Nota post laurea per il lettore: Ci potrebbero essere, seppure

Nota post laurea per il lettore:
Ci potrebbero essere, seppure pochissimi, degli errori di disattenzione.
Me ne scuso in anticipo.
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA
“TOR VERGATA”
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di laurea in Lingue e Letterature Straniere
Tesi di laurea in lingua inglese
A Practical Handbook for the Actor:
consigli pratici per l’attore
Laureando:
Relatore:
Christian Lucidi
Dott. ssa Elisabetta Marino
Anno Accademico 2005-2006
Un ringraziamento alla Prof.ssa Elisabetta Marino per la disponibilità e la pazienza,
a Samantha Barendson per l’impagabile aiuto nella revisione,
a Marco Vergati per il materiale di lettura suggerito,
alla mia famiglia.
2
Indice
4
Prima parte
The Group Theatre
5
Dalla tournée americana del Teatro d’Arte di Mosca
all’American Laboratory Theatre
6
The Group Theatre. Primi anni
9
The Group e Lee Strasberg
10
Harold Clurman e Stella Adler
12
L’epilogo
14
Tre derivazioni del Metodo: Strasberg, Adler e Meisner
15
Lee Strasberg
16
Il sogno di una passione. Lo sviluppo del metodo
17
Stella Adler
23
Sanford Meisner
24
28
Seconda parte
Consigli pratici per l’attore
di Bruder, Cohn, Olnek, Pollak, Previto, Zigler
70
29
Bibliografia
3
Prima parte
4
Questa introduzione vuole collocare il libro “A Practical Handbook for the Actor” in un
punto preciso della storia dell’Acting Training americano. Si parte quindi da molto lontano
per arrivare fino a David Mamet, autore che ha scritto la “preface” del libro in questione che
io ho tradotto nella seconda parte di questo lavoro.
The Group Theatre
Per comprendere a fondo l’importanza che il Group Theatre rivestì nell’ambito della vita
artistica degli anni Trenta negli Stati Uniti, riportiamo le parole di Arthur Miller, che
assistette agli spettacoli del gruppo:
Non era soltanto la brillante recitazione d’ensemble, che a mio avviso non è ancora
stata eguagliata in America, ma l’atmosfera di comunione che si creava tra gli attori e
il pubblico. Qui prendeva vita la promessa di teatro profetico, che mi riportò alla mente
la situazione dell’Antica Grecia quando religione e fede erano il cuore del dramma. . . 1
Probabilmente alla creazione di quell’“atmosfera unita” di cui parla Miller dovette contribuire
molto la coesione del gruppo di attori in primo luogo, attori impegnati a percorrere strade di
crescita personale, ma uniti insieme da uno stesso progetto e dallo stesso entusiasmo.
Il Group Theatre fu fondato nel 1931 da Harold Clurman, Lee Strasberg e Cheryl Crawford,
che “reclutarono” ventotto attori con l’intento di creare un insieme di individui uniti tra loro
anche da relazioni personali, e non solo professionali.
E il grado crescente di conoscenza e intimità tra gli attori riuscì a convertirsi, sul palco, in un
modo più sincero, più profondo di relazionarsi, meno “verosimile” e più reale.
Nel loro intento era contenuta una risposta al teatro allora dominante in America, un teatro
d’intrattenimento, un teatro “leggero”, fatto innanzi tutto di meccanismi commerciali, di
tempi per le prove sempre più ristretti, in nome di una maggiore produttività, intesa in senso
“imprenditoriale”.
In risposta a tutto questo, essi miravano a un ideale di teatro che, portando in scena opere
americane nuove, costruite intorno agli aspetti più riposti, oscuri e nascosti dei loro tempi,
potesse condurre ad una presa di coscienza riguardo alle contraddizioni di quella società.
1
L’intervento di Arthur Miller è contenuto nell’introduzione alla raccolta delle sue opere, The collected plays of Arthur
Miller, vol. 1, Viking Penguin, Inc., and International Creative Management, New York, 1957. Frase citata in S. Meisner, D.
Longwell, Sanford Meisner on acting, Vintage Books, New York, 1987, p. 8 (“It was not only the brilliance of ensemble
acting, which in my opinion has never been equalled in America, but the air of union created between actors and the
audience. Here was the promise of prophetic theatre which suggested to my mind the Greek situation when religion and
belief were the heart of drama. . . ”).
5
Dalla tournée americana del Teatro d’Arte di Mosca
all’American Laboratory Theatre
Il Group Theatre fu il primo tentativo americano di teatro come ricerca di gruppo e di
compagnia come gruppo di ricerca, sull’esempio del Teatro d’Arte di Mosca, scoperto durante
la tournée americana del 1923, che suscitò un grande entusiasmo. Lee Strasberg ricorda:
Stanislavskij fu sorpreso dallo straordinario successo avuto dal Teatro d’Arte di Mosca
a New York. Pensò che il pubblico newyorchese fosse rimasto colpito dal modo di
recitare del Teatro d’Arte di Mosca. Laddove la tipica rappresentazione americana era
costruita intorno a una singola “star”, il Teatro d’Arte di Mosca utilizzava tre, quattro
o spesso un numero maggiore di attori eccellenti nella stessa rappresentazione.
Io, invece, ero rimasto colpito da qualcos’altro. Non tanto dalla recitazione dei grandi
attori del Teatro d’Arte di Mosca[…], ma dal semplice fatto che le recitazioni sulla
scena erano ugualmente realistiche e plausibili a prescindere dalla statura dell’attore o
dalla misura della parte che recitava. Maria Uspenskaja nel “Giardino dei Ciliegi” e
Leo Bulgakov nei “Bassifondi” erano veri, reali e emotivamente ricchi, anche in ruoli
minori. Quale che sia la natura e l’eccellenza dell’insieme creato da altri teatri e altri
allestimenti, questo equilibrio di verità e realtà creata da ciascun individuo presente
sulla scena era, ed è, lo straordinario contributo del Teatro d’Arte di Mosca. 2
Stanislavskij in partenza per la tournée in America nel 1923.
Durante la tournée del 1923 Stanislavskij ebbe l’occasione di rivedere Richard Boleslavskij,
che era stato attore e regista al Primo Studio, che aveva lasciato la Russia un anno prima, e
che in occasione della tournée fu l’assistente alla regia di Stanislavskij. Boleslavskij tenne
2
Lee Strasberg, Il sogno di una passione. Lo sviluppo del metodo, Ubulibri, Milano, 1996, p. 41
6
anche una serie di conferenze autorizzate (pubblicate nel 1933 col titolo “Acting. The First Six
Lessons”), che avevano come punto centrale la memoria emotiva.
Al termine della tournée un’attrice del gruppo, Maria Uspenskaja, decise di rimanere a New
York, dove insieme a Boleslavskij fondò l’American Laboratory Theatre.
Allievi della scuola furono, tra gli altri, Lee Strasberg, Harold Clurman, Cheryl Crawford e
Stella Adler, che saranno i pilastri, oltre che i fondatori, del Group Theatre.
Durante le sue lezioni al Laboratory Theatre, Boleslavskij descrisse ai suoi allievi tre tipi di
teatro: quello di tipo commerciale, che si proponeva il successo finanziario e di critica, e i cui
attori avevano come unica preoccupazione di piacere al pubblico, evitando di parlare troppo
lentamente o troppo piano; la cosiddetta “scuola francese”, che mirava a una totale
padronanza delle capacità tecniche, anche raggiungendo risultati sorprendenti, ma che “non
raggiungeranno mai la tua anima” 3 ; infine il terzo tipo di teatro, di cui Boleslavskij si
faceva portavoce, il cui attore era alla ricerca costante di una vera vita sul palco, piuttosto che
di una parte vissuta una volta soltanto e poi irrigidita in una forma vuota lungo l’arco delle
repliche.
Oltre ai mezzi tecnici dell’attore (la voce, la declamazione e il suo corpo) l’attenzione è
rivolta alla tecnica dei sentimenti, e i sentimenti non sono mai slegati dalla tecnica
esteriore; essi vengono usati in tutte le rappresentazioni. 4
L’esame per l’ammissione al Laboratory Theatre consisteva in tre parti: un esercizio di
memoria dei sensi (lavoro con un oggetto immaginario), un’improvvisazione con un altro
studente e l’interpretazione di un brano di Shakespeare.
La concentrazione e la memoria affettiva erano centrali nel sistema proposto da Boleslavskij,
che ovviamente aveva come punto di riferimento la “dottrina” di Stanislavskij. Era compito
dell’attore lavorare quotidianamente, oltre che sulla tecnica “esteriore”, comprendente quegli
aspetti legati alla sua visibilità esterna, cioè il corpo e la voce, su quella “interiore”. Da qui la
necessità di esercizi riguardanti aspetti più “invisibili” e “intangibili” dell’arte dell’attore,
quali le emozioni e l’immaginazione,
che secondo Boleslavskij sono raggiungibili attraverso la concentrazione e la memoria
affettiva. 5
Secondo Boleslavskij, la memoria affettiva è composta di due parti: la memoria
analitica, che ricorda come si dovrebbe fare una cosa e la memoria del sentimento vero,
che aiuta l’attore a provarlo sulla scena. […]
Dovrei osservare che il termine memoria affettiva era usato in modo poco chiaro
all’American Laboratory Theatre. Boleslavskij e Madame non conoscevano bene
l’inglese, e forse per questo si creò una certa confusione riguardo alle due parti in cui
suddividevano la memoria affettiva. 6
Spesso si indicano queste possibili imprecisioni nel processo di traduzione come fattori che
possano in qualche modo sminuire il valore degli “approcci americani” alla teoria di
Stanislavskij. Oppure ci si serve della considerazione che Stanislavskij continuò ad evolversi
3
Gli interventi di Richard Boleslavskij sono tratti dagli appunti di Strasberg durante le lezioni all’ American Laboratory
Theatre, riportati in L. Strasberg, Il sogno di una passione, cit., p. 60
4
Ivi, p. 60
5
L. Strasberg, Il sogno di una passione. Lo sviluppo del metodo, cit., p. 61.
6
Ivi, p. 62.
7
e a mutare di prospettiva rispetto alla versione delle sue opere tradotte negli Stati Uniti. Ma
sono pretesti. Anche ammesso che ci sia un equivoco sul punto iniziale della ricerca, anche i
diversi metodi che negli anni si sono andati evolvendo in America sono il frutto di ricerche
teatrali, e provengono da domande ben precise. Quand’anche la versione del sistema di
Stanislavskij tradotta oltreoceano fosse imprecisa, incompleta, parziale, essa deve la sua
importanza al fatto di avere smosso determinati interrogativi, aver condotto a certe ricerche,
fino ad arrivare a delle risposte che in molti casi si pongono in una prospettiva assai diversa
da quella di partenza, prospettiva che è a sua volta frutto di un percorso di ricerca, come lo
furono per Stanislavskij le successive evoluzioni del suo sistema.
È vero che nelle elaborazioni americane scompare tutto quello che c’è di impalpabile e di
“poetico” nella trasmissione di una tradizione, nel rapporto tra un Maestro e il suo allievo,
aspetti molto più vicini all’emisfero orientale. Ma può essere altrettanto vero che anche il
pragmatismo che caratterizza i contributi americani ha una sua ragione d’essere, e a volte può
rivelarsi molto più utile di teorie troppo aeree e impalpabili per giovare all’arte pratica e
artigianale dell’attore.
Per questo appare assai superficiale il tentativo di voler liquidare l’intera evoluzione del teatro
americano (almeno di un certo teatro americano) soltanto come risultante di un equivoco, di
una “deviazione accidentale”. Il “metodo delle azioni fisiche” è in realtà un approdo comune
a tutti i percorsi che siano partiti dalla domanda “Come può l’attore essere reale sulla scena?”,
perché qui sta il vero punto di origine, e non in una piatta e mutua aderenza ai dettami di un
sistema, non nell’interpretazione del concetto di “memoria emotiva”, non la scelta di una
strada di fronte al bivio “Partire dall’esterno per arrivare all’interno” o “Partire dall’interno
per arrivare all’esterno”? Queste sono semplici dispute teoriche, semplici dilemmi
accademici, che sorgono da un’esigenza di scrivere libri che sappiano dare definizioni, a volte
sin troppo “polverose”, a queste tematiche. Se invece l’interrogativo nasce da reali esigenze di
scena, dal tentativo di risolvere nella pratica le difficoltà che un attore incontra nel suo
mestiere, allora non ha senso creare divisioni e spartiacque, ed ogni contributo sarà
ugualmente apprezzato, ugualmente valutato, poiché potrà offrire nuovi strumenti, percorribili
e utili, all’attore. Ma questa differenza di prospettive è probabilmente la distanza che divide la
teoria dalla pratica, che in molti casi costringe a difendere una parte piuttosto che un’altra,
non per profonda convinzione (convinzione che potrebbe derivare soltanto da un riscontro
pratico), ma piuttosto perché, una volta che ci si è schierati, è difficile tirarsi fuori dalla rete
delle “alleanze”. E questa “politica delle alleanze” è proprio quello che impedisce oggi una
ricerca sana, che favorisce il perpetuarsi di alcuni fenomeni artisticamente inspiegabili e
quanto mai enigmatici, e che in nome di questo perpetuarsi, legittimato da richiami
“politicamente” di valore, non esita a ignorare o addirittura a tarpare ali più sane.
Tornando all’American Laboratory Theatre, Boleslavskij riuscì comunque a trasmettere ai
suoi allievi il significato che ha il gruppo ai fini della ricerca dell’attore. Il gruppo è
l’ambiente entro cui è possibile il raggiungimento di obiettivi significativi.
Oltre alla particolare concezione del mestiere dell’attore, Boleslavskij metteva in
rilievo che in questo terzo tipo di teatro si riconosceva il significato dell’ensemble, del
lavoro di gruppo. Grazie a esso si ottengono risultati particolari non ottenibili
altrimenti. In ogni lavoro collettivo, è importante che ci sia un capo, ma tutto deve
essere fatto dal gruppo. Boleslavskij adoperò l’esempio di un equipaggio: i membri
sono diretti dal timoniere, ma lavorano insieme. A questo esempio contrappose il modo
di lavorare di un architetto che, una volta terminata la progettazione, ha finito in
quanto il suo lavoro è completato da altri. Questi esecutori non condividono il
8
sentimento creativo iniziale dell’architetto. Egli non è presente durante la realizzazione
della sua opera d’arte. 7
Il Group Theatre nacque dunque da un’esigenza di ricerca, ponendosi come alternativa al
modello teatrale già da allora dominante, e che lo sarebbe divenuto sempre di più con il
passare degli anni: il cosiddetto “Star System”, che nei fatti è l’opposto del gruppo.
Jerzy Grotowski, parecchi anni più tardi, descrisse chiaramente questa situazione.
Le prove diventano sempre più sommarie. Qual è la causa? La commercializzazione. Le
compagnie teatrali spariscono, cedendo il passo all’industria dello spettacolo;
soprattutto negli Stati Uniti, ma sempre di più anche in Europa. Si creano delle agenzie
che scritturano il regista, il quale a sua volta, fra decine o centinaia di candidati,
sceglie la distribuzione degli attori per la prima in programma, quindi iniziano le prove
che durano alcune settimane. Che significa tutto questo?
E’ come tagliare il bosco senza piantare gli alberi. Gli attori non hanno la possibilità di
trovare qualcosa che sia una scoperta artistica e personale. Non possono. Sicché per
difendersi, devono sfruttare ciò che già sanno fare e che ha dato loro successo – e
questo va contro la creatività. Perché creatività è piuttosto scoprire ciò che non si
conosce. è questo il motivo chiave per cui sono necessarie le compagnie. […] Gli attori
devono avere tempo per la ricerca. Allora non è tagliare il bosco, ma piantare i semi
della creatività. È proprio quello che Stanislavskij cominciò a fare. 8
Proseguendo, Grotowski mette in guardia lo stesso ensemble riguardo ai pericoli a cui
potrebbe andare incontro nel corso degli anni:
Secondo le leggi di fatto, la vita creativa di una compagnia non dura a lungo. Dieci o
quattordici anni, non di più. Poi la compagnia si inaridisce, a meno che si riorganizzi e
introduca nuove forze; altrimenti muore. Non dobbiamo vedere la compagnia teatrale
come un fine in sé. Se la compagnia si trasforma unicamente in un luogo sicuro, giunge
a uno stato di inerzia; allora non importa più se ci sono vittorie artistiche oppure no.
Tutto si sistema come in un’impresa burocratica: che tira avanti e si ferma nel tempo.
Ecco, dov’è il pericolo. 9
The Group Theatre. Primi anni
Da dove può venire il rinnovamento? Da gente scontenta della situazione del teatro
normale e che si assuma il compito di creare teatri poveri con pochi attori, “compagnie
da camera”, che potrebbero in seguito essere trasformate in istituti per l’educazione
degli attori; oppure da dilettanti che lavorando al margine del teatro professionista, da
autodidatti siano arrivati ad uno standard tecnico di gran lunga superiore a quello
richiesto nel teatro dominante; in una parola, pochi matti che non abbiano niente da
perdere e che non temano di lavorare sodo. 10
7
Ivi, p. 60.
J. Grotowski, Dalla compagnia teatrale all’Arte come veicolo, in Al lavoro con Grotowski sulle azioni fisiche, T. Richards,
Ubulibri, Milano, 1997, pp. 124-125.
9
Ivi, p. 125.
10
J. Grotowski, Per un teatro povero, Bulzoni, Roma, 1970, p. 59.
8
9
Nell’estate del 1931, dunque, Harold Clurman, Cheryl Crawford e Lee Strasberg, spinti
dall’idea di cambiare il panorama teatrale americano, fondarono il Group Theatre.
Le produzioni del gruppo riguardarono, come detto, opere nuove di autori americani, che
contenevano un intento di protesta sociale, una stessa matrice morale ed etica e un certo
impegno politico.
L’approccio ai testi era quello appreso al Laboratory Theatre, che subì graduali modifiche e
sviluppi nel corso del tempo. Ma la parte relativa alla tecnica “interiore” rimase sempre uno
dei punti centrali nelle prove e negli spettacoli.
Invece dello “star system”, fu data importanza al lavoro di gruppo; invece di fare
affidamento sulla sola ispirazione, gli attori del Group si allenavano a cercare emozioni
e azioni specifiche; invece dei manierismi, essi svilupparono una presenza naturale e
spontanea sul palco; e anziché una esagerata teatralità, enfatizzarono un
comportamento reale durante lo spettacolo. 11
Tuttavia questo comportamento “reale” in scena andava
vissuto veramente, ma controllato artisticamente, e usato in maniera corretta in
relazione al tipo di personaggio che si deve interpretare, alle circostanze generali della
scena, allo stile particolare scelto dall’autore, all’opera che si sta rappresentando. 12
Il lavoro svolto portò presto i componenti del Group a rendersi conto dell’importanza che il
loro impegno andava via via acquisendo nel quadro della situazione teatrale e sociale
americana degli anni Trenta. Questo non tanto, o non solo, per la risposta entusiastica che
ricevette già la loro prima produzione, “The House of Connelly”, ma perché essa rappresentò
agli occhi degli spettatori e dei critici un chiaro segnale di svolta nel teatro americano.
Fu quando Clifford Odets, che all’epoca era un attore del gruppo, scrisse “Awake and Sing!”,
che il Group Theatre trovò i suoi propri modi di espressione, la propria vera voce. I drammi
di Odets, che spesso si svolgevano tra gli eventi e il linguaggio delle classi minori,
contenevano l’essenza di quello che era il vero intento del gruppo, l’idea di un teatro che
riuscisse a comunicare qualcosa di importante al pubblico, un teatro sostenuto da un lavoro
comune, lontano dalle tentazioni del successo personale.
The Group e Lee Strasberg
Harold Clurman scrisse più tardi nel libro che racconta la storia del Group, “The Fervent
Years”:
Il primo effetto [del Sistema di Stanislavskij] sugli attori fu quello di un
miracolo…Finalmente una via di accesso alla componente più sfuggente della scena, la
11
D. Krasner, Strasberg, Adler and Meisner. Method acting, settimo capitolo di AA. VV., Twentieth century actor training,
Routledge ( Taylor & Francis Group ), New York, 2000, p. 130 (“Instead of the star system, ensemble work was emphasised;
instead of relying on inspiration alone, Group actors were trained to evoke specific emotions and actions; instead of
mannerisms, Group actors developed an unassuming natural stage presence; and instead of grandiose theatrically, Group
actors stressed real behaviour in performance”). I passi riportati dal libro Twentieth century actor training sono stati tradotti
da me.
12
Intervento di R. Lewis, riportato in D. Krasner, Strasberg, Adler and Meisner. Method acting, cit., p. 130 (“Real behaviour
on stage must be really experienced, but artistically controlled, and correctly used for the particular character portrayed, the
complete circumstances of the scene, and the chosen style of the author and play being performed”) .
10
vera emozione. E Strasberg, [che fu il regista-capo nei primi spettacoli del Group] era
un fanatico della questione della vera emozione. Ogni cosa veniva dopo. Egli la cercava
con la pazienza di un inquisitore, era nauseato dai “trucchetti” usati in sostituzione
delle emozioni, e quando era riuscito a stimolarla, la amministrava con cura, la nutriva,
e la proteggeva. […]Ecco qualcosa di nuovo per la maggior parte degli attori, qualcosa
di vero, quasi sacro. Fu una rivelazione in ambito teatrale, e Strasberg ne era il
profeta.13
Strasberg, che fu il primo regista degli spettacoli iniziali della storia del Group Theatre,
racconta quel periodo come una possibilità per lui di approfondire le proprie conoscenze e di
metterle in pratica nella realizzazione degli spettacoli.
Ero arrivato a comprendere il lavoro di Stanislavskij attraverso la rappresentazione
delle sue idee che avevo visto la prima volta al Laboratory Theatre. Furono i miei
insegnanti Maria Uspenskaja e Richard Boleslavskij a insegnarmi i principi del Sistema
di Stanislavskij. […]
Mi è stato chiesto spesso che rapporto ci sia tra il “Sistema di Stanislavskij” e quello
che comunemente viene chiamato “il Metodo”. Ho sempre risposto semplicemente che
il Metodo si basa sui principi e i procedimenti del Sistema di Stanislavskij.
Ho iniziato a usare questi principi all’inizio degli anni Trenta, addestrando e lavorando
con giovani attori nel Group Theatre, e successivamente li ho impiegati nelle mie
lezioni all’Actors’ Studio. Tuttavia mi sono sempre riferito al nostro lavoro come a un
“metodo di lavoro”, perché non mi sono mai piaciute le implicazioni del termine
sistema. Inoltre, in seguito alle molte discussioni e ai molti malintesi su ciò che “il
Sistema” era o non era, con in più la confusione sui diversi periodi del lavoro di
Stanislavskij, non volevo che nessuno dei nostri errori fosse attribuito a Stanislavskij.
Il mio lavoro può ora essere legittimamente chiamato il Metodo. Esso si basa non
soltanto sui procedimenti di Stanislavskij, ma anche sui successivi chiarimenti e stimoli
offerti da Vachtangov. Inoltre ho aggiunto la mia interpretazione e i miei procedimenti.
Mediante i nostri approfondimenti, analisi, applicazioni e aggiunte, abbiamo
notevolmente contribuito al completamento del lavoro di Stanislavskij”. 14
Parlando degli anni come direttore del Group Theatre, Strasberg riferisce che una delle
principali scoperte compiute in quel periodo fu la riformulazione del “se” creativo di
Stanislavskij, che poneva all’attore la domanda “Come ti comporteresti in queste precise
circostanze?”, sul modello della variazione apportata da Vachtangov, che modificava la
domanda in “Cosa motiverebbe te attore a comportarti in quella determinata maniera?”
La riformulazione non richiede soltanto che l’attore crei il risultato artistico desiderato,
ma esige che egli lo renda reale e personale per se stesso per raggiungerlo. Questo
implica i principi della motivazione e della sostituzione. L’attore non si ferma al modo
in ci si comporterebbe nelle circostanze in cui si trova il suo personaggio; piuttosto,
13
H. Clurman, cit. in S. Meisner, D. Longwell, Sanford Meisner on acting, cit., p. 9 (“The first effect [of the
Stanislavskij system] on the actors was that of a miracle. . . Here at last was a key to that elusive ingredient of
the stage, true emotion. And Strasberg [ who was the chief director of the Group’s productions during its early
years] was a fanatic on the subject of true emotion. Everything was secondary to it. He sought it with the
patience of an inquisitor, he was outraged by trick substitutes, and when he had succeeded in stimulating it, he
husbanded it, fed it and protected it. Here was something new to most of the actors, something basic, something
almost holy. It was revelation in the theatre; and Strasberg was its prophet”).
14
L. Strasberg, Il sogno di una passione, cit., pp. 72-73.
11
egli cerca una realtà sostitutiva differente da quella stabilita dal dramma che lo aiuterà
a comportarsi sinceramente secondo le richieste della parte. 15
Questa “sostituzione” sarà il procedimento centrale nel lavoro al Group durante gli spettacoli
che Strasberg diresse nei primi anni.
Le prove erano quindi l’occasione per applicare quei principi che erano contenuti negli
esercizi che costituivano il training del gruppo.
Lo stesso Stanislavskij non ha mai pienamente approfondito lo studio dei procedimenti
per l’improvvisazione, il lavoro con oggetti immaginari e la memoria emotiva. È in
questi ambiti che il Metodo ha dato un contributo significativo. Nel mio lavoro con il
Group Theatre, la maggioranza dei procedimenti venivano applicati nel corso delle
prove relative a un particolare allestimento.
L’obiettivo di questi esperimenti con l’improvvisazione era di consentire all’attore, sia
durante il training che durante le prove, di sviluppare quel flusso di pensieri e
sensazioni necessario alla creazione della spontaneità sulla scena. Questa spontaneità
deve comprendere sia le azioni preparate che le battute imparate a memoria, nonché
lasciare spazio alla “vita del momento”. Ciò crea nell’attore e nel pubblico la
sensazione di qualcosa che avviene qui e ora. 16
Il lavoro di Strasberg, oltre a fornire le basi per il training del gruppo, era visibile negli stessi
allestimenti, che a volte erano diversi l’uno dall’altro sia nello stile che nel genere. Se ne “La
casa di Connelly” dominava un intenso realismo psicologico, i lavori successivi, “1931”,
“Success Story” e “Uomini in bianco” erano all’insegna di una crescente teatralità, fino alla
commedia musicale “Johnny Johnson”, diretta da Strasberg, che debuttò nel 1936, quando
Strasberg si era già allontanato definitivamente dal gruppo.
Gli anni del Group Theatre non sono stati tanto un periodo di scoperta quanto un
periodo in cui scoperte già note sono state utilizzate per la prima volta nella
realizzazione di effettivi allestimenti professionali. 17
Harold Clurman e Stella Adler
Fu Harold Clurman a suggerire a Lee Strasberg e a Cheryl Crawford l’idea di creare un
gruppo di ricerca permanente, convinto che il teatro necessitasse di nuovi metodi per poter
avere ancora un seguito nel pubblico, in un’era, come detto, dominata dallo Star System, e in
un particolare momento storico, in cui la vita per molti teatri si era complicata drasticamente
in seguito al crollo economico del 1929.
Clurman era profondamente convinto che un sentimento di profonda comunione all’interno di
un gruppo di attori potesse rivelarsi decisivo anche nelle messinscene, e che il pubblico stesso
avrebbe percepito questa sorta di fiducia reciproca che teneva insieme la compagnia.
Clurman riponeva molta fiducia nelle capacità di Strasberg e nel suo modo di lavorare con gli
altri attori, e nelle abilità organizzative di Cheryl Crawford, il cui compito era quello di
reperire fondi per il progetto in un’epoca, come visto, di profonda depressione.
15
Ivi, p. 73
Ivi, p. 76
17
Ivi, p. 77
16
12
Clurman era interessato a quello che il teatro avrebbe dovuto dire, convinto che il suo scopo
era quello di comunicare qualcosa relazionandosi alla società e al mondo in cui viveva.
Queste considerazioni lo condussero a immaginare un teatro che, allontanandosi dai modelli
dell’intrattenimento e dell’industria dello spettacolo, potesse essere un’opportunità per gli
artisti che ne facevano parte di esprimere le proprie visioni politiche, sociali, etiche e
spirituali.
Clurman diresse molti lavori portati in scena dal Group Theatre, tra cui il già menzionato
“Awake and Sing”, e “Paradise Lost”, altra produzione che riscosse un notevole successo,
anch’essa scritta da Clifford Odets; Clurman scrisse inoltre, in anni più recenti, “The Fervent
Years”, resoconto degli anni di vita del Group.
Il suo primo incontro con il teatro avvenne all’età di sei anni, quando i suoi genitori lo
portarono a vedere l’attore yiddish Jacob Adler, molto conosciuto e apprezzato. Clurman
definì quella un’esperienza fondamentale, nonostante non conoscesse la lingua in cui lo
spettacolo era recitato. Ma ciò che rimase impresso nei suoi ricordi fu l’impressione di una
grande vitalità e di un senso di comunione tra gli attori, e queste componenti lo
accompagnarono in quello che fu il suo percorso.
Tra i ventotto attori reclutati nel 1931, agli albori del Group, c’erano Clifford Odets, che
scriverà la maggior parte dei lavori che il Group porterà in scena, Sanford Meisner, un’altra
figura che sarà importantissima nell’evoluzione artistica del Group e del teatro americano in
genere, e Stella Adler, figlia di Jacob, l’attore yiddish che aveva conquistato Clurman da
bambino, e di Sara, altra celebre attrice.
Stella Adler fu un elemento basilare del Group Theatre, sia grazie al suo talento di attrice,
partecipando a spettacoli come “Wake and Sing!”, “Paradise Lost”, “Success Story” e “Gold
Eagle Guy”, sia per come seppe trasmettere gli insegnamenti che a sua volta aveva appreso.
Nel 1934 partì insieme ad Harold Clurman, divenuto suo marito, per incontrare Konstantin
Sergeevic Stanislavskij che era convalescente a Parigi. Stella Adler ebbe la possibilità di
lavorare con lui per cinque settimane, e quell’incontro fu l’occasione per chiarire alcuni
aspetti del Sistema (nella versione “filtrata” da Strasberg che a lei era giunta), che erano fonte
di maggiore difficoltà.
La prospettiva di Stanislavskij nel frattempo era un pó cambiata: l’importanza che ora la
memoria emotiva rivestiva nei suoi attuali procedimenti era minore rispetto a prima, e
nell’evoluzione che lo stava portando al metodo delle azioni fisiche, la cosa che richiedeva
più spazio era la piena comprensione delle circostanze entro cui si svolgeva il dramma. Le
circostanze date definivano le motivazioni reali del personaggio, i suoi reali obiettivi, gli
ostacoli che ne impedivano il conseguimento. La prima cosa da fare era dunque indagare in
profondità il testo, fino a capire le vere dinamiche che erano dietro le azioni del personaggio.
Dunque la memoria emotiva, che era stata la base del primo lavoro di Stanislavskij, nonché
del training del Group Theatre fino a quel momento, passava ora in secondo piano, rendendo
la posizione di Strasberg, che per la memoria emotiva aveva un interesse particolare, più
precaria all’interno del gruppo, fino a determinarne la fuoriuscita intorno al 1935.
13
L’epilogo
Le controversie riguardanti i diversi tipi di metodo da seguire non furono le uniche difficoltà
che il gruppo si trovò ad affrontare.
La situazione economica non raggiunse mai livelli particolarmente tranquillizzanti. La
maggior parte delle produzioni dei primi anni, nonostante il riscontro critico, non riuscirono
mai ad avere un lungo corso di repliche a New York. Il primo successo in questo senso fu
“Men in White”, un dramma che aveva vinto il Premio Pulitzer e che si assicurò più di
trecento repliche. Ma non bastò a risolvere i problemi.
Nel 1936 Cheryl Crawford lasciò il gruppo, diventando una produttrice indipendente e
dedicandosi ai musical, fino al 1947, anno in cui fonderà l’Actors’ Studio insieme a Robert
Lewis ed Elia Kazan. Nel 1951 si aggiungerà anche Lee Strasberg.
Nel 1937 fu il turno di Stella Adler ad abbandonare il Group Theatre, e a rispondere al
richiamo esercitato da Hollywood.
Hollywood fu per molti attori del Group il modo di far fronte alle ristrettezze finanziarie che li
assillavano.
Harold Clurman provò a fare il contrario, cioè “assoldare” per le produzioni del Group degli
attori hollywoodiani, che potessero garantire un maggiore afflusso di pubblico e di entrate.
Ma ai componenti di vecchia data del gruppo questo atteggiamento suonò come un tradimento
dei loro ideali iniziali, e in fondo lo era, sebbene la situazione economica sempre più critica
non lasciasse scappatoie, e gli ideali si rivelassero un lusso da non potersi permettere.
“Golden Boy”, di Clifford Odets, prodotto nel 1937, si rivelò un successo anche dal punto di
vista finanziario, e portò una boccata d’ossigeno. Ma doveva essere l’ultima, poiché nel 1940,
dopo dieci anni di storia e ventisei produzioni, il Group Theatre si sciolse definitivamente.
Alcuni spettacoli, come “Awake and Sing!”, “Waiting for Lefty”, “Paradise Lost”, rimangono
ancora oggi tra le realizzazioni teatrali di maggior livello nel panorama americano, entro il
quale il Group Theatre rimane un crocevia fondamentale per la statura degli individui che lo
attraversarono.
14
Tre derivazioni del Metodo:
Strasberg, Adler e Meisner
Il termine “Metodo”, secondo Harold Clurman, è un’abbreviazione che sta per il “Metodo di
Stanislavskij”. Esso, per come è stato comunemente inteso negli Stati Uniti, consiste in una
serie di tecniche e strumenti per l’attore che mette insieme parte del lavoro di Stanislavskij
con quello del suo allievo Vachtangov, e che ruota intorno al percorso verso l’interpretazione
di un personaggio.
Da quando il Sistema di Stanislavskij approdò in America, è andato incontro a revisioni,
piccole variazioni, approfondimenti di determinati suoi aspetti. Furono molti coloro che
parteciparono con il proprio studio e la propria ricerca all’ “evoluzione americana” del
Metodo. Ma furono principalmente tre contributi che ne determinarono il successo: quello di
Lee Strasberg, quello di Stella Adler, e quello di Sanford Meisner.
Durante la loro collaborazione all’interno del Group Theatre negli anni Trenta, ciascuno dei
tre era orientato verso un aspetto particolare del Metodo, essendo tutti e tre erano uniti da una
stessa esigenza pedagogica, ancor prima che registica.
Le loro visioni divergenti li portarono negli anni Cinquanta e Sessanta a proseguire le proprie
strade, Strasberg all’Actors’ Studio, la Adler allo Stella Adler Conservatory, e Meisner al
Neighborhood Playhouse, strade altrettanto divergenti tra loro, ma unite su alcuni punti
essenziali:
a. ogni parola, ogni azione che l’attore compie sul palco deve avere una propria
giustificazione. Anche la spontaneità che può muovere l’attore sul palco deve essere
“preparata” durante le prove, attraverso una attenta analisi delle motivazioni;
b. l’attore deve stabilire gli obiettivi, le azioni e le intenzioni del personaggio. E deve
trovare il super-obiettivo, la “spina dorsale” che fornisce motivazioni a tutte le azioni
che il personaggio compie;
c. il personaggio deve avere l’urgenza di raggiungere il super-obiettivo. Se può
raggiungerlo troppo facilmente, occorre porre degli ostacoli;
d. l’attore deve crearsi un sottotesto, dei “percorsi del pensiero”, che motivino le azioni
del personaggio. Ogni parola del testo ha un fondamento non scritto che tuttavia la
sostiene e la motiva;
e. nel cercare il sottotesto, l’attore non deve cadere in generalizzazioni, ma piuttosto
concentrare la sua attenzione sulle specifiche circostanze date del testo;
f. nel lavoro sulle circostanze date, l’attore deve comportarsi “come se” stesse vivendo
la situazione del testo. Le sue scelte creative faranno fuoriuscire delle idee che
possono essere nascoste dietro le parole;
g. bisogna sempre ricercare un comportamento reale. Non ci possono essere sentimenti
“indicati”, vale a dire stereotipati: l’attore deve lavorare a partire dalle proprie passioni
ed emozioni (“working from the ‘inside out ‘”);
15
L’attore deve vivere ciò che il suo personaggio vive. L’emozione deve essere reale, non
simulata; deve succedere, non essere indicata . 18
h. l’attore deve vivere momento per momento con i naturali impulsi del corpo, della
voce, di ogni emozione. La forza dell’impulso può cambiare da un giorno all’altro;
i. durante le prove l’attore deve improvvisare sul testo drammatico. Può farlo utilizzando
un discorso inintelligibile (Strasberg), parafrasando le parole del testo (Adler), o con
esercizi di ripetizione (Meisner) – cercando di liberarsi della dipendenza dal testo;
j. l’attore interpreta un ruolo pescando nel proprio materiale interiore, fatto di emozioni,
psicologia e immaginazione, tirando fuori ricordi, osservazioni ed esperienze proprie.
A partire da questo orientamento comune, Lee Strasberg, Stella Adler e Sanford Meisner
elaboreranno ciascuno il proprio metodo.
Lee Strasberg
L’essere umano che recita è l’essere umano che vive. 19
I tre aspetti fondamentali nell’elaborazione del Metodo da parte di Strasberg sono il
rilassamento, ovvero l’eliminazione di ogni tensione non necessaria, la concentrazione, che
dal rilassamento è favorita, e la memoria emotiva, cioè la concentrazione applicata a ricreare
emozioni della vita vissuta20.
L’attore deve esercitarsi a richiamare alla mente ricordi propri, e lo fa utilizzando i suoi
cinque sensi. Abituare la vista, l’udito, il gusto, l’olfatto e il tatto a saper rendere presenti
oggetti o eventi passati e assenti accresce la consapevolezza viscerale-emotiva dell’attore, che
con maggior precisione saprà individuare determinate sensazioni all’interno della propria
sfera emozionale.
L’espressione “memoria affettiva” indica che le emozioni che l’attore porta sul palco non
sono quelle reali, ma sono piuttosto il ricordo di queste. L’emozione spontanea, infatti,
potrebbe divenire non solo irripetibile, ma persino incontrollabile.
E’ utile che l’attore riesca a crearsi una sorta di “repertorio di esperienze emozionali”, da cui
catturare l’emozione giusta al momento appropriato, processo che diverrà sempre più facile
con la continua pratica di quest’esercizio.
Quando l’attore avrà scovato le proprie “molle emozionali”, e sarà in grado di utilizzare la
propria memoria emotiva, questa gli consentirà di essere più vivo anche nel momento
presente. Il pericolo che Strasberg individua nella mancanza di una memoria emotiva, invece,
è un attore che si limiti a riprodurre in scena la sola forma esteriore dell’azione.
L’attore non deve forzare l’emozione, semmai ricordare le sensazioni che gliela procurarono.
Ma si può osservare più dettagliatamente il contributo di Lee Strasberg attraverso le pagine di
18
E. Kazan, A life, Alfred A. Knopf, New York, 1988, cit. in Strasberg, Adler e Meisner, in Twentieth century actor training,
cit., p. 131(“The actor must be going through what the character he’s playing is going through; the emotion must be real, not
pretended; it must be happening, not indicated”).
19
La frase di Strasberg, riportata in Strasberg, Adler e Meisner, cit., p. 132, è tratta dall’opera di R. Hethmon, Strasberg at
the Actors Studio: Tape-Recorded Sessions, Theatre Communications Group, New York, 1965 (“The human being who acts
is the human being who lives”).
20
Cfr. L. Strasberg, Il sogno di una passione, cit., pp. 92-93.
16
“Il sogno di una passione. Lo sviluppo del metodo”, testimonianza del suo cammino nel
teatro.
Il sogno di una passione. Lo sviluppo del metodo
Nel 1923 il Teatro d’Arte di Mosca portò per la prima volta i suoi spettacoli a New York,
riscuotendo un notevole successo. Lee Strasberg, che assistette a quelle rappresentazioni,
rimase folgorato in primo luogo dal fatto che
le recitazioni sulla scena erano ugualmente realistiche e plausibili a prescindere dalla
statura dell’attore o dalla misura della parte che recitava. […] I drammi venivano
presentati da molti anni eppure avevano la freschezza di quelli allestiti per la prima
volta. 21
Nel 1924 due attori del Teatro d’Arte, Richard Boleslavskij e Maria Uspenskaja, decisero di
organizzare in America una scuola chiamata Laboratory Theatre. Questa scuola fu un
passaggio fondamentale per la formazione di Strasberg, che dall’inizio degli anni ‘30
continuerà la sua ricerca nell’ambito del Group Theatre.
Boleslavskij sosteneva che all’attore
non basta vivere una parte per una volta sola e poi rappresentarla molte volte. L’attore
deve viverla ogni volta. 22
Il dilemma fondamentale era dunque come vivere e far vivere il personaggio. Stanislavskij
aveva fornito alcune preziose indicazioni in merito, come il “se” creativo, col quale l’attore si
rapporta a fatti ed oggetti immaginari, reagendo ad essi “come se” fossero veri: “Cosa farei se
mi trovassi in questa situazione, in questo luogo, dentro queste circostanze ?” Tuttavia
l’indicazione di Stanislavskij non scioglie il nodo centrale della questione, che l’attore
comunque sa di rapportarsi a qualcosa che non esiste. Vachtangov apporterà una modifica a
questa formula:
Vachtangov […] riformulò la proposizione di Stanislavskij nel modo seguente: le
circostanze della scena indicano che il personaggio si deve comportare in un
particolare modo; che cosa motiverebbe te, l’attore, a comportarti in quel modo
particolare?[…] La riformulazione non richiede soltanto che l’attore crei il risultato
artistico desiderato, ma esige che egli lo renda reale e personale per se stesso per
raggiungerlo. Questo implica i principi della motivazione e della sostituzione. L’attore
non si ferma al modo in cui si comporterebbe nelle circostanze in cui si trova il suo
personaggio; piuttosto, egli cerca una realtà sostitutiva differente da quella stabilita dal
dramma che lo aiuterà a comportarsi sinceramente secondo le richieste della parte. 23
La stesso concetto viene espresso in un’altra forma da T. S. Eliot, parlando della creazione
artistica in generale:
21
Lee Strasberg, Il sogno di una passione. Lo sviluppo del metodo, cit., pp. 41-42
Ivi, p. 60. Gli interventi di Richard Boleslavskij sono tratti dagli appunti di Strasberg durante le lezioni all’American
Laboratory Theatre degli anni 1923 e 1924.
23
Ivi, pp. 72-73.
22
17
Nella creazione artistica il solo modo di esprimere emozioni è trovare un “correlativo
oggettivo”; in altre parole un insieme di oggetti, una situazione, una successione di
eventi che siano la formula di quella particolare emozione. 24
Strasberg definisce tale formula “adeguamento”, e sostiene che l’attore deve cercarla
all’interno delle proprie esperienze vissute. La chiave di questa ricerca sarà la cosiddetta
“memoria affettiva”. Ma il “correlativo oggettivo” che l’attore utilizza non deve
necessariamente essere in stretta analogia con gli eventi descritti nel testo, né ricalcare le
esperienze del protagonista.
Vachtangov diceva ai suoi attori che a volte non importa che cosa si pensa purché si
pensi a qualcosa, a qualcosa di reale. […] Non è importante che ci sia un esatto
parallelo tra ciò che l’attore fa e la rappresentazione o il personaggio, ma che quando
il personaggio pensa, l’attore pensi davvero, quando il personaggio prova qualcosa,
l’attore provi qualcosa. 25
Qualunque sentimento l’attore provi, sia esso in accordo o in contrasto col sentimento del
personaggio, rimane ancora aperta la questione su come poter richiamare alla mente delle
esperienze emotive, ovvero ricordi connessi a una particolare emozione.
Strasberg tenta di approfondire le conoscenze riguardo alla memoria affettiva, che
Stanislavskij aveva condotto fino a un certo punto.
Il termine “memoria affettiva” era stato ripreso da “La psicologia delle emozioni”, opera dello
psicologo francese Theodule Ribot, dallo stesso Stanislavskij. Ribot era certo che esistessero
memorie emotive, ma non lo era altrettanto sulla possibilità che queste potessero venire
richiamate a comando.
Boleslavskij divideva la memoria affettiva in
memoria analitica, che ricorda come si dovrebbe fare una cosa e la memoria del
sentimento vero, che aiuta l’attore a provarlo sulla scena. 26
In realtà il fine della memoria affettiva non è sentire, o vedere, o toccare qualcosa (si
tratterebbe altrimenti di allucinazione) ma è ricordare lo stato d’animo di quando lo si
fa. 27
La memoria analitica diverrà nella terminologia di Strasberg “memoria dei sensi”, e la
memoria dei sentimenti “memoria emotiva” (anche se “memoria emotiva” è usato spesso
come sinonimo di “memoria affettiva”)28.
La condizione necessaria affinché l’attore possa iniziare a lavorare sulla propria memoria
affettiva è che raggiunga prima uno stato di completa rilassatezza e di assoluta
concentrazione. Soltanto mediante il rilassamento si evitano possibili interferenze tra il
cervello e le zone chiamate a reagire, e si può annullare la tensione che inibisce la libera
espressività.
24
Ivi, p. 97. L’intervento di T. S. Eliot è tratto dal saggio The problem of Hamlet, che non è stato tradotto in italiano.
Ivi, p. 61.
26
Ivi, p. 62.
27
Idem.
28
Idem.
25
18
Ogni esercizio o seduta di training cominciano col rilassamento. L’attore cerca di
individuare e raggiungere le zone in tensione del suo corpo. […] La tensione consiste
nella presenza di energia non necessaria o eccessiva che inibisce il flusso di pensiero o
di sensazioni nella zona desiderata. […]Il rilassamento equivale all’accordare un
violino o un pianoforte. Il musicista potrebbe dare tutti gli ordini esatti ma se lo
strumento non è perfettamente accordato i risultati non saranno soddisfacenti. Proprio
il fatto stesso dell’esecuzione crea tensione all’attore. […] Saper controllare la propria
energia è un requisito fondamentale. […] La tensione neuromuscolare rende difficile
sia comunicare i propri pensieri, sensazioni e emozioni, sia averne un’esperienza
corretta. 29
Strasberg indica le zone del corpo dove la tensione è maggiore o è più difficile eliminarla,
come la nuca, il collo, la schiena, o i muscoli facciali e la lingua, che essendo connessi con
l’attività del linguaggio, sono sempre pronti a rispondere agli stimoli e quindi in uno stato di
tensione continua.
L’altro presupposto per accedere alla memoria affettiva è la piena concentrazione.
Strasberg giudica utili a tale scopo gli esercizi con oggetti immaginari.
Il training della concentrazione ha inizio esercitando la capacità dell’attore di ricreare
oggetti che fanno parte della sua esperienza quotidiana. Egli passa in rassegna
ciascuno dei suoi sensi per controllare in che misura essi reagiscono e rispondono a
quell’oggetto. Una volta imparato in che modo funzionano i suoi sensi quando l’oggetto
è presente, egli impara a ricreare queste reazioni e risposte in assenza dell’oggetto. La
strada che conduce alla concentrazione in questi primi esercizi passa attraverso la
memoria dei sensi. 30
Questo “interrogare i sensi” è lo stesso processo che guida l’attore verso la sua memoria
emotiva, nel tentativo di rivivere un’esperienza passata molto intensa. L’attore non deve
preoccuparsi dei sentimenti o delle emozioni provate in quell’occasione. La sua intera
attenzione deve essere indirizzata a ricostruire i ricordi sensoriali, vale a dire ciò che ha visto,
ascoltato, toccato, gustato e odorato nella circostanza in questione. L’emozione arriverà di
conseguenza.
Parlando del rilassamento si è detto di come l’attore possa essere condizionato dal doversi
mostrare in pubblico, e di come questo fattore possa produrre tensione. Strasberg osserva
giustamente come l’atteggiamento di ognuno di noi cambi sensibilmente a seconda che ci si
trovi da soli o al cospetto di altre persone. L’attore dovrebbe riuscire a ritrovare, anche di
fronte al pubblico, la propria intimità. Per dirla con Stanislavskij, essere “privato in pubblico”.
Gli esercizi suggeriti a Strasberg da questa osservazione di Stanislavskij prendono il nome di
“momento privato”.
Prima di tutto l’attore deve ricostruire il luogo, ad esempio la propria stanza, dove solitamente
avviene il comportamento privato che ha scelto di ricreare. Poi deve provare a ricostruire le
motivazioni che lo spingono a quel tipo di atteggiamento. Ogni volta che qualche difficoltà lo
blocca, è bene che egli riparte dalla ricostruzione del luogo. Quando si raggiunge la
condizione desiderata, l’attore agisce senza i condizionamenti e le inibizioni che potrebbero
ostacolarlo o frenarlo.
29
30
Ivi, pp. 99-100.
Ivi, p. 104.
19
Un altro esercizio di cui Strasberg sottolinea il valore è l’imitazione animale, che costringe
l’attore a ricercare in sé una qualità di energia diversa da quella propria, e che può rivelarsi di
grande aiuto in un processo di caratterizzazione di qualche personaggio.
Questo esercizio aiuta l’attore a accostarsi a una parte riconoscendo la differenza tra
se stesso e il personaggio e costringendolo ad affrontare il comportamento del
personaggio anziché basarsi sui propri sentimenti.
[…] Il valore specifico dell’esercizio di imitazione animale è che conduce alla
caratterizzazione fisica. L’esercizio dapprincipio non richiede nessuna esperienza
sensoria tranne la pura osservazione. […]Dapprima l’attore nota le differenze
puramente fisiche tra sé e l’animale, poi arriva a ricrearle mediante il controllo delle
sue energie fisiche. […]Impara a controllare, definire le parti del suo corpo e a
guidarle a fare ciò che fa l’animale. Egli impara a riprodurre col proprio corpo
l’energia fisica dell’animale.
[…] Poi l’attore imita l’animale che si alza in piedi, sempre conservando quel tipo di
energia. 31
Nondimeno Strasberg riconosce l’importanza che riveste l’improvvisazione, sia perché mette
l’attore di fronte al proprio flusso di pensieri, sia perché lo mette in relazione con gli altri
attori.
Tra i lavori di improvvisazione che facciamo c’è quello che chiamiamo “gibberish”.
Questo esercizio comporta che si dica ciò che si vuol dire in una lingua senza senso.
Ciò costringe l’attore a essere chiaro su ciò che sta dicendo e costringe il suo partner a
sforzarsi davvero di capire, anziché limitarsi a ascoltare per capire. 32
La comunicazione tra gli attori, e tra questi e il pubblico, è uno degli aspetti più importanti del
fatto teatrale. Strasberg riferisce la conferenza che Stanislavskij tenne nel 1920 a New York,
in cui il regista russo sottolineò l’importanza basilare della comunicazione, descrivendola
quasi come qualcosa di tangibile:
Stanislavskij proseguiva mettendo in rilievo come la comunicazione interiore che ha
luogo tra l’attore e il suo partner sulla scena e tra l’attore e il pubblico, sia uno degli
elementi più importanti della recitazione. Egli sottolineava l’esistenza […]di movimenti
interiori della comunicazione spirituale che l’occhio non può cogliere e che quindi
sembra che non avvengano. Stanislavskij […] descriveva questa comunicazione
interiore con i termini “emissione di raggi” e “assorbimento di raggi”, come se i
sentimenti e i desideri emettessero raggi che uscendo dagli occhi e dal corpo si
riversano in un torrente verso le altre persone. 33
Benché Strasberg si mostri alquanto scettico verso l’“emissione di raggi” di cui parla
Stanislavskij, c’è anche chi, come Michael Cekhov, prosegue su quel sentiero e parla
dell’“irradiamento” che l’attore deve esercitare in scena nei confronti del suo partner.
Irradiare, in scena, significa “dare”, trasmettere energia. Il suo opposto è ricevere. La
vera recitazione è un costante alternarsi dei due momenti. 34
31
Ivi, pp. 114-115.
Ivi, nota a p. 123.
33
Ivi, p. 56.
34
M. Cekhov, All’attore sulla tecnica di recitazione, S. E. S. s. r. l., Firenze, 1984, p. 20.
32
20
Nella stessa opera, Cekhov suggerisce anche come nel momento della creazione l’“io
superiore” dell’attore disponga del corpo, dell’“io edificabile”. Strasberg restituisce lo stesso
concetto ma, avvicinando l’attore al musicista, parla dell’attore come quel luogo dove il
musicista e il suo strumento convivono, nello stesso corpo.
Immaginate che cosa accadrebbe se il violino o il pianoforte iniziassero a reagire al
musicista, lamentandosi di non voler essere toccati in quel modo, di non voler
rispondere a certe note, o di sentirsi imbarazzati per essere stati toccati in modo
sensuale. […] Il Metodo, quindi, è il procedimento mediante il quale l’attore può
raggiungere il controllo del proprio strumento; vale a dire[…] usare la sua memoria
affettiva per creare una realtà sulla scena. 35
Tale strumento non risponde soltanto alle richieste della volontà dell’attore, ma anche
a un complesso di impulsi, desideri, condizionamenti, abitudini e modi di
comportamento e di espressione. Questi sono così automatici che l’attore non ne è
consapevole e quindi non è in grado di gestirli. 36
Gli esercizi descritti da Strasberg, e in generale ogni training per l’attore, hanno come fine
quello di formare nell’artista una sorta di “seconda natura”, una consapevolezza profonda nei
propri mezzi e una conoscenza assoluta del proprio strumento, che renderanno possibile
abbandonarsi nuovamente alla spontaneità una volta in scena, ritrovando la piena libertà
espressiva.
La preparazione di ogni artista deve essere conscia: devi sapere come e che cosa stai
per fare. Non fidatevi della vostra ispirazione… ma rivolgetevi alla vostra
comprensione conscia di quello che farete. Quindi, poiché sarete addestrati in modo di
fare al meglio della vostra capacità, la vostra abilità diventerà inconscia. Preparazione
conscia - risultato inconscio. 37
L’abilità inconscia di cui parla Boleslavskij ricorda la ricostruzione di quel “bios scenico” che
Eugenio Barba avvertiva essere necessario all’attore, anche se gli obiettivi, i metodi e i
risultati sono ben distinti.
Per quanto riguarda la notevole distanza che divide il contributo di Boleslavskij, e
successivamente di Strasberg, da quello di Grotowski, e poi di Eugenio Barba, il fattore più
evidente è la diversità delle forme. Questo deriva evidentemente da una diversità di obiettivi,
da modi differenti di intendere l’intera arte teatrale, e in primo luogo da esigenze diverse. Non
si possono accostare o paragonare due prodotti artistici differenti, quando la differenza è
prima di tutto negli intenti. E’ ovvio che ciascuno seguirà la via più prossima alle proprie
esigenze, e che anche i metodi usati saranno in funzione di queste necessità. Una distanza
analoga è quella che divide Theodule Ribot, lo psicologo francese da cui Stanislavskij trasse il
termine “memoria emotiva”, da William James, che insieme a C. G. Lange fu il sostenitore di
una differente teoria delle emozioni. Mentre Ribot, in pieno spirito positivista, considera
l’uomo “un animale senz’anima”, che agisce costantemente in una successione di stimoli e
risposte, posizione questa che sarà avvalorata anche dal fisiologo tedesco Wilhelm Wundt,
James e Lange sostengono che ad ogni stimolo il corpo reagisce prima delle emozioni, e che
queste non sono nient’altro che l’insieme delle variazioni fisiologiche che seguono allo
35
L. Strasberg, Il sogno di una passione. Lo sviluppo del metodo, cit., p. 97.
Ivi, p. 84.
37
Ivi, p. 69. L’intervento è di Boleslavskij (vd. nota 2).
36
21
stimolo. Schematizzando le due posizioni: “fuggo perché ho paura” da un lato, “ho paura
perché fuggo” dall’altro.
E queste teorie sembrano sintetizzare in una formula i tratti salienti di due diversi approcci
alla creazione teatrale, quello di Strasberg, che tentava di percorrere la “via interna” delle
emozioni, e quello di Barba, che invece partiva da quella “esterna” delle azioni fisiche.
Probabilmente un metodo non esclude l’altro, soprattutto perché le azioni fisiche di un
personaggio sono contenitori indispensabili, che tuttavia necessitano di essere riempiti, e
questo ci riporta comunque all’esigenza di poter ricreare emozioni sulla scena.
La distanza, come già detto, nasce tuttavia dalla diversa concezione del fatto teatrale, dalle
diverse esigenze. Ma questo ci riconduce alla distinzione operata da Grotowski tra Arte come
presentazione e Arte come veicolo che abbiamo già affrontato.
È utile considerare un intervento di Laurence Olivier a proposito del Metodo, di cui sottolinea
un limite oggettivo, o comunque una caratteristica:
Non sono un attore del Metodo, benché abbia trovato utile Stanislavskij. Eppure la sua
non è la risposta completa. Ritengo che il suo training sarebbe meraviglioso per gli
attori di cinema, poiché la macchina da presa annulla le distanze tra due persone la cui
realtà diventa contemporanea. Ma il problema nel teatro è essere reali a cinquanta
metri di distanza. E ciò comporta tecnica e abilità, termini fuori moda di questi tempi.
Nessuna arte è semplicemente questione di talento. 38
La consapevolezza della necessità di una tecnica per l’attore è un punto di partenza
fondamentale, sia per chi decida di intraprendere un percorso teatrale, sia per risalire alle
diverse teorie e tentativi che hanno accompagnato il cammino evolutivo, e a tratti involutivo,
del teatro.
In ogni caso, sia che si parli di “risultato inconscio”, sia che si parli di “bios scenico”, ciò a
cui l’attore in questione deve tendere, è l’acquisizione di un corpo, e di una mente, o di un
corpo-mente, che possano funzionare automaticamente, ma senza quella perdita di controllo
che è il risultato di ogni automatismo. Franco Ruffini definisce questo stadio “precisione
attiva”, ovvero lo stadio successivo alla precisione:
Questo tipo di precisione è in realtà oltre la precisione, e il suo vero significato è oltre
la finzione del teatro. 39
C’è sempre un momento in cui, a furia di ripetere, ci si annoia. E’ allora che bisogna
vincere la sazietà finché la partitura si fa automatica. Non è vero che quello è il
momento in cui l’attore perde vita. Anzi. E’ lì che la riacquista in una dimensione più
alta. Le azioni diventano fluide e ci si può concentrare adesso sulle loro qualità
interiori, sulle sfumature, i colori, per renderle vibranti e vive. Non con la volontà ma
con l’attenzione. 40
38
L’intervento di Laurence Olivier è riportato da Lee Strasberg in Il sogno di una passione. Lo sviluppo del metodo, cit., a p.
134.
39
Franco Ruffini, I teatri di Artaud. Crudeltà, corpo-mente, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 67.
40
Cesar Brie, Sulla messinscena, in F. Marchiori, Cesar Brie e il Teatro de los Andes, Ubulibri, Milano, 2003, pp. 104-120,
cit. p. 118.
22
Stella Adler
Per la Adler l’attore deve sviluppare un’altra dote fondamentale, quella che lei definisce
“immaginazione creativa”, nella convinzione che gli eventi trascorsi della propria vita e i
mezzi psicologici, sottolineati da Strasberg, non siano gli unici ambiti entro cui poter
attingere.
Il personaggio va interpretato a partire dal contesto sociale, culturale, politico, storico e
geografico in cui è collocato, in una parola dalle circostanze che lo circondano e che lo
differenziano dal mondo dell’attore. Le circostanze del testo infatti sono evocate, descritte, e
non appartengono propriamente alla vita dell’attore. Per questo diventa fondamentale
avvalersi della propria immaginazione creativa per comprenderle e per scegliere le immagini
giuste, che a loro volta sappiano evocare le giuste sensazioni. 41
L’attore può avvalersi di volta in volta di foto, pitture, musiche o letture, che possano aiutarlo
nella ricostruzione e nella ricerca delle giuste emozioni. Così egli giungerà a creare la
“propria versione” del testo, a personalizzarlo, a integrare con la propria creatività e la propria
voce quelle dell’autore. Parafrasare le parole del testo durante le prove, utilizzare le proprie
parole anziché quelle scritte, aiutano in questa operazione di “traduzione”. L’attore deve
perdere la dipendenza dal testo e studiare le azioni contenute nell’opera, poiché la parola
deriva dall’azione. Egli deve trasformare gli eventi del lavoro scritto in compiti concreti.
Un’azione è qualcosa che si compie, possiede un inizio e una fine, si inquadra nelle
circostanze date, e deve avere una sua giustificazione. Per trovare l’azione giusta, l’attore
deve prima individuare l’idea portante del Play, e deve riuscire a farla propria, a
personalizzarla. La stessa giustificazione delle azioni
non è in ciò che è scritto, ma in te. Ciò che scegli come giustificazione dovrebbe
scuoterti. 42
Se la scelta effettuata, o alcuni aspetti del dramma scritto, non smuovono l’attore come
dovrebbero, egli deve cercare qualcos’altro, creando un’altra serie di circostanze, ancora
corrispondenti agli eventi del testo, ma che smuovano la sua passione e che stimolino la sua
eccitazione.
La Adler spingeva gli attori a studiare le circostanze del testo piuttosto che a scavare nelle
loro vite private.
Il vero scopo del teatro moderno non è recitare, ma trovare la verità dell’opera dentro
voi stessi, e comunicarla. 43
41
Per l’importanza dell’immaginazione per l’attore, cfr. Michael Cekhov, All’attore sulla tecnica di recitazione, pp. 23- 32.
S. Adler, The Technique of Acting, Bantam Books, Toronto, Ont., 1988. La frase è riportata in Strasberg, Adler, Meisner,
cit., p. 142 (“The justification is not in the lines; it is in you. What you should choose as your justification should agitate
you”).
43
La frase di Stella Adler, riportata in Strasberg, Adler and Meisner, cit., p. 141, è tratta dall’opera di F. Hirsh, A Method to
Their Madness: The History of the Actors Studio, W. W. Norton, New York, 1984 (“The whole aim of the modern theatre is
not to act, but to find the truth of the play within yourself, and to communicate that”).
42
23
Sanford Meisner
Sanford Meisner aveva frequentato la scuola di recitazione del Theatre Guild, e quando un
suo amico musicista lo presentò ad Harold Clurman, questi divenne presto manager di scena e
selezionatore di testi per il Theatre Guild. Successivamente Clurman presentò Meisner a Lee
Strasberg, che ebbe una importante influenza su di lui. Meisner aveva solo venticinque anni
quando si trovò nel primo nucleo di attori che fondarono il Group Theatre, partecipando a
“Awake and Sing!”, “Paradise Lost”, “Waiting for Lefty”, “Rocket to the Moon” e “Night
Music”. La sua carriera di attore proseguì ben oltre lo scioglimento del Group Theatre nel
1941.
Meisner riferì di essere stato introdotto al Sistema di Stanislavskij dai “pionieri” Clurman e
Strasberg, ma anche da Stella Adler, che con Stanislavskij poté lavorare privatamente a
Parigi, e da Michael Cekhov, nel quale, dice Meisner,
potei assistere ad una forma teatrale esaltante, senza perdita dei contenuti interni, e
seppi di voler raggiungere la stessa cosa. 44
E infine fu importante il contributo obiettivo e lucido di due teorici russi, Sudakov e
Rapoport, che sottolineavano l’importanza della realtà di ciò che si fa, la realtà delle
azioni che si compiono sul palco, punto di partenza del percorso di Meisner.
Recitare è agire, non chiaccherare. Recitare significa fare praticamente qualcosa. 45
Meisner non rifiuta di richiamare le emozioni, o la sostituzione degli avvenimenti del testo
con quelli dell’attore, ma tutto questo può essere fatto durante le prove dello spettacolo in
formazione, o inserito tra gli elementi del training dell’attore.
Naturalmente dal testo possiamo risalire alle circostanze immaginarie entro cui il personaggio
vive.
Recitare vuol dire agire onestamente entro circostanze immaginarie. 46
Ma e’ piuttosto quello che sta tra le righe del testo, il “dialogo sottotestuale”, a costituire il
punto focale, e a motivare la “reazione chimica” tra l’agire dell’attore e la “realtà della
situazione”, ovvero le dinamiche del comportamento umano. E’ qui che l’attore deve trovare
il proprio scopo reale, il “super-obiettivo” da raggiungere.
Una volta che i compiti fisici e i sentimenti giusti sono stati delineati durante le prove, l’attore
deve comportarsi spontaneamente, e sul palco deve vivere soltanto di azioni e reazioni, in
attinenza con quello che accade effettivamente intorno a lui.
Se egli compie un’azione reale, il partner ha qualcosa di tangibile di cui prendere atto e a cui
reagire. Pertanto tutta la sua attenzione deve essere rivolta al partner piuttosto che alla trama.
44
S. Meisner, frase tratta dall’articolo di Paul Grey “ The Reality of Doing”, uscito nella rivista Tulane Drama Review,
edizione speciale, “Stanislavskij in America”, n. 139, autunno 1964, cit. in Sanford Meisner on Acting, cit., p. 10 (“In him I
witnessed exciting theatrical form with no loss of inner content, and I knew that Iwanted this too”).
45
L. Silverberg, The Sanford Meisner approach. An actor’s workbook, Smith and Kraus, Lyme, NH, 1994, p. 4 (“Acting is
doing. It is not talking about- it is really doing”).
46
Ivi, p. 9 (“Acting is living truthfully under imaginary circumstances”).
24
La nostra maggior risorsa sul palco sta nei partners, gli altri attori, perciò dobbiamo
essere tutto il tempo aperti e recettivi verso di loro. Anche nel mezzo dei momenti piu’
estremi e densi, e’ d’obbligo rimanere aperti verso l’ambiente e verso il partner. Se nel
relazionarmi al partner, anziché forzare, rinuncio al tenere sotto controllo, avrò quanto
basta( proprio come succede in una buona relazione). Invece molti attori rendono il
tutto troppo laborioso, si isolano e sul palco vivono un’esperienza privata a dispetto
degli altri, esperienza che vale soltanto per loro(che e’ quanto accade in una cattiva
relazione) 47
Si può allora asserire che il punto focale per Meisner è il “reagire”. L’azione non è nel
personaggio, o nella trama, ma nelle relazioni vive tra le persone che sono sul palco in quel
preciso momento.
Gli “esercizi di ripetizione” che Meisner aveva elaborato avevano lo scopo di eliminare
gradualmente il passaggio tra la reazione e l’azione, ovvero sottrarre le azioni al vaglio
continuo dell’intelletto che le “censura” e le rende artificiali nel tentativo di “metterle in una
forma più presentabile”.
In questi esercizi, due attori siedono l’uno di fronte all’altro e si limitano a “registrare”
qualcosa di evidente che notano nel partner, dicendolo a voce alta e ripetendolo a turno fino a
che, nel “leggerne” il comportamento e nel notarne le reazioni, non verrà fuori un’altra
considerazione sul compagno seduto di fronte, e così via. Il principio contenuto nella
“ripetizione” è prendere atto in ogni momento di ciò che succede nel presente, e poiché
l’essere umano è soggetto a una continua mutazione nei propri sentimenti, negli impulsi, nei
tratti somatici, è naturale che la stessa ripetizione subisca variazioni.
È importante ripetere immediatamente, appena avete ascoltato ciò che l’altro ha detto.
Così facendo, se le lasciate via libera, la ripetizione vi porterà automaticamente verso
quello che sapete esser vero, invece di essere voi a cercare di capireCalcolare significa
iniziare ad usare la testa, che è la morte dell’agire. […] Ciò che sappiamo, infatti, non
ha bisogno di pensiero. Un bambino piccolo comunica con noi in modo specifico ma
allo stesso tempo senza pensieri. ”Eh si, ma quello e’ istinto!” potreste dire.
Infatti!Infatti!. 48
Così l’attore si esercita ad osservare e registrare le emozioni, i sentimenti, i pensieri del
partner, relazionandosi alla realtà mutante dell’altro. Questo conduce a un reale dialogo,
allontanando gli attori dal terreno della meccanicità, ponendoli di fronte a ciò che succede
“ora”, e al proprio reale e attuale punto di vista.
Non bisogna cercare di essere interessanti, ma solamente ripetere quello che si è ascoltato.
Non ci devono essere pause, poiché non c’è niente a cui dover pensare. Non bisogna
anticipare la ripetizione prima che il partner abbia detto la sua, perché c’è sempre la
47
Idem (“Our fuel on stage is our partners, the other actors, so that we must be open and receptive to them at all times. Even
in the midst of the most extreme and hightened moments, it is imperative that we be present to our partners and our
environment in every moment. If I turn myself to my partner and instead of pushing, give up control, I get everything I need
(like a good relationship). Yet most actors make acting very effortful, doing it on their own in spite of their partners on stage,
isolated in their own private experience (like bad relationships)”).
48
Ivi, pp. 22-23 (“At this point in your work it is vital to repeat immediately, as you hear what you hear. In this way, if you
allow it to, the repetition will take you to what you know to be true, rather than you figuring it out. Figuring it out puts you
right in your head, and being in your head is the death of your acting. [. . . ] what we know, takes no thought. An infant
communicates to us very specifically and with no thought. “Yeah, but that’s instinct!” you may be saying to me. Exactly!!!
Exactly!!!”).
25
possibilità che questa possa cambiare. E qualora succeda, dovremmo adeguarci a tale
cambiamento.
Inoltre non bisogna sforzarsi di tenere l’esercizio su una traccia prestabilita, perché questo ci
ricondurrebbe nel territorio del pensiero: il fatto che non ci sia nessuna traccia, oltre
all’indicazione di essere immediati, permette all’attore di rimanere libero da pensieri e di stare
nel momento.
Scopo di questi esercizi è quello di rendere l’attore più accessibile al partner, di “portarlo
fuori dalla propria testa”, di porre la sua attenzione su ciò che è fuori di lui, piuttosto che su se
stesso. Questo consente all’attore in scena di concentrarsi sulle proprie azioni, anziché sulle
emozioni: queste verranno fuori di conseguenza.
Le emozioni escono fuori liberamente, in forma di dono, di sottoprodotto positivo,
quando la nostra attenzione è su qualcos’altro, ovvero su ciò che stiamo facendo. 49
Sei stato investito dalla vita sul palco perche’ stavi davvero facendo qualcosa[. .
]Mentre l’attenzione era su ció che stavi facendo, la tua autentica reazione era in tal
modo libera da ogni censura . 50
Non deve essere vostra preoccupazione fare le cose in maniera interessante per
rendervi interessanti. Voi siete interessanti. Non e’ vostra responsabilita’ pensare ad
intrattenere gli altri . Perché invece non focalizzate l’attenzione sulle azioni del play?
Se queste sono concrete, stimolanti e interessanti, eseguirle non sarà certo un duro
compito; e compierle è più interessante che concentrarsi su di esse. La concentrazione
non può venire forzata. 51
Tutti gli impulsi che senti sono corretti; il tuo compito è imparare ad agirli così come ti
si presentano. In altre parole, per quanto terrificante possa sembrare, dovete agire
prima di pensare. […] Se invece vi prendete il tempo di chiedervi cosa sta succedendo,
l’impulso si perderà e l’ attenzione ritornerà su voi stessi. […] Se svilupperete
l’abitudine di mettere l’ attenzione sull’altra persona, sarete troppo impegnati per
pensare a voi stessi e tutto quello che farete sarà in risposta all’altra persona sul palco
e alla scena. 52
David Mamet proseguirà sulla strada indicata da Meisner, incentrata sul momento presente
come unico pensiero dell’attore sul palco, presente che continuamente si evolve e a cui
l’attore deve continuamente adeguarsi.
49
Ivi, p. 3 (“Our emotions come freely, as a side benefit, a gift, when our attention is on something else and that something
else is what we are doing”).
50
Ivi, p. 7 (“You came to life because you were really doing something[. . . ]. Your authentic response was out of your
control while your attention was on what you were doing”).
51
D. Mamet, True and false. Heresy and common sense for the actor, Faber and Faber, London, 1998, p. 95 (“It’s not your
responsibility to do things in an interesting manner – to become interesting. You are interesting. It’s not your responsability
to become outward-directed. Why not direct yourself toward the actions of the play? If they are concrete, provocative, and
fun, it will be no task at all to do them; and to do them is more interesting than to concentrate on them. Concentration cannot
be forced”).
52
AA. VV., A practical handbook for the actor, Vintage, Random House, New York, 1986, p. 43 (“All of the impulses are
correct; your task is to learn to act on them as they occur in you. In other words, as scary as it sounds, you must act before
you think. [. . . ] If you’ve taken the time to intellectualize what is happening in any way, the impulse will be lost and your
attention will be thrown back onto yourself. […] If you develop the habit of placing your concentration on the other person,
you will be too busy to be self-conscious and all that you do will be in adjustment to the scene and the other actors on the
stage”).
Gran parte dei contributi presenti nel libro sono relativi alle lezioni tenute da David Mamet e da W. H. Macy nei workshops
del 1983 e del 1984, all’Università di New York e presso il Teatro Goodman di Chicago.
26
Stai nel presente. Il presente è più accessibile sia dei ricordi passati che delle fantasie
future. Perciò, stai attento a quello che succede ora. 53
La realtà della scena è parte della realtà generale che ci circonda, e come essa in costante
trasformazione, sottoposta ad una instabile evoluzione.
Vivere significa continuamente non essere sicuri, non conoscere il” cosa”, il “ cosa
sarà” o il “ come”. Nel momento in cui cominci a sapere “come”, inizi a morire un pó.
L’artista non sa mai interamente. Noi immaginiamo. Possiamo sbagliare, ma
procediamo passo dopo passo nel buio. 54
53
John Heider, The Tao of leadership, leadership strategies for a new age, frase citata in L. Silverberg, The Sanford Meisner
approach, cit., p. 44 (“Stay in the present. The present is more available than either memories of the past or fantasies of the
future. So attend to what is happening now”) .
54
La frase è di Agnes De Mille, ed è riportata da Silverberg in The Sanford Meisner approach, cit., p. 33 (“Living is a form
of not being sure, not knowing what, next or how. The moment you know how, you begin to die a little. The artist never
entirely knows. We guess. We may be wrong, but we take leap after leap in the dark”).
27
Seconda parte
28
Consigli pratici per l’attore
di Bruder, Cohn, Olnek, Pollak, Previto, Zigler
traduzione e adattamento di Christian Lucidi
29
Questo libro è dedicato a W. H. Macy e a David Mamet
“Racconta sempre la verità. E’ la cosa piu’semplice da ricordare”
30
Contenuto del libro
Introduzione di David Mamet
Nota degli autori
Il lavoro dell’attore
Presentazione generale della tecnica
32
33
33
35
Parte prima: la tecnica
37
1. Azione fisica
2. Analizzare una scena
3. La verità del momento
Da soli sul palco
4. Adattamenti esterni
Adattamenti del corpo
Ornamenti
Stati fisici
5. Prepararsi per una scena
Testo a memoria
Le prove
6. Nessun problema
7. Gli strumenti del mestiere
Parte seconda: trabocchetti (lavorare nel mondo reale)
8. Introduzione
9. La trappola delle emozioni
10. Il mito del personaggio
11. Mantenere il teatro pulito
Avverbi
12. Conclusione
Glossario
37
40
51
53
54
54
55
55
56
57
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58
61
62
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62
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66
67
69
31
Introduzione
La maggiorparte dell’acting training si basa sulla vergogna e sul senso di colpa. Se
avete studiato acting, vi è stato chiesto di fare esercizi che non capivate, e, quando li
facevate, male, come poi sottolineava l’insegnante, vi sottomettevate alle critiche con
senso di colpa. Vi è anche stato chiesto di fare esercizi che capivate, ma la cui
applicazione al lavoro dell’attore vi sfuggiva, e voi eravate vergognosi di chiedere che
lo scopo di questi venisse spiegato.
Mentre facevate questi esercizi sembrava che tutti quanti intorno a voi ne avessero
capito la funzione, ma voi, cosí pieni di senso di colpa, avete imparato a far finta55.
Avete imparato a far finta di “annusare il caffè” mentre facevate gli esercizi di
memoria dei sensi. Avete imparato a far finta che “l’esercizio dello specchio” fosse
molto impegnativo, e che il praticarlo vi mettesse in qualche modo nella condizione di
essere piú sintonizzato con voi stessi sul palco. Avete imparato a far finta di “Ascoltare
la musica con le dita dei piedi” e ad “usare lo spazio”. E come passavate da una
lezione all’altra, e da un insegnante all’altro, succedevano due cose: essendo esseri
umani, il vostro bisogno di credere si è imposto. Eravate restii a dubitare del valore dei
vostri insegnanti, e cosí avete iniziato a dubitare del vostro valore. Questo disprezzo
per voi stessi poi è diventato disprezzo per tutti quelli che non condividevano con voi
quel particolare approccio al lavoro dell’attore.
E mentre mostravate al mondo che il vostro studio continuava imperterrito, avete
iniziato a pensare che nessuna vera, praticabile tecnica esistesse, e questa era l’unica
cosa possibile in cui credere che fosse retta dall’evidenza.
E come faccio io a sapere queste cose su di voi? Le so perché ci sono passato anche io.
Ci sono passato per tanto tempo come studente attore, e come attore. E come
insegnante di attori, regista e drammaturgo continua ad essere, indirettamente, un
problema.
Lo so che voi ci mettete impegno e siete desiderosi, desiderosi di imparare, di credere,
di trovare il modo di far uscire l’arte che sentite in voi stessi sul palco. Siete disposti al
sacrificio, e credete che quel sacrificio che vi è richiesto significhi sottomissione al
volere di un insegnante. Ma un sacrificio ancora piú importante vi viene chiesto: dovete
seguire quello che vi dice il buon senso.
Sarebbe bello se ci fossero tanti bravi insegnanti di acting, ma non è cosí. La
maggiorparte di questi, sfortunatamente, sono persone di dubbio valore, e fanno
affidamento sulla vostra necessità di sopravvivere. Questo non solo vi priva di un
training costruttivo, ma anche di uno dei doni piú importanti che, da artista, avete: il
senso del vero. È questo senso del vero, la semplicità, il genuino sapersi ancora stupire
ed il rispetto, tutte cose che possedete, che riporteranno il teatro alla vita. Come
riuscire a portare queste cose sul palco?
Questo libro offre degli splendidi suggerimenti e consigli. È il miglior libro per attori
scritto negli ultimi venti anni. I suggerimenti tecnici, poi, sono riducibili ad un aspetto
della filosofia stoica: siate ció che volete sembrare.
Una volta Stanislavskij scrisse che dovreste “ agire bene o male, purché sia un agire
onesto”56. Non dipende da voi se la vostra performance sarà brillante, tutto ció che
55
NDT: Tutti gli esercizi di “memoria dei sensi” sono tipici del “metodo Strasberg”, una scuola di acting training che ha
avuto molto seguito negli U. S. A.
56
NDT: Ho volontariamente evitato di tradurre il verbo “to act”, qui e ovunque mi è stato possibile, con recitare, in quanto è
altamente deviante.
32
avete sotto controllo è l’intenzione. Non potete sapere se la vostra sarà una splendida
carriera, tutto ció che avete sotto controllo è l’intenzione.
Se volete manipolare, far mostra, impressionare, potreste sí avere qualche sofferenza,
ma probabilmente i trionfi saranno gradevolissimi. Se intendete seguire quel nocciolo
di verità che sentite in voi stessi, il vostro buon senso, e avete intenzione di farvi servire
dalla vostra volontà nella ricerca della disciplina e della semplicità, allora andrete
incontro a profonda disperazione, solitudine, e costanti stati di dubbio su voi stessi. E
se perseverate, il teatro, che state imparando a servire, vi grazierà ogni tanto con la piú
grande felicità che è possibile conoscere.
David Mamet, Cabot (Vermont), 1985
Nota degli autori
Questo libro è il risultato di un esercizio che David Mamet ci assegnó durante un seminario di
acting tenuto a Montpelier, Vermont, nel 1984. La maggior parte del testo è stata ricavata da
appunti presi durante le lezioni di D. Mamet e W. H. Macy durante i loro seminari estivi nel
1983 e 1984, e durante le sessioni autunnali ed estive alla New York University e al Goodman
Theatre di Chicago. Il Practical Aesthetics Workshop, questo è il nome ufficiale del gruppo,
fu messo insieme con il patronato della New York University ed era stato organizzato come
un’esperienza che sarebbe dovuta esistere solo per quell’estate. Il fatto che sia poi durato per
piú di due anni è indice dell’impegno messo da studenti ed insegnanti. Il risultato finale del
nostro studio è stato la formazione dell’Atlantic Theatre Company, una compagnia i cui
membri sono quasi tutti ex studenti del Practical Aesthetics Workshop.
Il lavoro dell’attore
J. D. Salinger disse “prima di essere scrittori si è lettori”. Allo stesso modo, tutti gli attori
hanno iniziato come membri del pubblico. Quali sono state le prime cose che ci hanno colpito
riguardo al teatro?Cosa continua a farci andare al teatro? Cosa provoca quei momenti, che
tutti gli spettatori hanno avuto prima o poi, in cui ci irrigidiamo sulla poltrona perché
qualcosa ci colpisce a livello viscerale?Questi momenti sono fuori dal controllo di chiunque;la
loro creazione è dovuta in pari misura al contributo del pubblico, degli attori, del regista, dei
tecnici. Una volta capito ció, l’attore deve capire che non è razionale dire “il mio compito è
quello di creare questi meravigliosi momenti”. Piuttosto, dovrebbe capire che tutto ció che è
in suo potere è portare se stesso sul palco nelle migliori condizioni possibili per prendere
parte al Play. Identificare quali sono queste cose che egli puó fare per stare al massimo della
condizione, e, quindi, mettersi a farle di conseguenza in modo che diventino una seconda
pelle, darà all’attore la soddisfazione di sapere sempre quello che deve fare, ovvero in cosa
consiste il suo compito.
L’attore comunque arriverà alla conclusione che mentre il suo compito è stato chiaramente
identificato, non è affatto facile. Ad esempio, per essere al massimo della condizione per
prendere parte ad un Play, l’attore deve avere una voce forte e risonante. Ma sviluppare una
voce di questo tipo richiede ai piú molti anni di allenamento ed una volontà costante nel fare
gli adeguati esercizi quotidiani. E ancora, l’attore sa che deve sviluppare un corpo che gli
permetta di fare qualsiasi cosa sia necessaria; ma anche ció richiede una disciplina
all’allenamento, ed uno studio del movimento, al fine di far diventare il corpo tanto forte,
elastico, e pieno di grazia quanto i propri limiti di nascita (e su questi non si puó far nulla)
permettano. L’attore deve guardare se stesso onestamente, cosa che richiede una grande
quantità di coraggio, ed usare il suo buon senso per capire quali sono i suoi difetti. E quindi
33
deve individuare quali di queste mancanze è possibile modificare. Fatto ció, egli deve
dedicarsi con tutto se stesso a correggere queste cose che rientrano nell’ambito di ció che puó
essere trasformato;deve usare la sua volontà per diventare il piú possibile la persona che
idealmente vorrebbe essere. E allora quando si avvicina al teatro, potrà avere la
soddisafazione di dirsi “io so quale è il mio compito. Ho fatto tutto quello che era in mio
potere per essere pronto ad andare sul palco”. Questo atteggiamento mentale gli permetterà di
essere profondamente immerso nel Play, man mano che la trama si sviluppa sul palco, proprio
perché non dovrà preoccuparsi delle cose che avrebbe potuto fare per essere piú preparato.
La cosa piú bella che potete fare a voi stessi come attori è fare una lista chiara e precisa di
quelle cose che sono responsabilità vostra e separarle da ció che non lo è. In altre parole, fate
un inventario di ció su cui avete controllo e di ció su cui non lo avete. Se applicate questa
filosofia stoica di lavorare solo con quelle cose che potete cambiare, e non vi preoccupate di
quelle che non rientrano in questo tipo, allora ogni singolo istante contribuirà concretamente
alla vostra crescita come attori. Perché non dedicare il vostro tempo e la vostra energia a
sviluppare delle tecniche concrete come l’uso della voce, la capacità di analizzare un testo
correttamente, la capacità di concentrarsi, e lo sviluppo del vostro corpo?D’altro canto, in che
modo puó aiutarvi il preoccuparsi di ció che gli altri scelgono di pensare di voi, il successo o
fallimento del Play come lavoro d’ensamble, la bravura(o mancanza di) del regista e degli
altri attori, quali critici stanno seduti nel pubblico, quanto siete alti, i vostri sentimenti, e cosí
via?Non potete e non potrete mai farci nulla per nessuna di queste cose. Di conseguenza, ha
senso solo dedicarvi a lavorare su quelle cose che potete cambiare, ed evitare di sprecare il
vostro tempo, pensieri, ed energia, su cose che non sono nella vostra sfera d’influenza. Come
attori, non dovreste mai preoccuparvi del “talento”. Il talento, ammesso che esista, è
completamente fuori dal vostro controllo. Qualsiasi cosa sia il talento, o ce l’avete oppure
no;quindi perché buttare via energia e preoccuparsi?L’unico talento di cui avete bisogno,
come attori, è il talento per la fatica, o, in altre parole, la capacità di applicarvi ad imparare
quelle tecniche che costituiscono l’arte dell’Acting. Per dirla semplicemente, chiunque puó
essere un attore se ha la volontà per farlo, e chi dice che vorrebbe farlo ma non è per lui soffre
di mancanza di volontà, non mancanza di talento.
Un’ altra importante parte del lavoro dell’attore consiste nel trovare il modo per vivere
onestamente dentro le circostanze date del Play. Quindi, l’attore deve essere in grado di
decidere cosa succede nel testo, in termini semplici ed agibili. Se l’attore trova, per ogni
scena, qualcosa di fisicamente fattibile su cui investire, avrà sempre qualcosa di piú
importante a cui pensare che non sia il successo o il fallimento della sua performance. Di
nuovo, l’attore deve usare il suo senso comune per identificare ció su cui puó esercitare
un’influenza e ció su cui no. I vostri sentimenti non potete controllarli, quindi non rientra
nell’ambito del buon senso dire “devo provare certi sentimenti “ al fine di applicarli a dei
momenti di una data scena. Invece, dovete essere in grado di dire “questo è ció che sto per
andare a fare nella scena, e lo faró noncurante di qualsiasi sensazione provi”.
Bisogna capire che l’arte dell’Acting, come la falegnameria, è un mestiere con un determinato
insieme di tecniche e strumenti. Usando assiduamente la vostra volontà per interiorizzare
questi mezzi, alla fine diventeranno abituali. Ed una volta che avete digerito la tecnica, non
avrete piú bisogno di concentrarvi sul come fare le cose; la tecnica che avete sviluppato,
infatti, lavorerà per voi e vi permetterà di agire senza piú limiti. Ad esempio, se avete lavorato
a lungo e duramente sullo sviluppo della vostra voce, potete finalmente essere liberi di
concentrarvi su quello che succede in scena piuttosto che sul riuscire ad essere sentiti.
Se tutto ció sembra difficile, bene, lo è. L’Acting richiede buon senso, coraggio, e molta
volontà: il buon senso di mutare qualsiasi tipo di testo in termini semplici ed agibili; il
c o r a g g i o di buttarvi a capofitto nel P l a y a dispetto della paura del fallimento,
34
dell’introversione, e di un migliaio di altri ostacoli;e la volontà di restare con i vostri ideali,
anche se puó non essere la cosa piú semplice da fare.
A questo mondo comunicare gli uni con gli altri ad un livello viscerale, semplice, ed onesto, è
una cosa che sembra essere sempre piú difficile. Tuttavia continuiamo ad andare al teatro per
stare in comunione con ció che di vero c’è nella nostra esistenza, e, idealmente, usciamo dal
teatro con la consapevolezza che quel tipo di comunicazione è ancora possibile. Il teatro ha il
potere di mostrare dei semplici valori in un modo tale che puó ispirare il pubblico a vivere
proprio secondo quei valori. Vedere un individuo che fa tutto ció che è in suo potere per
fronteggiare situazioni impossibili, senza alcun riguardo per la paura che prova, permette agli
spettatori di trovare quella sensazione anche all’interno di loro stessi. Quella volontà di ferro
non è la volontà dell’attore di dare un “splendida performance” sul palco; piuttosto di portare
i propri semplici valori umani e le azioni verso cui questi ultimi lo spingono. In un momento
in cui la verità e la virtú sono cosí rare in quasi ogni area della nostra società, il mondo ha
bisogno del teatro ed il teatro ha bisogno di attori che portino la verità dell’animo umano sul
palco. Il teatro potrebbe essere il solo posto oggigiorno in cui le persone vanno ad ascoltare la
verità.
Presentazione generale della tecnica
Tecnica significa conoscenza degli strumenti che possono essere usati in un certo mestiere e
comprensione di come utilizzarli. In falegnameria, il falegname prima impara a conoscere
quali sono gli strumenti del suo mestiere e poi ne studia l’applicazione per la costruzione di
oggetti. Allo stesso modo, l’attore deve sapere quali sono gli strumenti a sua disposizione e
poi come li puó applicare alla realizzazione di un Play. Questa conoscenza costituisce la sua
tecnica.
Acting significa vivere in maniera veritiera all’interno delle circostanze immaginarie di un
Play. Puó essere suddiviso in due sezioni: azione e momento. L’azione è quello che si va a
fare sul palco, il processo fisico di cercare di ottenere qualcosa di specifico, cosa spesso
indicata come “l’obiettivo”. Il momento è ció che, istante per istante, vi succede in scena
mentre cercate di raggiungere l’obiettivo di cui sopra. Teoricamente, ogni momento del Play
si fonda su cosa è appena successo nel momento precedente. Acting quindi significa avere a
che fare con gli altri attori sul palco in modo veritiero mentre si cerca di raggiungere il
proprio scopo. L’attore dovrebbe prepararsi in modo che puó improvvisare sul palco, pur
restando fedele a certe circostanze date. Le circostanze date sono qualsiasi limite stabilito
dallo scrittore o dal regista all’interno del quale l’attore deve rimanere. Il posto in cui il Play è
ambientato, e tutto ció che ne segue, come, ad esempio, dialetti, costumi, ambienti,
costituiscono circostanza data. Qualsiasi peculiarità fisica stabilita dallo scrittore per il
personaggio, come potrebbe essere lo zoppicare o l’avere una gobba, è una circostanza data.
Per ultimo, ogni cosa richiesta dal regista, dal posizionamento degli attori sul palco alla
necessità di urlare o piangere in un determinato momento, è una circostanza data e deve
essere rispettata dall’attore come tale. A volte il regista puó decidere di cambiare alcune
circostanze date del Play, come il posto in cui lo scrittore lo ambienta o il periodo in cui
prende vita, con idee proprie. In questo caso l’attore dovrebbe semplicemente accettare i
cambiamenti del regista come nuove circostanze date.
La preparazione è il lavoro che fa l’attore sul testo, al fine di trovare l’azione da perseguire
per ogni scena del Play (vd. I capitoli “Azione fisica” e “Analizzare una scena”).
L’improvvisazione è l’atto di scegliere, momento per momento ed in modo impulsivo, come
realizzare l’azione, e questa scelta si basa su come gli altri attori stanno vivendo la scena in un
dato istante (vd. Il capitolo “La verità del momento”). Tutto questo puó sembrare semplice,
ma non c’è nulla di semplice nel trovare un obiettivo forte ed agibile per ogni scena, e né è
35
facile capire a livello viscerale cosa sta vivendo l’altra persona ed agire impulsivamente su
queste sensazioni. Questa è una abilità che puó essere acquisita solo con anni di pratica.
L’attore deve capire che una semplice tecnica non puó metterlo nella condizione di essere un
attore. Piuttosto, essa gli fornisce degli strumenti che, insieme alla forza di volontà, al
coraggio, e al buon senso, possono aiutarlo a portare un nucleo di vita nelle circostanze create
dal drammaturgo.
La prima parte di questo libro è una presentazione ed una spiegazione degli strumenti che
l’attore ha a sua disposizione. Piú l’uso di questi strumenti diventa abituale, piú facile sarà per
l’attore avere a che fare con i trabocchetti che popolano il mondo del teatro professionistico,
di cui si parla nella sconda metà del libro. Il Training non è niente altro che rendere questi
strumenti cosa abituale, cosí come le prove servono essenzialmente a far familiarizzare
l’attore con le azioni scelte per il Play. Una volta che queste cose sono state assorbite, non
devono piú essere richiamate alla mente. Solo allora si è liberi di agire.
36
Parte prima: la tecnica
Capitolo 1: l’azione fisica
Acting significa fare. Quindi bisogna sempre avere qualcosa di specifico da fare sul palco o
altrimenti c’è un’interruzione istantanea dell’Acting. Questo è il motivo per cui l’azione fisica
è cosí tanto importante per l’attore. Definita semplicemente, un’azione è il tentativo fisico di
ottenere uno scopo specifico. L’azione fisica è il mattone su cui è costruita la tecnica
dell’attore, perché è l’unica cosa che voi, attori, potete fare costantemente sul palco. Scegliere
una buona azione è una ricchezza insostituibile che puó essere acquisita solo dopo aver
lavorato a lungo e duramente. In questo capitolo si trovano le caratteristiche di una buona
azione;usatele come lista per controllare che l’azione che state scegliendo per la vostra scena
rispetti tutti i punti.
Un’azione:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Deve essere fattibile fisicamente
Deve essere divertente
Deve essere specifica
Deve aver riscontro nell’altra persona
Non puó essere una “commissione”
Non puópresupporre nessuno stato emotivo o fisico
Non puó essere manipolatoria
Deve avere una fine
Deve essere in linea con le intenzioni del drammaturgo
1. Un’azione deve essere fattibile fisicamente. Momento per momento, dovreste essere in
grado di cominciare a farla. Ad esempio, “implorare per essere aiutati” è qualcosa che
si puó iniziare a fare subito in ogni momento. Tutti sanno come si fa. D’altro canto,
“rincorrere il sogno americano” non è qualcosa che si puó fare da subito, su due piedi.
Dire che qualcosa è fattibile fisicamente non significa che ci debba essere una intensa
attività fisica come saltare su e giú o aggredire qualcuno. Chiedere aiuto implorando è
qualcosa che si puó fare da calmi e seduti su una sedia. Un’azione deve essere tale che
voi, attori, siate messi nella condizione di ottenere davvero qualcosa sul palco.
2. Un’azione deve essere divertente. Come si vedrà nell’analisi del testo (vd. Cap. 2), un
certo numero di azioni possono essere corrette per una particolare scena. Il buon senso
vuole che siate voi, come attori, a scegliere quella che volete portare avanti, in quanto
sarete voi a doverla fare tutte le sere della settimana. Con divertente non s’intende
necessariamente qualcosa che vi faccia ridere, piuttosto qualcosa che vi risulti davvero
stimolante. Questo potrebbe includere cose che non fate mai nella vita reale, ma che
comunque suscitano la vostra attrazione al pensiero di farle. Se avete tanto desiderato
sgridare qualcuno in malo modo, per esempio, eccovi soddisfatti. Qui lo strumento
principale è il linguaggio. Piú questo è attivo, vitale, istintivo, infatti, piú vitalità verrà
portata sul palco, per il semplice motivo che l’azione sarà molto piú stimolante per voi
stessi. È molto piú divertente “cercare di far vuotare il sacco ad un amico” piuttosto
che “convincere qualcuno a darci un’informazione”. Ci saranno volte,
occasionalmente, in cui un’azione apparentemente mondana è perfettamente corretta
per una scena. Il punto della questione è trovare l’azione che voi volete fare. Cosa vi
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mette in moto? Il modo in cui parlate a voi stessi è il modo in cui agirete. Se siete
chiari, specifici, e forti nei riguardi di voi stessi, allora è probabile che sarete cosí sul
palco.
3. Un’azione deve essere specifica. Stanislavskij disse che “la non specificità è la nemica
di tutte le arti”, e nulla potrebbe essere piú vero. Se la vostra azione è aspecifica, allora
tutto quello che fate sul palco lo sarà. La specificità di un’azione come “riuscire a
cavar fuori una risposta importantissima” vi darà molta piú vita rispetto alla vaghezza
di “scoprire qualcosa”. Inoltre, un’azione specifica vi fornisce un percorso chiaro e
specifico che potete seguire mentre fate la scena.
4 . Un’azione deve essere tale da aver riscontro nell’altra persona. Un’azione è il
tentativo fisico di raggiungere uno scopo specifico, e quest’ultimo deve essere in
relazione all’altra persona. In altre parole, guardando il vostro partner, dovreste essere
in grado di capire quanto siete vicini al raggiungimento o meno. Questo inoltre vi farà
mettere meno attenzione su voi stessi e vi permetterà di concentrarvi su qualcosa di
infinitamente piú interessante della qualità della vostra performance: l’altra persona.
Se la vostra azione è “obbligare un nemico a fare ció che gli ordino”, istante per
istante dovreste poter dire quanto questi stia per accettare o meno, e solo quando avrà
accettato allora l’azione potrà dirsi conclusa.
5. Un’azione non puó essere una “commissione”. Una commissione è un’azione che non
ha riscontro nell’altra persona. “Consegnare un messaggio” non è una buona azione da
scegliere, in quanto non sottintende il bisogno di guardare il proprio partner per vedere
se è stata portata a termine o meno. Inoltre, puó essere portata a termine
istantaneamente lasciandovi con nulla da fare per il resto della scena. Se scegliete
un’azione che vi fa lavorare su quello che vi da l’altra persona, nel corso della scena
acquisterete vitalità. Raggiunta troppo velocemente e facilmente, una commissione è
noiosa sia per voi che la eseguite sia per il pubblico che vi guarda. L’azione deve
essere qualcosa che non è detto a priori che ce la facciate a raggiungere; una
commissione invece non si puó sbagliare.
6. Un’azione non puó presupporre alcuno stato fisico o emotivo, né in voi né nel vostro
partner. Non è possibile autoindursi uno stato fisico o emotivo (come, ad esempio,
fame, rabbia, tristezza, ubriachezza) in quanto questi non rientrano nel nostro
controllo. Qualsiasi azione che vi richieda uno di questi stati prima o durante una
scena vi forzerà ad agire una bugia, in quanto la verità è che voi non siete in quello
stato. Se cercate di caricarvi per raggiungere una certa condizione, la vostra attenzione
sarà completamente rivolta alla creazione ed al mantenimento di quella condizione
piuttosto che alla vostra azione. Come verrà detto in seguito dettagliatamente, non
esiste alcuna emozione che sia la sola corretta per una data scena. “Far sapere ad un
idiota quanto sono arrabbiato” è una cattiva scelta, perché non si puó eseguire a meno
che non siate arrabbiati. Un’azione migliore potrebbe essere “mettere un idiota al
posto suo”. Lo stesso rimane vero per il vostro partner. “Calmare il vostro partner che
è su di giri” non funziona, perché, se la persona che avete davanti non lo è davvero,
non avete nulla su cui lavorare. “aumentare la fiducia in se stesso di un amico”57 è una
scelta migliore perché non presuppone nessuno stato a priori del vostro amico; potete
57
NDT: Non è in relazione all’esempio subito precedente;non sono simmetrici.
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sempre provare ad aumentare l’autostima di qualcuno indipendentemente da dove è
già.
7. Un’azione non puó essere manipolatoria. Un’azione manipolatoria viene scelta al fine
di produrre un certo effetto sul vostro partner. Questo tipo di azione da adito ad un
atteggiamento tipo “io posso farti quello che voglio, ma niente di ció che fai tu mi
influenzerà”. In altre parole, decidete a priori come farete la scena e non permettete
che nulla vi sposti da quella linea. Un’azione tipo “far piangere qualcuno” è
manipolatoria. Un’azione come “obbligare un amico ad affrontare la realtà” potrebbe
tranquillamente far piangere il vostro partner, ma è piú probabile che il pianto sia la
reazione al modo in cui portate avanti la vostra azione, piuttosto che il risultato di una
manipolazione. Un’azione manipolatoria vi puó far agire in maniera predeterminata
piuttosto che reagire onestamente a quello che l’altro vi sta dando (vd. Cap . 3 su “La
verità del momento”)
8. L’azione deve avere una fine. La fine non è altro che quel segnale che l’azione che è
stata perseguita è andata in porto. Osservando il vostro partner, dovete essere in grado
di poter dire se avete concluso o no la vostra azione . Ad esmpio, “ottenere il perdono
di un amico” è un’azione con una fine. Lo sapete dal suo comportamento nei vostri
confronti se vi ha perdonato o no. D’altro canto, un’azione come “mantenere vivo
l’interesse di qualcuno” non ha una fine. Ora, Tutto dipende dalla scena in questione e
potreste anche non portare a termine la vostra azione, ma comunque dovete sempre
avere una fine contenuta nella vostra azione verso la quale indirizzare gli sforzi sul
palco.
9 . L’azione deve essere in linea con le intenzioni del drammaturgo. Questo è
estremamente importante, e puo essere capito anche meglio se visto insieme al
procedimento di analisi di una scena. Una volta che avete individuato esattamente
quali sono le intenzioni del drammaturgo, le azioni che scegliete devono essere
coerenti con esse. Ad esempio, in Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller,
nella scena in cui Willy torna a casa dopo il suo straziante viaggio, se l’attrice che fa
Linda sceglie un’azione tipo “rimettere qualcuno al suo posto” per quella scena, è
chiaramente non in sintonia con il drammaturgo. Qualcosa di piú coerente con la scena
potrebbe essere “dare il mio sostegno ad una persona amata”.
Ogni azione si presenta per sua natura munita di un infinito numero di strumenti, che sono i
modi in cui si puó eseguire l’azione. Per esempio, se la vostra azione è “farsi dare una risposta
secca”, potreste farlo esigendo, ragionando, intimidendo, o minacciando la persona da cui
volete la risposta. Dopo aver analizzato una scena, provate a fare una lista degli strumenti che
potreste usare quà e là per ottenere quello che cercate. Ma lo strumento giusto è, come vedrete
tra poco, principalmente determinato da quello che l’altra persona in scena sta facendo.
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Capitolo 2: analizzare una scena
Adesso che sapete cosa implica una buona azione, dovete imparare a scegliere la migliore
azione possibile per una data scena. La semplice formula che segue, se applicata con metodo,
porterà sempre come risultato ad un’azione agibile che sia anche in linea con le intenzioni del
drammaturgo. Chiedetevi queste tre cose:
1. Cosa sta facendo il personaggio letteralmente?
2. Come è riassumibile in termini di azione essenziale ció che il personaggio sta facendo
in scena?
3. Cosa significa per me questa azione? È come se…
1. Cosa sta facendo il personaggio letteralmente? La chiave per rispondere a questa
domanda giace nell’essere il piú possibile letterali;non interpretate né date colore a
quello che sta succedendo sulla carta stampata. Un personaggio puó dire e fare molte
cose in una scena, alcune delle quali apparentemente contraddittorie tra loro. Il vostro
compito è di trovare quell’unica cosa specifica, che egli sta facendo, che sia valida per
ogni riga della scena in questione. Affermate quello che il personaggio sta facendo
tramite una sola, precisa, frase, e non omettete nessuna battuta, non importa quanto
incoerente una certa riga o sezione possano sembrare.
Ecco un esempio: un uomo entra in una stanza, prende la sua pipa, cerca la busta del tabacco,
tira fuori la busta del tabacco da uno dei cassetti della scrivania, la apre, riempie la pipa, tira
fuori i fiammiferi. Ció che sta facendo letteralmente il personaggio è prepararsi a fumare la
pipa. Anche se aggiungiamo che il personaggio si rilassa sulla poltrona e si prepara a mettere
su un disco, quello che il personaggio sta facendo non cambia;mettersi comodo sulla sua
poltrona preferita e far partire la musica che preferisce fa sempre parte della preparazione per
fumare la pipa.
Per quanto strano possa sembrare, analizzare correttamente quello che sta facendo il
personaggio è vitale al fine di trovare una buona azione in scena. Inoltre, definire
correttamente ció che sta facendo il personaggio vi aiuterà a farvi rimanere coerenti con le
intenzioni del drammaturgo per tutto il resto dell’analisi. Quello che sta facendo il
personaggio non deve per forza essere stimolante per voi come attori, in quanto non andrà mai
ad essere la vostra azione sul palco. Piuttosto, fate in modo di rispondere accuratamente alla
prima domanda e non vi preoccupate della lista dei consigli dati nel primo capitolo. Dovete
ricordare che, ai fini dell’analisi, il personaggio esiste solo sulla carta stampata. Quindi le
risposte a questa domanda dovrebbero essere sempre formulate in terza persona.
2. Come è riassumibile in termini di azione essenziale ció che il personaggio sta
facendo in scena? Adesso che sapete ció che sta letteralmente facendo il personaggio,
il prossimo passo consiste nello scegliere l’azione essenziale, o essenza, che inglobi
quello che il personaggio sta facendo in scena. Stiamo parlando di quella azione fisica,
che porterete avanti sul palco, cosí come è stata descritta nel capitolo 2. L’azione è
l’aspetto essenziale di ció che il personaggio sta facendo. Ad esempio, nel secondo
atto, scena terza, di Golden boy di Clifford Odets:
Cosa sta facendo il personaggio letteralmente?
a. Joe sta convincendo Lorna a scaricare Moody e quindi a diventare la sua ragazza
b. L’azione essenziale insita in questo è Fare in modo che una persona amata si assuma
un grosso rischio
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Arrivare all’azione essenziale di quello che il personaggio sta facendo permette all’attore di
non dover avere a che fare con quelle connotazioni emotive che potrebbero essere suggerite
dalle circostanze date del Play. Ad esempio, in questa scena Joe è innamorato di Lorna, ma
l’azione essenziale è convincerla ad assumersi un grosso rischio. Lavorando al fine di far fare
qualcosa a lei, piuttosto che provare ad essere innamorato per tutta la durata della scena,
l’attore si troverà sul pianeta del concretamente fattibile, non nel nebbioso mondo dei
sentimenti fuori dal suo controllo. L’azione essenziale, quindi, è quello che rimane in scena
quando si eliminano tutte le idee sui sentimenti del personaggio, che voi pensate l’autore stia
suggerendo momento per momento, e si passa a quello che questi sta cercando di ottenere.
L’idea di Lorna che scarica Moody per Joe già contiene tutti gli aspetti emotivi del triangolo
amoroso, ma quello che davvero è essenziale per il risultato finale è che una persona stia
cercando di convincerne un’altra a giocarsi una carta importante.
La scena avrà sicuramente una vita emotiva, ma una che nasce spontaneamente dal tentativo
dell’attore di raggiungere qualcosa, dal grado del suo successo o fallimento, e da come
reagisce all’altra persona mentre cerca di raggiungere il suo obiettivo. L’attore non ha bisogno
di spremere il cervello o fare chissà cosa per raggiungere queste cose. Se realmente si butta
anima e corpo nel cercare di far assumere un rischio all’altra persona, il pubblico crederà, a
causa delle circostanze date del Play, che nel farlo è spinto dall’amore, anche se le ragioni che
egli si da per agire magari non hanno nulla a che fare con l’amore, come sarà spiegato nella
prossima sezione di questo capitolo. L’attore non ha bisogno di rinfrescare la memoria del
pubblico riguardo alle circostanze date, quindi l’unica cosa che gli rimane da fare è illustrare
quell’aspetto della scena che il testo non puó, per sua natura, illustrare: l’atto fisico di portare
a termine l’azione essenziale della scena.
L’azione fisica deve essere conforme ai consigli elencati precedentemente. Mentre nel primo
passo vi chiedevate “cosa sta facendo il personaggio letteralmente?”, adesso vi chiedete “che
cosa vado a fare sul palco?”.
Diamo una sguardo al personaggio di Happy in Morte di un commesso viaggiatore. Nella
seconda scena del primo atto Happy è al piano di sopra che parla col fratello Biff, essendo
stato svegliato dal padre che fa degli strani rumori di sotto. In questa scena Happy

rompe il ghiaccio con Biff dopo una lunga separazione

riesce a far aprire Biff

racconta a Biff tutto quello che gli è successo da quando è andato via

cerca di saperne di piú sulla vita di Biff

esprime insoddisfazione sulla propria vita

considera la proposta d’affari di Biff
Quando mettiamo tutte queste componenti insieme, quello che il personaggio sta facendo è
parlare a cuore aperto col fratello. L’essenza di quello che il personaggio sta facendo nella
scena potrebbe essere, ad esempio, riportare una persona amata sulla giusta via. Gli
strumenti58 che potreste usare per mettere in pratica l’azione sono: ascoltare, rimproverare,
confrontarsi, dare una lezione, e cosí via.
Per una data scena, non esiste una ed una sola azione essenziale scolpita nella roccia. Dovete
decidere da soli la migliore azione per una certa scena, tenendo a mente i punti elencati nel
primo capitolo. Il fatto che stiamo applicando il concetto di azione fisica ad una scena di un
Play, non cambia i prerequisiti dell’azione fisica: ossia che deve essere fisicamente fattibile,
58
La parola “strumento” è usata piuttosto spesso in questo libro. Per amor di chiarezza, desideriamo puntualizzare che viene
usata con due significati: gli strumenti di base che costituiscono l’arte dell’acting, come la voce, la capacita’ di analizzare un
scena, e cosí via;e gli strumenti di una specifica azione
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divertente, avere riscontro nell’altra persona ecc. ecc. Come vedrete, l’uso di una buona
azione all’interno di un testo porta l’attore, e quindi il Play, a vivere.
Potete eseguire solo un’azione alla volta, quindi quella scelta deve essere appropriata per tutta
la scena. In caso non ce la facciate ad arrivare ad una sola azione, allora o avete bisogno di
fare un’ananlisi piú dettagliata o la scena va spezzata in parti che chiameremo beats. Una Beat
è una singola unità di azione, e un cambio di Beat avviene quando inizia una nuova azione.
C’è un Beat Change quando viene introdotta una nuova informazione oppure quando si
immette qualcosa di nuovo sul quale il personaggio non ha alcun controllo, e, proprio per
adattarsi, deve cambiare ció che sta facendo. Attenzione a non confondere l’ultima cosa detta
con il provare ad eseguire la stessa azione in modo diverso, ad esempio cercando di utilizzare
uno strumento diverso. (Un esempio di beat change è discusso piú avanti in questo capitolo
con un esempio tratto da Edipo Re).
Di seguito qualche esempio di azioni e di come possono servire una data scena. La seguente è
la famosa scena tratta da Un tram chiamato desiderio di Tennessee Williams, in cui Stanley
Kowalski grida “Stella!” (atto 5, scena 3):
STANLEY: Stella!(c’è una pausa). La mia bambina m’ha lasciato!(inizia a
singhiozzare. Quindi si dirige verso il telefono e compone un numero, ancora in
preda al pianto). Eunice?Voglio la mia bambina(aspetta un istante;poi attacca e
ricompone il numero). Eunice!Continueró a chiamare fino a che non parlo con la
mia bambina!(sbatte il telefono per terra… Alla fine Stanley si trascina mezzo
nudo verso il portico e giú per gli scalini di legno fino ad arrivare al marciapiede
che fronteggia la casa. Quindi butta la testa all’indietro come un cane da caccia
che abbaia, e grida il nome di sua moglie) Stella!Stella!Amore!Stella!Stelllahhhh!
EUNICE (dall’appartamento di sopra): Falla finita di strillare come un lupo e
vattene a dormire!
STANLEY: Voglio la mia bambina qui. Stella, Stella!
EUNICE: guarda che giú non ci viene, quindi basta! oppure chiamo la polizia!
STANLEY: Stella!
EUNICE: non puoi picchiare una donna e poi richiamarla!non verrà!e poi sta per
avere un bambino!farabutto!delinquente di un polacco che sei!spero che ti portino
dentro e ci pensino loro…, come l’altra volta!
STANLEY (umilmente): Eunice, voglio che la mia ragazza venga giú da me!
EUNICE: Hah! (sbatte la porta)
STANLEY (con grande violenza): STELLAHHHHHH!(la porta di sopra si apre.
Stella viene giú per la scala di sicurezza in camicia da notte… si abbracciano…)
Cosa sta facendo letteralmente il personaggio? Abbiamo deciso che Stanley sta
strillando per far venir stella a casa da lui. Voi potreste anche formularla in altro
modo;ma al fine di questo esempio assumiamo che il precedente è il miglior
riassunto possibile delle battute di Stanley.
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1. Come è riassumibile in termini di azione essenziale quello che il personaggio sta
facendo in questa scena? Di seguito, solo alcune delle possibili azioni che potrebbero
andar bene per questa scena:
a.
b.
c.
d.
e.
f.
Implorare il perdono di una persona amata
Chiarire un terribile malinteso
Riprendersi ció che è mio di diritto
Implorare una persona amata di darmi un’altra possibilità
Far capire ad un inferiore chi comanda
Fare ammenda del cattivo comportamento
Tutte le azioni di cui sopra, pur differenti tra loro, potrebbero andar bene per ció che si
richiede dalla scena in questione. Notate che ognuna è formulata chiaramente ed in
modo coinciso, rendendola di conseguenza semplice da agire. Inoltre, ognuna è
coerente con i punti del primo capitolo. Per quanto riguarda gli esempi C e D,
un’azione è sempre formulata in prima persona. Per ultimo, in quelle azioni in cui
un’altra persona viene menzionata, il tipo di relazione influirà moltissimo sul modo in
cui l’azione verrà portata avanti. Siate estremamente specifici quando includete nella
vostra azione la natura della relazione. Nel caso di Stanley e Stella, i personaggi sono
marito e moglie. In ogni modo, a seconda della situazione, marito e moglie possono
essere compagni, avversari, migliori amici, amanti, studente ed insegnante, o rivali,
solo per citarne alcuni. Cosí come scegliete l’azione essenziale in modo specifico,
dovete chiarire a voi stessi la natura della relazione con la stessa specificità, in quanto
renderà l’azione molto piú significativa ai vostri occhi. Di nuovo, la domanda da porvi
è “Cosa rappresentano marito e moglie in questa scena particolare?” Infatti, se sapete
con chi avete a che fare nella scena, avrete anche molto piú chiaro come andare ad
eseguire la vostra azione. Ricordate che la natura della stessa relazione in un play puó
cambiare da scena a scena. Nel Tram chiamato desiderio, Stanley e Stella possono
essere amanti in una scena e nemici giurati in un’altra.
A volte la natura della relazione è definita chiaramente dal drammaturgo. In questi
casi non avete bisogno di includere la natura della relazione nella vostra analisi in
quanto non influirà sul modo in cui eseguirete l’azione. Dovete, ogni volta, usare il
vostro discernimento per poter giudicare se, in fase di analisi del testo, è il caso di
includere la natura della relazione.
L’azione non deve essere una semplice riformulazione della risposta alla prima
domanda, “Cosa sta facendo il personaggio letteralmente?” Questo è dovuto al fatto
che non è possibile credere che voi siate il personaggio che state ritraendo. È
semplicemente impossibile, a meno che non siate pericolosamente psicotici, e se
quello è il caso allora questo libro vi servirà a poco. Se vi viene chiesto di credere
davvero di essere Stanley Kowalski e di ritenere l’attrice che ritrae Stella vostra
moglie, prima o poi il vostro intelletto si ribellerà a questo invito;la mente non si
inganna con nessun trucchetto. Il proposito dell’azione fisica è di darvi qualcosa di piú
interessante, importante, e divertente su cui concentrarvi piuttosto che provare a
credere ai fatti fittizi del testo. Come vedrete nel capitolo 10, non dovrete mai
preoccuparvi della creazione del personaggio che state facendo, perché la
maggiorparte di questo lavoro è già stata fatta, per voi, dallo scrittore.
Ad esempio, se Stanley sta, come abbiamo stabilito precedentemente, strillando per
far venire Stella a casa da lui, e voi avete scelto di esigere che una persona amata
torni, avete semplicemente reiterato la risposta alla domanda 1 usando delle parole
leggermente diverse. Di conseguenza non avete fatto una scelta specifica e dovrete
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dipendere dal modo in cui vi arrangiate a dire le battute per il resto della scena. La
differenza tra l’azione che voi scegliete e quello che sta facendo il personaggio crea
del movimento che ha come poli di oscillazione quello che viene detto nel testo e
quello che voi fate sul palco. Questa dinamica è parte di ció che crea l’illusione del
personaggio agli occhi del pubblico (vd. Cap 10), ció che dona vita alla scena.
Una buona azione vi aiuterà a far entrare la vostra personalità nel ruolo, perché siete
voi che avete scelto quello che andrete a fare. Trovare una buona azione e restarle
fedele è estremamente importante. È lo strumento piú potente che, come attori, avete a
disposizione.
2. Cosa significa per me questa azione? è come se… Il terzo passo nel fare l’analisi di
una scena prevede l’uso dell’immaginazione dell’attore. Come vedrete, il “come se”
serve molti fini di cruciale importanza ed è il completamento logico del processo di
analisi. Aiuta l’attore ad avere una piú profonda comprensione dell’azione che ha
scelto per una certa scena. Inoltre esso da all’attore un’idea chiara delle eventuali
conseguenze che seguirebbero il non portare a termine l’azione, vale a dire che il
“come se” equivale alla posta in ballo della scena in questione. Questo è importante
soprattutto per quel che riguarda l’essere coerenti con le intenzioni del drammaturgo.
Infine, il “come se” rinforza il senso del Play dell’attore, cosa che è vitale nel suo
lavoro.
La strada per ottenere tutti i vantaggi menzionati sopra non è quella di investire in uno
stato emotivo, ma piuttosto di creare un’adeguata e tangibile posta in gioco da inserire
nell’azione che avete scelto. Il modo con cui interiorizzate l’azione infatti è proprio il
“come se”. È un semplice mezzo mnemonico, un suggerimento attraverso il quale
ricordate a voi stessi che cosa l’azione significa per voi a livello personale. Dovrebbe
essere una fantasia semplice, divertente (ancora: con ció si intende stimolante), nella
quale usate la vostra immaginazione senza mettere la razionalità in condizione di
essere forzata. Ad esempio, creare un “come se” in cui vi siete infiltrati nell’esercito
nazista, il quale vi ha rapito la famiglia, puó essere una fantasia interessante, ma a
meno che non abbiate esperienza come spia internazionale, tale “come se” non
funzionerà perché non avete alcuna idea di come comportarvi fisicamente e
concretamente in quella circostanza. In altre parole, non è qualcosa che potete agire.
Volendo usare di nuovo l’esempio di Stanley Kowalski, ecco qualche esempio di
“come se” appropriati:
1. Cosa sta facendo il personaggio letteralmente? Sta strillando per far venire Stella a
casa da lui(questo punto rimarra ‘ lo stesso per le azioni e i “come se” che seguono).
2. Come è riassumibile in termini di azione essenziale quello che il personaggio sta
facendo in scena?implorare il perdono di una persona amata.
3. Cosa significa per me questa azione?è come se avessi rotto un prezioso oggetto di mia
madre appartenente alla mia famiglia da tanto tempo, e lei mi avesse buttato fuori di
casa. Per essere riammesso devo implorare il suo perdono.
Questo è un buon “come se” per tante ragioni. In primo luogo, è qualcosa che potrebbe
succedere. Quindi posso accettarlo mentalmente in maniera incondizionata ed agirlo
immediatamente. In secondo luogo, è semplice e diretto e non complica l’azione. In terzo
luogo, è in linea con le intenzioni del drammaturgo perché la posta in gioco è alta: se non
ottengo il perdono di mia madre succederà qualcosa di terribile: non saró piú ammesso a casa.
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Nella scena, se Stanley non convince Stella a venire a casa da da lui, anche lui subirà una
grave perdita.
Un “come se” dovrebbe essere fatto di non piú di due o tre frasi semplici, in modo che sia
subito accessibile. Dovrebbe essere piuttosto dettagliato al fine di far scattare la vostra
immaginazione, ma non cosí dettagliato da diventare un sostituto della scena. Se il precedente
“come se” fosse stato formulato semplicemente “è come se avessi litigato con mia madre”,
sarebbe stato inefficace. Due dettagli, aver rotto il cimelio di famiglia ed essere stato buttato
fuori, lo rendono personale e gli danno il giusto valore in relazione alla scena.
Qui di seguito ci sono le azioni citate prima e dei possibili “come se”:
Azione: chiarire un terribile malinteso
Come se: me ne fossi stato tranquillo immerso in una vasca con un’amica, e il suo ragazzo
fosse entrato e avesse pensato che stesse succedendo qualcosa. Devo spiegargli che nulla
stava succedendo alle sue spalle
Azione: riprendersi ció che è mio di diritto
Come se: esigessi che la mia matrigna restituisca a me e a mia sorella la proprietà che mio
padre ci ha lasciato dopo la sua morte, e che lei ora sta cercando di prendere con l’imbroglio
Azione: implorare una persona amata di darmi un’altra possibilità
Come se: stessi persuadendo la mia fidanzata a non rompere la nostra relazione dopo che ha
scoperto della storia che ho avuto mentre era via
Azione: mostrare ad un sottoposto chi è che comanda
Come se: la mia nuova segretaria avesse iniziato a dettar legge il primo giorno di lavoro, ed
io le avessi detto che farebbe meglio a seguire le mie regole o cercarsi un altro posto
Azione: fare ammenda del cattivo comportamento
Come se: mi stessi scusando con i parenti del mio migliore amico per essermi presentato
ubriaco e straparlante alle loro nozze d’argento, e avessi fatto la figura dell’idiota
Ricordate che il “come se” è un semplice strumento mnemonico, un modo per permettervi di
trovare la scintilla che vi fa investire personalmente nella scena. Mai e poi mai dovreste
portare il “come se” sul palco con voi;è qualcosa che voi avete creato a vostro uso al fine di
personalizzare l’azione e mettervi in moto. Il fatto che i “come se” siano estremamente diversi
dal contenuto della scena non è un caso. Il “come se” è lí per portarvi via dalla scena, via dai
fatti fittizi del testo, per farvi trovare dei paralleli che siano direttamente accessibili a voi, e
quindi agibili. Una volta che avete usato il “come se” per investire personalmente in una certa
scena, le battute di dialogo e le attività fisiche che seguono di conseguenza sono
semplicemente strumenti che vi aiutano ad eseguire l’azione.
Il grande dilemma all’interno della storia dell’acting è se gli attori debbano sentire, momento
per momento, quello che il loro personaggio si suppone stia provando. Il punto è: come
stanno le cose dal punto di vista del pubblico?Il punto cruciale è che l’attore non sta sul palco
per denudarsi davanti al pubblico e nemmeno per avere una esperienza privata, ma per aiutare
una storia ad essere raccontata. Ad un certo punto il drammaturgo potrebbe volere che
l’attrice pianga per la morte del suo amante fittizio. Tutto quello che è necessario è che il
pubblico creda che lei sia turbata. Il pubblico non saprà nulla dei risultati della vostra analisi.
Potreste star facendo una scena in cui il vostro personaggio ha a che fare con la sua ragazza,
ma il vostro “come se” riguarda vostro fratello. Quello che il pubblico vede è qualcuno che ha
bisogno di ottenere qualcosa dall’altra persona in scena, e la sua comprensione di quel
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bisogno si baserà sugli elementi del Play, dato che questi sono la sola informazione di cui
dispone. Il pubblico viene a teatro disposto a credere ad una storia. L’attore viene a teatro per
aiutare la storia ad essere raccontata, non imponendo al suo cervello di credere cose che non
sono vere, ma piuttosto applicando la tecnica che ha imparato per creare un’illusione.
Adesso che abbiamo parlato degli elementi che fanno un buon “come se”, ecco i principali
tranelli da cui guardarsi quando iniziate ad usare la vostra immaginazione in questo modo cosí
disciplinato.
Siate scettici dei “come se” troppo vicini alla vostra vita personale. In quanto per alcune
persone eventi terribilmente pieni di emozioni, come ad esempio la morte recente di una
persona amata, non sono un buon materiale, perché li farà chiudere. Se sentite che mostrare
certi sentimenti che riguardano un evento è una violazione della vostra intimità, o se
semplicemente la cosa è ingovernabile nel contesto del vostro lavoro, non è buon materiale
per un eventuale “come se”. I “come se” servono per aiutarvi a fare un investimento, non per
obbligarvi a tirar fuori dei segreti intimi. Il compito dell’attore non è quello di portare la verità
della sua vita personale sul palco, ma piuttosto di portare la sua verità cosí come è rispetto al
punto di vista dei bisogni del play. Abbiamo notato che “come se” basati sul desiderio di
aiutare qualcun altro sono, in qualche modo, molto efficaci e fonte di gran divertimento.
Al fine di creare un buon “come se” dovete usare la vostra imaginazione, non semplicemente
reiterare gli eventi di una data scena. Ad esempio, se la scena riguarda un personaggio che
deve portare la notizia della morte del padre alla madre, non usate dei “come se” in cui fate
esattamente ció. Se lo fate, il vostro lavoro cadrà nella generalità, perché, cercando di rendere
quello che è stampato sulla carta, sarete automticamente caduti nella trappola di cercare di
essere il personaggio. Inoltre, come è stato menzionato precedentemente, non è il caso di
rimettere la vostra concentrazione sulle immaginarie circostanze, in quanto non è il caso di
mettervi nella posizione di dover credere alla finzione del testo. È saggio evitare alcuni
argomenti nella creazione dei “come se”. Non possiamo dirvi esattamente quali, perché
variano da persona a persona. Vi suggeriamo, comunque, di evitare qualsiasi cosa che sia una
“faticata” nella vostra vita quotidiana, qualsiasi cosa che vi faccia esclamare “Oddio!” o “non
un’altra volta!”. Scegliete cose che vi eccitano solo all’idea. Perché avere una fantasia di serie
B quando potete averne una di serie A? Scegliete qualcosa che davvero vi faccia voler agire
l’azione che avete scelto per la scena. Prendete il tempo necessario per scoprire a cosa tenete
davvero, cosa sul serio vorreste fare se ve ne fosse data la possibilità. In altre parole,
GIOCATE! Migliore il vostro “come se”, migliore la vostra azione, e quindi la vostra umanità
entrerà nel lavoro con la massima forza possibile.
I principi che riguardano l’analisi di un intero Play sono gi stessi dell’analisi di una singola
scena. Il solo concetto in piú è quello di Azione Definitiva. Con questo termine si intende
quell’Azione al cui interno sono contenute tutte le azioni, ovvero la somma delle azioni.
Dovete decidere qual’è il vostro scopo ultimo all’interno del play e quindi fare in modo che
ogni singola azione sia un passo in piú verso il raggiungimento di tale scopo. A volte è
difficile individuare la vostra Azione Definitiva immediatamente. Se quello è il caso, basta
dividere il play in sezioni, estrapolare l’azione da ogni sezione, e quindi trovare il collante che
le tiene insieme. Quel collante, una volta messo all’interno dell’analisi, è proprio l’Azione
definitiva del ruolo che state facendo. In qualunque modo troviate l’Azione Definitiva, dovete
comunque seguire la prassi dell’analisi in tre passi in maniera accurata e dettagliata come per
le singole azioni. L’azione definitiva andrà ad essere un modo per calibrare e dosare le singole
azioni. Un’Azione Definitiva è piú ampia, come idea, di una singola azione e non si mette in
pratica sul palco. Esiste solo per dare una direzione coerente alle sezioni in cui avete diviso il
testo ed alle relative azioni. Ad esempio, se state facendo il ruolo dell’ingenua in 42nd Street,
un’ottima Azione definitiva potrebbe essere “realizzare il sogno di una vita”. Inoltre, un
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adeguato “come se” vi daràil senso del valore della posta in gioco e vi personalizzerà il ruolo.
D’altro canto, “realizzare il sogno di una vita” è un concetto troppo grande per essere usato in
una singola scena, in quanto non è conforme ai punti discussi nel capitolo 1. Ricordate che la
corretta unità di concentrazione dell’attore è la scena. Il vostro compito è di ottenere una cosa
alla volta;se tentate di agire l’Azione definitiva perderete inequivocabilmente tutta la
specificità raggiunta con l’analisi di ogni scena. L’Azione Definitiva esiste solo come
strumento d’analisi. L’analisi che segue, tratta da Edipo Re, illustra il concetto di Azione
Definitiva ed il modo in cui entra in relazione con le singole Beats del Play.
PERSONAGGIO: Edipo
Prologo
Cosa fa il personaggio:
Edipo dice ai cittadini di Tebe che sta facendo tutto ció che è in suo potere per
combattere la peste
Edipo si fa dire da Creonte il responso dell’oracolo
Edipo dice che farà il possibile
Analisi:
1. Edipo sta facendo di tutto per risolvere il problema della peste
2. Rassicurare le persone che fanno affidamento su di me che sono in grado di risolvere
il problema
Strumenti:
Calmare, spiegare, prendere il controllo, promettere, placare
Scena 1:
Cosa fa il personaggio:
Edipo maledice l’assassino e tutti quelli che l’hanno aiutato
Edipo fa dire a Tiresia quello che sa
Edipo accusa Tiresia di cospirare con Creonte
Edipo cerca di saperne di piú
Edipo dice a Tiresia di andarsene
Analisi:
1. Edipo sta cercando di scoprire chi è l’assassino
2. Cavar fuori la risposta ad una domanda di cruciale importanza
Strumenti:
Interrogare, supplicare, ragionare, confrontarsi, esigere, minacciare, accusare
Scena 2:
Cosa fa il personaggio:
Edipo accusa Creonte di tramare per salire sul trono
Edipo permette a Giocasta di far andare Creonte
Beat change:
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Edipo interroga Giocasta riguardo all’assassino
Edipo dice a Giocasta il fatto dell’omicidio al crocevia
Edipo suggerisce che potrebbe essere stato lui stesso ad aver ucciso Laio
Edipo convince Giocasta a mandare a chiamare il pastore
Analisi:
1. Edipo sta accusando Creonte di volergli usurpare il trono
2. Rendere pubblica una minaccia davanti agli amici
Strumenti:
Accusare, avvertire, elencare i fatti, sfidare
Seconda beat:
1. Edipo sta mettendo insieme le informazioni avute da Giocasta
2. Procurarsi l’aiuto di una persona amata
Strumenti:
Spiegare, confessare, esigere, supplicare, mettersi a nudo
Qui il beat change avviene perché Edipo riceve nuove informazioni su Laio che lo
costringono a prendere in considerazione il fatto che proprio lui potrebbe essere stato
l’assassino di Laio.
Scena 3:
Cosa fa il personaggio:
Edipo scopre che Polibo è morto
Edipo dice che lui ha ancora paura dell’oracolo della sua infanzia
Edipo riceve notizie sul suo passato dal messaggero che viene da Corinto
Edipo vuole parlare con l’altro pastore
Edipo giura che scoprirà di piú sulla sua nascita, a tutti i costi
Analisi:
1. Edipo sta cercando di fare chiarezza sul suo passato
2. Trovare la risposta cruciale che sveli un mistero
Strumenti:
Rivedere i fatti uno per uno, ascoltare una fonte, formare una teoria, procurarsi aiuto,
provare la credibilità di qualcuno
Scena 4:
Cosa fa il personaggio:
Edipo interroga il pastore sulla propria identità
Edipo scopre la verità
Analisi:
1. Edipo ha una visione globale della storia della sua vita
2. Far confermare un terribile sospetto ad un sottoposto
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Strumenti:
Minacciare, ragionare, incoraggiare qualcuno ad essere piú fiducioso, mettere
qualcuno a proprio agio
Esodo:
Cosa fa il personaggio:
Edipo svela la sua sofferenza al coro
Edipo chiede di essere condotto fuori Tebe
Edipo dice di meritare le conseguenze di ció che ha fatto
Edipo fa pace con Creonte
Edipo chiede a Creonte di prendersi cura della propria famiglia
Edipo dice alle figlie che gli dispiace per quello che dovranno passare
Edipo chiede di essere mandato via da Tebe
Edipo chiede a Creonte di non portare via le sue figlie
Analisi:
1. Edipo sta convincendo le persone ad aiutarlo ad espletare le sue ultime responsabilità
a Tebe
2. Assicurarsi che i propri cari staranno bene
Strumenti:
Emanare ordini, implorare, scusarsi, impegnarsi, tranquillizzare gli amici, insegnare
qualcosa
Azione Definitiva:
1. Edipo sta salvando Tebe dalla peste
2. Prendersi la massima cura delle persone che mi sono state affidate
Come si capisce da questo esempio, tutto quello che fate sul palco tende verso la vostra
Azione Definitiva; qualsiasi cosa che non serva l’Azione Definitiva deve essere eliminata.
Tenetelo a mente quando iniziate ad analizzare un Play. (Nota: in questo esempio abbiamo
ricavato l’Azione Definitiva dalle singole Beats. Come affermato in precedenza, è
perfettamente accettabile fare l’inverso: trovare l’Azione Definitiva e poi, in relazione ad
essa, trovare l’azione per ogni beat del Play.)
Adesso che avete gli strumenti necessari per l’analisi di un Play, provate ad applicarli ad un
problema concreto. Eccovi una scena da analizzare. Non abbiate fretta, divertitevi, e provate
ad ottenere piú di un risultato finale dalla vostra analisi. Inoltre vi suggeriamo di iniziare ad
analizzare scene tratte da un vero play da subito, perché piú praticate piú le vostra abilità
analitica crescerà. Vi garantiamo che, con questo metodo, da ogni scena del mondo si
possono trarre azioni che siano agibili
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PETE: hai un bellissimo vestito oggi
HARRIET: ti piace? lo sapevo
PETE: deve esserti costato un bel pó
HARRIET: in effetti… anche tu stai bene
PETE: grazie. Col giorno di paga metterai tutto a posto
HARRIET: mm-hmm. Mi compri sempre qualcosa per farmi felice
PETE: il capo non ha sganciato l’assegno sai
HARRIET: poverino! Come mai?
PETE: beh, un problema amministrativo… qualcosa del genere, non so
HARRIET: dai ti ci porto io fuori a cena
PETE: no… sul serio… tutto a posto… non potrei.
HARRIET: e allora ceniamo da me
PETE: non posso, sul serio Harriet. A dire il vero, speravo mi potessi prestare quaranta dollari
Ora, se volete, potete scrivere la vostra analisi qui sotto:
PETE
1.
2.
3.
1.
2.
3.
HARRIET
1.
2.
3.
1.
2.
3.
50
Capitolo 3: la verità del momento
Come abbiamo già detto, il compito dell’attore è di analizzare il play al fine di estrapolare
azioni sulle quali sia possibile agire concretamente, e, quindi, vivere onestamente e
pienamente all’interno delle condizioni immaginarie del play. Al fine di essere in grado di
fare quest’ultima cosa, dovete saper riconoscere ed usare la verità del momento, che è, su un
piano viscerale ed intuitivo, ció che sta davvero succedendo in scena mentre voi fate quello
che state facendo. Un attore potrebbe tranquillamente stabilire in anticipo come dovrebbe
esser fatta la scena che gli compete. Non è questo lo scopo dell’analisi del testo, e non è
nemmeno auspicabile in termini di esecuzione. La difficoltà di eseguire un’azione sta nel
fatto che, nel farla, dovete confrontarvi con ció che l’altra persona sta vivendo. Non potete
eseguire la vostra azione in generale; dovete essere recettivi nei confronti di cióche vi arriva
dall’altro. Questo richiede una buona dose di coraggio, in quanto non saprete mai cosa sta per
succedere. Dovete imparare ad aprirvi ad ogni singolo istante ed usare quello che ricevete,
tentando di renderlo coerente con l’azione che state eseguendo. Come dice Sanford Maisner:
“Ció che impedisce il vostro compito è il vostro compito”.
Un buon esempio di ció che Meisner dice è quella che noi chiamiamo la “teoria della porta
che scricchiola”. Se la vostra azione vi porta a dovervi intrufolare, non visti, in una stanza, e
la porta scricchiola mentre la aprite, confrontarvi col rumore è la vera difficoltà che dovete
superare nell’eseguire l’azione. Se ignorate il rumore perché vi sembra inappropriato al
registro della scena, il pubblico noterà immediatamente che state ignorando la verità del
momento. In effetti, ignorare il rumore della porta significa smettere di agire ed elemosinare
la clemenza del pubblico fino a quando non riprendete la situazione in mano.
Lo stesso principio si dimostra vero quando trattate con l’altra persona in scena. Una volta
analizzata la scena e deciso quali saranno gli strumenti per portare avanti la vostra azione,
come eseguirete l’azione (ovvero quale strumento andrete ad usare momento per momento),
dipende da quello che sta succedendo nell’altra persona. Cosí come la porta che scricchiola è
la vera difficoltà insita nell’intrufolarsi non visti, l’altra persona in scena è la vera difficoltà
con cui avete a che fare quando provate a portare a compimento la vostra azione, perché,
come abbiamo già visto, il successo di una buona azione si basa sull’altra persona. Istante per
istante il vostro compito è quello di adattare la vostra azione al comportamento dell’altra
persona. Non siate i censori dei vostri impulsi e non giudicateli;fate uscire qualsiasi cosa lo
voglia e non preoccupatevi se sia adeguata alla scena o no. Ci saranno volte in cui i vostri
impulsi andranno contro la vostra azione. Ad esempio, durante il corso di una scena in cui
state facendo ammenda, potreste offendere l’altra persona strillandole contro. Quello con cui
dovete fare i conti, adesso, è il fatto che avete fatto un errore. Non abbiate paura di provare
qualsivoglia cosa pensiate che aiuti la vostra azione in un dato momento. Permettete ai vostri
impulsi di uscire, senza fare i censori di voi stessi e senza giudicare.
Poniamo il caso che la vostra azione sia far tornare il buon senso ad un amico. Avete
analizzato la scena ed avete deciso che direte una certa battuta con rabbia. Questo fatidico
momento arriva, ed il vostro amico non sta facendo assolutamente nulla per cui dobbiate
arrabbiarvi. A dire il vero quello che state provando al momento, e su cui chiaramente non
potete far nulla, sono emozioni gentili. Eppure dite la battuta arrabbiati. Qual’è il risultato?
Primo, vi siete sbattuti da soli fuori dalla scena, perché non state reagendo a quello che vi sta
dando l’altra persona e la vostra reazione non è organica. Secondo, la vostra azione ha smesso
di lavorare in quanto state semplicemente ritraendo lo stato emotivo “dell’essere arrabbiati”,
invece di far andare in porto la vostra azione adattandola momento per momento. Dal punto di
vista del pubblico apparirete sia legnosi che fuori sincrono;e d’altronde nulla di organico ha
causato il vostro scoppio d’ira. Per dirla chiaramente, il pubblico non si puó imbrogliare.
Vedranno immediatamente quando state mentendo. Non stiamo suggerendo di fare le vostre
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scelte in base a come pensate che il pubblico reagisca. Piuttosto, come attori, il vostro
compito è di essere chiari;se manipolate la vostra azione in modo predeterminato, sarete
costretti ad uscire dalla verità del momento. Se volete vivere onestamente sul palco ed usare
l’azione in modo efficace dovete imparare ad accettare ogni momento cosí come succede
davvero, non come vorreste che succedesse. Non aspettate fino a quando vi sentite a vostro
agio per agire;Se sviluppate l’abitudine di dipendere da delle oasi emotive59 per arrivare alla
fine, come attori avrete sempre un repertorio limitato e prevedibile. Molti attori credono che
certe scene contengano dei picchi emotivi e saltano gran parte della scena, anticipando questi
momenti. Se vi obbligate ad agire le vostre percezioni coraggiosamente e senza esitazioni, pur
andando incontro a delle difficoltà, diventerete una presenza potente sul palco in ogni ruolo
che farete.
Se un certo momento vi rende rabbiosi o tristi o vi fa venir voglia di ragionare con l’altra
persona, va tutto bene. Tutti questi impulsi sono corretti;il vostro compito è quello di imparare
ad agirli cosí come vi si presentano. In altre parole, per quanto possa far paura, dovete agire
prima ancora di pensare. Con questo si intende che dovreste agire le vostre sensazioni appena
arrivano, senza giudicare l’impulso. Il posto per fare l’analisi è a casa. Sul palco non c’è
tempo per mettere in dubbio o confermare quello che la scena sta provocando in voi. Se vi
prendete il tempo di pensare cosa vi sta succedendo, l’impulso andrà perso e la vostra
attenzione ricadrà su voi stessi. E cosí non sarete piú in grado di portare avanti la vostra
azione efficacemente in quanto, di nuovo, la vostra attenzione non è piú su quello che sta
succedendo nell’altro. Se sviluppate l’abitudine di porre la vostra concentrazione sull’altra
persona, sarete troppo occupati per ricordarvi di voi stessi e tutto quello che farete sarà
adattarvi alla scena e all’altro attore sul palco.
In ogni attività di un certo peso, è normale che la vostra concentrazione vaghi di tanto in
tanto. Chiaramente questo vale anche per gli attori;agire la verità del momento per due ore
tutte le sere è qualcosa di mentalmente e fisicamente estenuante. In quei momenti in cui la
concentrazione vaga, basta rimetterla gentilmente sull’altra persona in scena. Anche il piú
navigato degli attori va incontro a momenti di bassa concentrazione. La cosa assolutamente da
non fare in quei faticosi momenti è sgridarvi o arrabbiarvi con voi stessi. Il tempo che
impiegate a dirvi “sono un pessimo attore, sono cosí fuori da quello che sta succedendo” è
semplicemente altro tempo sprecato. Se costantemente riportate la vostra attenzione dove
deve stare, col tempo diventerà sempre piú forte e vagherà di meno; si abituerà alle esigenze
dello stare in scena. Ricordate, la vostra concentrazione è come un muscolo-allenarla non è
affatto differente dal lavoro che un atleta fa sui suoi muscoli. Il solo modo per migliorare la
vostra concentrazione, la vostra capacità di stare nel momento, è attraverso una pratica
assidua. Con l’allenamento vi risulterà automatico mettere l’attenzione sull’altra persona in
scena. E poi tenete bene a mente che quando in scena non sapete proprio che fare, la cosa
migliore è proprio rimettere l’attenzione sull’altra persona. L’altro sarà sempre la chiave per
trovare il modo giusto di portare a termine l’azione.
Anche se è giusto richiamare alla memoria quale è la vostra azione nei momenti in cui vi
sentite confusi o persi, non state sempre a comparare ogni istante con l’azione che dovete
svolgere. Se lo fate, costringerete la vostra attenzione a tornare su voi stessi e quindi inizierete
a chiedervi se state andando bene o male. Non mettete in dubbio l’analisi che avete fatto
mentre siete sul palco; usatela in pieno, e poi, se c’è qualcosa che non va, correggetela dopo.
Non è diventando piú percettivi che sarete attori migliori. Dovete solo allenarvi ad agire le
percezioni cosí come vi si presentano di modo che potete usare qualsiasi cosa che vi accade
sul palco.
59
NDT: Chiara polemica col metodo Strasberg.
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Per ultimo, vorremmo sottolineare che anche nulla è qualcosa. Se siete frustrati perché il
vostro partner “non vi sta dando niente su cui lavorare”, quella è la vita della scena ed è
proprio su quella frustrazione che dovete agire. Non è compito vostro valutare la qualità della
performance dell’altra persona, cosí come non lo è valutare la vostra. Se siete completamente
impegnati nel portare avanti la vostra azione, quello che vi influenzerà è il grado di difficoltà
che affrontate nell’ottenere ció che volete. Ad esempio, se dovete evitare che un amico faccia
un tremendo errore e l’altro attore a malapena vi presta attenzione, non iniziate a lamentarvi
di quanto pessimo sia come attore. Piuttosto, confrontatevi direttamente con gli ostacoli
concreti con cui state avendo a che fare: avete davanti una persona che non vi permette di far
arrivare a destinazione quello che state cercando di comunicare. Se accettate la difficoltà con
cui state avendo a che fare nell’eseguire l’azione, vi troverete a vivere la verità del momento
perché il vostro inattento partner esigerà tutta la vostra concentrazione; tutto quello che fate
per ottenere il vostro scopo sarà causato dalla sua mancanza di contatto con voi.
Mai aver paura di non essere abbastanza interessanti;se state eseguendo la vostra azione in
modo incondizionato e state vivendo un momento alla volta, state facendo il vostro lavoro.
Resistete alla tentazione di inventarvi trovate per rendere il tutto piú interessante;se non ci
riuscite, genererete in voi stessi l’abitudine di accettare e creare ipocrisia e falsità.
Da soli sul palco
Una delle difficoltà maggiori è cosa fare sul palco da soli. Il punto qui diventa: dove mettere
l’attenzione? Come misurare il successo o il fallimento nel portare a termine l’azione? Ci
sono due possibili risposte. Una possibilità è quella di fare i conti col pubblico, cioè di
relazionarsi a loro come se questi fossero proprio l’altra persona sul palco. La seconda
possibilità è di impiegare la vostra immaginazione ed usare la persona che avete scelto nel
“come se”, in fase di analisi, al fine di avere un riscontro. È come provare a chiedere ad una
persona che ci piace, soli davanti allo specchio del bagno, se vorrebbe uscire con noi.
Parlereste allo specchio proprio come parlereste alla persona in questione. Prendiamo, ad
esempio, il monologo “essere o non essere” da Amleto. Se doveste usare la prima possibilità
di cui si è parlato sopra, potreste analizzarla cosí:
1. Amleto sta discutendo i pro e i contro del suicidio
2. L’azione essenziale è: ottenere consiglio da un osservatore imparziale
3. È come se stessi chiedendo al mio insegnante se devo sposarmi o no
Usando questa analisi, parlereste direttamente al pubblico come se doveste riuscire a farvi dire
che ne pensano loro a proposito.
Se scegliete la seconda soluzione, potreste analizzare il monologo in questo modo:
1. Amleto sta discutendo i pro e i contro del suicidio
2. L’azione essenziale è: svelare un intricato mistero
3. È come se la mia ragazza improvvisamente mi avesse lasciato, ed io stó rivedendo,
con il mio migliore amico, i punti essenziali della relazione per scoprirne il motivo.
In questo modo il monologo verrebbe detto, in qualche modo, come se parlaste al vostro
migliore amico nella speranza di risolvere il mistero. Non puó mai essere sottolineato
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abbastanza che il caso appena visto è l’unico in cui il vostro “come se” entra in quello che
state facendo. Ricordate di non usare il “come se” come sostituto della scena, ma piuttosto di
usare la vostra immaginazione per fare la scena come se steste parlando al vostro migliore
amico.
La soluzione, tra le due, che sceglierete, sarà dovuta a cosa servirà meglio le intenzioni del
drammaturgo, a cosa vuole il regista, a cosa darà piú efficacia all’esecuzione della vostra
azione.
Capitolo 4: adattamenti esterni
Un adattamento esterno è un cambiamento estetico/fisico, fatto dall’attore, che puó sia aiutare
la storia ad essere raccontata meglio sia illustrare una circostanza immaginaria del play. Ecco
un esempio molto semplice: siete stati presi per fare il re. Con tutta probabilità la vostra
corona non ha nulla a che vedere con le vostre azioni; semplicemente illustra al pubblico che
voi siete il re. Ci sono tre tipi fondamentali di adattamenti esterni:
1. Adattamenti del corpo-ad esempio: postura, alterazioni del tono della voce o utilizzo
di un certo accento, un handicap fisico
2. Ornamenti: costumi e trucco
3. Stati fisici-ad esempio: ubriachezza, stanchezza, aver caldo o freddo, malattia
Immancabilmente, il modo per incorporare un adattamento esterno nel vostro lavoro consiste
nel renderlo tanto abituale quanto la memoria del testo, in modo che possa esistere
indipendentemente dal’azione che dovete eseguire.
Adattamenti del corpo
Se dovete fare una parte in cui è richiesto un accento tedesco, la ricerca dell’azione nel
processo di analisi viene fatta separatamente dall’apprendimento dell’accento. Usando un
aiuto, come un nastro preregistarato, praticate l’accento fino a che non diventi una seconda
pelle. Lo stesso vale per la qualità vocale: Se fate Otello ed il regista vi dice di essere piú
autoritari abbassando il timbro della voce, dovete allenarvi fin quando non viene automatico
l’uso della voce che esce dal basso.
Allo stesso modo, un’alterazione fisica del corpo deve essere praticata fino al punto di farla
diventare abituale. Se, ad esempio, state facendo il personaggio di Laura nello Zoo di vetro di
Tennessee Williams, solo una volta analizzato il testo per trovare l’azione potete poi
procedere a decidere come rendere, fisicamente, il fatto che Laura non cammini bene. Forse
indossare una barra di ferro pesante vi farà camminare in un modo che illustra l’handicap di
Laura. Oppure potreste dover aggiungere dei movimenti specifici. Quando lavorate con gli
adattamenti esterni, tenete a mente che poco è già troppo. In altre parole, seguite quello che
dice il testo, ma non fatevi impantanare con gli adattamenti al punto di distrarre voi stessi o il
pubblico. Il pubblico è intelligente e altamente suggestionabile;Quelli che vanno al teatro lo
fanno per immergersi in un clima di illusione e sognare. Piú energia investite in qualsiasi stato
artificioso, meno il pubblico lo accetterà, proprio perché state sottolinenando il fatto che si
tratta di teatro.
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Ornamenti
I due tipi di ornamenti sono i costumi ed il trucco. Nessuno dei due richiede che la vostra
analisi o l’impostazione che avete dato ai vostri movimenti cambi. Potrebbero, peró,
obbligarvi a muovervi in un certo modo proprio per la loro natura restrittiva. Ad esempio, una
persona con un’armatura cammina in modo diverso da una che indossa calze e maglietta.
Gli ornamenti possono essere specificati nel play o suggeriti dal regista, dal costumista, da voi
stessi. In ogni modo, voi dovreste suggerire un ornamento solo se vi aiuta ad eseguire
l’azione.
Un esempio di ornamento richiesto dal testo si trova nel Riccardo terzo di Shakespeare.
Riccardo ha la gobba. Se state facendo questo personaggio, assicuratevi che la gobba sembri
vera e non vi dia fastidio nel corso della performance. Fare la parte senza la gobba non
sarebbe coerente con la visione totale del drammaturgo.
Un regista puó suggerire (o pretendere) un ornamento che non viene citato nel testo. Ad
esempio, state facendo uno dei pirati nei Pirati di Penzance, di Gilbert e Sullivan, ed il regista
vi dice di indossare una benda sull’occhio. Che fate, cambiate l’analisi? No. Ma il pubblico ne
dedurrà che avete perso un occhio in qualche scorribanda piratesca, e quindi vi accetterà piú
volentieri come pirata. Inoltre, potrebbe aggiungere un’aria minacciosa a quello che fate,
senza che vi sforziate di ottenerla. È questo uno splendido esempio di illusione che il teatro
riesce a dare. Dopo tutto, l’occhio non l’avete perso davvero no?
Allo stesso modo, se state facendo una parte in un play ambientato in un certo periodo storico,
alcuni ornamenti sono necessari per creare l’illusione di quello specifico periodo.
Immaginiamo che dobbiate fare il giustiziere di Thomas More in Un uomo per tutte le
stagioni di robert Bolt; il costumista potrebbe chiedervi di indossare un cappuccio nero.
Questo cambia l’azione? No. Ma aiuta a preservare l’accuratezza storica nel play.
Il trucco viene trattato nello stesso modo in cui si ha a che fare con i costumi. Se state facendo
il fantasma di Banquo, nella scena del banchetto del Macbeth di Shakespeare, dovrete essere
pieni di sangue, perché cosí vuole il testo. Di nuovo, questo influisce sull’azione? No. Ma
serve come evidenza dell’omicidio brutale di Banquo, e aggiunge un senso d’orrore senza che
voi dobbiate far nulla per ottenerlo. La vostra azione e le circostanze date creeranno la
necessaria illusione.
Potreste aver bisogno di usare del trucco, di cui non si parla nel testo, per un paio di ragioni.
La prima è che magari volete illustrare un’importante sfaccettatura del personaggio per
aiutare la storia ad essere raccontata. Ad esempio, se fate Eilert Lovborg in Hedda Gabler di
Ibsen, dovete sembrare come se aveste bevuto per tutta la notte. Potrebbe essere il caso di
usare del trucco per far sembrare gli occhi rossi e gonfi. Ibsen non ne parla, ma avrà di sicuro
un effetto immediato sul pubblico.
Secondo, a volte si usa il trucco per ragioni squisitamente tecniche. Ad esempio, Il regista
dice che dovete mettere piú rosso sulle guance perché le luci vi danno un aspetto slavato.
Sempre in ambito tecnico, il trucco si usa quando un attore sta facendo un personaggio molto
piú vecchio di lui e deve darne l’impressione.
Stati fisici
Il piú difficile adattamento esterno è quello che richiede uno stato fisico. Di nuovo, quello che
conta è che il pubblico viva l’illusione di, diciamo, ad esempio, ubriachezza o sfinimento; il
vostro compito è di creare l’illusione di questi stati, non di viverli davvero. Diamo uno
sguardo all’ubriachezza, uno degli adattamenti esterni piú difficili perché richiede molti
aggiustamenti psicologici e deve dare l’idea di una alterazione mentale.
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Per fare una scena da ubriaco, prima dovete capire quali sono le manifestazioni fisiche
dell’essere ubriachi, come, ad esempio, parlare male, movimenti imprecisi, e difficoltà a
mantenere l’equilibrio. Ricordate sempre che questi movimenti devono essere interiorizzati e
fatti diventare abituali in modo che poi non dobbiate concentrarvi a farli bene durante la
scena. Una volta che avete reso naturale qualsiasi adattamento esterno, questo troverà il modo
di esprimersi attraverso l’azione, cosí creando l’illusione che serve a quella data scena. Ad
esempio, se il personaggio è ubriaco e la vostra azione è smascherare il bluff di un
aggressore, il vostro modo di parlare puó tranquillamente essere rallentato ed enfatizzato nel
rendere chiara ogni singola parola al fine di avere il sopravvento. Se il personaggio è ubriaco
e l’azione è far divertire un amico, potete diventare espansivi e giocherelloni.
Nella scena finale di The Caine mutiny di Herman Wouk, Barney Greenwald affronta gli
ufficiali che hanno causato la caduta del capitano Queeg. Questo è un ottimo esempio di scena
in cui una forte azione unita ad un adattamento esterno creano una bella illusione teatrale.
Per adattamenti esterni tipo aver caldo o feddo o sentirsi male, i principi che abbiamo
descritto fin qui continuano ad essere validi. Ecco un altro suggerimento su come creare
l’illusione di questi stati: cercate il modo di combatterli, sempre permettendo all’adattamento
esterno, se possibile, di esprimersi attraverso l’azione. Un semplice esempio è quello di tirarsi
stretto il giacchetto in una scena che richiede l’illusione del freddo estremo.
Riesaminiamo ancora una volta il modo in cui una certa azione influisce sulla forma che un
adattamento esterno puó prendere. Se state facendo una scena in cui dovete eseguire del duro
lavoro fisico con dei buoni amici e la vostra azione è aiutare degli amici ad uscire da un
guaio, potreste tranquillamente asciugarvi il sudore con la manica, sbottonarvi la camicia,
allentarvi i vestiti, e cosí via. O, se state facendo Blanche DuBois nella scena del baule del
Tram e la vostra azione è stare attenti ad una minaccia, potrebbe essere adeguato passarsi un
fazzoletto sugli occhi. Di nuovo, l’azione e il tipo di relazione stabiliscono come
l’adattamento esterno si va a manifestare.
Dopo aver trovato una buona azione per la scena, è una buona idea pensare in termini di
attività fisica che potreste voler usare per rafforzare l’azione. La differenza tra attività fisica e
adattamento esterno è che l’attività fisica è qualcosa che l’attore fa per aiutare la propria
azione a realizzarsi, mentre un adattamento esterno, come abbiamo visto, aiuta la storia ad
essere raccontata o illumina un aspetto del testo, e come tale è prerogativa del regista e del
drammaturgo.
Ecco qualche consiglio per scegliere delle buone attività fisiche:
1. L’attività che avete scelto aiuta la realizzazione dell’azione?
2. L’attività che avete scelto viola le circostanze date del Play?
(qui usate il buon senso: non potete usare una pistola a raggi laser se state facendo Athos nei
Tre moschettieri).
Anche se ci sono delle attività fisiche che l’attore sceglie di mettere in pratica prima delle
prove o della performance, molte altre attività sono il risultato del vivere impulsivamente nel
momento. Questi momenti spontanei sono essenzialmente il frutto di questa tecnica. Il piú
grande segno che un’azione sta funzionando e che un attore sta davvero vivendo nel
momento, è quando i suoi impulsi iniziano ad esprimersi attraverso il corpo, senza che
l’intelletto faccia alcuna attività censoria.
Capitolo 5: prepararsi per una scena
Il solo fatto di analizzare il testo correttamente significa che avete fatto già la maggiorparte
del lavoro preliminare. Quello che rimane da fare è la giusta preparazione in quegli istanti che
precedono le prove o la performance. Non è il caso di impiegare del tempo a riscaldarsi
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quando entrate sul palco; dovreste essere in grado di arrivare già caldi e pronti a farvi
coinvolgere pienamente dalla scena che andate a fare.
Il modo piú semplice ed efficace di prepararsi ad una scena è ripassare l’analisi che avete
fatto. Iniziate con i “come se”. Silenziosamente ripetetevi quello che fareste e direste nella
vostra situazione immaginaria al fine di eseguire l’azione. Quindi, subito prima di entrare o
prima che si accendano le luci, ripetete l’azione che state per fare: “io sto per…”.
Una situazione che merita attenzione speciale è quando un personaggio entra in scena e si
trova davanti a delle circostanze sorprendenti o addirittura fulminanti (Se tenete a mente che
non dovete provare alcun senso di sorprendimento, nella realtà, per convincere il pubblico che
quello che avete davanti non ve lo aspettatavate, allora quello che state per leggere ora non
sarà poi cosí difficile da applicare). Quello che dovete fare è trovare qualcosa che distolga la
vostra attenzione dalle circostanze immaginarie del Play e da ció che sapete state per trovare
sul palco, dato che non si puó rinnegare qualcosa che già si conosce. Quindi, costruite
un’azione preliminare a vostro uso e consumo. Questa è un’azione completa, a cui si arriva
attraverso il processo di analisi, che crea in voi una falsa aspettativa di quello che poi
troverete davvero sul palco. Ad esempio, siete in una scena in cui il vostro personaggio entra
e trova la moglie morta in una pozza di sangue. Invece di sforzarvi di sembrare sorpresi,
analizzate la scena:
1. Cosa sta facendo il personaggio letteralmente? Sta tornando a casa da sua moglie
2. Come è riassumibile in termini di azione essenziale ció che il personaggio sta facendo
in scena? Sta programmando di far sentire alla persona amata che lei è una cosa
preziosa
3. Cosa significa per me questa azione? è come se stessi andando a trovare mio nonno
per portarlo fuori città per il suo settantacinquesimo compleanno.
Per prepararvi ad entrare, ripetete il vostro “come se” come fareste per ogni scena e quindi
dite la vostra azione. L’azione detta sopra è buona proprio perché è cosí lontana da quello che
incontrerete sul palco. Il pubblico percepirà che qualcosa di inaspettato vi è davvero venuto
addosso, senza possibilità di prevederlo, se fate un Beat Change chiaramente sul palco. Al
pubblico sembrerà che il personaggio stia cercando di capire cosa è successo e cosa deve fare.
Le azioni preliminari sono anche efficaci se state già sul palco e state aspettando che qualcuno
entri, e questi, o entra in modo inaspettato, o non entra affatto e qualcun altro viene al suo
posto. Valgono gli stessi principi: datevi qualcosa di piú divertente e stimolante da fare del
vano stare a preoccuparsi di quello che sta per accadere. Teoricamente, dovreste mettervi
nella condizione di trovare un’azione che è possibile fare sia che l’altro attore entri o no
(anche se questo non ve lo auguriamo).
Testo a memoria
Il migliore consiglio che vi possiamo dare sulle battute di testo che dovrete dire, è di
impararle meccanicamente a memoria, in modo che non dovrete poi concentrarvi a ricordarle
mentre siete sul palco. Abbiamo notato che ripetere il testo mentre si fa jogging o mentre ci si
allena puó essere efficace in quanto è meno noioso. Memorizzate il testo senza alcuna
intonazione della voce in modo che non sembri, poi, che invece di parlare stiate leggendo,
ovvero che ripetiate le battute sempre nello stesso modo predeterminato senza badare a cosa
sta succedendo momento per momento in scena.
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Le prove
Le prove dovrebbero servire a permettere all’attore di sperimentare varie azioni per una data
scena. Non c’è bisogno che alla prima prova vi presentiate con l’analisi perfetta e definitiva,
ma almeno che abbiate un’analisi su cui lavorare. Esplorate azioni diverse per ogni scena, ed
anche differenti strumenti per ogni azione. Alla fine dovrete stabilire qual’è la migliore azione
per la vostra scena, e da qui in poi il vostro compito è quello di rendere l’azione abituale.
Gradualmente ci sarà sempre meno bisogno di concentrarsi sul processo verbale ed
intellettuale di decidere qual’è la migliore azione, e potrete concentrarvi sempre di piú sul
processo intuitivo di lavorare con ció che vi da l’altro attore in scena. Una volta che l’azione è
diventata abituale, andrà avanti da sola senza bisogno che vi ci concentriate. E cosí potete
dare attenzione al contenuto di ogni istante con la consapevolezza che la vostra azione vi
guiderà.
Capitolo 6: nessun problema
Questa sezione è una serie di domande e risposte che riguardano problemi che potrebbero
sorgere mentre lavorate su una scena. Quello che è scritto di seguito vuole essere una sorta di
schema generale. Dato che l’analisi di una scena è un processo molto personale, i “come se”
sono stati esclusi dagli esempi di analisi (quando non erano proprio essi a causare il
problema). Se in fase di analisi viene fatta una scelta che non è giusta per la scena o per una
certa persona, il risultato dell’errore diventerà ovvio durante le prove. Tra i casi illustrati in
questo capitolo ci sono esempi di questa tipologia. Troverete anche vari modi di correggere i
vostri problemi durante le prove.
I problemi elencati in questa sezione sono riferiti all’atto primo, scena seconda, dei Due
gentiluomi di Verona.
JULIA: Ma dimmi Lucetta, adesso che siamo sole, mi consiglieresti quindi di innamorarmi?
LUCETTA: Certo signora; cosí non cadete per disattenzione
JULIA: Di tutti i gentiluomini che vedo ogni giorno, Secondo te qual’è il piú degno di essere
amato?
LUCETTA: Vi prego, ripetete i loro nomi; vi diró quello che penso sulla base della mia
piccola esperienza
JULIA: Che cosa ne pensi del buon signor Eglamour?
LUCETTA: Come cavaliere uno di cui si parla gran bene, pulito e bello;ma se fossi in te non
lo prenderei mai
JULIA: E che ne pensi del ricco Mercatio?
LUCETTA: Della sua ricchezza penso molto bene; di lui, cosí cosí.
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Domanda: Sto facendo Julia. La mia azione è forte, ma mi sento completamente fuori
sintonia con la scena. Cosa è andato storto?
La mia analisi è questa:
1. Il personaggio sta interrogando Lucetta
2. L’azione è far ammettere la verità ad una bugiarda
3. È come se…
Risposta: Non sei stata abbastanza specifica nel primo passo. Julia non sta semplicemente
interrogando Lucetta ma sta chiedendo un consiglio sulla sua vita amorosa. Una analisi
povera nel primo passo ha condotto verso la scelta di un’azione incorretta per la scena,
causando cosí un problema.
Domanda: Sto facendo Lucetta e mi annoio a morte durante la scena. Come mai?
Questa è la mia analisi:
1. Il personaggio sta consigliando Julia sulla sua vita amorosa
2. L’azione è fare un regalo ad una persona amata
3. È come se…
Risposta: La tua azione è troppo passiva, un regalo puó essere consegnato in una battuta. È
una commissione; una volta portata a termine, non c’è piú nulla da fare per il resto della
scena. Forse dovresti convincere una persona amata ad accettare un dono, una cosa molto
piú attiva da fare.
Domanda: Sto facendo Julia e sono assalita da un’incontrollabile emozione durante la scena.
Come mai?
La mia analisi è:
1. Il personaggio sta chiedendo a Lucetta di consigliarla sulla sua vita amorosa
2. L’azione è trovare la risposta ad una importante domanda
3. È come se chiedessi a mia madre (che ha avuto un colpo ieri) quanto le rimane da
vivere
Risposta: Il problema sta nel tuo “come se”, che è troppo personale. Non sei in grado di avere
a che fare con le emozioni che nascono dentro di te. Inoltre, è fuori fase con lo spirito della
scena. Questa è una scena leggera, ma il tuo “come se” è molto serio.
Domanda: Mi succede di dire il testo sempre con le stesse intonazioni. Perché?
Questa è la mia analisi:
1. Il personaggio sta chiedendo consiglio a Lucetta sulla sua vita amorosa
2. L’azione è chiedere aiuto
3. È come se…
Risposta: L’azione è troppo vicina a quello che hai detto il personaggio sta facendo
letteralmente. Come risultato, la tua azione è troppo generale. Se la tua azione è troppo
generale, il tuo agire sarà in generale. E, al fine di fare una buona performance, scivolerai
senza rendertene conto nel ripetere il testo cercando di dargli un senso con intonazioni a caso.
Una possibile migliore azione potrebbe essere ottenere la verità da un esperto.
A volte puó succedere che si scada nella sola ripetizione meccanica del testo anche quando
l’analisi è corretta. Magari il testo è stato imparato già con delle intonazioni particolari, e poí
è rimasto fissato cosí. Oppure, una volta, c’è stato uno splendido momento, durante le prove,
che si è tentato di riprodurre, cercando di dire il testo sempre come quella volta e sperando di
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ricreare quel momento. I momenti davvero spontanei non possono mai essere ricreati.
Imparate il testo meccanicamente in modo neutro, e mettete l’attenzione sull’altra persona.
Domanda: Ogni volta che durante una performance sento che non sto facendo bene
abbastanza, mi arrabbio con me stesso. A volte mi distraggo talmente tanto, per questo
motivo, che mi confondo. Che devo fare?
Risposta: Non cercare di padroneggiare e vincere il fatto che una parte di te si sta sempre
valutando durante la performance. Riuscirci è difficile se non impossibile. Piuttosto bisogna
scegliere un’azione che sia piú interessante dello stare sempre a chiedersi come sta andando, e
poi bisogna usare la volontà per eseguirla, a dispetto di qualunque sensazione vi possa
capitare di sentire.
Domanda: Il regista mi dice che faccio finta di provare delle emozioni. Come mai?
Questa è la mia analisi:
1. Il personaggio sta chiedendo aiuto a Lucetta sulla sua vita amorosa
2. L’azione è trovare una risposta ad un’importante domanda
3. È come se stessi chiedendo alla mia amica Flicka con quale ragazzo lei pensa che
dovrei uscire
Risposta: Il “come se” è una esatta replica delle circostanze del play. Tutto quello che è stato
fatto è sostituire Lucetta con Flicka. Questo non puó che spingere verso il provare a credere
agli eventi del play, cosa che inevitabilmente poi vi fa “recitare” la scena
Domanda: Sto facendo Julia e il regista mi dice che durante la scena non sono abbastanza
eccitata.
Questa è la mia analisi:
1. Il personaggio sta chiedendo consiglio a Lucetta sulla sua vita amorosa
2. L’azione è trovare una risposta ad un’importante domanda
3. È come se qualcuno rubasse il mio nuovo disco dei Rolling Stones E la mia amica
Evangeline sapesse chi è stato, ed io voglio solo che lei me lo dica
Risposta: Anche se sembra appropriato per il resto dell’analisi, il tuo “come se” non significa
abbastanza per te. Questo è reso evidente dall’uso della parola “solo”. Sarebbe come dire
“soltanto”; qualsiasi cosa significhi, non è abbastanza importante per te. Il fatto è che non ti
interessa davvero se il disco ti torna indietro o no.
Domanda: Sto facendo Julia e risulto troppo aggressiva per la parte.
Questa è la mia analisi:
1. Il personaggo sta chiedendo consiglio a Lucetta sulla sua vita amorosa
2. L’azione è trovare la risposta ad un’importante domanda
3. È come se qualcuno del team di hockey sull’erba avesse picchiato il mio fratellino
Jordan ed io non so di chi si tratta, ma adesso me la vado a prendere con tutto il team
in modo da fermare quello stupido.
Risposta: Anche se il tuo “come se” ha un grosso significato personale, non stai facendo
l’azione che hai detto nel secondo punto. Il punto fondamentale del tuo “come se” è “fermare
quello stupido”, non “trovare la risposta ad un’importante domanda”. Devi fare esattamente
quello che hai detto nel punto 2.
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Se stai avendo problemi che non si riescono a risolvere attraverso la correzione dell’analisi
della scena, i tuoi guai vengono dall’esecuzione. Hai bisogno di praticare le tecniche di
esecuzione cosí come sono descritte nel prossimo capitolo.
Capitolo 7: gli strumenti del mestiere
Dato che ci riferiamo spesso alle varie conoscenze tecniche ed abilità che avete a vostra
disposizione, eccovi una lista. Ricordate che tutti hanno il potere di ottenere qualsiasi di
queste cose. Tutto ció che è richiesto è duro lavoro e pratica.
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Una voce forte e chiara
Buona dizione
Un corpo in forma
La capacità di analizzare una scena correttamente
Semantica, la capacità di usare un parola piuttosto che un’altra per scegliere una buona
azione
Memorizzazione meccanica
La capacità di reagire a seconda di quello che l’altra persona ci sta dando
La capacità di agire prima ancora di pensare (agire gli impulsi)
La capacità di concentrarsi. Ricordate che la concentrazione è come un
muscolo;quando inizia a venir meno l’unica cosa che la rimette al suo posto è una
buona azione da portare a termine, e va quindi rimessa gentilmente sul compito da
perseguire
Coraggio
Volontà
Buon senso
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Parte seconda: tranelli (lavorare nel mondo reale)
Capitolo 8: introduzione
Come abbiamo detto all’inizio del libro, il lavoro dell’attore è quello di vivere onestamente e
totalmente nelle circostanze immaginarie del Play. Ovviamente, la tecnica è fatta in modo tale
da mettervi nella condizione di poterlo fare. Peró applicare i principi, di cui abbiamo parlato,
in un contesto scolastico, è abbastanza differente dall’applicarli quando si lavora davvero in
un play. I principi e gli strumenti come tali non cambiano, ma lavorerete con gente che non
avrà la piú pallida idea del vostro approccio personale. I seguenti capitoli sono stati pensati
per aiutarvi a collaborare con registi ed attori che vengono da approcci diversi dal vostro,
magari anche contraddittori col vostro.
Non dovete compromettere l’integrità del vostro processo lavorativo al fine di ottenere dei
risultati specifici in una data situazione. A volte sarete costretti a lavorare in un modo che
sembra violare i principi del buon senso che sono stati descritti in questo libro. Ricordate che
esistono soluzioni tecniche ai problemi che incontrerete. I capitoli 9 e 10 evidenziano i
maggiori pericoli con cui ogni attore, non importa da dove venga, avrà a che fare ad un certo
punto della sua carriera. Il capitolo 11 offre dei dettagliati consigli su come avere a che fare
con questi tranelli, sia dal punto di vista filosofico sia in termini della procedura di analisi del
testo.
Una tecnica non serve a nulla a meno che non sia una sulla quale si puó fare affidamento
anche nelle situazioni piú difficili e stressanti.
Questo metodo dell’azione fisica è pratico; se è applicato assiduamente, vi aiuterà nel corso
delle piú difficili performances e prove.
Capitolo 9: la trappola delle emozioni
L’aspetto piú confuso ed irritante del lavoro dell’attore è la cosiddetta vita emotiva. È un
peccato che molti attori trovino la questione delle emozioni cosí frustrante, perché il creare
emozioni non è proprio cosa che li riguardi. C’è un semplice consiglio da seguire per quanto
riguarda la vita emotiva sul palco: È al di là del vostro controllo, quindi non preoccupatevi.
Mai.
Uno dei grandi vantaggi di questo sistema dell’azione fisica è che ogni azione darà adito ad
una risposta emotiva;non dovrete quindi cercare nulla. Una volta che accettate che non esiste
una ed una sola emozione corretta per una data scena, vi sarete liberati dal peso di dover
generare emozioni. Quando avete imparato a mettere l’attenzione sull’altra persona, i
sentimenti che riguardano la vita della scena nasceranno in modo da servire l’istante che state
vivendo.
Se lavorate per un risultato emotivo, inquinerete, per tanti motivi, la maggiorparte di quello
che avete imparato fino ad ora. Prima cosa, costringendovi ad entrare in uno stato emotivo
creerete un atteggiamento che sarete poi costretti a mantenere per tutto il corso della scena. Di
conseguenza la verità del momento andrà completamente persa, in quanto la vostra attenzione
cadrà su voi stessi, ed i vostri impulsi voleranno via dalla proverbiale finestra.
In secondo luogo, non è possibile eseguire un’azione fisica mentre si cerca di mantenere uno
stato emotivo. La specificità, per cui avete lavorato cosí duramente nel cercare di fare una
buona analisi della scena, non funzionerà piú;agirete in generale, in quanto la vostra azione
andrà persa nella palude emotiva che vi siete creati. Due indicazioni che questa è la cosa che
sta succedendo sono: vi ritrovate a “fare le intonazioni”; vi ritrovate costantemente a
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giudicare se state facendo bene o male. Ricordate, non dovete pensare che la vostra azione è
qualcosa di cui far bella mostra. Se imparate ad agire a dispetto di qualsiasi cosa sentiate in
voi stessi, porterete la vostra persona alla vita in scena e svilupperete una forte volontà nel
processo. Il terzo pericolo è sia sottile che ironico. Una volta “ogni morte di papa”, la
concentrazione sulle emozioni, in qualche modo, vi farà avere proprio quell’emozione che
sembra adatta per la scena. Ció che dovete ricordare è che una tecnica che si basa
sull’emozione è altamente inaffidabile; Non si puó controllare ció che si sente, le vostre
emozioni possono abbandonarvi in ogni momento. D’altro canto, una tecnica che si basa
sull’azione fisica fa affidamento sulla volontà e puó essere usata in ogni momento e sotto ogni
circostanza, a dispetto di qualsiasi modo in cui possiate sentirvi.
Contrariamente a quanto credono i piú, non c’è mai bisogno di prepararsi a “pompare”
un’emozione prima di una scena. L’idea di preparazione emotiva non vi riguarda e non deve
preoccuparvi. Come discusso nel capitolo 5, ci sono molte eccellenti maniere per prepararsi
ad una scena che non richiedono che vi buttiate in una sorta di ubriachezza emotiva, peraltro
molto aspecifica.
Sul palco, non vi fate carico del peso di essere una persona “che sente di piú”. Spingere nel
tentativo di ottenere dei risultati nel campo delle emozioni è immancabilmente un tentativo di
rendere la scena piú “drammatica” o “interessante”. Nulla è piú drammatico o interessante di
un attore che lavora con la verità del momento, quindi non prendetevi resposabilità per la
scena cercando di dargli una connotazione emotiva.
Una volta che avete imparato a concentrarvi totalmente su un’azione fisica, il vostro solo
compito che riguarda le emozioni è quello di imparare a passarci attraverso, di farle esistere
cosí come si manifestano, perché sono al di là del vostro controllo e vi si presenteranno
spontaneamente. Le vostre emozioni sono il misterioso e naturale sottoprodotto del cercare di
portare a termine un’azione fisica. Alla fine, imparerete a lavorare attraverso il torrente
emotivo che scorre in voi sul palco. Di nuovo, il vostro solo ed unico compito è quello di
portare a termine la vostra azione.
Capitolo 10: il mito del personaggio
Come è stato brevemente detto nel capitolo 3, non è possibile diventare il personaggio che si
sta facendo. A teatro, il personaggio è un’illusione creata dalle parole e dalle circostanze date,
fornite dal drammaturgo, e dall’azione fisica dell’attore.
Gli esseri umani sono per natura altamente suggestionabili. Se ad un pubblico si dice che siete
il re di Francia, a meno che non violiate lo spirito del Play, lo accetteranno. Il vostro essere il
re di Francia è ormai un dato di fatto;ma è vostro compito scoprire cosa significa per voi
esserlo. Ovvero quali azioni scegliete.
Aristotele ha definito il personaggio come la somma totale delle azioni di un individuo, e la
sua definizione è ancora valida in teatro. Decidere in che modo tenete un fazzoletto in mano o
quanti cucchiaini di zucchero mettete nel tè non vi illumina di nessuna luce vitale, perché
queste cose non aiutano necessariamente il portare a termine dell’azione. Non cadete nella
trappola di usare gli adattamenti esterni al posto delle azioni. Se avete analizzato
correttamente una scena al fine di trovare un’azione, potete poi tranquillamente fare qualsiasi
adattamento esterno che il regista vi chiede di fare. Lo stesso rimane vero per gli adattamenti
esterni richiesti dal drammaturgo: evitare che una persona amata faccia un terribile sbaglio è
un’azione forte, che si puó fare sia con un accento polacco che con il modo di parlare di tutti i
giorni.
Attenzione a non usare un adattamento esterno solo per evitare un problema. Se non riuscite
ad analizzare una scena correttamente, farla zoppicando, e con un accento australiano, puó
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essere superficialmente interessante, ma non risolve il problema di cosa stia davvero
accadendo in scena.
Il motivo per cui i grandi attori sono cosí trascinanti è che hanno il coraggio di mettere la loro
personalità in tutto quello che fanno. Non fate mai una parte come la farebbe qualcun altro.
Ricordate che siete voi sul palco, non qualche essere mitologico chiamato personaggio. Per i
vostri propositi, il personaggio esiste solo sulla carta per l’analisi. Se avete fatto l’analisi e
memorizzato il testo, avete fatto tutto ció che dovevate fare col testo e l’illusione che esiste un
personaggio verrà creata da sola. Avete il diritto ed il dovere di portare sul palco l’essere
umano che siete. La vostra umanità è un contributo assolutamente vitale ad ogni Play a cui
partecipate. Ogni volta chi vi trovate a preoccuparvi se “state facendo il personaggio”
correttamente, riflettete per un attimo sulle parole di Stanislavskij: “La persona che siete è
mille volte piú interessante del migliore attore che potreste mai sperare di essere”.
Capitolo 11: mantenere il teatro pulito
Uno dei piú importanti compiti con cui un attore ha a che fare è quello di lavorare
armoniosamente con le persone che lo circondano. Ogni nuovo lavoro nel quale un attore
sceglie di lavorare (si, sceglie) lo porta ad essere circondato di nuove personalità, ognuna con
le proprie opinioni su come dovrebbe essere una scena, o su quale tecnica è la migliore per gli
attori, o se domani pioverà o meno. Sebbene il conflitto sia l’essenza stessa del teatro, cosí
non è per la produttività; perció, tenete sempre le seguenti virtú bene in vista:
1. Umiltà, di modo che se qualcuno vi corregge non vi offendiate
2 . Generosità, di modo che quando qualcuno sbaglia non lo condanniate, bensí lo
perdoniate
3. Considerazione, cosicchè quando qualcuno ha una credenza particolare, non gliela
andiate ad intaccare a tutti i costi
4. Tatto, in modo che quando pensate qualcosa che ritenete importante, sappiate anche
come, dove e quando condividere l’idea.
Praticate queste virtú, e vi eleverete al di sopra di meschini battibecchi e l’opinione altrui non
vi disturberà. L’intuito vi dirà se una situazione è da evitare. Il modo migliore per evitare il
conflitto è di arrivare preparati.
Il regista è il vostro capo; ha l’ultima parola su ogni scelta artistica che riguarda la
produzione. La maggiorparte delle volte sarà piú che disposto ad ascoltare la vostra opinione
o a spiegarvi qualche punto. Se questo non dovesse succedere, non importa, in quanto già lo
sapete cosa implica il vostro lavoro. Condannare un regista perché non è bravo è assurdo;il
problema della vostra performance rimane. E questo continua ad essere vero anche per il testo
e per gli altri attori. Quando ce n’è bisogno, dovreste confrontarvi col regista educatamente.
Ma non tormentatelo e soprattutto non contradditelo aspramente di fronte a tutto il cast. Un
cast deve rispettare il suo regista, al di là delle sue abilità. Il non rispetto sfocia nel caos, ed il
teatro è il regno dell’ordine. Il conflitto con un regista è lecito solo nei casi in cui quello che
dice non vi permette di svolgere la vostra azione, o non ha a che fare col vostro lavoro
d’attore, oppure se vi sta ferendo o umiliando. Se il regista vi dice di muovere il dito in un
certo modo mentre fate un pezzo tratto da Amleto, prendetelo come prendereste ogni
adattamento esterno. Se il regista non capisce questa tecnica o la condanna, non c’è problema.
Non c’è nemmeno bisogno di menzionargliela. Fate le liti ideologiche al pub. Le prove non
sono un campo di battaglia ma un posto in cui far crescere le cose.
Trattate gli altri attori con la stessa cortesia con cui trattate il regista. Se un attore ha un
suggerimento, ascoltatelo, perché sicuramente avrà la sua logica, e potreste trarne beneficio
nel capirla.
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Nessun pensiero, per quanto cattivo, è pericoloso. Il pericolo nasce solo quando un cattivo
pensiero viene agito. Quindi giocate con entrambi i pensieri, buoni e cattivi.
Se una scena richiede che tiriate i capelli dell’altro attore, non fatelo davvero. Lo scopo non è
di creare dolore, ma l’illusione del dolore. Esiste il giusto modo di praticare il combattimento
sul palco. Far male davvero ad un altro attore non è appropriato in teatro, e chiaramente farà
in modo che l’attore ferito non abbia piú fiducia nell’altra persona. Non c’è nulla di peggio
per quanto riguarda le necessità della collaborazione. Se il vostro personaggio odia un altro
personaggio, non odiate l’attore. Il fatto che i personaggi non vadano d’accordo non significa
che anche le persone debbano farlo. Gli attori che portano la vita emotiva del Play fuori dal
palco e dentro le loro vite private non sono solo in torto, ma anche stolti, perché hanno
permesso che una situazione immaginaria invada le loro vite. Pulitevi le scarpe prima di
entrare. Quello che succede in teatro riguarda solo il teatro. Quando ve ne andate, lasciatevi
dietro tutto il bagaglio e vivete bene la vostra vita. In breve, come lo spettacolo è finito,
separatevi dall’esperienza sul palco. Allo stesso modo, lasciate le preoccupazioni mondane
fuori dal teatro quando venite a provare o a fare lo spettacolo. Provate sempre a costruire un
rapporto con quelli che vi circondano. Piú siete vicini e piú vi sentirete liberi di scambiare
idee, e inoltre lavorerete anche meglio sul palco con ció che l’altra persona vi sta dando.
Mettiamo che un regista vi dia una disposizione tipo “sii piú terrorizzato”. Non accusatelo
intimamente di essere un ignorantone. Piuttosto, tornate alla vostra analisi e scoprite quale dei
tre passi dovete alterare per dargli ció che desidera. Ecco qualche esempio:
A:
1. Il personaggio sta convincendo Clark a tuffarsi da un punto molto alto
2. L’azione è convincere un amico a fare un grosso passo
3. È come se stessi convincendo il mio amico Jim a lasciare la scuola
Il regista dice che non gli piace quello che state facendo, e poi “siate piú decisi”. Quindi
cambiate l’azione ed il “come se” in questo modo:
2. Fare in modo che un amico si avventuri in una cosa difficile
3. È come se stessi convincendo mia sorella Mary a riprendere l’università
B:
1. Il personaggio sta chiedendo un lavoro a Mr. Santana
2. L’azione è convincere un pezzo grosso che potrebbe avere dei vantaggi dal mio aiuto
3. È come se entrassi in un alimentari e chiedessi se hanno qualche antipasto
soffocando uno sbadiglio, il regista borbotta “troppo piatto, deve essere disperato”. E allora
cambiate l’azione e “come se”:
2. Supplicare un osso duro per un’opportunità
3. È come se mio padre mi volesse buttare fuori casa ed io non ho un posto dove andare,
e nemmeno un soldo
C:
1. Il personaggio sta riprendendo Margot per la sua goffaggine
2. L’azione è mettere in riga una sempliciotta
3. È come se la mia ragazza mi avesse colpito accidentalmente con l’ombrello nella
metro
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Il regista socchiude gli occhi e sussurra “È orribile. Piú cattivo!”, cosí cambiate tutto fino ad
arrivare a:
2. Fermare in tempo un idiota prima che mi si rivolti contro
3. È come se il guidatore che ha causato il mio incidente con la bici (e relative ferite)
stesse manipolando la storia per far sembrare che la colpa è mia
D:
1. Il personaggio sta al funerale della sorella
2. L’azione è osservare una persona amata che se ne va via
3. È come se mio fratello Arthur stesse partendo per la Thailandia e non lo vedró piú per
anni
Strappandosi i capelli, il regista strilla “Per l’amor di Dio, piú triste!”, ed i cambiamenti che
fate sono:
2. Rassicurare una persona amata riguardo la mia devozione per lei
3. È come se mio fratello Merrill fosse diventato paralitico e l’avessero portato in un
istituto, e non puó reagire alle mie scuse sul cattivo comportamento nei suoi confronti
E:
1. Il personaggio sta negando un aumento a Larry
2. L’azione è far capire ad un sottoposto chi è che comanda
3. È come se Bob, l’idraulico del posto, entrasse nella mia cucina con atteggiamenti di
superiorità
Il regista scaglia la cartellina a terra, alza le mani ed urla “Ma perche devi essere cosí tanto
arrabbiato con lui?stattene in disparte!”, e cosí si giunge a questi cambiamenti:
2. dare attenzione ad un problema di un subordinato
3. È come se un ubriaco mi inciampasse addosso e mi iniziasse a spiegare perché dovrei
dargli qualche soldo.
Insomma, aggiustate ed adeguate i punti a seconda del bisogno, coerentemente con ció che
richiede il regista. Ora, incontrerete meno registi tirannici rispetto a quelli disposti a d
ascoltare, ma quando ne incontrate uno ci sono solo tre cose da fare, e dovete scegliere. La
prima è andarsene. La seconda è rimanere e combatterlo su ogni singola parola che dice e non
rispettare le sue disposizioni (in genere questa è l’arma piú comune, piú a basso prezzo e piú
infantile che gli attori scelgono). La terza e piú produttiva strada è quella di non dire nulla,
fare come dice, ed eseguire l’azione cosí come è stata tratta dall’analisi.
Avverbi
A volte sarete in grado di soddisfare le richieste che un regista vi fa, per ottenere un certo
risultato, senza cambiare la vostra analisi. Questo puó essere ottenuto grazie all’uso di un
avverbio, scelto apposta per ottenere quel risultato, da agganciare all’azione. Ad esempio,
state facendo una scena in cui il personaggio sta dicendo a sua moglie che ha appena vinto la
lotteria. L’azione che avete scelto è convincere una persona amata che e’ iniziata una fase
vincente, ed è come se steste dicendo a vostro fratello che i vostri genitori vi stanno regalando
un viaggio intorno al mondo. Il regista vi dice che ha bisogno che siate piú eccitati. Piuttosto
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che cambiare un’analisi accurata e divertente, semplicemente attaccate l’avverbio
velocemente all’azione. L’avverbio vi dice come dovrete fare l’azione. È un adattamento
esterno e fisico. Un altro esempio: diciamo che state facendo una scena in cui il personaggio
dice alla sua ragazza che la lascia. L’azione che avete scelto è rompere il rapporto con un
amico (ma farlo in modo pulito), ed è come se steste dicendo al vostro compagno di stanza di
vecchia data che ve ne andate, perché le cose non sono piú come una volta. Il regista vi chiede
di essere piú sensibili. Potreste provare ad usare l’avverbio “tranquillamente”. È un semplice
modo per dirvi come dovete eseguire l’azione fisicamente.
Nello scegliere gli avverbi, è sempre meglio cercare quelli che suggeriscono un adattamento
fisico piuttosto che di atteggiamento. Avverbi come lentamente, chiassosamente,
faticosamente, esitantemente, vanno bene. Altri come giovialmente, amabilmente,
maternamente, non vanno bene perché richiedono un adattamento emotivo piuttosto che
fisico. Alcuni avverbi sono a metà tra queste due categorie -ad esempio incurantemente,
meticolosamente, esuberantemente- e dovrebbero essere usati solo se l’attore sente che non lo
costringono a “spingere” uno stato emotivo. Ricordate che gli avverbi sono solo uno
strumento per aiutare a trovare quei risultati che un regista potrebbe chiedervi; nella prima
fase di analisi non dovrebbero essere considerati.
Non dirigete mai un altro attore. Se quello che fa non è corretto a vostro parere, fatelo sapere
al regista discretamente. In ogni modo, fatelo solo se quello che fa influisce su di voi. Se avete
la parte principale in un Play, non trattate i personaggi minori come attori minori o esseri
umani minori. La scena che fate con l’uomo che porta il latte è tanto importante quanto quella
con la regina, e Jonathan è tanto umano quanto Kathleen.
Per quanto riguarda lo Stage Manager, è lui che darà la dimensione concreta al vostro essere
artisti. Il suo lavoro è davvero difficile. Trattatelo con rispetto e deferenza. Se vi chiede
qualcosa, fatelo. Lo stesso vale per i tecnici e per tutta la gente che lavora intorno allo
spettacolo. Avere il ruolo principale non è una scusa per essere arroganti ed incivili. Queste
persone, come voi, stanno solo cercando di fare il loro lavoro. Lasciateglielo fare.
Se tenete fede alla quattro virtú elencate sopra, le opinioni divergenti non ostacoleranno il
vostro lavoro. Se state nel dubbio, ricordate ció che dicevano gli stoici: “Le persone non sono
disturbate dalle cose, ma da come vedono le cose”.
Capitolo 12: conclusione
Speriamo che questa guida sia stata sia utile che divertente. Dopo aver digerito ed iniziato ad
applicare i principi che abbiamo discusso, usate questo libro come punto di riferimento. Se
state avendo un problema con qualche aspetto del vostro lavoro, provate a vedere se puó
essere trovata una soluzione usando uno degli strumenti o dei consigli di cui si è parlato. Col
tempo e con la pratica, ogni cosa che avete assorbito diventerà organicamente una parte del
vostro lavoro.
Non c’è nulla di magico circa l’arte dell’attore. Imparare ad essere un attore significa
diventare fisicamente in grado di eseguire le varie abilità che abbiamo elencato. L’arte
dell’attore è un insieme di competenze che si possono imparare col giusto allenamento. Le
variabili come il talento sono al di là del vostro controllo, e, contrariamente alle credenze
popolari, fanno poco per rendere una persona un buon attore. Le qualità naturali, che
compongono il talento, che, si dice, gli attori debbano avere-come ad esempio, sensibilità,
vulnerabilità, e alta consapevolezza dei propri sensi-hanno in realtà poco peso per questa
ragione: ogni essere umano già le possiede. Ció che rende un attore bravo è la sua capacità di
agire gli impulsi che il suo personale grado di umanità crea in lui.
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Molti attori hanno speso le loro carriere usando, e quindi essendone limitati, il loro talento
naturale. Tanti tra questi attori hanno avuto successo, è vero, ma pochi sono cresciuti come
artisti, perché non si sono mai presi il tempo necessario a sviluppare un bagaglio tecnico che
potesse davvero appartenergli, tecniche che nessuno gli avrebbe mai potuto portar via. Col
tempo, la valigia dei trucchetti o si svuota o diventa una prevedibile ripetizione di se stessa.
Quanto è piú grande il rispetto per se stessi dell’uomo o della donna che possono fare
affidamento sulla tecnica che hanno sviluppato nel corso degli anni in teatro, e che permette
loro di superare anche ció che a prima vista sembra un problema insormontabile per un attore.
Adesso avete l’opportunità di sviluppare delle tecniche che staranno lí, per voi, per
sempre;non importa se vostra madre, vostro padre, un fratello, o un critico del New York
Times sono nel pubblico. Come entrate sul palco potrete dire: “SONO QUI PER FARE QUALCOSA
DI IMPORTANTE E NON ME NE VADO FINCHÈ NON L ’HO FATTA”. A quel punto sarete davvero
pronti ad agire, e vi renderete conto che un attore ha il potere di muovere le montagne,
ispirare il coraggio, il vero ascolto, ed un agire positivo, soltanto tramite la sua volontà ad
agire qualunque tipo di impulso cióche ha davanti crei in lui. Nulla è piú purificante o
divertente di vedere un essere umano che non si allontana mai dalle sue intenzioni, pur
essendo gli ostacoli piú o meno insormontabili.
Il solo atto di leggere questo libro non vi insegnerà ad essere un attore. Bisogna trovare il
modo di applicare i principi presentati qui. Per quanto semplici siano, crediamo che vi ci
vorranno dieci o quindici anni per farli vostri, quindi siate pazienti e gentili con voi stessi. Se
scegliete di usare la vostra forza di volontà e di ascoltare il vostro buon senso nel cammino
che vi porta ad essere un attore, allora decidete anche di essere quel tipo di attore che davvero
desiderate. E, se il pensiero di entrare in un teatro a svolgere il vostro lavoro vi riempie di
eccitazione e belle sensazioni, allora sarete di aiuto nella costruzione di un teatro che sarà di
servizio all’umanità, in modo potente e pieno d’amore .
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Glossario
Azione: il tentativo fisico e concreto di raggiungere uno scopo ben definito
Analisi: il processo in cui viene estrapolata l’azione di una scena. Essa è tratta da queste tre
domande:
1. Cosa sta facendo il personaggio letteralmente?
2. Come è riassumibile in termini di azione essenziale ció che il personaggio sta facendo
in scena?
3. Cosa significa per me questa azione? è come se…
“Come se”: la risposta alla terza domanda dell’analisi. È una semplice fantasia che rende
specifica a voi stessi l’azione che avete scelto al punto 2 dell’analisi; è uno strumento
mnemonico che serve a dar vita all’azione
Beat: una unità di azione. Una scena puó essere fatta di una o piú beats.
Beat change: il punto di una scena in cui comincia una nuova azione. Avviene quando una
nuova informazione è introdotta, o quando un fatto nuovo succede e l’attore non ha controllo
alcuno su questa novità, e per natura della stessa l’attore deve cambiare ció che sta facendo.
“Fine”: l’evento o la condizione che indica che l’attore ha avuto successo nel portare a
termine l’azione
Personaggio: l’illusione creata dalle parole e dalle “circostanze date” fornite sia dal
drammaturgo che dal regista, il tutto combinato con l’azione e gli adattamenti esterni che
l’attore sceglie
Azione essenziale: il singolo elemento che definisce ció che l’attore sta facendo in scena,
senza il quale la scena non funzionerebbe (vd. “azione”)
Circostanze date: qualsiasi informazione o attività riportata nel testo o richiesta dal regista,
compresa l’immaginaria cornice in cui viene eseguita l’azione
Vivere nel momento: reagire impulsivamente a ció che l’altro attore sta facendo in scena,
coerentemente con le esigenze dell’azione scelta
Mnemonico: uno strumento inteso ad aiutare qualcuno a ricordare qualcosa: un fatto, idea,
condizione, ecc. ecc.
Attività fisica: qualcosa di specifico che l’attore sceglie di fare sul palco come aggiunta alla
sua azione
Tecnica: Una conoscenza degli strumenti che possono essere usati e la comprensione di come
applicarli
Strumenti d’azione: i vari modi in cui un attore puó scegliere di eseguire l’azione
Strumenti del mestiere: le varie abilità e strumenti che un attore ha a sua disposizione
Azione definitiva: la singola azione dominante che comprende tutte le altre azioni che un
attore persegue di scena in scena, dall’inizio del play alla fine
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