1. Il motore termico
Calore e lavoro sono due forme di trasferimento di energia. Il lavoro W rappresenta l’energia
trasferita ad corpo tramite mezzi meccanici, vale a dire per effetto dello spostamento del punto di
applicazione delle forze che agiscono su di esso. Il calore Q rappresenta l’energia trasferita da un
corpo ad un altro per effetto della differenza di temperatura.
Mai si dirà che un corpo possiede del lavoro o che un corpo possiede del calore. Q e W non sono
proprietà dei corpi ma quantità in trasferimento, e in quanto tali dipendono soprattutto da come
vengono trasferite.
Con il termine macchina termica o motore termico si intende un dispositivo che trasforma calore in
lavoro. Tale calore può essere ricevuto dal dispositivo sia attraverso il contatto con una sorgente
termica ad elevata temperatura, sia a spese dell’energia interna di qualche sostanza, come durante
una reazione chimica. Un esempio di questo secondo caso è la combustione della benzina.
Il calore può essere trasformato in lavoro, e quindi essere in grado di generare degli spostamenti,
unicamente per effetto dei mutamenti che esso induce nel volume e nella forma delle sostanze a
causa della dilatazione termica (Sadi Carnot, Réflexions sur la puissance motrice du feu […], 1824)
Per tale motivo produrre lavoro a partire dal calore è più facile se si sfruttano le sostanze aeriformi,
per le quali il fenomeno della dilatazione termica è in genere maggiore che non nei liquidi o nei
solidi.
La generazione di lavoro non è quindi legata al consumo di calore, che in quanto forma di energia
non può in alcun caso essere distrutta, ma al suo passaggio da un corpo caldo ad uno freddo allo
scopo di provocare una dilatazione. Se ne deduce che:
PER
COSTRUIRE UN MOTORE NON È SUFFICIENTE PROCURARSI
PIUTTOSTO UNA DIFFERENZA DI TEMPERATURA
DEL CALDO MA OCCORRE
Dato che il lavoro termodinamico di cui stiamo parlando, ottenuto dal trasferimento di calore, è il
risultato delle dilatazioni termiche, appare evidente che una volta prodotto del lavoro il sistema che
lo ha generato ha variato il suo volume.
Questo può essere formalizzato dicendo che la produzione di lavoro non è l’unico effetto della
trasformazione di calore in lavoro.
Conseguentemente, se si vuole costruire un motore si dovrà tenere anche conto di tali effetti di
variazione di volume. Altrimenti si avrà un motore che funzione una sola volta, produce del lavoro
ma poi non può essere sfruttato di nuovo dato che alla fine del processo esso non si trova più nelle
condizioni di partenza.
Si pensi, ad esempio, al lavoro che si può produrre riscaldando un cilindro contenente gas: il
riscaldamento fa sollevare il pistone e genera lavoro. Non è però pensabile di dilatare il gas
illimitatamente, perché praticamente si dovrebbe disporre di un cilindro di altezza infinita.
Occorrerà quindi, alla fine del processo di generazione del lavoro, riportare il sistema nelle
condizioni iniziali. Un altro modo per dire la stessa cosa è che il motore termico, per funzionare,
deve compiere una trasformazione ciclica.
Con il termine di ciclica si intende una trasformazione a conclusione della quale lo stato di arrivo
coincide con quello iniziale. A questo punto il motore può ripartire e generare nuovo lavoro.
Per riportare il sistema nelle condizioni iniziali bisognerà rimediare alle dilatazioni volumiche a cui
la trasformazione di calore in lavoro ha dato luogo. In altri termini dovremo noi compiere del
lavoro sul sistema per comprimerlo nuovamente.
Non è però pensabile di portare indietro il sistema ripercorrendo esattamente gli stessi passi che
esso ha fatto per produrre lavoro. Difatti, nel caso ottimale di assenza di dissipazioni, esso
richiederebbe, per essere compresso, lo stesso lavoro che ha fornito per espandersi. Si pensi alla
espansione isoterma di un gas perfetto: produce lavoro W  nRT log
V fin
. Per ricomprimere lo
Vin
stesso gas isotermicamente, alla stessa temperatura, esso richiede che dall’esterno venga compiuto
esattamente lo stesso lavoro prodotto. Questo è l’ esempio di un motore davvero pessimo, consuma
tutto quello che produce.
La soluzione è quella di riportare il sistema allo stato di partenza seguendo un percorso differente da
quello seguito all’andata. Tale percorso andrà scelto in modo da rendere minimo il quantitativo di
lavoro necessario per la ricompressione.
In particolare, se il sistema viene prima raffreddato, il processo di compressione richiede un lavoro
minore di quello di espansione.
Nel caso di trasformazioni reversibili, infatti, il lavoro è rappresentato dall’area sottesa 1 dalle curve
di trasformazione nel piano P, V. Qualunque sia la trasformazione seguita, sappiamo che più bassa
è la temperatura, più la linea che rappresenta la trasformazione si trova in basso verso l’asse dei
volumi (si ricordi che le linee a temperatura costante sono iperboli equilatere) e quindi minore sarà
l’area sottesa e cioè il lavoro.
Per raffreddare il sistema occorrerà dunque sottrargli del calore. Anche durante la ricompressione a
temperatura più bassa, però, occorrerà che il sistema ceda calore. Pertanto, per riportare il sistema
allo stato di partenza occorrerà che almeno uno dei processi coinvolti non sia adiabatico.
Avendo quindi focalizzato la necessità di raffreddare il sistema che compie lavoro, abbiamo trovato
un secondo motivo per cui la conversione di calore in lavoro richiede del freddo oltre che del caldo:
UN MOTORE CHE SIA DI QUALCHE UTILITÀ PRATICA DEVE COMPIERE UN CICLO AL TERMINE DEL
QUALE IL BILANCIO DEL LAVORO DEVE ESSERE POSITIVO, DEVE CIOÈ PRODURRE PIÙ LAVORO IN
ESPANSIONE DI QUANTO NE RICHIEDA POI DURANTE LA COMPRESSIONE.
La necessità di raffreddare i motori è del tutto generale e non riguarda solamente l’espansione di un
recipiente cilindrico ideale che contenga del gas perfetto: si pensi al radiatore delle automobili o
anche ai grandi bacini idrici in prossimità dei quali sono costruite le centrali termonucleari.
Rappresentiamo ora un motore nel piano di
Clapeyron. Trattandosi di un ciclo esso sarà
costituito da una linea chiusa. Vi saranno in p
generale delle sorgenti dalle quali il motore
assorbe calore e sorgenti verso le quali lo cede. Se
indichiamo con Tmax la temperatura della più calda
delle sorgenti e con Tmin la più fredda di esse,
alcuni esempi di cicli operanti fra tali temperature
estreme sono dati in figura 1.1.
Come si è visto in precedenza, il lavoro
Tmax
termodinamico
compiuto
durante
le
trasformazioni
reversibili
è
ottenibile
Tmin
approssimando le trasformazioni in questione con
una serie di isobare ed isocòre. La somma delle
V
aree dei rettangolini di base V ed altezza P
Fig. 1.1 : Motori nel piano di Clapeyron
rappresenta l’area sottesa dalle curve, e tale area è
il lavoro W.
Si noti che questa identificazione del lavoro con l’area sottesa nel piano di Clapeyron perde di significato nel caso di
trasformazioni irreversibili
1
Essa andrà presa con il segno positivo oppure negativo a seconda del fatto che il volume aumenti o
diminuisca, cioè a seconda del fatto che la trasformazione proceda da sinistra verso destra nel piano
(W > 0) oppure da destra verso sinistra (W < 0). Poiché in qualunque ciclo vi sarà una parte della
trasformazione durante la quale il sistema si espande, ed una parte in cui si ricomprime, si capisce
P
p
ESPANSIONE
W>0
P
P
CICLO
W>0
COMPRESSIONE
W<0
V
LAVORO DEL
Fig. 1.2: Lavoro in un ciclo
V
V
che il lavoro complessivo in un ciclo è alla fine dato solo dall’area racchiusa entro il ciclo stesso.
Possiamo calcolare il lavoro compiuto in un qualunque ciclo sfruttando il primo principio della
termodinamica. Dato che lo stato finale è uguale a quello iniziale la variazione dei energia interna in
un ciclo è zero, essendo l’energia interna una funzione di stato. Se quindi U  0 avremo che alla
fine del ciclo risulterà Q  W .
Il calore complessivamente scambiato sarà la somma
P
ESPANSIONE:
di quello entrante, QC , assorbito dalle sorgenti calde,
QC > 0 entrante
e di quello uscente, QF , ceduto alle sorgenti fredde.
QC
QC
Ne risulta che:
W  QC  QF  QC  | QF |
avendo esplicitato il segno del calore ceduto,
QF
QF
sicuramente negativo.
La formula W  QC  | QF | può essere letta così:
COMPRESSIONE:
QF < 0 uscente
poiché devo raffreddare il sistema per poterlo
riportare allo stato iniziale, non tutto il calore QC
assorbito viene trasformato in lavoro.
V
Fig. 1.3: Calore in un ciclo
Una parte di esso, QF , che rappresenta il lavoro fatto
per raffreddare e ricomprimere il sistema, va
necessariamente ceduto alle sorgenti a temperatura fredda con le quali il motore deve essere in
contatto, e quindi non viene trasformato in lavoro.
Se ne conclude che il motore sarà tanto migliore quanto più QF sarà piccolo. Infatti quanto più QF
è piccolo tanto più grande è la porzione di che QC viene trasformata in lavoro. Per quantificare la
bontà di un motore si introduce un parametro, detto rendimento, che si indica solitamente con la
lettera greca eta:  .
Il rendimento  esprime numericamente quanto si è appena detto, cioè quale percentuale di calore
assorbito viene trasformata in lavoro.
Da un punto di vista formale abbiamo allora che:

|Q |
lavoro prodotto W QC  | QF |


 1 F .
calore assorbito QC
QC
QC
Un motore ideale trasformerebbe tutto il calore assorbito in lavoro. Il suo rendimento sarebbe   1 .
Ma abbiamo visto che c’è il problema di cedere calore alla sorgente fredda. Quindi nessun motore
può essere ideale.
Ci sono due possibilità per un dispositivo che produca lavoro a partire dal calore sfruttando la
dilatazione di un fluido. Se esso trasforma tutto il calore in lavoro allora non si tratta di un motore,
perché ne risulterebbe uno stato finale diverso da quello iniziale.
Se invece lo stato finale coincide con quello iniziale allora il dispositivo è un motore perché ha
compiuto un ciclo, tuttavia una parte del calore risulta inutilizzata ai fini della trasformazione in
lavoro in quanto ceduto alla sorgente fredda.
Se ne può dedurre che:
PER I MOTORI REALI
RISULTA SEMPRE 
 1.
2. Il secondo principio della termodinamica
La conclusione cui si è giunti sulle caratteristiche dei motori può essere espressa anche in questo
modo:
SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA NELLA FORMA DI KELVIN:
NON ESISTE LA MACCHINA TERMICA IDEALE, QUELLA CIOÈ CHE TRASFORMA
TUTTO IL CALORE
ASSORBITO DA UNA SOLA SORGENTE IN LAVORO
Trattandosi di un principio, quanto esposto nel paragrafo precendente non è la sua dimostrazione,
ma solo una serie di ragionamenti volti a facilitarne la comprensione. Il fatto che il motore ideale
non esista è una legge della fisica, e come tale frutto della sperimentazione ripetuta secondo il
metodo galileiano. Come tutte le leggi della fisica basterebbe anche un solo caso in cui essa non
valesse per falsificarla.
Esiste però anche una formulazione alternativa del secondo principio della termodinamica, dovuta a
Clausius.
Invece dei problemi connessi con la realizzazione di una macchina termica, Clausius prende in
considerazione un fenomeno naturale senza alcuna apparente relazione con quanto esposto fino ad
ora: il verso di scorrimento del calore. Come si osserva quotidianamente, il rilascio spontaneo di
energia per effetto della differenza di temperatura ha una sola direzione: procede, infatti, da corpi a
temperatura superiore verso corpi a temperatura inferiore. Sebbene sarebbe perfettamente
compatibile con il primo principio un flusso spontaneo di calore da bassa verso alta temperatura,
questo non ha mai luogo. Per realizzarlo occorre una macchina frigorifera, una macchina, cioè, che
consumando energia trasferisce calore da oggetti freddi verso oggetti caldi.
Proprio come il frigorifero di casa: trasferisce calore dal cibo freddo (a bassa temperatura)
all’ambiente (a temperatura più alta) rendendo il cibo ancora più freddo.
Tutto questo, beninteso, consumando energia. Infatti i frigoriferi hanno un spina connessa alla rete
elettrica e se questa si stacca il trasferimento di calore dal freddo al caldo cessa. Vale a dire che il
trasferimento di calore da bassa ad alta temperatura non avviene spontaneamente ma occorre
compiere lavoro dall’esterno:
SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA FORMULATO DA CLAUSIUS:
NON ESISTE LA MACCHINA FRIGORIFERA IDEALE, CIOÈ NON È POSSIBILE
EFFETTUARE UNA
TRASFORMAZIONE IL CUI UNICO RISULTATO SIA QUELLO DI TRASFERIRE CALORE DA UNA
SORGENTE A TEMPERATURA INFERIORE AD UNA SORGENTE A TEMPERATURA PIÙ ALTA
L’enunciato di Clausius del secondo principio sostiene semplicemente che un frigorifero non
funziona senza attaccare la spina. Ovviamente il frigorifero trasferisce calore da bassa ad alta
temperatura, ma non è questo l’unico effetto della sua azione: il lavoro compiuto dall’esterno sul
sistema comporta tutta una serie di modificazioni ambientali, quelle che ha prodotto la centrale
elettrica che ci fornisce l’energia necessaria affinché il frigo funzioni.
La formulazione di Clausius è perfettamente
equivalente a quella di Kelvin e viceversa.
Dimostriamo dapprima che se si può violare
QF
QC
l’enunciato di Calusius allora si viola anche quello di
Kelvin. In figura 2.1 è schematizzato un motore
termico A che assorbe calore QC da una sorgente a
temperatura calda TC e cede calore QF ad una
sorgente a temperatura fredda TF. Esso produrrà un
W = QC - |QF|
lavoro W che, come si è dedotto dal primo principio,
QF
QF
sarà pari alla differenza fra il calore ricevuto e quello
ceduto: W = QC - |QF|. Se ora disponessimo di una
TF
macchina B che violasse il postulato di Clausius
potremmo usarla per riportare QF dalla sorgente
fredda a quella calda senza che sia necessario alcun
Fig. 2.1: Macchina anti-Kelvin
apporto di lavoro dall’esterno. La sorgente fredda
sarebbe allora inutile: essa riceverebbe QF e poi cederebbe di nuovo QF, ed è come se non avesse
preso parte al processo. In conclusione la macchina combinata A+B assorbirebbe calore solo dalla
sorgente a TC e produrrebbe il lavoro W = QC - |QF|, violando così il postulato diKelvin.
TC
B
A
Se, viceversa disponessimo all’inizio di una macchina che violasse
il postulato di Kelvin, indicata con la lettera B nella figura 2.2, la
TC
potremmo utilizzare per estrarre calore Q da una sorgente a
temperatura TF e convertirlo integralmente in lavoro W. Dato che
Q
non esistono limiti alla conversione di lavoro in calore, potremmo
W
prendere una macchina qualunque A che ritrasformi in calore il
lavoro W in maniera da poterlo poi agevolmente trasferire ad una
sorgente a temperatura TC > TF. Per esempio potremmo prendere
come macchina A un dispositivo simile a quello di Joule che metta
in agitazione delle pale dentro ad un certo quantitativo di acqua ad
Q
una opportuna temperatura. In conclusione la macchina combinata
A+B assorbirebbe calore da una sorgente fredda TF e lo
TF
trasferirebbe ad una sorgente calda TC senza nessun altro effetto,
violando così il postulato di Clausius.
Fig. 2.2: Macchina anti-Clausius
Si è dimostrato quindi che se non esiste il motore ideale non esiste
nemmeno il frigorifero senza spina, e, viceversa, che se non esiste
il frigorifero ideale non esiste nemmeno il motore ideale.
Il secondo principio della termodinamica rappresenta l’ostacolo più grande con il quale la civiltà
umana ha dovuto confrontarsi. Solo spostamento ordinato su scala macroscopica di miliardi di
molecole produce lavoro meccanico, mentre il calore è l’effetto dello spostamento caotico delle
B
A
molecole stesse. La trasformazione di calore in lavoro è essenziale per il progredire dell’intelligenza
e delle strutture organizzate socialmente. Probabilmente l’invenzione del motore a vapore, avvenuta
verso al fine del XVIII secolo, rappresentò il passo aventi più importante in assoluto della civiltà
umana: grazie ad esso l’uomo si affrancò dalla schiavitù dell’utilizzare la propria forza muscolare o
quella animale e dalle bizzarrie della natura. Ma il fatto che vi siano dei vincoli a tale conversione,
in particolare la necessità di utilizzare almeno due sorgenti a temperatura differente rende tutto il
processo complicato. Sarebbe semplice produrre energia elettrica (e quindi lavoro meccanico) se ad
esempio si potesse estrarre calore dal terreno. Riscalderemmo le nostre case diminuendo la
temperatura dell’enorme massa della crosta terrestre di così poco che nemmeno se ne potrebbe
rivelare l’effetto. Oppure se si potesse alimentare una nave risucchiando calore dal mare e
trasformandolo in lavoro. O ancora far correre un’auto o far volare un aereo assorbendo calore
dall’aria. Ma in tutti queste ipotesi fantastiche il terreno, il mare e l’aria rappresentano quella che
nella nostra schematizzazione sarebbe la sorgente calda. Nella pratica comune, invece, questi
enormi bacini di calore si utilizzano come sorgenti refrigeranti: ad essi i motori – anche quello delle
auto - cedono calore per raffreddarsi. Per estrarre calore dall’oceano necessiteremmo di un altro
oceano a temperatura più bassa nel quale scaricarlo: per produrre lavoro, ricordiamolo, occorre
disporre di una differenza di temperatura.