INTERNAZIONALE
15 11.04.2009
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APERTI PER FALLIMENTO
PRODURRE RICCHEZZA SENZA SFRUTTAMENTO
In Argentina l'apertura a modelli di sviluppo alternativi al liberismo ha generato
una crescita senza precedenti. Gli operai continuano a recuperare le fabbriche:
l'esperienza di migliaia di lavoratori e una rete di 200 imprese è diventata
trampolino di lancio per nuove forme d'autogestione
CLAUDIO TOGNONATO
Crisi mondiale, crisi italiana, crisi del lavoro, crisi dei diritti. Nel buio del tunnel, il susseguirsi
delle proposte per far fronte alla situazione economica e sociale non tiene conto di alcune
aree del mondo dove questa crisi è già passata generando fallimenti, disoccupazione,
povertà, ma anche risposte e resistenza. La razionalità economica non ha dubbi, a pagare
sarà l'ultimo. Il darwinismo sociale è la conseguenza logica della legge del mercato. Il più
grande sopravvivrà, mentre il più debole dovrà scomparire. In nome della crisi sembra
normale, un effetto collaterale inevitabile, accettare la disoccupazione, la diminuzione dei
salari e dei diritti. Ma di chi è questa crisi? Chi l'ha generata? Il lavoro non è una merce,
l'essere umano non può essere stoccato in un magazzino in attesa che torni la domanda
ed è forviante parlare di mercato del lavoro. Chi lavora ha diritti e i propri bisogni non
possono essere regolati dagli umori dei dirigenti delle grande aziende né dalla voracità
della speculazione finanziaria. E se le banche hanno le casse vuote certamente non è
colpa di chi ha affidato a loro i suoi risparmi.
Questo film l'ho già visto
Nel dicembre del 2001, nel sud del mondo, l'Argentina dichiarò la bancarotta. Per la prima
volta un paese si dichiarava fallito. Dopo decenni di neoliberismo, l'economia reale era
stata distrutta e la speculazione finanziaria era rimasta l'unica attività redditizia. La
recessione si era aggravata anno dopo anno fino ad arrivare alla caduta libera del Pil che,
nel solo 2001, registrava una flessione del 16,3% mentre la disoccupazione superava il
21%. La necessità di denaro aveva gonfiato in modo esponenziale il debito estero, fino al
punto in cui il governo non fu più in grado di onorare gli impegni. A novembre del 2001 il
ministro delle finanze propone il congelamento dei depositi bancari per un periodo di 90
giorni. In parole povere, sequestrava il risparmio degli argentini, all'epoca per un 96% in
dollari, per pagare con questo denaro scadenze improrogabili. Le banche erano chiuse,
non si poteva accedere ai propri conti correnti, mentre i bancomat e le carte di credito non
funzionavano più. Gli argentini rimasero increduli di fronte ad un simile sopruso, ma poi
hanno incominciato a reagire, hanno distrutto molte banche, hanno occupato il centro delle
principali città e hanno fatto cadere il governo di Fernando de la Rua. I loro risparmi in
valuta, però, non sono stati mai più restituiti.
Si salvi chi può
In un clima di sollevamento popolare, di fronte al fallimento dell'economia e dei partiti
politici, sono nate nuove forme organizzative dal basso, prima i Piqueteros, poi i
Cacerolazos, le Asambleas populares, il Trueque e non ultima l'occupazione delle
fabbriche. La rabbia occupò le piazze, le strade, prese a sassate le banche e saccheggiò i
supermercati. Un'ira incontenibile che esplose il 19 dicembre 2001 e si prolungò con una
incredibile media nazionale di 42 manifestazioni al giorno per tutto il 2002. Solo con il
governo di Néstor Kirchner, lentamente, è stata ripresa la normalità democratica. Erano
anni ormai che, una dopo l'altra, le fabbriche chiudevano i battenti. Il modello neoliberista
inaugurato dalla dittatura militare nel 1976, mantenuto e approfondito dall'era delle
privatizzazioni del governo di Carlos Menem, ha liberalizzato il commercio importando ogni
genere di prodotto. L'industria locale non ha retto l'impatto della concorrenza con i mercati
mondiali ad alta tecnologia e gl'inevitabili fallimenti a catena ne furono la conseguenza.
Le fabbriche chiudevano, ma prima di affondare i padroni abbandonavano la nave
portandosi dietro il salvabile. Si chiudeva lo stabilimento per far lavorare il denaro in borsa.
Gli operai si ritrovavano nottetempo fuori, con le porte chiuse, senza lavoro e senza futuro.
Occupare, resistere, recuperare
In quegli anni alcuni gruppi di operai cominciano ad organizzare una risposta. Dicevano, e
dicono, che a fallire non erano stati loro, che la bancarotta non era loro responsabilità e
perciò non avrebbero abbandonato il posto di lavoro. Nascevano le prime occupazioni, gli
scontri con la polizia che voleva sgomberare le fabbriche, le prime cooperative,
l'autogestione. La loro ricetta è semplice: occupare, resistere, recuperare. Si tratta di
rovesciare la crisi su chi l'ha prodotta. Siamo aperti per fallimento, scrivevano sulle
fabbriche occupate.
Nel 2007, José Abelli, presidente del Movimiento Nacional de Empresas Recuperadas
(Mner), ci raccontava che recuperare «è una forma di autogestione con caratteristiche
nuove dettate dal momento storico in cui si produce. Il nostro modello nasce in
contrapposizione al modello neoliberista. Noi diciamo che per generare ricchezza non è
necessario lo sfruttamento, non è necessario il lavoro minorile, non è necessario il lavoro
nero, non è necessario ridurre sistematicamente il costo del lavoro. La ricchezza che
genera un'attività può trovare forme di distribuzione diverse da quelle attuali. Non diciamo
nemmeno che bisogna dividere il profitto in modo indistinto, accettiamo pure diverse fasce,
ma mai con lo squilibrio che pretendono oggi gli imprenditori. L'esperienza argentina
dimostra che è necessario ridurre i costi, ma quello degli imprenditori non il costo del
lavoro».
America Latina e le crisi
L'Argentina e l'intera America Latina è passata per una grave crisi economica e sociale
conseguenza di 20 anni di neoliberismo selvaggio. Bisogna sempre ricordare che le
dittature militari nel Cile di Augusto Pinochet (1973) e nell'Argentina di Jorge Videla (1976)
furono laboratori a cielo aperto in cui fu varato il modello economico di Milton Friedman,
prima ancora che fosse adottato da Ronald Reagan e Margaret Thatcher per essere poi
esteso come modello unico globale attraverso il Fondo Monetario Internazionale e il
Consenso di Washington.
La crisi Argentina è per l'America Latina il punto finale di quel periodo e l'apertura a modelli
di sviluppo alternativo che hanno portato l'intera regione ad una crescita sociale ed
economica senza precedenti. I rapporti della Commissione Economica per l'America Latina
ed i Caraibi (Cepal) segnalano che abbandonato il modello neoliberista la regione si è
trasformata in una delle aree più dinamiche dell'economia globale. L'economia argentina ha
continuato a crescere da allora ad una media che supera l'8% annuo. Anche dopo lo
scoppio dell'attuale crisi i conti continuano ad essere positivi. Non sono ancora disponibili i
dati del 2008, ma anche se cominciano a verificarsi le conseguenze del rallentamento
dell'attività economica globale, la crisi non è esplosa come in altri latitudini. Il miracolo della
regione si basa nel rifiuto del modello economico neoliberista e nel deciso
ridimensionamento dell'economia finanziaria. L'America Latina cerca di portare avanti
politiche comuni, dando priorità ai legami Sud-Sud in contrapposizione al classico modello
della dipendenza Nord-Sud.
Una nuova forma di lotta
Oggi le fabbriche recuperate continuano a produrre, dicono che per loro fallire è impossibile
perché sono già fallite. Negli anni è stata modificata la legge che regola i fallimenti, ora i
debiti verso i lavoratori sono prioritari. Non è più necessario occupare le fabbriche perché si
chiede al governo e alla magistratura la gestione dell'azienda chiusa o abbandonata.
L'imprenditore non c'è, quindi la crisi non si traduce in una diminuzione del costo del lavoro,
non diminuiscono i loro diritti, ma i lavoratori assumono nuove responsabilità nella direzione
del loro futuro. Sono cooperative e alcune dopo anni sono entrate anche in rapporto con il
nostro paese per imparare dalla esperienza maturata in questo campo. In Argentina, anche
se il fallimento a catena è stato superato, si continuano a registrare casi di imprese
recuperate. Gli operai hanno trasformato questa esperienza in una nuova forma di lotta.
Quando l'azienda minaccia la chiusura i lavoratori restano vigili perché sanno di potersi
organizzare in cooperativa e proporre una nuova gestione. L'esperienza di un movimento
con migliaia di lavoratori e una rete di oltre 200 imprese è la piattaforma di lancio per nuove
forme di autogestione. Si può, un altro mondo è possibile.