Sogno e motivazione - Simona Piazza

Cqia Rivista
Educazione fisica e sportiva ed educazione integrale della persona
Ottobre 2011
Sogno e Motivazione
Simona Piazza
Scuola Internazionale di Dottorato in Formazione della Persona e Mercato del Lavoro
Abstract
This essay aims to deepen, besides the direct testimony of Olympic athlete Goran Nava, the study
of motivation to practice, in the specific sport, and what biological, experimental, subjective and
environmental components contribute to determining behavior and how this is subject to rooted
biological processes as well as complex cognitive ones.
"Ci sono tre grandi cose al mondo: gli oceani, le montagne e una persona impegnata"
Winston Churchill
Goran Nava, classe 1981, padre italiano e madre serba, personalità forte ed
eclettica, già da adolescente ha le idee chiare sul suo futuro: finire a Lecco gli studi
classici e poi l’Università negli Stati Uniti. A soli diciannove anni vince un titolo nella
categoria promesse dell’atletica e una borsa di studio sportiva per la Radford University in
Virginia e si trasferisce in America, dove si laurea a pieni voti in Business Administration e
Media Studies. Nel 2004 riceve il premio per essere stato uno dei 16 migliori atleti-studenti
degli Stati Uniti. Nelle estati universitarie studia lingue in varie capitali europee e ora parla
fluentemente cinque lingue: italiano, inglese, francese, spagnolo e serbo-croato.
Conquista sette record universitari e raggiunge una finale NCAA (National Collegiate
Athletic Association).
Terminati gli studi ritorna in Italia, abbandona l’atletica a livello agonistico per tre
anni e lavora come export area manager Europa per una società americana, ma “…un
giorno, guardando il mio volto allo specchio, non ho ritrovato nei miei occhi quell’energia
che mi aveva sempre contraddistinto. Mi sono accorto che la mia vita mi stava scivolando
tra le dita come sabbia, senza che potessi controllarla, volevo fermarla, guardarla in
faccia, darle una direzione. Ecco, in quel momento mi son detto: adesso o mai più, un mai
più che nasceva dalla percezione che non avrei avuto una seconda occasione. Allora ho
stretto il pugno e ho fermato la sabbia. Mi sono guardato negli occhi e ho ritrovato il
coraggio di ricominciare e la determinazione di voler riuscire. Ho ripreso a correre. Ero
sopra di dieci chili e non riuscivo a correre per più di venti minuti , ma dopo un anno e
mezzo è arrivata l’Olimpiade”1.
Goran corona così il suo sogno nell’estate 2008 quando partecipa alle Olimpiadi di
Pechino correndo i 1500 metri con la maglia della Serbia (la sua seconda nazione). Nel
2009 vince alle Universiadi di Belgrado, partecipa ai Campionati del Mondo di atletica
leggera di Berlino, nel 2010 partecipa ai Campionati del Mondo di Doha, successivamente
conquista il record serbo nei 1500 metri e il tutto continuando la sua attività lavorativa.
Contemporaneamente decide però di continuare anche il percorso di crescita
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Intervista a Goran Nava.
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professionale e attualmente frequenta l’Executive MBA alla London Business School
mentre continua ad allenarsi per le Olimpiadi di Londra 2012.
Che cosa ha spinto Goran Nava a riprendere la carriera agonistica che aveva
sacrificato per quella professionale? Che cosa lo ha sostenuto nell’ottenere buoni risultati
sia atletici che nel mondo del lavoro e dell’Università? Il desiderio dell’emozione che si
prova nel partecipare alle Olimpiadi? La fama e la notorietà? Il desiderio di riconoscimento
e protagonismo? La trance agonistica? Oppure la soddisfazione di raggiungere un sogno?
Tutte queste ipotesi richiamano in qualche modo il concetto di motivazione.
Le teorie sulla motivazione tentano di spiegare il “perché” di un comportamento,
ovvero che cosa muove un determinato comportamento, lo direziona e lo rende possibile;
di indagare cioè quei complessi processi che spingono le persone ad agire in certi modi
piuttosto che in altri.
La prima parte di questo saggio presenta in maniera sintetica le principali teorie che
concorrono a definire la motivazione. Verrà descritto come le complesse relazioni tra
fattori interni all’organismo e fattori esterni concorrano alla determinazione del
comportamento e come quest’ultimo sia subordinato sia a processi biologici radicati sia a
processi cognitivi complessi.
Nella seconda parte del saggio verrà invece esplorata più nel dettaglio una delle
motivazioni specifiche della persona come: il bisogno di affermazione e successo, nonché
i meccanismi psicologici e cognitivi che regolano questo tipo di motivazione detta anche
motivazione secondaria.
Partendo dalla teoria che “è raro che una condotta sia il risultato diretto ed esclusivo
di una sola spinta motivazionale, ma il più delle volte essa è la risultante dell’azione
congiunta di una combinazione di motivazioni biologiche e sociali”2, il presente saggio
intende approfondire, anche attraverso la testimonianza diretta di Goran Nava, lo studio
della motivazione verso una pratica, nello specifico sportiva, e quali componenti
biologiche, esperienze soggettive ed ambientali hanno favorito la sua crescita, e quella di
molti altri atleti che ogni giorno, come lui, si allenano con costanza, sacrificio e
determinazione per cercare di raggiungere un obiettivo, quello che comunemente
chiamiamo sogno.
Cos’è la motivazione?
Il termine motivazione o comportamento motivato è stato usato in Psicologia dopo
gli studi di W. James, C. L. Hull e S. Freud e si intende l’insieme dei fattori che spingono
l'essere umano a perseguire determinati obiettivi. In un certo senso esso rappresenta il
"perché" delle azioni, lo scopo. Infatti ciò che spinge la persona ad agire in un determinato
modo non è propriamente l’obiettivo che intende raggiungere, ma lo scopo per cui lo
persegue. La motivazione umana non è mai legata soltanto all’obiettivo in sé, ma a ciò che
l’individuo prospetta in termini di vissuto soggettivo, una volta raggiunto l’obiettivo e come
“farà stare”, lo status sociale e le sensazioni che proverà.
Dunque la motivazione può essere definita come “l’insieme dei processi di
attivazione e di orientamento del comportamento e dell’azione verso un oggetto-meta,
ovvero verso la realizzazione di un determinato scopo”3, un concetto complesso che porta
con sè elementi biologici, cognitivi e sociali che guidano il comportamento umano in
direzioni specifiche.
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Rheinberg F., Psicologia della Motivazione, Collana “Itinerari”, Il Mulino, Bologna, 2002.
Ibidem.
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Le principali teorie della motivazione
La teoria degli istinti
Nello studio della motivazione, per spiegare i fattori sottostanti al comportamento,
gli studiosi hanno fatto riferimento in primis alla “spinta” derivante da stati interni
all’organismo. In questa prospettiva, le teorie che inizialmente hanno cercato di spiegare la
motivazione hanno rivolto la loro attenzione agli istinti, ovvero pattern (modelli) di
comportamento innati, integrati nel sistema nervoso e biologicamente determinati,
piuttosto che appresi. Ciò significa che sin dalla nascita, all’interno del proprio repertorio
comportamentale, ogni individuo è dotato di un certo numero di risposte innate pronte ad
essere impiegate, caratterizzate da una associazione tra stimoli ambientali e tendenza al
comportamento che è pre-esistente ad esperienze di apprendimento e che consentono
all’individuo di adattarsi rapidamente all’ambiente. Secondo tale approccio, dunque, le
persone (e gli animali) nascono pre-programmati, ovvero dotati di schemi di azione su
base genetica indispensabili alla sopravvivenza. Sono tali istinti a fornire “l’energia” che
incanala il comportamento in direzioni appropriate.
La diffusione del concetto di istinto nella psicologia della motivazione si deve
principalmente a William McDougall.
Successivamente, il concetto di istinto, sviluppatosi tra fine ottocento ed inizio
novecento, è stato ulteriormente precisato dagli studi in etologia di Lorenz, Eibl-Eibelsfeldt
e Tinbergen ed è stato utilizzato per indicare schemi innati e specifici di comportamento, a
carattere automatico ed involontario, prodotti da stimoli specifici, corrispondenti a veri e
propri programmi comportamentali.
Nonostante molti comportamenti animali siano basati sull’istinto, il comportamento
umano, poiché esso è in gran parte appreso, non può essere considerato esclusivamente
dettato dall’istinto. Non è dunque accettabile spiegare la complessità e la totalità del
comportamento umano come combinazione di istinti. Spiegazioni più recenti hanno
sostituito le teorie della motivazione basate sul concetto di istinto.
La teoria delle pulsioni
Rifiutando il concetto troppo ambiguo di istinto, Hull elaborò teorie fondate sulla
riduzione delle pulsioni secondo la quale la perdita dell’equilibrio omeostatico dei
parametri biologici fondamentali produrrebbe una pulsione allo scopo di ottenere quella
determinata risorsa che consente la ricostruzione dell’omeostasi psico-organica.
Le teorie della riduzione delle pulsioni si basano dunque sul principio che il
comportamento sia guidato dalla necessità di mantenere e riprodurre il più possibile una
situazione di equilibrio e quando tale equilibrio viene meno si produce una pulsione che
direziona l’essere umano ad agire per ristabilirlo. Le pulsioni si distinguono in primarie e
secondarie; le prime sono legate a bisogni biologici del corpo (sete, fame, sonno…) e gli
esseri umani tendono a soddisfare queste pulsioni riducendone i bisogni che le generano;
mentre nelle pulsioni secondarie il comportamento è volto a soddisfare bisogni che
nascono da esperienze passate e dall’apprendimento e che solo successivamente
agiscono come quelle, generando cioè uno stato di bisogno che deve essere ridotto.
Le teorie della riduzione delle pulsioni attribuiscono un ruolo centrale
all’apprendimento basato su processi associativi: il comportamento che ha maggiore
successo nella riduzione della pulsione sarà appreso e successivamente ripetuto e i
meccanismi del condizionamento classico sono alla base della formazione delle
connessioni tra pulsioni, abitudini ed incentivi. Secondo tale teoria, quindi attraverso è
attraverso schemi di rinforzo, positivi o negativi, che è possibile motivare un individuo ad
un determinato comportamento.
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La teoria dell’incentivo
Secondo la teoria dell’incentivo la motivazione nasce dal desiderio di raggiungere
obiettivi di valore esterni a noi, detti appunto incentivi. Secondo questa prospettiva sono le
proprietà desiderabili di stimoli ambientali a costituire i motori della motivazione, a
differenza delle teorie precedentemente esaminate che si fondavano sulla
rappresentazione del comportamento umano motivato come attivato dall’interno. Tuttavia
le due teorie sembrano funzionare insieme nella motivazione del comportamento: le
pulsioni interne lavorano congiuntamente con gli incentivi esterni individuati dalla teoria
dell’incentivo rispettivamente “spingendo” e “attraendo” un comportamento. Anche in
questo caso, le associazioni fra comportamenti e sensazione di piacere, costituisce lo
schema di base secondo il quale un individuo direziona le proprie azioni.
Le teorie dell’arousal
Le teorie dell’arousal proposte da Berlyne e Brehm cercano di spiegare i
comportamenti che tendono a mantenere o incrementare l’attivazione. Secondo le teorie
dell’arousal, ciascun individuo cerca di mantenere un livello ottimale di stimolazione e di
attività e quando i livelli di stimolazione ed attività diventano troppo bassi, immediatamente
l’organismo cerca di innalzarli andando in cerca di altri stimoli.
La ricerca di stimoli consiste nel bisogno, che varia da individuo ad individuo, di
sensazioni nuove, varie e complesse, unito alla disponibilità a correre rischi fisici e sociali
per provarle. La ricerca di sensazioni si struttura in quattro diverse componenti: la ricerca
di brivido e di avventura, ovvero la tendenza ad attività rischiose nello sport e nel tempo
libero, che portano a sensazioni forti; la ricerca di esperienze, ovvero la tendenza ad
avventurarsi verso nuove esperienze; la disinibizione e la suscettibilità alla noia.
La teoria della classificazione dei bisogni e delle gerarchie motivazionali
I bisogni raffigurano le tendenze fondamentali che determinano il comportamento e
il loro studio si intreccia con quello sulla personalità e sulle differenze individuali (approcci
disposizionali).
Tra le classificazioni più importanti, quella di Murray distingue tra bisogni primari,
che corrispondono alle necessità fisiche dell’organismo e bisogni secondari o pressioni,
che non corrispondono ad alcun processo fisiologico, ma vengono acquisiti nel corso dello
sviluppo individuale tramite esperienze di apprendimento nella realtà sociale e culturale di
riferimento. Egli ha classificato quindi i bisogni in base al tema di interrelazione tra persona
e ambiente, ovvero alla modalità con cui bisogno e pressione si integrano. Ciò significa
anche che l’interpretazione e la percezione di una situazione dipendono sistematicamente
dalla forza del bisogno del soggetto.
A partire dalla teoria di Murray, Mc Clelland ha distinto tre grandi classi di bisogni
secondari: il bisogno di successo, il bisogno di affiliazione e il bisogno di potere, mentre
Maslow ha sviluppato un approccio particolare allo studio della motivazione. La psicologia
umanista di Maslow si propone di concentrare l'attenzione sulla persona nella sua
interezza, su caratteristiche tipicamente umane come creatività, sé, crescita, esperienza e
autorealizzazione.
Il modello di Maslow classifica i bisogni secondo una gerarchia e sostiene che,
affinché i bisogni più sofisticati possano sorgere, è necessario prima soddisfare alcuni
bisogni di base. Una volta soddisfatti, questi ultimi cessano di dominare l’organismo e
l’organizzazione dei suoi comportamenti lasciando spazio all’insorgere di altri bisogni di
grado superiore. Il modello può essere rappresentato da una piramide, la cui base è
formata dai bisogni primari e la cui parte superiore è composta da bisogni di ordine più
elevato.
I bisogni di basso ordine che occupano i gradini inferiori della piramide sono
composti dai bisogni fisiologici e dai bisogni di sicurezza.
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Dopo la soddisfazione dei bisogni di base, possono emergere bisogni più evoluti,
ovvero i bisogni di amore, di appartenenza, di stima, e di autorealizzazione.
Successivamente, compaiono i bisogni di stima. Secondo Maslow, la stima concerne il
bisogno di sviluppare un senso di sé come individui degni di considerazione. Essi
comprendono sia il bisogno di autostima, di fiducia in sé, di adeguatezza e di
indipendenza sia il bisogno di prestigio, di una buona reputazione, di riconoscimento e
attenzione da parte degli altri. Quando tutti questi tipi di bisogni sono stati appagati, un
individuo può perseguire il bisogno di livello più alto, l’autorealizzazione estetica.
L’autorealizzazione è uno stato di auto-soddisfazione per cui le persone riescono a
realizzare il proprio potenziale, a trovare “la propria strada”. L’elemento fondamentale è
che le persone si sentano in pace con sé stesse e soddisfatte perché utilizzano i loro
talenti al massimo.
Nonostante la ricerca non sia stata in grado di confermare lo specifico ordine
gerarchico presupposto da Maslow, e nonostante sia molto difficile misurare
l’autorealizzazione in modo oggettivo, il modello proposto è importante, poiché ha messo
in luce la complessità dei bisogni, ponendo l’accento su bisogni tipicamente umani quali la
stima e l’autorealizzazione, nonché la possibilità che il comportamento sia motivato
contemporaneamente da più bisogni.
Le teorie cognitive e socio-cognitive
Secondo l’approccio cognitivista alla motivazione di Atkinson, Weiner e Ryan, essa
è il prodotto di pensieri, valutazioni, aspettative e scopi dell’individuo.
La motivazione cessa così di appartenere alla sola sfera biologica e si declina
invece nei processi di pensiero e nella capacità di individuazione di mete e scopi sulla
base di fattori quali la valutazione della probabilità di successo o di insuccesso e i processi
di attribuzione causale e di valutazione di controllabilità della situazione.
Le teorie cognitiviste sulla motivazione introducono una distinzione chiave tra
motivazione intrinseca ed estrinseca. La motivazione intrinseca porta a intraprendere
un’attività per il proprio piacere piuttosto che per un qualsiasi riconoscimento concreto e
tangibile. Al contrario, la motivazione estrinseca ha come obiettivi: denaro, voti, o altre
ricompense concrete. Gli studi dimostrano che si è più inclini a perseverare, a lavorare
duramente, a raggiungere performance di alta qualità, quando le motivazioni sono
intrinseche piuttosto che estrinseche.
La motivazione propria della persona: dalla motivazione secondaria come bisogno
di potere e successo all’orientamento della motivazione come orientamento al
compito
Molte delle teorie sopra sintetizzate sono complementari tra loro. Utilizzando più di
una teoria è infatti possibile comprendere la motivazione umana nei suoi diversi aspetti, ne
è un esempio significativo l’analisi di un’area della motivazione caratterizzata dal bisogno
di successo e dal bisogno di potere.
Secondo la distinzione fatta da Mc Clelland, si possono individuare due grandi
classi di bisogni secondari che caratterizzano gli esseri umani: il bisogno di successo e il
bisogno di potere. Essi sono di solito compresenti, ma è possibile che uno di questi
bisogni prevalga sugli altri e assuma il ruolo di principale motivatore del comportamento di
una persona.
Il bisogno di successo è stato definito come una tra le pulsioni secondarie più
importanti ed una caratteristica stabile ed appresa, in cui un individuo ottiene
soddisfazione nel cercare di raggiungere e nell’ottenere risultati di eccellenza. Il bisogno di
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riuscita motiva cioè all’auto-valutazione delle proprie capacità, al “mettersi alla prova” e al
confronto con livelli standard di riferimento che si tenta di raggiungere o superare.
Un alto bisogno di raggiungere risultati positivi, generalmente produce buoni esiti,
almeno in una società orientata al successo come la nostra.
Il bisogno di successo è strettamente connesso con il bisogno di potere.
Quest’ultimo rappresenta una tendenza a cercare di lasciare il segno sugli altri, controllarli
o influenzarli, e di essere visto come un personaggio potente. Persone dotate di grande
bisogno di successo sono più inclini ad appartenere ad organizzazioni e a ricercare
posizioni ufficiali rispetto a persone con un basso bisogno di potere; tendono anche a
compiere lavori in cui il bisogno di potere può essere soddisfatto e tendono ad ostentare i
simboli legati al potere.
Le teorie descritte presentano diverse prospettive sullo studio della motivazione.
Quale tra esse dà una spiegazione più esauriente di che cosa direziona e “spinge” l’uomo
verso determinati comportamenti? Quale tra esse da una risposta all’interrogativo di
partenza ovvero, che cosa sostiene le persone nell’ottenere contemporaneamente buoni
risultati sia atletici che nel mondo del lavoro e dell’Università?
Ciò che fa la differenza è l’orientamento della motivazione.
Proprio dalla testimonianza di Goran Nava si evince che ci sono persone che, come
lui, danno il massimo del loro impegno per ottenere il meglio da loro stessi e altri che
invece vogliono eccellere esclusivamente per essere considerati i migliori. Entrambi gli
atteggiamenti sono rilevatori di una forte motivazione che, però, sembra essere orientata
in maniera diversa. Infatti, i primi percepiscono il successo in termini di maestria nel
quotidiano, ovvero nel fare bene ciò che si fa, i secondi interpretano il successo in termini
di risultato ottenuto.
Questo approccio cognitivo-sociale ipotizza l’esistenza di due tipi di obiettivi
motivazionali. Nicholls sostiene che questi obiettivi formino due dimensioni indipendenti e
siano correlati a come un individuo costruisce il suo livello di competenza in una
determinata situazione. Ha identificato
cioè l’esistenza di due orientamenti motivazionali specifici: l’orientamento al compito
e l’orientamento al sé o al risultato.
Quando il comportamento è orientato al compito l’obiettivo della persona è quello di
far vedere il suo livello di competenza in ciò che fa. Diversamente una persona
estremamente orientata al sé o al risultato, vuole dimostrare il proprio grado di
competenza in relazione agli altri tramite una prestazione.
Questa teoria dell’orientamento motivazionale sostiene che la determinazione
dell’orientamento individuale dipenda da fattori situazionali e personali ovvero dalla
motivazione intrinseca, identificata come “quella spinta interiore che sostiene il desiderio di
fare bene e l’impegno in un’attività dalla quale si trae soddisfazione per ciò che si fa e per
come lo si fa”4.
In sintesi quest’ultima teoria esplicita in termini scientifici quello che Goran Nava ha
espresso come la “logica del sogno”, ovvero: “…il raggiungimento dell’eccellenza viene
proposto non come capacità di fare bene i compiti a casa e di passare gli esami, ma come
ambizione di crescita nel quotidiano, come coraggio di intraprendere il proprio percorso,
come volontà e capacità di portare a termine un progetto che permette di essere motivati
quotidianamente dalla passione per ciò che si fa, di gestire e quindi sopportare il lavoro
duro e di inseguire, raggiungendo, i grandi obiettivi”5.
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Moè A., La motivazione, Il Mulino, Bologna, 2010.
Intervista a Goran Nava.
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