L’isteria: evoluzione del concetto a partire da Ippocrate fino alla concezione freudiana arrivando all’inquadramento del disturbo nei DSM. L’isteria fu descritta per la prima volta da Ippocrate 24 secoli fa. Nel trattato ginecologico, Malattie delle donne, Ippocrate descrive una serie di quadri clinici che attribuisce allo spostamento e al soffocamento dell’utero. L’utero era erroneamente ritenuto un organo mobile, soggetto, in condizioni patologiche, a migrare per il corpo della donna, fissandosi ora ad un organo, ora ad un altro. Tre i punti di interesse nelle descrizioni dei sintomi isterici di Ippocrate. In primo luogo la rappresentazione della malattia fa pensare per molti aspetti al classico attacco isterico: l’insorgenza improvvisa dei sintomi, la schiuma alla bocca, il digrignamento dei denti, la perdita della parola, la deviazione degli occhi, la somiglianza con la crisi epilettica. In secondo luogo la natura proteiforme della sintomatologia, insieme al carattere tipicamente isterico di molti sintomi: dolori, capogiri, mutismo, dispnea, vomito. In terzo luogo, il riferimento alla sessualità che si esprime in due modi: attraverso la teoria del vagabondare dell’utero per il corpo della donna e attraverso alcune indicazioni terapeutiche come il matrimonio, il coito, la gravidanza. In greco “utero” si dice hysteria, e da queste descrizioni è nato il termine isteria che non compare nei testi ippocratici. Le descrizioni dei sintomi isterici riportate da Ippocrate anticipano chiaramente, pur nella loro ambiguità, il quadro clinico dell’isteria così come andrà a configurarsi a partire dal I secolo d.C. e come del resto è ancor oggi in parte riconoscibile. Non bisogna però eccedere nell’attualizzare le sue parole in quanto quella da lui descritta è una condizione ancora lontanissima dall’isteria così come abbiamo imparato a concepirla a partire dalla fine del secolo scorso e questo per due ragioni: primo, la rappresentazione arcaica dell’utero come una sorta di oscuro essere vivente che viaggia nel corpo femminile; secondo, la totale assenza della dimensione simbolica. In età greco-romana il primo autore da ricordare è l’anatomista Sorano di Efeso (II secolo d.C.) che porta due contributi significativi: il primo consiste sia nel liquidare le tracce di arcaismo presenti nelle descrizioni ippocratiche sia nel cercare di razionalizzare in senso scientifico la teoria di Ippocrate. Nel suo Trattato delle malattie della donna fornisce una buona descrizione dell’apparato genitale femminile, dalla quale risulta che l’utero può andare soggetto a piccole deviazioni locali ma non certo alle migrazioni ipotizzate da Ippocrate. Secondo Sorano le deviazioni dell’utero ne determinano l’infiammazione e quindi la contrazione che costituisce la vera e propria base somatica dell’isteria. (In questa spiegazione concilia la vecchia tesi ippocratica dello spostamento dell’utero con le teorie patologiche della scuola metodista, di cui era esponente, che attribuivano le malattie a stati patologici di contrazione e rilasciamento degli organi). Il secondo contributo è di ordine psicopatologico. Sorano ci ha lasciato una descrizione della sintomatologia isterica, e in particolare dell’attacco isterico, che può considerarsi classica. Di notevole interesse sono i contributi di Galeno. Questi da un lato prende le distanze dalla concezione uterina di Ippocrate, dall’altro ritorna allo stesso Ippocrate rivalutando l’importanza del legame tra fenomeni isterici e sessualità. Galeno riteneva che la donna emettesse un seme del tutto simile allo sperma maschile; la sua tesi era che la ritenzione del seme generasse nella donna una sintomatologia isterica e nell’uomo disturbi vicini all’area della malinconia. Nella seconda metà del XV secolo con il fenomeno della caccia alle streghe che si protrarrà fino a tutto il XVII secolo, l’isteria divenne la malattia mentale delle cosiddette “streghe”; donne accusate dal tribunale dell’Inquisizione di manifestare inconfondibili segni dell’isteria: convulsioni, strane contorsioni del corpo, deliri spesso a carattere erotico, zone anestetiche ossia zone del corpo insensibili al dolore. In questi anni, dove la credenza nel diavolo e nelle streghe è profondamente radicata, dove domina il fanatismo superstizioso, una malattia mentale quale l’isteria viene percepita come qualcosa di completamente diverso: come possessione, come l’avere il diavolo in corpo o come essere complici del diavolo. Nel XVII secolo si accende una disputa in merito alla spiegazione dell’isteria. Vi sono due tesi che si contrappongono. La prima localizza ippocraticamente nell’utero l’origine della malattia; la seconda tesi chiama in causa il cervello. Nel suo Traité des vapeurs, Lange tenta di modernizzare l’antica tesi ippocratica secondo la quale i sintomi isterici sono causati dallo spostamento e dalla migrazione dell’utero nel corpo. L’unica differenza è che con la tesi di Lange a viaggiare pericolosamente nel corpo della donna non è l’utero in prima persona ma le effervescenze vaporose che da esso promanano. Al pari di Ippocrate, Lange e gli altri esponenti della tesi uterina si richiamano alla sfera sessuale non solo in rapporto all’origine dell’isteria ma anche in rapporto al trattamento. Di altra opinione sono i fautori della tesi neurologica tra cui figurano due tra i più eminenti medici del XVII secolo: Thomas Willis e Thomas Sydenham. L’isteria scaturisce da una patologia del cervello. Quanto alla patogenesi la spiegazione è dello stesso tipo (spiriti animali, umori, emanazione di vapore), con la sola importante differenza: il flusso patogeno non è ascendente (dall’utero verso l’alto del corpo) ma discendente (dal cervello verso il basso). Nella prima tesi l’isteria è percepita come una malattia che si manifesta periodicamente con sintomi clamorosi, nella seconda è percepita come una malattia cronica che affligge senza regole precise il corpo delle pazienti. Dal trattamento e dallo studio di pazienti isteriche è nata la psicoanalisi. L’isteria ha rappresentato un tema sul quale Freud non ha mai smesso d’interrogarsi. Nella seconda delle Cinque conferenze sulla psicoanalisi (1909) Freud riassume un caso clinico di isteria, quello della signorina Elisabeth von R., trattato con successo molti anni prima. Per Freud all’origine dell’isteria vi sarebbe la rimozione imperfetta di un desiderio sessuale che il soggetto non può tollerare e accettare. Il fatto che la rimozione non sia perfettamente riuscita ha come conseguenza che il desiderio continui a premere sull’Io, aprendosi alla prima occasione un varco verso la coscienza. Ma le difese dell’Io non cessano di operare impedendo al desiderio di comparire nella sua forma originaria; esso deve cambiare aspetto; ciò che si presenta alla coscienza è pertanto una formazione sostitutiva del desiderio, questa formazione sostitutiva altro non è che il sintomo isterico. Tra il sintomo e il desiderio esiste una relazione simbolica, nel senso che il sintomo allude simbolicamente al desiderio di cui è il sostituto. Nel Poscritto del 1905 al caso clinico di Dora (paziente isterica che Freud segui per tre mesi nel 1900) si ravvisa in Freud l’estremo sviluppo della visione sessuale dell’isteria che nacque con Ippocrate, venne sviluppata da Galeno, e giunse fino ai sostenitori seicenteschi della teoria dei vapori. Ma Freud fa un salto qualitativo nel modo di intendere il rapporto tra il corpo, la sessualità e la nevrosi. La sua teoria non è puramente psicologica in quanto riconduce la sintomatologia isterica a una ben precisa base organica. Questa base è rappresentata dall’origine organica, nell’apparato genitale, della funzione e della pulsione sessuale. L’isteria si instaura se la pulsione sessuale è particolarmente forte oppure se troppo deboli sono le difese dell’Io. I sintomi isterici sono sempre il prodotto di un’elaborazione psichica inconscia. La rivoluzione freudiana è consistita nel riuscire a pensare la sessualità come un’attività che è certo di origine biologica ma che si esprime e opera a più livelli nella sfera intrapsichica e nelle relazioni interpersonali. Considerando la sessualità soprattutto femminile come parte integrante della vita complessiva della persona, Freud entrava in contrasto non solo con la scienza ma anche con l’opinione pubblica e con la morale di allora. La rimozione della sessualità che Freud pose all’origine dell’isteria costituiva in realtà un fenomeno sociale prima che individuale. Questo spiega la grande diffusione dell’isteria in quegli anni, come pure la graduale scomparsa nel nostro secolo di quadri isterici classici, quali si trovano descritti in grande abbondanza nella letteratura di allora. Altri ricercatori in seguito hanno elaborato e in certi casi rivisto le formulazioni di Freud. Karl Abraham nel 1920, studiando l’angoscia di castrazione nella donna, descrisse due tipi di personalità isterica femminile: il tipo “a soddisfacimento di desiderio” e il tipo “vendicativo”. Wittels (1931), Wilhelm Reich (1933) e Otto Fenichel (1945) elaborarono le dinamiche isteriche basate su complesso edipico, angoscia di castrazione e invidia del pene. Nel 1953 Judd Marmor, in contrasto con questi autori, postulò che le fissazioni orali erano responsabili dell’isteria; ipotizzò anche che il sesso femminile era colpito da questa malattia più frequentemente di quello maschile probabilmente a causa di una maggiore accettazione culturale dei tratti “orali, dipendenti e passivi” nelle donne rispetto agli uomini. Col progredire degli studi e ricerche sull’isteria incominciarono a delinearsi uno “spettro” di disturbi isterici, dai meno severi ai più severi: i disturbi meno gravi erano quelli nei quali si riteneva che il conflitto fosse prevalentemente edipico; i più gravi invece erano quelli nei quali il conflitto era decisamente preedipico, prevalentemente orale, e i sintomi isterici o edipici erano solo una façade esteriore che mascherava una ben più severa patologia. All’interno di questo “spettro isterico” fu sempre più accettata la proposta di differenziare terminologicamente questi due disturbi di personalità, chiamando “isteriche” le forme più lievi o collocabili al livello più alto dello “spettro”, e “istrioniche” le forme più gravi o collocabili al livello “più basso” (Horowitz, 1977; Roy, 1982; Kernberg, 1985). Se osserviamo il percorso fatto dall’isteria attraverso i vari DSM della American Psychiatric Association vediamo che nel DSM-I del 1952 la diagnosi d’isteria compare sotto la dizione di “personalità emotivamente instabile”. Nel DSM-II del 1968 il termine “personalità istrionica” appare per la prima volta con questa dicitura: “personalità isterica (disturbo di personalità istrionica)”. La descrizione che qui ne è data è la seguente: “Eccitabilità, instabilità emotiva, iperattività e drammatizzazione; quest’ultima è sempre volta a richiamare l’attenzione ed è spesso seduttiva, che il paziente ne sia consapevole o meno. Questi pazienti sono anche immaturi, incentrati su di se, spesso vanitosi e di solito dipendenti dagli altri. Questo disturbo deve essere differenziato dalla nevrosi isterica (caratterizzata dai sintomi di conversione o dissociazione)”. Con il DSM-III del 1980 viene fatta maggior chiarezza, non solo introducendo precisi criteri diagnostici, ma eliminando dal manuale l’aggettivo “isterica” per mantenere solo quello di “istrionica”. I motivi di questa scelta possono essere riassunti nei seguenti tre: 1) innanzitutto il termine isteria era troppo legato da un lato ai quadri in cui predominavano i sintomi di conversione, dall’altro alla tradizione psicoanalitica con tutte le sue ambiguità nel connotare contemporaneamente sia un’ipotesi psicodinamica (un conflitto inconscio rimosso) che un quadro sintomatologico variegato (non solo conversioni somatiche, ma anche stati dissociativi della coscienza, fobie, ansia, ecc.); ciò non poteva essere accettato dalla filosofia del DSM-III, improntata a un approccio descrittivo anche a costo di smembrare quadri precedentemente unitari (quella che infatti era l’isteria fu frammentata in disturbi somatoformi, dissociativi, fobici, ecc.), facendo fare a questo termine la stessa fine del termine nevrosi, anch’esso cancellato dalla terminologia; 2) in secondo luogo, il termine isteria, a causa della sua radice etimologica, poteva alludere ad un legame con il sesso femminile, cosa non più accettabile e ormai totalmente superata dalle ricerche di questo ultimo secolo, mentre il termine di personalità “istrionica” si rilevava più adatto non avendo implicazioni per un sesso o per l’altro; 3) inoltre, una volta identificata la personalità istrionica come al livello più basso o più grave dello spettro isterico, non era più giustificato il mantenimento nel manuale di una diagnosi di personalità isterica in quanto sempre più vicina alla normalità statistica della popolazione. Fu quindi mantenuta nel DSM-III, come caratteristica essenziale di questo disturbo, solo la personalità istrionica. Come però alcuni critici hanno sottolineato, il profilo di personalità che ne è emerso è risultato molto simile a quello della personalità borderline dello stesso DSM-III: in entrambe vi è impulsività, imprevedibilità, instabilità emotiva, scatti di rabbia, stati depressivi, gesti suicidari di tipo manipolatorio, ed entrambe in situazioni di stress possono presentare brevi episodi psicotici (anche se ciò non viene espressamente specificato nei criteri diagnostici). Questa eccessiva sovrapposizione tra le due diagnosi è stata in parte corretta dal DSM-III R del 1987, togliendo dalla personalità istrionica il criterio riguardante i gesti suicidari di tipo manipolatorio, e aggiungendone uno riguardante una particolare modalità di espressione verbale eccessivamente impressionistica e priva di dettagli. Il DSM-III R ha inoltre reintrodotto un criterio riguardante un “comportamento inappropriatamente seduttivo” che era presente nel DSM-I e ha semplificato gli altri criteri diagnostici riducendoli ad otto dei quali quattro necessari per fare diagnosi. Attualmente alla voce “Criteri diagnostici per Disturbo Istrionico di Personalità” nel DSM-IV troviamo la seguente dicitura: A. 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) Un quadro pervasivo di emotività eccessiva e di ricerca di attenzione, che compare entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi: è a disagio in situazioni nelle quali non è al centro dell'attenzione l'interazione con gli altri è spesso caratterizzata da comportamento sessualmente seducente o provocante manifesta un'espressione delle emozioni rapidamente mutevole e superficiale costantemente utilizza l'aspetto fisico per attirare l'attenzione su di sé lo stile dell'eloquio è eccessivamente impressionistico e privo di dettagli mostra autodrammatizzazione, teatralità, ed espressione esagerata delle emozioni è suggestionabile, cioè, facilmente influenzato dagli altri e dalle circostanze considera le relazioni più intime di quanto non siano realmente.