générosité de Camille.75 Anche in questo caso, il titolo poneva in ombra il vero cuore ideativo della commedia, che era invece - come nella redazione originaria - interamente calibrato sull'amor di patria: Di quest'opera mia tratto ho il soggetto Dalla mia Dalmatina, a voi ben nota, Che in Vinegia produsse ottimo effetto. E al nome Vinizan ligia e divota La Musa mia, vuol che a Parigi ancora Sulle pubbliche Scene onor riscuota. Ho la cara mia Patria in mente ognora, E i Padroni, e gli Amici, e i Protettori, Da non confondere con “cappelletti” o “albanesi”, gli schiavoni di Dalmazia conobbero una loro propria regolarizzazione istituzionale durante la guerra di Candia; in precedenza le milizie irregolari dalmate, preesistenti, ausiliarie da secoli delle armate venete, erano valorose bensì, ma indisciplinate e dedite al saccheggio […], dopo le esperienze fatte nella lunga guerra di Candia, si formarono i primi reggimenti regolari di schiavoni, in cui primeggiavano i bocchesi, che ebbero agio di distinguersi nelle guerre che ebbero luogo precipuamente fra il 1684 e il 1718, nelle armate di Cappello, di Cornaro, di Dolfin, di Grimani e di Mocenigo, perfezionan dosi sempre più sino alla caduta della Repubblica (Berlam, “Le milizie dalmatiche”, op. cit., 312-313). Anche Radovich è un “bocchese” (Cattaro è il suol nativo del mio consorte eletto […] prole de' Radovicci, stirpe gloriosa, antica, I.3.55 e 61): le Bocche di Cattaro (apertura di un diramato golfo che intacca profondamente la costa all'estremità meridionale della Dalmazia) furono teatro di guerre lunghe e logoranti, nelle quali i bocchesi a fianco dei veneziani compirono prodigi di valore celebrati da tutta l'Europa. 74 Dalla prefazione alla “commedia”, in Dalmatina, EN. 75 Per la natura dell’ opera e i suoi tempi di composizione, cfr. Scannapieco, “Scrittoio, scena, torchio”, op. cit., 190-191. 73 77 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 78 P ANNA SCANNAPIECO E il loro amor, che anche lontan mi onora. […] E sapete quant'amo e quanto ambisco Far vedere ai Patroni, anche in distanza, Che d'amor per la Patria io mi nutrisco.76 L 'amor per la patria - uno degli ideali più celebrati, dalla pubblicazione dello Spirito delle leggi, nell'Europa settecentesca77 - aveva dunque indotto Goldoni a trasformare in materia rappresentativa quella nazione dalmata che era unico sostegno dell'assoluta padronanza del Golfo,78 combinando il “domestico esotismo” delle milizie schiavone - restituite, nella distanza teatrale, a tutto lo splendore coreografico che era loro proprio 79 - assieme con i modi propri di un'opera teatrale, fondata sul vero, lavorata sul verisimile:80 sicché anche l'elemento ideativo che più potrebbe sembrar concorrere ad una dissolvenza esotica della vicenda narrata - l'ambientazione barbaresca81 - si rivela in realtà perfettamente aderente alle caratteristiche che furono proprie della politica estera marciana nel secondo Settecento.82 Il fatto che nella messa in scena di Per il solenne ingresso di Sua Eccellenza il signor Giovanni Francesco Pisani, op. cit., in XIII 892. Cfr. M. Viroli, Per amore della patria. Patriottismo e nazionalismo nella storia, Roma-Bari 1995, in part. pp. 63-92. 78 Così Giorgio Morosini in un rapporto al Senato del 1673, cit. in Berlam, “Le milizie dalmatiche”, op. cit., 305. 79 Gli schiavoni costituivano, fra le altre cose, la più appariscente nota di colore dell'esercito veneto settecentesco e in quanto tali erano utilizzati come la più scelta guardia d'onore dei pubblici rappre sentanti (Concina, Le trionfanti et invittissime armate venete, op. cit., p. 32). La loro è una uniforme di barbarico splendore che ben si addice, nel Settecento, agli ormai tramontati sogni veneziani, e che le documentazioni iconorafiche consentono di descrivere in dettaglio: l'ufficiale indossava una velada di panno, naturalmente cremisi [colore prescritto dal 1724], foderata di “taffettà blu”, impreziosita di gallonatura d'oro, bottoniere ed asole dorate, paramani di panno bleu gallonati anch'essi; camisiola ancora turchina, cintura d'oro, lunghi calzoni attillati, stivaletti ed al fianco la larga schiavona dal fodero di pelle nera luccicante di fornimenti anch'essi dorati. Come copricapo il colbacco, il “berrettone” della terminologia veneta, di pelo d'orso bruno e panno rosso (op. cit., p. 37). 80 Così viene definita la tragicommedia nella dedica al Pisani, op. cit. 81 La scena è in Marocco, a Tetuan; ad un’ ambientazione barbaresca era non a caso stato legato il presumibile esordio della produzione esotica goldoniana: cfr. Anna Scannapieco, “Alla ricerca di un Goldoni perduto: ‘Osmano re di Tunisi’ ”, Quaderni Veneti 20 (dicembre 1994), 9-56. 82 La strategia politico-militare adottata dalla Serenissima a partire dalla guerra di Candia prevedeva una neutralità più che mai disarmata in terraferma e una mobilitazione in armi a Venezia e nelle sue retrovie marittime, lo stato da mar, i domini dai quali, tra l'altro, la Repubblica sperava di poter trarre le truppe necessarie alla protezione della città lagunare. […] Da una parte uno stato da terra neutrale, dall'altra uno stato da mar base di una politica militare attiva: ecco, in estrema sintesi, la contraddizione di fondo della strategia della Serenissima (cfr. Del Negro, La politica militare di Venezia, op. cit., p. 117). Sullo stato da mar era dunque proiettata l'esigenza di ridefinire e salvaguardare l'identità dello stato marciano, con l'avvertenza che mentre nel '600 gli scenari di guerra erano stati Candia, Dalmazia, Albania veneziana (litorale montenegrino), Morea, Egeo e sue isole, isole Ionie e costa greca prospiciente; nel secondo Settecento essi risultano dislocati nel Mediterraneo occidentale, dove la Serenissima fronteggia quei barbareschi (i corsari musulmani che avevano le loro basi a Tripoli, Tunisi e Algeri) di cui è preciso riflesso nella Dalmatina. Non è quindi condivisi76 77 A 78 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 79 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA così cogenti interessi della contemporaneità convergano collaudati clichés della tradizione letteraria e della convenzione spettacolare (l'avvenente donna illirica fatta schiava dai corsari e contesa da più amanti, il pirotecnico dispiegarsi di scene belliche ecc.), lungi dallo stemperarlo, restituisce piena evidenza allo spessore ideologico di un'ideazione drammaturgica attraverso cui Goldoni si rende davvero tempestivo e militante interprete della scena politica veneziana: quella stessa in cui la nazione dalmata - da semplice serbatoio di energie militari - aveva progressivamente assunto un ruolo di primo piano, man mano che la Serenissima Dominante aveva dovuto proiettare proprio su di essa il valore ideale di quel “Regno” capace di giustificarne il prestigio crollato con la sconfit ta del progetto d'espansione in Grecia.83 Nel nome della Dalmazia si era non a caso scandito l'esordio del pensiero politico di Marco Foscarini, con quell'orazione del dicembre 1747 in cui oggi si riconosce unanimemente l'avvio del moto riformatore dalmata, uno dei più vigorosi e indubbiamente uno dei più bile la pur suggestiva interpretazione data al riguardo da Larry Wolff, secondo cui la dislocazione nel Marocco musulmano della vicenda con protagonista l'eroina dalmata sarebbe stata funzionale all'orientalizzazione della Dalmazia, a sua volta resa necessaria dall'esigenza di porre in scena t h e formulation of an ideology of Adriatic empire (cfr. Wolff, Venice and the Slavs, op. cit., pp. 25-27). 83 Paladini, “Un caos che spaventa”, op. cit., p. 14. Com'è noto, la perdita della Morea (1718) aveva segnato una profonda cesura ideologica nella politica veneziana e in particolare nelle sue prospettive mediterranee. Già il futuro doge Carlo Ruzzini, all'epoca delle trattative ministro plenipotenziario veneto, aveva potuto vedere alcuni preziosi vantaggi nei nuovi acquisti dalmatici (la cosiddetta “linea Mocenigo”) connessi alla perdita della Morea: da una parte [il contraccambio] avrebbe comunque potuto accentuare una vocazione continentale per lo stato da mar, nella prospettiva dell'apertura commerciale sui Balcani e soprattutto nella speranza di poter produrre sulle stesse regioni oltremarine quanto bastasse alla loro autosufficienza. Dall'altra, esso offriva comunque una base per la riorganizzazione dei rapporti tra potenze concorrenti sul quadrante balcanico: una base per garantire gli spazi e i tempi della neutralità e del raccoglimento di Venezia, che sullo scacchiere adriatico-orientale conviveva da secoli con un continuo stato di guerra e di guerriglia (cfr. op. cit., pp. 25-27). 84 Venturi, Settecento riformatore, vol. 5, t. 2, op. cit., p. 424. Nella sua orazione Foscarini sosteneva appassionatamente la necessità di un energico intervento in Dalmazia (la primogenita provincia era stata abbandonata allo sfruttamento di funzionari che accentravano nelle proprie mani poteri militari, giudiziari, amministrativi e fiscali); formulava una vibrante denuncia del fiscalismo, delineando una viva “rappresentazione” della comun desolazion che i depredatori delle provincie avevano portato tra i Morlacchi e inchiodando in una dettagliata analisi gli errori e le colpe commesse nella politica agraria, nella pastorizia, nelle finanze. Foscarini ottiene l'invio degli “inquisitori”, ma i risultati furono molto scarsi: il problema della Dalmazia non poteva essere seriamente affrontato su un piano puramente politico […]. Anche là, la via di una tentata riforma passava attraverso le trasformazioni economiche, agricole, fondiarie. La legge del 1755 verrà ad inaugurare una nuova fase anche in questo secolare problema dei rapporti di Venezia con il dominio (F. Venturi, Settecento riformatore, vol. 1, Da Muratori a Beccaria (1730-1764), Torino 1969, pp. 285-287). Inoltre, come è stato osservato, l'orazione di Foscarini costituì un momento propulsivo nell'elaborazione di una politica di ricolonizzazione e di integrazione nel Dominio marciano dei territori dalmato-albanesi (Paladini, “Un caos che spaventa”, op. cit., p. 69); l'investimento politico che, a partire da quell'orazione, il governo marciano espresse nei confronti della 79 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 80 ANNA SCANNAPIECO originali tra i molti che […] erano andati sviluppandosi nelle province venete negli ultimi decenni del Settecento;84ed appena tre anni prima della Dalmatina era stata varata quella legge Grimani85 che costituiva il primo punto d'approdo del processo di radicale ripensamento politico dell'identità marciana avviato dall'orazione di Foscarini. Certo si può ben dubitare che la tragicommedia goldoniana partecipi effettivamente di un movimento riformistico le cui principali caratteristiche erano e sarebbero state una capacità eccezionale di analisi della società in cui era stato chiamato ad operare così come un impegno particolarmente vigoroso nell'affrontare i problemi morali e politici che nascevano dall'incontro e dalla convivenza di popolazioni tanto diverse di mentalità, di lingua, di vita.86 E si può anzi a ragion veduta sospettare che la teatralizzazione delle virtù illiriche fosse funzionale ad una esigenza - se non consapevole, certamente stringente - di sublimare le inquietanti smagliature che, come già accennato, proprio nel corso del Settecento erano andate sempre più distintamente delineandosi nella “primogenita provincia”.87 Una solidarietà d'intenti, quella tra Dominante e province illiriche, variamente compromessa, se nel corso di due secoli il funzio- sua “primogenita provincia” fece sì che lungo i cinque decenni che portarono a Campoformido [1747-1797] s'avvicendarono diversi tentativi […] di reimpostare gli assetti proprietari e societari, di sostenere un'economia stagnante e di volgere le attività periferiche alle esigenze del centro, di colonizzare terre ritenute spopolate e decisamente disastrate da due secoli di guerriglia, di pacifi care territori e comunità travagliati da acerba conflittualità rurale e interconfessionale, di render certa la proprietà lungo una frontiera aperta e permeabile. Le progettualità venete furono condizio nate da contrastanti esigenze interne ma anche da quelle della “competizione” internazionale. Esse furono influenzate dalla pressione del modello asburgico, dalle riforme e dalla rinnovata vitalità del Litorale austriaco e di Trieste - senz'altro -, ma soprattutto dall'esperienza di militarizzazione dei territori liminari croati (op. cit., p. 15). Dal nostro punto di vista, è senz'altro da sottolineare con Larry Wolff che gli interessi politici espressi da Foscarini nel '47, nonostante il suo conservatorismo, encouraged a younger generation of Venetians to think critically about their institutions, and by making Dalmatia a serious subject for reformers, he put that province prominently on the agenda of the Enlightenment in Venice (Wolff, Venice and the Slavs, op. cit., p. 41). 85 Sulla legge agraria intitolata al suo promotore (Francesco Grimani, provveditore generale in Dalmazia e Albania) e promulgata nel luglio del 1755, cfr. Berengo, “Problemi economicosociali della Dalmazia veneta”, op. cit., pp. 474-477 e Paladini, “Un caos che spaventa”, op. cit., pp. 131-141 e passim. 86 Venturi, Settecento riformatore, vol. 5, t. 2, op. cit., p. 424. 87 Per i fenomeni dei movimenti migratori e del reclutamento clandestino, cfr. s u p r a, n. 32. Cfr. inoltre Concina, Le trionfanti et invittissime armate venete, op. cit., p. 40, che analizza la decadenza settecentesca delle milizie schiavone, ricordando la crescente difficoltà degli arruolamenti e la dilagante mancanza di disciplina; lo studioso non manca peraltro di rimarcare come proprio dal nucleo militare dalmata, pur irrimediabilmente sfoltito nei ranghi, si sarebbe poi espresso l’ unico atto di difesa della Serenissima agonizzante. Per una disamina dei dati documentari e storiografici relativi a tale circostanza, che sembra per tanti aspetti ricavare il suo fondamento mitopoietico proprio dalla tragicommedia goldoniana, mi permetto di rinviare all’ “Introduzione” e al “Commento” di Dalmatina, EN. A 80 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 81 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA nario preposto dalla Serenissima al governo della Dalmazia poteva essersi trasformato da un Messia ad un orgoglioso esarca, un superbo Lucifero, la più ferale d'una banda d'arpie divoratrici.88 Sarebbe tuttavia alquanto riduttivo arrendersi alla conclusione che Goldoni si sia limitato a partecipare - e sia pure con acuta tempestività - alla costituzione di una moderna ideologia dell'impero, promossa, e con strumentazioni illuministiche perseguita, da uno stato in via di estinzione.89 Non collimano infatti con il d i s e gno complessivo tracciato da un simile quadro interpretativo - non molto diverso nella sostanza da quello, altrettanto compattamente pre-giudicante, di un Federzoni - alcune fondamentali sfumature che caratterizzano in profondità la pièce goldoniana. Sono precisamente queste “sfumature” - in realtà, veri e propri elementi strutturali - a restituire in appropriato focus analitico il patriottismo messo in scena dalla nostra tragicommedia, e quella rivisitazione della Dalmazia che per suo tramite si esprime: prima fra tutte, quella per cui il complesso dispositivo identitario azionato nella trama narrativa dello spettacolo non si regge affatto - come pure dovrebbe, ad esser “buoni patrioti” nell'accezione paventata da Voltaire - su alcuna forma di stigmatizzazione contrastiva dell'alterità. L'edificazione scenica delle virtù di un Radovich - e dietro di esse, in un complesso gioco di specchi, di quelle del Leon generoso che dolcemente impera90 - non si realizza È quanto si legge ne Lo Squitinio del Generalato di Dalmazia, una critica serrata delle istituzioni veneziane redatta negli anni quaranta del Settecento, per cui cfr. Paladini, “Un caos che spaven t a ”, op. cit., pp. 42-50. In tale scritto, che giungeva a formulare la minaccia esplicita di rescissione della sudditanza, riprendendo […] topoi classici della letteratura dell' “antimito”, l'immagine d'equità che legittimava da secoli la dominazione veneta viene capovolta […] in un fosco quadro d'oppressione (op. cit., pp. 44 e 46). La celebrazione dell'ottimale contemperanza di rigore e clemenza che avrebbe connotato - secondo la “letteratura del mito” - il buongoverno della Serenissima risuona invece a chiare note nella partitura drammaturgica della tragicommedia goldoniana (cfr. il Commento a Dalmatina, I.3, EN). 89 È la tesi, peraltro argomentata con grande finezza d'analisi, del più volte citato Larry Wolff: The province [Dalmazia e Albania] became the focus for Venice's final fantasies of imperial resurgence, as the gondola of state glided toward political annihilation at the century's end. […] Dalmatia was Venice's America, though small in size and close at hand, just across the Adriatic, replete with savage tribes and civilizing missions; the Venetian Enlightenment fashioned a richly elaborated ideology of empire upon the province's slender territorial base. Nel concentrarsi su questi interessi dalmatici la cultura illuministica veneziana contribued culturally to an agenda of imperial concerns: the political coherence of the Adriatic empire, the economic development and even exploitation of provincial resources, the cultivation of the patriotic loyalty of the Slavs to the Venetian Republic of San Marco, and the disciplinary administration of the Morlacchi in the name of civilisation (Wolff, Venice and the Slavs, op. cit., pp. 5-8). 90 Nella definizione mitografica che, nella parte conclusiva della pièce, la protagonista traccia del cor magnanimo dei valorosi, la fisionomia dell'eroe illirico a cui lei sta pensando (il promesso sposo Radovich) è chiaramente disegnata sulla filigrana di quell'eroe militare di estrazione patrizia di cui, fra gli altri, avevano già fornito paradigmatica interpretazione vari membri della famiglia del dedicatario della tragicommedia, Gian Francesco Pisani: cfr. il commento a V.5.7594 in Dalmatina, EN. 88 81 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 82 P ANNA SCANNAPIECO attraverso il complementare abbassamento di un antimodello: tale non può essere certo considerato - come un po' incautamente è stato pur fatto - la rappresentanza greca, a cui anzi gli equilibri narrativi e la modellizzazione drammaturgica riservano ampi spazi di risarcimento e di innalzamento etico-politico;91 ma nemmeno quella del “barbaro” musulmano, canonicamente deputata a interpretare la polarità negativa della dialettica identitaria. Se infatti il corsaro Alì non è nulla più di un accessorio spettacolare, vero e proprio riempitivo scenografico che minimamente incide sul tessuto ideologico della rappresentazione,92 il sensale Marmut è soggetto a finale esclusione solo nella sua qualità di “mercante disonorato”: Sono i tuoi pari, indegno, per cui barbaro è detto degli Affricani il regno. Pochi corsar feroci, pochi sensali avari, che vendon l'altrui sangue per merci, o per danari, bastano a screditare l'onor di questi lidi, fan che da noi si credono della barbarie i nidi. Uomini siam noi pure, abbiam ragione in petto, sentiam d'umanitade, proviam tenero affetto. Frequenti in ogni terra si trovano gli eroi, e trovansi per tutto i vili pari tuoi.93 L'aurea sentenza è non a caso pronunciata da Ibraim, l'alcaide o sia governatore di Tetuan. L'engagement profuso dall'autore nell'elaborazione drammaturgica del testo fa sì che forti tensioni innovative attraversino anche la costituzione di questo personaggio, che secondo una canonica gerarchia dei ruoli dovrebbe interpretare la polarità antagonista del virtuoso Radovich. Lungi dall'assolvere tale prevedibile funzione, Ibraim è il vero centro gravita- Sui modi in cui la critica ha valutato la caratterizzazione dell'elemento greco si veda quanto documentato e discusso nell' “Introduzione” e nel “Commento” di D a l m a t i n a, EN: la sostanziale uniformità e continuità dell'approccio interpretativo sono inversamente proporzionali alla sua sussistenza critica, come consentono di constatare - oltre che le stesse dichiarazioni dell'autore - la centralità e la complessità drammaturgiche del personaggio di Lisauro (per certo non risolvibile in una rappresentazione manichea del “greco mendace”), nonché la stessa varietà con cui è modulata la declinazione drammaturgica della rappresentanza greca (accanto a Lisauro, agiscono - e con connotazioni inequivocabilmente positive - il padre Canadir, assennato interprete dell' onore e del patriottismo, e la sposa abbandonata Argenide, capace di esprimere virtù concorrenziali a quelle della protagonista Zandira); d'altronde, come sinteticamente scandisce Radovich, Grecia è patria onorata, madre d'eccelsi eroi (Dalmatina, EN, IV.6.55). 92 Il corsaro Alì figura complessivamente in solo cinque scene (delle complessive 51), peraltro concentrate nelle “espansioni” spettacolari della pièce (tre scene del secondo atto e due del quarto): per una più completa definizione critica del personaggio, cfr. il relativo commento in Dalmatina, EN. 93 La dalmatina V.1.57b-66, op. cit. 91 A 82 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 83 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA zionale della progettualità politica “messa in scena” dalla D a l m a t i n a: è alla definizione eminentemente positiva di tale personaggio - drammaturgicamente più influente dei coprotagonisti Radovich e Zandira94 - che la strategia compositiva dedica minuta e diffusa attenzione, richiamandone con un'insistenza programmatica (propagandistica, verrebbe da dire) la razionalità e la saggezza, l'equilibrio e l'equità;95 facendone un interprete a tal punto persuasivo (e illuministico) della virtù politica da sollecitare un conclusivo omaggio della “controparte” Radovich: Ibraim generoso, alle natie contrade noi promettiamo il vanto recar di tua pietade, narrando a chi vi crede barbari ed inumani, che la virtude impera ancor fra gli Affricani.96 L'edificazione spettacolare delle virtù illiriche e la connessa teatralizzazione del patriottismo vanno insomma di pari passo con l'affermazione perentoria e netta dell'estensione sovranazionale dei valori e delle virtù: che d'onestà le leggi sono nell'uom le prime / che dappertutto il cielo, e la natura imprime.97 E varrà la pena di rimarcare che anche - se non soprattutto - su questo fronte La dalmatina veniva a violare e rimodificare l'orizzonte d'attesa del pubblico contemporaneo. Per rendersene persuasi - e per restituire maggiore concretezza alla passione culturale e politica di un Carlo Goldoni - converrà riconsiderare Se uniforme è la distribuzione dei tre personaggi nello sviluppo della trama (Ibraim è assente solo nell'atto quarto, Radovich e Zandira nel terzo), diverso è il grado della loro frequenza in scena (di contro alle 18 presenze di Ibraim, Zandira e Radovich ne contano rispettivamente 16 e 13). 95 Se ne consideri la seguente campionatura (ma per un quadro più completo cfr. Dalmatina, EN): Ed io ch’ esser mi vanto giusto governatore (I.1.18); benché in Affrica nato, la tirannia ho in orrore (I.3.98); [a Zandira] ti amo, è ver, lo ridico, ma la ragion mi appaga ( I . 3 . 1 3 0 ); [ad Alì] punir poss’ io l’ orgoglio d’ un’ anima sì ardita. / Ma all’ amor, all’ etade, al tuo valor perdono, / sai che le stragi abborro, sai che crudel non sono. / Cangia lo stil protervo, il tuo dover compren di (II.7.40-43); Proteggo i monsulmani, ma vuo’ nella mia sede / che di Maometto i servi non manchino di fede (II.13.5-6); [ad Argenide] Frena il duol furibondo. Cangia le voci insane, / sei nell’ Affrica, è vero, ma non fra tigri ircane. / Lisauro è in libertade; ma ancor fra noi risiede / dove punir si suole chi manca altrui di fede (III.11.23-26); Pria che si rende Argenide agli avidi mercanti, / di renderle giustizia vuo’ procurare innanti: / del pubblico interesse si aspetta a me la cura, / ma ho pietà degli schiavi per legge di natura. / So che se alcun de’ nostri degli Europei va in mano, / trova dai cuor pietosi un trattamento umano. / Ed io serbo nell’ alma questo pensiero impresso, / uso quella pietade che piaceria a me stesso (V.1.49-56). Altrettanto significativo il riconoscimento che viene dagli altri personaggi: [Zandira:] La virtù, la giustizia regna per tutto il mondo: / gradisco i doni tuoi (I.3.99-100); [il greco Canadir, sull’ amministrazione della giustizia espressa da Ibraim:] Non te lo dissi, o figlia, veglia de’ numi il zelo (III.11.31). Cfr. inoltre la successiva citazione a testo. 96 Op. cit., V.ultima.29-32. 97 Op. cit., II.6.25-26. 94 83 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 84 P ANNA SCANNAPIECO quale fosse lo standard della proposta spettacolare coeva, e osservare dunque da vicino che cosa, ad esempio, facesse accorrere il pubblico veneziano nel concorrente teatro di Sant'Angelo, in quello stesso autunno 1758 in cui scattava la “provocazione” della Dalmatina. Qui, un Pietro Chiari pronto a dare puntuale risposta alle aspettative della platea, ammannisce una Cordova liberata dai Mori, poi significativamente rinominata L'Amore della Patria. La p i è c e, proprio perché commisurata agli occhi del volgo e dunque calibrata sull'obiettivo di un sicuro riuscimento, fece dello strepito per dieci sere continue.98 L'“analogon” strutturale dell'Ibraim goldoniano è qui il moro Tariffo, governatore di Cordova per il re di Marocco, la cui fisionomia complessiva può essere così sintetizzata e stigmatizzata dal corrispettivo di Radovich, il goto Adalgiso: Sempre tu sei tiranno. […] Dove son l'opre illustri degli anni tuoi più saggi? Eccole in due parole: sangue, rovine, e straggi. Saccheggiate provincie, dilapidati erari; svergognate famiglie, e profanati altari. Barbaro, inorridisci da' pie' fino alle chiome Di tue regali imprese solo al sentirne il nome.99 Ed è al trattamento drammaturgico del perverso Tariffo che l'estro fantastico di un Chiari può dedicare le sue più “originali” risorse, come in maniera esemplare documenta l'espansione di un nucleo narrativo libero che assorbe l'intera scena iniziale del secondo atto con la rappresentazione - a metà tra grottesco e noir - del sadismo di Tariffo: MARIEMA Cedon già l'ombre il loco alla nascente aurora, e le spagnuole ancelle non son partite ancora? TARIFFO Partiranno a momenti. Pronti color già sono, c'hanno da trarle in Affrica ad Almanzorre in dono. Prima però che vadano dove nissuna andrebbe, da lor vuo' uno spettacolo ch'altri giammai non ebbe. MARIEMA Qual spettacolo è questo, che vuoi di lor si faccia? TARIFFO Come di tante fiere farne vuo' qui una caccia. L’ Amore della Patria, o sia Cordova liberata dai Mori; perocché con quest’ ultimo titolo più popolare fu ella prodotta la prima volta su’ teatri di Venezia nell’ autunno dell’ anno 1758 e vi fece dello strepito per dieci sere continue. Io medesimo non la giudico molto regolare nelle sue parti; ma a diferenza d’ altri non pochi l’ ho sempre giudicata agli occhi del volgo, che non esamina le cose sì per minuto, d’ un sicuro riuscimento (P. Chiari, “Osservazioni sopra le Commedie del Tomo presente”, in Commedie in versi, vol. 7, Venezia 1760, p. 3). 99 Op. cit., atto IV, scena 5, p. 61. 98 A 84 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 85 SON D’ ILLIRICA PATRIA, FAMOSA AL MONDO: SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA DALMAZIA A tal fin le ho raccolte in questo bosco oscuro, cui dal parco reale solo divide un muro. Custodito è l'ingresso; e quando il tempo io veda, farò che s'abbandoni a' cacciator la preda. Che bel vedere, figliuola, queste spagnuole ancelle correr fuggendo intorno come smarrite agnelle! Che bel vedere i Mori, cui trattener non posso, come affamati lupi loro scagliarsi addosso! Qual mescolanza insolita d'orrore, e di diletto! Quelle da sé scacciarli, stringerle questi al petto. Di qua sospiri, e pianti di chi freme, e s'uccide. Di là vezzi, e lusinghe di chi le abbraccia, e ride. Quando tutte sian dome, e siam paghi anche noi, Vadan allora l'Affrica a popolar d'eroi.100 Altra umanità andava in scena, in quello stesso autunno 1758, al San Luca, la rappresentazione di altri valori - civili culturali politici - sorprendeva il pubblico e ne conquistava un plauso destinato a rendersi ben più persuaso e duraturo di quello che poteva essere stato tributato al successo concorrente della stagione. Sul respiro cosmopolita del patriottismo goldoniano - e sulla sua distinta matrice illuministica, come sulle sue stesse ambivalenze - sarà utile allora tornare distesamente a ragionare: al nostro excursus basterà concludersi nel considerare che la sua formulazione più articolata e piena - quella consegn a t a appunto alla Dalmatina - fosse passata attraverso un atto, sino ad allora inedito, di ri-conoscenza per la “virtù” illirica. È quanto basta per non attardarsi nel rimpianto del simpatico Stiepo Bruich da Pastrovicchio, mercanta de castradina, e per intravedere le consistenti risorse racchiuse - oltre l'irrisolta ambiguità che gli è propria - nel capitano Radovich di Cattaro, virtuoso alfiere del Leon generoso che dolcemente impera. 100 Op. cit., atto II, scena 1, pp. 22-23. 85 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P A 86 11:56 PM Page 86 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 87 COMICI E BUFFONI TRA ITALIA E BAVIERA NEL XVI SECOLO Daniele Vianello Q uesto intervento muove dall'esigenza di affiancare alle teorie tradizionali su comici e buffoni rinascimentali una visione più articolata, attestante la compresenza di esperienze che non cedono il posto le une alle altre, ma convivono in una reciproca confluenza di vecchio e nuovo. L'analisi offre il confronto di due versanti relativamente vicini, se non contigui: da un lato le vicende dei comici e buffoni veneziani della prima metà del Cinquecento (con particolare riferimento all'attività poliedrica di Zuan Polo e Domenico Tajacalze); dall'altro la diffusione della buffoneria e degli spettacoli dei comici italiani (e relativi stereotipi) nella Baviera della seconda metà del secolo.1 Non esistono studi complessivamente dedicati alla buffoneria; genere che comprende fenomeni tra loro molto diversi. La storia dei buffoni, articolata su fonti fragili e poco esaustive, si presenta per lo più parziale e riflessa. I buffoni restano complessivamente confinati nella produzione culturale cosiddetta “minore”, passandovi in modo quasi inosservato, fatta eccezione per poche figure di cui si posseggono informazioni significative. Rare e lacunose carte d'archivio rendono difficilmente ricostruibile la fisionomia di una moltitudine di comparse, le cui esibizioni, tecniche e repertori trovano fugaci accenni nelle commedie, negli epistolari, nella novellistica, tra le pieghe di cronache minute. Le classificazioni convenzionali fanno della buffoneria un fenomeno cortigiano o da pubblica piazza, tipico dei “secoli senza teatro”, premessa ad altri “compimenti” (lo spettacolo professionale dei comici dell'arte, il circo), che dovrebbero esaurirne il significato storico. Indubbie contiguità ed analogie tra le esibizioni dei comici dell'arte e quelle dei buffoni rinascimentali hanno favorito facili assimilazioni. Il mestiere saldamente radicato nell'arte della parola e nell'improvvisazione (nonché nelle abilità gestuali ed acrobatiche), i tentativi di appropriazione di materiali culturali disparati (biblici, classici, colti e popolari), il continuo bricolage di esperienze proprie 1 L'argomento è oggetto di un volume, di prossima pubblicazione (Bulzoni ed., 2004). Parte del lavoro sui buffoni veneziani è già pubblicata in D. Vianello, “Tra inferno e paradiso: il 'limbo' dei buffoni”, Biblioteca Teatrale 49-51 (1999), 13-80. 87 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 88 DANIELE VIANELLO ed altrui, l'oralità che connota il processo di formazione e trasmissione del sapere buffonesco, sono tutti elementi che ricordano da vicino i meccanismi persuasivi e il commercio di parole tipici dei ciarlatani e dei comici dell'arte. Come per le compagnie a statuto professionale, si delinea il profilo di un mestiere il cui protagonista (per lo più solitario), si propone come manager di se stesso, attento ad esportare e vendere i propri testi e spettacoli. Difficile stabilire a priori il prezzo della sua arte (relativo anche al variabile successo delle esibizioni), in un mercato regolato dalle leggi della domanda e dell'offerta, nonché della concorrenza. Anche per quest'ordine di ragioni il buffone rinascimentale, così come i comici dell'arte, tende a non restare ancorato ad una singola realtà. Il tema del viaggio si rivela connotativo non solo in quanto espressione di uno stile di vita e di una pratica effettiva, ma in quanto espediente retorico, luogo ricorrente sia nella produzione letteraria buffonesca che in quella dei comici. Se questi ed altri elementi avvicinano il mondo dei comici a quello dei buffoni rinascimentali, giustificando scontate sovrapposizioni, notevoli restano le differenze. Un approccio esclusivamente evoluzionistico rischia di sacrificare i fecondi non univoci rapporti che s'instaurarono tra il versante delle forme compiute e canonizzate e la ricchezza di pratiche spettacolari ritenute “minori”, che pur caratterizzano per molti aspetti il teatro rinascimentale italiano. Esempi significativi testimoniano il ricco scambio dialettico tra buffoneria e commedia dell'arte.2 Tra Cinque e Seicento l'esigenza di una sicura nobilitazione sembra imporsi all'intera categoria. Eppure, a ben vedere, i tentativi di "salvare" il mestiere elevandolo ad arte non fanno che rimarcare la distanza tra "l'onesto comico" ed il "vile buffone". Non è un caso che i comici dell'arte vogliano liberarsi dallo stereotipato binomio buffone- 2 A 88 In area diversa rispetto a quella qui analizzata ed in tempi non sospettabili di sopravvivenza dell'antico, si pensi agli interventi buffoneschi di Tristano Martinelli nelle commedie di Giambattista Andreini. Analogamente, la particolarissima commedia Li buffoni di Margherita Costa è opera di fusione e di forti contaminazioni tra i due versanti. Dedicata al buffone Bernardino Ricci, in arte Tedeschino, essa è introdotta da un prologo in cui la disputa tra Buffoneria e Commedia ben evidenzia storiche divergenze ed autonomia dei rispettivi ambiti. Altro esempio significativo per una possibile revisione della storia della buffoneria è il trattato di Bernardino Ricci, intitolato Il Tedeschino ovvero Difesa dell'Arte del Cavalier del Piacere. La qualifica di “Cavalier del Piacere” rispecchia una lunga tradizione di analoghe investiture. Buffoni, assurti al grado di cavaliere, popolano epoche e corti diverse; nel Cinquecento e nel Seicento essi sembrano utilizzare il titolo per nobilitare il proprio mestiere. La ragionata apologia del Ricci, colto esponente della buffoneria seicentesca, sottolineando la convenevolezza ed il decoro quali atteggiamenti morali propri del buffone, si costruisce sulle pretese origini antiche e colte della buffoneria, con il preciso intento di contrapporsi alla praticata “difesa” dell'arte comica (a riguardo si veda B. Ricci, Il Tedeschino overo Difesa dell'Arte del Cavalier del Piacere. Con l'epistolario e altri documenti, a cura di T. Megale, Firenze 1995, con particolare riferimento alle pp. 16-18). Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 89 COMICI E BUFFONI TRA ITALIA E BAVIERA NEL XVI SECOLO cortigiana, dal discredito che accomuna mestieri centrati sull'uso e l'abuso del corpo. L'attore della commedia a statuto professionale prende le distanze dall'infamante mestiere del buffone; l'attrice tenta di riscattarsi, dissociando la propria immagine da quella della cortigiana. Il buffone, tanto quello antico quanto quello medioevale e moderno, frequenta dimore patrizie e rappresentanti del potere, ma resta sostanzialmente legato alla sfera dell'immondo e dell'osceno. La sua funzione mediatrice tra classi superiori e inferiori, tra cultura alta e cultura subalterna, tra mondo clericale e mondo popolare resta insostituibile. Il frequente scambio di tecniche oratorie e persuasive tra frati e buffoni rinascimentali elude e confonde i confini tra sacro e profano. In questa contaminazione delle forme, il miracoloso convive con il demoniaco, il normale con il grottesco ed il caricaturale, il naturale con il soprannaturale, le visioni divine con quelle sataniche. Il prete-buffone recita la sua messa-spettacolo con l'abilità dell'istrione; allo stesso modo, il buffone-prete si esibisce come diabolico maestro del rovesciamento, della contraffazione e della parodia. Come il diavolo (suo parente stretto) il buffone deve saper cambiare abito, camuffarsi, utilizzare i linguaggi di arti diverse, parlando diversi dialetti. Il topos buffonesco del “mondo alla rovescia” emerge anche nelle ricorrenti immagini utopiche del paese di Cuccagna, provenienti dall'universo irreale dei s o gn i, delle v i s i o n i, dei l a m e n t i, dei viaggi nell'al di là.3 Il mondo della povertà e della fame, cui appartengono i buffoni, gli acrobati, i ciarlatani, i suonatori e gli istrioni, si contrappone a quello della ricchezza e dell'abbondanza. L'utopico paese dell'eccesso alimentare, miraggio di una realtà diversa, esprime l'aspirazione diffusa ad un irraggiungibile benessere di cui la letteratura buffonesca si fa portavoce. È dunque innanzitutto il mondo dell'indigenza quello che si esprime in questo genere di immagini, di testi e spettacoli trasgressivi, grotteschi, caricaturali, radicati nel corporale contraffatto e deformato. È proprio qui, nelle più basse zone della fisicità gastrica ed escrementale, che si alimenta lo stretto binomio riso-oscenità, di cui il buffone si fa interprete per eccellenza. La fisionomia del buffone-ruffiano, dedito al gioco, grottesco parassita di corte, volgare artefice di lazzi erotico-scatologici, abile acrobata dalle infinite capriole verbali e fisico-circensi, si fissa nei testi, nell'iconografia e nell'imma- 3 Si vedano ad esempio [s.a.], Una historia bellissima…, [Venezia 1513 ca], oggetto di un prezioso studio di V. Rossi (Novelle dell'altro mondo, Bologna 1929); [s.a.], Il Lamento di Domenego Taglia c a l z e, [Venezia 1513], che ha trovato debita attenzione in un saggio di Paola Ancillotto e Luigina Berti (“Il lamento del buffone Tagliacalze”, Filologia Veneta 1 (1988), 227-258); A. Caravia, Il Sogno dil Caravia, Venezia 1541, ristampato recentemente da Elena Benini-Clementi (Riforma religiosa e poesia popolare a Venezia nel Cinquecento. Alessandro Caravia, Firenze 2000). A proposito cfr. R. Guarino, Teatro e Mutamenti. Rinascimento e spettacolo a Venezia, Bologna 1995, pp. 185-232; e Vianello, “Tra inferno e paradiso: il 'limbo' dei buffoni”, op. cit., 13-80. 89 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 90 P DANIELE VIANELLO ginario collettivo europeo, connotando negativamente il significato stesso del termine. Tale profilo, riemergendo da molteplici stratificazioni, giunge sino a noi in un incessante processo di metamorfosi, come testimoniato da dipinti e da pagine letterarie ed operistiche (si pensi a Le roi s'amuse di Hugo, al Rigoletto di Verdi e a Pagliacci di Leoncavallo, ai “ritratti degli artisti da saltimbanco” di Rouault, di Lautrec, di Picasso, di Klee, di Chagall, oggetto del celebre saggio di Starobinski).4 Quest'immagine negativa è quella ricorrente anche nella storiografia otto e novecentesca; mentre studi più recenti propongono l'interpretazione del buffone quale figura protoprofessionale, le cui esibizioni sarebbero anticipazioni embrionali delle forme compiute dei comici di mestiere. Parallelamente, la fortuna europea della commedia dell'arte tra Ottocento e Novecento, vale a dire la sua immagine mitica, ha dato grandissima popolarità all'antico teatro "all'italiana", spesso ignorando o reinventando i dati storici di partenza. Ricostruzioni più o meno libere hanno proiettato nel passato esperienze tipiche della cultura e del teatro moderno. Il mito costruito su alcuni stereotipi (le maschere, l'improvvisazione, le origini buffonesche) rischia di sovrapporsi alla realtà storica, sacrificando la ricchezza degli elementi costitutivi e la dialettica degli scambi culturali. G razie alle loro abilità - la recitazione intimamente legata all'improvvisazione e alla competenza letteraria "canterina"; il travestimento, il plurilinguismo e la contraffazione di voci del “recitar dietro cortina”; la musica, il canto, la danza e le tecniche acrobatiche - i comici e i buffoni veneziani escono dal chiuso delle cortigianerie e divengono figure pubbliche, tramite tra strati sociali diversi e tra questi e il potere, facendosi “araldi della città”, legati tanto al palazzo e alla festa privata, quanto alla strada e alla piazza; tanto alle “corti” e ai “porteghi” delle case patrizie, quanto alle taverne e ai bagni pubblici. Le loro abilità viaggiano, esportando “tecniche” e “repertori” oltre i confini circoscritti della corte e della città, in un fecondo movimento di scambi e contrapposizioni all'organica costituzione delle compagnie a statuto professionale. Non è un caso, pertanto, che le stesse tecniche e le stesse esibizioni dei buffoni del primo Cinquecento siano rintracciabili, parallelamente agli spettacoli dei comici dell'arte, nella Baviera della seconda metà del secolo. Alcune notizie delineano, se pur con fratture e approssimazioni, quanto rapidamente gli spettacoli di comici e buffoni italiani e il gusto per le masche- 4 A 90 J. Starobinski, Ritratto dell’ artista da saltimbanco, Torino 1991. Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 91 COMICI E BUFFONI TRA ITALIA E BAVIERA NEL XVI SECOLO re della commedia all'italiana fossero diventati una moda nella vicina Baviera.5 Questa regione, situata al centro dello scacchiere riformistico e tuttavia non sfiorata dalla “peste” luterana, costituì anche per la sua cattolicità un terreno particolarmente favorevole alla circolazione della nostra cultura rinascimentale. Un sorprendente reticolo di scambi sembra, infatti, collegare ed assimilare l'attività di comici, buffoni, musicisti e pittori italiani alla sfera del divertimento cortigiano locale. La presenza nelle corti d'oltralpe di multicompetenti artisti italiani fu in gran parte possibile grazie ai legami matrimoniali che gli Asburgo ed altre casate cattoliche bavaresi avevano stretto con le più importanti famiglie italiane ed ai ripetuti soggiorni nel nostro paese di personalità inf luenti e versatili come il celebre musicista fiammingo Orlando di Lasso. La circolazione degli attori italiani e la persistenza oltralpe di alcune forme spettacolari comico-buffonesche quali il “recitar dietro cortina”, ampiamente testimoniate nei Diarii di Marin Sanudo, ne I ragionamenti di Pietro Aretino ed in altri documenti del primo Cinquecento veneziano, trovano conferma nelle Lettere di Orlando di Lasso (1574).6 Finora non utilizzate dagli storici del teatro, esse raccontano del viaggio intrapreso dal noto musicista in Italia per conto del duca Guglielmo V di Baviera, al fine di reperire e reclutare alla corte di Landshut alcuni musicisti e commedianti italiani. I Dialoghi di Massimo Troiano (1568-1569) - riportati sempre in maniera frammentaria là dove narrano degli spettacoli “all'improvvisa” realizzati da attori e buffoni italiani e dagli stessi musicisti Orlando di Lasso e Massimo Troiano - raccontano dettagliatamente i cinque giorni di festeggiamenti organizzati dai due musicisti per le nozze di Guglielmo V di Baviera con Renata di Lorena.7 Le esibizioni e gli spettacoli buffoneschi descritti nelle Lettere di Orlando di Lasso e nei Dialoghi di Massimo Troiano testimoniano Cfr. K. Trautmann, “Italienische Schauspieler am bayerischen Hof”, Jahrbuch für Münchner Geschichte 1 (1889), 259-430. 6 P. Aretino, Le sei giornate, a cura di G. Aquilecchia, Roma-Bari 1980, p. 46; per le Lettere di Lasso cfr. H. Leuchtmann, Orlando di Lasso, Briefe, Wiesbaden 1977, pp. 66-67 lettera nº 7, p. 70 lettera nº 8. Sull'argomento, ed in particolare sul “recitar dietro cortina” in quanto incarnazione significativa dello specifico spettacolare e dello statuto monologico tipico della contraffazione buffonesca, si veda Vianello, “Tra inferno e paradiso, il 'limbo' dei buffoni”, op. cit., 17-33. 7 I Dialoghi compaiono in due edizioni, una monacense del 1568 ed una veneziana del 1569, edizioni che non differiscono molto tra loro: M. Troiano, Discorsi delli triomfi, giostre, apparati, e delle cose più notabili fatte nelle sontuose nozze dell'Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Duca G u g l i e l m o, Monaco 1568; idem, Dialoghi di Massimo Troiano: ne' quali si narrano le cose più notabili fatte nelle nozze dello Illustriss. & Eccell. Prencipe Guglielmo, Venezia 1569. L'edizione veneziana è stata ristampata in Germania da H. Leuchtmann (a cura di), Die Münchner Fürstenhochzeit von 1568... Deutsche Übertragen, mit Nachwort, Anmerkungen und Register Versehen, Monaco 1980. 5 91 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 92 DANIELE VIANELLO la persistenza di tecniche e repertori in tempi e luoghi diversi, parallela all' affermarsi degli spettacoli complessi e compiuti dei comici dell'arte. I documenti iconografici ed i cicli di affreschi di area tedesca, di cui il più celebre rimane la Narrentreppe ('Scala dei buffoni') del castello di Trausnitz a Landshut, nei pressi di Monaco, richiedono un'analisi e una lettura unitaria, che li colleghi agli altri documenti. Queste immagini, pur confermando l'attendibilità delle notizie contenute nei documenti letterari, non ritraggono particolari di commedie realmente rappresentate, ma sarebbero l'espressione più generale dell'ormai diffuso immaginario comico modulato sulle classiche scene delle esibizioni buffonesche e su quelle delle maschere italiane. Comici e buffoni varcano i confini dell'Italia; parallelamente, gli stereotipi legati ai loro spettacoli vengono fissati, divulgati e moltiplicati nelle incisioni, nei quadri e negli affreschi.8 Prendendo le distanze dagli storici che hanno voluto cogliere corrispondenze reali tra le immagini della Scala dei Buffoni e scene e personaggi della celebre commedia del 1568 descritta nei Dialoghi di Massimo Troiano, vorrei evidenziare l'inconsistenza di quei legami, indicando alcuni possibili significati da attribuire all'intero ciclo di affreschi. Da un lato, le allegorie (figure r eferenziali del duca, garante del buon governo del paese, finora trascurate dagli storici) rivelano il valore programmatico degli affreschi; dall'altro, le maschere italiane rimandano indirettamente all'immagine di un mecenate sostenitore dei divertimenti cortigiani.9 Esse vanno, pertanto, colte in relazione al più ampio progetto di renovatio in chiave italiano-rinascimentale del castello, mentre la loro teatralità risulta essenzialmente riflessa. L'esibizione di vis comica degli Zanni e dei Pantaloni presenti nella scala (legata ai movimenti artificialmente dilatati e alla prestanza fisica dei corpi Sulla Narrentreppe si vedano, tra gli altri, F. Mastropasqua, “Lo spettacolo del Recueil Fossard”, in F. Mastropasqua - C. Molinari, Ruzante e Arlecchino: tre saggi sul teatro popolare del Cinquecento, Parma [1970] [Quaderni di Ricerca dello Studio Parmense 2], pp. 91-125; F. Rauhut, “La commedia dell'arte italiana in Baviera: teatro, pittura, musica, scultura”, in Studi sul teatro veneto fra rinascimento ed età barocca, a cura di Maria T. Muraro, Firenze 1971 [Civiltà veneziana, Studi 24], pp. 241-271; Caterina Limentani Virdis, “Committenza, teatro, pittura a Landshut nella seconda metà del Cinquecento”, Filologia Veneta 1 (1988), 259-278, in part. 261; M. A. Katritzky, “Orlando di Lasso and the commedia dell'arte”, in Orlando di Lasso in der Musikgeschichte, Monaco 1996, pp. 133-155, in part. p. 137. A. Leik, Frühe Darstellungen der Commedia dell'arte: eine Theaterform als Bildmotiv, Neuried 1996, pp. 40-77. Si tratta di voci più o meno omogenee che, sulla base di una gratuita interpretazione di notizie e singoli episodi, considerano il ciclo come registrazione visiva dello spettacolo del 1568 descritto nei Dialoghi di Massimo Troiano, sottolineando somiglianze dirette tra alcune scene della celebre commedia ed altrettante immagini presenti nella scala, e rilevando in entrambi una chiara allusione alle nozze di Guglielmo V e Renata di Lorena. 9 Cfr. le immagini della scala qui riportate. 8 A 92 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 93 COMICI E BUFFONI TRA ITALIA E BAVIERA NEL XVI SECOLO atletici) farebbe pensare ad attori celati sotto i costumi, sebbene, a mio parere, le immagini propongano generici interpreti nei panni di personaggi. 10 Allo stesso modo, i gruppi di figure affrescati sono chiaramente modulati sui topoi delle scene comico-buffonesche, acquisite e rielaborate dalla commedia all'italiana (con particolare riferimento ai contrasti, alle lotte, alle serenate, agli intrighi, alle messaggerie ruffianesche, ai giochi d'azzardo e ai lazzi acrobatici); e non possono, pertanto, essere interpretati come puntuali descrizioni di una specifica commedia realmente rappresentata. Le posture di Dame e Capitani, di Zanni e Pantaloni che animano le pareti e i soffitti del castello esprimono atteggiamenti comici riscontrabili anche nella realtà extra-teatrale delle maschere; dunque rinviano anche ad altre esperienze (danze in maschera e travestimenti carnevaleschi). È l'insieme di tutti questi elementi a stratificarsi nell'immaginario comico collettivo, fissato e diffuso attraverso la moda decorativa tardo-rinascimentale in maniera a u t o n o m a, parallela e svincolata dagli spettacoli stessi. Tenendo conto della problematicità d'analisi insita in molti altri documenti iconografici, vorrei sottolineare la felice indeterminatezza di quelle immagini, piuttosto che individuare semplicistiche corrispondenze. Parlare di precisi legami tra figure dipinte e loro referenti spettacolari diventa possibile solo dopo aver individuato distanze effettive (in questo caso, tra l'insieme dei diversi fenomeni spesso arbitrariamente classificati sotto la “mitica” etichetta comune di “commedia dell'arte” e l'iconografia ad essa legata). Il valore documentario di molte immagini legate alle maschere italiane andrebbe pertanto rivisto, tenendo presente che la pittura di genere (cui per lo più esse appartengono) non mira a riprodurre fedelmente una realtà particolare, ma propone essenzialmente meta-realtà. Come tale, difficilmente può essere utilizzata per fornire attendibili notizie sui comici e le loro esibizioni. Lo spessore spettacolare attribuito a quelle immagini risulta così ridimensionato; mentre sembra auspicabile che sia le fonti iconografiche e letterarie indicate, sia la documentata pluricompetenza di artisti, musicisti, gioiellieri, comici e buffoni italiani in area tedesca possano venire complessivamente considerate in un'ottica multidisciplinare che colga il carattere liminale e poliedrico, spesso sfuggente e trasgressivo dei fenomeni qui visitati. L'analisi proposta addita l'opportunità di ulteriori approfondimenti. 10 Ad esempio, la postura dei Pantalone presenti nella scala non è quella di vecchi, ma di giovani dal fisico atletico. Sulla controversa questione della fisicità nella rappresentazione sono note e discusse le proposte di Taviani relative alle attitudini delle figure del Recueil Fossard. Cfr. F. Taviani, “Un vivo contrasto. Seminario su attrici e attori nella Commedia dell'Arte”, Teatro e Storia 1 (1986), 26-75, in part. 48. 93 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 94 DANIELE VIANELLO Alcuni spunti, degni di ulteriori indagini, sono tuttavia già stati indicati. Ciò che emerge è la necessità di tener distinti gli spettacoli dei cosi detti comici dell'arte da quelli buffoneschi e dal più vasto fenomeno d'irradiazione europea di motivi tipici della cultura italiana del Rinascimento. Scene comico-buffonesche ed immagini allegoriche da “La Scala dei Buffoni” del Castello di Trausnitz A 94 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 95 IL MITO DELLA COMMEDIA DELL’ ARTE IN RUSSIA DEL PRIMO NOVECENTO Raissa Raskina N ei primi tre decenni del '900 in Russia si osserva un singolare processo di ricezione del “mito” della commedia dell'arte. La Russia del periodo della sua rinascenza culturale d'inizio secolo, passato ormai alla storia come “l'età d'argento”, si è rivelata un terreno straordinariamente fertile per accogliere il ricco immaginario poetico ed iconografico prodotto intorno alla commedia dell'arte, assimilando una serie di luoghi comuni ad essa legati. Nelle opere poetiche, pittoriche e teatrali dei simbolisti russi, mediate dal romanticismo tedesco e dal simbolismo francese, le maschere alludono ad un mondo di fantasia grottesca e di poetica evasione. Passati nelle mani degli artisti “colti”, i personaggi di Pierrot e di Arlecchino diventano un tema letterario, impregnato spesso di ironia funebre, un luogo comune poetico ed una parte nel ballo in maschera,1 al punto da smarrire definitivamente qualsiasi legame con i loro progenitori in carne ed ossa, vale a dire i comici delle prime compagnie professionali italiane. Ma ciò che contraddistingue la “variante russa” legata al mito del “teatro delle maschere” è proprio la ricerca senza precedenti che fu avviata nell'ambito teatrale sul piano pratico e teorico, volta allo studio della commedia dell'arte, che agli occhi dei suoi primi esploratori si presentava come un “genere”, un sistema teatrale unitario. Il risultato di questo confronto contribuì ad alimentare ulteriormente il “mito” preesistente, inaugurando la sua lunga ed articolata stagione novecentesca. Non è difficile scorgere, nel panorama teatrale russo d'inizio secolo, alcune premesse necessarie perché la nascente regia volgesse il suo sguardo verso quell'affascinante fonte di invenzioni che era (e che rimane) il mito della commedia dell'arte. La scena sperimentale russa, come è noto, era impegnata nei primi anni del secolo in una “campagna” per la cosiddetta “riteatralizzazione del teatro”, ovvero, per la liberazione del teatro dalla tirannia del naturalismo, nonché dall'ingiustificata centralità del testo letterario. Questo processo fu accompagnato da un'intensa riflessione sulle origini del teatro e sui tratti distintivi, costitutivi dell'arte teatrale rispetto ad 1 J. Starobinski, Ritratto dell’ artista da saltimbanco, a cura di C. Bologna, Torino 1984, p. 51. 95 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 96 RAISSA RASKINS altre forme e linguaggi espressivi. A guidare questa sorta di “crociata” alla riconquista della “teatralità” perduta sono due esponenti di primo piano della vita teatrale pietroburghese: Nikolaj Evreinov e Vsevolod Mejerchol'd. A partire dal 1907 entrambi i registi s'incamminano nella comune direzione del cosiddetto “tradizionalismo” teatrale. Antagonisti per molti versi, ma convinti oppositori del naturalismo scenico, essi giungono alla conclusione che la natura “autentica” del teatro vada ricercata nelle epoche del passato, nelle quali lo spettacolo aveva con la realtà un legame di tipo non mimetico. Tale idea muoveva dalla presa di coscienza di quanto la cultura teatrale russa fosse profondamente radicata nella tradizione del realismo. L'affermazione del teatro nazionale russo, accompagnata dalla comparsa di una scuola attoriale e di un repertorio locale, avviene verso la metà del XIX secolo, momento che coincide con il trionfo del realismo. Essendo, dunque, il realismo, la prima forma di un teatro nazionale, esso viene percepito come l'essenza stessa del teatro russo e la sua unica tradizione. Essendo rimasta rilegata ai margini dei processi storici evolutivi che hanno caratterizzato il teatro europeo, la cultura teatrale russa non porta nel proprio codice genetico né il teatro medievale con i suoi tipici drammi liturgici, né il teatro rinascimentale, facendo esperienza del teatro barocco solo “per importazione”. È sintomatica dunque la comparsa nel 1907 a San Pietroburgo dell'Antico teatro di Evreinov, ideato per allestire una serie di cicli di spettacoli volti a ricostruire nella maniera più fedele possibile le caratteristiche teatrali delle epoche di maggior fioritura dell'arte drammatica: la Grecia antica, il medioevo, la commedia dell'arte, il siglo de oro spagnolo, l'età di Shakespeare e l'età di Molière. In quelle epoche, secondo Evreinov, nel teatro alloggiava ancora lo spirito di un'autentica teatralità. Di quel progetto iniziale l'Antico teatro realizzò solo il ciclo medievale e spagnolo, mentre il ciclo sulla commedia dell'arte, in programma per la stagione del 1914/1915, fu annullato per lo scoppio della guerra. L'incontro di Evreinov con la commedia dell'arte è dunque un incontro mancato. Non ci è dato di sapere come il regista avrebbe risolto il problema di una ricostruzione fedele, secondo il suo metodo “artistico-ricostruttivo”, di una realtà storica dai confini così labili, di cui Miklasevskij ha fornito la sua discrezione. A giudicare dai cicli realizzati, possiamo affermare solamente che al centro dell'attenzione di Evreinov erano innanzitutto gli aspetti formali legati alla messa in scena ed al rapporto del pubblico con lo spettacolo; mentre il problema dell'attore e dell'interpretazione rimaneva pressoché fuori dai suoi interessi. È difficile dunque immaginare come, ad esempio, sarebbe stato risolto il problema dell'improvvisazione, del plurilinguismo, dell'uso delle maschere, della “drammaturgia d'attore”. A 96 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 97 IL MITO DELLA COMMEDIA DELL’ ARTE IN RUSSIN DEL PRIMO NOVECENTO Konstantin Miklasevskij, attore e regista, stretto collaboratore di Evreinov all'Antico teatro, in occasione della preparazione del ciclo dedicato alla commedia dell'arte, compie una serie di ricerche (per le quali si reca in Italia, a Roma e a Firenze da Luigi Rasi), raccolte nella sua monografia La Commedia dell'Arte o il teatro dei commedianti italiani nei secoli XVI, XVII e XVIII, data in stampa nel 1914, ma che vide la luce solamente nel 1917.2 Questo intervallo, durante il quale la monografia giacque inedita sugli scaffali della redazione, coincide con l'attività della rivista teatrale L'amore delle tre melarance [Ljubov' k trem apel'sinam], diretta dal Dottor Dappertutto, alias Mejerchol'd. Alcuni articoli di Miklasevskij sulla commedia dell'arte appaiono su questa rivista, il cui titolo gozziano tradisce l'intento programmatico degli editori di promuovere la tradizione della “commedia all'italiana”. In quegli anni Vsevolod Mejerchol'd incentra la propria attività di ricerca intorno alla commedia dell'arte. Ma l'oggetto su cui focalizzano la propria attenzione Miklasevskij e Mejerchol'd sembra sfuggire ad una definizione comune. Mentre il primo persegue appassionatamente lo scopo di delineare il volto concreto, storico, seppur mutevole, della realtà dei comici professionisti italiani, cercando di attingere alle fonti documentarie di prima mano, l'altro fa riferimento ad un ipotetico stile teatrale dai confini storici e cronologici imprecisati. A differenza di Evreinov, Mejerchol'd non approda alla commedia dell'arte con l'intento di proporne una ricostruzione scenica; vuole invece cogliere quei principi universali che, secondo lui, contraddistinguono l'autentica teatralità in qualsiasi epoca. Alcune idee esposte da Miklasevskij coincidono in parte con il concetto astorico mejerchol'diano, fungendo in certa misura, da supporto e da stimolo. È presente, di fatto, nell'esposizione di Miklasevskij una dicotomia interna tra l'immagine della commedia dell'arte “pura”, “autentica” (ideale, aggiungiamo noi) e la commedia dell'arte degenerata, “contaminata”, tradita nella sua stessa essenza. Miklasevskij vuole dimostrare come in realtà la storia di questo teatro sia una parabola in cui la “vera” commedia dell'arte (che coincide col breve periodo della sua maggior fioritura, indicato dallo studioso tra la metà del '500 e la metà del '600) smarrisce gradualmente quegli attributi fondamentali che ne fanno l'esempio di un'arte perfettamente conforme alle leggi della teatralità. Comprendere quei principi e separarli dalle incrostazioni “nocive” può aiutare il teatro odierno a ritrovare la propria vera natura. Miklasevskij eredita l'idea romantica della commedia dell'arte di un teatro 2 In Italia è uscita presso Marsilio Editori nel 1981 la traduzione della prima parte della monografia di Miklasevskij a cura di Carla Solivetti 97 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 98 RAISSA RASKINS popolare, nato sotto una spinta di quell'irrefrenabile “istinto di teatralità” di cui parla Evreinov. Il “baraccone del popolino” [narodnyj balagan], come egli definisce la commedia all'italiana, possiede origini “basse” e viene “contaminato” nel corso del suo sviluppo dalla cultura “alta”, finendo quasi per paradosso tra le mura dei ricchi palazzi, per tornare, prima di scomparire, là da dove era inizialmente venuto: vale a dire nei baracconi da fiera e nelle piazze. Ciò che distingue l'“autentica commedia dell'arte” dalle sue degenerazioni tardive è quell'elemento vitale, dinamico e dissacratorio, che successivamente si trova minacciato dalla graduale fusione dell'arte popolare con la cultura letteraria. Miklasevskij indica il tratto fondamentale, distintivo della commedia dell'arte proprio nella sua autonomia dalla letteratura drammatica. A caratterizzare dunque questa forma teatrale è il modo di produrre lo spettacolo in assenza di un'unica volontà d'autore.3 L'autentica teatralità non conosce, secondo Miklasevskij, l'“assurdo diritto d'autore”, i soggetti utilizzati dai comici sono universali, interscambiabili, collettivi e non individuali. In questo senso l'improvvisazione, basata sulla specializzazione degli attori per “tipi fissi”, è tratto distintivo solo dell'“autentica” commedia dell'arte. Nel '700 il teatro all'italiana è sempre meno improvvisato, si appiglia ai trucchi scenici, alle infinite trasformazioni scenografiche. In tal senso - prosegue lo studioso russo - è sintomatica l'impresa del “geniale Gozzi”, in quanto guidata dalla volontà di un unico autore (il Gozzi “letterato”), e che pertanto ha ormai poco a che vedere con la “vera” commedia dell'arte. Contrariamente alle opinioni comuni - sostiene Miklasevskij - la commedia dell'arte è priva di un canone teatrale preventivo: ubbidendo alle logiche del mercato, essa ha come unico scopo quello di “divertire al massimo con un minimo di spese”. Si tratta quindi di un'entità dinamica, in continua evoluzione, che assembla materiali disparati propri ed altrui. Miklasevskij evidenzia l'aspetto prettamente professionale delle compagn i e dei comici italiani. Egli definisce la commedia dell'arte come la prima significativa scuola attoriale, sottolineando l'elevato grado di conoscenze tecniche degli attori. Affrontando la questione della recitazione dei comici, solitamente evitata negli studi sull'argomento, egli indica nell'espressività corporea, nell'elemento acrobatico, nel grottesco e nella buffonata le colonne portanti dell'arte dei comici italiani; mentre al dialogo, all'elemento letterario e alla declamazione riserva una funzione ornamentale, paragonando questi ultimi 3 A 98 La monografia inizia con questa definizione: Gli elementi essenziali che servono a definire la commedia dell'arte sono la creazione collettiva degli attori che elaborano in comune il testo dello spettacolo e l'assenza di un autore singolo della pièce (K. Miklasevskij, La commedia dell'arte, trad. di Carla Solivetti, Venezia 1981, p. 9). Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 99 IL MITO DELLA COMMEDIA DELL’ ARTE IN RUSSIN DEL PRIMO NOVECENTO ad un affresco rispetto al muro portante, costituito dall'azione. La maschera e l'espressività corporea, attributi essenziali della commedia dell'arte, sono per Miklasevskij elementi puramente teatrali. Facendo un confronto con l'attore contemporaneo, Miklasevskij nota quanto il teatro si sia sempre più allontanato dall'autentica teatralità. Nel discorso di Miklasevskij sulla commedia dell'arte vengono dunque contrapposti, da un lato, una serie di elementi “propri del teatro”, in grado di conferirgli una linfa vitale, e, d'altro lato, quei principi che portano il teatro sulla strada errata, innaturale. La produzione collettiva del testo, vale a dire una drammaturgia di tipo consuntivo, viene contrapposta alla volontà individuale del singolo autore; così come l'improvvisazione viene contrapposta alla letterarietà; l'espressione corporea e l'elemento acrobatico alla mimica facciale; l'erotismo alla retorica e moralismo; la logica del mercato all'osservazione del canone classicista; l'Arlecchino servo dai tratti demoniaci all'Arlecchino tenero amante delle pantomime francesi; il teatro genuino e popolare dei “baracconi” ad un teatro “artificiale”, privo di legame organico con la comunità. Nel suo saggio concettuale del 1912, intitolato Baraccone da fiera [Balagan] Mejerchol'd traccia un nuovo percorso da seguire sulla strada verso la riforma teatrale. Il regista sembra prendere definitivamente le distanze da una visione dell'arte drammatica di matrice simbolista (dominante all'epoca nell'ambiente modernista), la quale, sulle orme di Nitzsche, indica l'origine del teatro all'interno del tempio ed evoca la rinascita di un'arte religiosa in senso lato. Come sostiene Mejerchol'd, il mistero e la liturgia sono per la loro stessa natura esattamente agli antipodi del teatro. Il mistero, per definizione, deve rimanere precluso all'occhio profano dello spettatore. Il teatro per Mejerchol'd affonda le proprie radici nel Balagan, nel Baraccone da fiera, la cui legge fondamentale è la finzione professionale degli attori, in altre parole, il gioco. Alla valenza ontologica dell'azione drammatica professata dai teorici del simbolismo teatrale, al “teatro che non sa mentire” della scuola stanislavskijana, Mejerchol'd contrappone un teatro inteso e percepito dagli spettatori esclusivamente come “gioco”, al punto che se lo spettatore si abbandona troppo all'illusione, l'attore cerca al più presto con una battuta inattesa, oppure un lungo “a parte” di ricordare che egli assiste solamente ad un gioco.4 Al centro di questo B a r a c c o n e, sinonimo di pura teatralità, sta il suo padrone assoluto, l'unico vero artista e demiurgo: l'attore, dotato di corpo atletico ed animo privo di ogni sorta d'intellettualismo paralizzante. Il Baraccone cosmico trova agli occhi di Mejerchol'd il suo corrispettivo 4 V. Mejerchol'd, Stat'i. Pis'ma. Reci. Besedy, 2 voll., Mosca 1968, in part. vol. 1, p. 215. 99 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 100 RAISSA RASKINS reale proprio nella commedia dell'arte. Con la commedia dell'arte Mejerchol'd non fa riferimento ad una precisa realtà storica, quanto piuttosto ad una “età d'oro”, in cui nel teatro regnava autentica teatralità, cristallizzatasi nello stile specifico del “teatro delle maschere”. Il regista russo ritiene che lo studio di quel teatro, dei suoi elementi costitutivi (la maschera, l'improvvisazione, il gesto e il movimento) possa rivelare una serie di leggi universali e necessarie al teatro per salvarlo dalla crisi contemporanea. La commedia dell'arte appare agli occhi di Mejerchol'd innanzitutto come il teatro dei “cabotin”, dei professionisti, per eccellenza. L'improvvisazione sostiene - era possibile esclusivamente grazie alla sofisticata tecnica dei comici. Mejerchol'd potrebbe sicuramente fare proprie le parole di Goethe citate da Georg Fuchs nel suo Rivoluzione del Teatro: Vorrei che la scena fosse altrettanto stretta quanto la corda del funambolo: questo farebbe passare la voglia alla gente non esperta di fare il mestiere non suo.5 Solidale con Fuchs e Gordon Craig, Mejerchol'd vede nell'attore il fulcro dell'arte drammatica, e, allo stesso tempo, il suo principale ostacolo. Non esiste l'arte senza la forma: per essere forma l'attore deve avere una tecnica rigorosa, alla stregua degli attori del teatro No o Kabuki. Il problema della formazione professionale dell'attore, per Mejerchol'd, non si limita dunque al potenziamento della sua abilità fisica: si tratta di fornire all'attore un metalinguaggio universale di recitazione, un codice, pari a quello del teatro giapponese. Scrutando nel passato del teatro occidentale, Mejerchol'd identifica proprio nella commedia dell'arte un tale sistema di recitazione codificato. Quando, nel 1913, gli si presenta finalmente la possibilità di avere un proprio studio sperimentale, di cui già da tempo teorizza la necessità per la formazione del “nuovo attore”, Mejerchol'd non ha dubbi ad inserire nel programma un “corso di commedia dell'arte”. A condurre il corso è un suo collaboratore Vladimir Solov'ev, le cui conoscenze in materia sono teoriche ed astratte, oltre che limitate dalla scarsità dei fonti a sua disposizione. Èproprio Solovev a sostenere che la commedia dell'arte costituisce un sistema teatrale super-codificato. Dallo studio degli scenari dei comici e delle stampe di Callot, egli deduce l'esistenza di alcune “leggi” relative al movimento scenico degli attori e alla loro disposizione nello spazio. Tuttavia, i risultati più interessanti di quelle ricerche sono da ricercare nella cosiddetta “biomeccanica” di Mejerchol'd, che verrà messa a punto all'inizio degli anni 5 A 100 G. Fuchs, Revoljucija teatra, San Pietroburgo 1911, p. 174. Fuchs, i cui saggi ebbero indubbia inf luenza sul regista russo, riporta qui le parole del protagonista del romanzo di Goethe La vocazione teatrale di Wilchelm Meister. Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 101 IL MITO DELLA COMMEDIA DELL’ ARTE IN RUSSIN DEL PRIMO NOVECENTO '20. La biomeccanica, infatti, costituisce proprio il tentativo di trovare un meta-linguaggio espressivo per l'attore e trae molti spunti dal lavoro sperimentale di Solov'ev. L'interesse di Mejerchol'd si concentra anche sullo studio della pantomima. Essa rappresenta la punta estrema del teatro d'azione e d'attore, totalmente libero dal testo letterario. L'esperimento con pantomime improvvisate sulla base di un soggetto, di un canovaccio, porterà il regista russo a delle scoperte significative per tutta la sua futura pratica artistica, soprattutto nell'ambito della drammaturgia. Il punto cruciale, realizza Mejerchol'd, non è sbarazzarsi dalla letteratura teatrale tout court, ma saper distinguere un testo autenticamente teatrale da un testo di natura letteraria, che per lo più ignora le leggi della scena. Il testo autenticamente teatrale, sostiene Mejerchol'd, è tale se contiene uno scheletro di azioni, un “soggetto” appunto, che può essere espresso attraverso la pantomima. Questo soggetto a cui un testo teatrale dovrebbe essere riconducibile viene chiamato “soggetto da baraccone” [balagannyj sjuzet]. Il segreto più prezioso che la commedia dell'arte rivela a Mejerchol'd consiste nel comprendere che i comici usavano solo soggetti propriamente teatrali, e che in ogni epoca favorevole il teatro torna ad utilizzarli. Questa tesi trova ai suoi occhi la conferma in tutta la grande drammaturgia, da Shakespeare a Tirso de Molina, a Molière. Ed è per questo motivo che, secondo il regista, né il dramma psicologico alla Strindberg, né il dramma simbolista, né le pièce di Cechov possono essere considerati teatrali: la battaglia per ri-teatralizzare il teatro diventa la battaglia contro l'ingiustificata occupazione del teatro da parte dei letterati. A proposito è interessante l'analisi della drammaturgia russa compiuta da Mejerchol'd, che lo porta a “riabilitare” come “teatrali” i grandi autori russi, tradizionalmente classificati come realisti. In questa luce, ad esempio, Mejerchol'd dimostra che Puskin utilizza nella sua piccola tragedia Il convitato di pietra un classico “balagannyj sjuzet”, soggetto da baraccone: il Don Giovanni, utilizzato anche dai comici dell'arte. Il testo di Puskin obbedisce quindi alle leggi della teatralità, e può essere affrontato con i mezzi del “teatro convenzionale”. Accanto a Puskin, Mejerchol'd considera appartenenti al novero degli autori propriamente teatrali Lermontov, Gogol', Ostrovskij, Suchovo-Kobylin. Non è un caso se, negli anni successivi, Mejerchol'd metterà in scena i loro testi. Rimane il fatto che, nonostante l'attività di difesa e di propaganda della commedia dell'arte, Mejerchol'd non ha mai realizzato nessuno spettacolo compiuto ad essa direttamente ispirato. Pur considerando Gozzi l'autore drammatico ideale, in quanto i suoi testi lasciano ampi spazi al gioco dell'attore, nessuna delle sue fiabe, compresa la programmatica L'amore delle tre m e l a r a n c e, fu mai messa in scena. Potremmo concludere che i risultati più 101 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 102 P RAISSA RASKINS rilevanti raggiunti da Mejerchol'd sono da ricercare sul piano della tecnica dell'attore, e non della poetica o della cifra stilistica. Come è noto, molte idee mejerchol'diane riceveranno invece una loro realizzazione compiuta nello spettacolo tratto dalla fiaba teatrale di Gozzi Turandot, messo in scena nel 1922 da Evgenij Vachtangov. A Vsevolod Mejerchol'd spetta sicuramente il primato di aver introdotto lo studio della commedia dell'arte nella pratica di formazione dell'attore. In un articolo del 1930 egli dirà: Conosco bene l'antico teatro italiano, perché sulle sue tradizioni, insieme a quelle del teatro giapponese, ho studiato.6 Lo stile che il regista maturerà negli Venti ingloba in maniera organica proprio quei principi messi in luce negli anni di fervida sperimentazione intorno al mito della commedia dell'arte. 6 A 102 Mejerchol’d, Stat’i. Pis’ma. Reci. Besedy, op. cit., vol. 2, p. 197. Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 103 TRACES OF THE COMMEDIA DELL’ ARTE IN MODERN GREEK THEATRE IN THE 18th & 19th CENTURY Walter Puchner T here is no direct evidence for performances of the Italian Commedia dell'Arte in Greek-speaking areas of the Balkan peninsula and the Eastern Mediterranean. If we take into account the great delay in the arrival of Italian opera in Greece, 1733 in Corfu, with the starting-point of 1594 (the first opera in Italy ) ,1 the cultivation of the improvised theatre genre of Commedia dell'Arte in Venetian Crete in the l7th century (up to 1669, the fall of Candia) is not very plausible.2 If we compare it with the evolution of scenic space and set in Italian theatre, there are some possibilities of influence.3 In fact there is no real evidence and no major probability of the existence of Commedia dell’Arte performances on the island of Candia: 1. the mention by Andrea Cornaro of some of the comic characters of Commedia dell’Arte, found by Panayotakis,4 is in the end doubtful if it has to be linked with Crete;5 2. the evidence in the Discorsi Accademici of Santo Zeno in 1657, found by Alfred Vincent, which documents knowledge of Commedia dell’Arte, is of a merely theoretical nature,6 because most probably it refers just to Italy ;7 3. The W. Puchner, “O ρόλος της µουσικής στο Kρητικό θέατρο”, in idem, Mελετήµατα θεάτρου. Tο Kρητικό θέατρο, Athens 1991, pp. 179-210. 2 In fact there are musical elements in the intermedia and the baroque tragedy Z e n o n, but no theatrical play is conceived as a libretto for musical composition. 3 See W. Puchner, “Scenic space in Cretan theatre”, Mandatoforos 21 (1983), 43-57 and in Greek in the cited volume Puchner, Mελετήµατα θεάτρου, op. cit., pp. 153-178. 4 N. Panayotakis, “‰Eρευναι âν Bενετί÷α”, Thesaurismata 5 (1968), 45-118, esp. 62, plate H'. 5 N. Panayotakis, “Nέες ε¨δήσεις γιa τe Kρητικe Θέατρο”, in Kρητικe θέατρο. Mελέτες, Athens 1998, pp. 141-168, esp. p. 147. 6 A. Vincent, “Commedia dell’ Arte in Crete? The evidence of Santo Zeno”, Thesaurismata 24 (1994), 263-273. 7 One of the academic discourses at the end of the manuscript (written before 1640), which replies to questions, asks, if the god of love, Eros, were to perform comedy, what part would he play. The possibilities which are discussed are all stereotypic comic roles of Commedia dell’Arte (Capitano, Dottore Gratiano, Trappolino; the Italian text in Vincent, “Commedia dell'Arte”, op. cit., 271273). That means that the delivering of or reading of this discourse presupposes familiarity with the comic figures of Commedia dell’Arte, but it does not prove actual performance of that genre in Crete. Anyway, Santo's description of Trappolino seems to be based on eyewitness of a performance, not just reading of scenarios. Vincent comes to the conclusion that it seems unlikely to 1 103 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 104 WALTER PUCHNER observation of Linos Politis and Alfred Vincent that the Cretan comedy is linked to Commedia Erudita and not to Commedia dell’Arte seems to be right: there is no trace of using masks or half-masks, the words of the dialogue are not improvised but written down, and the Cretan towns of the 17th century were not able to guarantee the survival of a professional troupe of 13-15 members (at the end of every comedy the whole troupe passed over the stage and said some words of epilogue, so that we know how many actors were used for the performance).8 The case of the Ionian Islands is different;9 here some theatre activity can be traced in the 16th and 17th century.10 But indirect evidence for performances of Commedia dell’Arte professional troupes and performances of the stereotype comic characters of the genre is available only for the 18th century. There is a series of indirect proofs for a contact of the Ionian Islands with Commedia dell’Arte: in chronological order: 1. the comic scenes at the end of the tragedy Iphigenia by Petros Katsaitis (1720); 2. a report of Casanova in his Memoirs that he hired a Commedia dell’Arte troupe in Otranto and brought the actors as impresario to the island for a whole season (c. 1745); 3. the linear structure of the comedy The Comedy of the Pseudodoctors by Savoyas Rusmelis (1745); 4. the comedy Chasis by Dimitris Guzelis (1795), as well; 5. the existence of folk theatre played with masks in Zante and Kefalonia ('homilies'), which can be documented from the second half of the 19th century. postulate performances of professional theatre companies in Crete because of the long sea voyage and the comparatively small population of the Cretan towns. It is easier to think of amateur troupes, former students of the University of Padua, merchants who had lived in Venice, profes sional soldiers, government officials appointed from Venice, and so on (270), or also young members of the Academy. But one difficulty remains: the miming and declamation of the different Italian dialects, which is characteristic for Commedia dell’Arte comic types. Conclusion: For the moment, then, the source or sources of Santo's knowledge must remain an open question. On the whole, though, it seems most probable that he and his audience had actually seen perfor mances of Commedia dell'Arte (271). Insofar as we have no hard evidence for such performances in Crete at that time, it should be assumed that his experience was somewhere in Italy. 8 G. Chortatsis, Kατζούρµπος. Kωµωδία, ed. L. Politis, Iraclion 1964, p. µ ζ '; M. A. Foscolo, Φορτουνάτος, ed. A. Vincent, Iraclio 1980, p. µζ'; W. Puchner, “Θεατρολογικά προβλήµατα στ ό Kρητικό καί ^Eφτανησιακό θέ ατρο (1550-1750)”, in idem, E é ρ ωπαϊκc Θεατρολογία. ≠Eνδεκα Mελετή µ ατα, Athens 1984, pp. 139-157, esp. p. 151. The older opinion of M. Lamberts, “Der literarische Charakter der Kretischen Dramen Σ τά θης und Γύπαρις”, Byzantinische Zeitschrift 41 (1941), 319-339), that the plays of the Cretan theatre were acted with masks, today is considered to be wrong. For the recent bibliography see Literature and Society in Renaissance Crete, ed. D. Holton, Cambridge 1991 (and in Greek 1996). 9 And also the comparable islands of Dalmatia and the town of Dubrovnik/Ragusa, where traces of an impact of Commedia dell’Arte can also be seen before the 17th century (Puchner, Mελετήµατα θεάτρου, op. cit., p. 500). 10 N. M. Panayotakis, “Le prime rappresentazioni teatrali nella Grecia Moderna: Antonio Molino a Corfù e a Creta”, Thesaurismata 22 (1992), 345-360. A 104 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 105 TRACES OF THE COMMEDIA DELL’ ARTE IN MODERN GREEK THEATRE IN THE 18th & 19th CENTURY Ad 1: some of the figures of the three comic scenes at the end of Iphigenia are mainly senseless contaminations of comic types of the Commedia dell’Arte (of Covielo, Scappino, Truffaldino), others are connected with the comedies of Molière (Sganarelle, Pourceaugn a c ) ;11 without recapitulating the whole discussion how Lixuri or Argostoli in 1720 can be connected with Paris 50 years before, we can say that this is some indirect proof of a contact with Commedia dell’Arte (this is also evident in the linear and loosely linked structure of independent episodes).12 Ad 2: Jean Jacques Casanova (de Seingalt, 1725-1798) writes in his Mémoires or Histoire de ma vie, which gives an itinerary of his adventurous life from 1734-1774, that he also visited Corfu, where he hired as an impresario a troupe of Commedia dell’Arte actors from Otranto (a Pantalone, three women actors, a Polichinelle, and a Scaramuccio, 20 actors in all, with a book of repertoire and six big boxes with baggage), which gave performances during the carnival of 1745 on the island.13 According to the new opinions in research into Casanova, the multifarious episodes of his Mémoires do not seem to be altogether imaginary as was thought before. The episode of Corfu could very well be true, in the light of the possibilities of the context of the other indirect evidence we have for the case.14 Ad 3: The linear structure of episodes, loosely linked together, as is characteristic of the Commedia dell’Arte c a n e v a s i, can be found in the comedy The Comedy of Pseudodoctors by Savoyas Rusmelis in 1745.15 Although the comic figure of the dottore in the Italian tradition is usually a lawyer, the figure of the false doctor arguing in Latin and curing with obscure and rough methods is not unknown, in Cretan comedy and the Greek theatre of the time.16 Ad 4: The same holds good for the comedy Chasis by Dimitrios Gouzelis, W. Puchner, “O Πέτρος Kατσαΐτης και το Kρητικό θέατρο”, in idem, Mελετήµατα θεάτρου, op. cit., pp. 261-324, esp. pp. 298ff. 12 W. Puchner, “ M ολ ι έρ ος και Kατσαΐτης. Iχν ηλ α σ ί ες σε µια θαµπή συ σχέτ ιση ”, Porfyras 104 (2002), 167- 181. 13 This episode has been translated into Greek and published in Tachydromos 1105 - 1112 (1975). It is also the factual basis for a comedy of Dionysios Romas, Casanova in Corfu (1978). 14 W. Puchner, “Mεθοδολογικοί προβληµατισµοί και ιστορικές πηγές για το ελληνικό θέατρο του 18ου και 19ου αιώνα” in idem, ∆ραµατουργικές αναζητήσεις, Athens 1995, pp. 141-344, esp. pp. 278ff. 15 Critical edition by Glykeria Protopapa-Bubulidu in: Σαβόγιας Pούσµελης, Athens 1971, pp. 3794. See also Th. Grammatas, Νεοελληνικό θέατρο. Iστορία - δραµατουργία, Athens 1987, pp. 27ff. 16 See W. Puchner, “H µορφή του γιατρού στην πρώιµη νεοελληνική δραµατουργία”, in idem, ∆ιάλογοι και διαλογισµοί, Athens 2000, pp. 93-118. 17 D. Gouzelis, O Xάσης, το τζάκωµα και το φτιάσιµον, ed. Z. Synodinos, Athens 1997. 11 105 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 P 11:56 PM Page 106 WALTER PUCHNER (1790, 1795) where the independence of the episodes is really striking.17 The play is just a conglomeration of different scenes, edited by chance, around the central figure of the b r a v o. So it is not strange that there are different variations of the play.18 Ad 5: In the opinion of many scholars, this play is linked to the folk theatre, of the 'homilies' in the islands of Zante and Cefalonia, which has a similar structure, is played with a half mask and a singing declamation during Carnival time, but the texts are not improvised but written down. Nevertheless the repertoire of this folk theatre is not only comic: versions of Erotokritos,19 Erophile and the Sacrifice of Abraham of the Cretan literature of the Renaissance are played, together with dramatizations of popular readings of the 19th century.20 The term 'milima' for a small scene can be found for the first time in the Eugena legend play in 1646 by Teodoro Montselese from the island of Zante.21 Besides the influences of Commedia dell’Arte, we can assume also customary origin of the plays in the framework of the carnival-disguises and dialogues.22 Anyway, one of the adaptations of the melodramatic provincial play The Lover of the Shepherdess by Dimitris Coromilas (1891) gives some evidence of the survival of the comic spirit, of Commedia dell’Arte in Zante folk theatre: in the sentimental plot a A r l e c c h i n o-like figure is introduced, who comments in many soliloquies on the plot and speaks the dialect of the island.23 All the specific indications, together with the cultural context of the Ionian Islands in the 18th century, form a slight and delicate basis of evidence that there was at least the knowledge of Commedia dell’Arte, if real performances cannot be proved. The mechanisms of the visiting of Italian opera troupes were established only in the last decades of the 18th century. There are also some indications of influence of plays by Venetian comedywriters influenced by Commedia dell’Arte, such as Gozzi and Goldoni. It is Glykeria Protopapa-Bubulidu, “A \ νέ κδ ο τ οςZακυνθινc κωµωδία τοÜ ∆ιον. Λουκίσα”, Parnassos 7 (1965), 255-276. 19 W. Puchner, “Zum Ritterspiel in griechischer Tradition”, Byzantinische Zeitschrift 91 (1998), 435-470. 20 W. Puchner, “Kretische Renaissance- und Barockdramatik in Volksaufführungen auf den Sieben Inseln”, Osterreichische Zeitschrift für Volkskunde 30, 79 (1976), 232-242. 21 T. Montselese, Eéγένα, ed. M. Vitti, Napoli 1965, p. 31. 22 M. G. Meraklis, “Το πρόβλημα της προέλευσης των ομιλιών”, Philologika 5 (1981), 34-38. For further bibliography see also W. Puchner, Το λαϊκό θέατρο στην Ελλάδα και τα Βαλκάν ι α, Athens 1989, pp. 181 -185. 23 M. A. Alexiadis, ^O A \ γαπ ητ ικeς τÉς Bοσκοπούλας. ‰Aγνω στη Zακυνθινc “^Oµιλία” τοÜ \Aλέκου ΓελαδÄ. Συµβολc στcν öρευνα τοÜ ζακυνθινοÜ λαϊκοÜ θεάτρου, Athens 1990. 24 P. Mavromustakos, “Tο ιταλικό µελόδραµα στο θέατρο Σαν Tζιάκοµο της Kέρκυρας (17331798)”, Parabasis 1 (1995), 147-192, esp. 163. 18 A 106 Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 107 TRACES OF THE COMMEDIA DELL’ ARTE IN MODERN GREEK THEATRE IN THE 18th & 19th CENTURY quite possible that in 1771 a libretto of Carlo Gozzi, I1 matrimonio per i n g a n n o, was played as dramma per musica at San Giacomo in Corfu.24 The same holds good for 1773, when two libretti of drammi giocosi per musica by Carlo Goldoni possibly were played in the same theatre: Il mercato di Malmantile and Le cascine.25 Sure evidence exists for the performance of the dramma giocoso per musica La conversazione in 1774.26 Some of the earlier plays of Goldoni had some certain influence on Phanariot comedy writers, such as Georgios Sutsos. In his Πονήµατά τινα δραµατ ικά published in Vienna in 1805, two of the four plays have early plays of Goldoni as models: Aυλικός ο πεφωτισµένος the intermezzo in verse I1 disinganno in corte, and Πατρίς των τρελών the comedy Arcifanfaro re dei matti.27 But this is rather an exception. The literary reception of Goldoni in Greece at this time gave emphasis to the moral and didactic plays in the framework of the Enlightenment. So on entering the 19th century there is not much ground for the reception of Commedia dell’Arte in Greece, with the exception of the folk tradition of the Ionian Islands. The suggestion of some sort of influence of the Commedia dell’Arte on Greek shadow theatre is just guesswork and based on structural similarities of the stereotype framework of comic figures and situations. Op. cit., 164f. Op. cit., 165f. 27 G. N. Sutsos, \Aλεξανδροβόδας ï àσυνείδητος. Kωµωδία συντεθεÖσα âν öτει÷ αψπε‹: 1785, ed. D. Spathis, Athens 1995, pp. 274ff. 25 26 107 A Biblio 17x24 IT.qxp 3/22/05 11:56 PM Page 108 P INDICE DEGLI AUTORI Ennio Concina Professore di Storia dell'arte bizantina, Università Ca' Foscari di Venezia Manlio Cortelazzo Professore emerito di Dialettologia italiana, Università di Padova Piermario Vescovo Docente di Letteratura teatrale italiana, Università Ca' Foscari di Venezia Platon Mavromoustakos Professore di Studi teatrali, Università di Atene Anna Scannapieco Docente di Lingua italiana e Storia della critica, Università Ca' Foscari di Venezia Daniele Vianello Docente di Storia del teatro, Università La Sapienza di Roma Raissa Raskina Dottore di ricerca in Storia del teatro e dello spettacolo, Università La Sapienza di Roma Walter Puchner Professore di Studi teatrali, Università di Atene A 108 Page 1 COMITATO EUROPEO DIREZIONE GENERALE EDUCACIONE E CULTURA ISBN 960-88505-0-9 Gli Akriti d’ Europa 3:10 AM La commedia dell’arte nella sua dimensione europea 12/27/04 ACRINET exo biblio IT.qxp Esponente Responsabile del Programma - PRISMA - Centro di Studi per lo Sviluppo Responsabile della coordinazione scientifica - Accademia di Atene, Centro di Ricerca del Folclore Greco Soci del programma - Ministero della cultura, Direzione della Cultura Popolare - Università dell' Europa - Università I della Sorbona, Panteon - Consiglio Superiore delle Ricerche Scientifiche di Spagna, Istituto di Filologia, Dipartimento di Studi Bizantini e Neoellenici - Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia - Università di San Clemente di Ocrida a Sofia, Dipartimento di Filologia Slava, di Etnologia e di Letteratura Bizantina. La commedia dell’arte nella sua dimensione europea Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia In copertina: Giandomenico Tiepolo, Pulcinella innamorato, 1797. Ca’ Rezzonico (Venezia).