MASSIMO VENTURIELLO e TOSCA
in
LA STRADA
Di Tullio Pinelli e Bernardino Zapponi
Dramma con musiche tratto dal film di Federico Fellini
Musiche di Germano Mazzocchetti
Testi delle canzoni di Nicola Fano e Massimo Venturiello
con
MASSIMO VENTURIELLO
TOSCA
Camillo Grassi
Franco Silvestri
Barbara Corradini
Daniela Cera
Dario Ciotoli
Alberta Izzo
regia
MASSIMO VENTURIELLO
Coreografie di Fabrizio Angelini
Costumi di Sabrina Chiocchio
Disegno luci di Iuraj Saleri
Foto di scena di Carlo Michele Valdonio
Scene di Alessandro Chiti
In una rivista di tanti anni fa, che mi è capitata sotto mano, ho letto che negli anni 40 Fellini, in
giro per l’Italia, al seguito di una compagnia di varietà per la quale lavorava, una notte, vedendo
una coppia di zingari, che nel più assoluto silenzio, se ne andava in una strada di campagna col
proprio carretto (l’uomo tirandolo con una fune e la donna spingendolo da dietro) cominciò a
seguirli, a distanza, senza nemmeno sapere perchè.
Di
li
a
poco
si
fermarono
e
Fellini
si
appostò
a
spiare.
Il silenzio tra i due regnava sovrano. Accesero un fuoco, la donna cucinò qualcosa, poi
mangiarono e subito dopo ripartirono, il tutto senza proferire una sola parola …
Fu proprio quel silenzio che diede l’input al regista per la realizzazione di quel grande
capolavoro che è “La Strada”.
Fellini rubò il silenzio di quei due zingari e se lo portò nel suo film facendolo diventare il
protagonista assoluto e ancora oggi, a distanza di un cinquantina d’anni, quel silenzio, ci
costringe a un ascolto al quale non siamo più abituati e ci racconta tanto.
Tra Zampanò e Gelsomina non c’è dialogo, ma solo una serie infinita di domande e risposte
mancate. Il filo conduttore della loro storia umana, del loro breve tragico viaggio è proprio il
‘non detto’. Ecco quindi che attraverso quanto non riescono a dirsi, scopriamo tutta la
disperazione della loro condizione.
La diffidenza, il cinismo, l’incomunicabilità, sono la colonna sonora della loro esistenza ‘bassa’,
ai margini della società e della civiltà, ma sono anche il suono della vita di tanti come loro, che
ancora oggi troviamo nelle fogne delle nostre metropoli, vicinissimi a noi eppure così lontani,
da non essere visti, o meglio da essere ignorati, rifiutati, maltrattati e allontanati.
‘La strada’ di cui parla Fellini è dietro l’angolo di casa nostra, magari sotto un ponte o dietro
una stazione, ecco perché questo film ci colpisce ancora, ecco perché ci emoziona ancora la
povera Gelsomina, quando viene abbandonata, o il terribile Zampanò, quando piange ubriaco,
sulla sabbia, guardando le stelle.
Ho voluto mettere in scena questa vicenda, quanto mai attuale, con umiltà e rispetto assoluto
nei confronti del grande film, confortato dal fatto che la drammaturgia di Pinelli e Zapponi, pur
conservando in parte i dialoghi originari, contiene una propria peculiarità, una propria poetica
squisitamente teatrale e confortato anche dall’intervento del maestro Germano Mazzocchetti,
che con una dozzina di inediti brani cantati e una partitura musicale creata per l’occasione ci
porta necessariamente altrove, spostando l’intera operazione verso un genere diverso, di
difficile definizione.
Il viaggio dei due protagonisti viene raccontato e cantato da un gruppo di circensi che
interagisce con l’azione scenica per ‘mostrare’ brechtianamente (non a caso la citazione: ‘Mostra
i denti Zampanò’) il tragico accadimento, in modo da stimolarne una riflessione.
Intorno a me e a Tosca, rispettivamente Zampanò e Gelsomina, ruota un’umanità altrettanto
degradata e marginale, cinica, diffidente e povera. Dalla madre di Gelsomina che incontriamo
all’inizio, alla ragazza che per ultima parlerà con Zampanò, tutti, compreso i componenti dello
scalcinato circo diretto dallo zingaro Fiore, compreso il funambolo (il Matto), sono personaggi
motivati
soprattutto
dalla
fame.
Un miserabile microcosmo che si muove in un’atmosfera irreale, sottolineata dalla scena astratta
e materica di Alessandro Chiti e dai costumi ‘visionari’ di Sabrina Chiocchio, come in una
favola dolorosa che con leggerezza si propone di scuotere pesantemente la nostra attenzione.
Dedichiamo questo spettacolo ai ‘randagi’ che abitano la strada.
Massimo Venturiello
Compagnia Molise Spettacoli
CORRADO TEDESCHI e DEBORA CAPRIOGLIO in
L’ANATRA ALL’ARANCIA
di W.D. Home e M.G. Sauvajon
regia di Ennio Coltorti
“L’anatra all’arancia” è considerato un testo
“sempreverde”, forse perché, oltre a essere una
perfetta macchina drammaturgica, vi si ritrovano
gli eterni temi dell’amore, della gelosia, della
fedeltà (e dell’infedeltà) nell’ambito del nucleo
familiare più antico e tradizionale: la coppia con
figli. Quello però che lo distingue da altri testi
simili, sta soprattutto nel modo in cui viene messa
in scena la competitività nonché l’astuzia e l’energia che si è capaci di mettere
in campo quando si ama e si vuol riuscire, ad ogni costo, a tenere il
compagno/a
accanto
a
sè.
Gilberto e Lisa, due coniugi con figli, sposati da quindici anni, trascinano
stancamente il loro matrimonio. Il marito trascura la moglie e lei finisce per
innamorarsi di un giovane con l’aria da principe azzurro, con l’idea di rifarsi una
vita. A questo punto, nel tentativo di riconquistarla, Gilberto inventa un copione
esilarante: organizza un week-end pieno di sorprese invitando la sua bella
segretaria e l’amante della moglie. Con una tattica apparentemente
scombinata, ingaggia così una pittoresca e divertentissima lotta che coinvolgerà
tutti i presenti.
Nel cast diretto da Ennio Coltorti, oltre a Corrado Tedeschi e Debora Caprioglio,
i coniugi annoiati che il sospetto del tradimento risveglia da una vita di coppia
forse un po’ troppo tranquilla, anche Mino Manni che interpreta l’affascinante
Leopoldo Augusto Serravalle-Scrivia, in grado di far tremare le fondamenta del
matrimonio Ferrari; Gloria Bellicchi, nel ruolo della sexy segretaria ingenua e
bellissima, e la spumeggiante Gioietta Gentile, in quello della colf di famiglia,
impicciona e ironica.
progetto URT
LA LOCANDIERA
di Carlo Goldoni
Mirandolina Sarah Biacchi
Il cavaliere di Ripafratta Jurij Ferrini
Il marchese di Forlinpopoli Marco Zanutto
Il conte d'Albafiorita Davide Lorino
Dejanira Wilma Sciutto
Fabrizio Andrea Pierdicca
Il servitore del cavaliere Davide Lorino
Ortensia Alessandra Frabetti
Regia Jurij Ferrini Scenografia Jurij Ferrini
Direttore di scena Catia Saettone
L'opera è senza dubbio uno degli indiscutibili capolavori goldoniani e a noi offre ancora
una volta un canovaccio in lingua italiana – è un sollievo per un attore recitare talvolta
senza il filtro di una traduzione – una lingua italiana particolare, ricca, calda, vitale, piena
di sapore come lo è la cucina tradizionale del nostro paese e nello stesso tempo leggèra e
speziata (al rosmarino direi) spesso estremamente elegante; in questo senso, nel senso
della ricerca delle sonorità linguistiche, il nostro lavoro - che tenta di equi-distanziarsi
dall'italiano disinvolto e annacquato che ogni giorno la televisione ci propina e da ogni
manierismo teatrale – ritrova in questo testo un materiale ricco di spunti comici e di
improvvise virate ritmiche, di altalene melodiche e movimenti rapidi. Un gioiello.
Ricorda un'opera buffa. La musica infatti è un altro cardine su cui poggia questo
progetto: la figura della serva amorosa attraversa il teatro e l'opera buffa in tutto il '700 e
approda alla società moderna incarnando un nuovo tipo di femminilità che porta la
donna ad iniziare, almeno in occidente, un lento processo di emancipazione. Tracce di
questa figura così centrale e astutamente ambigua si ritrovano nella Susanna de "Le
nozze di Figaro" o nella più nobile "Rosina" de "Il barbiere di Siviglia", figure che
sembrano quasi "figlie" della nostra Mirandolina, discendente a sua volta in qualche
modo dalla maschera di Colombina. Così come esistono altri personaggi che arrivano
direttamente dalla commedia dell'arte e che irrompono nell'opera Buffa, basti pensare a
Figaro che potrebbe avere un antenato in Brighella. Ecco allora il senso di citazioni
musicali così riconoscibili e particolarmente adatte a far da supporto alla vicenda che in
fin dei conti si svolge in una sola e "folle giornata". Accanto a questa scelta se ne fonda
un'altra: il XVIII secolo è anche il secolo degli odori, non sempre gradevoli ma senz'altro
molto forti; questo spiega il continuo riferimento nella commedia alla pulizia, al profumo
del sapone di Marsiglia, e all'arte del gusto che sono le prime armi di Mirandolina per far
cadere nella sua rete il burbero cavaliere. Allora ogni sera tenteremo di suggestionare il
pubblico anche dal punto di vista olfattivo con gli odori tipici della cucina italiana. Il
progetto poggia dunque su questi due pilastri. Una sorta di concerto di suoni e sapori in
cui narrare le vicende dei buffi personaggi che popolano la accogliente locanda
fiorentina.
Ma il grottesco ha sempre qualche aspetto fosco e qualche pennellata pesante e infatti
non tutta la storia appare lieve. Mirandolina si fa prendere la mano dal gioco che a tratti
diventa crudele e la storia si chiude con un "non-lietofine": il cavaliere maledirà le donne
sopraffatto dal dolore per un amore non corrisposto. Se si prende questo come un gioco
spensierato si può ritenere si tratti di una semplice questione di orgoglio ma a ben vedere
la passione amorosa è nella vita una faccenda molto seria e prendendo alla lettera le
cocenti vampate di desiderio del cavaliere per la provocatoria sensualità della locandiera
si può immaginare quale emozione violenta possa muoversi nel suo petto e nel suo
ventre. Ricordo dopo la prima lettura di aver provocato la compagnia proponendo un
dibattito sul maschile e sul femminile. E dopo pochi istanti i toni erano tutt'altro che
pacati. Nell'esperienza di ognuno di noi l'universo maschile e quello femminile si attirano
e si scontrano come la calamite quando si gioca ad invertire
la polarità. La domanda che sorge prepotente è questa:
l'uomo teme l'emancipazione femminile o la donna ha
smarrito il suo ruolo? Dalla cronaca apprendiamo che oggi
cresce il numero dei single di entrambi i sessi. Questo la
dice lunga sulla attualità di questa opera così solo
apparentemente giocosa.
C'è da dire che quando si dà una spolverata al grande libro
del teatro di Goldoni e si tolgono di mezzo le ragnatele dei
goldonismi, dei vezzi e delle noiosissime maniere teatrali
resta in mano un teatro vivo, pulsante e così vero da far
impallidire. Caso vuole che come regista io sia giunto a
Goldoni subito dopo Cechov: ebbene non ho sofferto
alcun salto stilistico, se non fosse per il linguaggio stento a
vedere qualunque differenza. Senz'altro non ne trovo alcuna in senso metodologico ossia
affronto Goldoni e Cechov nello stesso esatto modo.
Jurij Ferrini
Teatro Stabile di Sardegna
Associazione Culturale Diablogues
Teatro Stignani di Imola
PENSACI, GIACOMINO!
di Luigi Pirandello
regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi
luci di Maurizio Viani
scenografia di Marc’Antonio Brandolini
costumi di Luciana Fornasari
Con
Enzo Vetrano
:
Agostino Toti, professore di Storia
Naturale
Eleonora Giua
:
Lillina, sua moglie
Giuliano Brunazzi
:
Giacomino Delisi
Giovanni Moschella
:
Cinquemani, bidello
Margherita Smedile
:
Marianna, sua moglie
Ester Cucinotti
:
Rosaria Delisi, sorella di Giacomino
Antonio Lo Presti
:
Il Cavalier Diana, direttore del Ginnasio
Stefano Randisi
:
Padre Landolina
Luigi Tontoranelli
:
Rosa, serva in casa Toti
“Un lavoro audacissimo”. Così Pirandello descrive al figlio Pensaci, Giacomino!, la
commedia scritta per Angelo Musco, che ci fa divertire nel guardare da vicino legami
familiari paradossali e tumultuose relazioni con un perbenismo di facciata.
Audacissimo è infatti l’intreccio che fin dalla stesura dell’omonima novella da cui il testo
teatrale prende spunto crea scalpore tra i lettori del Corriere della Sera, su cui era stata
pubblicata nel 1910: Agostino Toti, vecchio professore di liceo anticonformista ante
litteram dichiara la sua intenzione di “vendicarsi” contro il governo che lo ha costretto a
una vita solitaria a causa di uno stipendio da fame, sposando una ragazzina giovanissima
che beneficerà a vita della pensione che lo Stato sarà costretto a versarle in quanto sua
vedova. Il caso di Lillina, figlia del bidello della sua scuola, messa incinta da Giacomino
Delisi, un suo ex alunno, e adesso cacciata di casa dai genitori gli offre la possibilità di
realizzare il suo piano.
Per qualche anno il professore permette alla giovane moglie e al suo amante di
incontrarsi nella sua casa, fa da nonno al bimbo nato dalla loro relazione, e trova anche
un posto in banca a Giacomino, beandosi della felicità conquistata con questa inattesa
famiglia e ostentando indifferenza per le reazioni scandalizzate della gente di fronte a un
inequivocabile, inaccettabile menage à trois. Ad un certo punto però, Giacomino
comincia a disertare la casa del professore e la giovane madre è annientata dal dolore.
Agostino Toti ne cerca il motivo, e scopre che la sorella di lui, con la complicità di un
prete viscido e indegno, lo ha fatto fidanzare a una “giovine orfana e perbene” al fine di
liberarlo da questa condizione immorale.
Con la determinazione di un paladino della giustizia e della vera moralità si precipita da
Giacomino e riesce a riportarlo a casa sua dopo averlo minacciato, implorato e infine
commosso con il richiamo alla paternità e all’amore di Lillina.
Commedia morale dunque, umoristica ma anche grottesca, con un personaggio che
sembra voler affrontare l’ipocrisia del mondo senza la maschera di un ruolo sociale,
quello di marito, perché di questo ruolo si libera subito, dichiarando di non volerlo
essere. Ma a guardar bene…
“Tu sarai la mia figliola, la mia figliola bella”
Con queste parole si chiude il primo atto, e per tutto il secondo e il terzo da padre si
comporta con lei, e anche con l’amante di lei, Giacomino. Ma questa famiglia aperta,
trasgressiva, sui generis, vissuta come un’offesa da tutta la comunità civile, acquista nella
mente del Professore una valenza etica che va protetta e difesa con tutte le forze e così,
fatalmente, come in un gioco di scatole cinesi, la “non famiglia” viene intrappolata nella
stessa idea claustrofobica di famiglia, e i suoi componenti soggiogati a meccanismi di
compressione e prepotenza.
Attraverso questo testo apparentemente comico e irriverente la nostra attenzione si può
focalizzare allora sulla famiglia e sugli squilibri che possono esplodere al suo interno,
scaraventandoci in un’attualità drammatica e agghiacciante, che ci coinvolge tutti e ci fa
riflettere sugli aspetti diametralmente opposti della violenza e del rispetto.
Stefano Randisi, Enzo Vetrano
VINCENZO
MOLLICA
in
"PRIMA CHE MI
DIMENTICHI DI TUTTO"
Il racconto di un cronista
impressionista e
impressionabile
Una conversazione - spettacolo con uno dei personaggi più importanti del giornalismo
nazionale.
Un cronista televisivo di spettacolo con una trentennale esperienza che decide di
raccontare tutto ciò che ha vissuto, i grandiosi personaggi che ha incontrato, quello che
ha capito e imparato.
La conversazione verrà integrata da filmati particolarmente significativi della storia
personale del giornalista, e da un accompagnamento musicale.
Il tono non sarà dunque di una lezione di giornalismo, semmai di una autobiografia per
la prima volta raccontata con tutto quello di più significativo che la vita e la fantasia
hanno regalato al sensibile cronista.
Filastrocche e aneddoti di una vita unica, contrassegnata dall'incontro con alcune tra le
più grandi personalità della cultura e dello star-system internazionale.
L'evento sarà sempre accompagnato dai disegni (sua autentica passione), che Mollica ha
realizzato nel corso della sua appassionata carriera.
Disegni che sono stati raccolti e utilizzati nel 2006 in una mostra dal titolo "Scarabocchi
in
libera
uscita".
Il carattere "interattivo" dell'incontro prevede, alla sua conclusione, una partecipazione
del pubblico che, se vorrà, potrà intervenire con
delle domande.
NOTE BIOGRAFICHE
Vincenzo Mollica, appassionato di cinema, musica e fumetto, è inviato della Redazione
Spettacolo del Tg1 e sempre per la rai ha realizzato importanti trasmissioni televisiva
come: “Prisma”, “Taratatà” e “Do Re Ciak Gulp”. Giornalista Rai da più di venticinque
anni, ha pubblicato per Einaudi Stile Libero “Paz”, antologia degli scritti e dei fumetti di
Andrea Pazienza, “Fellini: parole e disegni”, ha curato “Pin-up art” di Milo Manara e,
per la serie In Cofanetto Parole e Canzoni, le edizioni di Fabrizio De André, Francesco
Guccini, Lucio Dalla e Roberto Vecchioni. Negli Einaudi Tascabili è stato pubblicato
“Romanzetto esci dal mio petto” e negli Einaudi Tascabili Stile Libero è uscito “Strip,
strip, hurrà!”.
Disegnatore egli stesso nel dicembre del 2006 ha esposto le sue opere al Complesso del
Vittoriano a Roma.
Da anni inviato speciale della RAI alla cerimonia del Premio Oscar di Los Angeles, ai
festival del cinema di Venezia, Berlino e Cannes, cura la rubrica di approfondimento
sullo spettacolo del TG1, DoReCiakGulp, in onda il sabato.
Su Radio2 conduce Parole parole, storie di canzoni, una serie di puntate radiofoniche in cui
intervista i grandi autori ed interpreti della canzone italiana.