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Commentary, 23 ottobre 2015
ARGENTINA, TRA DEFAULT E CRISI ECONOMICA
ANTONELLA MORI
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©ISPI2015
ome sta andando l'economia Argentina? È
spesso difficile valutare l'andamento della congiuntura di un paese ed è ancora più difficile
quando il paese in questione è l'Argentina. Le previsioni
del governo argentino mostrano un’economia in ripresa
con un tasso di crescita del PIL intorno al 2%, mentre le
ultime previsioni del Fondo Monetario Internazionale
indicano una crescita dello 0,4% quest’anno, simile al
2014. Comunque la crescita quest'anno sarà sicuramente
inferiore al tasso medio dei dieci anni passati (pari al
5,1%). Anche per quanto riguarda l'inflazione è difficile
avere un quadro accurato: infatti in base ai dati ufficiali
l'inflazione al consumo si aggira intorno al 15%, mentre
fonti alternative, considerate da molti più credibili di
quelle ufficiali, stimano un tasso di inflazione intorno al
27% (State Street, PriceStats). Sono anni che gli argentini
convivono in modo relativamente tranquillo con un'inflazione a due cifre e la ragione è che il reddito disponibile è aumentato spesso in misura superiore al tasso
d'inflazione: per esempio, secondo i dati del Ministero
dell'Economia argentino negli ultimi 12 mesi il salario
minimo e la pensione minima sono aumentati rispettivamente del 55,2% e del 33%. Questo aiuta a spiegare
perché nonostante il deterioramento dell’economia e la
protratta inflazione elevata l’attuale Presidente Kirchner
rimane molto popolare, dando un chiaro vantaggio al suo
candidato Daniel Scioli.
Il 2015 si chiuderà quasi certamente con un forte deterioramento dei conti pubblici e della bilancia commerciale. Sul bilancio pubblico pesa l'aumento delle uscite
per vari sussidi e trasferimenti, sia a cittadini che a imprese e, dal lato delle entrate, la diminuzione delle tasse
sulle esportazioni. La monetizzazione del disavanzo
pubblico è il principale canale di aumento dei prezzi. Sul
fronte del commercio con l'estero sono diminuite le
esportazioni a causa della riduzione dei prezzi delle materie prime agricole, in particolare soia e mais, e della
recessione in Brasile, che è il principale partner commerciale dell’Argentina con un quinto del totale. Le importazioni sono inoltre sostenute da un tasso di cambio
sopravalutato. Il deprezzamento del tasso di cambio negli
ultimi quattro anni non è stato, infatti, sufficiente per
compensare l’aumento dei prezzi interni. La sopravalutazione del cambio è evidente anche dalla differenza tra
tasso di cambio ufficiale (un dollaro americano per 9,5
pesos) e tasso di cambio informale (un dollaro americano per 16 pesos) che è di circa il 70%.
Il nuovo Presidente troverà quindi una situazione economica difficile con tante sfide da affrontare per rilanciare la crescita, tra cui ridurre il tasso d’inflazione, mettere in ordine i conti pubblici ed eliminare le distorsioni
Antonella Mori, ISLA Università Bocconi e ISPI Associate Senior Research Fellow
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Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.
Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo.
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sul tasso di cambio. Con limitate risorse pubbliche a disposizione, diventerà prioritario riuscire a stimolare gli
investimenti privati, nazionali ed esteri, sia nel settore
infrastrutturale che nel settore manifatturiero. Per raggiungere questo obiettivo è però fondamentale che vi sia
trasparenza e certezza delle regole e in generale un contesto dove sia più facile fare attività di impresa. Secondo
la graduatoria della Banca Mondiale del Doing Business,
per esempio, l'Argentina è tra i paesi al mondo dove è più
complicato e costoso ottenere permessi edilizi e pagare le
tasse.
americani e quindi non ha potuto versare gli interessi
sulle obbligazioni ristrutturate, entrando in stato di default (tecnico) il 31 luglio 2014. La questione rimane
molto difficile da un punto di vista finanziario, senza
considerare gli aspetti etici della questione. Infatti, anche
se è decaduta la clausola RUFO (Rights Upon Future
Offers, che stabiliva che chi aderiva alle ristrutturazioni
manteneva comunque il diritto a partecipare ad eventuali
future offerte agli holdouts), si stima che gli holdouts
posseggano titoli per circa US$ 6,5 miliardi, che considerando anche gli interessi maturati, potrebbe portare a
nuove cause per rimborsi molto elevati, rispetto alle
scarse riserve ufficiali dell’Argentina, che negli ultimi
due anni sono oscillate intorno ai US$30 miliardi.
Infine, il ritorno alla crescita dipenderà dalla possibilità di
accedere a finanziamenti sui mercati internazionali. La
ricerca di una soluzione al default del 2014 dovrebbe,
quindi, essere una priorità del nuovo governo. Come
noto, un gruppo di fondi di investimento americani, che
avevano comprato titoli argentini dopo il 2002, ha fatto
causa all’Argentina per ottenere il 100% del valore nominale più gli interessi maturati (valutati circa US$ 1,3
miliardi). Il giudice Thomas Griesa del Tribunale di New
York ha dato ragione ai fondi d’investimento americani e
ha condannato l’Argentina al pagamento integrale delle
obbligazioni detenute da questi fondi, prima di poter
procedere al pagamento degli interessi ad obbligazionisti
che avevano partecipato alle ristrutturazioni del 2005 e
2010. Ma l’Argentina ha deciso di non pagare i fondi
©ISPI2015
Il legame tra default e crisi economica è molto forte: ma
mentre il default del 2002 è stata la conseguenza di anni
di crisi economica e finanziaria, il rischio oggi è che il
default del 2014 diventi la causa di una prolungata crisi
economica.
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