il futuro 02/06/2017
Il problema
nuove possibilità tecnologiche d’intervento sul genoma umano
(ingegneria genetica in fase pre-natale, in genere nei primi giorni dopo la fecondazione)
diagnosi pre-impianto e sperimentazione sugli embrioni
all’epoca della genetica autoritaria succede quella della genetica liberale (50)
Problemi relativi al confine tra
genetica negativa e terapeutica
genetica positiva
come valutare razionalmente la legittimità morale di queste nuove possibilità terapeutiche e procreative?
possiamo distinguere due grandi approcci o paradigmi teorici che danno luogo a risposte diverse
la via consequenzialista.
Es.: Utilitarismo (Bentham,
Mill)
sono giuste le azioni che creano
il maggior benessere per il
maggior numero
Non esistono situazioni in se
stesse
buone
o
cattive,
indipendentemente dal giudizio
delle persone coinvolte sulle
conseguenze
casi dell’eutanasia e
riproduzione assistita
della
la via deontologica
(il razionalismo etico di Kant)
le azioni giuste sono conformi
ad un principio generale, una
norma, un valore posto come
incondizionatamente
valido,
indipendentemente
dalle
conseguenze
È la via seguita da Habermas,
che ne propone una forma
particolare, arricchita in modo
da tenere conto delle critiche
classiche,
tradizionalmente
mosse contro Kant
Il principio fondamentale è
quella dell’autodeterminazione
libera e responsabile della
persona; cui si collega il
principio di eguaglianza nelle
relazioni reciproche fra persone
questa concezione morale (etica del discorso) discende da una
più generale teoria, tra le più forti, discusse e accreditate nella
tarda filosofia del Novecento (sostenuta in altra forma anche da
Apel, presso la Scuola di Francoforte)
Al confine tra filosofia e scienze sociali, teoria del linguaggio e
teoria dell’azione sociale
Fondamentale la distinzione tra agire strategico e agire
comunicativo
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sul terreno strettamente bioetico da quest’impostazione teorica deriva la tesi che l’ingegneria
genetica minaccia le nostre comuni intuizioni morali su noi stessi come persone libere e
responsabili; queste intuizioni (credenze non teoriche, non da filosofi, ma da persone comuni
immerse nella rete di azioni e comunicazioni quotidiane; che assumiamo spontaneamente dalla
tradizione del nostro ‘mondo di vita’ e che regolano le nostre pratiche comuni) discendono nei loro
aspetti fondamentali da un’etica di genere
la quale riguarda noi non in quanto italiani,
cinesi, antichi ecc., ma in quanto appartenenti
al genere umano. I problemi morali sollevati
dall’ingegneria genetica riguardano appunto
l’etica di genere
Come abbiamo detto, le nuove possibilità terapeutiche e sperimentali si esercitano nello stadio della
vita umana pre-natale; il problema principale che esse pongono deriva dal fatto di dipendere da
decisioni di medici o genitori che riguardano i nascituri e vengono prese, per così dire, in modo
unilaterale e irreversibile sulla loro testa. Inoltre esse sembrano modificare in modo radicale
l’equilibrio tra processi naturali (spontanei e casuali) e processi ‘artificiali’ (intenzionali e
programmati), spezzando in qualche modo l’empatia, il sentimento di co-appartenenza,
comprensione immediata, il rispetto che naturalmente abbiamo verso la fragilità e vulnerabilità
della vita organica, soprattutto nelle forme di organismi a noi vicine. Vediamo più da vicino perché
queste tecniche esercitano una minaccia verso la comprensione che abbiamo di noi stessi come
persone libere, responsabili e fornite di eguali diritti. Il giovane che si scopre frutto di una
programmazione genetica avrà difficoltà a riconoscersi come un soggetto libero ed autonomo
creatore della sua vita
Le applicazioni dell’ingegneria genetica entrano in tensione e in contrasto con i due grandi principi
della nostra concezione morale.
l’idea del
poter-essere-sestessi
l’idea di relazioni
interpersonali
simmetriche
e
paritetiche
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principio di autonomia della persona
e poter-essere-se-stessi
implica tre condizioni che non sono garantite ai soggetti
‘programmati’ geneticamente. Essere se stessi implica
essere persone autonome significa essere trattati come fini in sé, non come cosestrumenti. L’imperativo categorico kantiano impone in dovere di trattare gli altri
come soggetti autonomi e responsabili della propria vita, autori indivisi e non
esecutori o realizzatori di irreversibili decisioni esterne prese altrove; non siamo
mezzi per la realizzazione di un progetti altrui, per esempio legati alle preferenze
soggettive dei genitori
coincidere con il proprio corpo vivente (Leib)
Il corpo è la fonte naturale spontanea della vita, la base della nostra libertà e
creatività. Abbiamo bisogno di disporre liberamente di esso come del frutto di
uno sviluppo spontaneo - non intenzionalmente programmato da altri - per
costruire liberamente la nostra storia di vita (46)
Il giovane che si scopre programmato si sentirà invece dipendente da una scelta
in cui il suo corpo è stato trattato, allo stadio embrionale, come cosa
tecnicamente manipolabile ed è perciò un’entità artificialmente prodotta. La sua
intuizione di sé come libero continuatore di uno sviluppo originariamente
spontaneo entra in conflitto con questa scoperta di essere artificialmente prodotto
viene così rotto l’equilibrio
tra naturale e artificiale
necessario
al
nostro
sentimento di libertà morale
essere liberi nel senso forte di iniziare, creare qualcosa di nuovo, e
non ripetere meccanicamente o eseguire un programma pre-ordinato
da un designer. L’evento stesso della nascita, come ce ne parla
Hannah Arendt ha questo carattere di creatività ed è l’immagine
migliore di ciò che andrebbe perduto se la procreazione si
configurasse come un processo di selezione genetica
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principio di reciprocità nelle relazioni interpersonali
il rapporto genitori-nascituri è a-simmetrico: ma la possibilità di ‘dare forma’ da parte dei primi mediante le tecniche
d’ingegneria genetica non rientra minaccia la libera autodeterminazione dei nascituri.
Forme tradizionali di questo limite invalicabile
forma teologica: la relazione creaturale uomo-Dio è un rapporto di dipendenza che fa l’uomo libero
→sacralità e inviolabilità assoluta della vita
forma naturalistica: gli equilibri naturali della vita non sono un bene come tutti gli altri (libertà
procreativa, libertà scientifica, efficacia e convenienza terapeutica etc.). Indisponibilità della vita
umana in tutte le sue forme, anche nella fase pre-natale (45); la vita pre-personale non ha “dignità
umana” giuridicamente tutelata mediante diritti attribuiti alla persona, ma ha sicuramente la “dignità della
vita umana” come bene moralmente rilevante e meritevole di protezione contro gli usi strumentali
impossibilità di tracciare confini netti e assoluti (‘ontologici’) tra vita
pre-personale e personale, di stabilire nel continuum dello sviluppo
embrionale, il momento in cui nasce l’individuo
le controversie ontologiche tra tendenza pro-life e tendenza pro-choice
sono insolubili. La distinzione tra inviolabilità e indisponibilità della
vita umana
dignità umana è attribuita sicuramente a persone, ma non è una proprietà
naturale come le qualità biologiche (colore degli occhi anche intelligenza,
memoria etc.). Nasce da legami e obblighi che possono svilupparsi solo
nella sfera delle relazioni reciproche fra individui. Rinvia al reciproco
riconoscimento degli individui come soggetti di diritti nel mondo della
vita. Una sfera pubblica che implica possibilità di identificare qualcuno
come “uno di noi”, sullo sfondo di comune appartenenza e simboli
condivisi (37-8). Solo a questo livello sorgono diritti inviolabili
La vita pre-personale può invece essere protetta in una forma diversa,
quella del rispetto che si deve ad un bene indisponibile per l’uomo.
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diagnosi di preimpianto
e sperimentazione sugli embrioni
trattano la vita umana come oggetto e la considerano nel suo valore strumentale rispetto a preferenze e scopi da chi
decide e agisce
per capire in che senso questa considerazione strumentale minaccia le nostre intuizioni morali occorre tenere presenti le
distinzioni tipiche dell’etica comunicativa
 azione e atteggiamento oggettivante (manipolazione di cose): inquadrabile nello schema teleologico
(mezzo-scopo) di un soggetto che utilizza qualcosa per suoi scopi privati, ponendosi nella posizione di
una terza persona verso un processo oggettivo. → produzione tecnica di artefatti, ogni azione sociale
efficiente, adeguata rispetto al suo scopo (per es. relazioni di scambio economico
 azione comunicativa e atteggiamento performativo: inquadrabile nello schema di un'interazione fra
diversi soggetti autonomi che s’intendono su come coordinare le loro azioni, senza costrizione e senza
inganno → la pratica clinica tradizionale rientra in questo quadro, perché si basa sul consenso almeno
virtuale dei soggetti cui si applica con obiettivi di terapia o prevenzione contro malattie
sono sostenute in genere da argomenti che spingono

a dissolvere le distinzioni fondamentali (eugenetica negativa-eugenetica positiva; manipolazione tecnicapratica clinica)

ad intaccare l’etica di genere, mettendo in pericolo il futuro della natura umana
contro questa tendenza Habermas non propone una condanna diretta delle tecniche in questione, ma di tenere ferme e
rafforzare, se non irrigidire le distinzioni concettuali che dalla nostra comune concezione morale, depositata nella nostra
forme di vita, rimandano ai principi dell’etica di genere, ancorata all’idea dell’indisponibilità della vita, a prescindere
dalla questione dell’attribuzione all’embrione lo status di persona giuridica, fornita di diritti inviolabili. Il principio da
far valere è quello della valorizzazione della vita umana in quanto tale, contro ogni suo uso strumentale; dunque non
superare i confini di una pratica clinica, cioè di un’azione condotta in atteggiamento comunicativo e non oggettivante
Questa posizione di Habermas presenta tutti i vantaggi e gli svantaggi delle teorie deontologiche basate sulla ricerca di
principi molto generali, con distinzioni molto chiare sul piano astratto, ma non facilmente applicabili senza controversie
ai casi concreti. L’approccio razionalistico, l’appello a principi generali è molto importante, ci aiuta ad arricchire
l’analisi di molti aspetti, spinge a cercare di rendere sempre più ampi e coerenti i nostri punti di vista, ma non aiuta
direttamente a scegliere l’azione o la regola giusta e a giudicare particolari situazioni.
Lo stesso Habermas prospetta la difficoltà di mantenere le distinzioni, a cominciare da quella tra interventi terapeutici e
migliorativi di fronte alle tecniche di rafforzamento delle difese immunitarie o a quelle che consentono di aumentare le
aspettative di vita. Ecco una lista possibile dei punti critici del razionalismo bioetico sostenuto da Habermas:
1. quanto alla tesi che il patrimonio genetico è modificabile solo in caso di mali estremi e
universalmente riconosciuti, perché si avrebbero buone ragioni per ritenere che l’interessato sarebbe
d’accordo. Ma che cosa o chi definisce la nozione di male estremo? Perché in questi casi si può
presumere un consenso anticipato del soggetto trattato? perché in questo caso non abbiamo paternalismo
e decisione unilaterale? non si tratta sempre di consenso presunto a partire da giudizi di valore di chi
prende la decisione terapeutica, senza sentire quelli del nascituro?
2. quanto al confine tra genetica positiva e negativa, si tratta di un punto molto delicato. Se non c’è una
distinzione netta, evidentemente l’impianto dell’argomentazione di Habermas viene molto indebolito,
dato che non si potrebbe giustificare la condanna delle genetica ‘positiva’; quanto meno non si saprebbe
come distinguere i casi in cui la manipolazione degli embrioni è moralmente approvabile da quelli in cui
non lo è. Saremmo sprovvisti di un criterio certo di giudizio.
3. a proposito del principio dell’eguale dignità delle persone, e della reversibilità di tutte le relazioni
umane; è applicabile alla relazione genitori-figli? No, perché altrimenti sarebbero ‘illegittime’ e
minaccerebbero allo stesso modo il sentimento di autonomia della prole tutte le scelte educative dei
genitori, in molti casi non meno irreversibili di quelle ‘genetiche’. La relazione genitori-figli non è mai
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simmetrica e l’accresciuto potere di scelta genetica non sarebbe mai così significativo, non
modificherebbe l’ordinaria dipendenza dei figli, tanto da minacciare in special modo il senso di
autonomia della prole ‘manipolata’, più di quanto non facciano altri ‘dati’ genetici o il passato stesso dei
genitori. Le controversie sulla difficoltà di applicare questo principio suggeriscono l’idea che
l’ingegneria genetica non pone in termini nuovi il problema delle scelte che i genitori fanno
unilateralmente sul futuro dei loro figli; tanto più che la componente genetica in generale, ed ancor più le
manipolazioni genetiche parziali avrebbero un ruolo molto limitato nel destino di una persona? Insomma
il messaggio-obiezione è: ridimensionare e deflazionare il carico di responsabilità della scelta dei
genitori, essendo la drammatizzazione dovuta a visione troppo determinista dei condizionamenti
biologici. Quanto allo status speciale che l’integrità genetica del nascituro avrebbe come bene
indisponibile, anche in questo caso la ‘drammatizzazione’ del problema deriva da un sottinteso
determinismo biologico, che porta ad esagerare le conseguenze di limitati interventi di ingegneria
genetica rispetto al quadro molto complesso della formazione della persona.
4. Habermas poggia quasi tutti gli argomenti sull’analisi degli effetti che la scoperta di essere
geneticamente ‘programmato’ avrebbe sul sentimento di autonomia morale del soggetto interessato.
L’argomento è a doppio taglio: perché il giovane dovrebbe contestare le scelte dei genitori solo nel caso
anche abbiano deciso interventi genetici e non anche nel caso opposto che essi, potendoli decidere li
abbiano tralasciati? Non solo sfruttare, ma anche tralasciare una possibilità è una scelta condizionante,
unilaterale ed irreversibile.
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