liberta` e liberalismo

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LIBERTA’ E LIBERALISMO
Giovedì, 25 agosto 2005, ore 15.00
Relatori:
Roberto De Mattei, Vice Presidente CNR, Docente di Storia Moderna presso
l’Università degli Studi di Cassino; S. E. Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino
e Montefeltro; Angela Pelliciari, Scrittrice.
Moderatore:
Paolo Del Debbio, Docente di Etica Sociale e Comunicazione presso lo IULM e
Opinionista.
Moderatore: Il tema è libertà e liberalismo, un tema complicato dal fatto che in Italia
dopo il ’94 c’è stata una sorta di Damasco del liberismo e del liberalismo, e si sono
detti tutti liberali; purtroppo però non sapevano di che parlavano e poi se ne sono visti
tanti dei frutti negativi. Il motivo per il quale oggi si parla molto di liberalismo e di
liberismo non è sostanzialmente legato al tema fondamentale della libertà di cui mi
occuperò, perché del liberalismo se ne occupano altri due relatori che poi vi
presenterò, storici che sanno bene di cosa parlano.
Oggi si parla molto di liberismo, più che di libertà e di liberalismo per un semplice
fatto. Il primo è questa reintroduzione del termine neoliberismo; ne parlano i
movimenti no-global come il responsabile di tutto lo sfascio che avrebbe portato la
globalizzazione. Ripeto, poi, andando a cercare di definirlo, raramente si trova una
definizione convincente. E poi se ne parla perché con la crisi e il fallimento dello
Stato sociale italiano, le difficoltà del welfare, welfare che non ha tenuto conto delle
indicazioni che avevano dato all’inizio quelli che l’avevano costruito, e cioè il
cosiddetto pareggio di bilancio. Avendo fatto debiti a tutto andare non si può più
reggere questa situazione e allora tutti hanno detto che bisogna essere un po’ più
liberali, intendendo questo che si deve spendere un po’ più di meno, un po’ più di
società, un po’ più di mercato e un po’ meno di Stato. In questo senso tutti si sono
detti liberali, a destra e a sinistra. D’Alema tornando dalla City disse che non
possiamo ormai non dirci liberali. Si vede che lì aveva visto che le cose funzionavano
dal punto di vista del mercato un po’ meglio, e ha detto “vediamo di dirlo anche in
Italia”. Ma non ha avuto molto seguito.
Ora io parlerò appunto più della libertà, perché queste riscoperte del liberalismo che
ci sono state, una a causa del movimento no-global e una a causa della crisi dello
Stato Sociale, si sono soffermate all’aspetto economico, cioè quando appunto un
frutto semmai più maturo, se c’è un frutto maturo di questo movimento, non è solo il
fatto economico, ma è il fatto della libertà personale. Perché la libertà non è
ultimamente una questione di tipo economico, la libertà è una questione che sta
dentro alla persona. E c’è una libertà che è quella che ti consente di fare le scelte
liberamente. C’è una vecchia distinzione di una filosofa che non c’è più, che
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Monsignor Negri ha conosciuto bene e che si chiama Sofia Vanni Rovighi, che ha
preso da un altro che si chiamava Guido Calogero, un grande filosofo, e che divideva
la libertà in due, una divisione semplicissima quasi banale: la libertà presupposta e la
libertà ideale.
La libertà presupposta non è un valore, ma è la madre di tutti i valori e bisogni; è
quella condizione per la quale posso io scegliere tra il bene e il male. La libertà ideale
è il buon esercizio, una definizione chiara, semplicissima. Libertà presupposta, cioè
che io possa scegliere liberamente. La libertà ideale è l’esercizio di questa libertà
presupposta che io esercito per ciò che ritengo utile. Perché parto di qui? Perché ci
introduce nel tema politico, perché la politica deve e può occuparsi solo della libertà
presupposta e cioè deve preoccuparsi di creare le condizioni per le quali uno sia
libero di scegliere ciò che ritiene bene. E quando dico ciò che ritiene bene non dico
solo ciò che ritiene bene in astratto, ciò che ritiene bene ad esempio far fare ai propri
figli nella gita della scuola. Allora lo Stato non ha da dirmi in questo caso la libertà
ideale, da indicarmi lui qual è la scuola ideale, ha da mettermi nelle condizioni di
scegliere la scuola che voglio, ha da darmi cioè la possibilità di utilizzare la libertà.
E se c’è un errore che ha fatto il liberalismo è quello di confondere questa libertà
presupposta e portarla tutta dal punto di vista della libertà ideale, cioè indicando
quella libertà come solo la possibilità di scegliere qualsiasi cosa voglio e di fare di
questa il valore. Il valore non è nella libertà presupposta, il valore è nella libertà
ideale che scelgo e lo Stato non se ne deve occupare di questa seconda. Si può e si
deve occupare solo della prima, di creare cioè le condizioni per le quali uno possa
esercitare la libertà. Se andate a vedere la definizione che ne dà il Compendio della
dottrina sociale della Chiesa, vedrete che si dice: “il valore della libertà in quanto
espressione della singolarità di ogni persona viene rispettata quando a ciascun
membro della società è consentito realizzare la propria personale vocazione”. Non ha
da indicarmi nulla, ha solo da mettermi (lo Stato) nelle condizioni nelle quali io possa
scegliere, realizzare la mia propria personale vocazione religiosa, culturale, politica,
di opinione, del proprio stato di vita, per quanto possibile del proprio lavoro e di
assumere iniziative di carattere economico e sociale come voglio. E quando poi
finisce dice: “la pienezza della libertà consiste nella capacità di disporre di se, in vista
dell’autentico bene entro l’orizzonte del bene comune”.
E io mi soffermo sul bene comune perché su questo bene comune ne hanno dette di
tutti i colori, confondendolo talora con lo statalismo, confondendolo talora come un
bene che qualcuno decide invece di tutti, cioè confondendolo col suo opposto.
Siccome per fortuna la Chiesa oltre a fare il grande Catechismo ha fatto anche il
Compendio, domande e risposte, io ripropongo queste due domande e queste due
risposte e poi ognuno capisce. Che cos’è il bene comune? “Per bene comune
s’intende l’insieme di quelle condizioni di vita sociale che permettono ai gruppi e ai
singoli di realizzare la propria perfezione”. Capite? Ai gruppi e ai singoli di essere
messi nella libertà di scegliere. Questo è bene comune: creare una società con
possibilità di scelta dei singoli, dei gruppi e delle associazioni. Chiaro? Come l’uomo
partecipa al bene comune? chiede il Catechismo: “Ogni uomo secondo il posto e il
ruolo che ricopre partecipa a promuovere il bene comune, rispettando le leggi e
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facendosi carico dei settori di cui ha la responsabilità personale, quali quello della
propria famiglia, l’impegno del lavoro ecc…”.
Quindi: libertà-presupposto, confermata dal Compendio e confermato il bene comune
al servizio della libertà-presupposto, e cioè al servizio della possibilità che ogni
persona scelga per conto proprio. Questo è il compito dello Stato. Non può e non
deve entrare in altro, al resto ci pensiamo noi e siamo sicuri di fare meglio di quello
che farebbe qualsiasi Stato, anche illuminato, in nostra vece. Ci pensiamo per conto
nostro. Siamo grandi,adulti, e qualcuno anche vaccinato, e quindi siamo capaci di
civiltà.
Non è consentito alla politica esercitare la propria funzione avendo già in testa la
società verso la quale vuole andare. Può avere in testa di favorire le condizioni di
libertà perché poi la società si fa da sé. Ci son due strade sole, non ce n’è una, o
quattro o dieci: due. Tu devi mettere la società in queste condizioni, e la società la
propria conformazione la sceglie da sé, si fa da sé, se è libera di poterlo fare. E io
condivido in toto – l’ho scritto anche sul giornale – quanto dice Vittadini
nell’editoriale di apertura dell’ultimo numero di Atlantide dove pone una domanda:
quali sono le condizioni che possono aiutare il singolo e le comunità in cui vive a fare
piena esperienza di libertà all’interno di una società? Di crearla in relazione al
principio di sussidiarietà. Perché? Perché il principio di sussidiarietà crea le
condizioni della libertà-presupposto. E perchè le crea? Per un punto molto semplice.
Che siccome non è un principio fine a se stesso, ma è un principio che ha come faro
la libertà delle persone, delle famiglie, delle associazioni e delle imprese, costruisce
uno Stato che arretra laddove questi riescono a svolgere la propria libertà da soli e
interviene laddove c’è bisogno di favorire le condizioni per un migliore esercizio
della libertà. E non è possibile col principio di sussidiarietà fare i giochetti ideologici.
E’ uno strumento formidabile per scardinare quei sistemi dove la libertà non è messa
al centro. Non so se può essere il principio di sussidiarietà l’ispiratore di una politica.
In Lombardia lo è stato, e anche questo mi sono pregiato di scriverlo. Altrove no. E
quando dico altrove, dico le restanti regioni. Altrove c’è stato un po’ di colpo al
cerchio e colpo al tino, insomma, una cosa un po’ vinicola, più che di sussidiarietà.
La società non ti dà tregua, perché tu devi governare tenendo conto di un altro valore,
e non del fatto che governi. Il valore è la libertà e lo strumento è la sussidiarietà.
Può essere il progetto politico di molti? Ci vuole il fisico, diciamo, ci vuole il fisico
per agire solo con la sussidiarietà in tasca, perché ci vuole grande capacità di
comprensione e grande coraggio di intervento. Chi ce l’ha? Io qualcuno vedo, non so
se sono diventato un po’ cieco ultimamente, ma intorno a me ne vedo pochi. Qualche
esperienza c’è, in Lombardia c’è stato, qualche cosa c’è stato nel Governo. Io l’avevo
sognata, perché nel 1994 scrissi il programma di Forza Italia e del Polo di allora. E
come dicevo prima, allora era difficile, perché dovevo fare un programma liberale e
allora andai a cercare qualche liberale e siccome però avevano tutti intorno ai 90-95
anni, avevo anche difficoltà a rapportarmi, perché chi dovevo andare a trovare
all’ospizio, chi all’ospedale, e quindi diventava complicata la questione.
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Io ho parlato dell’oggi, diciamo, e spero di aver parlato un po’ anche del domani,
mah…vedremo! Ora si passa a parlare invece un po’ di ieri, perché è la volta di
Angela Pellicciari, che ha scritto dei libri dai seguenti titoli: “ L’altro Risorgimento”,
“ Risorgimento da riscrivere”, “Liberali e massoni contro la Chiesa” e “Risorgimento
anticattolico”. Mi basta aver detto questo per averla presentata, mi sembrano titoli
fieri, diciamo così.
Angela Pellicciari: Speravo di poter parlare di un testo di Giacomo Margotti,
“Memorie per la storia dei nostri tempi”. Se c’è qualcuno, e qualcuno c’è perché lo
conosco, che stava l’anno scorso al Meeting, ad una conferenza simile a questa,
avevamo annunciato che sicuramente quest’anno avrebbe visto la luce la ristampa di
questo testo fondamentale per la storia dell’Ottocento. Purtroppo ancora non è stato
possibile (i soliti motivi terra terra di soldi). Quindi faccio un intervento diverso con
cui spero di potervi offrire qualche spunto di riflessione per capire, quando si parla di
liberalismo, cioè quel movimento politico che è predominante nell’Ottocento, per
capire quali sono le matrici culturali. Quindi chiaramente darò come dei flash, mi
perdonerete, ma spero di darvi delle considerazioni che possono aiutare qualcuno.
Di libertà si parla in Occidente perché c’è Gesù Cristo che dice: “La Verità vi farà
liberi”. Il cristianesimo, col tempo, con secoli di persecuzioni, siccome sa, perchè gli
è stato rivelato, che di fronte a Dio non c’è differenza fra uomo e donna, fra schiavo e
libero, fra ebreo e greco, dà uno spazio di libertà inimmaginabile in qualsiasi altra
cultura, per esempio alla donna,per esempio agli schiavi. Quindi cambia dal di dentro
e realizza una libertà che è il massimo possibile, a mio modo di vedere, sulla Terra.
La società cristiana, che scompagina il mondo antico e ne eredita gli aspetti migliori,
nei comuni stabilisce quello che è stato chiamato il regno della libertà. Questa libertà
è fatta in nome della verità. Ogni comune aveva il suo santo, il suo patrono, il suo
santo protettore, Cristo, Maria, i vari santuari mariani. Tutto questo contesto in cui si
sviluppano le università, gli ospedali, le congregazioni, in cui la società cristiana è
organizzata capillarmente per liberare il più possibile dal peso della sofferenza e
dell’ingiustizia tutte le categorie di persone, tutto questo impianto viene scosso
dall’umanesimo e crolla con Lutero. A mio modo di vedere, la espressione
fondamentale a questo riguardo, di Lutero, che poi sarà ripresa da tutta la cultura
moderna, anche se in senso antiluterano, è libero esame. Libero esame significa che
lo spirito di ciascuno è illuminato dallo Spirito Santo individualmente, a prescindere
dal magistero, a prescindere dal sacerdozio, a prescindere dal papato, a prescindere
dal dogma, è illuminato personalmente dallo Spirito Santo.
Qual è la conseguenza di questo libero esame? E’ che non esiste più la verità
teologica. Infatti il protestantesimo si diluisce in migliaia di sette, l’una contro l’altra
armata, le più estreme possibili. Siccome non c’è più la verità teologica, viene rotto
quell’equilibrio tra fede e ragione che il cristianesimo aveva instaurato molto
proficuamente, e questo fa sì che il peso della verità, del ricercare la verità, sia
affrontato dal movimento gnostico, che era sopravvissuto nei secoli, e che dopo
Lutero riprende una forza enorme. La filosofia moderna, la filosofia della seconda
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metà del ‘500, del ‘600 per non parlare di quella del ’700, è una filosofia che rifiuta la
Rivelazione, anche se non lo dice apertamente.
Il motto di Spinoza è : caute! Bisogna andarci piano, perché sennò si rischia, però
l’impianto è un impianto radicalmente anticristiano, e quando non è anticristiano
prescinde totalmente da Dio. “Dio – dirà Pascal parlando di Descartes – è
ininfluente”, ha fatto il mondo, gli ha dato un colpetto e poi se ne disinteressa. Cioè,
Cristo, unico Figlio di Dio che si incarna per salvarmi, non ha più alcun posto in
questa visione del mondo.
La gnosi ha delle caratteristiche radicalmente opposte a quelle del cristianesimo e per
quello che mi interessa adesso per parlare del liberalismo ce ne sono essenzialmente
due o tre. Se non c’è più la Rivelazione, qualcuno deve dire qual è la Verità. Questo
qualcuno è uno particolarmente illuminato, uno particolarmente intelligente che,
pertanto, perché sapiente, perché illuminato, ha diritto di essere seguito dal popolo
che poco capisce. Questo c’è anche in Lutero: un disprezzo profondo per la
popolazione. Poi scompare quella che a mio modo di vedere – ma poi è rivelata,
quindi è la verità – è la migliore spiegazione per capire perché c’è al mondo quella
cosa spaventosa che è la morte. E’ un’ingiustizia vistosa, è una realtà tremenda,
l’ultimo nemico, la definisce san Paolo, che s’impone ad ognuno di noi, con ciò
ognuno di noi deve fare i conti.
Per capire questa realtà il cristianesimo ha l’ebraismo, ha il concetto di peccato.Il
concetto di peccato porta con sé la distinzione delle due nature di cui parla tutta la
storia della filosofia cristiana, a cominciare da Agostino. Ci sono due nature. Dio ha
creato l’uomo con una natura che era destinata alla vita.Questa natura è stata ferita,
danneggiata, piagata. Questa seconda natura è bisognosa di salvezza perché da sola
può procurare a se stessa solo la morte. Se io rifiuto la Rivelazione, rifiuto questa
chiave per confrontarmi con l’ingiustizia, con la sofferenza, con la morte. Se non ho
questa chiave, ne devo trovare un’altra, e la chiave che trovano gli uomini liberi, cioè
quelli che hanno l’intelligenza per guidare gli altri, è una bella parola. Si chiama
progresso. Finito il peccato, finite le due nature, all’uomo rimane solo il progresso,
progresso che significa?
Non tutti sono d’accordo con la definizione di progresso, anzi, si scontrano. Tutta la
battaglia dei Papi dell’800, di Leone XII, anche di Giovanni Paolo II, penso pure di
Ratzinger - la battaglia per recuperare dal punto di vista filosofico il realismo, cioè
l’uso della ragione per capire la realtà. A partire dal ‘600 i filosofi neopagani non
usano più la ragione per capire la realtà, usano la ragione per progettare un mondo
diverso, a immagine e somiglianza dell’autore del bel progetto. Questo atteggiamento
nei confronti della realtà progressista che definirà se stesso un atteggiamento
tollerante, antidogmatico, è in realtà il più perverso dei dogmatismi, perverso è una
parola che mi è venuta ma che non è scelta a caso, anche perché la Gnosi ha un padre,
che si chiama Satana.
Adesso anticipo una cosa che volevo dire più tardi, per esempio Napoleone, quando
invade l’Italia, quando s’inventa il Regno d’Italia, la bandiera, lo stendardo del Regno
d’Italia ha uno stemma, questo stemma è una stella a cinque punte: il pentalfa della
Massoneria (la stella a cinque punte sta dappertutto, eh!). Però bisogna fare
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attenzione come sono rivolte le punte della stella a cinque punte, perché quella di
Napoleone aveva due punte verso l’alto e queste due punte alludevano alle due corna.
Quindi il Regno d’Italia che Napoleone instaura in Italia è proprio, costitutivamente,
sotto il tallone di Satana. Mi viene in mente che il Corriere ha pubblicato
recentemente un bell’articolo in cui c’era una grande fotografia del bassorilievo che
era nella porta d’ingresso dello studio di Hitler, che rappresentava il mezzo busto di
Hitler con nella destra un mitra, un’arma, e nella sinistra uno scheletro, e sulla sua
spalla sinistra è appoggiata saldamente un fumetto: Satana il caprone, con le due belle
corna.
Per tornare indietro da dove ero partita. Libero esame, Lutero, all’inizio del ‘500.
Libera muratoria all’inizio del ‘700. Massoneria moderna, gnostica, la forma
principali di gnosi diffusa capillarmente ovunque oggi, un modo per cui gli illuminati
fanno una catena. Leone XII parla di cancro, un cancro che si mette nel corpo e da
dentro, piano piano, corrode tutto, nel silenzio, nell’occultamento e sotto la bandiera
di parole meravigliose, e la parola più meravigliosa che c’è quale è se non libertà e
progresso? In realtà questa libertà e questo progresso neognostici fanno una lotta
frontale, totale alla Chiesa Cattolica. Perché? Perché la Chiesa Cattolica rimane salda,
nonostante le persecuzioni, nonostante gli attacchi, nonostante le calunnie, la
violenza, l’uccisione, nonostante questo: schiera di martiri, gloriosa, rimane salda.
Salda su che cosa? Salda sulla verità sull’uomo. Non c’è nessun progresso da questo
punto di vista, perché il progetto di Dio è eterno sull’uomo e dà all’uomo la
figliolanza gratuita di Dio. Non ci può essere un progresso maggiore di questo!
Quindi il cristianesimo fa saldamente perno sulla realtà e pertanto la Chiesa cattolica
è il nemico giurato della gnosticismo, in tutte le sue forme.
Ho anticipato una cosa, avevo pensato, adesso lasciando stare la massoneria che è un
tema complesso, però c’è un testo che molto noto, è un testo di Kant, del 1784 che si
chiama “Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?”. Voglio citarlo perché è
significativo della tendenza di quello di cui sto parlando. Kant dice che innanzitutto
l’Illuminismo “solo a pochi è venuto fatto con l’educazione di sciogliersi con la
minorità”, e certamente questo è un dato incomprensibile: come mai bisogna
aspettare il 1800 perché a pochi venga dato (cioè sto ignorando tutta la filosofia
greca, il mondo egiziano, Kant li sta ignorando), a pochi è venuto di diventare
illuminati? “La destinazione della natura umana - dice Kant - consiste nel Progresso”.
Il culmine dell’Illuminismo è in campo religioso – e qui è la questione che mi
interessa – cioè pensare con la propria testa in modo libero, in campo religioso.
Anche in campo religioso, pertanto, si deve dare il progresso; però c’è qualcuno che
si oppone a questo progresso in campo religioso. Questo qualcuno è ovviamente la
Chiesa Cattolica, che Kant non nomina mai, ma che è il soggetto cui lui si riferisce,
senza del quale non si capisce niente di questo testo. E lui dice: “Non è
assolutamente permesso - sto parlando di Immanuel Kant - mantenere in vita una
costituzione religiosa immutabile; non è permesso.” La vita della Chiesa Cattolica
non è permessa. Siamo nell’84: nell’89 scoppia la Rivoluzione francese, poi c’è
Napoleone. Egli è l’invasione, il massacro di tutte le gioventù europee a cavallo
dell’800; il massacro, giacobinismo violento. L’erede del giacobinismo, che però è un
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erede che non condanna alcuno dei presupposti teorici, è il liberalismo. Liberalismo,
che si afferma nell’800, con le rivoluzione, e che sostiene che bisogna essere liberi
dalle rivelazioni del magistero nel costruire la società. Di qui conoscerete il bene e il
male - dice Satana a Eva - sarete come Dio. Questo è il liberalismo che si afferma
nell’800.
Questo liberalismo, quindi, ha attaccato la Chiesa in tutto il mondo, da Lutero in poi,
ha staccato l’America latina dalla Spagna, grazie anche all’intervento della
massoneria di obbedienza sia francese che inglese, e poi attacca la Chiesa dove c’è la
testa della Chiesa. Qua il mito del nazionalismo che è un mito, progresso, attacca la
Chiesa nella testa, che è l’Italia, nel nome della libertà. Quindi smantella tutti gli
ordini religiosi, priva la Chiesa di tutte le sue proprietà legalmente acquisite e in
nome della libertà e della Costituzione realizza uno stato che è il contrario della
libertà. Come reagisce la Chiesa di fronte a quest’attacco spudorato condotto in nome
della libertà e della religione stessa? E qua io invito tutti i presenti, perché ci sono
delle fonti che sono meravigliose: queste fonti sono le encicliche dei Papi. Io vi invito
a leggerle perché hanno una sapienza, una profondità, un’aderenza alla realtà che
sono meravigliose. La Chiesa ha uno spirito profetico (non solo nel papato, ma anche
nel papato), che fa capire come da sempre è stata la difesa del popolo di Dio, dei
piccoli, dei poveri, degli ultimi, di quelli che gli illuminati hanno disprezzato perché
resistevano, con la loro stessa presenza, a che s’affermasse il progetto meraviglioso di
progresso che loro avevano in testa, e che imponevano senza limiti. Perché una delle
caratteristiche della gnosi è che non ci sono limiti all’affermazione della volontà di
potenza del pensiero illuminato; non ci sono limiti perché sono assolutamente certi di
avere dalla propria la libertà.
Una profezia fa la Civiltà Cattolica nel 1852 che mi pare molto interessante. I Gesuiti
da quando sono nati fino all’800 hanno retto la persecuzione con un coraggio e un
eroismo da Santi. Nel ’52 la Civiltà Cattolica sintetizza l’obiettivo delle società
segrete, che stanno attaccando in nome della libertà, la società cristiana, in questi
termini: “esse agognano, vogliono lo sperperamento e il taglio d’ogni vincolo più
sacro, che lega uomo con uomo: nella Chiesa, nella società, nella famigliacertamente la dissoluzione della famiglia è sempre un progetto voluto”.
E’ stata voluta la dissoluzione della società dal punto di vista familiare; perché se io
non ho più legami familiari, se sono un cane sciolto, io non ho chi mi difenda. Chi mi
difende quando divento vecchio, chi mi difende quando sto male, chi mi difende?
Quindi questa mancanza di difesa, questa mancanza di sussidiarietà, come diceva
prima Del Debbio, questa solitudine dell’uomo fa si che abbia un potere immenso e
totale lo Stato. Dice la Civiltà Cattolica: “Per ricostruire l’umanità, sotto una forma
nuova, di totale servaggio, di totale schiavitù - questo è del 1852- in cui lo Stato sia
tutto, e i capi della setta siano lo Stato”. Ed è quello che è successo. Grazie.
Moderatore: Grazie ad Angela Pellicciari. Le assicuro: noi nel ’94 si pensava di fare
una cosa diversa, non avevamo la setta, e non avevamo purtroppo neanche gli
illuminati.
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Angela Pellicciari: Ma non ne dubito, anche perché io voto a centro destra.
Moderatore: Si beh, lo facevo per dare un senso di speranza che in parte, per la
stagione è finita, in parte ancora no.
Ora ci avviciniamo un po’ ad un altro storico, professore di Storia moderna a
Cassino, Roberto de Mattei, vice presidente del CNR. Di lui voglio dire anche due
cose, cioè che ha fatto una rivista che si chiama Radici Cristiane, forse qualcuno la
conosce. E - per dire quanto c’è bisogno di questo tipo di riviste - questa rivista ha in
sei mesi fatto 4mila copie in abbonamento, cioè di gente che ha fatto il bollettino
postale e ha pagato per avere sta rivistina a casa. Tra l’altro, da quel che ho potuto
leggere, mi pare che il professor de Mattei con questo viso così conciliante, poi in
realtà vada giù piuttosto duro.
Poi ha fatto anche una cosa interessante, molto interessante, e questa ve la faccio
anche vedere: questo manuale di storia per le scuole secondarie, nelle quali si dà una
lettura della storia non conformista, di ispirazione ovviamente cristiana cattolica, e
dove su alcune cose si hanno informazioni che possono avere di prima mano gli
studenti senza venire qui e ascoltare Angela Pellicciari. Quindi sarebbe bene che
l’ascoltassero, ma più è diffuso meglio è. Quindi questi testi sono della casa editrice
Agedi, ha lavorato per questo progetto anche Robi Ronza, a me fa piacere mostrarveli
perché sono cose importantissime, perché sono gli occhiali che uno si mette nella vita
e poi per fortuna gli rimangono. E allora sarebbe bene che gli occhiali fossero quelli
giusti e questi sono occhiali giusti. Lui ci parla, anche da un punto di vista storico, ma
particolarmente del rapporto tra cattolici e liberalismo. Prego.
Roberto de Mattei: Grazie. Il problema che toccherò sinteticamente è quello del
dialogo tra cattolici e liberali. Il Cardinal Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI, ha un
suo interlocutore privilegiato nel Presidente del Senato Marcello Pera, co-autore con
lui del volume “Senza Radici” e prefattore del suo ultimo volume “L’Europa di
Benedetto”,oltre che invitato a questo Meeting. Il direttore del Foglio, Giuliano
Ferrara, conduce sul suo giornale una battaglia in difesa della vita più chiara e netta
di tanti cattolici. Ferdinando Adornato, Presidente della Fondazione Liberal, si batte
su posizioni analoghe, dedica un convegno e un premio a Giovanni Paolo II. Oriana
Fallaci infine denuncia con tono accorato la minaccia alla identità cristiana
all’Occidente e indica anch’essa nella persona di Benedetto XVI l’unico elemento di
speranza nell’orizzonte contemporaneo. Non si tratta di episodi isolati, si tratta di un
fenomeno nuovo e importante; ciò che hanno in comune questi personaggi, definiti
con sprezzo dai loro avversari, teo-con, o atei devoti, è la ferma difesa delle radici
cristiane della società condotta però a partire da una professione di principi estranei al
cattolicesimo, laica e liberale.
Il punto che merita di essere trattato è questo: è possibile, è utile un dialogo, una
convergenza, un’alleanza tra cattolici e liberali? Tra mondo liberale e mondo
cattolico ? E in caso affermativo, su quali basi e con quali obiettivi? Credo che una
risposta seria a questi interrogativi non può che partire da una riflessione sulla
identità dei due poli, e soprattutto da una riflessione sulla nostra identità di cattolici.
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Definire l’identità del liberalismo non è facile, anche perché gli stessi liberali
ammettono l’esistenza di una molteplicità di liberalismi. Basti pensare alle possibili
distinzioni tra liberalismo politico e liberalismo economico, o liberismo; o a quelle tra
un liberalismo teorico o filosofico, e un liberalismo pratico o pragmatico. Quella di
Benedetto Croce è ad esempio una filosofia teorica della libertà, quindi un
liberalismo filosofico; quella di Friedrich von Hayech, un altro maestro di
liberalismo, è una filosofia pratico della libertà, ovvero un liberalismo pragmatico.
Ma è proprio ad Hayech che si deve quella che mi sembra la distinzione
fondamentale fra le due anime del liberalismo: l’anima britannica, pragmatica e antiilluministica , e l’anima francese costruttivistica e razionalistica. Lo stesso Marcello
Pera si è richiamato più di una volta a questa distinzione, affermando che bisogna
ritornare alla classica distinzione di von Hayech circa i due liberalismi, quello vero,
anglosassone, e quello falso, continentale, che solo per carità di ricostruzione storica
e non senza ambiguità, si può chiamare ancora liberalismo.
Alla stessa dicotomia si rifà anche Adornato, distinguendo tra i due modelli
contrapposti di Parigi e di Filadelfia; ovvero fra le due rivoluzioni: quella francese
del 1789, fondata su una visione utopistica e totalitaria della società, e quella
americana del 1776, fondata su una concezione individualistica e pessimistica, ma
realistica della natura umana. Il giudizio sulla rivoluzione rappresenta per i liberali
come per i cattolici uno spartiacque. Tutte le grandi interpretazione della storia
dell’800, da Hegel a Marx a Comte, si sono formate nel ripensamento della
Rivoluzione francese, vista come evento decisivo che segnerebbe il passaggio dalla
cristianità medievale alla modernità assiologicamente intesa come valore assoluto. In
questa visione progressista della storia l’uomo non ha un fine soprannaturale, il suo
fine è immanente alla storia, quella storia che costituisce un processo irreversibile di
segno positivo, in cui il novum, il dopo, coincide con il melius: quello che viene
dopo è sempre meglio di quello che era prima.
La modernità viene dunque a coincidere con il progresso, e il progresso deve
estendersi all’umanità intera, su tutta la terra, in un quadro di civiltà globale post
cristiana e sostanzialmente anticristiana. Possiamo allora semplificare dicendo che
esiste un filone liberale che professa i principi della rivoluzione francese, afferma in
nome della libertà la suprema indipendenza dell’uomo, crede nel progresso come
legge necessaria della storia, combatte a viso aperto la Chiesa e la civiltà cristiana.
Può essere definito come un liberalismo utopista o progressista, o un liberalismo
giacobino: è il liberalismo di cui ci parlava Angela Pellicciari.
All’interno del mondo liberale si delinea però nell’800 e acquista coscienza di sé,
soprattutto dopo i totalitarismi del 900, un secondo filone, che non deduce il suo agire
politico da astratti principi, ma dalla lezione dall’esperienza e dunque dalla storia e
dalla tradizione. E’ un liberalismo anti-perfettista, perché rifiuta il mito della
concezione immacolata dell’uomo; è un liberalismo anti-progressista perché rifiuta il
mito della irreversibilità della storia, è un liberalismo che ha il suo capostipite in
Edmond Burke, lo scrittore inglese a cui si deve, nelle celebri riflessioni sulla
rivoluzione francese, una delle più lucide critiche della rivoluzione del 1789. E’ a
questo secondo filone di liberalismo realista e anti- progressista che si richiamano in
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misura più o meno consapevole, Marcello Pera, Giuliano Ferrara, Ferdinando
Adornato, Oriana Fallaci, anche se ognuno di loro ha un percorso intellettuale diverso
e individuale, come del resto è tipico del liberalismo.
Ora veniamo ai cattolici. La parola cattolicesimo è oggi divenuta altrettanto vaga e
multiforme di quella di liberalismo. Sarebbe bello e giusto parlare di cattolicesimo
tout court , senza aggettivi, ma sappiamo che purtroppo non è così. Sappiamo che
all’interno del mondo cattolico convivono anime diverse, dal punto di vista teologico
filosofico, politico, culturale. E come nel caso del liberalismo, io credo che occorra
rifarsi ad una distinzione altrettanto fondamentale che risale anch’essa alla
rivoluzione francese. Di fronte alla rivoluzione francese il cattolicesimo si divide in
due fronti: il primo è quello dei cattolici intransigenti, sostenuto dalle gerarchie
ecclesiastiche, che afferma in coerenza con il magistero, l’incompatibilità tra i
principi della Chiesa e quelli della rivoluzione. E’ un cattolicesimo apertamente antiprogressista e contro rivoluzionario. Il secondo fronte, minoritario ma agguerrito, pur
senza rinnegare i principi cattolici, accetta la filosofia della storia secondo cui la
rivoluzione francese costituisce un arricchimento per il Cristianesimo. Accetta in una
parola la modernità e il progresso come postulato irreversibile della storia. Sogna la
conciliazione tra cattolicesimo e liberalismo, tra Chiesa e mondo moderno. “Questo
sforzo di avvicinamento e conciliazione - le parole che cito sono, questa volta di
Benedetto Croce - vario e talora diverso di spiriti nei vari paesi e variamente
temperato e frammischiato, si chiamò Cristianesimo liberale, nella quale
denominazione è chiaro che la sostanza era nell’ aggettivo e la vittoria era riportata
non dal cattolicesimo ma dal liberalismo che quel cattolicesimo si risolveva di
accogliere e che introduceva un lievito nel vecchio suo mondo”.
Il cattolicesimo liberale fu condannato dal magistero pontificio e in particolare da Pio
IX con l’ enciclica Quanta cura e l’ annesso Sillabo, indirizzato ai vescovi di tutto il
mondo, l’ 8 dicembre 1864. Il filo conduttore del Sillabo e della Quanta cura è la
condanna di quella concezione immanente della storia in cui la ragione, rinunciando a
ricercare il senso ultimo della vita, si ripiega su un progetto dell’ uomo al quale anche
Dio deve chinarsi. I due documenti, Quanta cura e Sillabo hanno il loro coronamento
nell’ ultima proposizione del Sillabo in cui è condannato chi affermi che “il Romano
Pontefice può e deve col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà, venire a
patti e a conciliazioni”. Pio IX condanna la pretesa di sacralizzare la civiltà moderna,
figlia della Rivoluzione francese, di questa società moderna che mostra i congeniti
difetti, e ripropone il modello perenne della civiltà cristiana.
Lo Stato italiano che nasce il 17 marzo del 1861 porta le stigmate della visione
immanentistica e liberale antitetica a quella di Pio IX. La secolarizzazione della
società italiana nei decenni successivi, lo ricorda Spadolini, non fu soltanto politica,
ma penetrò nelle coscienze e nei costumi attraverso la legislazione sulla scuola sul
matrimonio e l’ educazione religiosa. Non si trattò solo di secolarizzazione, ma di
vera e propria persecuzione, almeno fino al 1898, anno in cui l’ opera dei congressi,
l’associazione più importante del movimento cattolico italiano, venne colpita dalla
repressione del governo con la soppressione di 70 comitati diocesani, 2600 comitati
parrocchiali, 600 sessioni giovanili, oltre alla chiusura dei giornali e alla denuncia di
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sacerdoti e di militanti. Solo in questo quadro si può comprendere la nascita del non
expedit, ovvero del divieto rivolto dalle autorità ecclesiastiche ai fedeli di partecipare
alle elezioni politiche, secondo la formula “Né eletti né elettori”. L’ inventore di
questa formula, Don Margotti, ricordato da Angela Pellicciari, ci offre una
spiegazione dell’ astensionismo cattolico proprio come motivato dall’ impossibilità di
tenere testa alla violenza da parte dello stato liberale: “Quando noi pigliamo parte alle
elezioni e in molti luoghi ne portammo la vittoria, ci chiamammo addosso ogni
maniera di vessazioni e l’opera nostra andò in fumo”.
Spadolini traccia la storia dell’ opposizione cattolica allo stato risorgimentale tra il
1861 e la prima guerra mondiale. Ma gli anni successivi alla Grande Guerra sono
segnati dal progressivo abbandono delle posizioni intransigenti e dalla trasformazione
del cattolicesimo liberale dell’Ottocento in cattolicesimo democratico o progressista;
un filone cattolico che perde l’ interpretazione della storia del Risorgimento come
rivoluzione italiana, cioè come episodio di scristianizzazione del nostro paese. Nei
150 anni che ci separano dal 1861, tra pochi anni nel 2011 ricorreranno i 150 anni, l’
Italia in questo periodo ha conosciuto diversi regimi politici e istituzionali: lo stato
liberale, il fascismo, la caduta della monarchia, la Repubblica antifascista, la seconda
repubblica. Ma sul piano culturale la filosofia della storia dominante non è mutata: la
società italiana ha subito un processo di secolarizzazione teorizzata e
sistematicamente praticata dalle classi al potere. Il cattolicesimo democratico, quello
che affiora e diventa egemone dopo la prima guerra mondiale, si subordina ai suoi
avversari; dopo la fase cattolico-liberale c’è la fase clerico-fascista e poi quella del
dopoguerra caratterizzata dall’alleanza tattica tra il progressismo cattolico da una
parte, e il progressismo marxista o neoilluminista, dall’ altro.
Di fatto la cultura cattolica del dopoguerra fece una scelta di compromesso analoga a
quella operata dalla classe dirigente cattolica, soprattutto dopo gli anni sessanta,
subordinandosi alla line interpretativa della cultura liberale marxista e pagando un
preciso prezzo: la rinuncia alla propria identità storica e culturale. Gli anni in cui la
cultura cattolica mostra il maggiore appiattimento sono il decennio successivo al
sessantotto, gli anni in cui le leggi sul divorzio e sull’ aborto furono promulgate da
governi democristiani e più vicina sembrò la realizzazione del compromesso storico.
Occorre sottolinearlo e non dimenticarlo: la scristianizzazione dell’ Italia avvenne in
un periodo storico in cui l’ Italia fu ininterrottamente governata una classe dirigente
cattolica. Questo processo di scristianizzazione fu presentato come opera di
modernizzazione, proviamo a ricordarlo con le parole di un protagonista dell’ epoca,
l’ Onorevole Flaminio Piccoli: “Quel grande processo di trasformazione che in
Europa è stato realizzato sotto prevalente egemonia social-democratica o laburista è
stato ottenuto in Italia sotto la prevalente guida di un partito democratico cristiano; è
un grande fatto storico se si pensa che il processo di modernizzazione altrove
collaudato dallo spirito capitalistico originario dell’ etica protestante, o da quello
illuministico della Rivoluzione Francese, o da quella socialista-marxizta-leninista
della Rivoluzione d’Ottobre, in Italia affonda nella tradizione cristiana propria dei
cattolici democratici” (relazione apparsa sul Popolo il 2 maggio del 1982).
Paragoniamo le parole dell’ Onorevole Piccoli con quelle con cui Antonio Gramsci
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riassume il materialismo storico-dialettico e la strategia rivoluzionaria che ne deriva
nella formula della “filosofia della prassi”: “La filosofia della prassi presuppone la
rinascita e la riforma, la filosofia tedesca e la Rivoluzione francese, il Calvinismo e
l’economia classica inglese, il liberalismo laico e lo storicismo che è alla base di
tutta la concezione moderna della vita. La filosofia della praxis è il coronamento di
tutto questo movimento di riforma intellettuale e morale; essa corrisponde al nesso
Riforma Protestante più Rivoluzione francese”.
Vedete la quasi totale coincidenza e capite il contributo dato dalla classe dirigente
politica e culturale italiana del secondo dopoguerra all’opera gramsciana di
marxistizzazione e secolarizzazione del paese.
Il crollo del muro di Berlino ha però portato con sé il crollo di questa visione
ascensionale della storia, che vedeva nella rivoluzione protestante, in quella francese
e dell’ ottobre del 1917, tappe trionfali del progresso dell’umanità. La drammatica
esperienza dei totalitarismi, ma anche la disumanità della società secolarizzata in cui
viviamo hanno fatto comprendere a molti come l’unica strada che l’uomo
contemporaneo ha di fronte è quella del ritorno al sentiero abbandonato, cioè a
quell’ordine naturale e cristiano della società, che è anche l’unico vero antidoto al
terrorismo che ci minaccia, combinazione micidiale di due filosofie anticristiane,
quella del Corano, contrapposta a quella del Vangelo, e la filosofia del terrore, figlia
del Comunismo e della Rivoluzione francese.
Il diritto naturale è la base su cui può avvenire e già avviene una collaborazione tra
laici e cattolici, tra liberali e cattolici. Ma questa collaborazione è una convergenza di
segno opposto a quella dell’Ottocento e Novecento: allora si trattò di una
convergenza tra cattolicesimo progressista e cultura laica progressista, allora il
collante era la filosofia del progresso. Oggi il collante è esattamente il rifiuto di
questa filosofia.
Oggi si tratta di una convergenza tra le due anime fino a ieri emarginate, all’interno
rispettivamente del mondo cattolico, da una parte, e del mondo laico, dall’altra; i
liberali antiprogressisti da una parte, e i cattolici senza compromessi dall’altra.
Questo dialogo, alleanza tattica e strategica tra laici e cattolici può avvenire sulla base
dell’antirelativismo e dell’antiprogressismo; un dialogo in cui non si rinnega la
propria identità ma si trovano linee di collaborazione sulla base di quello che noi
chiamiamo ordine naturale e cristiano della società.
Quando il Cardinale Ratzinger, nel suo ultimo libro, “L’ Europa di Benedetto”,
afferma che dovremmo capovolgere l’assioma degli Illuministi, dicendo che: “Anche
chi non riesce a trovare la via dell’ accettazione a Dio dovrebbe cercare comunque di
vivere e indirizzare la sua vita come se Dio ci fosse”; e quando Marcello Pera gli
risponde: “Al credente che gli proponga di agire il laico non credente può e deve
rispondere di sì”; ecco che vediamo tracciato un itinerario: queste sono, a mio avviso,
le basi su cui può e deve avvenire un incontro tra liberali e cattolici, o meglio, tra
liberali antiprogressisti e cattolici antiprogressisti. Una sincera ed efficace
collaborazione in cui i cattolici antiprogressisti abbiano il coraggio di professarsi
antiliberali, e i liberali antiprogressisti abbiano il coraggio di collaborare con i
cattolici antiliberali che ad essi tendano la mano. E’ già accaduto nella storia con il
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Patto Gentiloni, ovvero con gli accordi in chiave antisocialista, in occasione delle
elezioni del 1913, sotto il pontificato di San Pio X, e con il suo avvallo: l’ accordo tra
cattolici e candidati ministeriali; fu in seguito a questi accordi tattici che la città di
Roma venne strappata al sindaco massone Ernesto Natan (era dal 1870 sotto la
massoneria e fu eletto per la prima volta nel 1913 un sindaco cattolico). Può accadere
di fronte ai nuovi nemici: l’Islam certamente, ma soprattutto quel relativismo laico e
cattolico che costituisce, secondo l’immagine evocata da Oriana Fallaci, “un cavallo
di Troia all’interno della fortezza assediata”. Il mondo ha certamente bisogno di
santità, ma la santità è l’esercizio eroico delle virtù; forse due sono le principali virtù
di cui il mondo oggi ha bisogno: la virtù cardinale della fortezza, e la virtù teologale
della speranza.
I liberali antiprogressisti che non hanno paura di guardare il nemico e chiamarlo per
nome, che hanno il coraggio di dire molto chiaro e forte quello che molti europei e
italiani pensano, infrangendo la cappa del conformismo politicamente corretto. Essi
non hanno timore di suscitare le ire del mondo politico e culturale da cui provengono
(vedi il linciaggio mediatico a cui è stato sottoposto il presidente del Senato Pera
dopo la sua partecipazione al Meeting). Questi laici ci indicano la strada della
fortezza, dobbiamo fornire loro la virtù cristiana e teologale della speranza, la fiducia
che con l’aiuto soprannaturale della grazia e con una grande teologia della storia alle
spalle, le radici cristiane dell’Europa e dell’Occidente porteranno invincibilmente nel
nostro tempo i loro straordinari frutti di civiltà. Grazie.
Moderatore: Grazie Roberto De Mattei anche per la puntualità e la precisione con cui
hai ripercorso questo cammino di un rapporto felice e molte volte infelice tra cattolici
e liberalisti. Ora sono un po’ in difficoltà, perché sarebbe come se andassi in una
famiglia e dovessi fare io da presentatore a un membro della famiglia stessa, il che
non si fa, per cortesia. Si chiama Luigi Negri, vescovo di San Marino e Montefeltro.
Luigi Negri: Chi varca il confine della Repubblica di San Marino, l’ ho visto ormai
tante volte, vede una grossa insegna che dice: “Benvenuti nell’ antica terra della
libertà”. Il mio contributo dopo queste straordinarie lezioni di Paolo Del Debbio,
Angela Pellicciari e Roberto De Mattei, è molto particolare ma essenziale per
ciascuno di voi che siete qui. Come facciamo a vivere tutto questo? Come facciamo a
diventarne protagonisti? Perché fuor di metafora, o la libertà vive nella terra
dell’oggi, nella mia terra dell’oggi, o è finita. La libertà non può essere il ricordo di
un passato, né il dolore o la tragedia di un’assenza che si è improvvisamente e
radicalmente imposta, come è stato nell’occidente moderno e postmoderno. La libertà
deve essere un cammino, il cammino della responsabilità dell’uomo di fronte a se
stesso, alla realtà, agli altri, di fronte alla storia e a Dio.
Il mio contributo è quello di suggerire in che modo possiamo noi diventare
protagonisti di questi eventi che sono così puntualmente ed esaurientemente descritti
nelle loro radici, nel loro svolgimento storico, ma soprattutto da Paolo Del Debbio
nelle loro motivazioni teoriche. Cominciamo nel dire che il liberalismo, nel senso
radicale con cui uso questo termine e che non contraddice quanto è stato detto ma
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viene illuminato da ciò che è stato detto, è un’esperienza di corruzione. La corruzione
della libertà che non si rapporta alla persona e al suo cammino verso il vero, il bene,
il bello e il giusto. Alla persona che è in movimento, che sente il disagio della vita,
quelle che Agostino chiamava e soprattutto il nostro grande e indimenticato Don
Giussani chiama nel suo più bel libro, Il Senso Religioso, “le grandi questioni in cui
si dibatte il cuore dell’ uomo”, la libertà è invece espressione di una soggettività
assoluta: l’uomo è libero perché può fare quello che gli pare e piace, ora non si dice
più che l’uomo è libero perché pensa quello che vuole e la verità è un aspetto della
sua libertà. La verità è stata fatta dall’uomo moderno libero, anche se vi sono state
poi le ideologie totalitarie e le loro espressioni sono state questi grandi regimi
totalitari, in cui la libertà di pochi ha soppresso la libertà di milioni di persone.
Adesso non si dice così, ma il liberalismo non è morto, è dentro di noi perché quando
si dice che uno è libero di fare quel che gli pare e piace, che nel rapporto tra uomo e
donna quello che vale è la possibilità di benessere che uno ne trae, che, per quello che
riguarda l’opinione, il problema è che uno pensi quello che è funzionale
all’incremento del suo potere economico, politico, allora il liberalismo è la riduzione
della libertà a un’espressione di sé che non deve subire condizionamenti; Kant
diceva: “La legge è il più grande condizionamento della libertà”, e per lui la legge era
l’estrema espressione della visione religiosa e quindi cattolica dell’esistenza.
Ma amici miei, questo liberalismo non è finito, contende lo spazio alla libertà nel
cuore di ciascuno di noi. Agostino ha descritto da par suo la città di Dio e la città
dell’uomo, e dunque ha descritto il consolidarsi della grande tentazione dell’uomo
contro di Dio, e della grande apertura , in cui in prevalenza è stata vissuta la città di
Dio, e in prevalenza è stata vissuta la città dell’uomo. “Ma dove si contestano- dice
Agostino- è nel cuore di ciascuno di noi”. La prima cosa dunque da capire è che
nessuno di noi è immune da questa orrenda tentazione di concepire la libertà come
espressione istintiva della nostra soggettività, che non obbedisce a nessuno e a niente.
“Non serviam” dice del demonio l’antico profeta Geremia: “Io non servirò”. La
libertà come espressione del potere, a cui è stata spesso collegata; la parola potere è
una delle più tremende che hanno influito sulla vita dei singoli e della realtà sociale e
politica negli ultimi secoli in maniera drammatica, tragica.
Se questa è la corruzione, dobbiamo trovare ora l’esperienza originale della libertà,
perché la libertà è una situazione di partenza, un’esperienza dell’uomo, quella che
egli fa immediatamente di sé, quella che Giussani chiama l’esperienza elementare
dell’ uomo. La libertà è questa immediata apertura della coscienza al reale, è qualche
cosa che sembra meccanico, ed è invece qui che si gioca la responsabilità dell’uomo,
perché l’uomo può aprirsi o può chiudersi. Ma quest’apertura a conoscere la realtà, il
senso profondo della vita, questa ragione come tensione a comprendere la realtà
secondo tutti i suoi fattori; ma il fattore dei fattori della realtà è il destino, perciò la
ragione cerca il senso ultimo delle cose e la libertà è l’impegno in questo, è
perseguire in modo assolutamente personale e con totale responsabilità questa ricerca,
senza della quale “l’uomo non è sé stesso”, diceva Platone.
E’ questa la grande battaglia della vita, attorno al senso delle cose; Platone
aggiungeva, con un termine che mi hanno insegnato in Cattolica nei tempi evocati da
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Paolo Del Debbio, “questa battaglia da giganti”, attorno al senso delle cose. L’uomo
liberamente ragiona e, in quanto ragiona, apre nel suo cuore la grande battaglia da
giganti attorno al senso dell’essere, se no l’alternativa è il nulla, che la realtà abbia
senso, che esista e non finisca più, e che l’essere nasca dal nulla e che
tragicomicamente finisca nel nulla, cosicché la vita umana - diceva Shakespeare,
ultimo erede di questo scetticismo - diventa come una barzelletta, una tavoletta detta
da un’idiota che non significa nulla.
La libertà come apertura al reale nella tensione a conoscere; la libertà come apertura
all’altro, perché questa realtà non sono soltanto le cose, la natura, gli eventi; questa
realtà a cui la mia vita si apre, con cui la mia libertà si gioca è l’altro accanto a me.
Allora la libertà è sfidata dall’altro. Chi è l’altro per me? L’oggetto di una
manipolazione, il punto di una reazione affettiva, sentimentale, psicologica, sessuale.
Un altro è uno che misteriosamente è come me, nel grande mistero delle cose. La
libertà che si gioca con l’altro capisce che confusamente che l’altro è accanto a me
come una realtà simile a me, quasi come me, alla quale l’apertura che è la libertà
verso l’altro si declina come amore.
Nulla la natura umana sente più vicina a sé che la dedizione; la libertà si coniuga
come ricerca del vero, come la grande tensione al mistero, cioè come amore, per cui
un uomo dice Tu alla sua donn, e così facendo dice sì al Mistero. Come dice
Shakespeare: “Mostrami un’amante che sia pur bellissima. Ma che servirà la sua
bellezza, se non come un segno dove io legga il nome di colei che di quella bellissima
è più bella”. Il vero grande antidoto al liberalismo inteso antropologicamente come
corruzione della libertà è correre fino in fondo il rischio della libertà, come impegno
con la realtà, come tensione a comprendere la realtà. L’impegno dell’uomo ad amare
l’altro: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Questa è la libertà, ragione ed amore, e
quando un uomo dice Io e si rapporta alla realtà e sente dentro di sé quella che
Agostino ha chiamato in modo indimenticabile e insuperabile “inquietudine” (“Ci hai
fatto per Te e inquieto sarà il nostro cuore finché non trovi riposo in Te”). Bisogna
vivere fino in fondo il lavoro della ragione.
Se c’è qualcosa che accomuna, in questo sono totalmente d’ accordo con Roberto De
Mattei, tanti del mondo cattolico e del mondo laico è esattamente la riscoperta della
esigenza della ragione. Sta forse riformulandosi sotto i nostri occhi il popolo della
ragione, il popolo che non vuol più essere telecomandato, come ho scritto in un
articolo subito dopo il referendum. Un popolo che vuole guardare la realtà in prima
persona cercando di coglierne tutti gli aspetti, e perciò che non ha potuto accettare
che la vita fosse un oggetto da manipolare scientificamente; e opponendosi a tutte le
pressioni mass-mediatiche si è preso la libertà di dire che la vita è un mistero e non va
consegnata ad alcuna maggioranza o minoranza. La libertà è ragione e amore, ma la
ragione e l’amore di cui è fatto il cuore dell’uomo convivono misteriosamente con
un’originale debolezza e negatività, che tende a controvertere tutto il negativo.
Per questo la libertà deve essere guarita dall’immagine della redenzione, che per
secoli è stata la più cara alla tradizione cattolica, soprattutto per la testimonianza che
ci ha dato la patristica orientale, cioè quella del Cristo Guaritore, del Cristo che
incontra l’uomo ferito, deluso, ingannato dai ladroni, cioè dalle grandi illusioni
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ideologiche sociopolitiche, filosofiche o scientifiche. L’uomo lasciato mezzo morto
dai briganti che si trova improvvisamente accanto il buon samaritano, colui che si
piega su di lui, ne compartecipa e ne condivide le ferite, fa scendere olio e vino su
queste ferite e lo guarisce, prendendolo sulle spalle e portandolo in albergo, cioè lo fa
entrare in una casa nuova e diversa, quella in cui la grande potenzialità umana,
ragione e amore, vengono custodite ed educate. La libertà con la quale ci ha liberato
Cristo, la libertà è una grande potenzialità che l’uomo ha nel suo cuore dall’inizio del
mondo, quando Dio lo ha fatto a sua immagine e somiglianza.
Ma questa possibilità di corruzione, questa debolezza comune, che tende
controvertere in negativo questa possibilità, ha incontrato il mistero dell’uomo Dio, di
Dio che si è fatto uomo perché l’uomo potesse diventare Dio, come dice l’antica
patristica, e allora occorre che tutto il grande movimento della ragione senza perdere
assolutamente il fascino del suo essere compiuto, senza perdere il fascino del
compiersi come ragione, si apra a questo incontro inedito, inaspettato, imprevedibile,
non previsto, non deducibile dai suoi antecedenti.
Occorre che la ragione si compia nella fede, e la fede accogliendo la ragione si
compia anch’essa, in qualche modo nella ragione, perché la fede che si incontra nella
ragione dimostra la sua verità, diventa capace di darle le proprie ragioni e quindi
diventa capace di comunicarsi perché la fede cristiana si comunica attraverso la
ragione di coloro che credendo mangiano, bevono, vivono e muoiono con una
ragione diversa da quella di tutti gli altri. La parola è dentro il cuore di ciascuno di
noi che vive la battaglia di tutti i giorni, e dentro il cuore che possiamo vedere che la
battaglia è incline verso la sconfitta e la tentazione ideologica riprende corpo, ed in
altri momenti vediamo che le armate della verità riprendono il sopravvento. Il cuore
dell’uomo è un campo di battaglia tra l’essere e il nulla, per fortuna è venuto Cristo,
per grazia è venuto Cristo, accanto a noi nel vivo della storia, nel groviglio delle
contraddizioni e dei limiti, in quell’ultima e insondabile complicazione che è il cuore
dell’uomo.
E qui, nel vivo della storia, c’è la Chiesa, c’e il popolo dove il Signore è presente, c’è
il popolo dove la nostra guarigione può accadere continuamente, il luogo dove la
maternità e la paternità di Dio - perché Dio è padre e madre, quindi è l’estrema e
ultima tenerezza, da cui nasciamo e da cui torniamo – ci fanno compagnia educativa.
Un cammino, il nostro, segnato da tanti errori e da tanti limiti, ma anche un cammino
sicuro verso la pienezza della verità, perché la pienezza della gloria di Dio coincide
storicamente con una umanità nuova. Questa è la gloria di Dio: un uomo nuovo che
vive nel mondo. Grazie.
Moderatore: Voglio dirvi una cosa concludendo. Non ho conosciuto purtroppo don
Giussani, l’ho letto e ne ho scritto, quando è morto e un pochino prima. Mi ha colpito
questa cosa. Leggendo - per uno che non è del movimento - trova soprattutto
un’informazione filosofica, questa splendida invenzione del linguaggio, inseriti i
termini tipo l’io, il desiderio, cose che mai senti dire in un’omelia media. Desiderio
viene detto, ma in senso negativo, l’io, in senso negativo, te li ritrovi qui in senso
positivo. E poi in altre pagine una richiesta forte, pressante della laicità dello Stato.
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Cioè un uomo, che ha creato un’identità, un linguaggio forte, una comunità così forte,
che chiede la laicità dello Stato. Allora uno dice: “Come li metto insieme?”.
Perché se è così forte magari avrebbe la tentazione di chiedere che sia pervaso tutto.
No! Perché riportando alla frase iniziale, voi non troverete mai un relativista che si
impegna per la libertà presupposto. Non si impegna perché ci sia uno spazio forte di
libertà di scelta. Si impegna perché il relativismo diventi la libertà ideale. Uno che è
forte perché ha dentro di sé la libertà ideale, come ci mostra oggi Luigi Negri, non ha
bisogno di chiedere che sia imposta, perché ci crede talmente tanto che gli basta la
libertà presupposta. Ognuno la sceglie da sé. Grazie a tutti!
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