Materiali
Didattici
«La gestione
integrata dei rifiuti»
ESPERIENZE
Le Ecomafie
GREEN JOBS – Formazione e Orientamento
LE ECOMAFIE
“Ecomafia” è un neologismo. È stato coniato da Legambiente ed
introdotto per la prima volta nel 1997, quando l’associazione
ambientalista pubblicò in collaborazione con tutte le forze dell’ordine
la prima edizione – da allora ripetuta ogni anno - del rapporto di
inchiesta sulle attività lucrative della criminalità organizzata che
hanno come oggetto l’ambiente.
Le principali attività ecomafiose riguardano l’abusivismo edilizio, il
traffico di animali esotici (vietato dalla Convenzione Internazionale
CITES), il furto di reperti archeologici e, soprattutto, lo smaltimento
illegale dei rifiuti. È quest’ultima infatti la attività più redditizia,
pericolosa e multiforme, tanto che qualche anno fa un boss mafioso
dichiarò ai microfoni del TG1 che per la criminalità organizzata quello
dei rifiuti era “un traffico più remunerativo anche della droga”.
Si passa dalle discariche abusive alla semplice sparizione di rifiuti che
dovrebbero essere trattati e invece, una volta presi in carico da
mediatori (i cosiddetti broker) autorizzati, sono bruciati o interrati
nella notte in zone abbandonate; ci sono anche operazioni più
complesse, come la contraffazione dei documenti che
accompagnano i rifiuti stessi (che così vengono classificati e trattati
come materie più semplici e meno inquinanti, riducendo di molto i
costi) o la miscelazione di una parte di rifiuti tossici e pericolosi a
materiali che non lo sono, con il risultato che i rifiuti tossici si
nascondono e confondono nella massa dei rifiuti non pericolosi. E
avvelenano i nostri territori.
Ma chi le svolge queste azioni? Tutti questi espedienti sono possibili
perché la filiera dei rifiuti, dal momento della loro produzione al
momento del loro smaltimento finale, è molto lunga, alle volte anche
in senso geografico. E più una filiera è lunga, maggiore è la presenza
di intermediari su di essa.
È sbagliato immaginare l’ecomafia come un mondo chiuso e
impenetrabile, fatto di malviventi con la faccia losca e la pistola in
tasca; si tratta piuttosto di un’ampia zona grigia in cui si muovono
moltissimi soggetti, spesso rispettabili (quantomeno di facciata):
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dall’impresa che appalta lo smaltimento dei propri rifiuti al miglior
offerente, fingendo di non accorgersi che un così basso costo del
servizio è sintomo di qualche inganno, a chi miscela materiali tossici
con materiali inerti; dall’amministratore locale convinto a tangenti a
chiudere un occhio su alcune situazioni, al perito che si distrae al
momento dell’analisi chimica dei materiali, per non parlare di chi
prepara (o per meglio dire falsifica) i documenti per il trasporto. Il
mafioso riconoscibile secondo il nostro cliché è solo quello che si
occupa dell’ultima fase, dai roghi al riempimento di discariche
abusive (ex-cave, dirupi, ex-depositi di carburanti in disuso), finanche
l’affondamento di navi con il loro carico segreto di rifiuti. Ma anche
tutti gli altri soggetti coinvolti a monte, che aggirano la legalità più o
meno volontariamente, sono parte dell’ecomafia.
Il “vaso” è stato scoperchiato nell’ormai lontano 1992, quando il
pentito campano Nunzio Perrella, ex-boss del rione Traiano a Napoli,
confessò al magistrato Franco Roberti, che lo stava interrogando per
fatti di droga: “Dottò, a munnezza per noi è oro”. L’Italia ha così
scoperto con stupore l’esistenza dei traffici di rifiuti e, per contrastarli,
ha messo in campo alcune azioni fondamentali, dimostrandosi
all’avanguardia rispetto al contesto internazionale. Su tutte,
l’introduzione nel Codice dell’Ambiente del 2002 dell’articolo 260, che
istituisce il delitto di “attività organizzata per il traffico illecito di
rifiuti”, riconoscendo che dietro a questi reati ci sono vere e proprie
organizzazioni. Un altro passo fondamentale si è avuto nel 2010,
quando la competenza ad indagare sul traffico dei rifiuti è stata
assegnata alle Direzioni Distrettuali Antimafia. Questo ha garantito a
chi indaga maggiori poteri e competenze specifiche, e ha liberato il
campo da ogni dubbio: questo tipo di reati è di stampo mafioso.
Per avere un’idea delle dimensioni del fenomeno, basti pensare che
nel decennio 2002–2012 sono state realizzate 191 inchieste, a cui
hanno lavorato 85 Procure in tutta Italia. Le indagini hanno portato a
1.199 arresti e 3.348 persone denunciate. Le aziende coinvolte sono
state ben 666 e i clan mafiosi 39. I rifiuti sequestrati sono stati 13,1
milioni di tonnellate in 89 delle 191 inchieste (per le altre il dato non è
disponibile):
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mettendo idealmente in fila tir carichi di tutti questi rifiuti,
percorreremmo una strada lunga più di 7.000 chilometri, quanto tutta
la rete autostradale italiana. Infine il volume d’affari stimato per il
traffico di rifiuti nel decennio di cui stiamo parlando è di ben 43
miliardi di euro.
Parlando invece delle rotte di questi rifiuti, anche qui dobbiamo
sfatare un luogo comune: non si tratta solo (o almeno non più) di
rifiuti industriali prodotti nelle regioni del nord Italia e (mal)trattati al
Sud, quanto piuttosto di una rete intricatissima di scambi e viaggi,
che alle volte porta i rifiuti su rotte sud-nord o li tratta in loco nei
principali distretti industriali veneti e lombardi, ma che esce anche dai
confini nazionali. Infatti, nelle 191 inchieste citate, le indagini in vari
casi hanno coinvolto anche 22 stati esteri: dalla Grecia alla Bulgaria,
dall’Inghilterra alla Norvegia, dalla Cina al Congo.
Se ancora ci sembra che le ecomafie non ci riguardino, vale la pena
raccontare alcune storie. La prima è quella della “Terra dei Fuochi”.
Non si tratta della regione della Patagonia Argentina citata in tutti i
libri di geografia (quella è la Terra del Fuoco), bensì di una vasta area
della provincia di Napoli compresa nei comuni di Quagliano, Villaricca
e Giugliano, chiamata così perché è uso comune per la camorra
bruciare cumuli di rifiuti in campagna e ai margini delle strade. I roghi
diffondono sostanze tossiche nell’aria e nei terreni circostanti, su
tutte la diossina, particolarmente pericolosa perché, assorbita dal
terreno e dagli animali, entra nella catena alimentare fino ad arrivare
all’uomo. Nel 2008 sono state trovate tracce di diossina nel latte delle
bufale allevate nel casertano e vari Paesi, giustamente preoccupati,
hanno sospeso temporaneamente le importazioni della mozzarella
campana.
Altra emergenza ecomafiosa balzata agli onori delle cronache è
quella delle cosiddette navi dei veleni. A partire dal 2005 il pentito
Francesco Fonti ha fatto dichiarazioni relative all’affondamento di
navi contenenti rifiuti tossici e radioattivi al largo delle coste
cosentine e reggine da parte della ‘ndrangheta (la mafia calabrese,
oggi la più potente ed organizzata delle organizzazioni criminali sul
nostro territorio).
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Sempre nel cosentino, ad Amantea, si è consumata la vicenda tutt’ora
non chiarita della Motonave Jolly Rosso, spiaggiata nel 1990 in un
incidente quantomeno dubbio. Dalla nave è poi stato fatto sparire
parte del carico, secondo molti testimoni rappresentato da bidoni di
rifiuti pericolosi.
Anche sulla vicenda di Ilaria Alpi, la coraggiosa e brava giornalista Rai
assassinata nel 1994 in Somalia assieme all’operatore Milan Hrovatin,
sembra allungarsi l’ombra sinistra delle navi dei veleni; Alpi stava
infatti costruendo un’inchiesta sui traffici di rifiuti radioattivi tra Italia
e Somalia. Nonostante le indagini in corso, siamo ancora molto
lontani dalla verità, ovvero dalla individuazione dei mandanti del
duplice omicidio.
Quelle qui raccontate sono solo alcune delle moltissime storie che
intrecciano mafie e rifiuti; tante altre si consumano ogni giorno grazie
alla cecità, all’avidità ed alla complicità di non pochi. E il prezzo è
altissimo per tutti, in termini di salute, di inquinamento del territorio,
di imprenditorialità legale che fatica a sopravvivere alla concorrenza
illegale. Infatti, è bene ricordare che la gestione dei rifiuti da parte di
organismi mafiosi è non solo illegale, ma anche realizzata senza tener
conto della sicurezza del territorio, dell’ambiente e della salute di chi
vi abita. Ad esempio in provincia di Napoli, nel cosiddetto “triangolo
della morte” Acerra-Nola-Marigliano, l’indice di mortalità ogni
100.000 abitanti per tumore al fegato è di 38,4 per gli uomini e di 20,8
per le donne, a fronte di una media nazionale di 14.
Lo sforzo maggiore contro le ecomafie è senza dubbio quello messo
in campo dalla Forze dell’Ordine, in particolare dal Comando
Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente. Oltre ad indagini ed
interventi, il Comando gestirà da ottobre 2013 una grande operazione
di prevenzione. Si tratta del Sistema di controllo della tracciabilità dei
rifiuti (SISTRI), nato su iniziativa del Ministero dell'Ambiente e della
Tutela del Territorio e del Mare con l’obiettivo di controllare in modo
più puntuale la movimentazione dei rifiuti speciali (ed anche dei rifiuti
urbani, al momento per la sola Campania).
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LE ECOMAFIE
Il SISTRI, che doveva essere già attivo dal 2012 ed ha conosciuto
invece proroghe e ritardi tra numerose polemiche, è un sistema
elettronico in grado di monitorare il flusso in entrata ed in uscita degli
autoveicoli nei luoghi autorizzati di smaltimento. Il sistema si baserà
sull'utilizzo di due apparecchiature elettroniche: un rilevatore da
montare sui mezzi adibiti al trasporto dei rifiuti per tracciarne i
movimenti, e una token usb che viaggia assieme ai rifiuti, su cui sono
salvati tutti i dati ad essi relativi.
Per saperne di più
Osservatorio Ambiente e Legalità di Legambiente, 2012, Ecomafia
2012. Le storie e i numeri della criminalità ambientale, Milano,
Edizioni Ambiente
Bovino C., 2010Tracciabilità dei rifiuti: il SISTRI e la fase transitoria.
Guida pratica all'applicazione, Ipsoa Indicitalia
www.sistri.it
www.legambiente.it/temi/ecomafia
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CREDITI
• Materiale a cura del progetto La.Fem.Me – Lavoro
Femminile Mezzogiorno – Italia Lavoro S.p.A.
• Rielaborazione a cura del progetto Increase
• Fonti:
- Eco & Eco Economia E Ecologia Srl
• Immagini:
-
Foto copertina: 1. James Monkeyyatlarge; 2. Fil.al; 3.
Simada 2009
• Aggiornamento Settembre 2013
• Per informazioni – [email protected]
[email protected]