Ma quale editto di Milano…

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Ma quale
editto di
Milano…
Lectio magistralis
Prof. Marcello Racchini
Biblioteca del Carrobiolo
Monza
24 maggio 2013
Editto di Milano - 313 a.D.
Ma quale editto!
Questa nostra serata si apre con una domanda: «Quale Editto di Milano?». Anzitutto nel
senso più colloquiale che questo genere di domande può assumere, come dire: “Macché
Editto di Milano!”. Perché in effetti, e cercherò di dimostrarvelo a partire dai due testi che
abbiamo con noi stasera, da un punto di vista tecnico io credo che non si possa parlare di
un vero e proprio “editto”. E da qui allora si genera il secondo significato di questa
domanda, quello più “intellettuale”, più riflessivo: quale è il senso vero di questa data, di
questa ricorrenza? Cercherò di evidenziarlo al meglio delle nostre possibilità, perché
penso che capire il significato reale di ciò che successe a Milano nel 313 ci possa aiutare
a capire come quei fatti furono utilizzati dentro ad un contesto ben preciso, che è quello
della progressiva affermazione del Cristianesimo nell’Impero Romano, che ha portato alla
creazione di una cosa splendida e complessa che chiamiamo Civiltà Occidentale.
Un Impero in ristrutturazione
L’Editto di Milano (continuo a chiamarlo così per comodità) appartiene ad un momento
topico della nostra storia, che vorrei inquadrare con voi in maniera il più possibile chiara.
L’Impero di Roma è, attorno all’anno 313, reduce da un travaglio faticosissimo che ha
segnato la sua rinascita dopo un cinquantennio orrendo e pericolosissimo. Dal 235, anno
della morte di Severo Alessandro, fino al 284 alla guida dello Stato si sono alternati in
maniera violentissima almeno diciotto imperatori più o meno “legittimi”, quasi tutti nominati
dalle truppe. Alcuni di essi non si sono mai nemmeno presentati a Roma, non dico a
sedersi sul trono per amministrare l’Impero, ma nemmeno a ricevere l’omaggio del Senato
(che tradizionalmente, ma sempre più simbolicamente, è il detentore del potere, la
potestas) e l’investitura ufficiale. Questa debolezza del potere centrale ha portato ad una
serie di sollevazioni locali che in alcuno casi hanno addirittura dato vita a regni autonomi,
come l’Imperium Galliarum di Marco Cassiano Latinio Postumo1 e il Regno di Palmira di
Settimio Odenato e della sua incredibile moglie, la regina Zenobia2.
Nonostante il rischio di sfaldamento connesso all’anarchia, fu un periodo notevole per la
storia di Roma: molti di questi personaggi provenivano da classi e da regioni dell’Impero
che non avevano mai partecipato prima al potere - tra gli imperatori ci furono un arabo3, un
trace4, una serie di illirici5; le province su cui tradizionalmente si incentrava il potere, quelle
1
L’Imperium Galliarum fu un vero e proprio Stato indipendente, con magistrature e Senato proprio, che
controllava un territorio notevole esteso su tutta la Francia moderna, tutti i Pirenei e le isole Britanniche. Fu
creato nel 259 da un comandante militare che si era guadagnato la fiducia e l’appoggio incondizionato della
popolazione e dei notabili di quelle aree dell’Impero perché era stato in grado di difenderle dalle incursioni
dei barbari che venivano dalla frontiera renana, che in quel momento iniziava a dimostrare la sua fragilità. Le
regioni vennero ridotte definitivamente sotto il potere centrale di Roma solo con le campagne dell’Imperatore
Aureliano, culminate nel 274 con la presa di Lione.
2
Dal 262 a Odenato era stato riconosciuto dall’allora imperatore Gallieno il titolo di Corrector totius orbis. Il
generale non arrivò mai ad una rottura formale con Roma, ma in realtà godeva di una libertà di manovra tale
da poter essere considerato un vero e proprio re indipendente (si aggiunga che nel 263 gli venne
riconosciuto il titolo di Re dei Re, per contrapporlo a Shapur I di Persia). Odenato venne ucciso nel 268 con il
figlio Erodiano, e la moglie Zenobia (che rivendicava di discendere dal lignaggio regale dei Seleucidi, ma che
probabilmente era, in realtà, di origini ebraiche) diventò reggente per conto del figlio Vallabato. Nel 270
Zenobia conquistò l’Egitto e si mise in aperto contrasto con Roma, rivendicando l’indipendenza di un
territorio che si estendeva dalle coste libanesi del Mediterraneo al fiume Eufrate, dalla penisola anatolica al
Sinai. Il Regno di Palmira venne riconquistato all’Impero dal solito Aureliano nel 272.
3
Filippo l’Arabo (imperatore dal 244 al 249), originario di un villaggio a sud di Damasco (che egli, con
l’insensibilità estetica usuale nei parvenu, ribattezzerà Philippopolis). Durante il suo regno Roma celebra il
suo millenario, nel 248 d.C.
4
Massimino il Trace (235-238), figlio (stando a quanto ci dice la Historia Augusta) di un pastore goto e di
una alana, cioè due barbari germani. Ottenne la cittadinanza romana arruolandosi giovanissimo come
ausiliario e percorse tutta la carriera nell’esercito fino a diventare generale a forza di braccia, letteralmente:
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Occidentali, dell’Europa continentale, dovettero cedere buona parte della loro importanza
a quelle Orientali, sfatando definitivamente il giudizio estremamente negativo che su
queste incombeva sin dai tempi dell’avventura egiziana di Marco Antonio e della
propaganda di Augusto; il Senato vide il suo potere ridotto ai minimi storici (anche se molti
imperatori gli furono formalmente sottomessi); per la prima volta, proprio con il già
ricordato Odenato6, si arrivò a dichiarare una divisione formale del potere tra Occidente e
Oriente.
Tutti questi cambiamenti politici e sociali trovarono il loro massimo interprete nell’uomo
che cercò di restituire all’Impero un ordine, dandogli una sistemazione completamente
inedita, che tenesse conto di tutte le necessità emerse dal cinquantennio di anarchia del III
secolo e al contempo le risolvesse in una ritrovata unità: Caio Aurelio Valerio Diocleziano.
Militare di carriera, abilissimo politico, capace di ammazzare di sua mano tutti quelli che si
mettevano tra lui e il potere7, Diocleziano fu anche un amministratore accorto e tentò una
decisa rivoluzione dello Stato. Conscio della impossibilità di governare da solo un territorio
che andava dal Mare del Nord all’Africa sahariana e dalle Colonne d’Ercole all’Eufrate,
lucidamente consapevole del dissesto finanziario delle casse imperiali8, sinceramente
preoccupato per le sorti di un Impero che considerava (per quanto egli non fosse un dotto
conoscitore della tradizione classica) l’unica civiltà in grado di opporsi alla barbarie
semiferina dei Germani e alle mollezze decadenti dei Persiani, Diocleziano mise mano alla
struttura del potere, alla società e all’economia con una serie di provvedimenti che
produssero un vero e proprio cambiamento di paradigma.
Egli ebbe il coraggio di sistemare l’annoso problema dell’amministrazione provinciale, che
si era rivelata farraginosa soprattutto per via della gestione fortemente clientelare,
mantenuta in essere dalla classe senatoriale che vi attingeva a piene mani terre, potere e
occasioni di arricchimento. Diocleziano ridusse l’estensione media delle province,
aumentandone il numero, le ridistribuì secondo una organizzazione più razionale, istituì le
dodici diocesi come suddivisioni intermedie, e affidò l’amministrazione ad una classe di
burocrati che rispondevano solo all’Imperatore o, al più, al suo consiglio ristretto.
Si associò nel comando militare e civile altri tre militari, dando vita all’istituto della
Tetrarchia: egli stesso mantenne una posizione di preminenza, occupando il posto di
Augusto Iovio e riservandosi il governo della pars Orientis, e associò a sé Massimiano, un
altro abilissimo generale, con il titolo di Augusto Erculeo, destinandogli il controllo della
pare fosse un colosso capace di spaccare pietre e sradicare alberi a mani nude, o di spezzare gli stinchi ad
un cavallo con un solo calcio.
5
Aurelio Probo, Aurelio Caro, Lucio Domizio Aureliano.
6
Cfr. nota 2.
7
E di inventarsi poi la storia di una profezia ricevuta per bocca di una vecchia druidessa celta, che gli
avrebbe predetto che sarebbe diventato imperatore dopo che avesse ucciso il cinghiale. Ci racconta
Vopisco, uno degli autori della Historia Augusta, che la vecchiaccia gli avrebbe detto: “Imperator eris cum
aprum occideris”, e Aper (che in latino significa “cinghiale”) era il nome del Prefetto del Pretorio
dell’Imperatore Aurelio Caro. Alla morte di Caro, anche il figlio Numeriano, erede della dignità imperiale,
sparì misteriosamente dalla circolazione e venne trovato morto nella sua portantina qualche giorno dopo.
Diocleziano, capo della sua guardia personale, accusò Apro di aver complottato per ottenere il potere, lo
uccise nel campo senza attendere il processo e poi accettò il titolo imperiale che gli fu conferito dalle truppe
per ringraziarlo.
8
Le tasse, fin dalla dinastia dei Severi, erano state investite sempre di più nel le paghe regolari e nei
donativi straordinari agli eserciti e in accordi con i barbari sul limes reno-danubiano e con i Sasanidi in
Mesopotamia. Il gettito fiscale era stato fortemente indebolito dall’evasione fiscale di moltissimi ricchi
senatori che si erano asserragliati nelle loro villae di campagna, e, nell’Europa continentale, avevano
sostenuto i secessionisti dell’Imperium Galliarum; dalla ridotta produttività delle terre, sottoposte all’assalto
continuo dei Germani; dalla scarsità di manodopera, dovuta alla fame, alle ricorrenti carestie e alle
pestilenze.
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pars Occidentis. Nominò poi due assistenti, i Cesari, nella persona di Galerio e Costanzo
Cloro, in modo che i detentori del potere riuscissero ad essere presenti in maniera
continuativa negli scenari più critici. Il sistema era progettato anche per porre rimedio al
proliferare delle lotte dinastiche: i due Cesari, all’atto dell’abdicazione degli Augusti,
sarebbero subentrati al loro posto, nominando altri due Cesari che si sarebbero preparati
a gestire in seguito il potere.
Dal punto di vista economico e sociale Diocleziano introdusse una serie di riforme volte a
stabilizzare le entrate del fisco (e già l’intervento sulla burocrazia andava in questo senso)
e nel 301 promulgò un Edictum de maximis pretiis rerum venalium, con cui intendeva
bloccare l’aumento dei prezzi causato da una diffusa sfiducia nell’uso della moneta, che
ormai aveva un tenore di metallo prezioso ridottissimo; impose nuovi censimenti per
accertare le proprietà, le rendite, gli introiti dei professionisti; introdusse nuove aliquote e
nuove tasse9; pianificò le revisioni del censo ogni cinque e poi ogni quindici anni; arrivò
persino all’obbligo di ereditarietà delle professioni per evitare che qualcuno si sottraesse al
fisco con la scusa che non possedevano nulla.
Naturalmente, in tutto questo, riformò l’esercito, modernizzandolo e rendendolo assai più
adeguato alle necessità di uno stato elefantiaco che doveva garantire la sicurezza alle
frontiere, più che progettare la propria espansione.
Se l’Impero non si accartocciò su se stesso alla fine del III secolo, ma sopravvisse per altri
due secoli in Occidente, e per altri dodici a Bisanzio, lo dobbiamo certamente alle novità
che introdusse in campo economico e militare. Le sue riforme in campo politico si
risolsero, alla fine, in un nulla di fatto, e quelle in campo sociale in una vero e proprio
disastro.
È anche una questione di fede
Il lato più debole della resitutio imperii tentata da Diocleziano fu il suo approccio alla
questione sociale, che passava, all’epoca, per il campo della religione.
Egli pensava che, per restituire all’Impero il suo antico splendore, occorresse rivalutare
quel formidabile collante sociale che per secoli era stato il culto ufficiale della religione di
Stato.
Sin dalla mitica fondazione della città da parte dei due gemelli, la religione romana si era
configurata come una realtà squisitamente politica10; nel corso della storia di Roma questo
concetto fu chiarissimo tanto ai teorizzatori della politica - come Cicerone, che sosteneva
che la religione fosse anzitutto uno strumento di potere11 -, sia agli imperatori, a partire
dallo stesso Ottaviano Augusto che non tralasciò di associare la propria sacralità di Divi
Filius a quella della città, che assunse la carica consolare di Pontifex Maximus a vita nel
9
Tra cui anche l’annona, una tassa in beni naturali di prima necessità che servivano a sfamare l’esercito;
tutta la tassazione, inoltre, venne estesa anche all’Italia (fatta eccezione per la città di Roma e i suburbi),
eliminando un privilegio secolare della Penisola che era stata fin qui il “cuore” dell'Impero.
10
Tutto il racconto della fondazione della città è legato ad aspetti religiosi, a partire dalla sfida aruspicina dei
due fratelli, fino alla morte di Remo, che si configura come un vero e proprio sacrificio umano che appaga le
divinità del luogo fisico in cui viene tracciato il solco. Si veda A. Carandini, Roma. Il primo giorno, Bari,
Laterza, Universale Economica, 2009, pag. 25: “una fondazione implicava […] non già un’attuazione
urbanistica, ma una serie di atti cerimoniali augurali e di interdizione sacrali che hanno tradotto nel suolo e
negli uomini una volontà di potenza espressasi sin dall’origine con caratteri che potremmo dire «moderni» giuridici, politici, statali, costituzionali -, mascherati ma non negati da istituzioni sacre e sante. Per questo il
21 aprile di un anno intorno al 750 a.C. è una data importante, in quanto giorno della cerimonia iniziale, che
ha inaugurato culti, riti e istituzioni poste per la prima volta in luoghi pubblici, per svolgere funzioni centrali,
non più solo domestiche, rionali o distrettuali”.
11
Definisce bene l’argomento la conclusione a cui giunge Cotta nel terzo libro de Natura Deorum: la religio è
uno strumento per mantenere l’ordine e la pace sociale, poiché contrasta la perturbatio vitae et magna
confusio. Si veda in proposito Robert Schilling Cicerone. Il pensiero teologico, in Yves Bonnefoy (a c. di),
Dizionario delle mitologie e delle religioni, trad. it. Rizzoli, Milano 1989, vol. I, pp. 265-268.
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12 a.C.12 e che fu sempre sollecito nel sostenere i collegia sacerdotali della religione
tradizionale, avocandone a sé il controllo assoluto. L’Impero stesso non fu mai avverso ai
culti stranieri, a patto che si integrassero con quelli ufficiali, e che tutte le religioni
invocassero le rispettive divinità anzitutto allo scopo di proteggere Roma e di sostenerne
l’opera di pacificazione e civilizzazione del mondo13.
La religio romana è stata spesso descritta come un contratto, riassumibile nella famosa
formula do ut des: lo Stato attribuisce il culto, l’onore e i sacrifici agli dei (secondo le regole
e le forme note ai pontifices e amministrate dai collegi sacerdotali) affinché essi diano, in
cambio, pace (pax deorum), ordine sociale (concordia civium), preservazione dello Stato
(salus Rei Publicae e, dopo la risistemazione di Ottaviano, salus Imperii).
Ma una religione di Stato che fosse, appunto, una mera faccenda di politica non poteva di
certo soddisfare le esigenze profonde dei cittadini, né tra il popolo né tra le élite più
acculturate. Già Cicerone, nello stesso libro terzo del de Natura Deorum, arrivava a dire
chiaramente che la definizione della divinità è faccenda spinosa, e che essa deve essere
concepita in modo assai diverso da quelle specie di superman attaccabrighe che i miti
antichi avevano tramandato14. E nei quattro secoli che separano Cicerone da Costantino
questa idea si espanderà in maniera irreversibile in tutta la società e la cultura di Roma: a
livello delle élite con l’approfondimento filosofico della scuola stoica romana 15 e a livello
popolare attraverso la progressiva penetrazione nell’Impero di una serie di religioni
soteriologiche di origine orientale che, soprattutto nel III secolo, si diffonderanno per ogni
dove16.
Naturalmente, dal punto di vista dello Stato, valeva il solito principio: i culti che non si
conformassero alle modalità espresse dal mondo romano sarebbero stati ritenuti una
minaccia alla pace e all’ordine, cioè all’Impero, cioè alla sua missione di civilizzazione del
mondo.
Era la missione a cui teneva tanto anche Diocleziano, e che gli stava riuscendo, sullo
scorcio del IV secolo, tutto sommato, soltanto a metà: la riforma delle province andava a
regime; l’esercito era una macchina ben oliata; i suoi collaboratori erano efficienti, efficaci
e solidali al suo progetto. L’aspetto più critico e preoccupante della renovatio Imperii era
però l’ampio scontento popolare, generato soprattutto dall’inasprimento della tassazione,
dall’irrigidimento sociale e dal tragico fallimento delle riforme monetarie. L’editto sui prezzi,
lungi dal fermare l’inflazione, l’aveva anzi aggravata, perché nei mercati - dove gli agenti
del fisco controllavano i prezzi all’ingrosso e al dettaglio - la merce scarseggiava, mentre si
vendeva sottobanco a prezzo assai più alto di quello stabilito per legge. E così i contadini,
i piccoli proprietari, gli imprenditori, che pagavano imposte sempre più alte, si ritrovavano
senza il denaro per poter acquistare beni di prima necessità. E un po’ si arrangiavano
12
Da qui in poi la carica sarà appannaggio esclusivo degli imperatori fino a Graziano (375-383), che vi
rinunciò (nel 376) in quanto fervente cristiano.
13
È il destino di Roma, espresso a perfezione nelle parole di Anchise, il padre del suo mitico fondatore
Enea: tu regere imperio populos, Romane, memento / (hae tibi erunt artes), pacique imponere morem, /
parcere subiectis et debellare superbos (Aeneis, VI, 851-853). E non è un caso che Virgilio ponga questa
profezia sulla bocca di un’anima che ormai si gode la beatitudine nei Campi Elisi: ci troviamo, di nuovo, di
fronte ad una dinamica espressamente religiosa.
14
«La divinità stessa, tale quale noi la concepiamo, non può essere pensata che come uno spirito autonomo
e libero, libero da qualsiasi aggregato caduco, che conosce tutto e muove tutto, dotato com’è esso stesso di
movimento eterno» (de Nat. Deor. 3,92).
15
Che conterà tra i suoi grandi maestri, oltre a Seneca, anche l’Imperatore Marco Aurelio e il suo schiavo,
Epitteto.
16
Mitraismo, manicheismo persiano, culto di Iside, un certo giudaismo aperto alla predicazione e
all’accoglienza (moderata, s’intende) dei “gentili”, cristianesimo.
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come potevano, un po’ protestavano, un po’ alzavano la voce e il livello dello scontro.
Addio concordia civium.
Come già altri imperatori prima di lui, Diocleziano non trovò di meglio che accusare le
religioni diverse da quella tradizionale di avere minato la pax deorum, mettendo a rischio
la salus Imperii. Nel 297 emanò un editto che perseguitava i Manichei, per il crimine di
avere innovato le tradizioni. Nel 303, a Nicomedia di Bitinia, su consiglio della sua anima
nera, il Cesare Galerio, ne emanò uno analogo che accusava i Cristiani.
Dov’è finito Costantino?
In effetti, tutta questo discorso ci serviva per inquadrare al meglio la figura di Costantino, e
soprattutto il suo intervento in questa intricata situazione.
Flavio Valerio Aurelio Costantino è il figlio di Costanzo Cloro, Cesare erculeo per
l’Occidente, agli ordini di Massimiano. Nato dalla relazione con Elena, una donna umile17
originaria della Bitinia, fu allevato alla corte di Diocleziano a Nicomedia e con lui percorse
tutta la carriera militare fino a i gradi più alti. Nel 305, quando Diocleziano e Massimiano
abdicarono, Galerio e Costanzo Cloro divennero Augusti e nominarono Cesari Massimino
Daia e Flavio Severo18. Costantino raggiunse il padre in Britannia e lo assisté in una serie
di campagne militari; un anno dopo Costanzo Cloro moriva e l’esercito acclamava Augusto
d’Occidente non Severo, come avrebbe dovuto, ma Costantino, mandando all’aria il
sistema di successione così attentamente architettato da Diocleziano.
Seguì un ventennio di lotte intestine che vide contrapporsi imperatori legittimamente
riconosciuti, usurpatori (Massenzio, il figlio di Massimiano), ex Augusti pensionati che
rientrano in gioco (Massimiano, prima alleato del figlio, poi di Costantino, poi
rovinosamente per sé stesso), e nuovi personaggi introdottisi sfruttando i torbidi del
momento, come Licino19. Qui ci basterà ricordare che nel 310 la situazione della
Tetrarchia si era talmente complicata che detenevano il titolo di Augusto ben quattro
imperatori ufficiali - Galerio, Massimino Daia, Costantino e Licinio - e l’usurpatore
Massenzio, a Roma. Costantino alla fine ne uscirà vincitore e unico sovrano, dopo che nel
324 avrà sconfitto l’ultimo rivale, Licinio20.
In tutta la sua vita Costantino sarà chiaramente e con decisione al fianco dei cristiani, che
lo ricambieranno favorendolo in tutte le sue battaglie politiche e sostenendolo nelle
campagne militari, certi di avere in lui, se non un fratello, almeno un cugino: Costantino
non era cristiano, ma sua madre sì; suo padre, Costanzo Cloro, non era cristiano, ma
seguace, come moltissimi militari, del Sol Invictus, un culto orientale che si era affermato
sotto l’Imperatore Aureliano, e che si era fuso con quello di Mithra, divinità iranica già nota
nel Mediterraneo orientale a partire dal II secolo a.C., che nel mondo ellenistico era stata
sovrapposta al dio Apollo – Helios, e quindi si prestava bene all’identificazione con il Sol
Invictus. Insomma, anche Costanzo era un monoteista e praticava una religione che non
era quella biecamente “economicistica” dell’Impero, ma aveva una dimensione più
spiccatamente etica e soteriologica, esattamente come il cristianesimo.
Secondo molti studiosi già Costanzo mostrò una spiccata tendenza alla tolleranza verso i
cristiani: non è un caso che le persecuzioni che seguirono l’Editto del 303 non ebbero in
Occidente la stessa intensità che dimostrarono in Oriente21. Di questo insegnamento
17
Ambrogio, in de Obitu Theodosii XIII ci dice che era una stabularia, cioè una locandiera.
18
Escludendo dalla successione Massenzio, figlio di Massimiano, e Costantino.
19
Che nel 313 troviamo al fianco di Costantino nella vicenda dell’Editto.
20
Che farà poi uccidere l’anno successivo, accusandolo di un peraltro fantomatico complotto.
21
La persecuzione di Diocleziano in Occidente si esaurì, in pratica, già nel 305, con l’abdicazione degli
Augusti. Cfr. Simon - Benoit, Giudaismo e cristianesimo. Una storia antica, Laterza 2005, pagg. 104-112; si
vedano in particolare i calcoli delle vittime delle persecuzioni, che ammettono circa 3000 morti per l’Oriente e
500 per l’Occidente: un rapporto di 6 a 1 che chiarisce bene la differenza.
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avrebbe fatto tesoro il figlio, associandolo ad una robusta dose di intelligenza politica e ad
una non comune capacità di fiutare il vento della novità.
Un editto che non è un editto
Costantino sconfisse nel 312 Massenzio, nella battaglia presso il Ponte Milvio in cui gli
apparve il “segno” del Cristo; l’usurpatore figlio di Massimiano si era installato a Roma e
aveva iniziato una politica di ritorno alla antica grandezza, che però non disdegnava di
appoggiare i cristiani, perché perseguitati dal suo più acerrimo nemico, l’Augusto
Galerio22. In quell’occasione anche Costantino aveva sfruttato la religione come elemento
di propaganda, opponendo alle antiche divinità i nuovi culti cui erano fedeli i legionari, non
ultimo (ma nemmeno unico) quello cristiano: il “segno” che vide in cielo e che poi diventerà
il cristogramma è a tutti gli effetti compatibile con il simbolo solare del dio Helios/Mitra 23,
assai venerato dai suoi soldati.
Dalla fine di gennaio del 313 Costantino e Licinio, ambedue Augusti, sono a Milano, una
delle capitali imperiali, per rinforzare la loro alleanza 24 contro quel Massimino Daia che in
Oriente continuava a perseguitare i cristiani, in applicazione delle leggi di Diocleziano, ma
soprattutto dei suoi fini politici.
È in questo particolarissimo frangente, in cui lo scontro politico si serve in maniera
organica della propaganda religiosa, che Costantino convince il cognato a riammettere i
cristiani alla vita dell’Impero in Oriente dopo un decennio di persecuzioni, riconoscendo
alla loro religione lo status di liceità. E che di accordo privato si tratti lo dimostrano altridue
fatti:
1. in primis, un (vero) editto sull’argomento era stato emesso due anni prima (il 30 aprile
del 311, per la precisione), con tutti i sacri crismi della giurisprudenza, dall’Augusto
Galerio a Nicomedia di Bitinia, capitale dell’Oriente. Perché mai i due cognati
avrebbero dovuto duplicare una legge che avevano già accettato25?
2. in secundis, Licinio, rientrato in Oriente per difendersi da una aggressione di
Massimino Daia, emana delle circolari ai suoi burocrati con cui rende operative le
decisioni di Milano, mentre Costantino non emana nemmeno quelle - perché
evidentemente non ritiene che in Occidente ci sia bisogno di ribadire qualcosa che è
già chiaro da tempo.
I testi dell’editto di Galerio e delle lettere di Licinio ci sono stati conservati dai due degli
autori più importanti che ci parlano di questo periodo: Lattanzio ed Eusebio di Cesarea26, e
su di loro mi soffermerò tra poco per cercare di capire che cosa abbiamo davvero per le
mani.
22
M. Simon - A. Benoit, cit., pag. 107; si veda anche G.M. Vian, Dai cimiteri al potere temporale: note sulle
origini della proprietà ecclesiastica in Vetera Christianorum 42 (2005), pagg. 307-316 in cui si chiarisce che
la politica di restituzione dei beni alle Chiese romane, ormai non più perseguitate, era già in atto negli ultimi
due anni di regno di Massenzio.
23
Si veda in proposito J. Moreau, Sur la vision de Constantin (312), in Revue des Études Antiques, LV,
1953, pagg. 307 ssgg. La visione di Costantino è una questione tra le più trattate dagli studiosi del tardo
antico: si veda la rassegna critica L’imperatore Costantino alle radici dell’Europa? curata da Vittorino Grossi
su
http://www.vatican.va/roman_curia/pont_committees/scienstor/it/attivita/Doc/Vittorino%20Grossi%20%20Costantino.pdf
24
Anche grazie al matrimonio tra Licinio e la sorella di Costantino, Costanza: cfr. E. Horst, Costantino il
grande, Milano Bompiani 2009, pagg. 178 ssgg.
25
Visto che Galerio all’epoca godeva di una sorta di preminenza che gli derivava dall’essere l’unico Augusto
legittimamente succeduto al suo predecessore, e che gli permetteva di far valere le sue decisioni anche sui
territori controllati da altri.
26
Rispettivamente: l’editto del 311 in Lattanzio, De mortibus persecutorum XXXIV e in Eusebio Historia
Ecclesiastica VIII,17,3 ssgg.; le lettere di Licinio in Lattanzio, cit., XLVIII e in Eusebio, cit., X,5.
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Le Fonti del Diritto nella Roma imperiale
Prima, però, mi corre l’obbligo di una precisazione giuridica a proposito delle fonti del
diritto romano, che ci aiuterà a dirimere meglio la questione.
Dunque, tecnicamente l’editto è uno dei modi con cui nella Roma imperiale si promulgano
le leggi. Non ha un fondamento costituzionale chiaro, anche se secondo Gaio la
legittimazione di questa prassi sarebbe nella Lex de Imperio Vespasiani27. Papiniano
include gli edicta tra le fonti del diritto, che possono essere di due tipi a seconda che siano
di carattere generale o particolare.
Le norme a carattere generale sono Edicta e Mandata. I primi sono rivolti a tutti gli abitanti
dell’impero, hanno effetto immediato e duraturo; i secondi sono istruzioni inviate
dall’Imperatore agli alti funzionari locali (che poi ne devono ricavare norme valide per i
territori a loro affidati).
Le norme a carattere particolare sono dette Decreta e Rescripta. Le prime sono sentenze
di su liti in corso in cui i contendenti abbiano fatto appello all’Imperatore in persona; le
seconde sono pareri espressi dall’Imperatore su punti controversi, che gli venivano
sottoposti da funzionari locali; di solito venivano espressi sul retro della lettera (Epistula)
del richiedente (da qui il nome: letteralmente “riscritti”, cioè “risposte”).
Lattanzio: de Mortibus Persecutorum
Lattanzio era un intellettuale latino, nato nel nord Africa da famiglia pagana e convertitosi
al cristianesimo in età adulta. Uomo di squisita cultura, era stato chiamato alla corte di
Nicomedia da Diocleziano per insegnare retorica. Nel periodo immediatamente seguente
al 311 scrisse questo libro, che racconta, in termini spesso pittoreschi e molto crudi, la
morte di tutti coloro che hanno perseguitato i cristiani, da Nerone fino Massimino Daia. Il
testo che ci interessa, quello sull’editto di Milano, è al capitolo 48, e recita:
(1) Non molti giorni dopo la vittoria Licinio, avendo preso a suo servizio una parte dei soldati e averla
distribuita propriamente, spostò il suo esercito in Bitinia, ed essendo entrato in Nicomedia ringraziò
Dio, grazie al cui aiuto aveva vinto; e alle idi di giugno, mentre lui e Costantino erano consoli per la
terza volta, emise le seguenti lettere per la restaurazione della Chiesa, diretta al governatore delle
province: "(2) Quando noi, Costantino e Licinio imperatori, ci siamo incontrati a Milano e abbiamo
discusso riguardo al bene e della sicurezza pubblica, ci è sembrato che, tra le cose che potevano
portare vantaggio all'umanità, la reverenza offerta alla Divinità meritasse la nostra attenzione
principale, e che fosse giusto dare ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che a
ciascuno apparisse preferibile; così che quel Dio, che è seduto in cielo, possa essere benigno e propizio
a noi e a tutti quelli sotto il nostro governo. (3) Abbiamo quindi ritenuto una buona misura, e consona
a un corretto giudizio, che a nessun uomo sia negata la facoltà di aderire ai riti dei Cristiani, o di
qualsiasi altra religione a cui lo dirigesse la sua mente, cosicché la Divinità suprema, alla cui
devozione ci dedichiamo liberamente, possa continuare ad accordarci benevolenza e favore. (4) Di
conseguenza vi facciamo sapere che, senza riguardo per qualsiasi ordine precedente riguardante i
Cristiani, a tutti coloro che scelgono di seguire tale religione deve essere permesso di rimanervi in
assoluta libertà, e non devono essere disturbati in alcun modo. (5) E crediamo che sia giusto ribadire
che, tra le cose affidate alla tua responsabilità, l'indulgenza che abbiamo accordato ai Cristiani in
materia religiosa è ampia e senza condizioni; (6) e che tu capisca che allo stesso modo l'esercizio
aperto e tranquillo della propria religione è accordato a tutti gli altri, alla stessa maniera dei Cristiani.
Infatti è opportuno per la stabilità dello stato e per la tranquillità dei nostri tempi che a ogni individuo
sia accordato di praticare la religione secondo la propria scelta; e su questo non prevediamo deroghe,
per l'onore dovuto a ogni religione. (7) Inoltre, per quanto riguarda i Cristiani, in passato abbiamo dato
certi ordini riguardanti i luoghi di cui essi si servivano per le loro assemblee religiose. Ora
desideriamo che tutte le persone che hanno acquistato simili luoghi, dal fisco o da chiunque altro, li
restituiscano ai Cristiani, senza per questo chiedere denaro o un altro prezzo, e che questo sia fatto
senza esitazione. (8) Desideriamo anche che quelli che hanno ottenuto qualche diritto su questi luoghi
come donazione, similmente restituiscano tale diritto ai Cristiani: riservando sempre il diritto a
27
La legge del 70 d.C. con cui questo imperatore per la prima volta regolamentava i diritti e doveri reciproci
del Princeps e del Senato: cfr Gaio, Insitutiones I,5
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Editto di Milano - 313 a.D.
costoro, che hanno acquistato per un prezzo o ricevuto gratuitamente, di fare domanda al giudice del
distretto per ottenere un bene equivalente dalla nostra benevolenza. Tutti quei luoghi devono, in virtù
del tuo intervento, essere restituiti ai Cristiani subito e senza indugio. (9) E dato che sembra che, oltre
ai luoghi dedicati ai riti religiosi, i Cristiani possedessero altri luoghi che non appartenevano a singole
persone ma alla loro comunità, ovvero alle loro chiese, tutte queste cose vogliamo che siano comprese
nella legge espressa qui sopra, e desideriamo che siano restituite alla comunità e alle chiese senza
esitazione né controversia: sempre restando ferma la possibilità, da parte di quelli che restituiscono
senza domandare prezzo, di chiedere un'indennità affidandosi alla nostra benevolenza. (10) Nel
mettere in pratica tutto ciò in favore dei Cristiani, dovrai usare la massima diligenza, affinché i nostri
ordini siano eseguiti senza indugio, e soddisfatto il nostro obiettivo di assicurare la tranquillità
pubblica. (11) E così possa il favore divino, di cui abbiamo già goduto negli affari della più grave
importanza, continuare ad accordarci il successo, per il bene della cosa pubblica. (12) E affinché
questo editto sia noto a tutti, desideriamo che facendo uso della tua autorità tu faccia sì che sia
pubblicato ovunque".
In buona sostanza dice che Lattanzio (in Oriente, quindi) mandò delle lettere (litteras, che
è molto simile ad Epistula) ad un funzionario (come fosse un mandatum) indicato al
singolare (ad praesidem). Questo funzionario è, a mio avviso, il Governatore della Bitinia,
di stanza a Nicomedia, che è la località dove Licinio si conduce una volta partito da
Milano, per prepararsi ad affrontare Massimino Daia.
Quindi: del famoso “editto” non c’è traccia in Lattanzio, né esplicitamente né
implicitamente, perché i termini che egli utilizza sono tutti lontani dal significato che
abbiamo visto si attribuiva a quella parola dal punto di vista legale. Qui – ma non è
nemmeno dato capirlo con certezza – c’è forse un mandatum, se non addirittura una
epistula, sollecitata dal Governatore della Bitinia alla luce della evoluzione recente dei
fatti: l’editto di Galerio (e quello sì che era vero, perché lo abbiamo anche in fonti
giuridiche indipendenti dalla polemica cristiana contro i persecutori!) era stato emanato
solo sei giorni prima della morte dell’Imperatore, e qualche funzionario più zelante di altri
nella persecuzione poteva anche pensare di impugnarlo.
Eusebio: Historia Ecclesiastica
Eusebio era un sacerdote della città di Caesarea Maritima, in Palestina, che divenne poi
vescovo di quella sede dopo il 313. Anch’egli dottissimo, erede (per quanto non diretto)
degli insegnamenti del grande Origene, è considerato il padre della storia del
cristianesimo e della Chiesa proprio in virtù di quell’opera in cui ci racconta le vicende del
313 e ci riporta il testo del nostro “editto”: l’Historia Ecclesiastica.
(A) Ma citiamo infine anche le traduzioni fatte dal latino delle costituzioni imperiali di Costantino e di
Licinio: “Già da tempo, considerando che non deve essere negata la libertà di culto, ma dev’essere
data all’intelletto e alla volontà di ciascuno facoltà di occuparsi delle cose divine, ciascuno secondo la
propria preferenza, avevamo ordinato che anche i cristiani osservassero la fede della propria setta e del
proprio culto. Ma poiché pare che furono chiaramente aggiunte molte e diverse condizioni in quel
rescritto in cui tale facoltà venne accordata agli stessi, può essere capitato che alcuni di loro, poco
dopo, siano stati impediti di osservare tale culto. Quando noi, Costantino Augusto e Licinio Augusto,
giungemmo sotto felice auspicio a Milano ed esaminammo tutto quanto riguardava il profitto e
l’interesse pubblico, tra le altre cose che parvero essere per molti aspetti vantaggiose a tutti, in primo
luogo e soprattutto, abbiamo stabilito di emanare editti con i quali fosse assicurato il rispetto e la
venerazione della Divinità: abbiamo, cioè, deciso di dare ai cristiani e a tutti gli altri libera scelta di
seguire il culto che volessero, in modo che qualunque potenza divina e celeste esistente possa essere
propizia a noi e a tutti coloro che vivono sotto la nostra autorità. Con un ragionamento salutare e
rettissimo abbiamo perciò espresso in un decreto la nostra volontà: che non si debba assolutamente
negare ad alcuno la facoltà di seguire e scegliere l’osservanza o il culto dei cristiani, e si dia a ciascuno
facoltà di applicarsi a quel culto che ritenga adatto a se stesso, in modo che la Divinità possa fornirci
in tutto la sua consueta sollecitudine e la sua benevolenza. Fu quindi opportuno dichiarare con un
rescritto che questo era ciò che ci piaceva, affinché dopo la soppressione completa delle condizioni
contenute nelle lettere precedenti da noi inviate alla tua devozione a proposito dei cristiani, fosse
abolito anche ciò che sembrava troppo sfavorevole ed estraneo alla nostra clemenza, ed ognuno di
coloro che avevano fatto la stessa scelta di osservare il culto dei cristiani, ora lo osservasse liberamente
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Editto di Milano - 313 a.D.
e semplicemente, senza essere molestato. Abbiamo stabilito di render pienamente note queste cose alla
tua cura perché tu sappia che abbiamo accordato ai cristiani facoltà libera e assoluta di praticare il loro
culto. E se la tua devozione intende che questo è stato da noi accordato loro in modo assoluto, deve
intendere che anche agli altri che lo vogliono è stata accordata facoltà di osservare la loro religione e il
loro culto – il che è chiara conseguenza della tranquillità dei nostri tempi – così che ciascuno abbia
facoltà di scegliere ed osservare qualunque religione voglia. Abbiamo fatto questo perché non sembri a
nessuno che qualche rito o culto sia stato da noi sminuito in qualche cosa. Stabiliamo inoltre anche
questo in relazione ai cristiani: i loro luoghi, dove prima erano soliti adunarsi e a proposito dei quali
era stata fissata in precedenza un’altra norma anche in lettere inviate alla tua devozione, se risultasse
che qualcuno li ha comprati, dal nostro fisco o da qualcun altro, devono essere restituiti agli stessi
cristiani gratuitamente e senza richieste di compenso, senza alcuna negligenza ed esitazione; e se
qualcuno ha ricevuto in dono questi luoghi, li deve restituire al più presto agli stessi cristiani.
Anzitutto, occorre ricordare che si tratta di un testo in greco, scritto da un vescovo di
cultura greca (e non da un funzionario amministrativo cresciuto nella tradizione della
giurisprudenza latina), che dovrebbe riportare fedelmente un testo giuridico latino.
Eusebio dice in 10.5.1 che va a presentare dei διάταξις che significa “comando, ordine”;
che però non è il termine tecnico διάταγμα, con cui si indicano propriamente gli editti28.
In 10.5.3 dice che c’è stato un decreto che ha dato libertà ai Cristiani (quello di Galerio? a
logica, dovrebbe essere così, ma Eusebio non lo dice chiaramente…), che era una
ἀντιγραφῇ, cioè letteralmente una “risposta”29; e poi in 10.5.6 insiste, usando il verbo
άντιγράφειν “rispondere per iscritto” quindi pare che stia parlando di un rescriptum. Ma
allora non sta parlando di quello promulgato da Galerio, che sappiamo essere un edictum!
In 10.5.6 dice “dopo la soppressione completa delle condizioni contenute nelle lettere
inviate precedentemente a proposito dei Cristiani”, il che significa che ci sono state delle
lettere (cioè delle epistulae), e c’è poi stata una loro cancellazione (usa ἀφαιρέω, il termine
giuridico che indica l’abolizione di una norma). Ma prima aveva parlato di “lettere” anche
per le norme che permettevano ai Cristiani di professare!
La situazione è complicatissima, al punto che non si capisce di cosa stia parlando.
Dell’attività di Galerio? o di ciò che è avvenuto tra il 311 e il 313? In 10.5.2 in effetti diceva
che era stato ordinato che i cristiani osservassero il loro culto (compatibilmente con l’Editto
di Galerio del 311), ma nel paragrafo successivo aggiungeva che poco dopo erano state
introdotte delle condizioni (αἱρέσεις), in un rescritto (ἀντιγραφῇ), che avevano impedito ai
cristiani di professare liberamente!
Anche questo testo è indirizzato alla seconda persona singolare, il che è più compatibile
con un mandatum (o una epistula), che con un edictum. La clausola finale, come in
Lattanzio, obbliga il destinatario a rendere pubblica la legge: quindi, pare proprio un
mandatum.
Ma al di là della classificazione a cui vogliamo arrivare: alla fine, tutta la dinamica di
questo testo è poco chiara, e utilizzarlo per affermare l’esistenza di una vero e proprio
editto emanato a Milano dai due cognati mi sembra davvero eccessivo. L’editto c’era già:
si sarà trattato, con ogni probabilità, di circolari che intendevano ribadirne la validità e
sollecitarne l’applicazione.
Il Cristianesimo e l’Impero
Resta da capire, allora, perché la tradizione cristiana ci abbia parlato di “Editto di
Costantino” e non, come dev’essere accaduto, di “Editto di Galerio”. In effetti ciò che è più
evidente, storicamente, è che la decisione di Costantino e Licinio di confermare l’Editto di
Galerio sia stato un momento importantissimo.
La corrispondenza con il lation edictum è nel Lexicon di Liddell – Scott; in effetti anche Girolamo, che trova
il termine in Ebr. 11,23, lo traduce con edictum.
29
Sempre secondo il Liddell – Scott, questo termine significa “rescritto, decreto imperiale”: dunque, una
Epistula.
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28
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Il cristianesimo all’inizio del IV secolo, sta mutando: nato in una regione marginale
dell’Impero, è rimasto setta interna al giudaismo sino alla fine del primo secolo 30; nel
secondo si è installato con sicurezza in tutte le città portuali del mediterraneo e ha raccolto
attorno a sé un numero notevole di fedeli appartenenti agli strati più bassi della società;
nel terzo secolo, anche grazie al periodo di tranquillità che gli studiosi chiamano “la piccola
pace della Chiesa”, si è espanso con sempre maggior sicurezza verso le campagne (più
“tradizionaliste” delle città) e le classi sociali medie e alte31. All’aprirsi del quarto secolo è
ormai ben consolidato, ha una sua dottrina precisa, un canone di scritture sacre e una
classe intellettuale preparata.
Ma questa avanzata trionfale non è andata esente da critiche e persecuzioni, incentrate
sulla incompatibilità tra il suo sistema rigorosamente monoteista e la cultura ellenisticoromana basata sul politeismo tradizionale, accusa che risale addirittura alla prima
predicazione paolina ai “gentili”32. La società cristiana ha reagito in due modi opposti: o
attaccando con violenza i pagani, o cercando il dialogo per dimostrare la continuità tra la
cultura classica e la nuova religione33. In generale, la prima strategia risulterà perdente:
già agli inizi del secondo secolo Giustino Martire34 aveva abbracciato in pieno la filosofia
pagana, ribaltandone completamente il significato e facendone una derivazione della
sapienza ebraica35. Ma anche questa operazione non era farina del suo sacco: egli
riprendeva le posizioni che erano già state di Filone di Alessandria, il primo vero
teorizzatore della fusione culturale tra l’oriente semitico e l’occidente ellenistico romano36.
Una nuova visione della Storia
La vicenda culturale della Chiesa si intreccia in maniera indissolubile con la storia politica
dell’Impero proprio nel quarto secolo. Il fallimento della persecuzione di Diocleziano
dimostra quanto il cristianesimo fosse ormai parte integrante della società, in cui «si era
fatto conoscere e rispettare, e aveva suscitato anche simpatie» 37. La nuova religione
30
Si fa risalire l’espulsione dei cristiani dall’ebraismo alle decisioni all'accademia rabbinica di Jamnia, che
attorno al 90 d.C aggiunse la Birkat haMinim (Benedizione sugli eretici, che occupa attualmente la posizione
numero dodici nella preghiera sinagogale tradizionale ed è rivolta contro coloro che accettano che il Messia
sia già arrivato) alla recitazione dello Shemone esre (letteralmente “diciotto”); in proposito si veda F. Manns,
Leggere la Mišnah, Paideia 1987, pagg. 61 ssgg.
31
Cfr. M. Simon - A. Benoit, cit., pagg. 78-81
32
Si veda la reazione dei filosofi ateniesi radunati sull’Areopago alle parole di Paolo in At. 17, 22-34.
33
Le due modalità convivono tranquillamente nello stesso periodo e nella stessa area, come dimostra il caso
di Tertulliano e Minucio Felice, autori nordafricani che nel secondo secolo scrivono opere apologetiche
completamente opposte: mentre il primo taccia la cultura pagana di barbarie e ignoranza, condannandola
tutta senza nessuna pietà all’oblio (in de Anima 23, 5 arriverà a definire Platone condimentarium omnium
haereticorum, che è un modo nient’affatto conciliante di catalogare uno dei più grandi filosofi dell’antichità),
Minucio inscena un sereno dialogo tra un cristiano e un pagano che si confrontano sui temi della vita e della
fede, addivenendo non alla conversione, ma ad un pacato e civile progresso nella reciproca conoscenza.
Per i due autori, si veda S. D’Elia, Letteratura latina cristiana, Jouvence 1982, pagg. 30 - 35 e 43 - 50.
34
Giustino fu martirizzato verso il 165, il che ci porta a collocare la sua opera in una fase alquanto antica,
l’inizio del secondo secolo d.C.: Simon - Benoit, cit., pagg. 86 e ssgg., S. D’elia, cit., pag. 20.
35
Giustino Martire, Apologia Prima 59: ἴνα δὲ καὶ παρὰ τῶν ἡμετέρων διδασκάλων λέγομενν δὲ τοῦ λογοῦ
τοῦ διὰ τῶν προφητῶν λαβόντα τὸν Πλάτονα μάθητε τὸ εἰπεῖν...
36
«[...] fu soprattutto sulla Chiesa nascente che operò la sua (scil. di Filone) influenza. Filone aprì la via alla
teologia cristiana». M. Simon - A. Benoit, cit., pag. 34. Ma nemmeno Filone può essere considerato il
fondatore di questo atteggiamento: nel giudaismo ellenistico in cui egli si formò erano già presenti moltissimi
degli orientamenti che permeano la sua attività intellettuale (e che passeranno poi agli autori cristiani): si
vedaνο P. Greot, Introduzione alla Bibbia, ed. Paoline 1987, pag. 331 e F. Manns, Leggere la Mishnà, pagg.
32 ssgg.
37
M. Simon - A. Benoit, cit., pag. 107.
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poteva esercitare una potente attrazione sulla politica, poiché veicolava grandi masse di
adepti38, che potevano avere un notevole peso: il gioco di sponda di Costantino e Licinio
per mettere nei guai Massimino Daia, che abbiamo visto sopra, non è che una delle
strategie in cui la religio venne coinvolta nel quarto secolo.
Ed è proprio a questo proposito che l’Editto di Milano ci si rivela come un errore giuridico,
ma anche come una assoluta verità culturale.
Le opinioni a proposito di Costantino sono moltissime e tra loro divergenti: andiamo dal
Burkhardt39 e tutti i suoi eredi, che lo dipingono come interessato solo al suo successo,
pronto a profittare dell’affermazione della nuova religione per i suoi scopi tutti materiali, a
chi, come lo Horst, lo ritiene sinceramente interessato al cristianesimo sin dall’inizio della
sua carriera, e poi sempre più coinvolto, anche ben al di là delle sue capacità intellettuali,
nelle vicende della Chiesa40. Quale che sia la verità, ciò che mi preme qui è sottolineare
come l’accordo del 313 abbia indubbiamente segnato uno spartiacque decisivo per la
storia della civiltà occidentale. L’alleanza tra Costantino e Licinio nel nome del
cristianesimo poté anche nascere come cruda operazione politica, ma finì per scappare di
mano ai suoi organizzatori e diventare qualcosa di infinitamente più importante.
Fino a questa data, la mentalità ellenistico romana dell’Impero aveva trionfato in maniera
incontestabile in tutta l’area del Mediterraneo: a partire dall’impresa del Macedone niente
aveva potuto resistere all’avanzata della cultura veicolata dalla lingua greca. Gli imperi più
grandi dell’epoca erano caduti, e non solo militarmente: civiltà antiche di millenni si erano
piegate all’ellenizzazione.
Dall’incontro di Milano, tutto cambia: il cristianesimo, religione di origine semitica, aderisce
in modo ormai indissolubile al mondo culturale ellenistico romano, e inizia a cambiarlo
dall’interno. Ma entrare in contatto con una civiltà così antica e potente significa anche
farsene in qualche misura cambiare: come osserva correttamente Peter Heather: «se
quello della cristianizzazione della società romana è indubbiamente un tema di grande
rilevanza, altrettanto importante [...] è quello della romanizzazione del cristianesimo» 41.
L’incontro di Milano del 313 è il momento in cui vengono stabilite delle garanzie giuridiche
per questa operazione culturale, che è incominciata ben prima (abbiamo già parlato di
Giustino Martire) e che continuerà, senza alcuna soluzione di continuità, per tutto il Tardo
Antico e l’Alto medioevo, fino alla riscoperta della classicità nel quattrocento umanistico e
alla sua affermazione nel Quattrocento.
Gli operatori principali di questo reciproco adattamento di mondo ellenistico-romano e
cristianesimo furono ovviamente gli intellettuali più in vista dell’epoca: quelli che ci hanno
lasciato un commento quasi immediato degli avvenimenti, che hanno tentato per primi una
interpretazione dei tempi in cui vivevano, i cui testi sono un esempio della estrema
complessità e delicatezza di una operazione del genere, e che vale quindi la pena di
approfondire sempre di più per chiarirci quali sono le dinamiche che hanno dato vita alla
nostra civiltà.
Prendiamo Eusebio: il vescovo di Cesarea non era uno storico come noi lo intendiamo
oggi, né come lo intendeva la cultura ellenistico-romana in cui egli si era formato. Ancora
oggi, a detta di molti, non è per nulla affidabile 42. Ed è verissimo: ma la questione è che a
lui non interessa la storia come la vedevano gli storici antichi e come la vediamo noi
moderni. Per lui la Storia va letta in un altro senso: un sovra-senso, a tutti gli effetti. Che
38
M. Simon - A. Benoit, cit., pag. 72-81.
39
J. Burkhardt, L'età di Costantino il grande, Biblioteca di storia patria 1970.
40
Horst, cit., passim. Si veda anche H. Brandt, L’epoca tardoantica, il Mulino 2005, pagg. 19 ssgg.
41
P. Heather, La caduta dell’Impero Romano, Garzanti 2008, pag. 163.
42
In primis il Burkhardt, che lo reputava «il primo storico interamente disonesto dell'antichità»: cfr. E.
Percivaldi, Fu vero editto? Costantino e il cristianesimo tra storia e leggenda, Ancora 2012 pag. 51.
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non è una modalità di interpretazione del tutto sconosciuta al mondo ellenistico-romano,
ma è certamente il cuore della “storiografia” biblica e del modo ebraico, che emerge
chiaramente dalla lettura del sogno di Nabuccodonosor nel Libro di Daniele 43: la storia è
una linea obliqua che tende verso l’alto44. Non più una storiografia, dunque, ma una vera e
propria teologia della storia. Quindi, quando Eusebio ci parla di un Editto di Milano, non
conta, per lui, se ci sia stato o meno un vero e proprio editto con tutti i crismi del diritto di
Gaio e di Ulpiano, ma quale sia la radice teologica di quel fatto, di quell’incontro, di quelle
decisioni intercorse tra i due cognati.
E questa radice è molto semplice da individuare, perché Eusebio aveva da raccontare una
Storia che funzionava solo se si accettavano nel corpo dell’Impero le Scritture della
Rivelazione dei cristiani, con la loro verità. Che non è solo quella assertiva, di merito (cioè
il contenuto di credenze e dogmi della religione cristiana 45), ma è soprattutto quella di
metodo, cioè la modalità con cui accostarsi all’oggetto della ricerca religiosa (che per
l’epoca è, ricordiamocelo, la ricerca più importante di tutte). In questo momento a Eusebio
importa soltanto affermare quella nuova lettura della storia, e non la libertà dei Cristiani
(che già c’era, visto che l’Editto di Galerio la garantiva). Soltanto riconoscendo l’intervento
provvidenziale del Dio cristiano nel tempo ed adeguandovi la propria azione politica,
l’Impero avrebbe potuto trovare la sua salvezza, che significava anche il suo riscatto dopo
il periodo di difficoltà dell’Anarchia. Costantino si mise al servizio di questa linea
interpretativa, e in questo modo conseguì le sue vittorie e si fece portatore di una nuova
civiltà - a differenza di Galerio, che morì tra incredibili sofferenze per aver osato
contrastare il piano divino di affermazione della Chiesa46.
Ma contemporaneamente, alla tradizione biblica che impone questa teologia della Storia si
sovrappone, per fondersi, tutta l’humanitas dei grandi autori del mondo pagano, da
Cicerone a Seneca, a Quintiliano, a Virgilio, a Orazio: almeno tutti quelli che, come si dirà
nel Medioevo, hanno toccato nelle loro opere delle verità naturaliter christianae, e la cui
eleganza e bellezza formale potrà compensare - alle orecchie raffinate di intellettuali di
quel calibro - la povertà espressiva e lo scarsissimo fascino della lettera biblica.
Questa nuova prospettiva, decisamente e propriamente cristiana, che trasformerà il
mondo ellenistico-romano nel nostro Medio Evo, non avrebbe mai potuto imporsi se nel
313 Costantino e Licinio non avessero deciso di comune accordo di far applicare nelle due
parti dell’Impero il vero editto di tolleranza, quello del (poco) compianto Galerio.
Milano, snodo dell’Occidente
E infine, vorrei concludere con una nota di orgoglio campanilistico. La decisione
fondamentale per lo sviluppo successivo della cultura europea viene presa a Milano
perché da lì può ascoltarla tutta la pars Occidentis, dato che Milano era e resterà uno
snodo fondamentale tra Roma (la sede di Pietro) e l’Europa del Nord (la vera sede del
potere politico e militare, e quindi anche economico, dell’epoca).
E non a caso sarà a Milano che diverrà vescovo alla fine di quel secolo 47, così
determinante per il futuro d’Europa, un funzionario romano originario di Treviri (altra
43
Daniele 2.
44
G. Bocchi - M. Ceruti, Origini di storie, Feltrinelli 2000, pag. 90.
45
Che la dottrina non fosse, per Eusebio, la cosa più importante a cui pensare lo dimostra il fatto che i dogmi
principali del cristianesimo verranno fissati solo in un secondo momento, con il Concilio di Nicea del 325. Se
non bastasse, si ricordi anche che Eusebio nutriva una indubbia simpatia per l’arianesimo, che in effetti non
verrà stroncato in maniera definitiva, almeno alla corte di Costantino, fino a quel Concilio.
46
Come ci spiega l’altro teologo prestato alla storiografia, Lattanzio, in De mortibus persecutorum XXXIII-XV.
La morte di Galerio avvenne solo sei giorni dopo la pubblicazione del suo editto, il 5 maggio 311: cfr. Simon Benoit, cit., pag. 109. Che Lattanzio non sia autore sempre affidabile emerge chiaramente in W.V. Harris,
Constantine’s Dream, in Klio 87 (2), 2005, pagg. 488-494.
47
La nomina di Ambrosius a vescovo di Milano è del 374.
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importante capitale del Nord-est), che spingerà sull’acceleratore della sostituzione della
Chiesa alle funzioni imperiali e sulla organizzazione interna della Chiesa come uno Stato,
con la burocrazia, le procedure, le suddivisioni interne, le onorificenze, la gerarchia
funzionale, i riti e i miti che ancora oggi soggiacciono alla Diocesi che da lui ha preso il
nome. Ambrogio, l’uomo nelle cui opere «impero, civiltà e cristianesimo ormai si
identificano»48 indirizza ai suoi confratelli nel sacerdozio, che chiama ad essere
amministratori di un territorio fisico oltre che di una distesa di anime, un libretto che intitola
de Officiis Ministrorum, ricalcato su quel de Officiis con cui Cicerone aveva delineato nel
44 a.C., alla morte di Cesare, l’ideale del servitore dello Stato49. Operazione meritoria, che
sopravvive fino ad oggi nella tradizione ricchissima della Diocesi ambrosiana e nella
milanesità che di quella tradizione è il frutto più bello e duraturo, che non è valida solo per
i milanesi, ma anche per tutti quelli che a Milano arrivano, da fuori, in cerca di un luogo in
cui insediarsi e fare fortuna: non dimentichiamo che è a Milano che avverrà, sotto gli
auspici dell’incontro con Ambrogio, la definitiva conversione di Agostino, l’uomo che
porterà ai massimi livelli di integrazione la retorica antica e la verità cristiana50.
Il preteso Editto del 313 serve (anche ad autori di propaganda come Eusebio e Lattanzio)
a mettere una pietra di confine, una data post quem da cui fare iniziare il nuovo corso
della Storia (e ovviamente della storiografia) cristiana: un corso che richiede da ciascuno
la consapevolezza di una scelta, su cui verrà giudicato nel momento finale.
L’importanza capitale di questo cambiamento è sotto gli occhi di chiunque si soffermi
anche per un poco sulla concezione europea del cosmo e dell’uomo: per il Medioevo,
nulla sarà più ciò che appare (esattamente come la storia dell’Editto di Costantino ci
insegna: un semplice accordo per estendere la tolleranza in Oriente e rinforzare la
decisione del disperato Galerio, diventa un Editto con tutti i crismi del Diritto). Ovviamente,
nemmeno la Storia di Roma sarà mai più, da qui in avanti, quello che è sembrato finora: e
così Dante Alighieri, il più fine epitomatore della mentalità medievale, potrà darci, nel De
Monarchia, la più compiuta spiegazione teologica della genesi dell’Impero romano51,
ricalcata sugli insegnamenti di san Girolamo, il traduttore del Chronicon di Eusebio. La
grande Roma sarà ridotta ad ancella della Rivelazione, e bisognerà aspettare i papi del
Rinascimento per vederla, appunto, rinascere ancora più splendida dalle sue stesse
ceneri.
Ma questa particolare lettura della Storia non tramonterà con il Rinascimento, poiché
rimarrà indissolubilmente legata al modo con cui tutto l’Occidente riflette su sé stesso e sul
mondo: quando Hegel parlerà di Spirito della Storia e Karl Marx di Materialismo Storico,
ambedue faranno riferimento ad uno sviluppo lineare che porta verso delle magnifiche
sorti e progressive, che potrà essere negato solo dalla estrema lucidità filologica di
Giacomo Leopardi, il primo dei moderni, l’unico romantico capace di traghettarci nel
Novecento rinunciando a quell’imposizione di un finalismo cristiano alla Storia che aveva
preso le mosse dalla liberazione di quel culto entro l’Impero, nel 313, a Milano.
48
S. D’Elia, cit., pag. 100.
49
Per il rapporto tra le due opere si veda S. D’Elia, cit., pag. 102.
50
Per la formazione di Agostino e la sua opera di cristianizzazione della latinità (e di latinizzazione della
cristianità, naturalmente) resta ancora fondamentale H.I. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica,
Jaca Book 1987.
51
Dante, De Monarchia liber II, passim ma soprattutto X-XI, dove si spiega che la legge (cioè il Diritto, di
nuovo!) dell’Impero romano fu lo strumento per rendere universale la salvezza donata agli uomini in Cristo.
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Bibliografia
Fonti dirette
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Minucio Felice, Octavius, M.P.L. III, 0231 - 0366C
Tertulliano, Apologeticus Adversos Gentes Pro Christianis, M.P.L. I, 0257 - 0536A
Monografie
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Indice
Ma quale editto! ......................................................................................................... 1
Un Impero in ristrutturazione..................................................................................... 2
È anche una questione di fede.................................................................................... 4
Dov’è finito Costantino? ............................................................................................ 6
Un editto che non è un editto ..................................................................................... 7
Le Fonti del Diritto nella Roma imperiale ................................................................. 8
Lattanzio: de Mortibus Persecutorum ....................................................................... 8
Eusebio: Historia Ecclesiastica ................................................................................. 9
Il Cristianesimo e l’Impero ...................................................................................... 10
Una nuova visione della Storia ................................................................................ 11
Milano, snodo dell’Occidente .................................................................................. 13
Bibliografia .............................................................................................................. 15
Fonti dirette ................................................................................................................................ 15
Monografie ................................................................................................................................. 15
Articoli ....................................................................................................................................... 15
Tutto ciò che è riportato in questo documento è prodotto del lavoro intellettuale del dottor
Marcello Racchini.
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che l’autore non potrà mai ringraziare a sufficienza per averlo coinvolto nonostante tutti i suoi
limiti.
Il presente lavoro è stato prodotto con l’ausilio delle infrastrutture tecniche della
Opificina Paranthropus
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