(solo in italiano) / Text der Laudatio

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Conferimento del
Premio Ladislao Mittner 2011
nell’ambito della Pedagogia
Roma, CNR, 11 ottobre 2011
Laudatio
Prof. Michele Borrelli
Illustre Ministro, Colleghi, Signore e Signori
Ringrazio gli organizzatori per aver voluto assegnare a me l’onere e l’onore di esporre la
laudatio della vincitrice, Prof.ssa Anna Aluffi Pentini, in questa edizione del Premio
Ladislao Mittner. Sono molto onorato di questo incarico e felice di poterlo compiere,
non solo perché mi ritengo, dopo i miei quasi venti anni di vita in Germania e nelle
università tedesche, un ‘prodotto’ della cultura tedesca, ma anche e soprattutto perché
ho dedicato e dedico alla diffusione della cultura tedesca tutta la mia ricerca scientifica e
tutto il mio impegno accademico nell’Università della Calabria.
LAUDATIO
È di Martin Heidegger l’espressione “la filosofia parla greco”, e, ancora oggi, si potrebbe
dare al filosofo tedesco ragione se con filosofia intendiamo quel linguaggio del
domandare, quel darsi alla parola nel suo aprirsi al senso delle cose che caratterizza il
linguaggio greco delle origini. Se analizziamo le epoche, a partire dalla modernità,
notiamo, però, che la filosofia parla sempre più tedesco, notiamo, cioè, che non è più il
linguaggio greco, ma il linguaggio tedesco il luogo in cui il pensiero dimora e trova se
stesso in una articolata e differenziata profusione di linee teoriche che costituiscono e
definiscono la modernità e la postmodernità. Chi, oggi, pensa in termini di pedagogia o
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di filosofia, non può pensare che in termini di lingua tedesca; una lingua che, a partire,
soprattutto, da Immanuel Kant, è diventata fondamentale, necessaria per il pensiero e
del pensiero, sia esso pensiero filosofico sia esso pensiero pedagogico, come è qui il
caso. E se ci affidiamo al pensiero, sia esso filosofico o pedagogico, Anna Aluffi Pentini ha
fatto bene ad occuparsi di tre linee teoriche che si intersecano dialetticamente.
La prima linea teoretica lungo cui si dipana il percorso intellettuale-scientifico di Anna
Aluffi Pentini è collocabile all’interno della “ricerca-azione” (Handlungsforschung), un
approccio teorico sviluppato inizialmente negli Stati Uniti e nella scuola socialpsicologica di Kurt Lewin, scuola da cui deriva anche il termine “ricerca-azione”, e che
ebbe poi in Germania una forte risonanza sia in ambito sociologico che in ambito
pedagogico (menziono solo nomi come Bittner, Flitner, Klafki). Questa linea teoretica è
importante nella ricerca di Anna Aluffi Pentini poiché lega teoria e prassi; con prassi
dobbiamo intendere sia prassi sociale che prassi pedagogica. L’approccio metodico
ridiscute se stesso all’interno della sua applicazione ed è aperto alle prospettive che
all’interno dell’area di ricerca vengono formulate. Si tratta di trovare risposte adeguate
sul piano dei problemi sociali partendo dall’idea che l’approccio metodico è una via
dialogica di ricerca e non uno strumento di imposizione di una determinata linea
teoretica. Risposte, quindi, che, per quanto riguarda la ricerca sul campo, includono non
solo quanti fanno ricerca, e cioè, i ricercatori professionisti, ma anche tutti gli attori che
sono gli interessati diretti della ricerca e che formano, per così dire, l’ambito stesso, se
vogliamo l’ “oggetto”, dell’area di ricerca. Il metodo della ricerca-azione, che Anna Aluffi
Pentini riprende e rivaluta, ha avuto negli anni sessanta e soprattutto negli anni
settanta in Germania una grande diffusione proprio nell’ambito dello sviluppo
curricolare e nell’ambito di progetti relativi alla ricerca scolastica e allo sviluppo dei
programmi d’insegnamento. L’approccio metodico della ricerca-azione ha, tuttora, in
ambito pedagogico la sua valenza teorica e pratica. Valenza teorica e pratica in quanto
offre ai docenti e agli alunni una base comune di riflessione e azione. Così intesa, la
ricerca azione ha il vantaggio pedagogico di coinvolgere gli alunni non solo nel progetto
specifico di ricerca, ma anche di renderli partecipi della ricerca stessa, come idea che
viene sviluppata assieme ai docenti e che forma un obiettivo di ricerca comune; un
obiettivo in cui tutti sono protagonisti e di cui tutti sono co-responsabili.
Pedagogicamente, la ricerca-azione è un luogo in cui dimora potenzialmente la
democraticità dell’apprendimento e dell’insegnamento; un metodo che, in tal senso, è
anche un progetto ed un programma per una scuola democratica; un luogo in cui si fa
esperienza di collaborazione, di impegno condiviso, di finalità il cui raggiungimento è
dovuto alla sforzo comune, condiviso, co-progettato.
Un altro filone di ricerca cui Anna Aluffi Pentini ha prestato molta attenzione è
l’approccio interculturale. Un approccio al quale proprio la Germania ha risposto in un
modo straordinario già a partire già dagli anni settanta con la creazione di una quantità,
incredibile per numero, di cattedre universitarie di pedagogia interculturale e di progetti
scolastici sull’intercultura. La pedagogia odierna, già per motivi contingenti di migrazioni
di massa, non può porsi esternamente all’approccio pedagogico interculturale; le nostre
scuole sono sempre più plurietniche e sempre più ambiti di esperienze di incontri e
scontri interculturali; sono il luogo privilegiato in cui le nostre ragazze e i nostri ragazzi
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incontrano, nel senso di Lèvinas, l’Altro, il Volto dell’Altro che è un appello a me e ad
ognuno di noi all’importanza e alla bellezza della differenza e della solidarietà che
questo Volto porta ad espressione. Anna Aluffi Pentini fa bene a mantenere questa linea
di ricerca in quella prospettiva cara anche a quanti come me, proprio a partire dagli anni
di lavoro accademico in Germania, hanno sostenuto una pedagogia del dialogo e della
collaborazione internazionale tra i popoli contro ogni razzismo e la legge del più forte e
per il recupero dell’humanitas dell’humanus. L’intercultura è una base straordinaria del
rapportarsi all’Altro; una sfida per comprendere non solo l’Altro che è davanti a noi, ma
anche l’Altro che è dentro di noi: in ognuno di noi.
E in questo rapporto le due linee qui menzionate si legano ad una terza linea di ricerca
che porta a Martin Buber e alla sua visione dell’Altro e, forse, non a caso. Si può notare,
infatti, come le tre linee teoriche si intreccino dialetticamente e siano l’una
complementare all’altra. Centro delle linee teoretiche è la formazione dell’uomo e,
quindi, il rapporto appunto con l’Altro. E Martin Buber non è un teorico di questo
rapporto, ma il teorico per eccellenza di questo rapporto. Nel rapporto Io-Tu teorizzato
da Buber, l’Io incontra l’Altro nella sua autenticità; autenticità di cui non si può
disporre; trattandosi dell’autenticità, appunto, dell’Altro, io non ne posso disporre in
alcun modo. È di grande rilevanza pedagogica il non poter disporre dell’Altro e,
nuovamente non a caso, in Martin Buber, l’Io si rivolge all’Altro incondizionatamente inascolto. Il principio dialogico trasforma il rapporto tradizionale (unilaterale) educatoreeducando in rapporto di reciprocità (ascolto reciproco). In altre parole, nel modello
formativo-dialogico di Buber si mette in discussione la stessa possibilità di mediare
soggettivamente tra soggetto e oggetto (educatore-educando). La mediazione è solo
pensabile come un inter-mediare-reciproco. Un mediare, quindi, che culmina nella
discorsività e si identifica con essa; un mediare che è linguaggio: linguaggio comune.
L’atto formativo o pedagogico è l’avverarsi del discorso (das sich ereignende Gespräch).
Per cui, Io-Mondo/persona-cosa nel loro rapporto sono inscindibilmente interconnessi
ed uniti dal discorso. Il discorso diventa il luogo di incontro e di comprensione dell’Altro.
Così contestualizzata, la Bildung è visibile come risposta (Antwort). Si tratta, quindi, di un
corrispondere (intersoggettivo-reciproco), una Entsprechung al richiamo dell’“essere”
(Sein) nell’Altro; richiamo o appello che l’uomo non scopre in sé ma proprio nell’Altroda-sé, nell’incontro con l’Altro-da-sé e che, quindi, riceve dall’Altro.
I pochi accenni sono sufficienti per notare la rilevanza pedagogica di questa terza linea di
ricerca. Una linea teorica di forte rilevanza filosofica e pedagogica. Una linea di ricerca
che raccoglie sia la tradizione filosofica di Heidegger (il porsi in ascolto dell’essere o il
rimettersi all’essere) che la tradizione filosofica dell’ermeneutica di Hang-Georg
Gadamer (la verità del testo, nel nostro caso dell’Altro), sia la tradizione religiosa
dell’Altro-da-sé, come è il caso del Volto (come immagine di Dio) teorizzato da Lévinas.
La traduzione dei tre saggi di Buber, che Anna Aluffi Pentini offre al lettore italiano, apre
al pensiero filosofico-pedagogico di una grande voce del pensiero tedesco, alla voce di
Martin Buber. Una voce complessa e, pertanto, bisognosa di interpretazione, quindi di
tutta l’arte ermeneutica dell’entrare nel testo e nel contesto, come ha fatto Aluffi
Pentini. E se è valida l’ipotesi, su avanzata, che oggi il pensiero parla tedesco (nulla
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togliendo agli altri linguaggi e alle filosofie e alle pedagogie che gli altri linguaggi
racchiudono e portano ad espressione), allora ripeto: ha fatto bene la designata
vincitrice a farsi carico della traduzione di questi saggi di Martin Buber e a proporli
all’attenzione del pensiero pedagogico e del pensiero filosofico, in un contesto, come il
nostro, altamente bisognoso di etica e, soprattutto, di etica pubblica. Da italiano mi sia
permesso dire: è soprattutto il nostro paese, siamo soprattutto noi italiani, nel
frattempo, ad aver bisogno di etica e di etica pubblica; abbiamo bisogno di una
pedagogia che risulti profondamente ancorata alle ragioni del cuore e della solidarietà
umana. La pedagogia che ci suggerisce Buber, così come tutta la tradizione tedesca, a
partire da Immanuel Kant, è una pedagogia di rispetto e difesa dell’Altro. In altri termini:
un’etica pedagogica che non significa un moralismo determinato, ma un interrogarsi
continuo o critico, se vogliamo socratico, sul senso che vogliamo dare alla vita; un’etica
pedagogica che scopre nell’Altro la dignità dell’essere umano e che si fa carico di questa
responsabilità per l’Altro rimettendosi alle generazioni future nella speranza del rispetto
reciproco, della solidarietà e della collaborazione tra i popoli.
A questo impegno etico, nessuno di noi può sottrarsi; ognuno è obbligato a dare il
meglio di sé, così come sta facendo Anna Aluffi Pentini nel suo lavoro di studio e di
ricerca e quanti hanno organizzato e finanziano questo premio.
Ringrazio sentitamente i presenti per l’attenzione che hanno voluto riservarmi e
nuovamente quanti hanno voluto gentilmente assegnare a me il compito di pronunciare
la laudatio per il conferimento del Premio Ladislao Mittner 2011 nell’ambito della
Pedagogia ad Anna Aluffi Pentini e termino, quindi, con tutte le mie felicitazioni alla
vincitrice.
Mi sia consentito, infine, di rivolgere, e penso non solo a titolo personale, un particolare
saluto e un sentito grazie al Ministro tedesco dell’Istruzione e della Ricerca, Prof. Dr.
Annette Schavan, perché con la sua presenza non onora solo la cerimonia di
conferimento del Premio Ladislao Mittner, ma onora anche il nostro Paese.
Un saluto altrettanto particolare e un ringraziamento sincero rivolgo anche al Prof.
Massimo Egidi, Presidente dell’Ateneo Italo-Tedesco.
Ringrazio, inoltre, sentitamente la Dott.ssa Julius, rappresentante di questo
importantissimo Servizio tedesco per lo scambio accademico.
Prof. Dr. phil. Michele Borrelli M.A.
Ordinario di Pedagogia Generale
Università della Calabria
Dipartimento di Filosofia, cubo 18/C,
87036 Arcavacata di Rende (CS)
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