MOX–Report No. 11/2011 Stent a rilascio di farmaco: una storia di successo per la matematica applicata Formaggia, L.; Minisini, S.; Zunino, P. MOX, Dipartimento di Matematica “F. Brioschi” Politecnico di Milano, Via Bonardi 9 - 20133 Milano (Italy) [email protected] http://mox.polimi.it Stent a rilascio di farmaco: una storia di successo per la matematica applicata ∗ L. Formaggia♯, S. Minisini, P. Zunino 17 febbraio 2011 MOX– Modellistica e Calcolo Scientifico Dipartimento di Matematica “F. Brioschi” Politecnico di Milano P.zza Leonardo da Vinci 32, 20133 Milano, Italy [email protected] Sommario L’uso di modelli matematici a supporto della ricerca in medicina ha visto negli ultimi decenni un grosso impulso, stimolando l’attivit di numerosi matematici applicati. Da un lato la migliore comprensione dei fenomeni fisici e biologici e dall’altro la disponibilit di strumenti di calcolo sempre pi potenti a costi decrescenti ha fatto si che la simulazione numerica possa effettivamente affiancarsi, anche se non sostituirsi, alla sperimentazione su animali e a trials clinici. Nel caso preso in esame da questo lavoro, che riguarda particolari dispositivi a rilascio di farmaco usati nel trattamento dell’arteriosclerosi, essa permette di poter valutare l’effetto di differenti configurazioni del dispositivo, o diverse tipologie di farmaco. Nell’articolo si da’ una rassegna dei modelli matematici utilizzati nell’ambito degli stent a rilascio di farmaco, partendo dai modelli pi semplici, basati su formule con forte carattere empirico o equazioni differenziali ordinarie, fino a modelli basati su sistemi di equazioni alle derivate parziali che accoppiano i fenomeni di rilascio con quelli di diffusione e trasporto nei tessuti biologici e nel flusso sanguigno. In the last decades the adoption of mathematical models to support medical research has found a considerable increase of interest, stimulating the activity of applied mathematicians. A better understanding of the physical and biological phenomena together with the availability of powerful and affordable computers has prompted the use of numerical simulation as a ∗ I risultati del presente lavoro sono stati parzialmente finanziati dal progetto “Models and methods for degradable materials” dell’Istituto Italiano di Tecnologie (IIT), e da un progetto PRIN07 del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. 1 complement, even if not yet as a substitute, of animal experimentation and clinical trials. In the case considered here, namely that of particular drug eluting devices used in the treatment of arteriosclerosis, it allows for the evaluation of the effect of different designs of the device, or different type of drugs. In this article we give a review of mathematical models used for simulating the functioning of drug eluting stents. We start by considering the simplest models, based on empirical formulae or ordinary differential equations, up to models based on systems of partial differential equations that describe the drug elution processes coupled with the diffusion and transport of the drug in biological tissues and blood flow. 1 Introduzione In questo lavoro vogliamo approfondire uno degli numerosi esempi in cui strumenti matematici evoluti vengono applicati a discipline apparentemente lontane da un approccio ingegneristico, come ad esempio la medicina. A tal fine, dopo aver brevemente introdotto e motivato l’uso degli stent a rilascio di farmaco, descriveremo come la loro funzionalità possa essere spiegata con modelli matematici di diversa complessità, partendo da semplici formule empiriche per giungere a sistemi di equazioni alle derivate parziali. La motivazione finale consiste nello sviluppare strumenti che consentano di migliorare il trattamento delle malattie di natura cardiovascolare, che coinvolgono una porzione rilevante della popolazione e sono da molti anni al centro di innovative linee di ricerca multidisciplinare. I dati estratti da Heart Disease and Stroke, Statistics del 2009 dell’American Heart Association mostrano come nel 2006 le morti dovute a malattie cardiovascolari negli Stati Uniti ammontino a 900 mila unità, di cui il 50% è dovuto a patologie che coinvolgono le arterie coronarie. Tuttavia, analizzando il tasso di mortalità dagli anni ’70 si nota, a partire dal 2000, un’inversione di tendenza ed una diminuzione della mortalità causata da queste malattie, che coincide con la crescita dell’innovazione nei trattamenti terapeutici utilizzati. Durante l’invecchiamento, le arterie sono soggette a cambiamenti nella composizione della parete che possono portare ad una degenerazione del comportamento meccanico e fluidodinamico del sistema cardio-vascolare. Sebbene l’entità dei cambiamenti dipenda dalle caratteristiche dell’individuo (il sesso, l’età, lo stile di vita, la predisposizione genetica, le alterazioni del metabolismo), si nota che alcune arterie, come l’aorta, la carotide o le coronarie, sono maggiormente soggette a questi cambiamenti. In generale la diminuzione di elasticità della parete arteriosa e la modificazione della sua morfologia, prendono il nome di processi arteriosclerotici. Tali processi sono causati da un’alterazione della parete arteriosa caratterizzata da un accumulo di lipidi (colesterolo), carboidrati complessi o costituenti del sangue. La conseguenza di questa alterazione, associata alla formazione di tessuto fibroso, è l’ispessimento della parete, che coinvolge progressivamente tutti gli strati del vaso a partire dal lume vasale (la parte interna 2 Figura 1: Arteria stenotica a sinistra e arteria riaperta con un trattamento terapeutico non invasivo a destra. e cava di un’arteria, sede del flusso ematico). Macroscopicamente quello che si osserva è un accumulo di materiale e la formazione della cosiddetta placca aterosclerotica. Il risultato è la riduzione dell’elasticità del vaso ed il restringimento (stenosi) del lume vasale come mostrato in Fig.1. Il trattamento delle patologie coronariche richiede negli stati più avanzati un intervento chirurgico tipo bypass, oppure un intervento di angioplastica (Percutaneous Coronary Intervention, PCI) con l’impianto di uno stent. Lo stent è una micro-struttura costituita da filamenti metallici, formati da materiale a memoria di forma, intrecciati e opportunamente sagomati. Il dispositivo viene collocato ed espanso in corrispondenza dell’occlusione dell’arteria, dovuta alla presenza di una placca-aterosclerotica, per ripristinare il diametro originale dell’arteria e permettere il regolare flusso del sangue. I passaggi principali della procedura di impianto dello stent sono mostrati in Fig.3. Gli stent impiantati rimangono permanentemente nel sito dove sono stati posizionati. Nonostante la tecnica sia relativamente recente, l’origine del nome stent, di cui non vi è una diretta traduzione in Italiano, è controversa. C’è chi lo fa risalire a una antica espressione inglese che indica il processo di irrigidimento di tessuti per abiti, chi lo attribuisce invece a un chirurgo plastico olandese che nel 1916 usò questo termine per indicare un particolare materiale per calchi dentali inventato dal dentista inglese Charles Stent (1807-1885). Negli ultimi dieci anni il trattamento delle patologie per mezzo di PCI ha avuto un aumento enorme passando da 400mila interventi nel 1995 ad oltre un milione e 300mila nel 2005. Ciò è dovuto al fatto che l’intervento di bypass consiste in un’operazione chirurgica invasiva per creare un ponte artificiale che permetta di aggirare l’ostacolo alla circolazione come mostrato in Fig.2. Questo ponte, chiamato appunto bypass, è costituito da un tratto di vaso sanguigno sano e ben funzionante che viene prelevato dal chirurgo al momento stesso dell’operazione, oppure da una protesi vascolare. L’impianto di uno stent è un’operazione molto meno invasiva e gravosa rispetto all’impianto di un bypass, ed inoltre è 3 Figura 2: Bypass coronarico. Una protesi vascolare viene introdotta per scavalcare l’occlusione arteriosa. economicamente vantaggiosa. Nonostante i chiari vantaggi riscontrati nell’utilizzo degli stent, essi devono soddisfare numerose specifiche, talvolta contrastanti. Ad esempio devono essere estremamente flessibili lungo il loro asse longitudinale per poter passare agevolmente attraverso arterie di piccolo diametro e spesso di forma tortuosa; devono essere visibili con tecniche radiologiche per essere guidati dall’esterno e posizionati. Inoltre devono essere facilmente espandibili fino al diametro originale dell’arteria e essere nel contempo in grado di mantenerla dilatata resistendo alle sollecitazioni meccaniche imposte da questa. Infine devono risultare poco invasivi rispetto al flusso sanguigno ed estremamente biocompatibili per evitare pericolose reazioni immunitarie dell’organismo. L’impianto di uno stent in un’arteria comporta delle modifiche rilevanti alla struttura del vaso in oggetto, che devono essere accuratamente studiate per ottimizzare il trattamento e prevenire complicazioni. In primo luogo si riscontrano modifiche delle proprietà elastiche e di rigidezza della parete vascolare che possono generare in alcuni casi una perturbazione sulla distribuzione della pressione sanguigna. In secondo luogo gli stent impiantati interagiscono con le cellule della parete vascolare con cui sono a contatto. Metalli come ferro, nichel etc., di cui sono composti alcune famiglie di stent, possono interagire con le cellule degli stati più interni della parete vascolare (intima e media) causando una reazione infiammatoria che può portare ad una proliferazione incontrollata delle cellule riducendo nuovamente il lume vascolare, un fenomeno noto come restenosi. Per contrastare questo fenomeno nell’ultimo decennio la ricerca è stata molto attiva nello sviluppo di stent a rilascio di farmaco. In questo caso il dispositivo è rivestito da un microstrato di materiale, generalmente di natura polimerica, capace di immagazzinare e 4 Figura 3: Procedimento di impianto di uno stent. A: Lo stent viene posto sopra un catetere coronarico, viene portato in loco tramite un catetere guida. B: lo stent viene lasciato in corrispondenza della stenosi. C: Nel caso di stent espandibili, lo stent è montato su un palloncino che viene gonfiato. Durante la fase di espansione il palloncino riapre l’arteria occlusa. D: lo stent previene il collasso dell’arteria dopo la rimozione del palloncino. rilasciare lentamente un farmaco, il cui effetto è quello di inibire la proliferazione cellulare e la ricrescita della placca aterosclerotica. I principali elementi di interesse sono la scelta del farmaco ed il design di una opportuna matrice capace di immagazzinarlo e rilasciarlo con una modalità predeterminata. Il recente sviluppo tecnologico ha permesso di proporre diverse soluzioni. Da un lato le nuove microtecnologie consentono di forare opportunamente i filamenti dello stent come mostrato in Fig.4 ( a sinistra) e di riempire i fori con strati di materiali o farmaci di diversa natura . Dall’altro la costante ricerca nell’ambito della scienza dei materiali di miglioramenti della biocompatibilità ha permesso di realizzare stent costituiti interamente da polimeri biodegradabili, Fig.4 (a destra). In questo caso il materiale dopo aver rilasciato il farmaco viene riassorbito dal tessuto. La problematica principale in questo caso è garantire una resistenza meccanica adeguata dello stent per tempi sufficientemente lunghi in modo che il trattamento sia efficace. Queste nuove tecnologie aprono la via a innumerevoli possibilità per progettare uno stent con un profilo di rilascio predeterminato nel tempo di uno o più farmaci che possono interagire con la parete vascolare o con la superficie di contatto tra lo stent ed il sangue. Lo studio dell’impatto della geometria dello stent sul rilascio di farmaco nella parete circostante, come anche che la caratterizzazione dei pattern di rilascio a seconda della natura del materiale utilizzato per immagazzinare il farmaco, è un 5 Figura 4: Due diverse tipologie di stent: a sinistra stent tipo pozzetto in cui i fori sono riempiti con farmaco (Conor Medsystems, Menlo Park, California); a destra uno stent completamente degradabile (Abbott Laboratories, IL, USA). problema estremamente complesso in cui la modellistica matematica può venire in aiuto. In particolare la modellistica matematica e la simulazione numerica permettono di valutare il comportamento di diverse configurazioni del dispositivo e del farmaco velocemente e con costi estremamente ridotti rispetto all’indagine sperimentale. Inoltre i modelli computazionali sono un valido strumento per mettere a confronto diverse soluzioni tecnologiche o proporne delle nuove. I recenti dati raccolti sull’efficacia degli stent mostrano come sia necessaria la diversificazione dei dispositivi a seconda del tipo di farmaco e del profilo di rilascio ricercato, al fine di adattarsi in modo ottimale alle diverse patologie non solo delle coronarie ma anche delle arterie periferiche ad alto rischio di occlusione. Una trattazione sufficientemente esaustiva e generale dei modelli matematici e computazionali proposti per lo studio del rilascio di farmaco esula dalle possibilità di questo lavoro. Il nostro scopo è illustrare brevemente lo sviluppo di tali modelli, che partendo da semplici relazioni empiriche si sono successivamente sviluppati diventando sistemi di equazioni alle derivate parziali in grado di descrivere i diversi fenomeni fisici coinvolti nel rilascio del farmaco da parte del materiale polimerico e la sua distribuzione nel tessuto vascolare circostante. Per approfondimenti, rimandiamo il lettore interessato a [11, 13]. 2 Caratterizzazione della matrice di rilascio In generale si parla di rilascio di farmaco in modalità controllata quando un polimero viene sintetizzato insieme ad un farmaco, o in generale un agente attivo, che verrà poi rilasciato dal substrato polimerico in modo predefinito. Per migliorare l’efficacia del trattamento terapeutico si vuole controllare la quantità di farmaco presente nel tessuto in un determinato periodo di tempo (dose). Il rilascio controllato si pone come obiettivo quello di mantenere il livello di farmaco nelle regioni circostanti al dispositivo all’interno di una finestra terapeutica ottimale e per un intervallo temporale prolungato, in modo da essere efficace senza mai raggiungere livelli di concentrazione tossici. In altre parole si vuole progettare un materiale in grado di controllare non solo la velocità con cui il farmaco viene rilasciato ma anche la durata complessiva del rilascio. In questo ambito i modelli matematici possono intervenire per migliorare la 6 comprensione dei meccanismi di trasporto di massa che sono responsabili del rilascio del farmaco. Da un punto di vista matematico i sistemi a rilascio di farmaco possono essere classificati sulla base del meccanismo che domina la cinetica di rilascio. La scelta del modello matematico più appropriato dipende molto dal tipo di farmaco e dal materiale utilizzato per contenerlo. In generale, nel caso di matrici polimeriche possiamo identificare tre modalità principali di rilascio. Tra i sistemi più comuni, troviamo quelli controllati dalla diffusione e dalla dissoluzione. In questo caso il farmaco è inglobato nella matrice porosa in forma solida e grazie alla penetrazione del fluido circostante all’interno della matrice può solubilizzarsi e diffondere nella matrice fino a raggiungere l’ambiente esterno. Nei sistemi controllati dal solvente o sistemi rigonfiabili, l’assorbimento del fluido comporta la creazione di una pressione osmotica che determina la fuoriuscita del principio attivo e un aumento di volume del sistema stesso. Infine, nei sistemi controllati chimicamente il rilascio di farmaco è controllato dalla degradazione/erosione della matrice polimerica. In particolare la degradazione polimerica consiste nella rottura selettiva (idrolisi o catalisi enzimatica) di alcuni legami chimici all’interno delle catene di monomeri fino alla riduzione in molecole semplici che si staccano dal materiale portando una diminuzione del suo volume (erosione). Tali molecole vengono poi eliminate dall’organismo attraverso i processi consueti di catabolismo. In generale è difficile sviluppare un modello matematico in grado di descrivere simultaneamente tutti i processi coinvolti nel rilascio. Il punto cruciale è quindi quello di identificare o sviluppare un adeguato modello matematico per uno specifico sistema a rilascio controllato. Nella seguente trattazione ci interesseremo ai modelli utilizzati per descrivere il rilascio nel caso di sistemi controllati dalla diffusione ed inoltre vedremo come è possibile caratterizzare il tessuto arterioso circostante. Per illustrare il crescente ruolo dei modelli matematici nello studio del rilascio controllato di farmaco, procediamo innanzitutto con una descrizione in ordine cronologico dei modelli proposti. A partire dagli ’60, il modello matematico più famoso e largamente usato per descrivere con una semplice equazione il rilascio di farmaco è noto come modello di Higuchi [6] e risale al 1961. Il modello è stato successivamente modificato ed esteso ad una più ampia classe di fenomeni che rientrano tra i sistemi controllati dalla diffusione. Alla base della formula analitica proposta da Higuchi per descrivere la massa di farmaco rilasciata nel tempo ci sono diverse ipotesi, riportiamo le due principali. Innanzitutto, si suppone che il sistema sia immerso in un bagno acquoso di grandi dimensioni (o in un altro solvente da specificare) cosı̀ che la concentrazione del farmaco sul lato del rilascio possa essere considerata pari a zero. Sia detta c0 la massa iniziale del farmaco caricato nel polimero, e sia cs la solubilità del farmaco in acqua. Sotto l’ipotesi c0 >> cs , nel caso di matrici polimerica piana vale la relazione: M (t) = A[Dc (2c0 − cs )cs t]1/2 , (1) dove M(t) è la massa di farmaco rilasciata al tempo t, Dc la diffusività del 7 farmaco nella matrice e A la superficie di rilascio. Successivamente il modello è stato esteso per considerare casi più realistici con geometrie più complesse. Tuttavia, per le ipotesi su cui si basa, il modello risulta accurato per descrivere il rilascio solo per tempi brevi e termini correttivi vanno aggiunti per considerare tempi di rilascio più lunghi. Nel caso in cui la concentrazione iniziale sia inferiore alla solubilità la fase solida e quella dissolta non coesistono e si possono utilizzare dei modelli puramente diffusivi come quello proposto da Crank nel 1975 [1] per matrici estruse in film sottili: ∞ −Dc (2n + 1)2 π 2 t 1 8 X M (t) =1− 2 exp , (2) M∞ π n=0 (2n + 1)2 L2 dove L è lo spessore della matrice.Il modello è stato esteso successivamente a geometrie sferiche e cilindriche. Accanto a questi modelli di natura deterministica troviamo una serie di modelli semi-empirici il cui scopo non è quello di descrivere in dettaglio i meccanismi del rilascio, ma di fornire delle stime quantitative del farmaco rilasciato a seconda della natura del materiale e del farmaco utilizzato. Risultano quindi meno flessibili e solamente in grado di descrivere specifiche condizioni sperimentali piuttosto che classi di problemi. Uno dei modelli maggiormente usati e di facile applicabilità è stato proposto da Peppas nel 1985 [15]. L’equazione proposta, nota come ”power law”, assume la forma: M (t) = ktn , M∞ (3) dove k è un parametro tipico della geometria della matrice considerata mentre n dipende dal fenomeno dominante responsabile del rilascio. Ad esempio, nel caso di matrici costituite da film sottili, se il rilascio è controllato dalla diffusione si ha n ≈ 0.05. Nel caso di geometrie cilindriche o sferiche si ottiene invece n ≈ 0.45 e n ≈ 0.43, rispettivamente. Anche se di facile implementazione, questa equazione richiede molta cautela nel suo utilizzo, come anche un’attenta valutazione del sistema sperimentale in esame e una profonda conoscenza del comportamento dei materiali impiegati. Oltre ai modelli che descrivono sistemi controllati dalla diffusione troviamo anche quelli che considerano il fenomeno di dissoluzione ed il passaggio di fase del farmaco dallo stato solido allo stato dissolto. La modellazione della dissoluzione in termini matematici trova le sue origini alle fine dell’800 con l’equazione semiempirica di Noyes and Whitney [14], che descrive il flusso di concentrazione dissolta come Q(t) = kd A(cs − c), (4) dove kd è il coefficiente di dissoluzione. Da questa equazione si evince che il motore della dissoluzione è la differenza tra il valore della concentrazione dissolta (c) e la solubilità (cs ) del farmaco in ogni punto della matrice. Infatti, tanto più 8 il valore della concentrazione dissolta si avvicina al suo limite superiore definito da cs tanto più il flusso di farmaco che passa in soluzione diminuisce. Sulla base di questa semplice ma fondamentale equazione, viene proposto un modello in cui entrambe le fasi del farmaco vengono descritte attraverso un sistema di equazioni alle derivate parziali. In particolare, riportiamo il modello proposto da Frenning e Stromme [4] nel 2003 per una matrice bidimensionale rappresentata dal dominio Ωc : ∂c − ∇ · (Dc ∇c) = kd s2/3 (cs − c), in Ωc × (0, T ], ∂t ∂s = −kd s2/3 (cs − c), in Ωc × (0, T ], ∂t s = s0 , c = c0 , in Ωc . (5) La prima equazione descrive l’evoluzione della fase dissolta, che è influenzata da due contributi, uno diffusivo ed un termine sorgente. Quest’ultimo, descrive l’aumento della concentrazione di farmaco dovuto alla dissoluzione. La seconda equazione descrive invece la reazione di dissoluzione della fase solida s. Il modello completo è in grado di descrivere un ampia finestra di fenomeni. Supponiamo che inizialmente il farmaco sia caricato in modo uniforme nel materiale, e che si trovi solo allo stato solido, cioè c = 0, per t = 0. Nel caso di un problema dominato dalla diffusione, cioè quando la diffusività del farmaco nel polimero è molto elevata, la fase solida decresce uniformemente nel materiale (Fig.5). Il caso limite è rappresentato dall’equazione (2). Nel caso invece di una diffusione molto lenta il rilascio è controllato dalla dissoluzione. All’interno della matrice si crea un fronte di dissoluzione e la matrice si divide in due regioni, una in cui la fase solida è stata completamente dissolta e una seconda in cui la fase solida è pari al suo valore iniziale, come in Fig.5. In questo caso l’approssimazione di Higuchi risulta valida. Inoltre il modello (5) può essere utilizzato per descrivere tutte le situazioni intermedie che non sono appropriatamente descritte dalle equazioni (1) o (2). 3 Caratterizzazione del tessuto vascolare Il trasporto di sostanze chimiche, ad esempio farmaci, attraverso tessuti viventi, in particolare attraverso la parete dei vasi sanguigni, è un problema che coinvolge numerosi e complessi fenomeni fisici. Da un lato esso è influenzato dalla fluidodinamica del sangue nelle arterie e dalla lenta filtrazione del plasma attraverso la parete di queste, fenomeno con il quale numerose specie chimiche, come i nutrienti e le sostanze di scarto, vengono trasferite dal sangue all’interno della parete dei grandi vasi sanguigni e viceversa. Dall’altro, occorre analizzare la complessa interazione tra le sostanze chimiche considerate, la matrice extracellulare e le cellule che compongono i tessuti. Questo problema deve essere affrontato sia dal punto di vista meccanico che da punto di vista biochimico. 9 Solid concentration profile 3 2.5 2.5 2 2 s s Solid concentration profile 3 1.5 1.5 1 1 0.5 0.5 0 0 0.2 0.4 0.6 0.8 0 0 1 x 0.2 0.4 0.6 0.8 1 x Figura 5: Dissoluzione di un farmaco in una matrice porosa permeata da fluido. Le diverse curve rappresentano la concentrazione della fase solida s a diversi istanti. A sinistra viene riportato il caso a diffusione dominante, in cui non sono percepibili significativi gradienti di concentrazione. A destra è illustrato il comportamento del sistema nel caso a reazione dominante. Si nota la formazione fronte di dissoluzione che si propaga da destra verso sinistra. Infatti, durante la loro filtrazione attraverso la parete vascolare le molecole di farmaco interagiscono continuamente con la rete di fibre che compongono il tessuto, urtando le fibre, filtrando attraverso gli interstizi tra una fibra e l’altra e reagendo chimicamente con esse, ad esempio legandosi ad opportuni recettori posti sulle fibre oppure venendo metabolizzate dalle cellule stesse. La modellistica del trasporto di farmaco attraverso un tessuto arterioso risale agli anni ’70. I primi tentativi descrivono il tessuto come un mezzo poroso all’interno del quale il farmaco si muove regolato da fenomeni di natura diffusiva e convettiva ed è inoltre in grado di legarsi reversibilmente a specifici siti cellulari. Viene anche introdotta la distinzione tra farmaco idrofilo, che si lega molto poco al tessuto circostante, e farmaco idrofobo in grado di legarsi al tessuto per tempi molto più lunghi. Questi modelli hanno dato luogo alla teoria detta pore theory formalizzata negli anni ’80 in [2, 5]. Negli anni ’90 appaiono i primi modelli computazionali, citiamo ad esempio [7] ed in particolare il lavoro di M. Lovich ed E.R. Edelman [12] volto a simulare la distribuzione di un farmaco della parete vascolare. In particolare nel lavoro di Lovich ed Edelman lo scopo è quello di scavalcare le limitazioni dei modelli animali (inadeguatezza del sistema di rilevamento, difficoltà nella ripetibilità degli esperimenti) e descrivere in maniera più puntuale il comportamento del farmaco nel vaso. Il modello matematico viene utilizzato come mezzo di comprensione dei dati sperimentali ed ottimizzazione del rilascio. Come accennato precedentemente, il farmaco si muove per diffusione, fenomeno generalmente descritto con la legge di Fick, e per advezione dovuta al plasma che permea dal sangue all’interno della parete. Inoltre il farmaco può 10 legarsi reversibilmente con specifici siti cellulari e la reazione che regola questo fenomeno può essere facilmente descritta come kon ⇄ kof f SF + R SB . (6) Questa forma, introdotta in [5], descrive come un agente attivo libero all’interno del tessuto SF si possa legare a specifici siti R per originare un nuovo complesso, SB in cui l’agente attivo è legato. Le costanti kon e kof f sono i coefficienti che definiscono rispettivamente la velocità di produzione del complesso legato SB e la velocità con cui i siti di legami R vengono liberati. Nei lavori [5, 12] vengono inoltre introdotti altri concetti come la frazione di tessuto in cui il farmaco può distribuirsi, detta ζ ed il coefficiente di partizione, kp che, attraverso un’indagine sperimentale, fornisce una stima mediata nel tempo della percentuale di farmaco legata al tessuto all’equilibrio chimico [12]. In entrambi i lavori citati il modello computazionale proposto è monodimensionale e calcola le quantità d’interesse con un semplice algoritmo basato su uno schema alle differenze finite. Il tessuto è diviso in elementi monodimensionali, ognuno con un nodo al centro. Il farmaco si può presentare in tre differenti stati: in soluzione, legato reversibilmente a specifici siti cellulari o metabolizzato. L’equazione proposta è, ∂J ∂b ∂a =− + , ∂t ∂x ∂t (7) dove a e b rappresentano l’attività chimica (che è proporzionale alla concentrazione) delle diverse fasi in cui si trova il farmaco, mentre J è il flusso di a. Il terzo termine rappresenta la possibile reazione tra le varie fasi. Il flusso J mediato in ogni cella del tessuto dopo diverse elaborazioni assume la forma J = −σD ∂a + F a, ∂x (8) dove il coefficiente σ è funzione della porosità del mezzo e della frazione di tessuto disponibile per il farmaco. Il secondo contributo rappresenta il trasporto convettivo e F è funzione della velocità con cui il farmaco viene trasportato. Il modello viene quindi risolto con uno schema alle differenze finite centrate per cui la concentrazione del farmaco in soluzione in un dato istante temporale dipende dalla concentrazione del farmaco nell’istante precedente e dal valore della concentrazione nei nodi vicini. Una significativa applicazione della pore theory si trova nei lavori di K. Perktold e collaboratori [17, 9] che mirano a sviluppare un modello computazionale completo dei vasi arteriosi. Vengono infatti descritti e caratterizzati gli strati della parete arteriosa (intima, media , adventitia) contemporaneamente al lume vasale attraversato dal flusso ematico. Il trasporto di farmaco nello strato più interno 11 del vaso (l’intima) e nello strato intermedio (la media) sono descritte tramite un’equazione di diffusione trasporto del tipo ∂d − ∇ · (Dw ∇d) + γf uf · ∇d = 0 ∂t in Ωw × (0, T ], (9) dove uf è la velocità di filtrazione media e γf è un coefficiente di attrito per il trasporto convettivo nella parete. In particolare la filtrazione del plasma è mossa dalla differenza di pressione tra lo strato interno della parete arteriosa e lo strato esterno. Da un punto di vista modellistico la parete arteriosa può essere descritta come un mezzo poroso e la velocità di filtrazione del plasma è calcolata utilizzando la legge di Darcy o Darcy-Brinkman, sotto ragionevoli ipotesi semplificative descritte, ad esempio, in [16]. Per concludere questa sezione presentiamo un modello che formalizza e racchiude i fenomeni sopra introdotti. Le due fasi del farmaco nel tessuto, sono modellate separatamente; d rappresenta la concentrazione dissolta di farmaco libera di legarsi reversibilmente al tessuto e di diffondere, b la concentrazione di farmaco legato al tessuto ed r la concentrazione dei siti cellulari liberi. Definito r0 come il valore iniziale della concentrazione dei siti liberi vale la relazione: r0 −r = b. Il sistema di equazioni, che generalizza quello proposto in [18], assume la forma seguente, ∂b ∂d ∂t − ∇ · (Dw ∇d) + γf uf · ∇d = − ∂t , in Ωw × (0, T ], ∂b (10) = ǫ−1 in Ωw × (0, T ], w kon d(r0 − b) − kof f b, ∂t d = d0 (x), b = b0 (x) in Ωw × {t = 0} . dove Dw è il coefficiente di diffusione del farmaco nel tessuto mentre a0 , b0 sono i valori iniziali delle concentrazioni. Osserviamo infine che la descrizione matematica del trasporto di natura convettiva del farmaco nel tessuto è stata ripresa e largamente analizzata da altri autori che hanno considerato la modellazione meccanica della parete arteriosa che, come corpo elastico, può subire delle modifiche dovute alla presenza del fluido di filtrazione. Questa indagine ha dato luogo ad un’area di ricerca molto attiva che mira a descrivere la proprietà meccaniche e termodinamiche di un tessuto biologico sulla base della teoria delle miscele. Rimandiamo il lettore interessato a [8]. 3.1 Verso un modello completo Per ottenere un modello completo in grado di descrivere il rilascio del farmaco dalla matrice polimerica al tessuto circostante è necessario introdurre opportune condizioni di accoppiamento. Riferendoci al modello di dissoluzione a due fasi nel polimero (5) e di legame reversibile a due fasi nel tessuto (10), imponendo il 12 bilancio di massa sul sistema ovvero la continuità del flusso e della concentrazione del solo farmaco dissolto sull’interfaccia dove avviene il rilascio, otteniamo J(c, d) = −Dw ∇d · n = Dc ∇c · n, c=d (11) dove n ı̀l versore normale all’interfaccia, diretto dal dominio Ωc (matrice) verso Ωw (tessuto). Spesso, nella realtà il flusso di farmaco è controllato attraverso la presenza di una membrana di rivestimento chiamata top coat che posizionata all’esterno della matrice polimerica ha lo scopo di rallentare la fuoriuscita del farmaco. Per descrivere questa soluzione tecnologica si utilizzano le equazioni di Kedem-Katchalsky [10] sviluppate per descrivere il processo di trasferimento di massa attraverso una membrana. Le equazioni descrivono il flusso di composti chimici attraverso una membrana tenendo conto della loro concentrazione su entrambi i lati della stessa. In particolare permettono alla concentrazione di farmaco dissolto di assumere valori diversi ai due lati della membrana. Se, come nel nostro caso, la componente normale della velocità attraverso l’interfaccia è trascurabile, il flusso del farmaco è definito come d c − , J(c, d) = P γc γw dove P rappresenta la permeabilità della membrana mentre, γc e γw sono dei parametri caratteristici che tengono in considerazione la porosità del mezzo. Questa equazione mostra come il flusso attraverso la membrana sia proporzionale al salto della concentrazione nella fase dissolta. Le condizioni di accoppiamento vengono riscritte, considerando il rivestimento, come segue, −Dw ∇d · n = −D c ∇c · n, d c − . −Dc ∇c · nc = P γc γw 4 (12) Applicazione dei modelli alla realtà clinica La descrizione matematica proposta per l’insieme dei fenomeni che hanno luogo nella parete vascolare e nel materiale di rivestimento comprende le equazioni di Darcy per la filtrazione del plasma e sistemi di equazioni di diffusione, trasporto e reazione per la dinamica del farmaco nei due diversi materiali. La principale difficoltà per la soluzione numerica di questo insieme di equazioni applicate al problema del rilascio di farmaco da parte di uno stent consiste nella necessità di tenere conto di molteplici scale spaziali e temporali. Riguardo alle scale spaziali, ricordiamo che il rivestimento dello stent in cui è contenuto il farmaco da rilasciare è estremamente sottile, dell’ordine del micron, mentre le dimensioni caratteristiche dello stent stesso sono quantificabili sulla scala dei centimetri. Riguardo invece alle scale temporali, osserviamo che il rilascio di farmaco avviene 13 Figura 6: Geometria di uno stent in cui i filamenti metallici sono completamente ricoperti dal materiale polimerico a sinistra. Distribuzione del farmaco all’interno dell’arteria dopo 10 ore dall’impianto del dispositivo a sinistra. molto lentamente e si esaurisce solo nell’arco di svariati giorni, mentre il tempo caratteristico per il flusso sanguigno è determinato dalla frequenza del battito cardiaco, che risulta estremamente pir̀apida del rilascio. Alla modellistica si affianca dunque un lavoro di natura numerica che si pone come obiettivo quello di proporre robuste tecniche numeriche per risolvere agevolmente ed in tempi ragionevoli il problema in esame. Nel seguito riportiamo un esempio di una simulazione di rilascio di farmaco da parte di uno stent la cui geometria corrisponde a quella di uno stent effettivamente commercializzato ed impiantato nei pazienti. La geometria dello uno stent espanso all’interno dell’arteria è riportato in Fig.6 (a sinistra). La parte grigia chiara evidenzia la forma della maglia dello stent che è completamente ricoperta dal materiale polimerico contenente il farmaco. Il dispositivo è immerso nella parete arteriosa, zona scura. A partire da questa geometria viene costruito un dominio computazionale utilizzato per risolvere il problema con schemi ad elementi finiti per l’approssimazione spaziale mentre vengono usate differenze finite per l’avanzamento in tempo. Inizialmente viene stimata la velocità di filtrazione e la distribuzione della pressione all’interno del vaso, poi si risolve l’insieme di equazioni per trovare la distribuzione del farmaco. In particolare in Fig. 7 a destra, si vede la distribuzione del farmaco all’interno della parete dopo un arco temporale pari a dieci ore. Si intuisce come la distribuzione del farmaco dipenda dal design dello stent, infatti risulta maggiormente marcata in alcune zone della parete vicine alla sorgente di farmaco. I risultati numerici posso essere utilizzati anche per stimare quantità di interesse clinico. Ad esempio, la dose che può essere interpretata come la quantità totale di farmaco a cui l’organismo è esposto in un dato tempo T è definita come Z T [d(x, t) + b(x, t)]dt, 0 dove x è la variabile spaziale e t il tempo. Questa quantità è spesso utilizzata per 14 Figura 7: Dose del farmaco all’interno dell’arteria per un periodo di 6 giorni a sinistra. Tempo di residenza del farmaco nel tessuto a destra stimare l’efficacia terapeutica del dispositivo. Per avere un trattamento efficace è importante che il farmaco sia presente all’interno del tessuto per un intervallo di tempo sufficiente per limitare la risposta immunitaria dell’organismo e il richiamo cellulare responsabile della fase di ricrescita abnorme della parete. Non solo, si vuole anche controllare la distribuzione del farmaco in modo tale da garantire che una determinata concentrazione di farmaco sia presente in specifiche zone, come ad esempio quelle dove la parete è stata maggiormente sollecitata durante la fase di espansione dello stent. Fissata una concentrazione di riferimento nel tessuto che chiamiamo δ(x, t), per ogni punto all’interno del tessuto si può stimare il tempo per cui la concentrazione totale di farmaco è maggiore per una certa percentuale del valore di riferimento. Ad esempio in Fig.7 a sinistra sono evidenziati i tempi (in giorni) per cui la concentrazione è pari al 10% del valore di riferimento scelto. Altri esempi, referenze bibliografiche e più dettagli sugli aspetti numerici possono essere trovati nel Capitolo 7 del libro [3]. 5 Conclusioni Il significato di questo contributo è mettere in luce come la modellistica matematica e la sua eccezionale versatilità possa risultare uno strumento prezioso anche per lo studio di problema come quello del rilascio controllato di farmaci, che sembrerebbe a prima vista molto lontano da un rigoroso approccio scientifico, poiché è nato a partire da esigenze cliniche utilizzando inizialmente esclusivamente metodologie sperimentali. Speriamo che questo esempio, come innumerevoli altri, possa spronare le future generazioni di ricercatori a osare sempre di più ed affrontare con successo problemi apparentemente lontani da una semplice formalizzazione in modelli. I risultati del presente lavoro sono stati parzialmente finanziati dal progetto “Models and methods for degradable materials” dell’Istituto Italiano di Tecnologie (IIT), e da un progetto PRIN07 del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. 15 A Notazione c0 : concentrazioni iniziale di farmaco in fase dissolta cs : concentrazione di saturazione del farmaco c: concentrazione di farmaco in fase dissolta nel polimero s: concentrazione di farmaco in fase solida nel polimero d: concentrazioni di farmaco in fase dissolta nel tessuto b: concentrazioni di farmaco legato nel tessuto r: concentrazioni di siti cellulari che legano il farmaco ai : attività chimica dell’i-esima sostanza Dc , Dw : coefficiente di diffusione del farmaco nel polimero e nel tessuto A: superficie di rilascio L: spessore della matrice kd : coefficiente di dissoluzione kon , kof f : coefficienti di associazione e dissociazione del farmaco nel tessuto kp : coefficiente di partizione uf : velocitá di filtrazione del plasma nella parete M (t), M∞ : massa di farmaco rilasciata al tempo t o asintoticamante per t → 0 Q(t) : flusso di farmaco dissolto Riferimenti bibliografici [1] J. 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