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Martin
HEIDEGGER
(1889-1976)
Heidegger nasce a Messkirch, nel Baden, in Germania. Si laurea in filosofia a Friburgo nel 1913
con una tesi su La teoria del giudizio nello psicologismo, dopo avere seguito corsi di filosofia e
teologia. Nel 1915 ottiene la libera docenza grazie a una dissertazione su La dottrina delle
categorie e del significato in Duns Scoto. Nel 1916 diventa assistente di Husserl fino al 1923,
anno in cui ottiene una cattedra a Marburgo, dove insegna fino al 1927, anno della
pubblicazione della sua prima opera importante, Essere e Tempo. L'anno successivo viene
chiamato a Friburgo per prendere il posto di Husserl, il quale aveva lasciato l'insegnamento.
Nel 1933, in seguito alla sua nomina a rettore dell'Università di Friburgo, aderisce al nazismo,
ma l'anno successivo rinuncia all'incarico e si chiama fuori da qualsiasi coinvolgimento politico.
Heidegger si ritirerà dalla vita pubblica fino alla caduta del regime, pur continuando ad
insegnare fino al 1944, anno in cui la Germania viene occupata dagli alleati e gli viene
interdetta la possibilità di insegnare da parte degli americani.
A partire dal 1951, aiutato a reintrodursi nel mondo accademico dall'amico Karl Jaspers (che
aveva rotto i rapporti con lui al tempo dell'adesione al nazismo), Heidegger ritorna
progressivamente ad insegnare, prima tenendo seminari privati, poi corsi di insegnamento
ufficiali.
Nel 1955 si ritira definitivamente dall'insegnamento e vive in una baita immersa nella Foresta
Nera, a Todtnauberg, dove vive fino alla morte.
Controversa la vicenda della sua adesione al nazismo: si è scritto molto su questo, le tesi sono
contrastanti, sta di fatto che Heidegger si allontanò dopo un anno di frequentazione dagli
ambienti politici per dissensi sul biologismo razziale. Va però ricordato che durante il periodo
dell'adesione chiese di destituire dalla carica di insegnante il futuro premio Nobel per la chimica
H. Staudinger, perché, a suo dire, inaffidabile per il nazismo, vista la sua posizione pacifista
durante la I° guerra mondiale.
Heidegger pare vedesse nel nazismo l'opportunità di inserire nella vita pubblica tedesca forze
nuove e vigorose, oggi molti pensano che questa vicenda sia stata una "sbandata" di un uomo
poco propenso alla politica, va però ricordato che Heidegger non era del tutto estraneo ad un
certo ambiente "conservatore", soprattutto in gioventù. Da notare, infine che, nel dopoguerra,
Heidegger fu disposto anche a perdere la possibilità del suo rientro accademico per favorire la
carriera accademica di un suo allievo, K. Loewith, fuggito in Giappone e poi negli Stati Uniti
durante il periodo nazista. Dunque luci e ombre si addensano da sempre su questa vicenda, in
un continuo alternarsi di stati contrastanti.
Al di la di queste considerazioni, il suo pensiero riveste comunque una fondamentale
importanza per le vicende della filosofia contemporanea e non è implicato direttamente ai
travagli pubblici e politici del suo autore.
Opere principali: Essere e tempo (1927); Che cos'è metafisica? (1929); Kant e il problema
della metafisica (1929); L'essenza del fondamento (1929); La dottrina platonica della verità
(1942); Lettera sull'"umanismo" (1947); Saggi e discorsi (1954); In cammino verso il linguaggio
(1959); La tecnica e la svolta (1962); La questione del pensiero (1969); Segnavia (1976). E
anche Kant e il problema della metafisica, L'essenza del fondamento, Introduzione alla
metafisica, Sentieri interrotti, Nietzsche.
*
Sommario
1. Premessa: alla ricerca dell'essere
2. Essere e tempo
3. La differenza ontologica: l'essere come mostrarsi dell'ente
4. L'essere e l'esistenza
5. Esistenza autentica e inautentica
6. L'angoscia: ovvero, come la finitezza dà un senso alla vita
7. L'essere non ha fondamento, la tecnica non può intaccare l'essere
8. La verità come disvelamento
*
1. Premessa: alla ricerca dell'essere
Quella di Heidegger è una filosofia rivolta a carpire l'autentico significato dell'essere, lo stesso
Heidegger definisce la sua ricerca filosofica ontologia (=scienza dell'essere), ma non
un'ontologia metafisica, bensì un'ontologia fenomenica.
Quello della ricerca dell'essere è un tema classico della filosofia: identificare la vera essenza
dell'essere (ovvero, ciò che esiste per necessità e che non abbisogna di nessun altro ente per
esistere, nell'accezione comunemente formulata da Parmenide) significherebbe conoscere una
volta per tutte la reale natura della nostra esistenza (in quanto noi, uomini esistenti, abbiamo
pur sempre un qualche genere di rapporto con l'essere). Tuttavia le posizioni di Heidegger
porteranno, come vedremo, a una rottura con tutta la tradizione ontologica precedente.
Heidegger, per individuare l'autentico senso dell'essere, parte da posizioni fenomenologiche (il
suo maestro fu Husserl). L'essere che intende indagare Heidegger non ha alcunché di
metafisico, esso è la manifestazione reale di uno stato di esistenza che si mostra nella vita per
come viene vissuta e percepita. L'ontologia di Heidegger non è quindi metafisica ma studio
dell'essere come si manifesta nell'esistenza che appare all'uomo, ente privilegiato in
quanto vivente sulla propria pelle la stessa condizione dell'esserci ("dasein"; si vedrà più
avanti il significato di questa affermazione).
""Fenomenologia", rivela Heidegger, è il lasciar vedere il fenomeno, ossia ciò che si manifesta
in sé stesso e da sé stesso. E ciò che si manifesta non è una "semplice apparenza" di una
"cosa in sé" inconoscibile, ma è ente." (E. Severino, La filosofia contemporanea).
2. Essere e tempo
Mentre l'ontologia metafisica del passato intendeva dunque l'essere come ciò che non muta ed
è eterno, e proprio per questo si impone come presenza eterna e immutabile al di là
dell'apparenza diveniente della realtà, per Heidegger l'essere dedotto fenomenologicamente
non può che acquisire le caratteristiche proprie della realtà, e quindi essere soggetto alla
temporalità propria degli enti per come si mostrano.
In "Essere e tempo", Heidegger indaga la problematica dell'essere, cercando di carpirne la vera
natura. Egli nota come per l'intera ontologia tradizionale del passato l'essere è qualcosa che si
da per scontato che esista, al di là dell'apparenza del mondo, per cui l'essere è una presenza
che mai si mostra ma che si intende fondare come qualcosa di necessario in modo da impedire
una caduta nel niente degli enti, i quali, secondo una distinzione platonica, sono corruttibili nel
mondo fisico mentre sono incorruttibili (una loro parte essenziale) in un mondo metafisico al di
là dell'apparenza.
Questo atteggiamento tradizionale nei confronti dell'essere va ripensato, secondo Heidegger.
Secondo il filosofo tedesco non si può pensare un qualsiasi essere metafisico senza ricondurlo
alla condizione propria dell'esserci ("dasein"). L'esserci è la condizione dell'uomo che vive una
condizione di esistenza determinata e situata, ovvero il suo vivere ed essere un uomo,
condizione originaria a qualsiasi pensiero o considerazione.
Dunque per comprendere che cos'è l'essere occorre partire non dalla sua "presenza
trascendentale", già data e già posta nel pensiero prima ancora di considerare
l'esistenza concreta degli uomini, ma occorre invece indagare la condizione dell'esserci,
ovvero l'esistenza stessa degli uomini, poiché l'essere appare tale solo in rapporto ai
presupposti esistenziali dell'uomo.
Ma che cos'è, in concreto, l'esserci, ovvero l'esistenza stessa degli uomini? Per Heidegger il
significato della vita degli uomini è quella di prestarsi alla possibilità e al progetto. Esistere
significa infatti per Heidegger "ex-sistere", ovvero non essere più "un permanere", ma
costantemente andare oltre questo permanere, verso la possibilità aperta, verso la novità
degli accadimenti che permettono all'esistenza di mutare nel corso del tempo (esistere è
divenire). Esistere, per l'uomo, significa quindi tendere sempre verso una nuova sistemazione
della realtà.
Si noti invece come l'essere immutabile della metafisica classica sia invece un in-sistere,
ovvero un permanere entro la propria condizione, senza possibilità di mutamento.
La condizione esistenziale, l'esserci, è quindi mutamento. Heidegger afferma che il senso
autentico dell'essere è fondamentalmente il senso stesso dell'esserci. Come si è visto
l'essere non può essere posto come qualcosa di indipendente dall'esistenza dell'uomo, poiché
questo rappresenta una forzatura, un arbitrio che pone l'essere come presenza immutabile al di
là dell'esistenza dell'uomo. Da questo ne deriva che, per Heidegger, l'essere deve essere il
significato stesso dell'esistenza umana per essere davvero autentico. Quindi l'essere è
tempo, ovvero l'essere ha i caratteri dell'esistenza stessa degli uomini: l'essere è
mutabile, temporale, soggetto al divenire, l'essere è quindi il gioco stesso degli enti che si
mostrano nel mondo, l'essere è questo lasciarsi mostrare degli enti e degli avvenimenti.
Essere e Tempo è un libro incompiuto ed è in compiuto perché, a detta dello stesso Heidegger,
ad un tratto il linguaggio che aveva a disposizione non permetteva più alcun approfondimento
significativo del concetto di essere, le parole e il loro significato non bastavano più a chiarirne la
natura, poiché tutto il linguaggio umano risente della concezione dell'essere come "permanenza
trascendentale" e immutabile, atemporale.
3. La differenza ontologica
Se l'essere è il lasciarsi mostrare degli enti, allora significa che l'essere non è la stessa cosa
degli enti.
Vi è una differenza ontologica, ovvero una differenza propria nell'essenza stessa, tra l'essere e
l'ente: i singoli enti (le singole cose che esistono) non hanno alcun legame diretto con
l'essere, l'essere è altro dall'ente, l'essere non è l'esistere delle cose (degli enti), l'essere
è in realtà l'orizzonte entro il quale gli enti si manifestano.
Alla luce di questo l'essere non è quindi un'essenza propria dell'ente, l'essere è in realtà il
processo di manifestazione degli enti. L'essere non produce gli enti, l'essere è solamente
ciò che lascia vedere gli enti, l'orizzonte entro il quale gli enti sono illuminati e vengono
percepiti.
Nell'ontologia di Heidegger l'evidenza del mutamento è talmente palese (fondata su principi
fenomenologici) che occorre necessariamente affermare il divenire di ogni cosa, anche di
quell'essere che era stato sempre inteso come ciò che vi è di immutabile nel mutamento.
Per Heidegger, le metafisiche del passato non facevano altro che identificare ciò che vi era di
comune a tutti gli enti, ed è in questa ottica che la differenza tra essere ed ente permette di
confermare e salvaguardare il divenire come legge assoluta, poiché libera l'essere da ogni
possibile immutabilità.
4. L'essere e l'esistenza
Dunque l'essere è l'orizzonte entro il quale gli enti si manifestano e acquisiscono così la qualità
di esistere (ovvero il loro semplice manifestarsi come enti). L'essere diventa così un evento
fenomenologico e l'ente che per eccellenza sente ed è in grado di percepire e di avere
coscienza dell'essere come fenomeno è l'uomo, poiché solo l'uomo è in grado di percepire
coscientemente la sua esistenza, attraverso la quale si manifesta l'intero percorso dell'essere
(ovvero del mostrarsi delle condizioni di mutamento che caratterizzano l'esistenza).
Solo l'ente (soggetto esistente) che si pone la domanda sull'essere può dare una risposta
soddisfacente alla questione: l'ente che si pone la domanda è l'uomo, cosciente di essere
esistente e di vivere la condizione dell'esserci ("da-sein"=essere qui). Tale concetto è
prettamente esistenziale, in quanto Heidegger afferma che la condizione imprescindibile
dell'uomo è quella di essere necessariamente situato nel mondo, senza possibilità di scelta
(l'uomo non può scegliere, dal momento della nascita la vita ha scelto per lui la condizione di
"essere-nel-mondo").
L'uomo non vive allo stesso modo di un pezzo di metallo. Il metallo è già compiuto in sé, è una
semplice "presenza", come già visto, invece, l'uomo trascende sempre se stesso (ex-siste), è
continuamente proteso a ciò che non è e potrebbe essere: l'uomo, dotato di coscienza, progetta
continuamente la sua vita rapportandola al futuro, è questo slancio in avanti che rende l'uomo
non una semplice "presenza", ma un' "esistenza", sottoposta alla storia e al tempo, in altre
parole, al divenire. L'esistenza dell'uomo può autenticamente svilupparsi entro la
possibilità della libera scelta solo se comprende il senso dell'essere come orizzonte
entro qui è possibile il libero "gioco" del divenire. La libertà che è concessa agli enti dal
nuovo senso dell'essere è ciò che libera anche l'uomo da ogni necessità e lo rende capace di
scegliere da sé e in assoluta libertà quale percorso vivere.
Nella condizione dell'esserci, l'uomo sperimenta dunque il senso più autentico dell'essere, ed è
da questa analitica esistenziale che è possibile, secondo Heidegger, mostrare il vero significato
dell'essere.
5. Esistenza autentica ed esistenza inautentica
Nie capitoli precedenti si è parlato della condizione dell'uomo come "esser-ci" (da-sein). Tale
condizione è la condizione naturale e imprescindibile in cui l'uomo viene a trovarsi, senza
possibilità di scelta, situato nel mondo. Tale condizione esistenziale ha due modalità, due
possibili modi di essere vissuta: quella autentica e quella inautentica.
L'esistenza autentica è quella per cui l'uomo sceglie di vivere coscientemente il suo carattere
di ente che progetta e tende al futuro, un ente che esce da sé continuamente, in grado di
slanciarsi verso ciò che potrebbe essere. L'esistenza autentica è quindi quella che accetta il suo
carattere diveniente, che comprende, inevitabilmente, la possibilità della nullificazione (della
morte e del termine della propria attività di "ex-sistere").
Ripetiamo qui un brano del capitolo 4: "L'esistenza dell'uomo può autenticamente
svilupparsi entro la possibilità della libera scelta solo se comprende il senso dell'essere
come orizzonte entro qui è possibile il libero "gioco" del divenire. La libertà che è
concessa agli enti dal nuovo senso dell'essere è ciò che libera anche l'uomo da ogni necessità
e lo rende capace di scegliere da sé e in assoluta libertà quale percorso vivere."
L'esistenza inautentica, per contro, è l'esistenza condotta dall'uomo che rifiuta il proprio
carattere diveniente e l'apertura libera da ogni immutabile che l'essere gli mette a
disposizione: l'uomo che vive l'esistenza inautentica rinuncia alle scelte relative al proprio
tendere in avanti, rinuncia al futuro e a qualsiasi progetto, rifugiandosi nei rimedi metafisici che
hanno lo scopo di renderlo immortale (le metafisiche e le teologie classiche). Questo
atteggiamento è chiamato da Heidegger "deiezione", ovvero diventare una cosa come le altre,
ente tra gli enti. L'uomo vive inautenticamente dimenticandosi della propria condizione
esistenziale di essere mortale e soggetto al divenire, vivendo come un oggetto che si crede
immortale, per convenienza.
L'esistenza inautentica si perde nel "si dice", "si fa", ovvero nell'accettazione distratta di
un'esistenza già vissuta da altri e quindi già creata, senza alcuna possibilità di creare nulla
come novità sostanziale. L'esistenza autentica invece respinge questa inautenticità affermando
consapevolmente il proprio carattere di estrema possibilità relativamente allo slancio creativo
(l'esistenza autentica vive seguendo l'originalità radicale del proprio dipanarsi e non le forme
delle esistenze già dipanate da altri).
Tali tematiche sono tipicamente esistenziali, tanto che l'esistenzialismo trarrà molti concetti dal
pensiero di Heidegger (si veda ad esempio il concetto di esistenza come contingenza di Sartre),
tuttavia Heidegger rifiuterà sempre ogni coinvolgimento con l'esistenzialismo, considerando la
sua opera un indagine principalmente ontologica, e non esistenziale (il rifiuto della lettura
esistenzialista della sua opera è contenuto in "Lettera sull'umanismo").
6. L'angoscia
Dunque, come già detto, l'esistenza autentica è un "vivere-per-la-morte". Per Heidegger (e qui
vi si possono leggere forti analogie con Kierkegaard) l'angoscia è la paura che nasce dalla
consapevolezza che con la morte tutto si annulla. Mentre per Platone il saggio vive accettando
la morte come possibilità di arricchimento, nella consapevolezza che il corpo è un ostacolo alla
conoscenza, Heidegger ammette senz'altro che con la morte giunge l'annullamento. Come
rendere positiva una vita che si progetta in tale prospettiva?
Heidegger afferma che la nostra vita può svolgersi entro un orizzonte autentico solamente se le
nostre scelte sono rapportate alla nostra finitezza. Se le nostre scelte fossero svolte entro
un ambito di vita eterna, perderebbero di significato, perché non comporterebbero
alcuna assunzione di responsabilità, in quanto ogni evento e ogni scelta potrebbe essere
ripetuta all'infinito, ogni strada potrebbe essere battuta, superando quel principio di esclusione
(l'aut-aut kierkegaardiano) per cui una decisione comporta alcune conseguenze e non altre: una
vera condanna all'eternità, nella quale ogni scelta ci risulterebbe indifferente, e la vita stessa
perderebbe di significato, cedendo all'apatia e all'indifferenza.
In sostanza Heidegger pone la "vita-per-la-morte" come concetto positivo: solo la
consapevolezza della nostra finitezza è in grado di produrre quel significato e quell'attenzione
per le cose del mondo che non potremmo avere se, perduti nell'eternità, avessimo la
consapevolezza di potere goderne in eterno.
L'angoscia che deriva quindi dalla consapevolezza della nostra finitezza, oltre ad essere uno
stato emotivo indissolubilmente legato all'esistenza autentica è anche un sentimento positivo,
necessario a dare significato autentico alla nostra vita (chi vive nell'esistenza inautentica tende
invece a dimenticare la morte e ad allontanare l'angoscia, quasi analogamente alle meccaniche
pascaliane del "divertissement").
7. L'essere non ha fondamento
La civiltà della tecnica che domina il mondo contemporaneo è un'estremizzazione del pensiero
metafisico classico, in cui vi è un soggetto (l'uomo) che intende dominare, con la sua volontà di
potenza sulle cose, degli oggetti che sono altro da sé. L'essere degli enti si identifica allora con
il ruolo e la funzione che vengono loro assegnati all'interno del sistema della tecnica.
"Heidegger vede nell'organizzazione totale della tecnica la forma più radicale dell'episteme
metafisica, e cioè dell'apparato che rende impossibile il divenire storico dell'esistenza. L'oblio
dell'essere, così, è divenuto totale. E al posto dell'impotenza, finitezza, effettività dell'essere e
del progetto che lo assume come sfondo, compaiono tutte le forme di assicurazione, controllo,
organizzazione dell'ente all'interno dell'esistenza scientifico-tecnologica." (E. Severino, La
filosofia contemporanea).
L'essere si svela e rende possibile la manifestazione degli enti secondo proprie logiche oscure
e inconoscibili. E' infatti impossibile sapere il modo in cui, all'interno dell'orizzonte che
lascia manifestare gli enti, questi enti si producano e a quale legge si conformino.
L'essere è quindi senza alcun fondamento, esso non può avere alcun fondamento perché si
configura come il semplice lasciarsi mostrare da parte degli enti. Nessuna legge metafisica può
allora prevedere come gli enti si manifesteranno nel futuro, poiché l'essere è conseguenza
dell'esistenza e non viceversa.
La tecnica moderna si configura invece come dominio dell'uomo sulle cose, l'uomo crede che
l'essere delle cose sia soggetto al suo dominio, in realtà l'uomo non è il padrone dell'essere,
l'uomo è tutt'al più il "pastore" dell'essere, ovvero il custode di quella dimensione che rende
possibile agli enti di manifestarsi, custoditi nell'esistenza stessa dell'uomo, la quale si manifesta
proprio entro l'orizzonte aperto dall'essere. L'essere sopravvive al tentativo di dominio della
tecnica perché non è un ente concreto, l'essere è solamente la condizione in cui gli enti
si manifestano, e la tecnica può solo occuparsi degli enti concreti (quindi non
dell'essere).
8. La verità come disvelamento
Heidegger nota come nella filosofia presocratica sia stata concepita un'idea di verità che,
relativamente alla sua etimologia, si addice più che mai al senso dell'essere da lui proposto: per
i greci la verità è aletheia, ovvero "ciò che non è nascosto, che si manifesta" (a- come privativo
di lethe "nascosto"). La verità è quindi l'essere stesso, ovvero ciò che permette agli enti di
manifestarsi e di rendersi visibili e concreti alla percezione degli uomini e all'orizzonte del
mondo. Tuttavia questo senso della verità si è spento con l'avvento della metafisica, in cui
l'essere ha acquistato le caratteristiche dell'ente immutabile.
"E' a quella esperienza originaria dell'aletheia che Heidegger riconduce il senso non metafisico
dell'essere. L'essere è l'emergere dal nascondimento: [...] nel senso che la luce, l'apparire in cui
l'essere consiste, proprio perché illumina e lascia apparire, illumina e lascia apparire gli enti e
quindi attira ogni attenzione sull'ente, si che proprio la luce che illumina si sottrae alla
dimensione che essa rende visibile." (E. Severino, La filosofia contemporanea).
L'essere, quindi, rende possibile la manifestazione degli enti poiché consiste nel loro
manifestarsi, e proprio per questo l'essere concede la sua luce all'ente "ritirandosi dal
palcoscenico", ovvero perdendo quelle caratteristiche di presenza proprie dell'ente
illuminato, illuminato dallo stesso essere che non concerne all'ente (in virtù della differenza
ontologica).
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