DISAGI DEL NOSTRO TEMPO: ANSIA E DEPRESSIONE La

DISAGI DEL NOSTRO TEMPO: ANSIA E DEPRESSIONE
I SINTOMI E LE CURE
a cura della dr.ssa Patrizia Furlan
Psicologa
La depressione: il punto di vista dello psicologo
Una questione di vocabolario?
Il termine “depressione” indica
una malattia psichica caratterizzata
da specifici sintomi.
“Sono depresso”, “mi sento depresso”, sono espressioni che ricorrono frequentemente nel
linguaggio quotidiano: le si usa in genere per dar voce a sentimenti come la tristezza, la
malinconia e la delusione.
Ci si è abituati a definire stati d'animo e modi di sentirsi con termini clinici, ma questa non è
una questione ovvia. D’altra parte l’uso delle parole non è mai casuale: fa emergere un
modo di entrare in relazione con ciò che esse indicano e significano.
Il termine “depressione” è spesso usato in modo ambiguo e secondo due differenti
significati: da una parte indica una malattia, dall’altra parla di emozioni, di sentimenti interni
che fanno parte di una esperienza comune come ad esempio la tristezza.
Perché un termine clinico come depressione si usa così spesso nel parlare quotidiano?
Come prima cosa si potrebbe pensare all’economia ed alla velocità della comunicazione.
Dire “mi sento depresso” permette di esprimere sinteticamente una gamma molto ampia di
sentimenti ed emozioni.
L’ angustia interna, la malinconia, il disinteresse per le cose sono solo alcuni degli stati
d’animo a cui la parola depressione allude; l’elenco potrebbe continuare fino a costituire un
lungo catalogo di emozioni legate alla tristezza, ai momenti bui dell’umore.
Con la parola “ depressione “ si indica un insieme doloroso e difficile da analizzare.
Quasi nessuno utilizza più termini come: mestizia, malinconia o struggimento e lo stesso
termine "tristezza" è meno usato che in passato. Parole che denota no sottili differenze di
condizione degli stati d’animo cadono quotidianamente in disuso.
Gli individui posseggono potenzialmente sempre più parole per dire ciò che sentono dentro
di loro, le proprie emozioni e sentimenti, ma a tale possesso potenziale non sempre
corrisponde un reale utilizzo di termini e di capacità espressive. La fretta entra non solo nei
modelli di vita, ma anche nel linguaggio.
L’uso improprio della parola “ depressione “ è segno di un impoverimento del vocabolario
– gli individui non riescono ad impossessarsi fino in fondo delle proprie esperienze. – E
così il linguaggio comune si riempie di codici gergali o di termini impropri che associano le
emozioni ed i sentimenti a parole chiave che ne mutilano il significato.
Non è naturalmente una semplice questione di vocabolario, ma un diverso atteggiamento
verso il campo dell’esperienza, forse una cura minore per il mondo interno, un pensare
meno ai propri sentimenti e sensazioni.
Se accettiamo l’osservazione che a volte termini appartenenti alla medicina vengono usati
nel linguaggio corrente in modo superficiale è altrettanto rilevante che reali stati di
malessere non vengono riconosciuti come tali per vergogna e scarsa informazione.
Le difficoltà psicologiche sono e/o possono diventare malattie che impediscono il normale
svolgimento della vita della persona.
La depressione clinica è una malattia
La depressione è un disturbo
dell’umore La persona depressa
ha generalmente una visione
negativa della realtà e non
riesce a gestire correttamente le
emozioni, ha sentimenti di colpa
ed inadeguatezza
La depressione va considerata a tutti gli effetti una malattia: presenta dei sintomi
caratteristici ed un trattamento adeguato, secondo recenti dati, porta alla guarigione
nell’80% dei casi. E’ una malattia, quindi non va confusa con le normali sensazioni di
cattivo umore o “morale a terra” che possono manifestarsi, in determinati periodi, in ogni
persona con le vicende della vita. In tanti casi la mancanza di informazione o la vergogna,
che purtroppo ancora caratterizzano certi disturbi, portano le persone a “tirare avanti” a
non rivolgersi al medico sottovalutando i propri sintomi o pensando che possono farcela da
soli o che passerà che è solo un momento. In alcuni casi può essere così, ma in molte
situazioni trascurare permette alla malattia di mettere radici e, nel tempo, di cronicizzarsi.
Se è vero che talvolta si usa il termine depressione per indicare sentimenti di tristezza è
altrettanto vero che in molte situazioni di patologia si tende quasi a far “finta di niente”
perlomeno fino a che il disturbo non diventa evidente e ne risente tutta la sfera di vita della
persona.
La depressione tende a portare all’isolamento anche dai propri familiari ed amici poiché la
sofferenza depressiva è così profonda che conduce ad una gamma ristretta di pensieri
ripetitivi che portano a chiudersi in se stessi
Avere in casa una persona affetta da depressione mette in crisi tutta la famiglia che non
sa che cosa fare per alleviare la sua sofferenza la profonda infelicità e di trarre
soddisfazione dalla vita. Certamente la cosa più utile da fare quando o si osservano in un
familiare od amico sintomi di tipo depressivo è di rivolgersi o consigliare di rivolgersi al
medico di base o direttamente allo specialista perché il momento nel quale si interviene è
importante e talvolta determinante per il percorso di guarigione.
Esempio clinico: Anna 39 anni
Anna, sposata con una bambina di 9 anni, su indicazione dello psichiatra, chiede una
terapia psicologica, la sua diagnosi è di depressione ansiosa,
Anna si presenta alla seduta camminando lentamente, curva, quasi raggomitolata su se
stessa, dà l’idea di volersi chiudere come protezione dal mondo. Riporto parte di una
seduta che mi sembra ben descrivere la sua malattia.
Anna: sono di nuovo molto, molto stanca, ho una crisi pesante, mi è venuta una nuova
allergia agli occhi, ho provato a parlare con Matteo (il marito) però non ne è venuto fuori
granché, d’altra parte sono anni che sopporta le mie crisi. Mi ha detto che gli faccio venire
molta ansia, io capisco che per lui il suo lavoro è molto importante, che si sta costruendo
una carriera, ma se va avanti così non ci vediamo proprio più . Io ho sempre tremila cose
da fare, dormo poco e male, non ho appetito, non uscirei mai di casa. A casa mi sento
protetta, nessuno mi vede e mi dice niente, ma so che non posso andare avanti così, sono
stremata ed ho una bambina, mi chiedo se anche lei sarà come me, se le trasmetterò la
mia malattia. Ho anche paura di perdere il lavoro, mi dimentico le cose, mi licenzieranno.
E’ proprio una brutta giornata, non vedo spiragli, nessuna via d’uscita. Mi chiedo se vale la
pena di alzarsi al mattino, di fare tutti questi sacrifici, mi trema la terra sotto ai piedi.
Ho fatto un sogno la settimana scorsa. Stavo passeggiando con Eleonora e mi sono
ricordata che dovevo fare una commissione, le ho raccomandato di aspettarmi e di non
muoversi. Quando sono tornata non l’ ho più trovata, ero disperata, avevo perso la mia
bambina.
Ero una persona così solare ed ottimista, perché sono diventata così brutta? Non vedo
l’ora di diventare vecchia e di finire la mia vita.”
Nello stato d’animo che si legge tra queste righe si riconosceranno, le persone che hanno
sofferto o soffrono di depressione.
Provare sentimenti depressivi
Essere tristi o infelici in corrispondenza di eventi dolorosi della vita non è una malattia.
C’è una variabilità individuale
nell’accettare ed affrontare le
situazioni che trova le sue
radici nella storia individuale.
I sentimenti depressivi legati ad un momento di crisi esistenziale, ad un patimento
sentimentale o ad una qualunque perdita è importante siano accolti ed indagati,altrimenti si
possono trasformare in piccoli macigni che ingombrano la vita psichica prendendo sempre
più consistenza.
La pesantezza che spesso si manifesta nella condizione depressiva è una sensazione che
non nasce all’improvviso. Solitamente si è accumulata nel corso del tempo per la scarsa
elaborazione delle esperienze.
L’elaborazione è quel processo che permette di far propri fatti ed emozioni, di interiorizzarli
fino a dare un significato unico e personale a ciascuna esperienza.
Grazie a questo meccanismo, tutto ciò che costituisce la vita psichica tende a divenire un
insieme integrato: anche i sentimenti più dolorosi vengono “digeriti” e connessi con altri
pezzi dell’esistenza.
Trascurare i propri vissuti è quindi una condizione psichica che espone a forti rischi: nella
relazione che lega ciascun individuo alla realtà esterna ed al proprio mondo interno c’è
necessità di integrazione. Difficoltà relative al processo di assimilazione provocano forme
di intensa sofferenza perché se il materiale psichico non viene ben governato, si esprime
poi con una potenza che la persona potrebbe non controllare.
Questo non vale solamente per la depressione, ma si estende a tutto il campo del disagio
psichico. Il caso di una giovane donna di 36 anni esprime bene questi concetti:
“….mi sento distrutta piange disperatamente….l’angoscia si è impadronita di me ed adesso
che sono a casa in ferie è molto peggio. Quando lavoro la mia testa è impegnata, non
posso pensare ad altre cose, ma in questi giorni…..E’ meglio che le racconti la mia storia:
mi sono sposata a 20 anni, ho avuto subito due bambini, dopo 6 anni mio marito è morto
improvvisamente, ma io dovevo andare avanti per i bambini, dovevo lavorare ed
impegnarmi per loro. Sono successe tante cose, hanno avuto molti problemi con la scuola,
con gli amici – Io mi sentivo tanto sola. Mi innamoravo di diverse persone, ma queste
storie non diventavano mai realtà.
Adesso ho conosciuto un uomo, ma non so se lui mi starà vicino. Ho paura, quando non mi
telefona, so che lo perderò ….. adesso i bambini sono grandi e non hanno più bisogno di
me e mi sento il vuoto intorno e penso a tutte le cose che sono successe – Mi sento tanto
sola…”
Questa signora, come si può intuire, aveva trascurato i propri sentimenti, aveva cercato di
non pensare a quello che le era capitato ed ora che i figli sono grandi ed hanno meno
bisogno di lei sente il vuoto.
Racconta di essersi “sforzata” di non pensare alla morte di suo marito, a come si sentiva
lei, ma ad un certo punto le è crollato tutto addosso riempiendola di angoscia.
Per interpretare e comprendere le ragioni della presenza, oggi sempre più incalzante, di
sintomi depressivi, è opportuno accostare il contesto culturale e sociale al mondo psichico.
Emergerà allora come una scarsa e scadente capacità di elaborare la sofferenza, di
accettare di vivere piccole esperienze depressive nel corso della propria esistenza sia una
delle condizioni che favoriscono il diffondersi della depressione in quanto malattia anche in
età adolescenziale.
Il processo di elaborazione, infatti, è certamente una capacità che riguarda il mondo
interno dell’individuo ma risente anche dei modelli culturali.
Nel suo libro “L’esperienza del dolore” 1986 il filosofo Salvatore Natoli indaga ed analizza i
modi con cui gli individui si sono rapportati alla sofferenza nella cultura di tre diverse
epoche storiche.
La civiltà Greca assegnava grande valore alla capacità di “ riemergere dalla sconfitta “ e di
“ reggere la sofferenza “ , dare una forma anche a ciò che disgrega e annichilisce era
segno di virtù e di forza.
Nel mondo Giudaico: “ il dolore nasce da una colpa”: la colpa è il male.
Nel mondo Giudaico il dolore è anche un enigma: l’intero libro di Giobbe può essere letto
come una sfida tra la rivolta e l'accettazione del patimento. La pazienza - virtù di Giobbe - è
termine connesso al verbo “patior” che significa soffrire. Nel cristianesimo, con sfumature
diverse rispetto alla cultura Giudaica, la morte ed il dolore hanno anche valore di
testimonianza. In greco il termine Martyromai – da cui deriva l’italiano martire – significa
appunto essere testimone. Per i Cristiani la sofferenza è una modalità per aderire alla
sofferenza di Gesù e perciò una via per incontrare Dio. Si comprendono allora le parole del
Vangelo “ Beati gli afflitti perché saranno consolati “
Secondo Natoli, la nostra epoca è attraversata da un’idea di fondo: il dominio. Da più di un
secolo le scoperte tecnologiche sembrano suggerire che il progresso stia conducendo
verso una vittoria ed un trionfo sulle forze della natura.
In tale contesto il dolore diventa qualcosa che può essere dominato ed affrontato come
dominabile. L’esperienza della sofferenza non può più essere affrontata come tale, ma ad
essa occorre associare sempre un’azione lenitiva, un farmaco, una proposta terapeutica.
La pazienza, la capacità di soffrire, di essere tristi, melanconici, affranti o delusi pare poter
essere accolta solo negli studi medici o nelle stanze di psicoterapia.
Maria, un’altra paziente raccontava: se facessi vedere come mi sento, dapprima mi
guarderebbero con pena, poi ne sarebbero seccati. Non c’è tempo per ascoltare chi sta
male, la mia tristezza li disturba ed io devo portarla dentro di me come qualcosa di cui
vergognarmi.
Maria, parlava della propria depressione come di un abito mal scelto che mette a disagio,
mi sento come chi non ha saputo adeguarsi a ciò che gli altri si aspettano. Dovunque io
vada, facendo un grosso sforzo dentro me stessa, ho l’impressione di essere il 13° ospite
a pranzo. Intorno a me si forma un disagio malcelato: c’è chi fa finta di non accorgersi del
mio malessere, c’è chi mi ignora, c’è chi mi evita e, comunque mi sento di troppo. Mi sento
come chi avrebbe voluto non esserci, quando mi trovo con gli altri mi gonfio come un
pallone, e i vestiti mi diventano strettissimi, quasi non riesco ad abbottonarli. Poi quando
vado a casa sono di nuovo sola, mi sgonfio e ritorno normale.
L’ansia che la invadeva quando si trovava in un gruppo si rendeva visibile attraverso il
corpo.
Se da una parte la depressione allontana dal mondo e spinge chi sta male a sentirsi in un
deserto affettivo e relazionale, dall’altra il modo nel quale il dolore è guardato ed inteso
induce ancor di più a provare vergogna per la propria inadeguatezza.
Nel disagio della civiltà (uno degli ultimi scritti di Freud,) egli scrive: “L’uomo è, per così
dire, divenuto una specie di Dio- protesi veramente magnifica quando è equipaggiato di
tutti i suoi organi accessori. Anche nell’interesse della nostra indagine, non dimentichiamo
che l’uomo d’oggi, nella sua somiglianza con Dio, non si sente felice.
La capacità di affrontare il dolore è essenziale per mante nere un buon equilibrio psichico.
Maria parlava del proprio malessere come di una tana “Mi sento incapace”- diceva - “di
uscire dalla penombra della mia stanza e dal buio dei pensieri che ho in testa. Ho dovuto
scovare per me questo angolo in cui stare e dove rivedo tutto: la mia infanzia, il dolore che
già avevo provato, i miei patimenti sentimentali, la disperazione con cui cercavo amore
negli altri.
Da questa tana vorrei uscire anche se per adesso mi sembra il luogo più sicuro.
Verso la fine della psicoterapia, Maria sosteneva di sentirsi come chi parte per un lungo
viaggio, non sapendo mai se quello che ha in valigia sarà adeguato e sufficiente.
Aggiungeva “so che non avrò la sicurezza di non cadere. Mi sento come un bambino che
impara a camminare anche se qualche volta scivola e si fa male, si rialza e ricomincia.
Come un bambino piccolo, anch’io ho la curiosità ed il desiderio di camminare da sola”
Le cause della depressione
La depressione è determinata da cause sia ambientali che biochimiche.Cercare le cause
“oggettive” non porta alla soluzione, esse spesso sono l’ultimo anello di una catena.
Credo che non vi sia alcun depresso o suo parente che non si sia interrogato sulle cause
della depressione, che non abbia cercato di spiegare ed interpretare l’insorgenza dei
sintomi.
Per placare l’ansia generata dal malessere depressivo molte persone intraprendono
spesso un percorso interminabile alla ricerca di cause oggettive, reali, eventi determinanti
dai quali deriverebbe la malattia. Alcune volte l’impressione che tali spiegazioni danno è
quella di un groviglio in cui non si riesce a trovare un motivo certo, e le interpretazioni si
intrecciano e si sovrappongono. Ci si addentra in un labirinto di pensieri, giustificazioni,
individuazione di eventi scatenanti il cui intento è quello di scoprire un colpevole.
Con questo, non si vuole negare che i sintomi depressivi compaiano spesso in
corrispondenza di circostanze precise nella vita dell’individuo.
Angela, una donna che aveva chiesto di intraprendere una psicoterapia dopo la
morte della madre, comprese che la sua sofferenza aveva una portata più ampia del
cordoglio per la perdita subita. In lei vi erano dei sentimenti antichi, conflitti
dolorosi mai risolti che si affacciavano ed attraversavano il dolore per la morte della
madre. Lucia spesso diceva: “Gli altri pensano che sia solo la morte di mia madre
che mi fa stare male. Io glielo lascio pensare perché mi serve a non dare altre
spiegazioni, perché ho paura che possano intuire quanto sia vecchio il mio dolore”.
“Io non so soffrire” aggiungeva questa donna,”non riesco a perdonare a mia madre di
essere morta, sono un’egoista che pensa solo a se stessa. Il mio dolore viene prima di
tutto”.
Che cosa manca alla persona depressa?
La capacità di contenere, integrare i sentimenti conflittuali, vedere le ambivalenze.
E’ una vicenda del mondo interno quella che impedisce a chi soffre di sopportare se stesso
senza rappresentarsi come vittima designata.
Il mondo interno costruisce ed alimenta la malattia depressiva. Di conseguenza, le
molteplici spiegazioni cercate negli accadimenti reali, nelle cause scatenanti non sono
soddisfacenti. Esse non si soffermano sul nucleo essenziale della malattia: un apparato
psichico in cui dilagano senza argini né contenimento sentimenti potenti. odio, rancore,
incapacità di avere fiducia e speranza, distruttività, senso di morte: sono esperienze che
appartengono agli strati più profondi della psiche.
Quando tali sentimenti non vengono integrati con le parti buone degli affetti e ne restano
scissi, è probabile che acquistino una potenza difficilmente governabile dalla quale si può
originare la malattia depressiva. Nel manifestarsi della depressione concorrono cause di
ordine psicologico e biochimico. Il che il fatto di trascurare i propri stati d’animo, di chiedere
troppo a sé stessi, di non condividere con gli altri i propri stati d’animo (magari per paura di
disturbarli…) porta ad avere troppe cose dentro di sé e basta davvero una “goccia per far
traboccare” il vaso.
Perciò un problema, dopo tanti problemi non risolti, accantonati per altre priorità (vedi il
caso della signora 36enne rimasta vedova con due figli), porta a sentirsi incapaci di
affrontare le cose, a sentirsi esauriti , impoveriti. Le situazioni da affrontare diventano
troppe, ed anche normali impegni diventano montagne invalicabili.,
Da un punto di vista psicologico, assume grande importanza l’ambiente nel quale la
persona ha vissuto la propria infanzia, il rapporto con i suoi genitori nonché le vicende della
sua adolescenza. Secondo alcuni studi le persone che sviluppano malattie psicologiche
non hanno sufficienti sicurezze interne per poter affrontare in maniera efficace le prove
della vita. Le sicurezze deriverebbero da un ambiente affettivo supportante, in pratica i
bambini amati correttamente gratificati, ma portati a verificare gli errori per correggerli o, in
futuro, evitarli diventerebbero adulti più “resistenti”.Basta indagare nella storia di vita delle
persone depresse o ansiose per verificare queste teorie. Si tratta, nella gran parte dei casi,
di un passato costellato di eventi dolorosi, di carenze affettive, di scarsi appoggi o punti di
riferimento. Questo non significa che tutte le persone deprivate affettivamente o che
hanno avuto un’infanzia infelice sviluppino automaticamente patologie mentali. La psiche
umana è molto flessibile e durante la vita antiche mancanze possono trovare “stampelle”
efficienti, ma sembra certo che le persone che sviluppano patologie, abbiano alle spalle
esperienze difficili da elaborare o che non abbiano avuto sufficienti strumenti per farlo. Le
differenze individuali nel corso delle prime esperienze di vita possono alterare
profondamente la qualità degli anni successivi. Le cure ricevute da piccoli favoriscono la
preservazione del patrimonio cerebrale da adulti, e, soprattutto, plasmano una risposta da
stress di gran lunga meno distruttiva. Quindi la risposta da stress e la futura suscettibilità a
malattie può essere condizionata da esperienze vissute nelle fasi più precoci della vita.
Certo, non si può risparmiare a nessuno il dolore, non è una esperienza evitabile. Avere
l’equipaggiamento adatto per poterlo affrontare costituisce però un elemento adattivo
determinante.
Molti genitori nella nostra epoca sono impegnati nell’evitare ai figli le mancanze o pene che
loro stessi hanno vissuto e questa è una posizione nella quale possiamo trovarci in
accordo, ma, la protezione totale diventa dannosa come una mancanza affettiva. Questi
ragazzi, che non patiscono niente, non si costruiscono nemmeno la capacità di dotarsi
degli strumenti per affrontare i problemi della quotidianità ed alla prima frustrazione, intesa
come risposta negativa, cadono a pezzi. Essere lasciati dalla ragazza o ragazzo diventa
così un’esperienza insostenibile. Non poter andare in discoteca un fatto inaccettabile.
Prima parlavamo di elaborazione delle esperienze, questo è un “esercizio” che consente di
affrontare meglio le avversità.
“..così abituandomi alle sofferenze di poco conto, dovrei imparare ad accettare con
pazienza i colpi più dolorosi”. (L’arte di essere pazienti - Dalai Lama.)
Una giovane paziente, Sara, alla mia interpretazione che attribuiva i suoi scatti d’ira e crisi
di disperazione alla sua incapacità ad accettare la frustrazione (era stata ipeprotetta dai
suoi genitori), arrabbiata e stupita mi chiese: “….allora secondo te avrei forse dovuto
soffrire…?”
L’evento scatenante
Non esiste una singolo evento
che fa ammalare di
depressione. Spesso però, è
possibile individuare la
situazione che ha fatto
precipitare un equilibrio che era
stabile solo in superfice.
Perché la malattia si manifesta in un preciso momento della vita? Quali i fattori che
determinano il manifestarsi dei sintomi? Pare che esista un evento (interno od esterno) che
costituisce quella goccia in più che fa traboccare il nostro “vaso psichico”. Non è quindi una
singola esperienza traumatica e di dolore che fa ammalare, ma l’indebolimento progressivo
causato da più sollecitazioni dolorose che infragilisce la capacità a fronteggiare gli eventi a
sviluppare una visione negativa degli eventi ed a sviluppare i sintomi. Mi viene alla mente
un esempio tratto da un autore che paragona nostra psiche ad un cristallo poliedrico, il
quale da pochi atomi si ingrandisce progressivamente, ma durante la sua crescita uno
sconvolgimento atmosferico ne mina l’integrità: ingloba una bolla d’aria che diventa il suo
punto debole. Il cristallo continua a il suo sviluppo anche con questo “difetto”. Gli eventi lo
portano ad esperienze diverse, alcune traumatiche, ma pare resistere. Ad un certo punto
una sollecitazione più forte lo porta a spezzarsi proprio in corrispondenza del suo antico
“difetto”. L’evento scatenante può essere molto vistoso: un lutto, una separazione, essere
licenziati, cambiare casa città o lavoro, ma anche meno visibile, ma di grande significanza
per la persona.
“Gli uomini sono disturbati non dalla cose ma da come essi le vedono”- EpitetoNon vogliamo indurre alla ricerca della causa scatenante, anzi talvolta attribuire la
responsabilità della malattia ad un evento traumatico o presunto tale non è di grande aiuto
perché ci si concentra su questo, perdendo di vista la situazione nella sua globalità.
Nell’approccio psicoterapico, come vedremo in seguito, una ristrutturazione di campo e la
costruzione di strumenti per modificare il proprio vissuto, risultano molto efficaci.
Sono molti gli elementi che concorrono allo sviluppo della capacità in ciascuno di noi di
affrontare in modo soddisfacente o meno distruttivo possibile le questioni della vita.
Chi si ammala?
Si ammalano di depressione
sia uomini che donne, a
qualsiasi età, estrazione sociale
ed economica.
Non c’è una tipologia specifica di persone che si ammala di depressione, anche se c’è una
prevalenza femminile come confermano molti studi, non ci sono preclusioni economiche o
professionali, ma alcune congiunture possono favorire un ambiente stressante e quindi lo
sviluppo dei sintomi. La resistenza individuale agli eventi stressanti, come abbiamo detto,
trova le sue basi nell’ambiente della prima infanzia. e genitori che soffrono di depressione
possono costituire un elemento di rischio nei figli.
La depressione è una malattia subdola. All’inizio i sintomi possono essere scambiati con
stati emotivi come la tristezza, in seguito dilagano invadendo tutta la sfera di vita della
persona.
Le cure della depressione
La depressione è una malattia
che può essere curata con ottimi
risultati nella maggioranza dei
casi.attraverso
l’integrazione
delle terapie farmacologia e
psicologica.
I mezzi clinici per combattere la depressione sono diversi, la ricerca scientifica ha fatto
importanti passi in avanti per quanto riguarda la cura delle patologie ad elevata incidenza
nella popolazione.
Ogni persona, con l’aiuto dello specialista, può individuare il percorso terapeutico più
idoneo al proprio caso
.Le cure si possono riunire in due grandi gruppi:
-
TERAPIA PSICOLOGICA
-
TERAPIA FARMACOLOGICA
La terapia psicologica
Attraverso questa terapia la persona viene aiutata ad interpretare il mondo secondo
un’ottica diversa. E’ basata sul dialogo fra paziente e terapeuta e l’obiettivo è quello di
rivedere gli eventi della propria vita in maniera meno disfunzionale. Scegliere di affidarsi a
questo tipo di terapia può rappresentare già un grande passo, e in alcuni casi
(specialmente all’inizio della malattia) può essere sufficiente per ritrovare il benessere e
per evitare di ricorrere alla terapia farmacologia. Tra le terapie psicologiche, la psicoterapia
cognitiva viene considerata la più efficace nel caso dei disturbi dell’umore Nell’ambito di
queste terapie, esistono orientamenti differenti dei quali diamo una indicazione generale,
senza voler approfondire il tema anche per non creare confusione nel lettore, ci scusiamo
per la semplificazione rimandando ad una letteratura specifica l’argomento. Possiamo
dividere le teorie che sottostanno alle psicoterapie in due macro gruppi:
ad orientamento psicdinamico: la tecnica terapeutica prevede che il paziente possa
esprimere la sua angoscia profonda in un ambiente “protetto” e comprensivo, intervenendo
limitatamente, il terapeuta, offre al paziente lo spazio ed il tempo per raccontare ciò che
sente. In queste terapie assumono centrale importanza le esperienze della prima infanzia,
come il paziente si sentiva a quell’epoca, i legami con i suoi genitori, partendo dall’ipotesi,
oramai consolidata, che le esperienze della prima infanzia costituiscano la base del
modello comportamentale ed interpretativo delle scelte successive e la capacità di far
fronte alle difficoltà. Nelle terapie ad orientamento psicodinamico in genere non vengono
stabiliti obiettivi specifici da raggiungere, né predeterminati i tempi della cura. l’intervento
terapeutico prevede una bonificazione della struttura della persona e questo richiede tempi
mediamente più impegnativi rispetto ad altre terapie. I risultati sono ottimi, ma in assenza
di un protocollo specifico molto dipende dalla capacità e dall’esperienza del terapeuta.
Le terapie comportamentali e cognitive, queste presentano quale denominatore comune
quello di avere come obiettivo la modifica dei comportamenti/pensieri valutati
insoddisfacenti od inadeguati per il paziente. Questo approccio non
prevede
necessariamente una investigazione nella storia della persona o l’intento di agire sulle
strutture profonde della personalità, quanto invece di eliminare il sintomo disturbante anche
a prescindere dalle cause che lo hanno determinato o lo sostengono. Di solito il terapeuta
si attiene a modalità di intervento codificate nei modi e nei tempi. Queste terapie sono
mediamente più brevi delle altre, come vedremo nel paragrafo dedicato alla terapia
cognitiva, ed i risultati per il paziente sono più visibili egli può sperimentare dopo poco
tempo di trattamento le sue nuove acquisizioni. Non andando a scavare nel passato, le
terapie di questo gruppo, agiscono ad un livello più superficiale della psiche, ma mettono la
persona in grado di modificare i suoi pensieri negativi e di affrontare la realtà in modo
funzionale nel breve periodo.
La terapia farmacologica
In alcuni casi può essere necessario assumere i farmaci anche per un periodo prolungato,
ma è importante che la terapia venga sempre monitorata da un medico. Il paziente non
deve mai cambiare di propria iniziativa le dosi del farmaco perchè potrebbero acutizzarsi
gli effetti collaterali o peggiorare significativamente lo stato depressivo rendendo vani mesi
o addirittura anni di lavoro.
I farmaci possono essere essenziali nelle fasi di crisi o di acuzie della depressione poiché
riducono significativamente i sintomi, permettendo alla persona, in tempi relativamente
brevi, di inserirsi nel contesto sociale e lavorativo, di essere adeguato alle richieste della
vita quotidiana , di migliorare il rapporto con gli altri, ma soprattutto riduce l’eventuale
rischio suicidario
La terapia combinata
L’approccio terapeutico su più
versanti aumenta la possibilità
di guarigione e stabilità nel
tempo.
La psicoterapia associata alla terapia farmacologia, permette alla persona, oltre alla
riduzione dei sintomi, anche di ristrutturarsi il campo mentale, di fare un corretto esame di
realtà e quindi affrontare meglio gli eventi. La persona depressa ha una visione negativa
della realtà, non ha stimoli di interazione, non ha motivazione, si sente infinitamente triste,
non vede futuro possibile ne la possibilità che le altre persone possano capire il suo sentire
ed avvicinarsi a lei. Si sente non degna di essere amata e considerata. Spesso, il desiderio
di scomparire è il desiderio dominante.
Purtroppo, molti sono ancora i casi nei quali la persona depressa non accede alle offerte di
cura per mentalità, vergogna, informazioni insufficienti od errate e paura di affrontare i
propri problemi . Questi ed altri motivi ritardano l’accesso alle cure e portano a rivolgersi
allo specialista anche molto dopo l’insorgenza della patologia, quando la situazione non è
davvero più sostenibile. A volte esiste nel paziente un rifiuto manifesto della cura che porta
i familiari preoccupati ed esasperati a richiedere ai servizi un intervento coatto.
Il permanere dei sintomi depressivi può condurre a comportamenti suicidari. Spesso
leggiamo sul giornale di casi di suicidio.
La paura di essere considerati “matti” è senza dubbio tra le maggiori cause di reticenza nel
rivolgersi ad uno specialista della psiche, ma secondo molti esperti la paura più grande è di
riconoscere e “tirare fuori” il problema con qualcun altro, riconoscere che si ha bisogno
d’aiuto, che non si riesce a farcela da soli.
Un noto psicoanalista - Cesare Musatti - sosteneva che un paziente con problemi psichici è
come un naufrago attaccato ad uno scoglio (sintomo). Egli vede la terraferma (la possibilità
di stare meglio) a pochi metri da sé, ma tra lo scoglio e l’isola c’è un tratto di mare nel
quale sarà solo ed in balìa degli eventi, ogni cosa può succedere in quello spazio.
Riconoscere di essere ammalati ed affrontare la terapia richiede molto coraggio.
Diversamente si rimarrà attaccati ad un piccolo scoglio, senza possibilità di
movimento,incapaci di mollare, mezzi immersi nell’acqua, in attesa che…l’isola si avvicini.
A volte per stare bene è necessario lasciare le poche ed instabili sicurezze che abbiamo,
fidandoci di qualcuno che ci può aiutare per arrivare all’isola che sicuramente ciascuno di
noi merita. Per fare questo bisogna uscire allo scoperto ed affrontare le cose.
Che cosa è la depressione dal punto di vista della terapia cognitiva
La depressione è caratterizzata
da un modo di vedere le cose
caratteristico permeato di
interpretazioni distorte della
realtà ed aspettative negative
La persona che sviluppa un disturbo depressivo presenta frequentemente aspetti di
personalità caratteristi, attraverso i quale costruisce un'immagine di sé, un proprio stile
relazionale e delle aspettative nei confronti degli altri che la portano ad un modo di vivere e
di interpretare gli eventi che si struttura su sentimenti di inadeguatezza personale e
solitudine.
Il soggetto si percepisce, con diversi gradi di consapevolezza, come incapace di avere
amore e attenzione, si sente costretto ad ottenere attenzione ed accettazione solo
attraverso prestazioni socialmente apprezzabili anche a costo di doversi impegnare con
fatica in compiti e ruoli distanti dai propri desideri ed inclinazioni, destinato ad ottenere
indifferenza o ostilità nel caso mostrasse la propria autentica natura. Il pensiero delle
persone che soffrono di depressione è fondamentalmente quello di avere uno scarso
valore, di non avere sufficente riconoscimento da parte degli altri perciò spesso si
impegnano al limite delle proprie possibilità per rispondere a quelle che credono siano le
aspettative degli altri nei loro confronti.
Talvolta, soprattutto in relazione ad eventi di grande impatto emozionale, percepiti come
conferma del proprio destino avverso, si manifestano grandi crisi personali, che possono
arrivare ad avere una importanza clinica.
Occorre rilevare che, sebbene l'organizzazione depressiva sia quella più frequentemente
in gioco nel caso si manifesti un disturbo dell'umore, essa va distinta dalla sindrome
depressiva.
L'organizzazione depressiva
Definisce un modo particolare di essere della persona, che interpreta la realtà in modo
personale, spesso non completamente condivisibile, ma strutturato, vale a dire che egli lo
vive come l'unico modo possibile e corretto di spiegarsi quanto avviene nella sua
esistenza. C’è una caratterizzazione negativa del destino e degli eventi, ma essendoci una
struttura di base si crea un certo equilibrio personale e ad una modalità di adattamento alla
vita sociale, che una volta raggiunti, non necessariamente si trasformano in patologia vera
e propria.
In pratica si tratta di persone che hanno una personalità particolare,ma che trovano un
equilibrio sul quale si assestano in modo soddisfacente.
La sindrome depressiva
Indica il vissuto di intense emozioni legate a sentimenti di colpa, vergogna o rabbia
permeati da un infinito senso di tristezza e disperazione.
Questi sentimenti negativi costituiscono il filtro interpretativo di tutti gli eventi , come se un
velo scuro coprisse tutte le cose: le capacità cognitive, operative e di relazione sociale.
La crisi depressiva, che può manifestarsi in corrispondenza di un evento traumatico,
sconvolge l'equilibrio della persona che può evolvere verso un cambiamento che ha come
esito l'assestamento su un equilibrio più funzionale (crisi utile) o verso il collasso della
propria visione del mondo e del senso dell'esistenza.
Secondo diversi autori, i disturbi depressivi non vanno visti unicamente come sono descritti
dalle classificazioni cliniche caratterizzati da una condizione di costante depressione del
tono dell'umore, di perdita degli interessi, di rallentamento psicomotorio e di isolamento
sociale. Ma piuttosto intesi come un modo generalizzato di attribuire un senso negativo agli
eventi della vita, basato su una interpretazione della realtà che si è costruita nel tempo a
partire dalle esperienze infantili.
Il trattamento
La terapia cognitiva prevede un
preciso protocollo di cura che si
articola attraverso fasi ed
obiettivi.
Nel corso della terapia cognitiva il paziente depresso viene guidato a riconoscere
gradualmente quella che Beck definisce la triade cognitiva della depressione. Con questo
concetto si vuol indicare la visione negativa che i pazienti dimostrano delle loro
caratteristiche, degli eventi di cui sono partecipi e delle aspettative negative verso il futuro.
Il percorso terapeutico si svolge attraverso le seguenti fasi:
1.
2.
3.
La fase di valutazione e la stipula del contratto terapeutico
L'esplorazione dell'origine del problema: come è iniziato e come si è organizzato
L'insegnamento di strategie idonee a neutralizzare gli automatismi disadattivi e la
prescrizione di esperimenti atti a validare o invalidare le ipotesi.
Le tecniche terapeutiche sono progettate per identificare, verificare e correggere le
concettualizzazioni distorte e le credenze disfunzionali (schemi) che sottostanno alle
cognizioni. Il paziente impara a governare problemi e situazioni che egli precedentemente
considerava insuperabili, rivalutando e correggendo il suo pensiero. Attraverso la terapia
cognitiva si aiuta il paziente a pensare e ad agire più realisticamente e in modo più adatto
alle circostanze oggettive riducendo così i suoi problemi psicologici ed i suoi sintomi.
Questo approccio consiste nell'insegnare al paziente a:
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?
?
?
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riconoscere i propri pensieri automatici negativi (cognizioni)
riconoscere le connessioni tra cognizione, affetto, comportamento
riconoscere le distorsioni cognitive
esaminare l'evidenza pro e contro il pensiero automatico distorto
sostituire interpretazioni orientate più realisticamente sulle cognizioni
apprendere ad identificare e modificare le credenze disfunzionali che lo
predispongono a distorcere le esperienze
Elenchiamo di seguito le distorsioni cognitive del paziente depresso, cioè il suo modo di
interpretare gli eventi non corrispondente alla realtà obiettiva. Generalmente la persona
che soffre di depressione, si costruisce una specie di “griglia mentale” caratterizzata da
una visione negativa delle cose, attraverso la quale vengono interpretati gli eventi. La
terapia cognitiva agisce su questa griglia per modificarla.
L'inferenza (deduzione) arbitraria si riferisce al modo di trarre una conclusione in
assenza di una evidenza che la supporti, o quando un'evidenza accettabile è contraria
alla conclusione stessa. Ad esempio, una persona incontra un suo vecchio insegnante
che non lo vede e pensa non avrà voluto salutarmi.
L'astrazione selettiva consiste nel focalizzare dettagli estrapolati dal contesto,
ignorando altri aspetti più salienti della situazione , e nel concettualizzare la totalità
dell'esperienza sulla base di questo elemento. Ad esempio, una giovane organizza una
festa e nota che un paio di persone annoiate e deduce che tutti si annoiano.
L'eccessiva generalizzazione si riferisce al trarre conclusioni generali in tutte le
situazioni, sulla base di un singolo incidente. Ad esempio un ragazzo si è trovato in una
situazione di disaccordo con la sua ragazza e pensa che non potrà costruire un sereno
rapporto con nessuna ragazza.
L'esagerazione e la minimizzazione riguardano valutazioni di importanza relativa di
eventi particolari. Ad esempio ad uno studente viene sottoposto un questionario, egli ne
sottolinea le enormi difficoltà: "A queste domande non è possibile rispondere". Inoltre
minimizza la sua abilità "Non so niente di questo argomento".
La personalizzazione descrive la tendenza a correlare eventi esterni a se stessi,
quando non vi sono ragioni per operare una tale connessione.
Il pensiero dicotomico; il paziente tende a fare interpretazioni su un aspetto
dell’esperienza o più aspetti contrari l’uno rispetto all’altro.Ad esempio un giovane
universitario si è ritenuto inizialmente molto competente, persona di successo e
popolare. Quando ha iniziato a scivolare, ha avuto un "flip-flop" cognitivo (alto e basso
cognitivo), fino al punto di ritenersi incompetente, privo di successo e impopolare:
Leggendo sul giornale della scuola che certi studenti erano stati interrogati riguardo ad
un atto vandalico nella sede universitaria, egli ha pensato "Sarò il prossimo ad essere
interrogato".
I tempi della terapia cognitiva
La terapia consiste, generalmente, in 15-25 sedute a cadenza settimanale. I pazienti
depressi in modo grave o moderato, richiedono due sedute alla settimana per 4 o 5
settimane, e poi una seduta alla settimana per 10-15 settimane. Il contenuto della terapia
cognitiva è focalizzato sui problemi attuali. Scarsa attenzione è data alle esperienze
dell'infanzia, se non nella misura in cui servono a chiarire le situazioni presenti. Non
vengono effettuate interpretazioni degli aspetti non consapevoli.Il terapeuta cognitivo
collabora attivamente con il paziente nell'esplorare le sue esperienze psicologiche, nel
predisporre schede di attività e nell'assegnare compiti che lo aiutino a superare le sue
difficoltà.
Tabella 1
Il National Institute of Health descrive così i sintomi della depressione
?
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Umore sempre triste, o “ senso di vuoto”
Assenza di piacere nelle attività comuni, compreso il sesso
Poca energia, stanchezza e senso di rallentamento
Disturbi del sonno (insonnia, o ipersonnia, risveglio anticipato)
Disturbi legati all’alimentazione (perdita di peso e dell’appetito, o aumento di peso)
Sensi di colpa, di inutilità, di impotenza
Pensieri di morte o di suicidio, tentativi di suicidio
Irritabilità
Eccessi di pianto
Indolenzimenti e dolori cronici resistenti ad ogni trattamento
Tabella 2
Le Cure
?
?
?
Farmacoterpia – Prescritta dallo specialista. Si rivela necessaria nei momenti acuti della
malattia;
Psicoterapia. Consigliata la terapia cognitiva, che prevede una ristrutturazione del
campo mentale, modificando i pensieri negativi.
Le due terapie indicate non sono da considerarsi in reciproca alternativa, ma il miglior
risultato è ottenuto dalla integrazione delle due metodiche .
Tabella 3
I consigli che possiamo darti
?
Vergognarsi non è utile a nessuno, la depressione è una malattia come le altre, anzi è
più dolorosa.
?
?
?
?
?
?
I servizi ospedalieri sono vicini alle persone se ti riconosci sintomi della depressione vai
dal medico.
E’ meglio sciogliere il dubbio che hai
Le cure moderne, farmacologica e psicologica, non creano dipendenza e non
impediscono il normale svolgimento della tua vita.
Non avere paura. Non dovrai prendere farmaci per sempre, ma solo per il periodo nel
quale saranno necessari.
Se ti curi, anche la tua famiglia starà meglio, e tu potrai riprendere le redini della tua
vita.
Parlare del tuo male con persone che possono capirti, e che per questo sono
preparate, ti farà bene e potrà darti delle risposte.
Di regola, ciò che non si vede disturba la mente degli
uomini assai più profondamente di ciò che essi vedono.
Giulio Cesare
I disturbi d’ansia: una lettura psicologica
L’ansia è uno strumento di
adattamento, ma se la
tensione è troppo alta e per
un periodo prolungato, l’ansia
diventa patologica.
L’ansia è uno stato emotivo
Il termine ansia è divenuto di uso quotidiano rappresentando un’ ampia gamma di
vissuti emotivi, e storicamente ha costituito un elemento fondamentale per la nascita
della psicoanalisi. infatti Circa cento anni fa Freud (1894) coniò il termine di nevrosi
d’angoscia distinguendone poi due forme. La prima era identificata con il diffuso senso
di inquietudine o di paura che nasce da un pensiero o desiderio rimosso, la seconda
era caratterizzata da un senso di panico accompagnato da manifestazioni
neurovegetative (sudorazione, aumento dei ritmi respiratorie cardiaci..) ed un senso
soggettivo di terrore. (Gabbard 1995)
Possiamo definire l’ansia come uno stato emotivo che va dal leggero disagio alla paura
intensa. E’ un sentimento di paura di fronte ad un pericolo, ma mentre nell’ansia
normale il pericolo è reale o probabile, nell’ansia patologica (intesa come malattia) il
pericolo è inesistente o remoto.
I termini ansia e paura vengono spesso usati indifferentemente per denotare un
medesimo stato psicofisiologico. Ma l'ansia riguarda la sfera emotiva e la paura quella
cognitiva. La paura cioè si riferisce alla valutazione di uno stimolo minaccioso
considerato soggettivamente come tale, mentre l'ansia riguarda la risposta emotiva a
quella valutazione.
L'ansia in sè non costituisce il processo patologico nei disturbi ansiosi, proprio come il
dolore non costituisce il processo patologico in una infezione.
Cerchiamo di dare una spiegazione più approfondita di questo tema a partire dal fatto
che ogni situazione di cambiamento nella nostra vita crea un piccolo o grande trauma
in relazione all’evento. Questo dissesto ha un impatto sul nostro sistema psicosomatico
in quanto mobilita i nostri sistemi di difesa ed adattamento, presupposto necessario per
superare la crisi, ma anche possibile ostacolo alla sua risoluzione. Infatti l’effetto
dell’attivazione neurobiologica causato dall’ansia può essere quello di una migliore
performance, oppure di un blocco patologico che impedisce il raggiungimento del
risultato. L’ansia è uno strumento di adattamento alla situazione contingente, infatti
l’attivazione indotta dall’ansia (il cuore batte più forte, il corpo è pronto a scattare,
l’attenzione è più viva, le capacità si concentrazione e la memoria sono al massimo)
permette di svolgere al meglio l’azione, ma se la tensione è troppo alta si ha l’effetto
opposto ed ancora, se lo stato d’ansia perdura, e si manifestano sintomi, possiamo
parlare di ansia patologica.
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ed
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ua
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an
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o
po
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a
es
se
re
es
plicativo: quando andavo all’università c’era sempre una grande fibrillazione al
momento di sostenere gli esami, questo stato d’ansia permetteva di dare il massimo
risultato quando il docente poneva le domande. C’era un malessere, ma era funzionale
alla situazione (aumento della performance), si ricordava anche quello che si pensava
di non avere studiato. Durante gli esami si osservavano negli studenti un’ampia gamma
di espressioni emotive indotte dalla situazione di stress che andavano dalla risata
isterica al pianto, ma alcuni, pur essendo preparati, venivano colti da un’ansia così
intensa da non riuscire ad affrontare la situazione, si allontanavano dalla sede
dell’esame senza sostenerlo (evitamento), oppure facevano quella che chiamavamo
“scena muta”. In quest’ultimo caso l’ansia bloccava la performance inducendo reazioni
disfunzionali ed inappropriate alla situazione. Perché questi studenti scappavano
dall’esame? Perché lo caricavano troppo da un punto di vista emotivo e non riuscivano
a governare il groviglio di emozioni che ne derivava. Inoltre la fuga di fronte agli eventi
stressanti rappresenta un’ erededità filogenetica: l’uomo primitivo scappava di fronte ai
pericoli. Pericoli che oggi non sono più esterni, cioè minaccia per la propria vita, quello
che sentiamo è un pericolo interno ed ha a che fare con le nostre sicurezze e
l’autostima. Possiamo immaginare che questi studenti pensassero “ se mi bocciano
all’esame i miei genitori non mi ameranno più, la mia ragazza mi lascerà, i miei amici
mi derideranno..” e si allontanavano.
Ho portato questo esempio, che si riferisce ad una comune situazione di stress, per
dimostrare come l’ansia sia funzionale ad una situazione stressante, ma se la sua
quantità è soggettivamente elevata risulta invalidante. Semplificando, possiamo dire
che è una questione di quantità: poca ansia migliore risultato, tanta ansia risultato
negativo.
Possiamo rappresentare questi concetti graficamente su di una linea continua
Ansia normale
patologica
----1------2------3-----4------5------6------7------8-------9--------10-----ansia
Ogni cambiamento ha quindi un impatto sul nostro assetto psicosomatico e
presupposto necessario per superare la crisi è la mobilitazione dei nostri sistemi di
difesa ed adattamento. Per esempio, essere licenziati dal lavoro, anche se si tratta di
una crisi dell’azienda e non c’è una responsabilità personale)
determina un
cambiamento che generalmente causa una crisi, la reazione può essere una
preoccupazione che induce a cercare velocemente un altro lavoro o uno stato d’ansia
per il futuro che invece impedisce la ricerca di un nuovo lavoro.
I sintomi dell’ansia portano una grande sofferenza soggettiva, generano insicurezza
limitando la persona nel normale svolgimento delle attività quotidiane.
L’ansia patologica
Possiamo individuare un’ ansia normale in corrispondenza di alcuni eventi della vita, se
non si supera la situazione l’ansia può assumere una valenza patologica, ma troviamo
anche casi nei quali lo stato d’ansia patologica non è riconducibile ad eventi specifici,
in questi casi vengono riportate pazienti costellazioni di eventi che hanno dato vita alla
patologia
Nell’ansia patologica la persona non si riconosce la possibilità di controllare un qualche
cosa che non esiste o che è esagerato. La persona ansiosa generalmente riconosce
che la sua reazione è irrazionale, ma non può fare a meno di provarla, d’altro canto è
illogico che l’emozione possa essere qualificata come razionale o irrazionale poiché
non è un pensiero o un concetto. La paura può invece essere realistica o irrealistica,
razionale o irrazionale. Una paura è realistica quando si basa su assunzioni logiche e
sull’osservazione oggettiva, è irrealistica quando si basa su assunzioni false o in
contrasto all’osservazione obiettiva.. L’ansia non è reale né irreale in quanto si riferisce
ad una risposta emotiva e non ad un processo di valutazione della realtà.
Alessia, raccontava di avere il terrore dei microbi e delle malattie, questo la costringeva
a lavarsi le mani decine di volte al giorno, lei sapeva che era irrazionale, assurdo, ma
non poteva fare a meno di farlo. Un imperativo dentro di lei la “obbligava” a lavarsi le
mani continuamente e la preoccupazione di farlo pian piano si impossessava del suo
pensiero, lasciando poco spazio ad altre cose…..
L’ansia patologica si manifesta con una gamma di sintomi psichici e fisici che riuniamo
nella seguente tabella.
Sintomi psichici:
Sintomi fisici
? Apprensione
? Irrequietezza ed impazienza
?
?
Irrequietezza motoria
Tremori
? Senso di paura e previsione
di pericolo
? Affaticabilità
? Distraibilità
? Difficoltà a concentrarsi
? Disturbi della memoria
? Insonnia
?
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?
?
?
?
?
?
?
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?
?
Palpitazioni
Senso d’oppressione toracica
Senso di mancanza d’aria
Senso di vertigine
Sudorazione
Bocca secca
Affaticabilità fisica
Nodo alla gola
Nausea
Anoressia
Disturbi gastro-intestinali
Pollachiuria
Cefalea pensionale
Questi sintomi, quando perdurano nel tempo e sono di notevole intensità provocano
una grande sofferenza soggettiva e possono limitare, a volte in modo significativo, la
persona nel normale svolgimento delle sue attività quotidiane.
I criteri diagnostici per il disturbo d’ansia propriamente detto fissano una durata di
almeno sei mesi dalla manifestazione della patologia ansiosa: la persona si percepisce
incapace di controllare lo stato di continua apprensione e preoccupazione per gli eventi
che riguardano l’ordinario svolgersi delle attività, accompagnato da disfunzioni motorie,
cognitive, neurovegetative. Il sonno risulta disturbato con la sensazione al risveglio di
non aver riposato.
L’ansia patologica produce nella persona uno stato di disagio tale da essere visibile
nella sfera relazionale e da compromettere il normale funzionamento sociale e
lavorativo.
Fallimenti e invalidazioni sono presenti nella vita di ciascuno, non determinano
necessariamente l'insorgenza di sintomi o disturbi, anzi costituiscono l'occasione per lo
sviluppo della personalità. Nei fenomeni psicopatologici invece la sofferenza si
mantiene stabile nel tempo e si radica in comportamenti che sembrano organizzarsi in
un circolo vizioso. E' come permanesse in uno stato di continua intabilità senza che si
produca un nuovo equilibrio.
I Disturbi d’ansia
Secondo l’American Psychiatric Association, i disturbi d’ansia sono più frequenti
nell’età giovanile e nella popolazione femminile.
I disturbi d’ansia, considerati come gruppo, sono i più diffusi tra tutti i principali gruppi di
disturbi mentali, e tra i disturbi d’ansia, le fobie sono le più comuni, daremo a queste
uno spazio specifico nel prossimo paragrafo.
Clinicamente sono classificate tipologie diverse di ansia in base ai sintomi prevalenti;
essa inoltre è presente in molte patologie psichiatriche. Secondo l’American Psychiatric
association, 1999, i disturbi d’ansia sono più frequenti nell’età giovanile e nella
popolazione femminile rispetto a quella maschile.
Riportiamo, raccolti in una tabella, alcuni dati epidemioligici desunti dal DSM IV e da
altri studi riguardanti i Disturbi d’Ansia più comuni.
Disturbi
Caratteristiche
collegate al
genere
Disturbo di panico
con agorafobia
Frequenza
di
diagnosi tripla
nelle femmine
Disturbo di panico
senza agorafobia
Fobie specifiche
Fobie sociali
Disturbo ossessivo
compulsivo
(doc)
Frequenza
doppia
nelle
femmine
rispetto
ai
maschi
Sono
più
comuni
nelle
femmine
che
nei maschi
Maggiore
frequenza
di
diagnosi nelle
femmine
rispetto che nei
maschi
Uguale
distribuzione nei
due sessi
Disturbo
posttraumatico da stress
1,2%
nelle
femmine 0,5%
nei maschi
Disturbo
d’ansia
generalizzata
Presenza
di
circa
2/3
di
femmine nella
distribuzione tra
i sessi
Prevalenza
nel corso
della vita
Età
d’esordio
più
frequente
1,5% - 3,5%
Picco
nell’adolescenza
(può esserci un
secondo
picco
verso i 35 anni)
9,5 in un
anno
su
campioni
comunitari
Dal 3% al
13%
nel
corso
della
vita
Infanzia
adolescenza
ed
Prevalenza
nel
corso
della vita del
2,5%
prevalenza in
un anno del
1,5% - 2,1%
Dall’1%
al
14%
nel
corso
della
vita
3% in un
anno 5% nel
corso
della
vita
Età
giovanile
(con picchi in
adolescenza)
l’esordio
è
anche frequente
nell’infanzia
Adolescenza
(verso i 15 anni)
vedi nota 3 e
intorno ai 20
anni d’età
Qualsiasi età
Adolescenza ed
infanzia
Attenti al lupo
Le fobie sono molto diffuse
tra
i
disturbi
d’ansia,
riguardano
oggetti
o
situazioni che incutono una
paura incontrollabile.
Le
fobie
sono
un
meccanismo difensivo per
allontanare il males- sere
interiore.
Tra i disturbi d’ansia un posto
importante è occupato dalle
fobie. La fobia è un
meccanismo
difensivo
utilizzato dalla nostra mente
per allontanare un malessere
interiore che non riesce ad
individuare, in questo modo
una sofferenza profonda ed
insostenibile viene spostata
all’esterno e prende le
sembianze di una paura. Una caratteristica della fobia è il comportamento di
evitamento che consiste nello sfuggire a situazioni nelle quali ci si troverebbe di fronte
all’oggetto temuto. Secondo il DSM IV la fobia è una paura angosciante che ha le
seguenti caratteristiche:
? scatenata da un oggetto o situazione, di per se non pericolosa
? sproporzionata all’oggetto
? che sfugge al controllo volontario del paziente, il quale si rende conto del suo
carattere assurdo, ma non può fare a meno di provarla.
Ricordo, il caso di una Angela che aveva la fobia dei serpenti, ma riusciva a conviverci
in modo funzionale, da noi infatti il rischio di incontrare un serpente è piuttosto limitato.
Un giorno passando davanti alla vetrina di un negozio di animali vede in bella mostra
un serpente, realizza la visione e presa dal terrore corre per allontanarsi più in fretta
possibile dall’oggetto fobico. Attraversando la strada senza guardare è stata investita
da un’auto. Se l’è cavata con qualche giorno di ospedale, terminata la degenza ha
maturato la decisione di iniziare una terapia. Nella maggior parte dei casi comunque
non è necessario finire sotto una automobile per decidere di affrontare i propri
problemi! Naturalmente più i sintomi interferiscono con la nostra quotidianità più
compromettono aspetti della nostra vita.
Da un punto di vista evolutivo, la reazione di evitamento e fuga è stata una fonte di
sopravvivenza per i nostri antenati e probabilmente non rappresenta solo un fatto
incidentale che le fobie più diffuse riguardino quattro categorie ancestrali: insetti
ambienti naturali, sangue e ferite e situazioni dannose. La sede cerebrale interessata
alle fobie è una di quelle geneticamente più antiche, questa localizzazione
concorrerebbe a sostenere le ipotesi formulate
Le fobie hanno anche radici più vicine infatti circa il 40% delle persone che soffrono di
una fobia specifica ha almeno un genitore fobico. Vedere la propria madre o il proprio
padre reagire con terrore di fronte ad un oggetto/evento obiettivamente non pericoloso,
giocherebbe un significativo nella genesi della fobia.
Uno dei casi clinici più noti di S. Freud era quello del giovane Hans: il paziente soffriva
di un’ansia immotivata verso i cavalli. Secondo il padre della psicoanalisi, Hans, era
terrorizzato dal padre, ma aveva spostato la sua paura su un altro oggetto “più facile”: il
cavallo.Secondo la psicoanalisi la fobia servirebbe a tenere sotto controllo la paura,
attraverso l’evitamento e la fuga.. Alcune forme di fobia sono più diffuse e meno
specifiche, per esempio l’agorafobia dal greco (agorà = piazza) è un’ansia profonda ed
immotivata che assale la persona quando si trova in spazi aperti, l’azione di evitamento
porta progressivamente a non uscire più di casa per evitare situazioni ansiogene.
Mentre la claustrofobia è la paura degli spazi chiusi ristretti e limitanti come
l’ascensore, si parla di fobia sociale quando si viene assaliti dall’ansia quando ci si
trova in compagnia di altre persone. Chi ne è affetto è terrorizzato alla prospettiva di
trovarsi in compagnia nell’ambito di incontri sociali o professionali e prova angoscia
all’idea di parlare o mangiare in pubblico ed il timore che qualcuno si accorga di questo
stato di agitazione instaura un circolo vizioso che innalza ulteriormente il livello di ansia
e costringe la persona all' evitamento della situazione fobica.
I Fattori di rischio dell’ansia
Le cause dei disturbi d’ansia, partono da ipotesi di tipo biologico, genetico e
psicosociale.
Le ricerche sui fattori di rischio dei disturbi d’ansia nell’adolescenza, come nelle altre
tappe della vita, partono da ipotesi eziologiche di tipo biologico, genetico o di tipo
psicosociale, molto diverse tra loro e spesso contrapposte.
Il sintomo può essere eziologicamente correlato a fattori fisici (ansia secondaria).
Alcune patologie organiche e l'assunzione di sostanze medicamentose o di abuso
possono infatti causare sintomi simili a quelli che si osservano nei disturbi d'ansia; in
questi casi vi è un rapporto diretto tra disturbo fisico, che va identificato e trattato, e lo
sviluppo e il decorso dei sintomi mentali. Nella stessa persona disturbi fisici o psichici
possono coesistere, avere pari importanza e/o influenzarsi reciprocamente
Il malessere psichico, originato da una patologia organica (ansia reattiva) rappresenta
una reazione alla situazione . La valutazione e la gestione degli aspetti psicologici
reattivi ad una patologia organica può contribuire alla migliore gestione della patologia
stessa; molti studi dimostrano che tale valutazione migliora anche il decorso della
patologia fisica..
Eventi stressanti come la morte di una persona cara, un tracollo economico, una
separazione, o qualsiasi esperienza che comporti un grave sconvolgimento della vita
affettiva di una persona possono avere una valenza clinica traducendosi in quadri
ansiosi che richiedono un intervento terapeutico. Queste situazioni possono portare ad
una profonda sofferenza in relazione ad una perdita di sicurezza: l'individuo non riesce
a padroneggiare la realtà, è completamente disarmato di fronte ad un'esperienza
vissuta con dolorosa impotenza.
L’importanza di affrontare in modo adeguato queste circostanze, sia con interventi
farmacologici che psicoterapici, non solo per risolvere l'emergenza, ma per evitare il
cristallizzarsi della sintomatologia in quadri psichiatrici cronici.
Even
ti
stres
santi
Non
possi
amo
elimin
are
gli
event
i
stres
santi
dalla
nostr
a
vita,
dobbi
amo
mobili
tare
le
risors
e per
affron
tarli
al
megli
o.
Tra i fattori segnalati dalle ricerche di tipo psicosociale troviamo i “Life events stressors”
in particolare alcuni eventi esistenziali che nella scala di Holmes e Roche vengono
definiti eventi stressanti personali.
Essi hanno la stessa forza d’impatto e imprevedibilità ed il carattere traumatico degli
eventi stressanti cataclismici. Costituiscono situazioni di minaccia per il benessere
dell’individuo e di rottura del precedente equilibrio in quanto impongono forti richieste di
adattamento che inducono difficoltà nell’attivazione di risposte adeguate.
Riportiamo alcuni degli eventi stressanti personali segnalati da Holmes e Roche
?
?
?
?
?
?
?
Separazione dal partner
Morte di un familiare stretto
Grave lesione personale o malattia
Matrimonio
Riconciliazione con il partner
Significativa modificazione della salute o del comportamento di un membro della
famiglia
Gravidanza
?
Problematiche sessuali
Di fronte agli eventi stressanti le persone hanno reazioni diverse che dipendono dalla
loro sicurezza ed autostima, in pratica dalla possibilità che ritengono di avere per
affrontare in modo efficace l’evento.
Le cure dei disturbi d’ansia
Nella cura dei disturbi d’ansia buoni risultati si ottengono integrando terapia
farmacologia e psicologica. In mancanza di cure il disturbo tende a cristallizzarsi.
Nel trattamento dei disturbi d’ansia si propongono percorsi terapeutici distinti che
possono essere abbinati per un migliore risultato:
?
?
Terapia farmacologica
Psicoterapia
In termini generale il contributo dato dalla psicoterapia alla terapia farmacologica, si
può riassumere in questo modo:
1. migliora il livello di conoscenza del paziente nei confronti della propria malattia e
con essa sviluppa una maggior tolleranza alla sofferenza depressiva.
2. favorisce l’adesione al progetto terapeutico
3. migliora la tolleranza agli effetti collaterali della terapia farmacologica.
4. riduce le ricadute
Si ritiene che forme diverse di disturbo rispondano in modo diverso ai due tipi di
intervento. Ritornando ai principi di carattere generale, forse, vale la pena ricordarsi,
ancora una volta, che il ruolo del professionista medico o psicologo dovrebbe sempre
essere quello di aiutare il paziente, piuttosto che rimanere fedele a posizioni teoriche
personali. (Gabbard 1994).
La terapia psicologica, più utile nei disturbi d’ansia è la terapia cognitiva, questa aiuta a
gestire in tempi molto più brevi la cura del disturbo mediante interventi centrati sul
problema senza il ricorso alle lunghe e costose terapie tradizionali, per lo più rivolte alla
ristrutturazione globale della personalità e che comunque possono rappresentare una
scelta corretta qualora il malessere sia diffuso e non circoscritto oppure non
chiaramente individuabile e con radici molto antiche.
Partiamo dal presupposto che Il problema principale nei disturbi ansiosi non è costituito
dalla reazione ansiosa, ma dagli schemi di valutazione cognitiva che non sono adatti ad
affrontare il pericolo e che costituiscono l'organizzazione esperenziale interna del
soggetto in termini di pericoli e minacce. La psicoterapia cognitiva è centrata
sull’attualità, sul trattamento diretto del sintomo, e punta da un lato a modificare i
pensieri non funzionali, dall'altro ad offrire alla persona migliori capacità ed abilità
nell’affrontare le situazioni temute .I pensieri disfunzionali o irrazionali sono pensieri
che le persone fanno circa gli eventi nei quali si trovano coinvolte e che derivano da
schemi cognitivi rigidi e poco adattivi.
Esempi di queste idee irrazionali possono essere:
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DEVO ESSERE PERFETTO
NON DEVO SBAGLIARE MAI
SE MOSTRO DI ESSERE ANSIOSO APPARIRO' RIDICOLO
FARE UN BRUTTA FIGURA E' UNA CATASTROFE
Queste credenze che si sono costruite durante la storia personale di ciascuno di noi,
assumono spesso la valenza di imperativi categorici ai quali bisogna riferirsi per
valutare le proprie prestazioni. Appare chiaro che quando questi pensieri, questi
schemi, sono rigidi e definitivi i giudizi che la persona da di sé stessa non possono
sono negativi.
Nel corso del lavoro psicoterapico uno degli obbiettivi è quello di modificare tali assunti,
L'altra fase del trattamento riguarda l'insegnamento di abilità per gestire al meglio le
situazioni sociali. Tali abilità comprendono, solitamente, sia tecniche per la gestione
dell'ansia che modalità per la gestione dell'interazione verbale. Queste ultime, che
generalmente prendono il nome di training d'assertività, prevedono anche
l’apprendimento dei modi per fare richieste ed esprimere i propri bisogni, imparare a
dire di no quando se ne ha l'intenzione, gestire le eventuali critiche rivolte. Tutto questo
focalizzando anche l’attenzione sugli aspetti verbali e non verbali della
comunicazione.
Il caso
La Sig.ra R era una signora sposata di quarantacinque anni madre di due bambini
consumata da rituali ossessivo-compulsivi di pulizia della propia casa. Era convinta che
il vomito e i germi avessero contaminato vari oggetti della sua casa, e, di conseguenza,
passava molte ore al giorno strofinando oggetti e lavando gli abiti dei suoi familiari.
Ogni volta che il marito e i due figli ritornavano a casa dal lavoro o dalla scuola,
insisteva che si facessero subito una doccia e le dessero tutti gli abiti che avevano
indossato quel giorno così da poterli mettere nella lavatrice. La Sig.ra R frugava anche
nella borsa della figlia, pulendo compulsivamente ogni cosa che potesse essere
contaminata e controllando se vi fossero nuove cose che portava dentro da fuori casa.
Il marito e i figli si sentivano talmente controllati da sentirsi in colpa di uscire di casa. La
loro esasperazione li portò infine a rivolgersi ad uno psichiatra, chiedendo che venisse
ricoverata. Immediatamente dopo il ricovero, i suoi rituali di pulizia scomparirono
completamente. Siccome i suoi sintomi non erano più utili per controllare la famiglia, la
Sig.ra R perse l’investimento psicologico che vi aveva fatto. Dopo che venne dimessa,
tuttavia, i suoi sintomi riapparvero appena arrivò di nuovo in casa sua.
(Caso tratto da Psichiatria Psicodinamica G.O. Gabbard 1995)
Il ruolo della famiglia nella cura dell’ansia
Il ruolo della famiglia nella cura dei disturbi d’ansia come in altre patologie, è
importante soprattutto per sostenere ed incentivare il paziente durante il
percorso terapeutico.
Spesso i membri della famiglia possono avere un ruolo attivo nella cura dei disturbi
d'ansia, come in tutte le patologie psichiche. Il tipo di assistenza che possono fornire
varierà secondo il disturbo e il tipo di legame che c'è tra il paziente e il membro della
famiglia, nonché le dinamiche familiari.. Psichiatri e psicologi oltre a prescrivere terapie
farmacologiche e psicologiche prevedono sempre più spesso programmi di cura che
coinvolgono i membri della famiglia. In generale, più grave è il disturbo, più è probabile
che l'intervento della famiglia e/o del coniuge siano utili al programma terapeutico.
Spesso, inoltre, alcune dinamiche familiari non consapevoli, favoriscono loro malgrado
il perdurare del disturbo psichico, poiché vengono prodotti o reiterati comportamenti
non corretti e non funzionali, ad esempio, limitando l’autonomia della persona malata si
esercitano comportamenti di protezione, ma non si favorisce la sua emancipazione Il
coinvolgimento della famiglia riduce anche la tensione che il programma terapeutico
comporta e la disponibilità di materiale informativo per i membri della famiglia stimola
la loro partecipazione attiva che naturalmente non deve ostacolare il programma o
causare interferenze non produttive, dubbi e problemi essere discussi con l’equìpe
curante o con il terapeuta.