gli anni 80 - Fabrizio Tavernelli

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Gli anni ’80
“Forse il fermento correggese è nato perché ci sono stato io!!”(Paolo”Cico”Lazzaretti)
Gli anni ottanta, gli anni dell’edonismo Reganiano, del post-moderno, dello yuppismo. Gli anni in
cui comincia prospettarsi sotto la pelle della ricchezza, tra l’accumularsi di status-symbol, tra
sprechi ed esibizioni, quello che all’inizio sembrava soltanto uno scherzo. Sono anni contorti, così
rivoltati ed attorcigliati su se stessi da causare seri problemi di spazio alle budella. Sono gli anni del
veleno e dell’antidoto, sono gli anni in cui approdano stremati gli ideali di decadi passate. Idee
naufragate a cui rimane giusto il tempo del testamento prima di andare a sbattere in un qualche
crash ballardiano. Ricordi di sesso liberato che non sarà mai più così libero imprigionato tra le
membrane dell’aids. Il punk aveva coniato il “no-future” ma in fondo tra quelle creste, sotto quei
giubbotti di cuoio borchiato, qualcuno pensava ancora e qualcosa batteva ancora. I movimenti
culturali giovanili non credevano poi veramente e fino in fondo a tutto quel nichilismo sbandierato.
Le Generazioni X erano ancora ovuli non fecondati, Bret Easton Ellis doveva ancora celebrare il
suo sabba letterario tra capi firmati, fitness e glamour, compulsioni assortite e massacri sociali. I
giovani erano ancora sulla strada, probabilmente un viaggio non comodissimo, non business-class,
ma comunque in movimento, con ancora tanti kilometri da fare prima di essere parcheggiati nella
terra di nessuno. Sono anni interessanti, anni di resistenza alla deriva dell’esistere, ricchi di
contraddizione, periodi in cui ancora ci si occupa dei giovani (lo sconcerto della spilla da balia
conficcata nella guancia, i necessari litigi tra figli e genitori, musiche che danno fastidio ma che
perlomeno arrivano alle orecchie). Il mercato assillante già montava ma non era l’unica entità o
organismo ad interessarsi dei migliori anni della nostra vita. Dunque anche Correggio negli ottanta
è stato un laboratorio in cui tra esperimenti e ricerche, gli antidoti non sono mai mancati. Formule e
farmaci che hanno tenuto lontane malattie sociali e virus pandemici dai nomi improbabili:
supergallosi, sfitinzie e material-girls assortite, armani-replicanti, Rambo dei Ronchi. Persino i
“Paninari” qui da noi non hanno attecchito così tanto, ma piuttosto era facile imbattersi in schiere di
rockers, punks, wavers, dark, neo-psichedelici, rude-boys e metallari. Gente che ancora non si era
lanciata nel rito dell’aperitivo e del disco-bar da monta, ma che bazzicava con costanza e dedizione
survivalista in locali come il Ritz di Novellara, il Dream in via Gambara, il Tuwat della rivale
Carpi, il Graffio newyorkese-modenese, Lo Sky (a Soliera) il Pacco (a Castelvetro) e l’Albert Hall,
il Tarantola a Reggio, il Corallo di Scandiano. Locali che si riempivano di materiale umano
altamente stravagante. Gente che si prendeva su per andare a compiere esplorazioni londinesi
tornando con un tesoro di vestiti (le ragnatele e le fibbie di Renzo”Robert Smith”Gallesi),
fascinazioni ed esperienze (“cazzo….il Batcave!!”). Gente che ascoltava radio alternative (ma per
davvero! Non come i cloni alla MTV, Virgin Radio etc.) come Antenna1Rockstation, Mondoradio e
la mai dimenticata, seppure piccola e di nicchia, Radio StudioSei in via Carlo Quinto. Ultima radio
correggese di una lunga stirpe di antenne e conduttori, capace di portare un certo scompiglio tra la
gioventù locale con programmazioni coraggiose (se non spericolate) concerti e feste sparse. Nelle
vie intanto sorgevano negozi di strumenti musicali (Yellow Rose) e negozi di dischi (Music Shop)
che diventano pensatoi con i muri ancora impregnati di scritte, graffiti e nomi delle bands più
strane. Ah, il decoro della città! Si guardava alle capitali artistiche (il post-punk inglese e la nowave americana) ma anche a ciò che succedeva di nuovo (musica, video, fumetti, teatro) nelle città
italiane: Bologna (l’Italian Records, La Traumfabrik, il DAMS) Firenze (l’IRA records, il meeting
delle indipendenti), Pordenone (il Great Complotto). Anni in cui nasce la rassegna che da il titolo a
questo libro e che promuove la nuova scena musicale: Dark Age, Wavefields, ME 109, En Manque
D’Autre, Stranieri in Paradiso. Tensione che risuona nell’acustica non proprio ottimale della
Palestra Dodi, tensione nelle dissonanze analogiche delle bands correggesi (alla larga dalla finta
wave dei Duran!!), tensione nelle strade tra i punti caldi urbani del Bar Moca e dei Portici della
Coop, tensione nelle danze schizofreniche di Paolo“Cico”Lazzaretti, stress e paranoie di un paese
che non ne vuole sapere delle campagne circostanti. Attendendo le mortali contaminazioni della
Dow Chemical.
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