TdS 2008-09
ECONOMIA
Dal «mysterion» al «sacramentum»
Prospetto di un’evoluzione semantica
1. MYSTÉRION nel NT
(Actio salutaris/oikonomia)
1.1 DATI BIBLICI
a. Vangeli:
Mc 4,11
Mt 13,11
Lc 8,10
Di fronte alla diffusa utilizzazione pre-neotestamentaria del termine «mysterion», è sintomatico che
nei Vangeli sinottici esso si trovi solo una volta in Mc 4,11 e nei due passi paralleli di Mt 13,11 e
Lc 8,10, in un’accezione che non si collega tanto al mondo greco pagano quanto all’uso dei LXX e
in particolare dell’apocalittica e del giudaismo intertestamentario. In tutte e tre i luoghi è comune la
contrapposizione tra i discepoli e «quelli di fuori» (Mc: ekeinois tois éxo; Mt: ekeinois; Lc: tois
loipois). In tutti e tre i casi il «mysterion» è riferito all’avvento del regno di Dio in Gesù.
L’utilizzazione del termine nei tre passi presenta forti impronte di carattere redazionale, come
risulta sia dalle variazioni lessicali (Mc lo utilizza al singolare; Mt e Lc al plurale) che dalla stessa
collocazione del lòghion (in Mc il nesso logico sembra interrompersi fra 4,10 e 4,13 a differenza
degli altri due). In tutte e tre i luoghi il detto è posto come introduzione alla citazione del testo di Is
6,9-10 (Mc/Mt) o 6,9 (Lc); un testo che con molta probabilità era utilizzato dalla chiesa primitiva
per spiegare gli insuccessi della predicazione missionaria (cf. anche Gv 12,40 e At 28,26-27), e
veniva forse collegato ad una qualche forma di “disciplina arcani” a cui sembra richiamarsi lo
stesso detto evangelico della fonte Q precedente la redazione dei vangeli sinottici.
b. Letteratura paolina
2Ts 2,7
1Cor 2,7
1Cor 4,1
1Cor 13,2
1Cor 14,2
1Cor 15,51
Rm 11,25
Rm 16,25-26
Col 1,26-27
Col 2,2
Col 4,3
Ef 1,9-10
Ef 3,3-5
Ef 3,9-10
Ef 5,32
Ef 6,19
1Tm 3,9
1Tm 3,16
Dall’excursus condotto risulta abbastanza evidente la diversificazione lessicale con cui il termine
«mysterion» è assunto negli scritti paolini.
In nove testi il termine mysterion appare collegato con altre forme espressive: una volta è preceduto
dall’aggettivo dimostrativo «touto» (Ef 5,32); un’altra volta è spiegato mediante la relativa «os estin
Christòs en bymin» (Col 1,27); sette volte è seguito da una forma genitiva: «tou Theou» (1Cor
2,1.7); «tou Christou» (Col 4,3; Ef 3,4); «tou Theou, Christou» (Col 2,2), «tou euangheliou» (Ef
6,19), «tou thelematos autou» (Ef 1,9). In tre o quattro passi, il termine è in forma assoluta (Rm
16.25; Col 1,26; Ef 3,3.19).
In ciascun caso, a parte le due o tre volte in cui ha un significato generico, l’utilizzazione del
termine è finalizzata a mostrare la variegata ricchezza del «mysterion» (Ef 3,10) come variazioni
sinfoniche di un tema unico. Così, ad esempio, le locuzioni «mistero di Dio» o «mistero di Cristo»
o «economia del mistero» richiamano aspetti complementari del medesimo evento: la prima indica
specialmente l’autore e l’origine del progetto della salvezza; la seconda si riferisce a colui che lo ha
fatto passare dal nascondimento alla rivelazione e lo ha compiuto in se stesso; la terza evoca il suo
progressivo attuarsi nella storia in corrispondenza alle tappe stabilite da Dio che trovano la loro
«pienezza» nell’éschaton di Cristo e il loro dispiegarsi nel «già» e «non ancora» della chiesa.
1.2 DATI ERMENEUTICI
a. Sua “economia” storico-salvifica
Pur con la gradualità e le diversificazioni segnalate, la categoria assume nel NT una accezione
sufficientemente unitaria: dal significato classico di “realtà nascosta” passa a designare l’azione
salvifica di Dio operante nelle profondità della storia fino ad indicare la realtà del piano totale di
Dio, dall’eternità all’oggi della Chiesa e all’attesa della parusia finale.
Il mistero è il progetto divino globale (=nascosto in Dio da sempre) che tende ad una realizzazione
progressiva più vasta possibile sia in estensione che in intensità (=rivelazione, missione,
conoscenza) con la prospettiva di un suo inevitabile compimento finale (=orientamento
escatologico)” (R. Penna).
In questa “traiettoria” sono distinguibili, dunque, quattro “stadi” o “fasi” o “tempi” e precisamente:
1. Nascondimento
Rappresenta lo «stadio fontale» del «mistero» (1Cor 2,7; Rm 16,25; Ef 3,9). L’uso del perfetto
medio-passivo di «apokrypto», «nascosto» (in 1Cor, Col e Ef) o del participio perfetto del sinonimo
«sighào», «taciuto», rimanda a tale fase del «mysterion».
2. Rivelazione
In ben 13 testi paolini il tema del «mistero» è accompagnato da verbi di rivelazione; nel loro
insieme tali verbi concorrono ad affermare un dato unico: Dio ci ha fatto conoscere il significato
ultimo e decisivo della storia, in tutta la sua ampiezza, dalle origini ad oggi. Il «segreto della
volontà divina» è ormai rivelato in Gesù Cristo. La contrapposizione storica tra il tempo del silenzio
e il tempo della rivelazione è sottolineata dal ripetuto «nyn» (ora) di Rm 16,26a; Col 1,26b; Ef
3,5.10 o dalla dizione «pienezza dei tempi» di Ef 1,10 (cf. anche Gal 4,4 e 2 Tm 1,10) e
«adempimento» (At 2,23). Ciò che era «segreto» dall’eternità è ormai manifestato in Gesù; egli è il
compimento e il centro del «mistero».
3. Conoscenza/manifestazione
La proclamazione del «mysterion» nel tempo della chiesa rappresenta il terzo stadio della sua
traiettoria. I verbi impiegati per descrivere tale proclamazione sono «gnorìzo», faccio conoscere,
«phaneròo», manifesto, «katanghèllo», annuncio, «euanghelìzomai», porto un lieto annuncio,
«lalèo», parlo, «phòtizo», illumino, «didàsko», insegno (1Cor 2,1; Rm 16,26; Col 1,27.28; 4,3; Ef
3,8.9.10; 6,19). I destinatari di tale proclama sono denominati con espressioni diverse, ma che
richiamano tutte la situazione attuale: «noi» (1Cor 2,10; Ef 1,9); i «suoi santi» (Col 1,26); i «suoi
santi apostoli e profeti» (Ef 3,5); Paolo (Ef 3,8). Il «mysterion», durante il tempo della chiesa, è
destinato ad essere annunciato a tutte le genti; esso non è finalizzato a rimanere nel
«nascondimento» di Dio, ma ad essere conosciuto nell’accoglienza di Cristo (Rm 16,26; Ef 3,9).
Una tale destinazione è talmente universale che il mistero dev’essere annunciato perfino ai
«principati» e alle «potestà», vale a dire ad ogni genere di forza celeste che pretenda di avere un
potere sull’uomo. A tale proposito la dizione di Ef 3,10 (cf. anche 1,21) può essere intesa secondo
varie ottiche: gnostico-valentiniana (eoni riuniti nel pleroma), giudaica (angeli e demoni),
ellenistica (deificazione dei potentati politici), ma qualunque lettura si privilegi rimane la portata
cosmico-universale del testo paolino: i destinatari sono considerati in una prospettiva missionaria.
In una parola: nulla si sottrae alla proclamazione del «mysterion»: si veda qui la differenza specifica
tra il «mysterion» paolino e i misteri ellenistici, indicibili al di fuori della ristretta cerchia degli
iniziati. Ben diversa è la situazione della chiesa primitiva. Gli stessi testi che alludono ad una forma
di disciplina arcani sono ben lontani da ogni esoterismo del tipo della gnosi; il silenzio è dettato da
ragioni pedagogiche e di opportunità come appare ad esempio dal loghion matteano di 7,6 e 15,26.
Gli apostoli, tra cui Paolo, hanno un ruolo decisivo in tale proclamazione (1Cor 4,1; Col 1,26-27; Ef
3,3-5.9). Secondo Ef 3,10 il soggetto globale della proclamazione del «mistero» è la chiesa.
L’espressione «mediante la chiesa» (dià tés ekklesìas) indica come l’azione della comunità entri, in
maniera essenziale, nella fase di propagazione missionaria e attuazione del «mysterion». Come la
chiesa è beneficiaria del «mistero» (Ef 5,25-32), così essa è chiamata a manifestarne l’adempimento
e la presenza fra le nazioni.
4. Consumazione escatologica
Se l’interesse prevalente dei testi paolini è rivolto alla fase attuale del «mysterion», lo stadio della
sua consumazione escatologica è implicito, come quando in Col 1,27 la realtà del «mistero» fra i
battezzati è descritta come la presenza del «Cristo in voi, speranza della gloria». La locuzione
(simile a Rm 5,2b) sottolinea come il «mistero» porti con sé l’attesa di un futuro escatologico di cui
esso è al tempo stesso inizio e inaugurazione (cf. anche Col 1,5). Tale «futuro» è espresso con la
categoria di «dòxa»; categoria comprendente nel linguaggio paolino sia la manifestazione salvifica
di Dio nella storia (1Cor 10,31; 2Cor 4,15; 8,19; Rm 3,7) che la piena e definitiva salvezza
dell’uomo (1Cor 2,7;15,43; 2Cor 3,11.18; Rm 3,23).
In sintesi:
Per tutto ciò si può parlare di una vera e propria “oikonomia del mysterion”. Il termine ricorre negli
scritti paolini specialmente come adempimento del “mysterion” (Ef 1,10); in quanto tale il termine
richiama una attuazione progressiva del progetto di salvezza in relazione alla pienezza dei tempi e
al tempo della chiesa (Ef 3,1). Nell’attuazione del “mysterion” è precisamente reperibile una logica
di sviluppo (una “economia” appunto) entro cui si colloca l’economia sacramentale della chiesa. La
storia umana, infatti, si fa storia di salvezza. Il concetto giudaico-cristiano di storia non è ciclico,
bensì lineare, cioè con un inizio, un centro e una fine. La salvezza non rappresenta il frutto della
ricerca di Dio da parte dell’uomo, ma il dono chela venuta di Dio apporta all’umanità. L’uomo non
accoglie tale dono fuori dalla storia o estraniandosi da essa, ma dentro la storia e grazie ad
eventioperati da Dio in essa. La comunità del NT si pone nella medesima prospettiva.
Proclamandosi come il compimento della promessa salvifica, essa non si qualifica semplicemente
come una continuazione d’Israele, ma come la realizzazione (la pienezza) dell’attesa dei tempi e
l’inaugurazione del tempo ultimo della storia. Attorno al centro e cioè all’evento Cristo, si
compongono e divengono intelligibili tutti gli altri eventi salvifici che lo precedono e che lo
seguono. E che, tutti, diventano “espressione di interventi divini, dipendenti solo dalla libera
decisione di Dio, per noi uomini e per la nostra salvezza, con azioni e parole intimamente connessi,
in forma simbolica, in un popolo, nell’attesa del compimento della storia.
b. Sue dimensioni
Indica dunque l’azione salvifica (=actio salutaris) di Dio nella storia. Prima di essere una verità o
una dottrina, è un evento realizzatosi nella storia del mondo e offerto come salvezza a tutti gli
uomini: come tale è rivelato in Gesù di Nazareth e annunciato nella comunità dei suoi discepoli.
Entro questo specifico “gesuano” le sue cinque dimensioni sono quella teologica, cristologia,
ecclesiologica, antropologica, escatologica.
1. Dimensione teologica
Il “mistero” è “di Dio”, si radica in lui e sgorga da lui. Il genitivo “di Dio” va inteso come genitivo
di autore (cfr. quanto si è detto a proposito della “TEO-LOGIA”). Il “mistero” è “di Dio”, perché è
lui che lo ha concepito, predisposto ed attuato (Ef 1,9. “il mistero della sua volontà”, dove il
contesto della euloghìa di Ef 1,3-14 esprime la volontà salvifica di Dio come benevolenza
preveniente (1,5.10). L’iniziativa gratuita di Dio è confermata grammaticalmente dai molti passivi
teologici con cui la letteratura paolina esprime la realtà del “mistero”. Data questa sua natura, ciò
chhe il “mysterion” apporta è trascendente (cfr. quanto diremo a proposito della parola chiave
“ANAGOGIA”): pur manifestandosi ed attuandosi nella storia attraverso la mediazione di
avvenimenti e forme umane,il “mysterion” è in se stesso un evento apportatore di qualcosa di
assolutamente nuovo rispetto a ciò che la creazione o la storia avrebbero potuto mai suscitare da
sole. D’altra parte, anche dopo la sua rivelazione in Cristo, esso rimane “mysterion”, al punto che
solo nella fede può essere riconosciuto e la preghiera per una migliore comprensione di esso deve
essere rivolta a Dio: se infatti il “mysterion” è un evento del suo amore, solo lui può darne la piena
intelligenza (cfr, la dossologia di Rm 16, 25-27).
2. Dimensione cristologica
Se la locuzione “mysterion tou Christou” ritorna solo due volte nel NT, la componente cristologica
del “mysterion” è costantemente presente e lo è ad almeno tre livelli di profondità:
- a livello di evento della croce in cui si è manifestata la sapienza misteriosa di Dio (1 Cor 2,1.7);
- a livello di signoria del Risorto, con il rilievo cosmico che essa implica (Ef 1,9-10.20-22; Col
1,19-20);
- a livello della persona di Cristo considerata come lo stesso “mistero di Dio” reso presente nella
storia (col 2,2-3; 4,3; Ef 3,4).
C’è uno stretto legame tra il regno di Dio proclamato da Gesù e il “mysterion” realizzato nella sua
persona: il regno è il contenuto del “mysterion”; il “mysterion” è la presenza del regno e la sua
rivelazione; l’uno richiama l’altro.
3. Dimensione ecclesiologica
Il testo di Ef 2,11-3,13 presenta la chiesa come componente costitutiva del “mysterion”. Pur non
utilizzando l’espressione “mistero della chiesa”, il passo sottende chiaramente cometa chiesa tragga
la sua esistenza e la sua missione fra le genti dal “mysterion”. La radice del mistero della chiesa è
l’alleanza nuova inaugurata dal Cristo con la sua oblazione pasquale; da tale oblazione essa è
sgorgata allo stesso modo in cui nel battesimo nascono le nuove creature chela compongono (Ef
5,22-33). Una tale ecclesiologia implica molteplici componenti della chiesa tra cui in particolare:
- il suo fondamento cristologico-pasquale (Ef 2,15-16);
-la sua missione universale (Ef 3,4-6; Col 1,27);
- il suo rapporto sponsale con il Fondatore (Ef 5,32);
La novità della chiesa coincide con la novità dell’evento della Pasqua e con quanto esso apporta
all’uomo.
4. Dimensione antropologica
Il “mysterion” ha un contenuto antropologico essenziale: esso è dato a conoscere all’uomo, gli svela
il segreto della sua storia ed è evento di salvezza in suo favore. Questa componente è
particolarmente espressa nel testo di Col 1,27, che proclama la presenza del “mysterion” nell’intimo
dei battezzati, richiamando a quali profondità esistenziali giunga l’attuazione di esso nell’uomo.
Feconda di significato è l’apertura del “mysterion” alla trasfigurazione del cosmo, dal momento che
in Cristo tutte le cose sono state rese nuove ed egli “è asceso al di sopra di tutti i cieli per riempire
tutte le cose” (Ef 4,10; cfr. anche 1,9.10; Col 1,18).
5. Dimensione escatologica
Il “mysterion” non consiste semplicemente in un evento del passato: esso è un “oggi” (nyn) di
vibrante attualità. Se infatti in Cristo il “mysterion” si è ormai pienamente realizzato, esso continua
a mantenere al presente la sua efficacia come “mysterion” annunciato e comunicato nel tempo tra le
due venute. Il “mysterion” nascosto si è tramutato, in questo tempo, nel “mysterion” rivelato, da
proclamare a tutti gli uomini e da dispiegare nei loro cuori. La chiesa rientra in un tale “oggi del
mysterion”: è il frutto mirabile di esso come “luogo” in cui e mediante cui il “mysterion” si estende
a beneficio di ogni uomo e si apre ai confini del mondo. Lo scopo ultimo del “mysterion”, a cui è
preordinata la stessa vocazione della chiesa, è la “ricapitolazione” di tutto in Cristo (Ef 1,10), con la
piena e definitiva redenzione dell’umanità e del cosmo e la loro riconsegna al Padre nello Spirito (!
Cor 15,24-28). “Allora si compirà il mistero di Dio, come egli ha annunciato” (Ap 10,7). La gloria
di Cristo, oggi avvolta nel mistero (Col 1,27; 2,3), si manifesterà allora in tutto il suo splendore,
trasfigurando il cosmo e rendendolo il tempio nel quale “Dio sarà tutto in tutti” (! Cor 15,28) e i
redenti canteranno in eterno la sua lode (Ap 19,1-10).
2. MYSTÉRION/SACRAMENTUM nell’ETA’ PATRISTICA
È possibile sintetizzare in questi termini il cammino semantico percorso dalla nozione originaria di
«mysterion», dalla sua assunzione nel mondo patristico greco alla sua traduzione con
«sacramentum» nel mondo latino e fino alle soglie della scolastica.
Il «mysterion» è assunto nei primi due/tre secoli in linea con il «mysterion» del NT. Non risulta, in
questo periodo, un suo impiego in senso direttamente e diffusamente rituale anche se non mancano
dei riferimenti impliciti. Il termine è utilizzato secondo la sua accezione più ampia per designare sia
il disegno divino realizzato da Dio nella storia che la sua concreta attuazione negli eventi della vita
di Cristo e in quelli dell’AT e della chiesa. Nel frattempo si fa strada, nella scuola alessandrina,
l’assunzione di «mysterion» come verità oscura o verità da credere. L’opposizione con i misteri
pagani, d’altra parte, porta a far riferimento alla terminologia misterica sia nel senso classico di
«realtà nascosta» che in riferimento al «mysterion» paolino. Col IV secolo il termine «mysterion»
viene sempre più utilizzato in riferimento ai sacramenti rituali, fino a diventare praticamente
comune in Oriente.
Notevolmente differenziata è l’evoluzione semantica della nozione di «mysterion» nella tradizione
occidentale. L’assunzione della categoria latina di «sacramentum», come equivalente di
«mysterion» e dizione tecnica designante i riti cultuali del cristianesimo, finirà per introdurre una
crescente separazione tra l’economia della salvezza e l’atto sacramentale, con la conseguenza che al
termine ditale processo si arriverà ad una riflessione teologica sui sacramenti in gran parte al di
fuori della prospettiva storico-salvifica originaria. Un simile approdo sarà verificabile solo dopo il
secondo millennio, ma i primi germi sono già implicitamente presenti negli sviluppi anteriori, dal
terzo/quarto secolo in poi.
Per l’Occidente è particolarmente rilevante la traduzione latina di «mysterion» con «sacramentum»
riferita da Tertulliano, da Cipriano e dai loro contemporanei ai riti sacramentali cristiani,
specialmente — anche se non esclusivamente — nel senso di giuramento militare. Il primo è
Tertulliano nel quale la categoria di «sacramentum» in senso rituale sembra acquistare una duplice
valenza semantica: è sinonimo di «mysterium» (nel senso comune di realtà nascosta), ed è
equivalente di «obbligo» (nel senso di impegno giuridico-pubblico). È quest’ultima valenza quella
che sembra prevalere in lui.
L’uso di Tertulliano comanda buona parte dello sviluppo successivo. Se Ilario di Poitiers e
Ambrogio si distingueranno dall’ottica africana, rimanendo più direttamente legati alla prospettiva
di tipo orientale, l’orientamento assunto prima da Ottato di Milevi e poi da sant’Agostino
segneranno in modo decisivo la riflessione occidentale sui sacramenti: il «sacramentum» viene letto
secondo la categoria di segno sacro. Il «sacramentum» è un «sacrum signum» (De civ., 10,5), un
«signaculum» (Contra Faustum, 19,11), come un «visibile verbum» (In Joan. ev. 80,3). «Si dicono
sacramenti quei segni che riguardano le cose divine» (Ep. 138,7). Gli spunti che Agostino offre
diverranno determinanti. Nel frattempo, assieme ad un’utilizzazione sempre più massiccia della
terminologia sacramentale, si manifesta negli autori occidentali post-agostiniani una qualche
differenziazione semantica tra il termine «mysterium» (= realtà segreta. presente nel
«sacramentum») e il termine «sacramentum» (= forma visibile attraverso cui si attua o si vive la
realtà nascosta del «mysterium»). Una tale distinzione diviene decisiva con Isidoro di Siviglia, il
quale definisce il «sacramentum» prevalentemente come «sacrum secretum»; una definizione che
domina la scena sacramentaria per diversi secoli, almeno fino al sorgere delle controversie
eucaristiche quando si torna alla concezione agostiniana di sacramento come «sacrae rei signum» o,
in modo più descrittivo, come «invisibilis gratiae visibilis forma».
Schematizzando:
«Mysterion»
nei padri di lingua greca
«Sacrarnentum»
nei padri di lingua latina
Eventi della vita di Cristo
Giuramento/consacrazione battesimale
secoli I-III
Figure e profezie dell’AT
Verità occulte (Alessandria)
«Mistero pasquale» e Economia cristiana
secolo III
Verità misteriose
secoli 1V-VI
Riti sacramentali della chiesa
secoli IV-V
Sacramenti rituali (A e NT)
«Sacrum signum»
«Mysterium»(= res invisibile)
secolo VII
Sacramentum»(= forma visibile)
secoli VII-X/XI
«Sacrum secretum»
«Sacrae rei signum»
secolo XI
«Invisibilis gratiae visibilis forma»
3. MYSTÉRION/SACRAMENTUM nell’ETA’ SCOLASTICA
Alle soglie della scolastica del XIII secolo la teologia sacramentale è dunque caratterizzata da una
situazione di notevole dinamicità: sono in gioco le questioni base della sacramentaria.
Y. Congar, riferendosi alle condizioni storiche entro le quali si è venuto sistematizzando il trattato
«De sacramentis in communi», segnala tre elementi a suo giudizio «negativi» che in varia misura
hanno condizionato la nascita e lo sviluppo successivo della riflessione generale sui sacramenti:
1. la prima scolastica ha elaborato il trattato di Cristo capo e della gratia Capitis, senza
un’adeguata pneumatologia che lo integrasse e lo completasse;
2. nelle sintesi teologiche sistematiche, la sacramentologia seguiva la cristologia senza che i due
trattati venissero adeguatamente collegati dall’ecclesiologia;
3. «scolastica» significa analisi, distinzione dei diversi aspetti formali, bisogno di definizioni e di
classificazione; se la speculazione di quest’epoca ha dato apporti preziosi, ha corso anche il
pericolo di rimanere troppo legata ai suoi schemi formali, con il rischio di separare a forza di
distinguere, di impoverire a forza di precisare (cfr. Y. Congar, Un popolo messianico, Brescia
1976, 49-52).
Guardando alla trattazione della «Summa theologiae» di S. Tommaso d’Aquino, essa rappresenta il
primo sviluppo completo di tutta la materia sacramentaria, ripresa e ordinata nei termini di un vero
e proprio «De sacramentis in communi». Tale trattazione è suddivisa in cinque momenti
fondamentali: a. «Quid sit sacramentum» (q. 60); b. «De necessitate sacramentorum» (q. 61); c.
«De effectibus sacramentorum» (qq. 62-63); d. «De causis sacramentorum» (q. 64); e. «De numero
sacramentorum» (q. 65). I cinque momenti abbracciano complessivamente 38 articoli, con
un’allusione molto probabile all’episodio della piscina di Betzaetà di Gv 5,1-18, secondo
l’interpretazione simbolica agostiniana. Se tale dato redazionale è esatto, si avrebbe un riferimento
in più di come, per s. Tommaso, non si possa parlare dei sacramenti che in relazione a Cristo e alla
sua redenzione. Rimane in ogni caso che «il trattato sui sacramenti fa seguito al trattato sul Verbo
incarnato; e ciò giustamente sia perché i sacramenti comunicano ed applicano la salvezza del Cristo
sia perché la loro struttura è analoga a quella del Cristo».
«Sacramento è quel segno di una realtà sacra in quanto santifica gli uomini» («Signum rei sacrae
in quantum est sanctificans homines») (STh III, q. 60, a. 2, 3).
«Sacramento propriamente si dice ciò che è ordinato a significare la nostra santificazione. Ora in
questa (santificazione) si possono considerare tre realtà: la causa efficiente, che è la passione di
Cristo; la causa formale, che consiste nella grazia e nelle virtù; e la causa finale ultima, che è la
vita eterna. Ebbene tutte e tre queste realtà vengono significate dai sacramenti. Perciò il sacramento è segno commemorativo («signum commemorativum») del passato, cioè della passione
di Cristo; segno dimostrativo («signum demonstrativum») del frutto prodotto in noi dalla sua
passione, cioè della grazia; e segno profetico («signum prognosticum»), cioè preannuziatore della
gloria futura» (STh III, q. 60 a. 3, 3).
Come è noto, corrisponde perfettamente a questa concezione del sacramento, la bella antifona «O
sacrum convivium» composta dallo stesso s. Tommaso:
«O sacro convivio, in cui si riceve Cristo! Si venera la memoria della sua Passione, l'anima è
colmata della Grazia e ci viene dato il pegno della gloria futura».
Riassumendo, il sacramento, per Tommaso, è:
a.
memoria della Passione
b.
fonte di Grazia
c.
pegno della gloria futura
4. MYSTÉRION/SACRAMENTUM nell’ETA’
CONCILI TRIDENTINO e VATICANO II
MODERNA
e
CONTEMPORANEA:
a. La dottrina sacramentale del concilio di Trento si pone in diretta contrapposizione alle tesi
dei riformati, con particolare riferimento alla Confessio augustana del 1530. In quanto tale, essa
non vuole essere una sintesi sacramentaria esaustiva di tutte le possibili questioni; essa si limita
soltanto a rispondere punto per punto ai problemi sollevati dai promotori della contestazione
protestante. Nonostante questi limiti, la sintesi sacramentaria tridentina è di capitale importanza per
la storia della teologia fondamentale dei sacramenti: gli aspetti dottrinali in essa presenti sono da
considerare come delle acquisizioni definitive della fede della chiesa e dell’autoconsapevolezza
cattolica.
Dopo un breve proemio, in 13 canoni, vengono presentati i dati fondamentali della fede
cattolica sui sacramenti in genere:
1. Istituzione da parte di Cristo e numero settenario (DS 1601 e 1603)
2. Differenza tra i sacramenti dell’antica legge e quelli della nuova (DS 1602)
3. Necessità dei sacramenti «in re» o «in voto» per la salvezza, almeno per alcuni dì essi (DS
1604)
4. Natura dei sacramenti come segni che contengono e conferiscono «ex opere operato» la grazia
a coloro che non vi pongono ostacolo (DS 1605-1607)
5.
6.
Realtà della grazia e del carattere per i tre sacramenti che lo conferiscono
(DS 1608-1609)
Il ministro umano: potestà, intenzione, condizione morale richiesta (DS 610-613).
b. Il sacerdozio comune esercitato nei sacramenti (Lumem gentium, 11)
Se LG 10 aveva caratterizzato la natura sacerdotale del popolo di Dio sul piano dell’essere, LG 11
delinea la stessa realtà sul piano dell’agire, secondo le due direttrici in cui esso si articola: i
sacramenti e le virtù.
La rassegna dei sacramenti suddivide il settenario in due gruppi: il primo concerne l’iniziazione
cristiana su cui si fonda il sacerdozio comune; il secondo gli altri sacramenti nei quali il
sacerdozio comune non ha la sua fonte, ma piuttosto il suo esercizio e la sua pratica. «Il popolo
sacerdotale nei sacramenti/i sacramenti nel popolo sacerdotale» potrebbe essere espressa in questi
termini la dialettica che sottostà al paragrafo 11, splendida sintesi di sacramentarla ecclesiale.
11. Il carattere sacro e organico della comunità sacerdotale viene attuato per mezzo dei sacramenti e
delle virtù. I fedeli, incorporati nella Chiesa col battesimo, sono destinati al culto della religione
cristiana dal carattere sacramentale; rigenerati quali figli di Dio, sono tenuti a professare
pubblicamente la fede ricevuta da Dio mediante la Chiesa. Col sacramento della confermazione
vengono vincolati più perfettamente alla Chiesa, sono arricchiti di una speciale forza dallo Spirito
Santo e in questo modo sono più strettamente obbligati a diffondere e a difendere la fede con la
parola e con l'opera, come veri testimoni di Cristo. Partecipando al sacrificio eucaristico, fonte e
apice di tutta la vita cristiana, offrono a Dio la vittima divina e se stessi con essa così tutti, sia con
l'offerta che con la santa comunione, compiono la propria parte nell'azione liturgica, non però in
maniera indifferenziata, bensì ciascuno a modo suo. Cibandosi poi del corpo di Cristo nella santa
comunione, mostrano concretamente la unità del popolo di Dio, che da questo augustissimo
sacramento è adeguatamente espressa e mirabilmente effettuata. Quelli che si accostano al
sacramento della penitenza, ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui;
allo stesso tempo si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che
coopera alla loro conversione con la carità, l'esempio e la preghiera. Con la sacra unzione degli
infermi e la preghiera dei sacerdoti, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e
glorificato, perché alleggerisca le loro pene e li salvi (cfr. Gc 5,14-16), anzi li esorta a unirsi
spontaneamente alla passione e morte di Cristo (cfr. Rm 8,17; Col 1,24), per contribuire così al bene
del popolo di Dio. Inoltre, quelli tra i fedeli che vengono insigniti dell'ordine sacro sono posti in
nome di Cristo a pascere la Chiesa colla parola e la grazia di Dio. E infine i coniugi cristiani, in
virtù del sacramento del matrimonio, col quale significano e partecipano il mistero di unità e di
fecondo amore che intercorre tra Cristo e la Chiesa (cfr. Ef 5,32), si aiutano a vicenda per
raggiungere la santità nella vita coniugale; accettando ed educando la prole essi hanno così, nel loro
stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al popolo di Dio (cfr. 1 Cor 7,7). Da
questa missione, infatti, procede la famiglia, nella quale nascono i nuovi cittadini della società
umana, i quali per la grazia dello Spirito Santo diventano col battesimo figli di Dio e perpetuano
attraverso i secoli il suo popolo. In questa che si potrebbe chiamare Chiesa domestica, i genitori
devono essere per i loro figli i primi maestri della fede e secondare la vocazione propria di ognuno,
quella sacra in modo speciale.
Muniti di salutari mezzi di una tale abbondanza e d'una tale grandezza, tutti i fedeli d'ogni stato e
condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità, la cui perfezione è quella
stessa del Padre celeste.