La Terza Società

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La Terza Società
DOSSIER, V/2016
Release 1.0
a cura di Rossana Cima, Caterina Guidoni e Luca Ricolfi
Fondazione DAVID HUME per Il Sole 24 ORE
INDICE
Introduzione
4
1. La Società delle Garanzie
Il pubblico impiego
Il lavoro dipendente privato
La società delle garanzie
6
6
8
9
2. La Società del Rischio
C’è dipendente e dipendente
Il lavoro autonomo
11
11
14
3. La Terza Società
Chi e quanti sono?
La Terza Società dagli anni ’70 ad oggi
17
17
19
4. La Terza Società nelle economie avanzate
La Terza Società in Europa
Il confronto con i paesi OECD
Altri indici di esclusione: l’Indice di Carico e i NEET
23
23
24
26
5. La Terza Società al voto in Italia
30
APPENDICI
(A) Costruzione degli indicatori della Prima e della Seconda Società
(B) Costruzione degli indicatori della Terza Società in Italia
(C) La stima della Terza Società nelle economie avanzate
(D) Grafici e tabelle accessorie
32
32
33
36
38
Riferimenti bibliografici
40
3
Introduzione
Quando si parla del sistema sociale e delle sue divisioni si fa per lo più
riferimento a due tipi di fratture sociali fondamentali.
La prima è quella dei livelli di reddito, che permette di suddividere la
popolazione in strati più o meno numerosi, dai poveri assoluti fino all’élite
dei super-ricchi, passando per la vasta area dei ceti medi E’ in questo filone
che si collocano le indagini campionarie sui bilanci familiari, come quelle
dell’Istat e della Banca d’Italia.
Il secondo tipo di frattura riguarda i rapporti sociali, e conduce a
suddividere la popolazione in grandi classi sociali. Un filone che nel mondo
anglosassone deve molto agli studi di Golthorpe, e che in Italia era stato
inaugurato da Sylos Labini, con il suo famoso Saggio sulle classi sociali.
Oggi entrambi gli approcci precedenti mostrano limiti piuttosto severi.
L’approccio in termini di livelli di reddito, inevitabilmente condotto a partire
dalle condizioni economiche della famiglia, finisce per cancellare le
differenze, storicamente sempre più importanti, fra percettori di reddito e
membri mantenuti o sussidiati. L’approccio in termini di grandi classi sociali,
a sua volta, deve fare i conti con lo svuotamento tendenziale delle grandi
classi sociali del passato, come la classe operaia e i contadini.
Ma la difficoltà fondamentale di un’analisi attuale delle divisioni sociali sta
nel fatto che oggi nel luogo centrale che genera le differenze sociali, ossia il
mercato del lavoro, opera ormai una minoranza della popolazione (circa 25
milioni di persone su 60, nel caso italiano), minoranza al cui interno i
capifamiglia che lavorano costituiscono, a loro volta, una ancor più esigua
minoranza (circa 12 milioni di persone su 60).
Il fenomeno centrale del nostro tempo, almeno in un paese come l’Italia, è
la formazione di un segmento sociale che, pur facendo parte della
popolazione potenzialmente attiva (in quanto disponibile a lavorare) vive
nondimeno una condizione di grave e radicale esclusione dal circuito del
lavoro regolare. In un precedente Rapporto della Fondazione David Hume
abbiamo denominato questo segmento “Terza società”, in contrapposizione
alla “Prima società” (la società dei garantiti) e alla “Seconda società” (o
società del rischio” (Vedi FDH 2005, Ricolfi 2007).
In questo Dossier approfondiamo l’analisi di questo segmento di esclusi, o
outsider, da tre prospettive:
a) la sua evoluzione nel tempo;
b) la sua ampiezza in Italia, in confronto ad altri paesi avanzati;
c) il suo orientamento politico.
4
Per ricostruire gli orientamenti politici dei membri della Terza Società
abbiamo commissionato un’apposita indagine demoscopica alla Società
Ipsos.
5
1. La Società delle Garanzie
Per meglio comprendere la Terza Società, da quanti e quali persone è
formata, è necessario fare un passo indietro e vedere chi non ne fa parte. La
nostra società contemporanea è divisibile in tre parti. La prima, quella che
andremo a trattare in questo paragrafo, è la Società delle Garanzie, del
cosiddetto posto fisso. Questa società è formata dagli impiegati pubblici e dai
dipendenti delle medie-grandi aziende1 protetti da un contratto di lavoro
stabile, dallo Statuto dei Lavoratori e dalla stessa dimensione aziendale.
La Prima Società in Italia nel 2014
Dipendenti "regolari"
stabili nelle imprese
medio-grandi
7.187.830
Personale
stabile nella
P.A.:
3.041.227
Prima Società
10.229.057
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat-RCFL e Contabilità Nazionale
Il pubblico impiego
I lavoratori pubblici sono un ingranaggio fondamentale della macchina
statale fin dai tempi antichi.
Nella Costituzione repubblicana due articoli riguardano i rapporti di
lavoro nel pubblico impiego (art 39 e 97). Per quanto nell’articolo 39 si dica
che i contratti di lavoro dei pubblici impiegati possano essere stipulati
attraverso la contrattazione sindacale, fino agli anni ’80 ciò avvenne solo in
parte. Spesso infatti gli accordi di lavoro sono stati fatti su base
11
La divisione è stata fatta tra dipendenti per i quali vige lo statuto dei lavoratori e dipendenti esclusi.
6
regolamentare. Questo poiché secondo il “Testo unico degli impiegati civili
dello Stato” del 1957 la disciplina del rapporto di lavoro è affidata
esclusivamente a leggi o regolamenti ed esclusa da contrattazione. In questo
modo possono coesistere trattamenti economici diversi per settori della P.A.
differenti.
La prima vera riforma organica della Pubblica Amministrazione si avrà nel
1983 con la legge quadro sulla contrattualizzazione del pubblico impiego.
Con questo processo i dipendenti pubblici hanno avuto accesso alla
contrattazione collettiva.
Attualmente il lavoro nella Pubblica Amministrazione è disciplinato dal
Decreto Legislativo 165/2001. In esso si definisce che le cause di
licenziamento sono sostanzialmente due: giusta causa o giustificato motivo
oggettivo. Inoltre, la Cassazione ha stabilito con una sentenza del giugno
2016 che per i dipendenti pubblici è sempre in vigore l’art. 18 dello Statuto
dei lavoratori2.
Il personale stabile della Pubblica Amministrazione era composto nel
2014 da oltre 3 milioni di persone, circa il 10% delle Forze di Lavoro
“allargate”3.
Personale stabile della P.A.
(% sulle Forze di Lavoro allargate)
12,0
11,8
11,8
11,6
11,4
11,2
11,0
10,8
10,6
10,4
10,1
10,2
2014
2013
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
10,0
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat, Contabilità Nazionale e ARAN
2
Sentenza n. 11868 del 9 giugno 2016.
Per Forze di Lavoro allargate si intende la somma di occupati regolari, disoccupati, inattivi disponibili a lavorare
e lavoratori in nero.
3
7
La serie storica della percentuale del personale stabile della Pubblica
Amministrazione sul totale delle Forze di Lavoro “allargate” mostra come, tra
il 1995 (primo anni del periodo da noi considerato) ed il 1998, vi sia una
leggera diminuzione, dovuta alle politiche di riduzione della spesa avviate già
dai primi anni ’90. Dopo un aumento tra il 1998 ed il 2001, la percentuale ha
ripreso a scendere: tra il 2001 ed il 2014 la diminuzione è stata di 1,7 punti
percentuali e si è passati dall’11,8% al 10,1%.
Questo calo non ha riguardato solo la quota percentuale, ma anche il
valore assoluto. Tra il 1995 ed il 2014 il personale stabile della P.A. ha subito
una contrazione del 2,7%, pari a 85mila dipendenti.
Il lavoro dipendente privato
Il secondo gruppo che compone la Prima Società è quello dei dipendenti
privati, e più specificatamente è quello dei dipendenti privati tutelati dallo
Statuto dei Lavoratori. Questo insieme consta di poco più di 7 milioni di
dipendenti e rappresenta il 24% delle Forze di Lavoro da noi prese in esame.
L’Art. 35 dello Statuto prevede che esso si applichi solo alle aziende che
occupano più di 15 dipendenti e dal 1993 si è applicato anche ai dipendenti
della P.A. grazie al d.lgs. 29. La scelta da parte del legislatore di porre un
limite minimo di applicazione è dovuto ai costi aziendali di queste tutele.
L’onere di reintegro o un’eventuale causa legale dovuta ad un contenzioso
per il licenziamento possono essere meglio assorbiti da un’azienda di
dimensioni medio-grandi, inoltre le piccole imprese potrebbero avere
maggiori difficoltà nel ricollocare un eventuale lavoratore in esubero. Le
soglie di tutela variano da paese a paese, ad esempio in Germania le soglie di
tutela valgono per aziende al di sopra dei 4 addetti, in Spagna invece la soglia
è 25.
Sia la legge 92/2012 che il D.Lgs. 23/2015 hanno modificato la normativa
riguardante i licenziamenti individuali e collettivi. Il reintegro avviene,
adesso, soltanto in caso di licenziamento discriminatorio, nullo o intimato in
forma orale e con sentenza del giudice in caso di manifesta insussistenza del
fatto materiale che ha condotto ad un licenziamento per motivo soggettivo o
giusta causa.
Prima del 2012 per le aziende al di sopra dei 15 dipendenti, il reintegro
era automatico in caso di licenziamento illegittimo per mancanza di giusta
causa o giustificato motivo “oggettivo” o “soggettivo”. Il decreto del 2015 ha
ridotto ancora di più i casi di reintegro, rendendolo possibile solo nel caso di
licenziamento disciplinare in cui sia direttamente dimostrata l’insussistenza
del fatto.
8
Dipendenti stabili di aziende sopra i 15 dipendenti
(% sulle Forze di Lavoro allargate)
27,0
26,5
26,5
26,0
25,5
25,0
24,5
23,9
24,0
23,5
23,1
23,0
22,5
2014
2013
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
22,0
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat, Contabilità Nazionale
Guardando alla serie storica della “fetta” di Forza Lavoro allargata
occupata dai dipendenti sub tutela dello Statuto dei Lavoratori, si può notare
come questi diciannove anni possano essere suddivisi in tre parti: un primo
periodo di crescita tra il 1995 ed il 2003 (dal 23,1% al 26,1%), un secondo
momento, quello tra il 2003 ed il 2009 in cui le variazioni sono state di pochi
decimi di punto percentuale, infine un ultimo periodo di calo che ha visto una
riduzione di 2,5 punti percentuali di questa quota.
La società delle garanzie
Questa Prima Società che compone le nostre Forze di Lavoro allargate è
quindi la somma di chi tra i pubblici impiegati e dipendenti di aziende mediograndi ha un contratto stabile4. Questo gruppo è protetto e tutelato dalle
garanzie acquisite negli anni grazie alle lotte sindacali e ben rappresentato
dalla politica e dai sindacati (Ricolfi, 2007). Per quanto negli anni siano stati
4
Per i metodi di stima vedi Appendice.
9
fatti tentativi per aumentare la flessibilità lavorativa anche per queste
posizioni, la loro situazione occupazionale resta forte e garantita.
Consistenza e peso della Prima Società (1995-2014)
37,5
37
10.600
36
34,9
35
10.400
34,0
34
9.662
9.519
9.416
9.361
9.351
9.400
9.299
10.229
32
10.323
10.449
10.537
10.683
10.749
10.704
10.469
10.418
33
10.269
9.600
10.371
9.800
10.146
10.000
10.587
10.200
31
30
Peso % sulle Forze Lavoro allargate
38
10.800
9.820
Consistenza, in migliaia
11.000
29
9.200
2014
2013
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
28
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat, Contabilità Nazionale e ARAN
La serie storica della percentuale di Forze di Lavoro facenti parte della
Prima Società ha un andamento crescente nella prima parte del periodo, una
fase di relativa stasi ed una finale di diminuzione. Il calo molto marcato dal
2009 al 2014 fa sì che l’ultimo dato a nostra disposizione sia anche il valore
più basso dei venti anni presi in considerazione.
Secondo i valori percentuali, il valore massimo è stato raggiunto nel 2006
(37,5%) ed il minimo, come già detto, è quello del 2014. Guardando invece i
valori assoluti, il punto di massima è stato toccato nel 2008, quando i
dipendenti “garantiti” erano poco più di 10milioni e 700mila. A partire da
quell’anno la Prima Società è diminuita di mezzo milione di dipendenti.
10
2. La Società del Rischio
Come già precedentemente detto ci sono lavoratori garantiti e meno
garantiti. Lavoratori protetti dall'articolo 18 e occupati che non possono
beneficiare di questa stessa tutela. Ma non sono solo gli operai e gli impiegati
delle piccole aziende a godere di un basso livello di protezione dell’impiego.
Ci sono anche i proprietari delle piccole imprese o i lavoratori autonomi che
non possono contare su un generoso sistema di ammortizzatori sociali.
Sono tutti parte della Seconda Società, quella del rischio, perché più
esposti alle incertezze del mercato. Sono senza reti di garanzie e per questo
si trovano in una condizione di maggior vulnerabilità.
La Seconda Società in Italia nel 2014
Lavoratori autonomi
"regolari":
5.326.600
Dipendenti
"regolari" stabili in
piccole imprese:
3.811.905
Dipendenti
temporanei
"regolari:
1.727.238
Seconda Società:
10.865.742
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat e Contabilità Nazionale
C’è dipendente e dipendente
Esiste, come è noto un marcato dualismo nel mercato del lavoro italiano
essenzialmente legato alle dimensioni dell’impresa. La soglia dei 15
dipendenti segna un punto di demarcazione forte in materia di tutele e
garanzie. La differenza più significativa che esiste fra piccole e grandi aziende
è forse quella legata alla disciplina dei licenziamenti, dato che l’art. 18 non si
applica alle imprese con meno di 15 dipendenti. I dipendenti delle piccole
11
imprese, dunque, sono un po’ meno Di articolo 18 si è tornato a parlare
garantiti. E questa disparità continua a recentemente, quando a luglio dello
persistere anche con le recenti scorso anno la Cgil ha depositato
modifiche introdotte dal decreto in Cassazione circa 3 milioni di firme
legislativo 23/2015 sulla disciplina che a supporto di tre referendum
regola i licenziamenti in caso di contratti abrogativi in materia di lavoro. Tra
questi vi era quello che puntava ad
a tutele crescenti. Nelle piccole imprese, abrogare le modifiche introdotte allo
ad esempio, l’importo dell’indennità in Statuto dei lavoratori dal Jobs Act e
caso di licenziamento ingiustificato è dalla legge Fornero e che
proponeva
di
ridotto (dimezzato rispetto a quello che parallelamente
si può percepire in una grande estendere l’applicazione dell’articolo
18 a tutti i datori di lavoro con più di
azienda)5.
5 dipendenti; un referendum che
Gli occupati nelle piccole aziende con però non si farà data la recente
un contratto di lavoro stabile bocciatura del quesito da parte della
costituiscono però una quota non Corte Costituzionale.
trascurabile
della
popolazione Ma i tentativi di estendere il livello di
occupata: sono quasi 4 milioni, poco più protezione dell’impiego ad una
platea più vasta si fecero anche nel
di un terzo dei lavoratori dipendenti del 2003 con il referendum promosso da
settore privato6, e circa il 12% delle Rifondazione Comunista. Il quesito
Forze di Lavoro allargate.
venne bocciato anche allora, ma
Le piccole imprese7, d’altronde, sono questa volta dai cittadini, perché solo
la struttura portante del sistema il 25% degli elettori si recò alle urne,
rendendo nullo il risultato..
produttivo
italiano.
Solo
le
microimprese, quelle con meno di 10
addetti, costituiscono il 95,4% delle aziende attive (nel 2014) e
contribuiscono per circa un terzo al valore aggiunto dell’industria e dei
servizi (Istat, 2016).
Il peso dei dipendenti con un contratto di lavoro stabile era in crescita fra
il 1995 e il 2008, ma con lo scoppio della crisi il trend si è invertito. Ciò che si
nota dal grafico seguente è una generale tendenza alla diminuzione a partire
dal 2010. In cinque anni (2009-2014) si sono persi circa 200 mila dipendenti,
con un calo percentuale dell’6,1 per cento e la loro incidenza sul totale delle
Forza di Lavoro allargate è passato dal 19% al 17,7%. Oggi (2014),
comunque, il loro numero e il loro peso rimangono più alti di quelli registrati
a partire dai primi anni ’90.
5
In base all’articolo 9, comma 1, del decreto 23/2015.
Dati Istat, registro statistico delle imprese attive (Asia), anno 2014.
7
Quelle con meno di 15 addetti.
6
12
Lavoratori dipendenti con un contratto di lavoro stabile impiegati in imprese
sotto i 15 addetti
(% sulle Forze di Lavoro allargate)
14,5
14,1
14,0
13,4
13,5
13,0
12,5
12,0
12,7
11,8
2014
2013
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
11,5
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat e Contabilità Nazionale
C’è però un’altra categoria di dipendenti che rientra nella Società del
Rischio, i lavoratori atipici (dipendenti a termine) che, indipendentemente
dalla dimensione d’impresa in cui si trovano ad operare, beneficiano
comunque di un livello inferiore di sicurezza del posto di lavoro e possono
contare su un sistema di ammortizzatori sociali ancor più limitato.
È l’unica componente della Seconda Società che mostra, seppur tra alti e
bassi, un andamento tendenzialmente crescente: il loro peso sulle Forze di
Lavoro allargate è progressivamente aumentato dal 1995 al 2000, ha subito
una leggera flessione nel 2001, ma è tornata subito a crescere toccando il
5,5% nel 2003. L’anno successivo ha perso lievemente terreno per poi
riprendere la corsa e salire al 6,2% nel 2008. Negli ultimi anni ha alternato
periodi di discesa e salita, raggiungendo un nuovo picco nel 2012 superando
nuovamente la soglia del 6%. Oggi (2014) presenta un valore un po’ più
basso attestandosi intorno al 5,7%. Si tratta di circa 2 milioni di persone,
tutte impiegate con un contratto di lavoro “atipico”.
13
Lavoratori dipendenti con un contratto di lavoro temporaneo
(% sulle Forze di Lavoro allargate)
6,5
6,2
6,0
5,5
5,5
5,7
5,3
5,0
4,5
4,4
2014
2013
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
4,0
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat e Contabilità Nazionale
Il lavoro autonomo
Anche gli autonomi fanno parte della Seconda Società non solo perché
possono contare su un sistema di garanzie ancor più ridotto rispetto a quello
destinato ai dipendenti, ma anche perché sono direttamente esposti alle
turbolenze del mercato. Mettono continuamente a rischio il proprio capitale
finanziario, senza neanche la sicurezza di un reddito fisso e garantito.
È la componente più estesa della Seconda Società: conta più di 5 milioni di
lavoratori8 (2014) ovvero il 17% circa delle Forze di Lavoro allargate.
Negli ultimi anni la loro tendenza è alla diminuzione, così come è stato
anche per i dipendenti con un contratto di lavoro stabile. Per gli autonomi,
però, i segnali di affanno si sono fatti sentire ben prima della crisi, a partire
dal 2005. Fra il 2004 e il 2014, il lavoro autonomo si è ridotto del 7,2%,
registrando una perdita di quasi 412 mila unità. Parallelamente il loro peso
è sceso dal 20,6% al 17,7%.
8
Considerando la sola componente regolare ed escludendo, dunque, i lavoratori autonomi in nero (Dati di
Contabilità Nazionale, Istat).
14
Lavoratori autonomi
(% sulle Forze di Lavoro allargate)
21,0
20,4
20,5
19,9
20,0
19,5
19,4
19,2
19,0
18,5
18,0
17,5
17,7
2014
2013
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
17,0
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat e Contabilità Nazionale
E le crescenti difficoltà incontrate dagli autonomi hanno avuto ovvie
ricadute sul reddito familiare medio che si è contratto soprattutto nel
periodo di crisi.
Reddito familiare (compresi gli affitti figurativi)
(Valori a prezzi costanti, base 2003=100)
110
105
Reddito da lavoro dipendente
100
95
90
Reddito da lavoro autonomo
85
80
75
70
2014
2013
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
65
Fonte: Istat
15
Tra il 2009 e il 2014 i redditi da lavoro autonomo sono scesi del 28% circa,
molto di più di quello che è avvenuto per quello da lavoro dipendente (-8%).
E questo forte calo per gli autonomi, spiega l’Istat (Istat, 2016), è dovuto sia
alla diminuzione del numero di percettori che alla riduzione del reddito
medio individuale.
Nel complesso, sono circa 10 milioni le persone che, nel 2014, fanno parte
della Società del Rischio, poco più del 36% delle Forze di Lavoro allargate. È
una società che negli ultimi anni ha piano piano perso terreno. Sembrerebbe
che la crisi abbia interrotto quel trend decrescente che, fra il 1995 e il 2007,
aveva portato la Seconda Società a toccare quota 11,4 milioni.
Consistenza e peso della Seconda Società (1995-2014)
39,3
40
12.000
38
11.500
10.866
34
10.950
11.332
11.319
11.195
11.179
11.272
10.991
10.922
10.878
10.556
10.170
9.923
9.755
9.580
9.500
9.514
10.000
10.312
10.500
11.498
36
11.466
11.000
36,1
35,4
9.445
Consistenza, in migliaia
12.500
9.000
32
Peso % sulle Forze Lavoro allargate
13.000
Valori assoluti
2014
2013
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
30
Peso della Seconda società (% Forze di Lavoro allargate)
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat e Contabilità Nazionale
Durante quest’ultimo periodo di recessione, i dipendenti privati con un
contratto di lavoro stabile hanno cominciato a perdere colpi insieme agli
autonomi. Sono soprattutto quest’ultimi ad aver sofferto di più. I lavoratori
atipici, invece, hanno retto meglio.
16
3. La Terza Società
Chi e quanti sono?
Accanto ad una Società delle Garanzie e ad una del Rischio, ve n’è una
terza, quella degli esclusi, fatta di disoccupati, lavoratori in nero e persone
che non cercano attivamente un impiego, ma che sono disponibili a lavorare
se ce ne fosse l’occasione9. Si tratta della fascia più debole del mercato del
lavoro, perché priva di garanzie o dotata di garanzie minime. Chi
un’occupazione ce l’ha ma svolge la propria attività irregolarmente non può
contare su alcuna forma di protezione dell’impiego e del proprio salario; si
ritrova senza contributi fiscali e previdenziali ed è sprovvisto di adeguate
tutele per la sicurezza e la salute. Chi poi è fuori dal mercato del lavoro, come
gli inattivi, non beneficia di alcun ammortizzatore sociale. E se comunque
esistono misure di sostegno al reddito come quelle destinate ai disoccupati
queste sono ovviamente valide per un periodo di tempo limitato.
Vive in questa situazione una parte non trascurabile della popolazione.
Nel 2014, la Società degli esclusi poteva contare su nove milioni di persone,
pari a circa il 30% delle Forze di Lavoro allargate, più o meno quanti
appartengono alla Prima e alla Seconda Società.
Il segmento lievemente più consistente è costituito dai lavoratori in nero.
Si tratta di circa 3,2 milioni di persone (il 36,0% dell’interna Società degli
esclusi), secondo quanto emerge dalle stime ufficiali di Contabilità Nazionale.
È una segmento questo i cui contorni sono un po’ sfumati. Parte degli
irregolari, è bene precisare, potrebbero essere stati classificati come
disoccupati o inattivi dalle indagini continue delle Forze Lavoro (RCFL),
questo perché le RCFL utilizzano come fonte d’informazione principale la
famiglia e dunque le persone intervistate potrebbe aver timore a dichiarare
pubblicamente di essere impiegati in nero10. La figura seguente rappresenta
questi possibili margini di sovrapposizione.
9
Vengono definiti disoccupati coloro che non svolgono un lavoro ma hanno effettuato almeno un’azione di ricerca
attiva nelle quattro settimane precedenti l’intervista. Vengono definiti inattivi immediatamente disponibile a
lavorare le persone che dichiarano di cercare lavoro ma non hanno effettuato una azione attiva nelle ultime
quattro settimane e sono disponibili a lavorare entro due settimane, oppure non cercano lavoro ma si dichiarano
disponibili a lavorare entro le due settimane dall’intervista.
10
Per la stima delle componenti della Terza Società si veda l’Appendice.
17
La Terza società in Italia nel 2014
Inattivi disponibili
non occupati in nero:
2.940.051
Inattivi
disponibili
occupati in nero:
433.568
Inattivi non
disponibili
occupati in nero:
1.208.889
Disoccupati che
lavorano in nero:
418.025
Disoccupati veri:
2.817.982
Occupati irregolari:
1.184.117
Terza Società:
9.002.633
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat-RCFL e Contabilità Nazionale
Lo schema ci consente anche di vedere quanti sono gli inattivi disponibili
a lavorare e senza un’occupazione irregolare. Sono poco meno numerosi del
precedente segmento: 2,940 milioni, ovvero il 32,7% del totale. I disoccupati
“veri” costituiscono invece la fetta relativamente meno consistente. Sono
comunque 2,818 milioni di persone, il 31,3% degli outsiders.
Quest’esercito di esclusi non si distribuisce uniformemente in tutto il
territorio. Gli outsiders si concentrano soprattutto nel Mezzogiorno. Qui
l’incidenza sulle Forze di Lavoro allargate tocca addirittura il 45,8%. Quasi la
metà di chi fa parte o comunque vorrebbe partecipare al mercato del lavoro
si ritrova dunque fra le fasce più deboli e meno tutelate della popolazione.
Ciò che inoltre colpisce è che al Sud il peso della Terza Società sia quasi
doppio rispetto a quello registrato nelle altre parti del paese.
La forte presenza della Terza Società nelle regioni meridionali è
strettamente legata alla diffusione degli inattivi disponibili a lavorare che in
quest’area rappresentano il 42,3% del totale, contro il 22-24% circa
osservato nel resto d’Italia. Nel Nord-Est, invece, sono i lavoratori irregolari
la parte più consistente degli esclusi, mentre nel Nord-Ovest è più diffusa la
disoccupazione.
18
Consistenza e peso della Terza Società nelle ripartizioni italiane nel 2014
Consistenza
Peso in % delle Forze di Lavoro allargate
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat e Contabilità Nazionale
La Terza Società dagli anni ’70 ad oggi
La Terza Società non è affatto un segmento marginale del mercato del
lavoro. Anzi, oggi accoglie più o meno tanti cittadini quanti sono quelli che
“abitano” la Società dei Garantiti e quella del Rischio. Ma non è sempre stato
così come si può vedere qui di seguito. La sua evoluzione negli ultimi
vent’anni è rappresentata dal grafico seguente.
La “storia” della Terza Società è chiaramente legata all’andamento
economico: la platea degli esclusi è aumentata nei periodi di recessione,
mentre si è contratta nei periodi di maggior slancio economico.
Il numero degli outsiders e il loro peso era molto alto nei primi anni ’90.
Questo forse non stupisce visto che l’Italia, allora, stava ancora risentendo
degli effetti della grande crisi valutaria e finanziaria del settembre ‘92. Nel
1995, la Terza Società sfiorava gli 8 milioni di persone e costituiva il 29,7%
delle Forze di Lavoro allargate, un peso piuttosto elevato. La crisi, d’altronde,
aveva spinto il tasso di disoccupazione fino a quota 11%, un valore che si era
mantenuto oltre questa soglia fino al 1998. Consistente era anche l’area
dell’inattività: nel 1995 erano circa 2,5 milioni gli inattivi disponibili a
lavorare, mentre i lavoratori in nero superavano i 3 milioni, una cifra poco
inferiore a quella di oggi, ma comunque più bassa di quello che raggiungerà
poco più tardi nel 2001.
19
29,7
29,9 29,5
29,6
28,7
9.000
30
28
8.500
26
8.000
24
23,1
22,5
7.500
8.712
8.904
9.003
8.427
7.945
7.269
7.114
6.872
6.433
6.695
6.356
6.546
6.484
6.708
7.113
7.343
7.639
7.866
7.947
7.934
6.500
6.398
22
7.000
7.935
Terza società (migliaia di persone)
9.500
2016
2015
2014
2013
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
18
1995
6.000
20
Peso % sulle Forze di Lavoro allargate
Consistenza e peso della Terza società
Terza società (migliaia di persone)
Peso della Terza società (% Forze di Lavoro allargate)
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat-RCFL e Contabilità Nazionale
Nel 1998, il peso degli esclusi incomincia a registrare una diminuzione che
si fa via via più rapida e che prosegue fino al 2003. Disegna una curva verso
il basso soprattutto grazie al calo dei disoccupati e degli inattivi disponibili a
lavorare.
I tre segmenti della Terza Società
(% sulle Forze di Lavoro allargate)
13
12
Lavoratori in nero
11
10
9
8
7
6
5
Disoccupati (non occupati in nero)
2014
2013
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
4
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat, RCFL e Contabilità Nazionale
20
In sei anni i primi diminuiscono di ben 700 mila unità, mentre i secondi si
riducono di oltre mezzo milione. Dopo un periodo di stazionarietà durato dal
2003 al 2007, la Terza Società inizia nuovamente ad espandersi e lo fa
sensibilmente. Tocca i 7 milioni nel 2010, supera gli 8 nel 2013 e nel 2014,
come sappiamo, raggiunge 9 milioni di esclusi. Oggi (2016), secondo le nostre
stime, sembra essersi lievemente ridotta portandosi al 28,6% delle Forze di
Lavoro allargate.
E in un più lontano passato? Quanto era estesa la Terza Società? Non è
semplice dirlo, perché non tutti gli ingredienti necessari per calcolare la
platea degli esclusi sono disponibili per valutare ciò che è successo negli
ultimi quarantacinque anni. Un altro indicatore, però, può aiutarci a
ricostruire la storia della Terza Società. Si tratta dell’indice di carico dei
segmenti deboli che ha una stretta relazione con l’incidenza degli outsiders
(Fondazione Hume, 2015). È una misura del grado di dipendenza sociale ed
economica degli individui deboli dal punto di vista lavorativo rispetto agli
occupati forti. Viene costruito rapportando i giovani di 20-34 anni non
occupati (ovvero disoccupati o inattivi) e le donne adulte (35-64 anni) non
occupate agli occupati maschi (20-64).
Terza Società e indice di carico
32
1,10
1,05
30
1,00
0,95
28
0,90
26
0,85
0,80
24
0,75
0,70
22
Peso della Terza Società (% sulle Forze di Lavoro allargate)
0,65
Indice di carico (asse destro)
2016
2014
2012
2010
2008
2006
2004
2002
2000
1998
1996
1994
1992
1990
1988
1986
1984
1982
1980
1978
1976
1974
1972
0,60
1970
20
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat-RCFL, Contabilità Nazionale e Oecd
21
Così facendo possiamo pensare di tratteggiare l’andamento della società
degli esclusi per un periodo di tempo molto più lungo.
Il peso della Terza Società si aggirava intorno al 28% nei primi anni ’70.
Ha però iniziato pian piano a diminuire forse anche grazie agli interventi
legislativi che hanno promosso un nuovo modello di regolamentazione del
rapporto di lavoro e che hanno portato nel 1970 all’adozione dello Statuto
dei Lavoratori (legge 300 del 1970). In undici anni, dal 1972 al 1982, la platea
degli esclusi è diminuita e il suo peso si è ridotto di 4 punti percentuali
scendendo al 24,5%. Negli anni ’80, però, ha intrapreso una fase di crescita.
Vi è stata una generale tendenza all’aumento durante i primi anni della
globalizzazione (era Reagan-Thatcher), crescita a cui la crisi del 1992, come
abbiamo visto, ha impresso un’ulteriore accelerazione. Poi il suo trend ha
cambiato rotta ma negli anni dell’ultima recessione ha nuovamente iniziato
ad espandersi con un ritmo di crescita ancor più intenso. In soli sette anni
(2007-2014), l’incidenza degli outsiders è aumentata di ben 7 punti
percentuali, passando dal 22,5% del 2007 al 29,9% del 2014 e toccando così
uno dei punti più alti della serie.
Le tre Società a confronto
(% sulle Forze di Lavoro allargate)
41
39,3
39
37
35
33
31
38,9
Seconda società
37,5
35,4
35,6
34,9
36,1
37,1
Prima società
34,0
29,7
29,9
29
Terza società
27
25
23,1
2014
2013
2012
2011
2010
2009
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
2008
22,5
21
2007
23
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat-RCFL, Contabilità Nazionale e Aran
22
4. La Terza Società nelle economie avanzate
La Terza Società in Europa
Per valutare quanto sia forte la presenza degli esclusi nei paesi sviluppati e
dunque la posizione dell’Italia in un’ottica comparata ci si è avvalsi di un
metodo di stima parzialmente diverso da quello utilizzato nei paragrafi
precedenti11. Questo perché i principali database internazionali non
dispongono di stime degli occupati irregolari. Per quantificare il numero di
lavoratori in nero12 ci si è basati sulle percentuali di shadow economy stimate
Schneider (Schneider at al. 2015).
Una volta ottenuta questa stima, una percentuale di questi lavoratori in
nero (il 36,5%) è stata assegnata agli occupati in modo tale che il dato italiano
corrispondesse agli occupati irregolari della Contabilità Nazionale dell’Istat.
Questa quota è stata applicata a tutti gli stati europei. I lavoratori in nero
rimasti sono stati ripartiti tra le rimanenti componenti delle Forze di Lavoro
seguendo il procedimento utilizzato in precedenza per l’Italia13.
Il peso e la consistenza della Terza Società in Italia si discostano
leggermente da quelli presentati dei paragrafi precedenti per via della
diversa definizione adottata dall’Eurostat per classificare gli “inattivi
disponibili”14.
Per operare i confronti, i valori ottenuti per ogni paese sono stati divisi
per le Forze di Lavoro Allargate15.
In media nei 28 paesi dell’UE la Terza Società rappresenta il 23,2% delle
Forze di Lavoro Allargate.
Per quanto il dato dell’Italia sia differente da quello ottenuto utilizzando i
dati ISTAT, è comunque possibile fare dei confronti internazionali. Da questi
confronti risulta che, in Italia, il peso della Società degli esclusi è ben al di
11
Per maggiori dettagli sul metodo di stima utilizzato vedi Appendice.
Per i dati sul peso dei lavoratori in nero sulle Forze di Lavoro vedi Appendice.
13
Vedi Appendice.
14
Per l’EUROSTAT le Forze di Lavoro potenziali si dividono in due categorie principali: “disponibili a lavorare che
non cercano” (Persons available to work but not seeking) e “non disponibili immediatamente che cercano”
(Persons seeking work but not immediately available). Le persone appartenenti alla prima categoria erano in Italia
nel 2014 4milioni e 234 mila, per la definizione ISTAT invece gli inattivi disponibili sono: coloro che cercano lavoro
non attivamente e coloro che non cercano lavoro ma sarebbero disponibili a lavorare ed ammontavano in Italia
nel 2014 erano 3milioni e 374mila, da qui i risultati differenti.
15
Occupati regolari, occupati in nero, inattivi disponibili che non cercano, disoccupati, inattivi puri che lavorano in
nero.
12
23
sopra della media europea ed è il quarto valore più elevato. Peggio di noi
soltanto Grecia, Spagna e Croazia.
La Terza Società nel 2014 nell’Unione Europea
(% sulle Forze di Lavoro allargate)
40%
35%
30%
25%
15%
10%
5%
36,2%
34,2%
32,4%
32,1%
30,0%
29,1%
26,9%
26,1%
25,3%
24,9%
24,7%
23,8%
23,3%
23,3%
23,1%
22,6%
21,2%
19,4%
18,8%
18,7%
18,3%
17,4%
16,8%
16,6%
16,4%
15,7%
15,6%
14,3%
20%
UE28 23,2%
Grecia
Spagna
Croazia
ITALIA
Bulgaria
Cipro
Portogallo
Lettonia
Polonia
Slovenia
Romania
Irlanda
Malta
Lituania
Estonia
Ungheria
Slovacchia
Belgio
Finlandia
Lussemburgo
Francia
Danimarca
Austria
Svezia
Paesi Bassi
UK
Rep Ceca
Germania
0%
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat
Il peso della Terza Società sembra essere particolarmente significativo nei
paesi mediterranei e in quelli dell’ex blocco sovietico: tra le prime dieci
nazioni europee in classifica, cinque appartengono all’ Europa del sud e
cinque all’ex blocco comunista.
Il confronto con i paesi OECD
Per valutare la platea degli esclusi allargando il capo d’osservazione oltre
l’Europa e verso gli altri paesi con economie avanzate, è necessario utilizzare
altri indicatori. Non è infatti possibile costruire un indice di Terza Società
perché mancano alcuni ingredienti base. I dati presenti del database OECD
non contengono informazioni riguardanti i cosiddetti “lavoratori
marginali”16 per l’Italia.
Per poter comunque operare un confronto si è deciso di creare un
indicatore che tenesse conto dei lavoratori irregolari, dei disoccupati
16
L’OECD definisce “marginally attached workers” le persone di oltre 15 anni che non sono occupate, né
disoccupate, né stanno cercando attivamente un impiego, ma che hanno espresso il desiderio di lavorare e
sarebbero disponibili a cominciare un lavoro nella settimana di riferimento dell’intervista.
24
(entrambi i gruppi sono parte della nostra Terza Società) e degli occupati. È
stato, quindi, costruito un indice di “lavoro nero” mettendo in relazione
l’impiego irregolare con le Forze di Lavoro nella loro accezione classica
(occupati e disoccupati)17.
Il grafico che mette a confronto i valori così ottenuti di tutti i paesi OECD
mostra come, anche in questo caso, i paesi dell’area mediterranea e dell’ex
blocco comunista ottengano percentuali più alte di irregolarità.
Lavoratori in nero
(% sul totale delle Forza di Lavoro, 2014)
25%
20%
10%
5%
24,6%
21,1%
17,0%
16,8%
16,7%
16,4%
16,2%
15,8%
14,7%
14,2%
13,0%
12,6%
12,5%
9,7%
9,5%
9,4%
9,3%
8,7%
8,2%
8,2%
8,0%
7,9%
7,8%
7,2%
6,7%
6,6%
6,5%
6,3%
6,2%
6,0%
5,9%
5,0%
4,9%
4,8%
4,0%
15%
OECD:9,7%
Messico
Corea
Turchia
Israele
Cile
Portogallo
Estonia
Lettonia
Polonia
Slovenia
Italia
Grecia
Ungheria
Rep Ceca
Belgio
Islanda
Spagna
Norvegia
Svezia
Germania
Lussemburgo
Danimarca
Finlandia
Slovacchia
Irlanda
Canada
Francia
Australia
Giappone
UK
Paesi Bassi
Austria
Nuova Zelanda
Svizzera
US
0%
Fonte: nostra elaborazione su dati OECD e Eurostat
Dei tredici paesi il cui tasso di lavoro nero nel 2014 risultava superiore
alla media dei paesi OECD (9,7%) sono tre quelli mediterranei (Italia
compresa) e cinque quelli appartenenti all’area ex-comunista. I tre paesi con
il più alto tasso di irregolarità sono, comunque, tutti extra-europei. È
interessante notare quanto sia ampia la differenza tra i primi e gli ultimi
paesi in classifica. Il tasso di lavoro nero varia infatti tra il 24,6% del Messico
al 4% degli Stati Uniti.
17
Per la tabella di confronto di tutti e 41 i paesi (OECD+UE28) vedi Appendice.
25
Altri indici di esclusione: l’Indice di Carico e i NEET
La Terza Società sembra in realtà fortemente legata alla penalizzazione
dei segmenti più deboli della società18. Per questo motivo è interessante
vedere quale sia il rapporto, nelle economie avanzate, tra le fasce più deboli
della società (più deboli dal punto di vista lavorativo) e quelle più forti.
Possiamo fare questo mettendo in relazione la popolazione di giovani tra
i 20 e i 34 anni non occupati (cioè disoccupati o inattivi) e di donne adulte tra
i 35 e 64 anni non occupate con quella degli occupati maschi tra i 20 e i 64
anni che rappresentano il segmento più forte dal punto di vista
occupazionale. Più i valori di questo rapporto sono alti, maggiore è la
penalizzazione dei segmenti più deboli.
Indice di carico dei segmenti deboli nei paesi OECD/UE (2014)
120%
110%
100%
90%
70%
60%
50%
40%
30%
114,4%
103,8%
90,4%
90,3%
88,6%
76,5%
72,9%
72,5%
71,2%
70,2%
69,0%
68,3%
68,0%
67,6%
67,4%
65,7%
64,9%
61,4%
60,7%
60,5%
58,6%
56,0%
55,9%
53,7%
52,4%
50,4%
49,8%
48,9%
48,3%
47,2%
45,1%
44,8%
44,8%
44,5%
42,6%
41,5%
40,3%
36,5%
35,8%
31,7%
27,6%
80%
UE28:61,5 %
OECD:60,4%
Grecia
Turchia
ITALIA
Croazia
Spagna
Messico
Cipro
Bulgaria
Slovacchia
Romania
Irlanda
Portogallo
Ungheria
Polonia
Cile
Belgio
Malta
Francia
Corea
Slovenia
Lettonia
Lituania
US
Lussemburgo
Israele
Rep Ceca
Estonia
Finlandia
Australia
Austria
Canada
Danimarca
Paesi Bassi
UK
Giappone
Nuova Zelanda
Germania
Svezia
Norvegia
Svizzera
Islanda
20%
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat
Il confronto dell’Italia con le economie avanzate è abbastanza allarmante.
Soltanto Turchia e Grecia, paesi con situazioni economico-politiche
disastrose, fanno peggio di noi. Nel nostro paese per cento “occupati forti” ci
sono ben 90 individui “deboli”. Siamo ben lontani sia dalla media OECD che
da quella europea, e la situazione è peggiorata nel tempo19.
18
19
Vedi Rapporto Fondazione Hume 1/2015 “Disuguaglianza Economica in Italia e nel Mondo”.
Per il confronto con tutti i 41 paesi considerati vedi Appendice.
26
La performance peggiore è quella della Spagna. Qui il peso degli individui
deboli rispetto agli occupati forti è aumentato di ben 26 punti percentuali tra
il 2008 e il 2014 e questo grazie una diminuzione degli occupati forti di quasi
il 20% e una contemporanea espansione della popolazione più debole del
14% (circa un milione di persone).
In Germania e nel Regno Unito invece, tra il 2008 e il 2014, l’indice di
carico è diminuito. In Germania questa diminuzione è dovuta all’aumento del
numero di occupati maschi tra i 20 e i 64 anni di circa 230mila unità e alla
contemporanea diminuzione di giovani e donne non occupati di 1milione e
400mila unità.
L’indice di carico dei segmenti deboli 2008 e 2014 in alcuni paesi OECD/UE28
+12,1
100
+25,9
2008
90
2014
80
+4,2
70
+3,4
+2,8
61,5
57,7 60,4
60
90,4
50
88,6
-1,5
-4,2
78,3
62,7
40
57,1
61,4
58,1
46,1 44,5
30
48,1
40,3
20
Italia
Spagna
Francia
UK
Germania
UE28
OECD
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat
Nel Regno Unito, invece, la diminuzione è dovuta più che altro all’aumento
degli uomini occupati (400mila occupati in più) e alla diminuzione delle
donne inattive (-378mila) che ha superato l’aumento in valore assoluto dei
giovani non occupati e delle donne disoccupate.
Dal 2008 al 2014 l’Italia ha aumentato il suo distacco dalla media dei paesi
OECD ed europei. Da una parte vi è stata una diminuzione del numero di
occupati uomini (-6%), dall’altra vi è stato un forte aumento dei disoccupati
nei segmenti deboli (+85%).
27
Oltre al rapporto tra segmenti deboli e forti della società, un altro
campanello di allarme esclusione è il mondo dei NEET, i giovani che sono
fuori dai circuiti di studio e lavoro (Not in Education, Employment or
Training). Per facilitare il confronto fra paesi, il numero di giovani tra i 15 e i
29 anni che non studiano e non lavorano è stato rapportato alla popolazione
di riferimento.
Percentuale di NEET tra i giovani dai 15 ai 29 anni (2014)20
30
25
10
5
OECD:15,2
UE28:14,8
25,7
24,1
22,4
22,2
20,9
20,1
19,4
18,8
18,5
18,0
17,2
16,8
15,1
15,0
14,7
14,6
14,4
13,8
13,8
13,4
13,2
12,9
12,7
12,6
12,5
12,4
12,3
11,8
11,8
11,4
9,8
8,7
8,5
7,7
7,6
7,4
7,2
7,0
6,7
5,3
15
31,6
20
Turchia
Italia
Grecia
Messico
Bulgaria
Romania
Croazia
Spagna
Cile
Cipro
Corea
Slovacchia
Irlanda
Ungheria
US
Francia
Polonia
Belgio
Israele
Lettonia
Canada
Portogallo
Nuova Zelanda
UK
Australia
Estonia
Finlandia
Slovenia
Rep Ceca
Lituania
Malta
Giappone
Austria
Germania
Danimarca
Lussemburgo
Svezia
Svizzera
Norvegia
Paesi Bassi
Islanda
0
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat
Come nel caso dell’indice di carico, le prime tre posizioni sono occupate
dalla Grecia, dalla Turchia e dall’Italia. Nel nostro paese un giovane su
quattro è fuori dal mondo dell’istruzione e del lavoro. All’opposto, in paesi
come l’Islanda, il rapporto è di uno ogni venti.
Anche in questo caso la situazione italiana non è migliorata negli ultimi
anni anche rispetto agli altri paesi.
Fra il 2008 e il 2014, la distanza che ci separa dalla media europea è
aumentata passando da 6 a 10 punti percentuali. Tra i cinque paesi
considerati soltanto in Germania la percentuale di giovani fuori dal mercato
del lavoro e dalla formazione sono diminuiti in rapporto al totale.
20
Poiché in questo caso i dati Eurostat e quelli OECD non sono perfettamente comparabili, sono stati evidenziati
con un colore più scuro i paesi i cui dati provengono da quest’ultimo database.
28
La percentuale di NEET sui giovani tra i 15 e i 29 anni nel 2008 e nel 2014
in alcuni paesi OECD/UE2821
30
+6,9
2008
2014
25
+5,4
20
+2,3
+1,6
+0,3
26,2
15
20,7
19,3
-2,3
15,3
10
12,6
14,2
15,4
13,4
13,1
13,1
11,0
8,7
5
ITALIA
Spagna
Francia
UK
Germania
UE28
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat
In conclusione sia prendendo la Terza Società nel suo insieme, sia
concentrandosi sul lavoro nero che sulle donne e sui giovani fuori dal
mercato del lavoro, l’Italia occupa sempre i posti peggiori nelle classifiche
internazionali. E questa società degli esclusi, fatta non solo dai disoccupati,
ma anche da tanti che restano fuori dalle statistiche ufficiali, è in cerca di
rappresentanza politica.
21
Per il confronto con tutti i paesi europei vedi Appendice. Purtroppo, non è stato possibile un confronto
temporale con i paesi OECD mancando la serie storica.
29
5. La Terza Società al voto in Italia
Per individuare gli orientamenti elettorali della Terza società è stata
commissionata un’indagine demoscopica ad hoc. Le interviste (1600) sono
state effettuate nella settimana precedente il Referendum del 4 dicembre.
Ed ecco i risultai principali, limitatamente ai membri della Terza Società.
Fatto 100 il numero di soggetti che appartengono alla Terza società e
manifestano un orientamento di voto quasi la metà (45.1%) è intenzionato a
votare Movimento Cinque Stelle (contro una percentuale generale del
33.7%).
Le altre forze politiche relativamente preferite dai membri della Terza
società sono la Lega e i partiti centristi (Ncd, Udc, Scelta civica e simili).
Le Forze che proprio non incontrano i consensi dei cittadini della Terza
società sono, forse non casualmente, i due partiti di sistema, ossia Pd e Forza
Italia, che raccolgono rispettivamente il 14.4% e il 7.4% dei consensi.
Sostanzialmente neutro, infine, il rapporto con Fratelli d’Italia e i partitini
dell’estrema sinistra, che fra i membri della Terza Società attirano un numero
di consensi né superiore né inferiore alla media.
Ma la Terza società non è un blocco omogeneo. Al suo interno coesistono
i tre segmenti dei disoccupati (alla ricerca attiva di un lavoro), degli
scoraggiati (disponibili a lavorare ma che hanno smesso di cercare un lavoro)
e dei lavoratori in nero.
Ebbene, se consideriamo separatamente questi tre segmenti il quadro si
fa più articolato. Restano particolarmente sgraditi il Pd (specie fra i
disoccupati) e Forza Italia (specie fra i lavoratori in nero), ma emergono
alcuni nessi nuovi. L’estrema sinistra e Fratelli d’Italia attirano i consensi dei
lavoratori in nero, la Lega e i centristi quelli dei disoccupati. Quanto agli
scoraggiati (persone disponibili al lavoro che hanno smesso di cercarne uno)
le loro preferenze di voto si indirizzano massicciamente verso il movimento
Cinque Stelle, che qui raccoglie addirittura il 52.7% dei consensi espressi.
E’ ragionevole pensare che la nascita e poi l’esplosione dei consensi al
Movimento Cinque Stelle sia dovuta a una molteplicità di cause. Tuttavia
colpisce un’associazione: il battesimo del movimento Cinque Stelle, ovvero il
V-day del 2007 (8 settembre 2007), coincide quasi millimetricamente con
l’inizio della lunga crisi del 2007-2014 (agosto 2007), e l’ascesa del
Movimento avviene in perfetto parallelo con l’espansione della Terza Società
in Italia, che nel 2014 raggiunge il suo apice storico.
30
Né può sfuggire un’altra coincidenza: la grande crisi di sistema del 19921994 esplode al termine di un periodo che, se è sostanzialmente corretta la
nostra ricostruzione a ritroso della storia della Terza Società, è anch’esso di
ascesa della Terza Società. Gli anni ’80, infatti, sono stati l’altro lungo periodo
in cui la Società italiana è stata attraversata da profondi processi di
emarginazione e marginalizzazione dei segmenti deboli della forza lavoro.
31
APPENDICI
(A) Costruzione degli indicatori della Prima e della Seconda Società
La Prima Società è composta dai dipendenti pubblici e dagli occupati
stabili nelle medie e grandi aziende (imprese con almeno 15 dipendenti).
Per individuare i dipendenti pubblici ci siamo basati sui dati forniti
dall’ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche
Amministrazioni) che mette a disposizione i dati relativi al personale stabile
occupato nella Pubblica Amministrazione fra il 2001 e il 2014. I dati meno
recenti, che vanno dal 1995 al 2000, sono stati ricostruiti mediante i dati di
Contabilità Nazionale (CN - Istat). La stima dei dati mancanti è stata quindi
ottenuta applicando al numero del personale stabile della PA la stessa
dinamica che ha caratterizzato (fra il 1995 e il 2001) i dipendenti regolari
impiegati nel settore dell’amministrazione pubblica e difesa, assicurazione
sociale obbligatoria, istruzione, sanità e assistenza sociale registrata dalla
CN.
Si è successivamente proceduto a quantificare il numero di dipendenti
impiegati nel settore privato. Il valore è stato ottenuto come differenza tra il
numero di dipendenti regolari presenti nelle stime di CN e gli occupati stabili
nella PA forniti dall’ARAN. Una volta ottenuto il numero dei dipendenti
impiegati nel settore privato, a questi sono stati sottratti i lavoratori con un
contratto di lavoro temporaneo, un segmento del mercato del lavoro meno
garantito e per questo “residente” nella Seconda Società. Per fare ciò ci si è
avvalsi dei dati provenienti dalle Indagine sulle Forze di Lavoro (RCFL)
condotte dall’Istat. I lavoratori precari sono stati stimati applicando al
numero di dipendenti impiegati nel settore privato precedentemente
calcolato la quota degli occupati a tempo determinato sul totale dei
dipendenti (pubblici e privati) forniti dall’Indagine RCFL.
Il numero di lavoratori stabili così ottenuto è stato ripartito in due gruppi:
occupati delle piccole imprese e occupati nelle medie e grandi imprese. Solo
quest’ultimo segmento rientra nella Prima Società. La ripartizione è
avvenuta utilizzando le informazione raccolte dall’Archivio Statistico delle
Imprese Attive (A.S.I.A.) dell’Istat e dal Censimento generale dell'industria e
dei servizi. Secondo queste indagini sono circa il 66% i dipendenti impiegati
in imprese di almeno 16 addetti.
32
La Seconda Società è costituita dai dipendenti delle piccole imprese, dagli
occupati temporanei delle grandi e dai lavoratori autonomi.
Per la stima dei dipendenti delle piccole imprese e degli occupati
temporanei si è proceduto nel modo precedentemente illustrato. Per
individuare il numero di lavoratori autonomi, invece, ci si è basati sui dati di
Contabilità Nazionale (Istat) che forniscono una stima degli occupati
indipendenti impiegati nel mercato del lavoro regolare.
(B) Costruzione degli indicatori della Terza Società in Italia
I “cittadini” della Terza Società sono i disoccupati, gli inattivi disponibili a
lavorare e i lavoratori in nero.
Il numero di disoccupati è stato determinato facendo riferimento ai dati
provenienti dall’Indagine sulle Forze di Lavoro (RCFL). Vengono definiti
disoccupati le persone non occupate che hanno effettuato almeno un’azione
di ricerca di lavoro “attiva” nelle quattro settimane che precedono l’intervista
e sono disponibili a lavorare entro le due settimane successive.
La rilevazione sulle Forze di Lavoro è stata la base per individuare anche
gli inattivi disponibili a lavorare. Rientrano in questa categoria le persone fra
i 15 e i 64 anni che a) cercano lavoro ma non hanno effettuato un’azione di
ricerca attiva nelle quattro settimane precedenti l’intervista e sono
disponibili a lavorare entro 2 settimane; b) non cercano lavoro ma si
dichiarano disponibili a lavorare entro 2 settimane. La serie storica fornita
dall’Istat è disponibile a partire dal 2004. I dati precedenti, che vanno dal
1995 al 2003, sono stati stimati mediante un modello di regressione lineare
avente come variabile dipendente la quota delle persone disponibili a
lavorare sul totale degli inattivi (15-64 anni) e come regressore l’indice di
carico dei segmenti deboli22. I dati utilizzati per stimare il modello
provengono dai microdati Istat raccolti dalle indagini RCFL. Per ampliare il
numero di dati oggetto di analisi, la matrice di lavoro è stata organizzata in
formato pooled, ovvero secondo una dimensione spazio (regioni)-temporale
(2008, 2010, 2013 e il 2015). L’equazione di regressione è stata impostata in
modo tale che i coefficienti del modello variassero nel tempo in base alla
segue formula:
22
Numero di giovani fra i 20-34 anni inoccupati (inattivi o disoccupati) e di donne 35-64enni inoccupate ogni 100
occupati maschi di 20-64 anni.
33
y=b1x+b0
𝑏 = 𝛽1 𝑑 + 𝛼1
{ 1
𝑏0 = 𝛽0 𝑑 + 𝛼0
dove
y=quota delle persone disponibili a lavorare sul totale degli inattivi (15-64
anni)
x=indice di carico dei segmenti deboli
t=anno-2008.
La stima dei parametri è avvenuta escludendo un outliers (Sardegna nel
2015). L’R-quadrato è pari a 0.933, l’R-quadrato corretto a 0.930.
Per la stima dei lavoratori in nero ci si è invece basati su quanto riportato
dai dati di Contabilità Nazionale compilati dall’Istat. Questo sistema dei conti
permette di suddividere gli occupati fra chi è impiegato in attività regolari e
chi invece svolge un’attività irregolare. Come detto, parte di quest’ultimi
potrebbero essere già inclusi fra i disoccupati e gli inattivi disponibili a
lavorare rilevati dalle indagini RCFL. Per evitare doppi conteggi gonfiando le
fila della Terza Società è stato necessario stimare il numero di lavoratori in
nero già inclusi nel calcolo degli outsiders e, parallelamente, il numero di
lavoratori i nero ancora esclusi perché classificati dalle rilevazione delle
Forze di Lavoro come occupati o inattivi non disponibili ad intraprendere un
lavoro (inattivi “puri”). Per questo sono state utilizzate più fonti.
Il numero di lavoratori irregolari considerati già inclusi fra gli occupati
(dalle indagini ufficiali) è stato ottenuto come differenza fra gli occupati
registrati dall’indagine RCFL e gli occupati regolari stimati dalla CN.
La restante parte dei lavoratori in nero è stata successivamente ripartita
fra disoccupati, inattivi disponibili e inattivi puri. La ripartizione è avvenuta
in modo inversamente proporzionale al logaritmo della numerosità di
ciascun segmento secondo la formula:
1
ln(π‘Ž)
1
π‘žπ‘ = π‘˜
ln(𝑏)
1
π‘žπ‘ = π‘˜
ln(𝑐)
{
π‘žπ‘Ž = π‘˜
34
dove
qa qb e qc sono le quote con cui ripartire i lavoratori in nero
a è il numero di disoccupati
b è il numero di inattivi disponibili
c è il numero di inattivi puri
𝑛
e k è uguale a π‘Ž
𝑏
𝑐
+
+
𝑙𝑛(π‘Ž) 𝑙𝑛(𝑏) 𝑙𝑛(𝑐)
Il peso della Terza Società è stato calcolato rapportando il numero degli
ousiders alle Forze di Lavoro allargate che corrispondono al totale della Terza
Società più il numero di occupati regolari stimati dalla CN (ovvero dagli
individui che fanno parte delle Forze di Lavoro comunemente intese
(occupati e disoccupati) più la parte di Terza Società non conteggiata tra gli
occupati e i disoccupati).
La Stima della Terza Società nel 2015 e 2016
L’insieme dei dati completi per calcolare il peso e la consistenza della
Terza Società in Italia è relativo al 2014. Mancano dunque alcuni ingredienti
necessari per avere una fotografia più recente del numero degli outsiders e
calcolare la platea degli esclusi nel 2015 e nel 2016.
Non disponiamo, ad esempio, dei dati relativi ai lavoratori irregolari. La
stima di questi dati mancanti è stata ottenuta applicando al numero ufficiale
di occupati irregolari forniti dalla Contabilità Nazionale la stessa dinamica
dei lavoratori irregolari stimata mediante un approccio alternativo. Per
quantificare il lavoro nero ci si è basati sulla percentuale di shadow economy
calcolata da Schneider (2016) per gli anni 2014, 2015 e 2016. Sono state
inizialmente stimate le ore di lavoro nero applicando i due terzi della
percentuale di economia sommersa (ovvero quelli che più verosimilmente
sono riconducibili al lavoro irregolare) al totale delle ore lavorate stimate
dalla CN. Le ore di lavoro irregolare sono poi state trasformate in lavoratori
in nero dividendo tale ammontare per il numero medio di ore lavorate da
ciascun occupato (fonte Istat).
La variazione percentuale (relativa al 2015 e 2016) delle stime così
ottenute è stata applicata alle stime ufficiali di lavoratori irregolari fornite
dall’Istat.
35
Il numero di disoccupati e inattivi disponibili nel 2016 sono stati invece
stimati applicando all’ultimo anno disponibile (2015) la variazione che i due
segmenti hanno registrato fra i primi tre trimestri del 2016 e i corrispondenti
trimestri dell’anno precedente.
La Stima della Terza Società fra il 1970 e il 1994
Per capire come possa essere cambiata la Terza Società di oggi rispetto ad
un più lontano passato (anni ’70) si è deciso di stimare il suo andamento fra
il 1970 e il 1994 sfruttando la forte relazione che esiste fra la Società degli
esclusi e l’indice di carico dei segmenti deboli (Fondazione Hume, 2015).
Il numero di persone "deboli" sul mercato del lavoro (giovani 20-34 anni
inoccupati e donne 35-64 anni inoccupate) ogni 100 occupati maschi di 2064 anni è stato utilizzato come regressore in un modello di regressione
lineare avente come variabile dipendente il peso della Terza Società sulle
Forze di Lavoro allargate. I dati su cui il modello è stato stimato sono stati
organizzati in time-series (1970-2014).
La stima dei parametri è avvenuta escludendo quattro outliers (anni 2003,
2012, 2013 e 2014). L’R-quadrato è pari a 0.978, l’R-quadrato corretto a
0.976.
(C) La stima della Terza Società nelle economie avanzate
Per stimare la Terza Società utilizzata nei confronti internazionali, non
avendo i dati riguardanti gli occupati irregolari, si è proceduto in maniera
differente.
Per prima cosa sono state stimate le ore di lavoro nero per ciascun paese,
applicando al monte ore di lavoro annuali (Contabilità Nazionale Eurostat e
OECD) la percentuale di economia sommersa stimata da Schneider (2015).
In realtà, sempre seguendo Schneider, sono stati applicati solo i 2/3 di questa
percentuale. Le ore di lavoro nero sono state poi trasformate in lavoratori
tenendo conto della media di ore lavorate per ciascun occupato. Il dato
ottenuto è stato poi corretto in modo tale che per l’Italia il valore fosse uguale
al numero di occupati irregolari stimati dalla Contabilità Nazionale dell’Istat
36
(per l’Italia si è trattato di dividere il monte ore totali Eurostat per 1.786
ore)23.
Ottenuti i lavoratori in nero si è potuto procedere alla stima della Terza
Società nei 28 paesi dell’Unione come già precedentemente spiegato per
l’Italia.
Peso Percentuale dei Lavoratori in nero sul totale degli occupati
2014-Paesi Eurostat e Oecd
25
20
10
5
UE28:12,7%
24,34
20,23
19,87
18,41
18,01
17,95
17,37
17,37
16,73
16,47
15,83
15,77
15,38
15,06
15,06
14,74
13,85
13,33
11,99
11,86
10,32
9,81
9,44
9,36
8,72
8,40
8,27
8,20
7,82
7,56
6,92
6,51
6,41
6,15
5,90
5,64
5,19
5,00
4,94
4,42
3,94
15
OECD:9,8%
Messico
Corea
Bulgaria
Turchia
Romania
Croazia
Estonia
Lituania
Cile
Cipro
Lettonia
Israele
Malta
Polonia
Slovenia
Grecia
Ungheria
ITALIA
Portogallo
Spagna
Belgio
Rep Ceca
Islanda
Slovacchia
Svezia
Norvegia
Finlandia
Danimarca
Germania
Iralanda
Francia
Canada
Australia
UK
Paesi Bassi
Giappone
Lussemburgo
Austria
Nuova Zelanda
Svizzera
US
0
Fonte: nostre elaborazioni su dati Oecd e Eurostat
23
Le ore lavorate in media da ciascun lavoratore sono state aumentate del 4% per i paesi Eurostat e del 3% per i
paesi OECD.
37
(D) Grafici e tabelle accessorie
Consistenza e peso della Terza Società nelle ripartizioni italiane (2008 e 2014)
Migliaia
Consistenza
5.000
4.500
50
4.000
4.559
2008
2014
3.678
3.500
3.000
45
15
1.123
1.101
738
1.631
1.500
1.720
20
1.181
38,3
30
2.000
0
2014
35
25
500
45,8
2008
40
2.500
1.000
Peso in % delle Forze di Lavoro allargate
10
26,6
21,2
15,0
18,7 19,3
13,0
5
0
Nord-ovest Nord-est
Centro Mezzogiorno
Nord-ovest Nord-est
Centro Mezzogiorno
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat-RCFL e Contabilità Nazionale
Variazione in punti percentuali dell’indice di carico 2008/2014 nei paesi
OECD/UE28
30
25
20
15
10
5
20,1
15,5
15,4
14,3
13,2
12,1
10,8
10,4
8,7
8,0
7,7
7,1
6,8
5,2
4,2
3,9
3,9
3,3
3,1
2,7
1,8
0,6
0,3
35
26,5
25,9
40
44,0
45
-10
-15
-0,1
-0,3
-1,4
-1,5
-3,1
-5,6
-5,7
-6,0
-6,4
-7,8
-8,2
-9,5
-16,2
-16,3
-17,0
0
-5
Grecia
Cipro
Spagna
Croazia
Portogallo
Bulgaria
Irlanda
Slovenia
ITALIA
Danimarca
Lettonia
Paesi Bassi
US
Finlandia
Slovacchia
Estonia
Norvegia
Francia
Australia
Belgio
Canada
Islanda
Svezia
Messico
N. Zelanda
Svizzera
Corea
Austria
Lituania
UK
Rep Ceca
Polonia
Israele
Giappone
Lussemburgo
Germania
Romania
Cile
Ungheria
Malta
Turchia
-20
Fonte: nostre elaborazioni su dati OECD e Eursotat
38
3,0
4
2
0
-2
-4
11,9
-2,7
-2,3
Lussemburgo
-0,2
0,3
UK
Malta
Svezia
0,3
Austria
Germania
0,5
0,4
Ungheria
1,0
1,6
1,4
Francia
Rep Ceca
Lituania
1,9
1,6
Irlanda
Lettonia
2,3
2,1
Belgio
2,4
Estonia
Danimarca
2,8
2,7
Polonia
2,9
Portogallo
2,9
Finlandia
Slovacchia
Paesi Bassi
Spagna
5,4
5,5
5,4
Bulgaria
6,7
Romania
Slovenia
6,9
ITALIA
8,6
6
Cipro
8
8,8
Grecia
10
Croazia
Variazione in punti percentuali del tasso di NEET tra il 2008 e il 2014
nei paesi UE28
12
Fonte: nostre elaborazioni su dati Eursotat
39
Riferimenti bibliografici
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40
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41
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