C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 Analisi e sintesi Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 Carlo Marchini Il tema è assai complesso e ha precedenti di carattere filosofico. Nel tempo le parole Analisi e Sintesi hanno cambiato notevolmente significato. Tale metodo (anche sotto altri nomi) viene raccomandato per la risoluzione di problemi. Ha quindi importanza nella applicazioni didattiche. E’ una matassa ingarbugliata che si presenta all' insegnante ed allo studente e spero di mostrarne la valenza sia epistemologica sia didattica. 1. Analisi e sintesi come parole e nella filosofia antica. Secondo un dizionario della lingua italiana, la parola analisi deriva dal greco in cui significa "scioglimento". In senso filosofico può significare la divisione di un tutto nelle sue parti, ai fini di studio o di indagine. Il termine contrapposto, sintesi in greco significa "composizione". E' l' operazione mentale o materiale con cui si riuniscono diversi elementi in un tutt' unico. Quest' ultima parola in mano a Hegel diventa non il contrapposto di analisi, ma uno dei corni della "trinità" del metodo filosofico con tesi e antitesi. Nello stesso dizionario si trova analisi come definizione di euristica come il metodo o l' arte di trovare da sé il vero, probabilmente non intendendo che metodo e arte siano sinonimi. Analisi e sintesi sono comunque intese, con varie sfumature come un esempio del principio di complementarità, nella problematica della costruzione o della conquista della conoscenza. Si può dire che il "padre" di questa dicotomia e del suo ruolo sia Cartesio, anche se di esse aveva già parlato Aristotele, intendendo però con analisi il procedimento di scomposizione del ragionamento in sillogismi, questi nelle figure ed infine dalle figure alle proposizioni (non per niente questi argomenti sono presentati nel testo detto Analitici Primi e Secondi). Di sintesi Aristotele fornisce due diverse interpretazioni: da un lato la costruzione di una proposizione nel nesso "soggetto" e "predicato", dall' altro l' atto intellettuale che realizza tale rapporto. Si tratta comunque, di interpretare analisi e sintesi come scomposizione e ricomposizione. 2. Analisi e sintesi nella filosofia moderna 1 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 Le proposte di Aristotele sono fatte proprie da Cartesio e riferite ai procedimenti conoscitivi: l' analisi mostra la dipendenza degli effetti dalle cause, la sintesi è una sorta di percorso inverso dell' analisi. Dunque la sintesi serve ad esporre quanto trovato nella fase euristica dall' analisi. Nella Logica di Port Royal, ispirandosi a Pascal, A. Arnauld (1612 - 1694) e P. Nicole (1625 1695) identificano il metodo sintetico coi procedimenti dimostrativi. Molto complessa è la posizione di Kant perché in varie sue opere si può dire che cambia più volte parere. In uno scritto precritico afferma che il metodo analitico caratterizza la Matematica, in quanto essa costruisce i suoi concetti mediante definizioni che collegano arbitrariamente concetti più semplici; il metodo sintetico è invece tipico della filosofia dato che essa cerca di cogliere per suddivisione i tratti caratteristici di un concetto già dato. Successivamente ritiene che il metodo analitico parta dal dato e ricerchi il fondamento della sua possibilità, il metodo sintetico, per contro proceda in senso opposto, dai principi alla possibilità di ciò che è dato. Questa dicotomia non è però quella presentata nella Critica della ragione pura, in cui si presentano i giudizi analitici e sintetici. I seguaci di Kant per analisi hanno inteso il metodo per chiarire il noto, non quello per incrementare la conoscenza, ciò che è riservato alla sintesi. All' opposto Frege ha proposto che sia l' analisi la base della conoscenza ed ha mostrato un sistema formale in cui sviluppare la sua idea, ricostruendo la Matematica. 3. Analisi e sintesi in didattica Nel testo Glaeser G.:1990, Analyse et synthèse, A.P.M.E.P. n. 76, si fornisce una interessante delucidazione dei significati ed una proposta di interpretazione che mi sembra accettabile. Limitandosi alla sola Matematica si trovano una ventina di interpretazioni diverse dei vocaboli indicati e talora in un medesimo testo sono presenti accezioni contrastanti. Una cosa è certa, tutti gli autori vedono in analisi e sintesi una contrapposizione, anche se poi le carte si mescolano e non sempre ne escono in modo chiaro. Boutroux afferma, citando Laplace, «… A parte ciò Laplace chiama "analisi" ciò che noi abbiamo chiamato "sintesi"…». Cartesio, il padre del problema, rispondendo ad alcune critiche rivolte al suo testo Méditations métaphisiques, in cui presentava il metodo di analisi e sintesi, affermava che «L'analisi fa vedere come gli effetti dipendono dalle cause… la sintesi esamina le cause mediante gli effetti… anche se la prova che essa (la sintesi) contiene sia spesso anche quella degli effetti mediante le cause». 2 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 Si può sicuramente affermare che ci volevano due nomi per distinguere due temi euristici, ma anche che sarebbe cosa saggia rinunciare ad usare parole che generano confusione. Forse non è neppure necessario fare uno sforzo di chiarire la dicotomia, anche se dal punto di vista della didattica è indispensabile mettere in luce che il processo di ricerca, di comprensione o di apprendimento ha bisogno di un vocabolo appropriato per essere descritto. L’esigenza di vocaboli appropriati per descrivere i processi di ricerca, di comprensione o di apprendimento è sostenuta da B.S. Bloom che ha elaborato una scala di livelli di comprensione, non esclusiva della Matematica. La tassonomia che da lui proposta suddivide, in prima approssimazione, sei livelli principali di comprensione, poi a loro volta suddivisi in sotto-livelli. Ad esempio nel quarto livello si trova la attitudine ad analizzare e al quinto la attitudine alla sintesi. Detti così tali livelli sono non precisi e richiedono chiarificazioni, almeno nell' ambito matematico. Un modo per chiarire è quello di mostrare esempi espliciti di esercizi che richiedono l’attitudine ad analizzare" o quella di fare delle sintesi. E'anche facile constatare da questi esempi che le attitudini sono profondamente diverse, passando dall' automatismo richiesto in esercizi standard, fino alla immaginazione creativa. Ma questi esempi mostrano che la tassonomia proposta non è di semplice applicazione e può non essere un caso se in diverse rielaborazioni della proposta di Bloom, scompaiono proprio questi riferimenti all' analisi ed alla sintesi. E'meglio concentrare l' attenzione a distinzioni che si rivelano efficaci nell' esame del contenuto di testi o esercizi, o nelle produzioni di studenti o ancora nel comportamento del ricercatore. 4. Analisi e sintesi nella Matematica Archimede in un testo su sfera e cilindro presenta un problema e afferma: «Ciò detto così semplicemente il problema ha diorisma; ma aggiunte le condizioni dei problemi qui posti, non si avrà diorisma. E il problema si porrà nel modo seguente: date due rette BD, BF, la BD essendo il doppio di BF e dato un punto H sulla BF, tagliare la DB nel punto W facendo in modo che q(BD) : q(DW) = WF : FH e per ciascuno di questi verranno date alla fine analisi e sintesi.» Non mantiene poi la promessa, dato che il testo ci è pervenuto incomplete. Un testo in cui è presente molta "analisi" è la Aritmetica di Diofanto (III sec. d.C.). Si può dire che tale testo, che ha avuto grande influenza anche in problemi del XX secolo, si possa considerare una raccolta di numerosi esercizi nel quale l' autore mette in rilievo i metodi analitici che permettono di risolverli. Uno degli studiosi e dei fondatori dell' algebra moderna è F. Viète (1540 - 1603), che intitola la sua opera maggiore col nome di Introduction en l'art analytique, in cui egli focalizza l' attenzione su 3 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 aspetti euristici. Quello che seguirà, l' algebra, diventerà un grande campo di conoscenza e che si presenterà in modo strutturato, perderà cioè l' aspetto di arte e diventerà una scienza. Il calcolo differenziale nella sua fase iniziale è stato un ambito in cui si sono manifestati "entusiasmi" per i nuovi strumenti che venivano predisposti e che permettevano una trattazione "uniforme" di problemi, su cui per altro si erano già cimentati matematici precedenti. I primi problemi affrontati dai fondatori di tale erano "classici": la quadratura della parabola, la cicloide, ma il nuovo metodo, per la sua duttilità e generalità, permetteva poi applicazioni del tutto inattese. I primi trattati si intitolavano Analisi degli infinitesimi, di questa dizione resterà solo il termine di Analisi. Si osservi che ancora oggi nelle nazioni di lingua inglese Calcolo e Analisi matematica, sono praticamente sinonimi e che nell' università italiana di un tempo, per la laurea in Matematica era presente anche un corso di Analisi algebrica, divenuto in seguito semplicemente Algebra. L' aggettivo analitico nel tempo è stato usato proprio per indicare i metodi di trattamento di problemi (e di sostanze). Nasce così nel 1788 la Mécanique analytique di Lagrange come la presentazione di un metodo per risolvere i problemi di dinamica applicando lo strumento del calcolo (Analisi matematica). Nello stesso modo si parla di Chimica analitica, come della disciplina in cui si studiano i metodi e le reazioni usate per la individuazione delle sostanze e degli elementi componenti di un preparato. L' introduzione delle coordinate cartesiane viene vista come un metodo per la risoluzione di problemi geometrici. In effetti l' opera di Cartesio, la Géométrie del 1637, presenta sì un abbozzo del metodo delle coordinate, ma sarà solo con Eulero nel 1748 che le coordinate assumeranno l' aspetto con cui sono conosciute ed utilizzate oggi e soprattutto diverranno mediante l' Analisi matematica, lo strumento per la risoluzione, non solo dei problemi geometrici, ma anche per altri tipi di problema. Anzi F. Lacroix (1765 - 1843) nel 1798 vede nell' applicazione dell' algebra alla geometria il mezzo per ripetere per la Geometria quanto fatto da Lagrange per la meccanica, e propone la denominazione, oggi molto diffusa, di Geometria analitica. In altre scienze il nome analisi è stato attribuito a molte considerazioni, per lo più svolte quando la scienza stessa stava muovendo i primi passi. Anche se all' epoca non erano stati ottenuti molti risultati, con il termine analisi, si metteva l' accento sui metodi proposti che sembravano promettenti e di cui non restava che provarne la fecondità. Quando poi ogni scienza ha accumulato risultati interessanti, gli studiosi si ingegnano a presentare l' architettura del campo conoscitivo, trascurando i problemi euristici e quindi nei trattati si vede prevalere un approccio sintetico. Ciò non ostante, per una sorta d' inerzia, le scienze continuano a mantenere l' aggettivo analitico, anche quando le ragioni di tale attributo non sussistono più, e ciò può contribuire oggi a rendere poco chiaro il significato della parola. 4 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 A esempio Bourbaki parla di strutture fondamentali dell' analisi, anche se l' impostazione e lo scopo degli Eléments de Mathématique è sicuramente quello di offrire una sintesi dell' intera Matematica. Si perde così il contatto con la problematica iniziale: oggi lo studio di funzione si vede come un capitolo dell' Analisi matematica, i cui procedimenti sono diversi, se non addirittura in contrasto, con quelli utilizzati in Analisi funzionale. Si parla anche di Analisi combinatoria, indeterminata, diofantea, ecc., ma individuare oggi il perché di tali dizioni può risultare non banale. 5. Filosofia analitica. Storicamente è stata assai importante la Analytical Society, una sorta di cenacolo culturale attivo a Cambridge ispirato da R. Woodhouse (1774 - 1827) e i cui membri di maggior rilievo sono stati C. Babbage (1792 - 1871), G. Peacock (1791 - 1858) e J.W. Herschel (1792 - 1871); ad essi si deve un ripensamento dell' algebra in termini astratti, preparando di fatto la nascita dell' algebra moderna (e la costruzione di macchine calcolatrici). Lo scopo della Analytical Society era quello di introdurre in Inghilterra il simbolismo ed il calcolo leibniziano nell' analisi, dato che la lunga polemica sulla priorità della scoperta del calcolo differenziale tra Leibniz e Newton aveva portato all' isolamento inglese dal resto dell' Europa. Nelle università di Cambridge e Oxford le proprietà differenziali delle curve e superficie fino al 1820 circa venivano ancora provate inquadrando i problemi in un ambito euclideo. Il termine analitico è rimasto quasi esclusivamente a denotare proposte culturali provenienti dall' Inghilterra. Si parla di Filosofia Analitica intendendo un' indagine di tipo scientifico. Si è giunti in tempi recenti (1997) a vedere una contrapposizione tra i cosiddetti analitici e i continentali, sottintendendo filosofi. 6. Analisi come calcolo. I matematici hanno spesso cercato, se non addirittura sognato, un sistema di notazione che grazie alle sue prerogative algoritmiche sarebbe stato lo strumento utile per risolvere tutti i problemi, purché utilizzato seguendone rigorosamente le regole esplicitate. Un primo tentativo lo si può fare risalire a Lullo; più recentemente Leibniz proponeva una lingua characteristica universalis, ma anche precedentemente Cartesio proponeva un metodo che avrebbe dovuto essere strumento di decisione. Così poco a poco i termini analisi e analitico vengono ad essere identificati con metodi basati sul calcolo. E'questo il principio che ispira Lagrange prima e Lacroix dopo nel determinare il nome dei loro trattati. Anzi in un rapporto presentato dai due all' Institut de France si diceva: «Le parole analisi, analitico presentano spesso dei controsensi allorché le si adoperano per designare in modo generale tutti i procedimenti di calcolo o di dimostrazione ottenuti con l' aiuto dei segni algebrici, invece che di essere ottenuti mediante la considerazione immediata di linee e figure.» 5 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 L' impiego dei metodi di calcolo ha talora portato ad ottenere con procedimenti algoritmici, risultati di difficile comprensione nelle loro ragioni profonde. Per questo, per reagire all' abuso in geometria del metodo delle coordinate si è elaborata (o forse solo riesumata) una geometria sintetica, che ragiona direttamente sulle figure. Così all' origine le intenzioni euristiche erano predominanti, ma la scelta dell' appellativo sintetico è stata motivata dall' opposizione al calcolo. Assimilare l' analisi al calcolo porta poi a terminologie infelici, ad esempio sono dette funzioni analitiche quelle … che si possono calcolare più facilmente, una sorta di polinomio generalizzato. 7. Analisi come euristica. Nella Logique de Port-Royal, del 1662, Arnauld e Nicole scrivono: «Così ci sono due tipi di metodo: uno per scoprire la verità, che viene detto analisi o metodo di risoluzione e che si potrebbe anche chiamare metodo d'invenzione; l' altro per fare comprendere agli altri ciò che si è trovato e che si chiama sintesi o metodo di composizione e che si può anche chiamare metodo della dottrina». In ciò è già presente una accezione leggermente diversa. Si può vedere nella parola risoluzione un accenno ad una concatenazione logica degli argomenti. Cartesio difende le sue posizioni affermando «Gli antichi geometri avevano l'abitudine di servirsi nei loro scritti solo della sintesi, non che essi ignorassero completamente l' analisi, ma perché ne facevano tanto uso che ritenevano giusto riservarla a loro come un segreto di grande importanza». Per G. Lamé (1795 - 1870), analizzare un problema è indovinare un metodo di soluzione, senza porsi il problema del rigore. La sintesi rappresenta l' esposizione rigorosa. In questa accezione l' analisi si oppone alla deduzione logica. Sono quindi presenti interpretazioni della parola analisi contraddittorie dato che si vede in essa un legame con l' euristica, con l' invenzione immaginativa ed essa esige intuizione, fantasia, talento, ecc. Ma essa evoca anche il calcolo, che dovrebbe portare con sicurezza alla soluzione purché condotto con cura e perseveranza, quindi, la stessa parola, dovrebbe designare due aspetti opposti: l' euristica e l’algoritmo. 8. Analisi della situazione: esame e traduzione Col termine di analisi della situazione, almeno in Matematica, si può intendere la complessa attività di localizzare nel problema o nella situazione le nozioni essenziali, nel cercare di individuare nelle conoscenze già possedute ciò che può avere rilevanza e ciò che invece bisognerebbe saper o trovare, con una sorta di anticipazione del risultato che permette anche di individuare quali sono le informazioni supplementari che bisogna ricercare e raccogliere. Così davanti al compito di risolvere 6 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 un problema, in questa analisi della situazione si situa la fase di comprensione dell' enunciato, fase che può Richiedere una competenza linguistica che permetta di riformulare il problema in termini più semplici. In questo senso H. Taine (1828 - 1893) afferma che «Analizzare è tradurre». Questa però è solo la prima fase indispensabile per giungere alla comprensione del problema, comprensione che può dirsi conclusa solo dopo che il problema è stato completamente risolto e rianalizzato da un punto di vista di acquisizione metacognitiva. Anche se i termini linguistici del problema sono tutti chiari a chi deve risolverlo non è detto che egli riesca a comprendere (e risolvere) il problema, anche perché non ha attivato la ricognizione degli aspetti che sono non esplicitati o richiedono una ulteriore elaborazione. E'quindi necessario determinare un linguaggio appropriato, che non è detto sia quello in cui è formulato il problema e, secondo quanto proposto da Pascal, in esso «sostituire mentalmente le definizioni al posto degli enti definiti». Nei più consueti problemi scolastici ciò porta alla cosiddetta messa in equazione. Prima di ciò però risulta indispensabile determinare il nome degli enti che assumono ruolo nel problema stesso. E' questa la fase di nominalizzazione. Vediamo alcune fasi e strumenti dell' analisi della situazione a) Scelta della traduzione. Anche se si accetta quanto proposto da Taine, la determinazione della traduzione non è semplice. Se ad esempio uno dei termini importanti è parallelogramma, si tratta di decidere se serve considerarlo come quadrilatero con i lati a due a due paralleli, oppure quadrilatero in cui le diagonali si bisecano o quadrilatero avente un centro di simmetria, e così via. Ma la traduzione stessa non è possibile se prima non si sceglie uno o più linguaggi. Se ad esempio sia più opportuno il linguaggio della geometria euclidea o di quella cartesiana o il linguaggio vettoriale. E in aggiunta a questi se serve considerare anche il linguaggio algebrico. b) Messa in equazione. Dice G. Polya (1887 - 1985) nel 1957: «Mettere in equazione è esprimere mediante l'aiuto dei simboli matematici una condizione espressa a parole, è tradurre il linguaggio matematico in formule matematiche… Nei casi semplici, l' enunciato verbale si divide quasi automaticamente in diverse parti, di cui ciascuna può esser immediatamente trascritta in simboli matematici.» I bravi solutori mostrano un virtuosismo euristico che può forse essere appreso con un addestramento a scegliere bene le incognite, gli assi e le coordinate e, più generalmente un sistema di notazioni adatte. Anzi tali solutori sono quelli che sanno anche coordinare i registri di rappresentazione richiesti dal problema dato che la corrispondenza tra significato e significante in generale non è biettiva e in un problema ci sono quasi sempre momenti decisionali che sono lasciati al solutore, altrimenti non si tratta di problemi, ma solo di esercizi esecutivi. 7 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 c) Traduzione iconica. In un problema di geometria è una tappa quasi obbligata: c' è un testo espresso a parole che fa riferimento a una figura. Di essa sono illustrati nel testo solo alcuni degli aspetti importanti per la risoluzione del problema, altri sono dati per scontati. Il solutore leggendo il testo e facendolo interagire con le sue immagini mentali (figurali) traduce, o meglio inizia a tradurre, il problema in una figura. Questa fase però non è solo in ambito geometrico, dato che il linguaggio iconico delle rappresentazioni trova ampio spazio anche in altri campi. Dice C. Berge in Théorie des graphes et ses applications (1967): «Davanti un gran numero di situazioni, una vecchia abitudine spinge l'uomo a tracciare sulla carta dei punti, rappresentanti individui, località, corpi chimici, ecc., congiunti da linee o frecce che simbolizzano certe relazioni. Questi schemi si incontrano dappertutto sotto nomi diversi: sociogrammi (psicologia), simplessi (topologia) circuiti elettrici (fisica), diagrammi di organizzazione (economia) reti di comunicazione, alberi genealogici, ecc.». A queste considerazioni si possono aggiungere gli alberi di Porfirio, usati in filosofia i dendrogrammi (biologia), i diagrammi ad albero usati in informatica e nel calcolo combinatorio e altre forme di rappresentazioni, ad esempio i diagrammi di Eulero-Venn, nati in ambito filosofico ed oggi usati in contesto matematico. Anche considerazioni tipiche dell' Analisi matematica possono essere facilitate da una figura che rappresenti il grafico di una funzione o particolari curve. Ora di fronte ad un problema che richieda una rappresentazione, viene consigliato di disegnare una figura esatta e chiara. Questa richiesta pare in contrasto con un postulato nascosto, cioè che anche una figura sbagliata può essere valido aiuto alla comprensione. Famosa la frase attribuita a O. Chisini: «La geometria è l'arte di fare dimostrazioni corrette su figure sbagliate», anzi talvolta la figura "esatta" può essere un ostacolo perché l' evidenza può nascondere il problema. Si pensi alle difficoltà che hanno gli studenti a comprendere la necessità di dimostrare che in un triangolo isoscele gli angoli (i lati) sono eguali, data l' evidenza della cosa. In altri casi la figura esatta e chiara può davvero essere un ausilio euristico potente. d) Ipotesi e tesi. In queste attività deve essere chiara la differenza tra le ipotesi e la tesi. Purtroppo questa confusione si ritrova in molti studenti ed anche in libri di testo. Se non c' è la chiarezza tra ciò che è dato, seppure in via ipotetica, e ciò che si deve concludere, non c' è processo di analisi che possa aiutare la comprensione. 9. Analisi come scomposizione. Dice E. Bonnot de Condillac (1715 - 1780): «L'analisi e la sintesi consistono nello smontare e rimontare una macchina per conoscerne tutti gli ingranaggi.» 8 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 L' idea dell' analisi come la scomposizione di un tutto nelle sue parti, che si può ritrovare anche in dizionari, mostra una accezione del vocabolo analisi che dipende dal significato di parti: se la scomposizione porti ad oggetti che intervengono nel problema o alle relazioni che legano tali oggetti oppure se le parti si debbano intendere come l' insieme delle questioni che vengono poste. a) I costituenti semplici. Alcuni psicologi e antropologi affermano che i bambini e i primitivi hanno una visione sincretica della complessità. La tradizione filosofica dal XIV secolo in poi ha privilegiato il pensiero analitico che è visto come lo strumento con cui si giunge a separare l' essenziale dal trascurabile. Oggi nel mondo culturale si preferisce un approccio olistico, proposto da A. Maslow (1900 - 1970), cioè il fatto che l' organismo biologico, psichico ed anche ambientale debba essere studiato in quanto totalità organizzata ed inscindibile, di fatto introducendo nello studio della complessità il termine olismo in contrapposizione all' analisi. Il pensiero analitico sceglie gli aspetti significativi e inventa elementi esplicativi che sfuggono la percezione. Perrin lo descrive in questi termini: «Scoprire l'esistenza o le proprietà degli oggetti che sono ancora aldilà della nostra conoscenza, e spiegare il visibile complicato mediante l' invisibile semplice.» Si segue allora questa "pista" fino alla scoperta di elementi sufficientemente primordiali da permettere che il "tutto" possa essere interamente ricostruito a partire da essi (la sintesi). Un esempio, artificialmente complicato può servire per mettere in evidenza questo tipo procedimento di scomposizione: Piero dice a Gianni: "Sono il fratello di tuo suocero, il padre di tuo cognato, il cognato di tuo padre, il suocero di tuo fratello". Come è composta questa strana famiglia? In questo caso c' è bisogno di esplicitare il significato di parole quali suocero, genero (non indicato) cognato, padre, figlio fratello; nel testo non si parla esplicitamente di matrimonio e di donne (mogli o sorelle) e quindi dei due sessi, indispensabili per chiarire i rapporti. Questa è un’analisi come individuazione dei costituenti semplici. Il grafo seguente dà la soluzione del problema. 9 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 b) Traduzioni successive. Stavolta comincio con un problema: Determinare il luogo dei punti dei centri dei rettangoli inscritti in un triangolo in modo che due vertici dei rettangoli considerati siano appartenenti allo stesso lato e gli altri due, rispettivamente, sugli altri due lati. Dato il problema, il primo passo è quello di tradurlo in un disegno in cui si mette in evidenza il rettangolo e il suo centro visto come punto d' incontro delle diagonali. Questa "traduzione" si rivela ben presto inefficace. Si può andare in cerca di un' altra traduzione, che di per sé mostra una gestione perspicace del problema che non è frutto di routine, ma di una intuizione immaginativa. La traduzione utile è quella che vede il centro del rettangolo non come il punto di incontro delle diagonali, bensì come il punto medio di una mediana del rettangolo. Per provare però che questa è una strada giusta, è indispensabile anticipare una scomposizione del problema in sottoproblemi. Il primo è osservare che per iscrivere un rettangolo nel triangolo, così come richiesto, basta considerare un generico punto M del lato AB e condurre da esso la parallela al lato BC. Tale parallela interseca il lato AC in un punto N. Conducendo poi per M e N le perpendicolari al segmento MN si determinano i punti M’ e N’ che sono i vertici di un rettangolo come quello voluto, questo però se gli angoli in B e in C sono acuti, altrimenti il punto M’ oppure il punto N’ possono non appartenere al lato BC del triangolo, ma ad un suo prolungamento. Se uno degli angoli in B o in C è ottuso, il testo non viene rispettato, ma la costruzione che poi si propone risolve egualmente il problema. Al variare di M sul lato AB varia il rettangolo. 10 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 Ma il triangolo AMN resta comunque un triangolo simile a ABC. Si colgono così due casi "estremi": quando M coincide con A e quando M coincide con B in cui il rettangolo richiesto "degenera" in "segmenti". Un secondo sottoproblema nasce focalizzando l' attenzione sul triangolo AMN. Si tratta di un triangolo simile al triangolo ABC e il punto medio S del lato MN è anche il punto medio del lato del rettangolo inscritto. Il secondo sottoproblema diviene quello di determinare il luogo dei punti medi dei triangoli AMN simili al triangolo ABC. Si tratta di una costruzione ben nota: è la mediana AH relativa al lato BC. Con questa ulteriore traduzione, perdono d' importanza i punti M’ e N’, per cui la si può riproporre anche se tali punti non cadono sul lato BC ma su un suo prolungamento. Nella precedente figura è messo in luce il centro del rettangolo R come punto medio della mediana del rettangolo SS’. Un' ulteriore traduzione che porta alla soluzione definitiva consiste nel trascurare molti dati del problema. Non hanno più alcun interesse i vertici B e C del triangolo, ma viene messo in evidenza uno dei casi degeneri, quello in cui il punto M coincide col punto A e il punto M’ con K e il rettangolo con l' altezza AK relativo al lato BC. Considerando ora il triangolo AKH, il triangolo HS’S è ad esso simile e il punto R è il punto medio del lato S’S del triangolo "piccolo". Dato che al variare di M su AC il punto S varia su SH, il punto medio R di S’S, il centro del rettangolo di partenza, varia sulla mediana HP relativa al lato AP, cioè la congiungente del punto medio H del lato BC e del punto medio P dell' altezza AK relativa al lato BC. Se si cercasse la risoluzione di questo problema, utilizzando la Geometria analitica, la complessità sarebbe molto più elevata. Un aspetto distingue i due problemi assegnati: nel primo i costituenti semplici sono abbastanza "immediati", almeno per un solutore che conosce la lingua in cui il problema è formulato. Purtroppo in una società multietnica come l' attuale, questa "presunzione" non può essere data per scontata, sicché per spiegare i termini linguistici usati, si è costretti ad esplicitare proprio i costituenti semplici. Nel secondo esempio forse è indispensabile solo spiegare cosa significa che un rettangolo è iscritto in un triangolo e che si considerano tutti i rettangoli relativi alla "base" del triangolo. L' idea di passare alla ricerca del luogo geometrico dei punti medi di un lato del rettangolo, richiede un livello che non è quello di costituente semplice del problema, ma un vero e proprio sottoproblema. Quindi 11 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 si tratta di un' attività creativa ed è proprio quello della creatività un aspetto di non facile insegnamento e apprendimento, anzi si può ritenere che sviluppare la creatività sia più il risultato di un apprendistato, sotto la guida di un mastro e non di un apprendimento sotto la guida di un maestro. Non credo che nella bottega di un pittore o di uno scultore si accettasse un qualsiasi apprendista, così come non credo che nelle squadre "primavera" dei club sportivi più accreditati, l' accesso sia aperto a qualsiasi ragazzo, ma siano indispensabili doti specifiche. La scuola però ha una funzione sociale diversa, questo però non vuol dire che l' ingegnosità si possa apprendere. Tornando al secondo esempio, è difficile riconoscere quali sono i costituenti semplici in quanto si possono determinare soltanto portando la scomposizione del problema a diversi livelli. Una cosa analoga succede nella lingua: ci si può arrestare nella scomposizione alle lettere, alle sillabe, ai fonemi, alle parole, ai periodi. I livelli in cui ci si ferma vengono comunque individuati con la parola analisi, opportunamente aggettivata. In Matematica bisogna decidere cosa si considera un elemento semplice. Così un numero complesso si può individuare con una sola lettera z se lo si vede come elemento primitivo, oppure x + iy se lo si interpreta come una coppia di numeri reali; lo stesso per i vettori che possono essere intesi come un unico ente oppure visti nelle loro componenti. Gli esempi possono essere molteplici. Dopo l' esame dei costituenti semplici, distinti o no in elementi noti o incogniti, l' analisi spinge alla ricerca delle relazioni semplici che intervengono tra gli elementi. Questo si vede bene nell' esempio della famiglia. Le relazioni possono assumere il ruolo di vincoli e tali vincoli possono essere formulati in modo statico o dinamico. Di solito questo secondo modo mette in luce trasformazioni che permettono di passare da un elemento all' altro, come avviene nell' esempio geometrico in cui si prefigura una variazione continua tra due casi limite. Quando l' oggetto dello studio è una teoria matematica, i costituenti semplici sono le definizioni e gli assiomi a partire dai quali si possa "costruire" tutto l' edificio. La scomposizione di una teoria mirerà a distruggere l' ordine lineare dell' esposizione per fare apparire i legami trasversali tra i diversi teoremi. Ciò porta ad attribuire importanza ad alcuni di questi enunciati, distinguendo tra essi quelli che possono essere ritenuti lemmi, teoremi o corollari. c) Evidenziazione delle strutture sottogiacenti. Resta, e non è facile, il problema della natura e del reperimento di questi costituenti semplici. Spesso sono gli elementi che intervengono nella struttura del problema stesso. Ma cos' è una struttura? In modo ingenuo si giunge all' astrazione (in senso aristotelico) ottenuta partendo dalla natura concreta degli oggetti che intervengono in una situazione e ponendo attenzione solo a certe relazioni che legano questi oggetti. Può essere importante 12 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 conoscere a priori la struttura di un problema; si saprà allora quali sono gli strumenti più appropriati per trattarlo. Bouligand in Premières leçons sur la théorie générale des groupes, Vuibert, Paris, 1935, attira l' attenzione sulle dimostrazioni causali scrivendo «Molti teoremi sono suscettibili di dimostrazioni differenti. Le più educative sono naturalmente quelle che fanno comprendere le ragioni profonde dei risultati che si propone di stabilire. In analogo argomento la nozione di dominio di causalità fornisce una guida. La dimostrazione naturale di una proposizione deve comprendere tutti i casi in cui essa sia vera. E inversamente, considerando sistematicamente tutti questi casi, si verrà condotti a liberare il teorema da ogni supposizione accessoria; ci si troverà allora, di colpo, nelle condizioni migliori per effettuare il ragionamento.» Bouligand cita la seguente dimostrazione del teorema di Pitagora, o meglio di una sua generalizzazione, secondo cui se invece di un quadrato si considera una diversa figura, ad esempio una semicirconferenza o un pentagono regolare, si ha che in ogni triangolo rettangolo, l' area della figura costruita sull' ipotenusa è equivalente alla somma delle aree (dello stesso tipo) costruite sui cateti. In realtà qui si sfrutta il fatto che i pentagoni regolari (come le semicirconferenze) sono tutti simili. Lo stesso avviene per i quadrati. Il teorema di Pitagora si può quindi esprimere dicendo che per ogni triangolo equilatero l' area di una figura "costruita" sull' ipotenusa è equivalente alla somma delle aree delle figure simili costruite sui cateti, dato che le aree in considerazione hanno misura proporzionale al quadrato del lato, con la stessa costante di proporzionalità. Ciò avviene in particolare se si considera come figura proprio un triangolo rettangolo. In questo caso la figura seguente offre la dimostrazione del teorema di Pitagora (diretto e inverso ed anche dei due Teoremi di Euclide) nel caso particolare ottenuto dalla forma generalizzata. La ricerca della struttura, almeno nel caso della Geometria, è strettamente associata alla classificazione delle Geometrie proposta da Klein nel 1872 nel cosiddetto Programma di Erlangen. Infatti dall' analisi del problema può risultare evidente a priori di quali tipi di argomenti ci si può servire e di quali si deve fare a meno: per esempio un teorema è topologico se è invariante per omeomorfismi; un teorema è metrico (risp. affine, proiettivo, …), se è invariante per isometrie (risp. trasformazioni affini, proiettive, …) Quindi non si cercherà di dimostrare un teorema proiettivo mediante il teorema di Pitagora, perché in una trasformazione proiettiva non si "conserva" il fatto di essere un triangolo rettangolo. Un esame molto semplice permette, nella maggior parte dei casi, di trovare rapidamente la struttura sottogiacente al problema. Basta passare in rassegna le parole chiave dell' enunciato e di riconoscere se appartengono al vocabolario della struttura congetturata. per esempio le parole: "connesso", "chiuso", "aperto", "continuo", "deformazione", ecc. rivelano il linguaggio topologico. 13 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 Dice G. Choquet: «Il matematico moderno riconosce abbastanza facilmente in un problema quali siano le strutture in gioco; egli ha ben presto a sua disposizione un arsenale di risultati conosciuti concernenti queste strutture e non ha bisogno di cercare di risolvere il problema facendo ricorso a strutture estranee al problema.» Certamente questo può esser vero per un matematico, anche se la produzione scientifica nel campo è sicuramente molto vasta e non è detto sia tutta padroneggiabile da parte di una persona sola (più di 30.000 teoremi nuovi all’anno, secondo Ulam). Sicuramente per uno studente le cose non stanno in questo modo, anche perché uno scopo dei problemi che gli vengono presentati è proprio quello di giustificare il ruolo e l' importanza delle strutture che gli potrebbero offrire "piste" per la risoluzione. d) Smontaggio. La scomposizione non tratta unicamente gli elementi semplici o ultimi. Si può anche smontare un meccanismo fino all' apparizione delle parti semplici aventi una significato globale sufficiente per spiegare il tutto. E come effettuare lo smontaggio ha un suo valore intrinseco. Ma è possibile effettuare lo smontaggio in vari modi. Capita spesso che in Matematica una situazione complicata si risolva grazie ad un opportuno smontaggio. Per esempio per studiare un gruppo finito avente una ventina di elementi, c' è spesso interesse a cercare i suoi sottogruppi distinti. Ciascuno d' essi poi può venire studiato separatamente. Certi smontaggi sono d' uso corrente: la scomposizione di un numero naturale in fattori primi (Teorema fondamentale dell'Aritmetica), una funzione razionale (quoziente di due polinomi) come somma di elementi più semplici (tecnica usata nell'integrazione delle funzioni razionali), una permutazione in cicli. Ad esempio è noto che i polinomi a coefficienti reali irriducibili su sono solo quelli di primo e secondo grado. Più complessa è la situazione per i polinomi a coefficienti in irriducibili in riducibile in . Gli unici polinomi sono quelli di primo grado. Ad esempio il polinomio x4 + 1 è irriducibile in ,è , ed è facile ottenere la scomposizione x4 + 1 = (x2 + x 2+ 1)(x2 - x 2+ 1), mentre in si ha la scomposizione in quattro fattori di primo grado. Lo smontaggio talvolta consiste nel mettere in luce situazioni parziali che però servono per chiarire una situazione che altrimenti può risultare complicata e non chiara. Ad esempio: determinare lo spigolo di un cubo che si possa iscrivere in una semisfera di raggio r. Qui il problema è anche quello di fare un disegno accettabile per comprendere come possa essere disposto il cubo cercato. Una faccia di esso giace sul cerchio massimo della semisfera. Sia 14 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 ABCDA’B’C’D’ il cubo. Se i vertici A’, B’, C’ e D’ sono sul cerchio massimo, i rimanenti punti sono situati sulla superficie della semisfera. In questo caso, come in molti problemi di geometria solida, lo smontaggio consiste nel ricondurre il problema a figure piane. Una prima idea può essere quella di considerare un piano passante per i punti medi di spigoli opposti. In questo modo però si ottiene una figura piana che può fornire poco aiuto perché i punti medi dei lati considerati non sono punti della semicirconferenza. Se invece si considera un piano passante per coppie di spigoli opposti nel cubo, ad esempio A, A’, C e C’, si ottiene facilmente la soluzione, poiché il problema diviene quello di iscrivere il rettangolo di vertici A, A’, C e C’ in una semicirconferenza, essendo A e C punti della semicirconferenza, e sapendo che il rapporto tra due lati diversi è 2. Si trova così che lo spigolo s del cubo è dato da s = r 6. e) Smontaggio di un insieme di relazioni. Se si interpretano le relazioni come vincoli intercorrenti tra i costituenti semplici del problema, bisogna analizzare accuratamente cosa questi vincoli comportano. In certi casi della risoluzione di problemi mediante costruzioni geometriche, si può applicare quello che Polya chiama Modello dei due luoghi geometrici. Si tratta di costruire un punto che deve soddisfare due relazioni R1 e R2. Invece di gestire contemporaneamente queste due richieste, si studia ciò che si ottiene considerando ciascuna delle relazioni separatamente. Nel caso che si ottengano così due luoghi di punti, le soluzioni cercate sono quelle comuni, cioè l' intersezione dei luoghi. Un esempio algebrico, anche per mettere in luce come questo tema della scomposizione di relazioni possa intervenire in algebra. Si chiede di trovare una relazione tra i coefficienti a,b,c e a’, b’,c’ in modo che i polinomi ax2 + bx + c e a’x2 + b’x + c’ abbiano una radice comune, evitando i casi banali: coefficienti proporzionali e c = c’ = 0. Un problema del genere è stato molto importante e dietro, volendo, c' è tutta le teoria dei risultanti, che però non è il caso di trattare in classe. Questo problema si risolve semplicemente. La prima idea è quella di considerare un sistema algebrico: ax 2 + bx + c = 0 a'x 2 + b'x + c'= 0 Però questo approccio non è utile per risolvere il problema posto: non interessa conoscere le radici dei polinomi, che eventualmente vengono date da questo sistema, serve determinare una relazione tra i coefficienti in modo che i due polinomi abbiano almeno una radice comune, radice di cui non interessa il valore. 15 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 Un secondo approccio è quello di imporre che le soluzioni delle equazioni siano eguali, ma si vede subito che dovendo trattare quattro casi diversi, forse è meglio cercare altre strade più semplici. Si noti inoltre che con questo approccio è indispensabile che a, a’ 0. Basta un minimo cambio di punto di vista e il problema si riesce a risolvere in termini semplici: le soluzioni di ax2 + bx + c = 0, sono anche le ascisse dei punti comuni alla retta di equazione cartesiana ay + bx + c = 0 e della parabola di equazione y = x2. Procedendo su questa strada si ay + bx + c = 0 possono cercare le soluzioni del sistema a'y + b'x + c'= 0 y = x2 Dalle prime due si ottiene x = (ac’-a’c)/(a’b-ab’) e y = (b’c-bc’)/(a’b-ab’). Sostituendo nella terza si ottiene (ac’-a’c)2/(a’b-ab’)2 = (b’c-bc’)/(a’b-ab’) , quindi (ac’ – a’c)2 - (a’b – ab’)(b’c – bc’) = 0. (1) (solo se a’b – ab’ 0, cioè se il sistema costituito dalle prime due equazioni è risolubile). Se a = a’ = 0, è ab’ - a’b = 0, ma uno dei due può essere nullo, ed egualmente la (1) vale. Un caso importante: a 0, a’ = 0, b’ = 2a e c = b, cioè il secondo polinomio è dato da 2ax + b, quindi è il polinomio derivato primo di ax2 + bx + c. In questo caso la (1) diviene -a2(b2 - 4ac) = 0. Essendo a 0, si ha b2 - 4ac = 0. f) Scomposizione del problema. E'una tecnica che si è già usata in un problema di geometria presentato prima. Lo smontaggio di cui si parla può essere eseguito sul problema stesso che così si suddivide in sottoproblemi. Questo metodo viene detto di divisione delle difficoltà. Già Cartesio nel Discours sur la méthode, enuncia così la seconda regola: «Dividere ogni difficoltà in tante parcelle quante possibili e quanto richiesto per risolverle meglio». Questo invito non è stato sempre capito né stimato giustamente, ad esempio da J. Duhamel, che tuttavia scrive nel 1865: «Allorché un problema, di qualunque genere esso sia, possa essere scomposto in più altri, suscettibili d'essere trattati indipendentemente, l' uno dagli altri, è evidente che la prima riduzione da fare sarà quella di sostituire queste questioni a quella proposta: si sarà così riportato questa ultima a domande più semplici. E anche se queste questioni parziali non sono indipendenti e non possono essere trattate isolatamente, sarà ancora utile fare la scomposizione perché, in generale, sarà più facile riportare questi problemi già più semplici ad altri più semplici ancora, piuttosto che fare la riduzione del problema principale, che di per sé è più complicato perché comprende tutti gli altri ottenuti scomponendolo. La scomposizione di un problema in numerosi altri è quindi la prima riduzione da fare, quando è possibile, e ciò è così naturale che è quasi superfluo consigliarla.» 16 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 9. Analisi come deduzione. Dice R. Blanché alla voce Raisonnement della Encyclopaedia Universalis, «L'analisi, (risoluzione, soluzione all'indietro) è un percorso regressivo, che risale dal condizionato alla condizione, (dalla conseguenza al principio, dall' effetto alla causa, dal presente al passato, dal composto ai suoi elementi)… La sintesi … segue l' ordine normale … progredendo dalla condizione al condizionato, e con sicurezza, poiché questa è determinata da quello.». Tra le accezioni con cui sono presentate le parole analisi e sintesi ci sono quelle relative alla deduzione, a «quelle lunghe catene di ragioni, tutte semplici e facili, di cui i geometri hanno l'abitudine di servirsi per giungere alle loro più difficili dimostrazioni.», analisi allorché si come dice Cartesio nel Discours sur la méthode. Grossolanamente si farà dell' ragiona all' inverso e della sintesi quando si deduce in modo diretto, ma la citazione di Blanché presenta già più significati contraddittori di diritto e rovescio. Con una metafora si può paragonare un lungo ragionamento con un labirinto. Gli ingressi del labirinto sono le premesse, i dati, gli assiomi, i teoremi precedenti che vengono utilizzati nella dimostrazione. Le uscite sono le conclusioni, le risposte; gli incroci sono i risultati di calcoli o di ragionamenti intermedi. Una dimostrazione diviene un percorso che congiunge le ipotesi alla conclusione. Tuttavia essa può prevedere degli affluenti, cioè teoremi precedenti o assiomi. Un conto è una dimostrazione data, di cui eventualmente si chiede di verificarne la correttezza, o semplicemente di ripetere, un altro conto è trovare una dimostrazione. Quando il problema è quello di costruire o trovare una dimostrazione, sono all' ordine del giorno false piste (vicoli ciechi del labirinto) oppure passaggi inutili che conviene eliminare per snellire il prodotto finale. Le principali difficoltà euristiche sono relative all' invenzione di un tale itinerario, invenzione perché potrebbero essere necessarie delle scelte degli strumenti o dei ragionamenti da utilizzare, scelte da svolgere ad ogni incrocio del labirinto, la scoperta di scorciatoie che permettono di raggiungere più brevemente allo scopo. Ma anche i passi falsi e le "allungatoie" possono avere il loro valore euristico perché spingono talora ad interrogarsi sui motivi degli insuccessi, facendo cogliere aspetti forse non ben compresi all' inizio. La fecondità del processo dimostrativo non consta nel verificare che siano corretti i singoli passaggi che dalle ipotesi portano alla conclusione, la creatività consiste nell' individuare i passaggi intermedi. 17 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 Se il percorso nel labirinto è già tracciato, appare, in primo luogo un ordine logico, che si può desumere da un' analisi dei passaggi e delle regole utilizzate. Ma l' analisi del percorso può mostrare anche un ordine temporale, dato che certi snodi (incroci) devono essere attraversati prima di altri. L' asserto che viene dato da dimostrare può contenere poi dei dati assegnati ed altri incogniti. L' analisi della struttura dimostrativa può essere interpretata come una serie di relazioni che vincolano tra loro i dati e le incognite e queste relazioni si evolvono all' interno della dimostrazione secondo l' ordine della logica delle scoperte. Accanto a questi ordini che si possono indicare a priori, senza fare riferimento a chi costruisce la dimostrazione, c' è un ordine euristico delle scoperte che riguarda il modo di svolgimento della ricerca. Una volta che il risultato è stato ottenuto c' è una fase ulteriore che è quella della comunicazione e che richiede un suo ordine di esposizione. E'fondamentale comprendere che questi ordini, che non è detto siano lineari, coincidono raramente e che la loro differenza causa difficoltà nell' apprendimento. Ma se tali ordini sono diversi e non lineari, perde di senso la facile connotazione di diritto e rovescio. Rispetto a cosa e come? a) Problemi di costruzioni geometriche. Viene data la descrizione a parole di una figura geometrica da costruire, partendo da dati iniziali assegnati e da relazioni. Di solito le relazioni impongono due specie di vincoli: • da una parte la figura finale deve soddisfare certe proprietà; • d' altra parte, i mezzi di costruzione vengono implicitamente o esplicitamente imposti. L' informazione iniziale è verbale; essa va tradotta in una figura iniziale che si può assumere come il punto di ingresso del labirinto. Non sempre è chiara la figura finale (l' uscita) e l' itinerario passa attraverso le costruzioni intermedie. Dal punto di vista euristico però la situazione è diversa: la figura iniziale e quella finale sono i dati euristicamente rilevanti e le incognite sono le costruzioni intermedie che possono essere individuate sia partendo dall' inizio, sia partendo dalla fine. Anzi Polya, e prima di lui C.S. Peirce che la chiama regola di abduzione, stabilisce una legge (logica) dell'euristica che si può formulare come una regola di inferenza del tipo p → q, q p simile, ma sostanzialmente diversa dal Modus Ponens. Essa invita, una volta ottenuto un effetto e conoscendo una relazione di causalità, a vedere se si può provare la causa. Nell' esposizione l' ordine muta ancora, è frequente infatti che si verifichi solo che il disegno che presenta le costruzioni, verifica i vincoli ai vincoli posti dall' enunciato della richiesta. 18 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 b) Dimostrazione di un enunciato in forma ipotetico-condizionale. E'analogo al precedente. Si suppone di dover dimostrare un enunciato del tipo (H1 ∧ H2) → C in cui H1 | − M1 & con H si sono indicate le ipotesi e con C la conclusione (tesi). Un esempio A | −M 2 di dimostrazione (semplice) si può schematizzare come segue: & | −C scrittura in cui con A si è indicato un assioma, con T un teorema precedente (H 2 ∧ T ) | −M 3 e i vari M sono i passaggi intermedi che bisogna inventare. Quanto ad A e a T si tratta di risultati ben conosciuti, ma egualmente non semplici da determinare, dato che bisogna decidere quali utilizzare scegliendoli tra molti altri. Secondo Blanché il processo mostrato è una sintesi: si è proceduto diritto dalla partenza alla fine, seppure in modo non lineare. Molti autori qualificano una tale ricerca col termine analisi quando il cammino del pensiero va dai dati all' incognita. Però spesso c' è confusione tra incognita, scopo, e stato finale. Polya scrive «insomma noi progrediamo, partendo dalla situazione data all'inizio verso la situazione finale desiderata, vale a dire, andando dai dati all' incognita.» Ma nel caso qui trattato non credo che si possa dire che C sia l' incognita. Anzi sono forse incogniti gli assiomi e i teoremi che vengono usati nella dimostrazione, anche se si tratta di risultati noti, perché è non noto quali di essi si debbano utilizzare. Talvolta il processo euristico è più simile ad una samba che ad una camminata: un passo avanti e due indietro! c) Partire dall'incognita. A priori, dopo tutto quello che si è detto, partire dall' incognita dovrebbe essere analisi, ma anche qui i pareri possono essere discordi. Inoltre può sembrare strano che si parta proprio da ciò che non si sa (procedimento più spesso utilizzato di quanto non si creda) e di qui risalire ai dati. Ma il "trucco" consiste nel porsi un problema ausiliario in cui i ruoli di certi dati e di certe incognite sono scambiati. Ciò però richiede talvolta un adattamento ingegnoso. La scelta del problema ausiliario viene fatta in modo che sia facile e che la soluzione suggerisca i passaggi da ripetere nella prova diretta. E'il metodo del problema contrario. Un esempio è il seguente: dato un triangolo ABC iscrivervi un quadrato. La tecnica di soluzione diretta non è banale. Ma disegnato il C triangolo assegnato, si disegna dentro esso un arbitrario quadrato con un lato parallelo ad un lato del triangolo assegnato. Si mandano poi per gli altri due vertici del B quadrato col secondo lato parallelo a quello del triangolo, ai lati più vicini ai vertici A 19 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 stessi. Si costruisce così un triangolo contenuto in ABC e ad esso simile, anzi omotetico. Il quadrato richiesto si trova poi per omotetia. In modo analogo si prova il teorema di Moore, che afferma che per ogni triangolo, considerando le semirette che dividono ciascun angolo in tre parti eguali, esse si intersecano nei vertici di un triangolo equilatero. La prova parte da un arbitrario triangolo equilatero e da tre angoli arbitrari la cui somma sia p/3, costruendo direttamente (con riga e compasso) un triangolo che ha per angoli interni i tripli degli angoli considerati. Il metodo del problema contrario è applicato spesso in algebra, anzi ci sono voluti molti anni per mettere a punto tale procedimento. Ad esempio si risolva in ove a∈ + l' equazione a− a−x = x. . Deve essere inoltre x ≥ 0. Il procedimento consueto che prevede elevamenti al quadrato e altri calcoli è un procedere diretto, di sintesi? Si arriva a (a - x2)2 - (a - x) = 0. Questi passaggi però possono "avere introdotto" soluzioni spurie. Cioè perché il ragionamento sottinteso è il seguente: si suppone che esista una soluzione, se x è tale soluzione allora si ha a (a-x) = x2 , e poi, ecc. Che tale soluzione possa esistere non viene messo in dubbio. E poi l' equazione ottenuta è di quarto grado (non biquadratica) e questo è un ulteriore problema. C' è però la possibilità di mutare punto di vista e di guardare l' espressione precedente come un' equazione di secondo grado in a. Si risolve cioè a2 - (2x2 + 1)a + (x4 + x) = 0 da cui a = 2x2 + 1 ± (2x2 + 1)2 − 4x4 − 4x = 2x2 + 1 ± (2x − 1) 2 2 2 Le due soluzioni sono date da a = x - x + 1 oppure da a = x2 + x, quindi la (a - x2)2 - (a - x) = 0 scriversi (x2 - x + 1 - a)(x2 + x - a) = 0 che può risolversi facilmente, stavolta rispetto a x. 10. Conclusione. Il tema è assai complesso e non è sicuramente concluso. per motivi didattici. Mi sono soffermato di più sull' analisi che sulla sintesi, perché, a parte le ambiguità del termine, sembra più importante insegnare ad analizzare perché in questo modo, forse, si può dare un aiuto alla risoluzione di 20 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 problemi (facili, perché quelli difficili resistono a qualsiasi impostazione corretta dal punto di vista euristico). Per alcuni la sintesi è un sinonimo dell’attività di nascondere l' euristica. Così ad esempio la usa Archimede. Anche Newton, dopo aver trovato i risultati sul calcolo differenziale pensando in termini di infinitesimi, li presenta in termini di geometria euclidea. La sintesi quindi consiste nel prodotto finito, in una sorta di farfalla fissata con uno spillo, non in quella svolazzante nella mente del matematico. Dunque operare una sintesi è spersonalizzare e disumanizzare il discorso matematico, ma anche renderlo oggettivo e comunicabile tra studiosi. Nella fase della ricerca, sia essa analisi o no, ci si muove su idee, non su considerazioni formali, che sono poi necessarie per rendere i risultati socialmente comunicabili in modo non ambiguo. Si conclude con una citazione da Pappo: «La αναλυοµενος, per chiamarla col suo nome, è, in riassunto, una dottrina speciale a disposizione di coloro che dopo avere studiato gli elementi ordinari, desiderano rivolgersi alla soluzione dei problemi matematici; essa non serve che a questo. Essa è l' opera di tre uomini: Euclide, autore degli Elementi, Apollonio di Perge e Aristeo il vecchio. Essa insegna i metodi di analisi e di sintesi. Nell' analisi, partendo da ciò che è richiesto, noi lo consideriamo come ammesso e ne tiriamo delle conseguenze, poi le conseguenze di ciò, fino a raggiungere un punto che possiamo utilizzare come punto di partenza per una sintesi. Ma nell' analisi noi ammettiamo che ciò che ci si chiede di fare è già fatto, ciò che si cerca, già trovato, ciò che bisogna dimostrare, esatto. Noi cerchiamo, a partire da quel precedente, se si possa dedurre il risultato desiderato; poi cerchiamo cosa potrebbe essere il precedente del precedente e così di seguito fino a che passando da un precedente a un altro, troviamo finalmente qualche cosa di noto o di ammesso come esatto. Noi chiamiamo questo processo analisi, o soluzione all' indietro, o ragionamento regressivo.» Oggi invece che di analisi e sintesi si parla di procedimenti bottom-up o top-down, che sono imparentati con l’analisi e la sintesi, pur non coincidendo esse. 21 C. Marchini – Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/2 22