Prefazione di Lucia Annunziata L’eccezione italiana. Ovvero, la capacità del nostro Paese di fare di necessità (i suoi difetti) virtù. L’idea che da noi succedono cose che “voi umani non avete mai visto”. Che questa nazione nostra è unica, peculiare, non misurabile dunque con il metro con cui si guarda agli altri Paesi occidentali nostri vicini. Oggi, con un governo Monti il cui principale scopo è quello di renderci Europa-compatibili, la “eccezione italiana” è ormai consegnata al mito. È stata tuttavia a lungo una utilissima chiave di interpretazione. Ha avuto una sua grande popolarità durante il periodo più intenso della Guerra Fredda, cioè fino agli anni Settanta, per spiegare come mai in un Paese europeo esistesse il più forte partito comunista al di qua del Muro di Berlino. Ma ci ha aiutato a navigare bene anche nel capire molti percorsi della Seconda Repubblica. A cominciare dalla nascita di un fenomeno inatteso, e a lungo incompreso, come la Lega. *** Nel 1974, sotto la guida di Fabio Luca Cavazza, un gruppo di studiosi venne in Italia per studiare “il caso italiano”, come venne poi definito anche nel titolo del saggio che ne risultò (Fabio Luca Cavazza – Stephen R. Graubard, Il caso italiano, Garzanti, Milano 1974). Suzanne Berger, del Mit, Massachusetts Institute of Technology, di Cambridge, così delineava questo “caso”: Una società in cui il dinamismo economico coesiste con una politica bloccata e al contempo polarizzata. Una nazione con un tasso di crescita secondo a nessuno nell’Europa degli anni del dopoguerra. Ma con un sistema politico gravato da burocrazia, bloccato dal clientelismo, e incapace di riformarsi nonostante il veloce sviluppo di radicalismo e proteste. A livello di governo centrale abbiamo trovato stagnazione e abuso di incarichi e del potere pubblico per favorire la propria parte politica. A livello locale abbiamo invece notato una società indirizzata dal pesante condizionamento delle subculture della Chiesa cattolica e del Partito comunista. La stabilità politica della nazione pare dipenda dal preservare il tradizionalismo sociale ed economico: dalla riserva elettorale che l’arretrato Sud fornisce ai partiti di governo e dalla sopravvivenza della preponderanza in economia di aziende piccole e medie, che hanno assorbito gli scossoni di una rapida crescita economica, attraverso l’uso del sub-appalto e l’impiego di lavoratori senza posto di lavoro regolare. Ventisette anni dopo, nel 2001, Suzanne Berger con Richard M .Locke aggiorna lo studio con il titolo Il caso italiano e la globalizzazione, sempre per il MIT. Il nuovo lavoro contiene un’autocritica. L’analisi dell’Italia in Il caso italiano prevedeva anche per il futuro la continuazione della divisione fra dinamismo economico e tradizionalismo politico. Nel 1974 non notammo che, invece, era in corso una profonda trasformazione nei rapporti fra politica, società ed economia. I cambiamenti non avvenivano a livello nazionale – dove l’abuso del 6 settore pubblico, il conflitto sociale, e il terrorismo di destra e sinistra mantenevano uno stato di immobilismo – ma dentro la politica locale e regionale. Era una trasformazione che in certe regioni italiane ricostruiva la politica economica dell’industria piccola e media in quelli che vennero poi chiamati “distretti industriali”, utilizzando le istituzioni locali per formare e sostenere nuove forme di coordinamento e cooperazione della produzione. La politica nazionale ebbe un certo ruolo in questa evoluzione, per esempio approvando leggi che permettendo la formazione di organizzazioni operaie dentro le piccole aziende di fatto rafforzarono il sindacato… Tuttavia, la parte del leone in questo nuovo sviluppo continuarono a farla le iniziative politiche a livello locale, dove partiti, la Chiesa cattolica e le sue organizzazioni, istituzioni di governo, sindacati e associazioni industriali e professionali riuscirono a stabilire nuove forme di cooperazione che permisero alle piccole e medie aziende di aumentare la loro capacità innovativa e produttiva. Non è strano che questo cambiamento sia avvenuto proprio nel cuore delle subculture comuniste e cattoliche, cioè proprio in quel territorio e in quelle regioni dove le grandi aziende avevano usato le piccole come affidabili fornitori, aiutate dall’impiego di una forza lavoro più flessibile, più docile e meno costosa. I nuovi distretti industriali della “Terza Italia” (Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Umbra, Marche) crebbero sul terreno che era stato devastato dalla lotta politica fra fascismo e antifascismo, clericalismo e anticlericalismo, comunismo e anticomunismo. […] Il nuovo localismo degli anni Settanta si affermò gettandosi semplicemente dietro le spalle il recente passato di conflitti politici e sociali. Di Lega non si parla, ma non è difficile leggere in questo nuovo localismo che trionfa al di sopra dell’ideologico panorama politico precedente, anche la radice da cui nasce questa organizzazione. In effetti, anche se la data ufficiale della nascita, davanti a un 7 notaio di Bergamo, della “Lega Nord” come soggetto politico confederale è il 22 novembre 1989, è già nel decennio dei Settanta che risuonano le lodi al Barbarossa di un Umberto Bossi non ancora Senatùr. Il leghismo dunque fin dal suo inizio è un prodotto inatteso e, come dicevamo, a lungo incompreso dallo stesso establishment. È un’ennesima “deviazione” in una direzione imprevista dell’evoluzione della società italiana. Non è strano dunque che la Lega venga indicata dagli analisti politici nazionali e internazionali come un altro esempio del “caso italiano”, la prova di una peculiarità che ci porta sempre a intraprendere strade diverse da quelle degli altri Paesi, l’affermazione del fatto che morto il grande duello fascismo-comunismo l’Italia ancora una volta non imbocca comunque il tran tran di una “normale” dialettica politica. È importante ricordare oggi quanto misteriosa, diversa, e non omologabile sia parsa per molti anni questa nuova formazione politica – peculiare persino nella modalità del suo formarsi e dei suoi riti: adunate su prati, sacre ampolle, e battesimi. Una diversità che si è proiettata con diversi toni sul panorama politico del Paese, suscitando dubbi, analisi le più diverse e, di conseguenza, le più diverse formule di alleanza politica. La Lega è stata, alternativamente e contemporaneamente, indicata come fascista, razzista, e democratica. Le hanno fatto la corte, e lei ha ceduto a fasi alterne sia alla destra che alla sinistra italiane. Neppure la prepotente affermazione quasi contemporanea di Silvio Berlusconi ruba alla Lega la sua assoluta alterità. Il moloch Forza Italia è anch’esso un’organizzazione che prova con la sua esistenza 8 il “caso italiano”, cioè una nuova “uscita” sorprendente dalla crisi del sistema della Prima Repubblica. Non a caso fra Lega e Forza Italia nasce un rapporto solido al punto da potersi definire storico. Ma in quanto a “diversità” la Lega mantiene il suo primato negli anni, e infatti non sarà mai assimilata dal potentissimo partito del Magnate d’Italia. La differenza consiste nel fatto che Forza Italia porta grandi innovazioni politiche (tv, leadership carismatica, peso del denaro), ma in un corpo che si ispira comunque alle tradizionali ideologie – un pot-pourri di esperienze socialiste, democristiane, anticomuniste, liberiste e varie altre. La Lega invece scava in tradizioni diverse, scandaglia terreni che nel bene e nel male sono tabù, come il razzismo, ma anche innovazioni quali il localismo come forma di antiglobalizzazione. In questo senso si può dire che la Lega per quasi due decenni è stata il sale di uno scombussolamento e di un riallineamento di molte convinzioni, più proficua e di impatto sulla politica italiana dello stesso berlusconismo. La sua “alterità” infatti obbliga sia la destra che la sinistra a rivedere molte delle proprie analisi: nella destra come nella sinistra porta il peso dell’identità popolare non filtrata da convinzioni ideologiche. *** Come, quando, perché questa diversità leghista è cominciata a svanire? Questa è la domanda che il mondo politico si pone oggi, di fronte a quello che è un evidente collasso. 9 La Lega formalmente non è mai cambiata. Per molti anni ha mantenuto stessi granitici comportamenti, stessi discorsi, stesso orgoglio, stessi atteggiamenti di gelosa differenza dal resto del mondo. Eppure nel giro di qualche anno, o forse basterebbe dire qualche mese, abbiamo visto accadere l’inimmaginabile: lotte politiche interne e denunce, epurazioni, dominio di élites, sgambetti, tessere truccate, divieti e trattative. Come se l’intero armamentario del peggio della politica tradizionale si fosse riversato a secchiate su questa organizzazione che a lungo ha difeso la sua “purezza” rispetto al sistema. Le accuse di corruzione mosse ad alcuni dei suoi amministratori in posti chiave del Nord sono l’ultimo episodio di una lunga serie di problemi. La nuova fase si è materializzata tutta insieme, più come un incidente stradale che come una trasformazione lenta. La Lega ci sorprende dunque nella sua crisi come nella sua formazione. Questo libro prova a raccontarci cosa sta succedendo in questo partito politico, nella sua area sociale. Lo fa senza risposte generiche e demagogia, puntando sulla cronaca, la ricostruzione e il racconto. Non farà piacere ai leghisti meno “aperti”, ma per i leghisti che non hanno paura di quel cambiamento di cui sono stati orgogliosi interpreti, questo lavoro potrà essere un’interessante lettura. 10