Anno V Pubblicazione numero 2 2009 GiustiziaSportiva.it Rivista Giuridica Direzione e Fondatori Enrico Crocetti Bernardi Antonino de Silvestri Enrico Lubrano Paolo Moro Jacopo Tognon Comitato di Redazione Giuseppe Agostini Alessia Bellomo Marco Mazzucato Emanuele Paolucci Michela Pigato Jacopo Tognon Direttore Responsabile Mario Liccardo _____________________________________________________________ Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004 al numero 1902 del Registro Stampa - Periodico quadrimestrale – - ISSN 1974-5230 1 INDICE DEL FASCICOLO 2° PARTE PRIMA DOTTRINA ANTONINO DE SILVESTRI, Integrazione e disintegrazione delle Federazioni Sportive dal sistema della legalità costituzionale pag. 4 MAURO SFERRAZZA, Spunti per una riconsiderazione dei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale pag.10 PACO D’ONOFRIO, La F.I.G.C. e la perpetuatio jurisdictionis pag.29 ALESSIO RUI, La perseguibilità penale a seguito di interventi avvenuti durante le competizioni agonistiche. -Limiti all'azione. Aspetti processuali pag.34 PARTE SECONDA NOTE A SENTENZA MARIO VIGNA E MARIA CECILIA MORANDINI, La buona fede e l’ignoranza scusabile dell’atleta escludono la violazione dell’art. 2.3 del Codice WADA per mancanza dell’elemento soggettivo - Nota a lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA v/ CONI, FIGC, Daniele Mannini & Davide Possanzini, 27 luglio 2009 pag.49 FEDERICA TOSEL, La giurisdizione dell’Alta Corte di Giustiziadel CONI quale ultimo grado di giustizia. Presupposti e limiti del contenzioso esofederale. Così è (se vi pare) - Nota a Alta Corte di Giustizia Sportiva, Decisione n. 1/2009 del 14 maggio 2009, Juventus/FIGC. pag.80 MARIO TOCCI, Doppio tesseramento di calciatore: problematiche connesse alla fattispecie dei tesseramenti in stagioni diverse - Nota a Commissione Disciplinare Nazionale della F.I.G.C. Comunicato n. 88/CDN F.I.G.C. del 07 maggio 2009 pag.100 PARTE TERZA GIURISPRUDENZA CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE FIGC A SEZIONI UNITE, C.U. N. 190 2009: giudizio di primo grado di revisione nel caso Guardiola DELL'8 MAGGIO pag.109 TRIBUNALE NAZIONALE DI ARBITRATO DELLO SPORT, LODO 1 LUGLIO 2009, PAPARESTA/AIA E FIGC pag.118 COMMISSIONE DISCIPLINARE NAZIONALE FIGC, C.U. N. 8/2009 ancora sulla c.d. violazione della clausola compromissoria LUGLIO 2009: pag.123 MAGGIO 2009: pag.126 CORTE D'APPELLO DI TORINO, SEZ. LAVORO 28 OTT. 2008, B.P.M C/ TORINO FC: trasferimento del titolo sportivo e trasferimento d'azienda: problematiche sottese ai rapporti di lavoro tra club e tesserati pag.138 DEL 14 CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE LAVORO, SENTENZA N. 10867 DEL 12 qualificazione del rapporto di "lavoro" tra arbitro e Federazione 2 PARTE PRIMA DOTTRINA SOMMARIO: , Integrazione e disintegrazione delle Federazioni Sportive dal sistema della legalità costituzionale ANTONINO DE SILVESTRI MAURO SFERRAZZA , Spunti per una riconsiderazione dei rapporti tra ordinamento pag. 4 pag.10 sportivo e ordinamento statale PACO D’ONOFRIO , La F.I.G.C. e la perpetuatio jurisdictionis La perseguibilità penale a seguito di interventi avvenuti durante le competizioni agonistiche. -Limiti all'azione. Aspetti processuali ALESSIO RUI, 3 pag.29 pag.34 Integrazione e disintegrazione…… INTEGRAZIONE E DISINTEGRAZIONE DELLE FEDERAZIONI SPORTIVE DAL SISTEMA DELLA LEGALITA’ COSTITUZIONALE di Antonino De Silvestri (*) Lontanissimi tra loro per natura e contenuti, i due dicta che si annotano sono però sottilmente legati da un filo che consente di riprendere il discorso, in termini di diritto vivente, sulla già denunciata inidoneità della teoria ordinamentale classica a svolgere ancora un’ utile funzione euristica per far posto, in sua vece, alla metodologia dell’integrazione tra precetti statuali e norme autodisciplinari 1. Sono del resto in continuo aumento le voci, sempre più autorevoli, che si levano per segnalare come “la mera ricognizione della/e teoria/e pluralistico-ordinamentale si sia nel tempo resa in molti casi risibile nella sua continua e problematica riproposizione”, come “la nozione di ordinamento sportivo, sottoposta a opposte tensioni, si stia divincolando su se stessa, prossima allo sfinimento” e come “l’ipostatizzazione di un ordinamento distinto e separato da quello dello Stato, finisca con il legittimare “in modo automatico l’esistenza di un’area fenomenica sottratta a quest’ultimo e alle sue norme, a cominciare da quelle costituzionali”2. Ed è sempre più frequente, al tempo stesso, la presa d’atto che l’ordinamento sportivo, lungi da porsi come enclave concettuale”, debba invece considerarsi anch’esso integrato, in quello statale, al pari degli altri ordinamenti infrastatuali”3 , con la conseguenza che la prospettiva interpretativa più corretta, non possa che essere quella di profondere “uno sforzo doveroso volto a porre la giustizia statale e quella sportiva in un rapporto di complementarietà e non di sovrapposizione, e meno ancora di conflitto”4. Sullo sfondo dell’ormai pressoché completa giuridificazione statuale della materia sportiva, ma non anche del completo assorbimento della stessa, essendo riservati ampi spazi, per dettato 1 Il riferimento è relativo ad A. DE SILVESTRI “Le questioni del metodo –Osservazioni minime sul concetto di ordinamento sportivo” , nel numero precedente di questa rivista, i cui contenuti risultano ora rimeditati ed ampliati in Il diritto dello sport: muove metodologie d’approccio, in Rivista delle Facoltà degli Studi di Palermo – Sport, benessere, diritto e società, Fascicolo 2, 2009. 2 L.FERRARA, voce Giustizia Sportiva, in Enciclopedia del Diritto, Giuffrà Editore, Milano, in corso di pubblicazione. 3 G. MANFREDI Pluralità degli ordinamenti e tutela giurisdizionale – I rapporti tra giustizia statale e giustizia sportiva, Giappichelli, Torino, 2007, pp. 283 e 309. 4 R. MORZENTI PELLEGRINI, L’evoluzione dei rapporti tra fenomeno sportivo e ordinamento statale, Giuffrè, Milano, 2007, pp. 134 e ss., 196-197. 4 DOTTRINA Integrazione e disintegrazione…… costituzionale e codicistico, oltre che per specifica scelta legislativa, alle soluzioni giustiziali endoassociative, non può che essere riguardata con favore la decisione della Corte di Giustizia Federale, pronunciata a Sezioni Unite, in quanto relativa a questione particolarmente rilevante ai sensi dell’ art. 34 n. 12 dello Statuto FIGC. Osservava alla fine degli anni 90 la CAF5 che, “per le caratteristiche ed i limiti strutturali dell’ordinamento della giustizia sportiva, lo stesso non è suscettibile di auto integrazioni” mediante l’inserzione a livello interpretativo di rimedi dallo stesso non contemplati ovvero di eterointegrazioni mediante la trasposizione di istituti giuridici propri dell’ordinamento generale”. La pronuncia in commento, è all’evidenza, di tenore diametralmente opposto a quanto affermato in precedenza dall’allora massimo organo giustiziale calcistico, perché in essa si sostiene che la norma processualpenalistica di cui all’art. 630 c.p. costituisce, invece, “lo sfondo di riferimento anche per il giudizio sportivo” e perchè, per motivare l’apertura della fase rescindente, sia quanto alle “prove nuove” che all’ “inconciliabilità di giudicati” la stessa si fonda, facendoli propri, su specifici, “eteronomi” arresti della Cassazione Penale. Se poi si considera che la dichiarata necessità di aprire una “finestra di confronto con il mondo dell’ordinamento di diritto comune” allo scopo di poter realizzare “l’armoniosa convivenza tra i due sistemi normativi” è stata manifestata nell’ambito della funzione nomofilattica riservata alla Corte a Sezioni Unite, si comprende come l’operata integrazione tra le norme federali di soft law con quelle statuali di hard law travalichi ampiamente il caso portato alla sua cognizione per imporre, ben più a monte, un futuro metodo di giudizio per l’intero plesso della giustizia endoassociativa calcistica. L’espresso ripudio dei pregressi canoni di giudizio, incentrati sull’ormai insostenibile modulo autoreferenziale con pretese di alternatività alla giustizia statuale non è ovviamente casuale, ma costituisce il frutto di una consapevole presa di coscenza, da parte dell’attuale organo apicale della giustizia calcistica, sia delle scelte specifiche del legislatore che della rinuncia, da parte delle federazioni (e delle altre organizzazioni sportive), ad ogni pretesa di incondizionata autodichia ritenendosi le stesse non più calate in un vacuam caratterizzato dall’assenza di poteri statuali, non più separate dallo, ma integrate al contrario nell’ordinamento generale. E’ del resto l’intero sistema giustiziale sportivo quale voluto dal legislatore e dal regolatore CONI ad apparire, a ben vedere, un autentico manifesto dell’integrazione. 5 C.A.F. FIGC, App. riun AC Campobasso, riunione del 12 giugno 1998, C.U. n. 34/C. 5 DOTTRINA Integrazione e disintegrazione…… Con il D. Lgs n. 242/1999, l’attuale referente del movimento sportivo nazionale in luogo della precedente legge n. 426/1942, è infatti iniziato il trend del contemperamento tra le esigenze di autodichia delle federazioni sportive e l’irrinunciabile sovranità dello Stato, ed il perno della riforma è costituito dalla nuova funzione del CONI quale regolatore e garante di entrambi gli anzidetti valori. Avvalendosi del potere statutario conferitogli dall’art. 2 del menzionato decreto, il CONI ha innanzitutto significativamente accolto, per la soluzione di tutte le controversie nell’ordinamento sportivo, il principio del giusto procedimento (art. 2 n. 8 St.), che attinge il proprio humus direttamente dall’art. 111 della Costituzione e le cui specificazioni applicative, peraltro non ancora completamente esplorate in ambito giustizial-sportivo, non possono che essere modellate, sia a fini di validità di ciascun procedimento che di formulazione di astratte fattispecie regolamentari, su canoni propri dell’ordinamento generale. Anche sulla scorta della modifica legislativa di cui alla lettera h) bis dell’art. 7 comma 2 del decreto legislativo n. 15/2004, che abilita la Giunta nazionale “all’individuazione dei criteri generali dei procedimenti di giustizia sportiva” nel rispetto, tra l’altro, dei “principi del contraddittorio tra le parti, del diritto di difesa, della terzietà e l’imparzialità degli organi giudicanti, della ragionevole durata e della impugnabilità delle decisioni”, l’integrazione tra giustizia sportiva e giustizia ordinaria risulta inoltre consacrata dalla specifica attività regolamentare svolta dal CONI proprio al fine di “conformare” al rispetto dei canoni anzidetti l’autonomia disciplinare delle singole federazioni. Il Principio Fondamentale n. 30 degli Statuti impone infatti a quest’ultime di attenersi ai Principi di Giustizia emanati dalla Giunta (e, si badi bene, per quanto non espressamente previsto, ai principi del diritto processuale) i quali, come emerge dalla loro semplice lettura, risultano già di per sé stessi il precipitato di tutti gli istituti fondamentali contenuti nel codice penale di rito. Tra i quali, per tornare al caso di specie, appunto quello della necessaria previsione “di un giudizio di revisione quale mezzo straordinario di impugnazione delle decisioni di natura disciplinare esperibile, senza limiti di tempo, dinanzi all’organo di appello“ nei casi di “inconciliabilità dei fatti posti a fondamento della decisione con quelli di altra decisione divenuta irrevocabile”, di “sopravvenienza di prove nuove e decisive di innocenza”, nonchè di “acclarata falsità in atti o in giudizio” (art. 3 comma 6 dell’anzidetto Principio). 6 DOTTRINA Integrazione e disintegrazione…… E la FIGC, che in precedenza prevedeva all’art. 35 del proprio Codice di Giustizia Sportiva un’ibrida figura denominata “revocazione” ispirata all’analogo istituto processual-civilistico, ma che accorpava in sé anche le ipotesi di revisione mutuate invece dal codice penale di rito, si è seppur tardivamente adeguata anche sotto il profilo formale, posto che l’attuale art. 39 distingue nettamente, al n. 1, le ipotesi di revocazione applicabili al contenzioso tra pariordinati da quelle di revisione, disciplinate invece dal successivo n. 2 appunto nei termini imposti dal CONI. Se dunque la pronuncia dell’organo giustiziale della FIGC rappresenta un condivisibile esempio di come possa essere operata “dal basso” l’integrazione delle norme autodisciplinari sportive con i precetti dell’ordinamento statuale, la decisione del Consiglio di Stato evoca lo stesso tema “dall’alto”, ponendo il problema del quantum di autodichia lo Stato pluralista può concedere alle federazioni-associazioni alla luce, evidentemente, dell’assetto disegnato dalla legge n. 280/2003. I panamministrativisti, evidentemente soddisfatti dell’attribuzione del contenzioso sportivo alla giurisdizione esclusiva del TAR Lazio, hanno all’epoca salutato la sua emanazione come “un momento fondamentale nell’evoluzione dei rapporti tra l’ordinamento sportivo complessivamente considerato e l’ordinamento statale” ed hanno considerato il riconoscimento formale dell’autonomia come “una grande conquista dello sport”, persino “sotto il profilo della certezza del diritto”, 6 laddove sei anni di casistica giurisprudenziale hanno ampiamente dimostrato, come avevo puntualmente previsto, l’inettitudine selettiva della legge a discriminare le pretese sportive statualmente rilevanti 7 e quindi, come ribadito anche di recente, l’inafferrabilità del criterio della rilevanza esterna8 . La realtà, invece, è che l’impianto della legge risulta ispirato da un (questo sì) fondamentale equivoco di fondo. Si legge infatti nella relazione al decreto legge n. 220/2003 che quello sportivo “è tradizionalmente riconosciuto quale ordinamento sportivo autonomo secondo la nota teoria del pluralismo degli ordinamenti giuridici” e che “la questione della relazione tra giustizia sportiva e giustizia ordinaria si inquadra, ovviamente, nell’ambito del rapporto tra i due ordinamenti”. 6 7 86 Così E.LUBRANO, La giurisdizione amministrativa in materia sportiva dopo la legge 17 ottobre 2003 n. 280 , in AA.VV., La giustizia sportiva – Analisi critica della legge 17 ottobre 2003 n. 280, Experta edizioni, Forlì, 2004, pp. 182-183. 7 A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale in A.A. V.V., La giustizia sportiva, cit., p.p. 85 ss 8 Così F. ELEFANTE, I risvolti economici della giustizia sportiva nella giurisprudenza del TAR del Lazio. L’inafferrabilità del criterio della rilevanza esterna, in Foro amm. TAR 2008, 6, pp 1740 ss. 7 DOTTRINA Integrazione e disintegrazione…… Non ci si è avveduti, però, che l’autonomia dell’ordinamento sportivo, in quanto concessa, non poteva che essere statuale, e che il riferimento alla teoria ordinamentale classica era il sintomo, appunto, dell’equivoco di fondo che l’attività giustiziale sportiva potesse attingere il suo ubi consistam da un ordinamento extrastatuale, superiorem non recognoscens quale avrebbe dovuto considerarsi, alla stregua dell’anzidetta teoria, quello sportivo. Per quanto ridimensionata in sede di conversione in termini di quantum concesso, nella legge di conversione è rimasto immutato il convincimento, intimamente equivoco se non contraddittorio, di poter regolare, e quindi integrare l’autodichia sportiva nell’ordinamento generale tracciando confini avulsi dal sistema della legalità costituzionale. E’ questa la spiegazione, in particolare, della “riserva” di cui all’art. 2, lett. b), che nella sua univocità precettiva non può prestarsi ad interpretazione diversa da quella suggerita dal chiaro tenore letterale e fatta propria dalla decisione in commento. Non a caso, del resto, lo stesso giudice civile, chiamato a pronunciarsi sotto diverso profilo, quello della appartenenza o meno alla sua cognizione del contenzioso di cui agli art. 43 e 44 del D.lgs 286/98 abbia concluso, nel medesimo ordine di idee che il legislatore, regolando in via “innovativa ed esclusiva i rapporti tra ordinamento statale ed ordinamento sportivo” abbia “tracciato, in via esaustiva e completa”, il sistema dei rapporti tra gli anzidetti ordinamenti, assegnando a quello sportivo la cognizione “dell’intero, relativo settore di materie”9. Né, da ultimo, sono passate inosservate, alla dottrina più recente, sia l’opinabilità di un criterio che fonda la competenza giurisdizionale sugli asseriti effetti indiretti che possono scaturire dall’applicazione di una sanzione sportiva, che il fondamento più “politico” che ”giuridico” della sinora abbracciata interpretazione correttiva 10 Una volta ritenuto dal massimo organo di giustizia amministrativa che l’interpretazione correttiva finirebbe con il tradursi “in una operazione di disapplicazione delle legge incostituzionale”, sembra dunque avere le ore contate la pretesa di riservare un trattamento privilegiato alle federazioni, sino a concedere alle stesse quell’autodichia, sostanzialmente equivalente ad immunità giurisdizionale, negata ad altri gruppi sociali (associazioni professionali, partiti, sindacati, per tacere della Chiesa cattolica), che godono di una tutela costituzionale sicuramente più intensa. 9 Trib Trento, Sez. civile, ordinanza a seguito di reclamo, TS c/ FIPAV , 4 dicembre 2008, est. G. Adilardi. 10 Così F. ELEFANTE, op. loco.citt. 8 DOTTRINA Integrazione e disintegrazione…… Nuovi scenari sono dunque all’orizzonte, e toccherà di nuovo al legislatore il compito di integrare gli enti sportivi associativi nel sistema della legalità costituzionale dell’ordinamento generale dal quale, allo stato, risultano completamente “scollegati”11 o, se si preferisce, “disintegrati” né si vede, per altro verso, come un tale obbiettivo possa essere raggiunto prescindendo dal ruolo fondante dell’autonomia privata, sia a livello nazionale che sovranazionale12 (*)Avvocato, Consulente della Lega Nazionale Dilettanti, esperto di diritto sportivo 11 Amplius in A. DE SILVESTRI, AA.VV., Diritto dello sport, Le Monnier Università, Economia e Diritto, Firenze, 2008, pp. 136 ss. Sul punto vedi, ancora, A. DE SILVESTRI, Le nuove frontiere del diritto dello sport, in AA.VV., Diritto comunitario dello sport , Giappichelli, Torino, 2009, pp 81 ss 12 9 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… SPUNTI PER UNA RICONSIDERAZIONE DEI RAPPORTI TRA ORDINAMENTO SPORTIVO E ORDINAMENTO STATALE di Mauro Sferrazza (*) SOMMARIO: 1. Impostazione del problema. 2. Configurabilità dell’ordinamento sportivo quale ordinamento giuridico. 3. I rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento generale. 4. La ricostruzione dei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale alla luce del mutato quadro legislativo. 5. Prospettive di riconsiderazione dei rapporti tra i due ordinamenti. 1. Impostazione del problema. Nonostante gli interventi legislativi succedutisi in materia, la copiosa elaborazione dottrinaria e le statuizioni (non sempre coerenti) della giurisprudenza, il tema dei complicati rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento giuridico statale appare lungi dall’aver trovato una definitiva sistemazione. Del pari, incertezze permangono sulla portata e sulla rilevanza che talune attività delle federazioni sportive nazionali assumono per l’ordinamento dello Stato1. 1 Ex multis cfr. G. VIDIRI, Il caso Catania: i difficili rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo, nota ad ordinanza Tar Sicilia, Catania, 29 settembre 1993, n. 929, in Foro it., 1994, III, p. 513. 10 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… Il vivace dibattito in materia è in qualche modo il frutto dell’incerto ed oscillante intervento legislativo, «sempre in bilico tra un’ottica pubblicistica, giustificata dalla particolare natura degli interessi coinvolti, ed una visione privatistica, idonea ad assicurare una snellezza di forme ed una flessibilità di procedure, indispensabili per un soddisfacente svolgimento dell’attività agonistica»2. Certo, trovare il punto di equilibrio, il giusto compromesso tra inderogabilità di alcuni principi (fondamentali) dell’ordinamento dello Stato e l’autonomia a buon diritto rivendicata da quello sportivo non è cosa semplice. Del resto, se è vero che democraticità e modernità di uno Stato si misurano anche in funzione della sua «capacità di organizzare le autonomie: anzi di organizzare se stesso come rete, come collettore e relais delle varie autonomie»3, è altrettanto vero che «qualsiasi processo di rafforzamento delle autonomie, anche il più esteso, non può però mai importare l’abbandono da parte dell’ordinamento statale del nucleo di regole e principi fondamentali, che per il loro carattere unificante non sopportano limitazioni di alcun genere, e la cui rinunzia si traduce in una negazione delle funzioni e dei poteri sovrani dello stato» e che quindi «il pur doveroso ed opportuno riconoscimento di ampi spazi di autonomia all’ordinamento sportivo non può far dimenticare la natura settoriale e derivata di tale ordinamento rispetto a quello statale, che per la sua natura originaria e sovrana, risulta invece impermeabile a forme di compressione ed ingerenza, capaci di rinnegarne i principi fondamentali»4. Ed in tal senso, la giurisprudenza amministrativa ha in più occasioni affermato come «l’ordinamento sportivo nazionale, pur essendo dotato di ampi poteri di autonomia, autarchia ed autodichia, è derivato da quello generale dello Stato»5. Tali autorevoli considerazioni, tuttavia, non devono indurre a concludere per la mancanza di giuridicità e di autonomia normativa degli ordinamenti sportivi, che costituiscono la modalità ordinaria di autogoverno di una comunità, considerato che deve anzi ritenersi un’eccezione l’ingerenza dello Stato nel governo dello sport 6. 2 G. VIDIRI, Natura giuridica e potere regolamentare delle federazioni sportive nazionali, in Foro it., 1994, p.137. 3 A. MANZELLA, La giustizia sportiva nel pluralismo delle autonomie sportive, in Riv. dir. sport., 1993, p. 2. 4 G. VIDIRI, Il caso Catania: i difficili rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo, cit., p. 513. 5 Tar, Sicilia, Catania, sez. II, ord. 5 giugno 2003, n. 958, in Foro amm – Tar, 2004, p. 856, con nota di G. Calcerano, Il secondo «caso Catania»: interesse pubblico al regolare svolgimento delle competizioni sportive e autonomia dell’ordinamento giuridico sportivo. 6 In tal senso, A. MANZELLA, La giustizia sportiva nel pluralismo delle autonomie sportive, cit., p.2 11 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… Sotto un profilo generale, dunque, conserva attualità la questione della rilevanza nell’ordinamento giuridico generale della normativa federale e della individuazione dei limiti all’autonomia ed alla capacità di autorganizzazione attribuite (i.e. riconosciuti) all’ordinamento sportivo e, quindi, degli ambiti di rilevanza, per l’ordinamento generale, dei fatti e degli atti legati allo svolgimento delle competizioni sportive. Nella presente breve nota si tenterà, appunto, di svolgere una sintetica indagine ricognitiva sullo stato dei rapporti tra i due ordinamenti qui presi in considerazione, alla luce del rinnovato quadro normativo in materia. 2. Configurabilità dell’ordinamento sportivo quale ordinamento giuridico. Premesso che chi scrive non ha certo l’ardire di cimentarsi con le problematiche di teoria generale del diritto e dell’ordinamento giuridico e previamente espunta ogni pretesa di esaustività della trattazione, anche attesa la complessità e l’ampiezza del tema, la ricostruzione giuridica del fenomeno sportivo7 che si tenterà di svolgere, per quanto caratterizzata da esigenze di sintesi, non può non prendere le mosse dalle principali formulazioni teoriche in materia, a cominciare dalla teoria istituzionale8. Come noto, secondo siffatta teoria, i requisiti dell’ordinamento giuridico – in estrema sintesi – sono: 1) l’insieme dei soggetti, nel duplice significato che non è diritto ciò che non va al di là della sfera del singolo individuo e che non si configura società senza che in essa si manifesti il fenomeno giuridico; 2) il complesso delle regole di organizzazione; 3) l’ordine sociale, ossia l’insieme delle strutture nel cui ambito si muovono ed operano i componenti della comunità. Ciò premesso, «il concetto che ci sembra necessario e sufficiente per rendere in termini esatti quello di diritto, come ordinamento giuridico considerato complessivamente e unitariamente, è il concetto di istituzione. Ogni ordinamento giuridico è istituzione e viceversa ogni istituzione è un ordinamento giuridico»9. L’ordinamento, dunque, assume natura giuridica nel momento in cui il gruppo sociale si organizza, rectius si istituzionalizza10. 7 Per una ricostruzione delle diverse teorie sulla natura del fenomeno sportivo v. I. E A. MARIANI TORO, Gli ordinamenti sportivi, Milano, 1977, p. 9 ss. 8 La teoria è stata formulata per la prima volta in Italia da S. ROMANO, L’ordinamento giuridico3, Firenze, 1977, p. 106. 9 S. ROMANO, L’ordinamento giuridico3, cit., p. 27. 10 Non sono mancate critiche alla suddetta teoria. Per ragioni di spazio si rimanda, in particolare, a T. MARTINEZ, Diritto costituzionale8, Milano, 1994 e V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale2, I, Roma, 1970. Tale corrente di pensiero mette in evidenza come all’origine o alla base di quella che si definisce organizzazione ci sono pur sempre delle regole già esistenti, nel senso che l’istituzione è si un fatto, ma si tratta di un fatto ordinato e, quindi, conforme a determinate norme che essa necessariamente presuppone. «Il che val quanto dire che il processo di istituzionalizzazione e produzione di regole di condotta non possono andare disgiunti e che quindi là dove c’imbattiamo in un gruppo organizzato, là siamo sicuri di trovare un complesso di regole di condotta 12 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… In sintesi, è ordinamento giuridico ogni gruppo sociale che si auto-organizza e che effettivamente si realizza «in uno stabile assetto di interessi e relazioni sociali, almeno mediamente […] conformi alle norme che ne costituiscono l’aspetto deontologico»11. Sotto un dato profilo, poi, gli ordinamenti giuridici possono dividersi in due diverse categorie, l’una espressione di interessi collettivi, l’altra di interessi meramente settoriali. Gli ordinamenti giuridici appartenenti a questa ultima categoria difettano dei requisiti dell’autosufficienza e dell’assoluta autonomia. L’ordinamento giuridico, cioè, può essere originario o derivato: dipende dal tipo di relazione che si instaura con l’ordinamento statale generale e apparterà all’una o all’altra categoria «a seconda che trovi il proprio titolo di validità in sé stesso o nell’ordinamento statale»12. Di fondamentale importanza, in tema, è poi l’applicazione, al fenomeno sportivo, della teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici13, che consente di superare la tesi dell’unicità dell’ordinamento giuridico dello Stato: «la trasformazione della società sottostante allo Stato sovrano moderno ha determinato la crisi dell’ordinamento statale in quanto unico, unitario, esclusivo e, quindi, il manifestarsi e la crescente rilevanza di una molteplicità di ordinamenti sociali nel suo stesso ambito, di una molteplicità politipica non riconducibile affatto alla natura unitaria degli ordinamenti statali»14. che a quell’organizzazione hanno dato vita, o, in altre parole, che, se istituzione equivale a ordinamento giuridico, ordinamento giuridico equivale a complesso di norme. Ma allora la teoria dell’istituzione non esclude, bensì include la teoria normativa del diritto» (N. BOBBIO, Teoria della norma giuridica, Torino, 1958, p. 19). Secondo altra importante dottrina, la concezione di cui trattasi «è inficiata dall’errore di confondere due realtà: il diritto e la comunità, che sono modi di essere diversi e distinti della vita sociale. Il diritto invero è una forza destinata ad organizzare, a disciplinare, ad orientare, a dirigere la vita e l’attività di una comunità e da questa, per ciò, si distingue allo stesso modo in cui il medico si differenzia dall’ospedale per il quale presta servizio e l’insegnamento si differenzia dalla scolaresca alla quale è impartito» (A. TESAURO, Istituzioni di diritto pubblico, I, Nozioni generali. Il diritto costituzionale2, Torino, 1971, p. 89). Altri hanno fermato la loro attenzione sull’elemento dell’organizzazione quale punto debole della ricostruzione istituzionalistica, poiché attribuirebbe alla stessa un assetto statico, incapace di rappresentare la realtà nei suoi aspetti dinamici: la teoria coglie soltanto «l’aspetto strutturale e statico del fenomeno giuridico; paradossalmente ha ignorato il modo in cui il diritto attraverso le norme di condotta si indirizza agli uomini per orientarne l’azione. L’istituzionalismo è una concezione molto fertile se utilizzata per lo studio delle organizzazioni giuridiche storiche che non hanno più vigenza; per gli ordinamenti giuridici contemporanei e vigenti il suo punto debole sta nel non offrire uno strumento di conoscenza che possa spiegare la tensione tra il diritto e la realtà» (A. CATANIA, Argomenti per una teoria dell’ordinamento giuridico, Napoli, 1976, p. 137). Taluna dottrina si è anche interrogata sull’attuale significato del concetto di organizzazione, giungendo a concludere che, considerate le notevoli variazioni subite nel tempo, «come strumento euristico, “istituzione” oggi, non ha più interesse» (S. CASSESE, Istituzione: un concetto ormai inutile, in Pol. dir., 1979, p. 59). 11 V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale2, I, Padova, 1970, p. 15. 12 T. MARTINES, Diritto Costituzionale9, Milano, 1998, p. 40. 13 Cfr. W. CESARINI SFORZA, Il diritto dei privati, in Riv. it. sc. giur., 1929. Sulla teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, v., tra gli altri, E. ALLORIO, La pluralità degli ordinamenti giuridici e l’accertamento giudiziale, in Riv. dir. civ., 1955, p. 247 ss.; A. LAMBERTI, Gli ordinamenti giuridici: unità e pluralità, Salerno, 1980, p. 148 ss.; L. DI NELLA, La teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici: analisi critica dei profili teorici e delle applicazioni al fenomeno sportivo, in Riv. dir. sport., 1998, p. 5. Utile anche una rilettura di H. KELSEN, General theory of law and State, Harvard, 1945, trad. it. di S. Cotta – G. Treves (a cura di), Teoria generale del diritto e dello Stato, Milano, 1954. 14 M. SANINO, Diritto sportivo, cit., p. 23. 13 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… In tale contesto teorico non appare dubbia la possibilità di configurare l’ordinamento sportivo quale ordinamento giuridico: l’ordinamento sportivo è espressione di quello che con nota ed efficace espressione venne definito «il diritto dei privati»15. Del resto, si tratta pur sempre di un ordinamento sociale, la cui peculiarità consiste nella ricerca del miglioramento continuo del risultato sportivo16 e, quindi, in quanto tale, giuridico, risolvendosi «nell’insieme delle qualificazioni esclusive della posizione, delle situazioni, dei rapporti, dei comportamenti degli appartenenti al gruppo»17. «Qualunque ordinamento sociale è giuridico, in quanto è un ordinamento […] onde più non interessa stabilire di quale ordinamento si tratta […]. E se una gerarchia di ordinamenti non è più possibile, bisogna concludere che il concetto di ordinamento giuridico viene in considerazione ogni volta che da un rapporto giuridico, attraverso la norma che lo regola, si risale a una volontà regolatrice, quale che sia codesta volontà»18. «Gli ordinamenti sociali sono pertanto da ritenersi giuridici, in quanto “più o meno bene” organizzati, ma sempre dotati comunque di un minimum di organizzazione e quindi di autorità, quand’anche, a sua vota – e, al limite – anorganica, spontanea, istintiva, saltuaria, diffusa, e via dicendo»19. La dottrina20, dunque, considera come giuridico l’ordinamento sportivo. Del resto, per organizzare e gestire le varie competizioni sportive ed assicurare la corretta acquisizione dei risultati è necessario porre in essere ed attuare specifiche regole, così che di fatto «i requisiti del gioco vengono a identificarsi con i principi generali del diritto, le sue regole e il suo concreto svolgimento corrispondono, rispettivamente, alla normazione e all’organizzazione»21. Non manca, tuttavia, chi reputa l’ordinamento statale e quello sportivo «ordini eterogenei situati su piani differenti», essendo il fenomeno sportivo «nient’altro che un complesso o un sistema di giochi»22. Altri hanno evidenziato la scarsa utilità ed utilizzabilità del diritto in questo settore sociale, che sarebbe dominato, invece, dal principio del fair play23. 15 W. CESARINI SFORZA, Il diritto dei privati, cit., p. 43, ossia «quello che i privati medesimi creano per regolare determinati rapporti di interesse collettivo in mancanza, o nell’insufficienza, della legge statuale» (p. 3), il complesso, cioè, «delle norme che autorità non statuali emanano per regolare determinate relazioni giuridiche tra le persone ad esse sottoposte» (p. 26). 16 Cfr. A. MARANI TORO, voce «Federazioni sportive», in Nov. dig. it, App. III, Torino, 1982, p. 681 ss. 17 M. SANINO, Diritto sportivo, Padova, 2002, p. 24. 18 W. CESARINI SFORZA, Il diritto dei privati, cit., p. 13. 19 F. MODUGNO, Pluralità degli ordinamenti, in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1983, p. 12. 20 Cfr., in particolare, M.S. GIANNINI, Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. dir. sport., 1949, p. 10; W. CESARINI SFORZA, La teoria degli ordinamenti giuridici e il diritto sportivo, in Foro it., 1933, c. 1381. 21 S. CANGELLI, L’ordinamento giuridico sportivo, Foggia, 1998, p. 21. 22 C. FURNO, Note critiche di giochi, scommesse e arbitraggi sportivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952, p. 641. 23 Cfr. F. CARNELUTTI, Figura giuridica dell’arbitro sportivo, in Riv. dir. proc., 1953, p. 16, che, appunto, riteneva estraneo alle regole del diritto l’intero fenomeno sportivo. 14 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… Secondo altra corrente dottrinale «la ricostruzione del fenomeno sportivo secondo la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici non appare convincente sotto diversi profili»24. In particolare, viene criticata «la prospettiva paritaria nei rapporti tra ordinamenti laddove si descrive di fatto il rapporto tra gli stessi in modo asimmetrico», in quanto, affermando che «il diritto dei privati non deriverebbe la sua giuridicità dalla posizione entro la gerarchia del diritto statuale in quanto esso sarebbe una formazione “parallela” a quest’ultimo […] si trasforma la sezione trasversale della realtà giuridica in una sezione orizzontale della stessa, nella quale senza alcuna spiegazione logica il terzo strato, prima “sottoposto” a quello “superiore” del diritto dello Stato, viene ora ad affiancarsi al primo»25. «Se questo è vero, si dimostra mal fondata la ragione per cui è stata costruita la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, che è quella di riaffermare la indipendenza e la autonomia degli ordinamenti particolari nei confronti dello Stato e la loro pari dignità con esso, e dunque non subordinare la natura di un ente a ciò che lo Stato dispone rispetto allo stesso. Se i tre possibili rapporti tra Stato e altri ordinamenti [ossia, riconoscimento, indifferenza, opposizione] dipendono dallo Stato, cessa ogni parità tra l’uno e gli altri»26. In tale ambito vi è chi evidenzia che il diritto è l’insieme di principi e norme che regolano la coesistenza e costituisce l’aspetto normativo del sociale27 e che «regole e principi, interdipendenti e coessenziali, configurano un insieme unitario e gerarchicamente disposto, che può essere definito, per la sua funzione ordinatrice, ordinamento giuridico e, per la sua natura di componente della struttura sociale, realtà normativa»28. Ciò premesso, se sono propri dell’ordinamento giuridico i caratteri dell’originarietà, nel senso che mutua da se stesso la sua legittimità 29, e dell’esclusività30, nonché la capacità di produrre norme ed applicarle31, se ne desume che lo specifico dell’ordinamento è la norma giuridica32 e la giuridicità della norma consiste nella sua esclusività, 24 L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1999, p. 83. 25 L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, cit., p. 86. 26 G.U. RESCIGNO, Corso di diritto pubblico4, Bologna, 1995, p. 204. 27 Cfr. L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, cit., p. 128. 28 P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 1997, p. 4. 29 Cfr. L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, cit., p. 128. 30 Cfr. E. FAZZALARI, Ordinamento giuridico. Teoria generale, in Enc. giur. Treccani, XXI, Roma, 1990, p. 5. 31 Cfr. N. BOBBIO, Teoria della norma giuridica, cit., p. 207 ss.: «nel passare dalle norme inferiori di un ordinamento a quelle superiori, noi passiamo dalla fase in cui la forza è rivolta ad applicare il diritto a quella in cui serve a produrlo, e pertanto passiamo dal concetto di forza come sanzione di un diritto già stabilito (cioè mezzo per rendere il diritto efficace) al concetto di forza come produzione di un diritto che deve valere in avvenire. V. anche C. LAVAGNA, Istituzioni di diritto pubblico5, Torino, 1982, p. 11, che osserva: «Considerando infatti l’ordinamento in se stesso, come sistema organico di regole, la forza del diritto è un elemento intrinseco». 32 Cfr. N. BOBBIO, Teoria della norma giuridica, cit., p. 207 15 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… «nel senso che essa prevale su eventuali altre regole», e nel suo essere vincolante, «nel senso che la condotta concreta deve – piaccia o no – conformarsi alla regola in che la norma consiste»33. E’, dunque, «questo sistema di regole e principi e di apparati da esso creati che esprime nella sua globalità il valore della giuridicità, intesa come vincolatività ed esclusività»34. Ne consegue che è fuorviante definire quale ordinamento, anche se derivato, le manifestazioni dell’autonomia privata o pubblica, «giacchè significherebbe riconoscere ad esse quella giuridicità originaria intrinseca al fenomeno ordinamentale che esse invece non hanno in quanto la derivano dal sistema normativo nel suo complesso. L’ordinamento giuridico non conosce dunque al suo interno altri “ordinamenti” (ancorché derivati), bensì settori normativi integrati da uno o più sistemi nell’insieme ordinamentale unitario e superiore»35. Riteniamo, invece, che all’affermazione della natura giuridica dell’ordinamento sportivo possa giungersi anche attraverso la dissociazione dell’idea di diritto da quella di Stato, che è, poi, il concetto fondamentale che sta a base della stessa teoria degli ordinamenti, onde consentire il recupero di visibilità degli ordinamenti non statuali. Ed anche per chi assuma la natura “derivata” dell’ordinamento sportivo da quello statale è, appunto, sufficiente siffatto elemento per conferire allo stesso il carattere della giuridicità36. La configurazione in termini di giuridicità dell’ordinamento sportivo ha, poi, trovato conferma in una storica pronuncia della Suprema Corte che ebbe, tra l’altro, ad affermare: «Il fenomeno sportivo, quale attività disciplinata sia in astratto che in concreto, visto indipendentemente dal suo inserimento nell’ordinamento statale, si presenta come organizzazione a base plurisoggettiva per il conseguimento di un interesse generale. E’ un complesso organizzato di persone che si struttura in organi cui è demandato il poteredovere, ciascuno nella sfera di sua competenza, di svolgere l’attività disciplinatrice, sia concreta che astratta, per il conseguimento dell’interesse generale. E’, dunque, un ordinamento giuridico»37. In definitiva, anche alla luce del dato positivo e dei numerosi riscontri interpretativi, sembra possibile concludere che quello sportivo è un ordinamento giuridico. 33 E. FAZZALARI, Ordinamento giuridico. Teoria generale, cit. p. 1. 34 L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, cit., p. 131. 35 L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, cit., p. 132. 36 Cfr., tra gli altri, R. FRASCAROLI, voce «Sport», in Enc. dir., Milano, XLIII, p. 513 ss.; A. QUARANTA, Rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento giuridico, in Riv. dir. sport., 1979, p. 29 ss. 37 Cassazione, sez. III, 11 febbraio 1978, n. 625, in Foro it., 1978, I, c. 862, con osservazioni di C.M. BARONE. 16 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… 3. I rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento generale. Sposata la tesi del pluralismo giuridico, previa negazione dell’assunto dello Stato come monopolista nel campo della produzione normativa, considerata la mancata regolazione della materia per via legislativa e preso atto della «rivendicazione di incondizionata autodichia da parte degli organi di giustizia sportiva»38, la dottrina prevalente ha, dunque, individuato, in quello sportivo, un vero e proprio ordinamento, originario e dotato di autonoma capacità normativa. Nonostante una certa unità di vedute sul fatto che l’attività sportiva sia «antica come il mondo»39, non sembra possa, invece, affermarsi che l’ordinamento giuridico sportivo si caratterizzi per essere sovrano. La sovranità, infatti, implica «non solo l’originarietà e l’indipendenza, ma anche la supremazia sugli ordinamenti minori; questi ultimi quindi, difettando di tale supremazia, per operare all’interno di un ordinamento sovrano, quale quello statale, devono necessariamente conformarsi ad esso»40. Ed anche a voler ritenere che originarietà e sovranità vadano considerate in modo unitario, deve osservarsi come «sia l’una che l’altra possono essere fatte valere esclusivamente all’interno dell’ordinamento sportivo» e come la sovranità dell’ordinamento sportivo «dovrà cedere di fronte a quella dello Stato nella misura in cui quest’ultimo intende esercitarla»41. Data, dunque, per acquisita la natura originaria dell’ordinamento giuridico sportivo rimane, appunto, il problema dei rapporti con l’ordinamento giuridico generale. La tesi prevalente propendeva per l’ipotesi di indifferenza o irrilevanza, per l’ordinamento statale, di quello sportivo che, quindi, esiste come tale accanto a quello dello Stato42. Anche l’orientamento giurisprudenziale sembrava aver assunto tale prospettiva. Le stesse Sezioni Unite hanno più volte hanno individuato un’area di totale autonomia dell’ordinamento sportivo, laddove si tratti di rapporti di natura tecnica connessi alla regolamentazione interna dello stesso ordinamento, mentre laddove le relazioni sono connesse all’espletamento della funzione amministrativo-organizzativa delle istituzioni sportive o i rapporti tra i soggetti dell’ordinamento 38 A. DE SILVESTRI, Il discorso sul metodo: osservazioni minime sul concetto di ordinamento sportivo, in www.giustiziasportiva.it, 2009, 1. 39 U. GUALAZZINI, Premesse storiche al diritto sportivo, Milano, 1965, p. 1. 40 E. RUSSO, L’ordinamento sportivo e la giustizia sportiva, in www.giustiziasportiva.it, 2006, 2. 41 R. PEREZ, Disciplina statale e disciplina sportiva, in Scritti in memoria di M.S. Giannini, Milano, 1988, I, p. 511 ss. 42 Cfr. W. CESARINI SFORZA, Il diritto dei privati, cit., p. 33. 17 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… stesso si atteggiano in modo “paritario”, allora la competenza giurisdizionale è rispettivamente dei giudici amministrativi (essendo quelle situazioni qualificate come interessi legittimi) e dei giudici ordinari (assumendo i relativi rapporti natura di diritti soggettivi)43. Insomma, la sostanziale deregulation in cui per lungo periodo hanno operato le federazioni sportive nazionali aveva consentito alle stesse di provvedere autonomamente alle proprie peculiari esigenze, anche di quelle connesse alla risoluzione dei conflitti, tanto da far giungere una parte della dottrina ad affermare che i regolamenti federali sono capaci, idonei e destinati a regolare sotto tutti gli aspetti le situazioni soggettive e oggettive che lo sport determina e che, pertanto, essi ed essi soltanto sono i referenti con cui l’interprete deve misurarsi44. La ricostruzione dell’ordinamento sportivo quale superiorem non recognoscens deve, però, oggi fare i conti con la legislazione emanata in materia e, segnatamente, con la legge del 1981, prima e con il c.d. decreto Melandri (1999) e la legge n. 280 (2003), poi. Quando, infatti, «a decorrere dagli anni Settanta, cominciarono a confluire nello sport, e segnatamente nel calcio, interessi d’ordine economico e lavoristico che ricevevano tutela primaria ed irrinunciabile nell’ordinamento generale, ed i tesserati e le affiliate presero man mano coscienza che nessuno status endoassociativo poteva far da velo al diritto, loro costituzionalmente garantito quali cittadini, di rivolgersi alla magistratura per la tutela delle loro ragioni, il mito dell’impenetrabilità statuale dello sport entrò in crisi»45. La legge n. 91/1981 così statuisce all’art. 1: «L’esercizio dell’attività sportiva, sia essa svolta in forma individuale o collettiva, sia in forma professionistica o dilettantistica, è libera». Guardando all’essenza di siffatta disposizione, non si può eludere che essa rappresenti un quadro del fenomeno sportivo di dimensioni certo più ampie di quella ufficiale e organizzata, nel senso che si ha la chiara affermazione della libertà di esercizio della pratica sportiva, che ben può, quindi, essere esercitata al di fuori dei circuiti, delle organizzazioni e delle strutture ufficiali. 43 Cfr. Cassazione, sez. un., 26 ottobre 1989, n. 4399, in Foro it., I, c. 899, con nota di G. Catalano; Cassazione, sez. un., 9 maggio 1986, n. 3092, ivi, 1986, I, c. 1251; Cassazione, sez. un., 9 maggio 1986, n. 3091, ivi, 1986, I, c. 1257. Negli stessi termini v. anche Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, ord. 9 ottobre 1993, in Foro it., 1994, III, c. 511. Tale ripartizione non è esente da critiche: «Una tale rappresentazione della natura delle posizioni giuridiche e delle competenze giurisdizionali contraddice ancora una volta in modo stridente la teoria della pluralità degli ordinamenti»; il richiamo alla stessa, allora, trova senso nell’intenzione «dei giudici di proteggere quell’ambito di autonomia delle istituzioni sportive costituito dai rapporti di natura tecnica». Del resto, si prosegue,«la “dichiarazione di non intervento” della Cassazione nell’ambito dei rapporti tecnici sembra eccessiva» sol che si consideri che «se autonomia vuol dire anche libertà di autoregolamentare i propri interessi, essa non significa però spazio libero dal diritto […]. Oltre a ciò, appare contraddittorio discorrere di irrilevanza là dove, per un verso, l’ordinamento generale ha al contrario interessi rilevanti anche allo svolgimento delle attività sportive e, per l’altro, gli interessi privati coinvolti sono certamente meritevoli di tutela» (L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, cit., p. 106 s.). 44 P. MIRTO, L’organizzazione sportiva italiana. Autonomia e specialità del diritto sportivo, in Riv. dir. sport., 1959, p. 352. 45 A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, in P. Moro (a cura di), La giustizia sportiva, Rimini, 2004, p. 84. 18 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… Accanto, cioè, al c.d. agonismo programmato, l’attività sportiva può ben «essere liberamente svolta come attività ricreativa e, al tempo stesso, formativa, come impiego del tempo libero»46. Peraltro, corollario di tale assunto è che l’affermata libertà di esercizio della pratica sportiva «comporta, fuori dei casi di cui alla l. n. 91 del 1981, anche la libertà del relativo associazionismo a scopi ricreativi e culturali al fine di offrire agli associati la possibilità di svolgere un’attività agonistica non collegata ai programmi federali»47. Quale conseguenza di tale nuovo quadro normativo di riferimento accade che il precetto statutario con il quale la federazione tentava di impedire fughe di giurisdizione all’esterno comincia ad essere violato con sempre maggiore frequenza48 «ed alla fase della tendenziale idoneità della giustizia sportiva a contenere nel suo interno ogni controversia subentrò quella dell’aperto conflitto con la giustizia dello Stato destinata a caratterizzare, con alterne vicende e sulla scia dell’inestricabile querelle della natura delle federazioni, gli anni Ottanta e larghissima parte degli anni Novanta»49. A siffatta situazione di elevata conflittualità tra i due ordinamenti cerca di porre rimedio il d.lgs. n. 242/1999, nella prospettiva della conciliazione delle due posizioni, sovranità dello Stato ed autodichia delle federazioni sportive. Tale obiettivo, anche con le modifiche apportate dal d.lgs. n. 15/2004, viene particolarmente perseguito attraverso l’attribuzione al Coni, esso stesso qualificatosi “autorità” nel proprio statuto, della soggettività giuridica di diritto pubblico e della posizione di garante delle anzidette esigenze, nonché del riconoscimento di esso ente quale istituzione apicale, nell’ambito del territorio italiano, del movimento sportivo internazionale (Cio). Si giunge, così, al d.l. 19 agosto 2003, n. 220, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 ottobre 2003, n. 280, salutata con grande favore dall’opinione pubblica50, ma giustamente accolta con molte riserve già dai primi commentatori. Una parte della dottrina ritiene che la suddetta legge ha «codificato principi di teoria generale e di diritto sostanziale da tempo immanenti nel nostro ordinamento»51. 46 In questo senso, v. E. PICARDO, in M. Persiani (a cura di), Legge 23 marzo 1981, n. 91, in Nuove leggi civ. commentate, 1982, p. 561. In termini non dissimili, T. PERSEO, Analisi della nozione di sport, in Riv. dir. sport., 1962, p. 147 s. 47 L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, cit., p. 98. 48 Cfr. A. DE SILVESTRI, Enfatizzazione delle funzioni e infortuni giudiziari in tema di sport, in Riv. dir. sport., 1993, p. 370 ss. 49 A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, cit., p. 84. 50 Anche perché ha – di fatto – consentito il regolare avvio dei campionati, dopo l’inestricabile “groviglio” che si era verificato in sede di giustizia ed il conseguente noto “pantano” estivo. 51 N. PAOLANTONIO, Ordinamento statale e ordinamento sportivo: spunti problematici, in Foro amm. – Tar, 2007, p. 1152. 19 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… Altri evidenziano il contenuto velleitario della pretesa di riservare all’ordinamento sportivo la regolamentazione di quasi tutte le materia già da sempre, peraltro, ricomprese nel novero della giustizia sportiva, venendosi così a creare una sorta di giudice speciale non statuale, con conseguente possibile violazione dell’art. 102, co. 2, Cost.52. Si osserva, quanto al riparto delle giurisdizioni, che nella relazione di accompagnamento al decreto è fatto riferimento ad una sorta di «doppia chiave» alla quale non sembra «corrispondere la toppa della porta»53. Il legislatore «ha tentato, pur senza riuscirvi, di fornire parametri per distinguere, nell’ambito delle pretese oggetto di tutela endoassociativa, tra quelle riservate e quelle giurisdizionali statualmente, nessun criterio ha potuto offrire per individuare le restanti controversie che, non relative a rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti, sono comunque devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Queste ultime sono infatti relative a pretese non tipizzate […] pertanto, non può che farsi riferimento alla medesima, sterile norma di principio di cui all’art. 1 […] che ne lascia in realtà impregiudicata la qualificazione»54. Insomma, secondo una certa corrente di pensiero «l’obiettivo primario di separare le due giustizie è stato clamorosamente mancato» e «la legge creerà sicuramente più problemi degli invero pochi che ha risolto, costringendo l’interprete a misurarsi con un referente specifico palesemente inadeguato che potrebbe persino mostrarsi fuorviante»55. Certo è che di fatto e sul piano generale, si assiste ad una “corposa” ingerenza dello Stato nell’organizzazione del movimento sportivo e lo stesso art. 1 del d.l. n. 220/2003 «sembra voler freudianamente, mediante una importante affermazione di principio, prevenire le critiche ad una presunta ingerenza della politica nel mondo dello sport»56. 52 G. MANZI, Un limite alla possibilità di adire la magistratura non sembra in linea con le regole costituzionali, in Guida al diritto, 6 settembre 2003, p. 138 ss. 53 T.E. FROSINI, Perplessità sull’applicazione ai processi in corso, in Guida al diritto, 6 settembre 2003, p. 144 ss. 54 A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, cit., p. 89. 55 A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, cit., p. 87. 56 L. GIACOMARDO, Autonomia per le federazioni ed una delega in bianco al Coni, in Dir. e giust., 13 settembre 2003, p. 9. 20 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… 4. La ricostruzione dei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale alla luce del mutato quadro legislativo. Con i sopra citati interventi normativi si è compiuta quella che autorevole dottrina ha definito «una sorta di omicidio del consenziente»57, avendo di fatto lo Stato “ucciso” l’ordinamento sportivo con pretese di sovranità ed autoreferenzialità. Il mutato quadro legislativo, infatti, sembra considerare l’ordinamento sportivo quale ordinamento particolare, tanto è vero che lo stesso Statuto federale parla ormai di ordinamento “sezionale”. Con le conseguenze che tale inquadramento comporta: così, ad esempio, in punto giustizia sportiva, potrebbero non più giustificarsi forme di giustizia alternativa a quella dello Stato, se non nei (sempre più) ristretti limiti in cui l’ordinamento generale reputa irrilevante la materia. Anche se, a ben osservare, un appiglio per non ritenere inapplicabile alla materia la teoria ordinamentale potrebbe scorgersi nella volontà legislativa di riconoscere ampi margini di autonomia all’ordinamento sportivo, testimoniata dalla stessa novella legislativa del 2003, nella parte in cui opera un’espressa riserva a favore del predetto ordinamento relativamente alla disciplina di tutta una serie di questioni e materie58. Ed anche la stessa lettera della norma di cui all’art. 1 del citato testo normativo del 2003 è in tal senso sintomatica, laddove dispone che la Repubblica «riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato olimpico internazionale». Non si deve, infatti, dimenticare che la caratteristica saliente dell’attività sportiva è quella di riferirsi ad un ordinamento che prima di essere nazionale è a carattere superstatuale, anche se non corrispondente a quello internazionale59. Non vi è, dunque, dubbio che il legislatore, «in linea con i principi espressi dalla giurisprudenza, ha riconosciuto il carattere peculiare dell’ordinamento sportivo rispetto agli altri ordinamenti settoriali che esplicano la propria attività nell’ambito dell’ordinamento statale, 57 A. DE SILVESTRI, Il discorso sul metodo: osservazioni minime sul concetto di ordinamento sportivo, cit. 58 Recita la norma di cui all’art. 2, co. 1, del d.l. 19 agosto 2003, n. 220, conv. con modificazioni dalla l. 17 ottobre 2003, n. 280: «In applicazione dei principi di cui all’art. 1, è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive». 59 Cfr. Cassazione, 2 aprile 1963, n. 811, in Foro it., 1963, I, c. 894. V., a tal proposito, S.A.R. NAFZIGER, Caratteri e tendenze del diritto sportivo internazionale, in Riv. dir. sport., 1996, p. 207. Sull’ordinamento sportivo mondiale v. M. SANINO, Problematica attuale in materia sportiva, Roma, 1984, p. 11 ss. 21 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… peculiarità costituita dal fatto di costituire un’articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato olimpico internazionale»60. E’ stato, peraltro, correttamente evidenziato come «l’autonomia dell’ordinamento sportivo (rectius l’insindacabilità statuale delle pretese endoassociative) non è […] una benevola concessione dell’ultima ora, né, tanto meno, un effetto della legge n. 280/2003, ma la risultante di sistema di principi già vigenti»61. Il riconoscimento, cioè, di un rilevante margine di autonomia all’ordinamento sportivo, «non deve essere interpretato come gentile concessione dello Stato ma, al contrario, come modo normale ed ordinario di autogoverno di una comunità»62. L’analisi dei rapporti tra i due ordinamenti, ordinariamente ricostruiti in termini di gerarchia63, non può neppure prescindere dalla disposizione di cui all’art. 16 del d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242, sulla base del quale “le federazioni sportive nazionali sono rette da norme statutarie e regolamentari”. In altri termini, se, data la sua natura derivata, l’ordinamento sportivo «non potrà mai contenere norme contrastanti con quelle dell’ordinamento statale, l’attuazione delle quali è assunta da quest’ultimo come assolutamente irrinunciabile (ad esempio norme penali, di ordine pubblico) se vorranno aspirare alla coesistenza nel suo ambito»64, anche atteso che «lo Stato, in quanto ordinamento sovrano, non può mai rinunciare a far valere la propria sovranità»65, ciò non significa che lo stesso ordinamento statale non possa consentire la prevalenza degli ordinamenti particolari, nel caso di norme in conflitto con disposizioni normative generali. In tal ottica occorre anche considerare che l’impianto normativo di cui alle già citate leggi n. 91 del 1981 e n. 242 del 1999 ha comportato l’emersione, a livello di ordinamento giuridico, della regolamentazione sportiva delle federazioni, la cui struttura organizzativa non può più considerarsi confinata al diritto interno, ma appare ormai operare con efficacia generale e non già riferita ai soli tesserati66. In breve, pare possibile affermare che il legislatore consente che l’attività di 60 E. LUBRANO, La giurisdizione amministrativa in materia sportiva, in P. Moro (a cura di), La giustizia sportiva, cit., p. 166 s. L’A., tuttavia, ritiene che il suddetto «principio generale di autonomia trova però un limite logico nel fatto che l’ordinamento sportivo nazionale esplica comunque la propria attività nell’ambito del territorio dello Stato Italiano, dal cui ordinamento necessariamente deriva». 61 A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, cit., p. 98. 62 L. GIACOMARDO, Autonomia per le federazioni ed una delega in bianco al Coni, cit., p. 9. 63 Secondo F. AGNINO, Statuti sportivi discriminatori ed attività sportiva: quale futuro?, in Foro it., 2002, I, 897 ss., ad esempio, sarebbe espressione di tale generale principio di superiorità della normazione statale rispetto quella dell’ordinamento sportivo, la ratio decidendi seguita dalle ordinanze del Trib. Pescara, 18 ottobre 2001, Trib. Teramo, 30 marzo 2001 e Trib. Reggio Emilia, tutte in Foro it, 2002, I, 895 ss. 64 F. MODUGNO, Pluralità degli ordinamenti, in Enc.giur., Milano, 1985, XXIV, p. 58. 65 M.S. GIANNINI, Prime considerazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, cit., p. 26. 22 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… regolamentazione delle federazioni sportive assuma efficacia giuridica e rilevanza anche nell’ordinamento generale67. In definitiva, il depauperamento normativo dell’autonomia dell’ordinamento sportivo non è tale da poterne desumere la sua totale dipendenza da quello generale, anche perché, così ragionando, occorrerebbe «considerare integralmente giuridificati, e quindi statalizzati, tutti i suoi precetti autodisciplinari, compresi quelli di natura tecnica che garantiscono l’omologazione» dell’ordinamento sportivo nazionale con quello degli altri Paesi68. L’ordinamento giuridico sportivo rimane pur sempre capace di regolare, per il tramite delle sue strutture organizzative, fattispecie generali ed astratte con valenza verso la generalità dei soggetti dell’ordinamento medesimo, in funzione del perseguimento di specifiche finalità pur sempre rientranti nell’interesse generale in ragione del quale esso stesso è costituito. Questo effetto, riteniamo, possa più facilmente e correttamente essere ricollegato ad un rapporto tra ordinamento sportivo ed ordinamento giuridico impostato non già in termini di stretta gerarchia, bensì nell’ottica di un riconoscimento: «riconoscimento, da parte dell’ordinamento giuridico statale, dell’ordinamento giuridico sportivo già autonomamente esistente e perciò originario; non già creazione»69, anche perché, come già detto, occorre sempre tenere presente che l’ordinamento sportivo è collegato all’ordinamento giuridico internazionale (segnatamente, il Comitato olimpico internazionale), da cui attinge la sua fonte70. In breve, ad avviso di chi scrive, una corretta interpretazione del carattere di autonomia ed autodichia dell’ordinamento giuridico sportivo, deve tenere in debito conto che seppure scevro dal connotato della sovranità e, dunque, della capacità effettiva di imporre ai propri componenti «l’osservanza rispetto a se stesso di qualsiasi altro ordinamento»71, detto ordinamento ha comunque natura originaria ed esiste ancor prima ed al di fuori del formale riconoscimento da parte dell’ordinamento giuridico generale, che pur ne comprime l’esercizio delle relative potestà, in funzione della salvaguardia delle fondamentali norme (imperative e di ordine pubblico) che regolano i rapporti tra i consociati. Del resto, il fenomeno sportivo costituisce «un ordinamento a 66 In tali termini, S. LANDOLFI, La legge n. 91 del 1981 e la «emersione» dell’ordinamento sportivo, in Riv. dir. sport., 1982, p. 40. V. anche A. DE SILVESTRI, Il diritto sportivo oggi, in Dir. lav., 1988, I, p.256 e G. VIDIRI, Il lavoro sportivo tra codice civile e norma speciale, in Riv. it. dir. lav., 2002, I, p. 43. 67 In senso conforme, G. VIDIRI, Natura giuridica e potere regolamentare delle federazioni sportive nazionali, cit., p. 139: «Il legislatore ha, in tale direzione, fatto propri principi esclusivi dell’ordinamento sportivo, ed ha disciplinato con rilevanza esterna l’operato delle federazioni». 68 A. DE SILVESTRI, Il discorso sul metodo: osservazioni minime sul concetto di ordinamento sportivo, cit. 69 Cassazione, 11 febbraio 1978, n. 625, cit. 70 In tali termini anche Cassazione, 2 aprile 1963, n. 811, in Foro it., 1963, I, c. 894. 71 M.S. GIANNINI, Prime considerazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, cit., p. 18. 23 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… formazione spontanea, ovvero non istituito dall’ordinamento generale statale, suscettibile di essere variamente considerato dallo stesso Stato, secondo la propria maggiore o minore capacità di autodeterminarsi ed auto legittimarsi, che costituisce la misura della sua autonomia rispetto alla posizione di supremazia dell’ordinamento statuale»72. Peraltro, come già affermato dalle stesse Sezioni unite, l’imposizione del rispetto delle norme fondamentali non significa che l’ingerenza dell’ordinamento generale «sia tale da coprire ogni aspetto dell’attività normativa dell’ordinamento separato, posto che esistono norme interne (denominate extragiuridiche dalla dottrina che ne ha individuato l’essenza), che pur dotate di rilevanza nell’ambito dell’ordinamento che le ha espresse, sono insuscettibili di inquadramento giuridico nell’ambito dell’ordinamento generale. Tali sono, indiscutibilmente, le norme meramente tecniche»73. 5. Prospettive di riconsiderazione dei rapporti tra i due ordinamenti. Occorre, quindi, assumere una definizione esegeticamente corretta della sfera di autonomia dell’ordinamento sportivo e ridefinire la collocazione dello stesso nell’ambito dell’organizzazione socio-giuridica dello Stato, partendo dalla considerazione dell’evoluzione, nella società, del fenomeno sportivo e, ancor prima, della stessa pratica sportiva e tenendo conto delle finalità dallo stesso perseguiti, così come degli scopi attuati. Non può, dunque, condividersi una certa tendenza di una parte importante della dottrina a “confinare” l’ordinamento sportivo e la sua capacità di normazione nel mero ambito delle regole del gioco e delle regole tecniche e, in generale, la tendenza ad una massiva riduzione della sfera di autonomia allo stesso attribuito. La realizzazione delle rilevanti finalità di interesse collettivo, ma anche di semplice attuazione delle personalità e degli interessi dei singoli individui e dei gruppi, perseguite dal movimento sportivo organizzato, necessita dell’autonomia e della capacità di regolamentazione proprie degli ordinamenti giuridici. Non si vuol, qui, sostenere una illimitata ed indefinita autonomia dell’ordinamento sportivo ed in tal senso, il nuovo quadro normativo in materia pone come limite a quella che è stata definita una «insostenibile assoluta autonomia dell’ordinamento giuridico il rispetto effettivo dei diritti inviolabili dell’uomo»74. L’impostazione non condivisibile dei rapporti tra i due ordinamenti insiste, 72 E. LUBRANO, Vita e problemi della pubblica amministrazione, in Riv. amm. Rep. it., 2001, II, p. 603. 73 Cassazione, sez. un., 26 ottobre 1989, n. 4399, cit., c. 906. 74 P. MORO, Giustizia sportiva e diritti processuali, in P. Moro (a cura di), La giustizia sportiva, cit., p. 8. 24 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… però, nella relativa individuazione dei «casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo»75 e la “naturale” tensione di una parte degli interpreti verso una espansione di tale ambito di rilevanza. Anche perché, esasperando il concetto positivo posto dal legislatore del 2003, potrebbe paradossalmente giungersi all’affermazione che ogni fatto o atto che si svolge o viene assunto all’interno dell’ordinamento sportivo è suscettibile di acquistare profili di rilevanza esterna al medesimo, atteso l’enorme impatto sociale e le ricadute economiche dell’attività agonistica, soprattutto a livello professionistico. E’ sufficiente, a tal riguardo, far riferimento alla giurisprudenza di un numero sempre maggiore di tribunali amministrativi regionali che, utilizzando «il grimaldello della “valenza pubblicistica”» di cui all’art. 15, co. 1., del d.lgs. n. 242/1999, nonché il sin troppo facile strumento esegetico «delle conseguenze patrimoniali che sempre, ma indirettamente, derivano dall’applicazione dei regolamenti sportivi o dalle relative sanzioni disciplinari, ma che possono altresì derivare da ogni altra attività sociale giuridicamente indifferente»76, «manipolato a dismisura sino a far rivivere la non più sostenibile tesi della “doppia natura” delle federazioni sportive, hanno ritenuto di doversi attribuire la giurisdizione in numerose controversie, anche dilettantistiche, in cui di interessi legittimi non v’era nemmeno la minima traccia»77, venendo forse meno a quella che ancor oggi è la funzione del processo amministrativo, ossia «assicurare la legalità ed il buon esercizio dell’azione amministrativa»78. Tutto ciò nonostante il riconoscimento formale della natura di associazioni private delle federazioni, che – per logica – sembrava dovesse sottrarre molte “occasioni” di intervento alla magistratura amministrativa che, invece, con una sorta di “ri-pubblicizzazione” di fatto di ciò che il legislatore aveva privatizzato79, colta dall’ansia di «riproporre ovunque il dominio del giudizio di annullamento»80, ha emesso «una serie di provvedimenti destinati, nel breve giro di pochi anni, a 75 Art. 1, l. n. 280/2003. 76 Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, 8 novembre 2007, n. 1048, in Riv. dir. econ. sport, 2007, 3, p. 100. 77 A. DE SILVESTRI, Le questioni del lodo camerale: autonomia o discrezionalità delle federazioni sportive nazionali?, in www.giustiziasportiva.it, 2007, 3, p.74 s. 78 L. MAZZAROLLI, Quadro generale della giustizia amministrativa, in L. Mazzarolli (a cura di), Diritto amministrativo5, Bologna, 2005, II, p. 352. 79 In siffatti termini si esprime S. CASSESE, Diamo ai Tar (pur coi loro difetti) l’onore delle armi, in Corriere della Sera, 21 agosto 2003. 80 A. ROMANO TASSONE, Lodo arbitrale ex art. 6 l. n. 205/2000 e giudice dell’impugnazione, in Foro amm. – CdS, 2003, p. 2280. 25 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… mettere in scacco l’intera giustizia sportiva ed a provocare, ancora più a monte, lo “scollegamento” dal sistema delle stesse federazioni sportive nazionali»81. Dette “interpretazioni correttive” delle norme qui in rilievo sembrano essere adottate ai fini dell’affermazione della sussistenza della giurisdizione amministrativa od ordinaria82: esse, tuttavia, travalicano «il limite, per ogni giudice sempre insuperabile, della mera disapplicazione della legge»83. Siffatta tendenza, complice la complessità dei livelli di produzione normativa, rischia di trasformare quella che episodicamente può definirsi come “giurisprudenza creativa” in momenti di «anarchia assoluta»84. L’agire delle federazioni sportive è improntato ad autonomia e non già a discrezionalità amministrativa: l’assunto si ricava dallo stesso modello legale ideato dal legislatore per le predette federazioni, considerate associazioni dotate di personalità giuridica di diritto privato, ma anche dalla stessa Carta costituzionale, come di recente ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui «il fondamento dell’autonomia dell’ordinamento sportivo» deve essere rinvenuto «nella norma costituzionale di cui all’art. 18, concernente la tutela della libertà associativa, nonché nell’art. 2, relativo al riconoscimento dei diritti inviolabili delle formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità del singolo»85. Sul piano, ad esempio, delle materie sottratte alla competenza giurisdizionale dell’ordinamento sportivo una riconsiderazione del corretto rapporto tra ordinamenti dovrebbe, previo necessario conducente intervento di modificazione normativa86, portare ad un ampliamento degli spazi di autonomia, attraverso il recupero di alcuni passaggi dello stesso d.l. n. 220/2003, soppressi in sede di conversione, come quelli relativi alle questioni di ammissione e affiliazione di tesserati e società, alle quali occorrerebbe aggiungere le situazioni connesse all’esclusione degli stessi soggetti dai ruoli federali87. 81 A. DE SILVESTRI, Le questioni del lodo camerale: autonomia o discrezionalità delle federazioni sportive nazionali?, cit., p. 74. 82 Anche se deve segnalarsi come qualche giudice ordinario abbia già declinato la propria giurisdizione in favore di quella sportiva: cfr. Tribunale di Bergamo, 10 gennaio 2003, n. 224, inedita, a quanto consta; Tribunale di Pescara, ord. 14 dicembre 2001, in Corr. giur., 2002, 2, p. 223. 83 Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, 8 novembre 2007, n. 1048, cit., p. 100. 84 Cfr. V. DOMENICHELLI, Regolazione e interpretazione nel cambiamento del diritto amministrativo: verso un nuovo feudalismo giuridico?, in Dir. proc. amm., 2004, p. 1 ss. 85 In tali termini, Cassazione 27 settembre 2006, n. 21006, in Guida al diritto, 2006, 46, 59 (s.m.), nonché in www.giustiziasportiva.it e Cassazione, 28 settembre 2005, n. 18919, in Mass. Giust. civ., 2005, f. 7/8. 86 Intervento auspicato da diverse voci della dottrina: v., ad es., G. VALORI, Il diritto nello sport, principi, soggetti, organizzazione, Torino, 2005, p. 120, secondo cui è auspicabile un ulteriore intervento del legislatore affinchè chiarisca, «una volta per tutte, le questioni che assumono rilevanza per l’ordinamento giuridico dello Stato separandole da quelle giuridicamente indifferenti». 87 Cfr. L. GIACOMARDO, Autonomia per le federazioni ed una delega in bianco al Coni, cit., p. 10. Contra, ad es., Tar Lazio, 1 aprile 2004, n. 2987, in Foro amm. – Tar, 2004, p. 1112, secondo cui il rapporto associativo, in sé considerato, «è certo rilevante per l’ordinamento sportivo, ma impinge altresì su posizioni regolate dall’ordinamento generale, onde la relativa tutela spetta al giudice 26 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… In tale prospettiva non può tralasciarsi la banale, quanto decisiva considerazione che l’attuale qualificazione in termini di diritti soggettivi o interessi legittimi di siffatte situazioni giuridiche non potrebbe neppure configurarsi in assenza ed al di fuori dell’organizzazione sportiva. In altri termini, prima che situazioni giuridiche rilevanti per lo Stato sono e rimangono situazioni che traggono la loro fonte, origine e regolamentazione nell’ordinamento sportivo e, pertanto, a questo devono essere riservati gli eventuali casi di contenzioso. Una volta riconosciuto alle federazioni sportive il potere di emanare norme interne per l’ordinato svolgimento delle competizioni sportive e per la corretta acquisizione dei risultati delle attività agonistiche, logica-giuridica vuole che sia alle stesse riservata la competenza ed il giudizio sull’osservanza di siffatte norme. I provvedimenti, dunque, emanati in conseguenza dell’applicazione di dette norme producono i loro effetti all’interno dell’ordinamento di settore e soltanto in via eventuale ed indiretta essi si riverberano nell’ordinamento generale e non possono, quindi, che rimanere per quest’ultimo irrilevanti. Del resto, tutte le attività esplicazione dell’autonomia organizzativa e tecnica affidata alle federazioni sportive nazionali per il corretto ed ordinato svolgimento delle competizioni sportive tra le società affiliate e/o con i loro tesserati, non possono che attenere alla vita interna delle stesse federazioni. E’ lo stesso effetto fondamentale della giuridicità degli ordinamenti sportivi che depone in tal senso: «gli ordinamenti statali possono non consentire nel loro territorio l’attuazione dell’agonismo programmatico in uno o più sport, ma se lo consentono ciò di per sé significa che essa può e deve essere organizzata e curata dagli sportivi stessi per mezzo di ordinamenti dotati, appunto, del requisito della giuridicità»88. E’, dunque, opportuna una rimeditazione su quali debbano essere (o, per meglio dire, sono) le questioni con efficacia meramente interna all’ordinamento sportivo, sancendone espressamente la loro insindacabilità da parte del giudice statale, distinguendole da quelle che assumono una diretta ed effettiva (e non già meramente potenziale ed indiretta) rilevanza esterna,ossia nell’ambito dell’ordinamento generale, e prevedendo, dunque, soltanto per queste ultime il sindacato giurisdizionale ordinario o amministrativo, dopo l’espletamento dei diversi gradi della giustizia speciale sportiva. amministrativo, nella propria competenza esclusiva di cui all’art. 3 comma 1 par. I, d.l. n. 220 del 2003». A. MARANI TORO, voce «Sport», in Nov. dig. it., vol. XVIII, 1971, p. 50. 88 27 DOTTRINA Spunti per una riconsiderazione dei rapporti…… In altri termini, si ritiene che «un intervento dello Stato nella disciplina sportiva – e quindi una limitazione all’espansione autonomistica dell’ordinamento sportivo – possa verificarsi solo nei casi in cui l’interesse, pur pubblico, di settore (sportivo) venga ad interferire con quelli più generali e più “ampiamente” pubblici che compete direttamente allo Stato tutelare ed attuare»89. La soluzione pubblica nelle controversie sportive può giustificarsi soltanto «se e nella misura in cui le istituzioni dello sport non risultino in grado di predisporre adeguate forme di tutela»90, anche perché l’intervento continuo e, per certi versi, sistematico della giustizia dello Stato va considerato un disvalore che porta alla negazione della stessa autonomia che pacificamente, invece, connota l’ordinamento sportivo. In definitiva, l’unità e l’unicità del diritto non deve tradursi nella negazione della molteplicità degli ordinamenti giuridici, che, in quanto tali, non sono creati dallo Stato, trovando, invece, causa sulla forza spontanea di creazione della coscienza giuridica. La varietà e la molteplicità della realtà giuridico-sociale mal si presta ad essere interamente colta, interpretata e regolata dall’ordinamento statale: l’ordinamento sportivo, dunque, non può essere semplicisticamente definito come formazione giuridica che trova posizione nell’ambito della gerarchia del diritto dello Stato, poichè – al contrario – esso esiste e vive su un piano parallelo. (*) Avvocato Vicepresidente Commissione Disciplinare Territoriale – F.I.G.C. - LND Com. reg. Veneto 89 G. IADECOLA, Se al presidente di un comitato regionale della F.I.G.C. compete la qualifica penalistica di persona incaricata di un pubblico servizio, in Cass. pen., 1996, 12, p. 3799. 90 G. NAPOLITANO, Caratteri e prospettive dell’arbitrato amministrativo sportivo, in Giorn. dir. amm., 2004, p. 1162. 28 DOTTRINA FIGC e la perpetuatio jurisdictionis…… LA F.I.G.C E LA PERPETUATIO JURISDICTIONIS di Paco D’Onofrio (*) Recentemente, una questione di particolare rilievo ha interessato l’attività di giustizia domestica della FIGC, sollecitando un’approfondita discussione che, traendo origine dal singolo caso di specie, consente di avviare una più ampia riflessione sull’effettiva collocazione giuridica dei poteri associativi derivanti dal tesseramento e sul loro legittimo esercizio da parte degli organi federali. L’argomento non appare privo di pregio, in considerazione della tutela costituzionale del singolo dinanzi all’eventualità di un’attività censorea e disciplinare, arbitraria ed illegittima, perpetrata a suo discapito dalla giustizia sportiva federale. Il nucleo essenziale della questione evidenziata afferisce alla dubbia legittimità di un procedimento disciplinare iniziato a carico di un soggetto che abbia, precedentemente alla notifica del deferimento, effettivo dies a quo dell’attività giurisdizionale domestica, rassegnato le proprie formali dimissioni e che, accettando il definitivo ed irreversibile estraniamento dall’ambito federale conseguente alla propria iniziativa, abbia deciso di interrompere e recidere ogni legame, rapporto e relazione giuridica con l’associazione di appartenenza, la Federazione sportiva. Questa apparentemente pacifica impostazione dogmatica, non ha incontrato uniformemente il favore dei giudici sportivi, per alcuni dei quali sussisterebbe in ambito associativo la c.d. perpetuatio jurisdictionis. In una dimensione critica di questa ricostruzione fatta propria da parte della giustizia domestica, si consideri che l’ordinamento sportivo, di cui la Federazione Italiana Giuoco Calcio costituisce un’articolazione settoriale, è pacificamente ritenuto dalla dottrina quale ordinamento giuridico derivato, poiché trova la propria legittimazione nei superiori valori contenuti negli artt. 2 e 18 della Costituzione, in una dimensione di autonomia giuridica riconosciuta anche dalla legge 280/03. Inoltre, nella sua complessa strutturazione sono rinvenibili, senza dubbio, tutti gli elementi costitutivi tipici di un ordinamento giuridico, così come, speculare a quella statale, si presenta la ripartizione dei poteri e delle competenze, tra organi legislativi, esecutivi e giurisdizionali, attraverso la quale si intende garantire non soltanto il rispetto delle norme domestiche, ma anche di 29 DOTTRINA FIGC e la perpetuatio jurisdictionis…… quei principi e di quei valori proprio di uno Stato di diritto, di cui il sistema sportivo è, necessariamente, parte. Quindi, non pare, altresì, potersi revocare in dubbio che l’elemento caratterizzante tale ordinamento sia la sua innegabile natura associativa, anche alla luce dell’entrata in vigore del Decreto Melandri del 1999, che ha determinato l’attribuzione per legem della personalità di diritto privato alle Federazioni Sportive Nazionali, ponendo definitivamente fine ad un’annosa oscillazione tra rilevanza formalmente privatistica e pubblicistica delle stesse. In ogni caso il carattere effettivamente decisivo per un corretto inquadramento ermeneutico della fattispecie e della dimensione giuridica entro cui ricomprendere l’ordinamento federale, è quello associativo, così come asseverato dal ricordato intervento normativo. Dunque, l’appartenenza all’ordinamento sportivo, per il tramite della Federazione di riferimento in base alla disciplina sportiva di cui, a vario titolo, si è espressione, si costituisce in ossequio al c.d. vincolo associativo, in ragione del quale ciascuna persona fisica, mediante tesseramento, nonché ciascuna persona giuridica, mediante affiliazione, decide volontariamente di partecipare all’ordinamento federale, accettandone le regole, nonché l’organizzazione e le decisioni. Inconfutabilmente, risiede nell’atto di volontaria adesione alla Federazione il dies a quo dell’assoggettabilità del tesserato, nel caso che ci occupa, alla cogenza di quest’ultima, a differenza di quanto avviene a livello statale, laddove si registra, evidentemente, una passività sine limite rispetto alle attività istituzionali, specificamente giurisdizionali, atteso il carattere originario dell’ordinamento ed indisponibile della posizione giuridica soggettiva. Ben diversamente, fatalmente, deve essere considerato il rapporto giuridico corrente tra un tesserato e gli organi di giustizia federale, poiché la stessa proponibilità dell’azione disciplinare, nonché l’eventuale carattere coattivo della decisione assunta, deve trovare il suo necessario presupposto nella formale appartenenza del soggetto deferito all’associazione procedente, difettando il quale, ogni iniziativa risulta destituita di fondamento giuridico, illegittima e, dunque, abusiva. E’ pacificamente riconosciuta a ciascuno un’ampia libertà di associazione ex art. 18 Cost. e, parimenti, già l’insegnamento dei Costituenti suggeriva di considerare necessariamente vigente anche la c.d. libertà dall’associazione, vale a dire il pieno diritto da parte di ciascuno di interrompere e risolvere il vincolo associativo, federale nel caso che ci occupa, assumendo lo status di extraneus rispetto al consesso di precedente appartenenza, con la conseguenza, evidente, che dal 30 DOTTRINA FIGC e la perpetuatio jurisdictionis…… momento delle rassegnate formali dimissioni, in alcun modo gli organi associativi avranno competenza e legittimazione ad agire nei suoi riguardi. L’autonomia della quale ontologicamente gode l’ordinamento sportivo non potrà tradursi giammai nella pretesa di violare, benché in ambito associativo, i diritti soggettivi e gli interessi legittimi riconosciuti e tutelati dallo Stato già a livello costituzionale, sia positivi che negativi, come la già ricordata libertà dall’associazione. Quest’insuperabile insegnamento di civiltà giuridica non ha trovato, evidentemente, completo e pacifico riconoscimento nel maturato convincimento a sostegno di alcune pronunce federali, che hanno preferito ritenere meritevole di accoglimento un non meglio precisato “interesse” della FIGC ad agire indistintamente, non ritenendo di motivare le proprie decisioni indicando quale norma possa considerarsi fonte di legittimazione della perpetuatio jurisdictionis. Paradossalmente, le stesse norme federali risultano esemplari sul punto, poiché non annoverano in alcun modo la figura del c.d. extraneus, riconoscendo implicitamente l’impossibilità di procedere nei confronti di chi non abbia (più) alcun legame formale con la Federazione, alla quale deve essere impedito di incidere sulla sfera individuale di un soggetto terzo. Proprio l’art. 1, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva, quale norma di principio ed incipit dell’intera disciplina, nel menzionare i soggetti tenuti all’osservanza delle norme e degli atti federali, con i quali, dunque, gli stessi organi associativi, ivi compresi quelli giurisdizionali, possono entrare in relazione ed in tal senso procedere ove necessario, spende tassativamente, per le persone fisiche, lo status di dirigente, atleta, tecnico ed ufficiale di gara, concludendo con l’assorbente e residuale categoria di chiusura “ogni altro soggetto dell’ordinamento federale”. Come non leggere nell’apicale norma riportata il senso dell’argomento sostenuto, vale a dire che esplicitamente la legislazione domestica estromette, come non potrebbe non fare, dal pervasivo spazio d’intervento degli organi federali quanti non siano ricompresi nel novero dei soggetti menzionati? Si trovi ulteriore conferma all’impostazione concettuale evidenziata nel successivo art.3 CGS, proprio in tema di responsabilità delle persone fisiche, poiché, nel riportare le categorie giuridiche soggettive del dolo e della colpa, specifica che “Le persone fisiche appartenenti all’ordinamento federale sono responsabili delle violazioni delle norme loro applicabili”. Dunque, nuovamente con coerenza esemplare insuscettibile di confutazione, tra i principi di giustizia sportiva si individua la clausola di esclusività, in ragione della quale solo chi appartiene 31 DOTTRINA FIGC e la perpetuatio jurisdictionis…… all’ordinamento FIGC potrà essere considerato responsabile per le eventuali violazioni commesse e, conseguentemente, passibile di procedimento disciplinare. Ancora, con incedere incessante, si potrà citare il successivo art.5 CGS in tema di dichiarazioni lesive, che specifica l’esclusivo ambito di competenza limitato nuovamente ed esplicitamente ai “soggetti dell’ordinamento sportivo [ai quali] è fatto divieto…..”; stesso tenore presenta il dettato del successivo art. 6 in materia di scommesse, laddove si prevede che è fatto divieto effettuare o accettare scommesse “ai soggetti dell’ordinamento federale, ai dirigenti, ai soci ed a tesserati delle società appartenenti al settore professionistico”. Esemplare poi è la disciplina riservata all’ipotesi più grave prevista dal CGS, ovvero l’illecito sportivo, che, attesa la rilevanza della fattispecie e la spiccata necessità di provvedere restrittivamente, dovrebbe registrare la più ampia comprensività del novero dei soggetti passibili, limitandosi, invece, a menzionare specificamente, art. 7 comma 2, soltanto “Le società, i dirigenti, i soci e i tesserati”, escludendo, pertanto, ogni possibile altro coinvolgimento. Quando il CGS si riferisce a non meglio precisati “soggetti non autorizzati”, nei quali rientrano a pieno titolo tutti coloro che non sono tesserati o affiliati, viene formulata solo una fattispecie incriminatrice nei confronti di quei soggetti sportivi che si avvalgono, illegittimamente, dell’attività compiuta dai primi, senza che, tuttavia, si possa in alcun modo sostenere l’attivazione di un procedimento disciplinare nei confronti degli stessi. Quanto esposto, inoltre, assume ulteriore rilevanza in considerazione della fase successiva al deferimento ed all’eventuale pronuncia di condanna, poiché l’ordinamento federale, artt. 18 e 19 CGS, nel prevedere le sanzioni a carico dei colpevoli, esplicitamente si riferisce nella prima ipotesi alle società e nella seconda ai dirigenti, soci e tesserati di una società, non contemplando, evidentemente l’ipotesi stravagante e suggestiva, in un’ottica de jure condendo, di comminazione ed esecutività della sanzione a carico di un soggetto terzo. Peraltro, se così non fosse, si giungerebbe all’assurdo, che pacificamente prova il suo opposto, per cui alcuni istituti processuali, di indubbio vantaggio per il deferito, come nel caso del c.d. patteggiamento sportivo di cui all’art. 23 CGS, non sarebbero invocabili e concreta mente utilizzabili dall’incolpato non tesserato, poiché tassativamente la stessa norma prevede che tale possibilità venga accordata solo ai soggetti di cui all’art.1, comma 1 CGS, vale a dire i tesserati, con conseguente inaccettabile disparità di trattamento non certo conciliabile con il presupposto ontologico di un ordinamento giuridico. 32 DOTTRINA FIGC e la perpetuatio jurisdictionis…… Risulta evidente, dunque, l’insostenibile distorsione giuridica che sostiene la perpetuatio jurisdictionis, poiché ostinatamente si continua a procedere nei confronti di chi non è più un tesserato dell’ordinamento sportivo; proprio le norme domestiche, come dimostrato, senza peraltro citare completamente le ipotesi ricorrenti, ostano ad una tale impostazione. Se si fosse voluta legittimare un’iniziativa giudiziaria nei confronti di un ex tesserato, ferma restando in ogni caso l’incostituzionalità dell’ipotesi, tuttavia il legislatore sportivo, proprio dopo aver modificato il dettato del precedente CGS alla luce delle vicende giudiziarie dell’estate del 2006 (si veda l’introduzione di specifiche fattispecie precedentemente mancanti nell’articolato domestico ma emerse nel corso di quel processo sportivo), l’avrebbe potuta inserire, semplicemente integrando il novero dei destinatari delle norme, includendo anche agli ex tesserati. Diversamente argomentando, si ignorerebbe il pacifico principio, peraltro di non recente consacrazione, per cui “ubi lex voluit dixit, ubi tacuit noluit”, in ragione del quale può considerarsi legittima e giuridicamente fondata solo quell’iniziativa giudiziaria che, costituendo in re ipsa un gravame, trovi l’avallo in un’esplicita formulazione normativa che ne costituisca il presupposto ed il fondamento, in un’ottica di doveroso ossequio al principio di tassatività. Conclusivamente corre l’obbligo di chiarire, per doverosa esaustività espositiva, che privo di pregio e sterile concettualmente sarebbe l’argomento della finalità elusiva perseguita mediante strumentali preventive dimissioni da parte del soggetto tesserato consapevole delle responsabilità prossime ad essere a lui ascritte, poiché com’è noto, l’atto dismissivo dell’appartenenza federale è definitivo, irrevocabile ed irreversibile, di fatto già produttivo della massima forma di estraniamento federale, che la giustizia sportiva potrebbe comminare solo nel caso della radiazione, peraltro con un procedimento complesso. Dunque, chi interrompe definitivamente il proprio rapporto con l’ambito associativo sportivo deve vedersi riconosciuto il diritto all’intangibilità assoluta della propria sfera giuridica, che comporta la non assoggettabilità ad alcun procedimento disciplinare, così come, a fortiori, la non sofferenza di eventuali sanzioni comminate all’uopo. (*) Avvocato del Foro di Bologna e Docente di Diritto dello Sport presso l’Università degli Studi di Bologna 33 DOTTRINA La persegubilità penale…… LA PERSEGUIBILITA’ PENALE A SEGUITO DI INTERVENTI AVVENUTI DURANTE LE COMPETIZIONI AGONISTICHE . LIMITI ALL’AZIONE – ASPETTI PROCESSUALI. di Alessio Rui (*) Nel panorama giurisportivo degli ultimi anni, sempre più spazio è stato riservato al dibattito relativo all'opportunità di perseguire, in ambito penale, condotte lesive poste in essere durante lo svolgimento di manifestazioni e/o attività agonistiche. Grazie agli interventi giurisprudenziali succedutesi negli ultimi anni, risulta, oggi, possibile delineare un contesto per alcuni tratti diverso da quello elaborato dalla dottrina specialistica sino allo scorso decennio. Il tutto dovuto all'evolversi della tecnica e dell'animus pugnandi in seno agli atleti ma anche all'importanza sempre maggiore, soprattutto nel mondo professionistico, rivestita da alcuni sportivi per questioni essenzialmente riconducibili ad interessi economici. Interessi cresciuti in maniera esponenziale negli ultimi anni, tanto da provocare un palese nocumento alle società d'appartenenza o all'atleta stesso, nel caso in cui le sofferenze dovute ad una lesione comportino uno stop prolungato dell'attività agonistica . Sulla base di una simile premessa, i soggetti (fisici e/o giuridici) si stanno dimostrando ogni giorno più interessati a tutelarsi innanzi all'autorità ordinaria, non risultando gli organi di giustizia sportiva idonei a stabilire dei risarcimenti economici in favore delle (presunte) parti lese e a condannare, con pene coercitive, gli atleti scorretti che divengono dapprima indagati e successivamente imputati. Ragionamento analogo per quanto concerne il mondo dilettantistico e dei settori giovanili, caratterizzato dall'accrescersi di azioni penali, a seguito di querele per lesioni colpose o dolose. Ed è proprio in seno a questo contesto che si incontrano gli ostacoli più duri nell'espletamento dei processi, per una serie di motivi che saranno esposti al termine della nostra analisi. 34 DOTTRINA La persegubilità penale…… Chi scrive non vede favorevolmente il proliferare di dette azioni per i motivi che di seguito si andranno ad esporre. Ad ogni modo, prima di chiosare il presente lavoro con la nostra opinione sarà bene identificare i punti salienti caratterizzanti l'argomento, incentrando l'attenzione non tanto sulle teorie pleonastiche relative all'esimente o al consenso del praticante l'attività sportiva, bensì sull'evoluzione giurisdizionale in corso. Ebbene, un'introduzione all'argomento non può prescindere dal menzionare gli articoli 582 c.p. e 590 c.p. Disciplinanti, rispettivamente, il reato di lesioni personali e di lesioni personali colpose. Andrà subito considerato come i concetti di dolo e di colpa, inseriti in un contesto di competizione sportiva, debbano essere circoscritti alle peculiarità ed alle regole degli sport che si vanno ad analizzare. Risulta evidente, infatti, come un pugno sferrato nel corso di un match di pugilato non possa rappresentare una condotta dolosa a differenza di colpo sferrato a gioco fermo in un incontro di calcio e/o di pallacanestro che ne ravviserebbe la specificità di cui all'elemento soggettivo intenzionale. Ed anche il concetto di cui all'art 590 c.p. andrà ricondotto alla disciplina di volta in volta interessata, risultando non comparabili le lesioni colpose riconducibili alla condotta di chi, durante un incontro di calcio colpisce l'avversario in maniera involontaria, con quelle di un soggetto che urta un concorrente nel corso di una gara di corsa (disciplina ove il contatto fisico non è previsto), invadendo la corsia altrui. Sulla scorta di quanto poc'anzi esposto, la dottrina si è affannata nel cercare di stabilire un criterio generale che potesse delineare i margini entro cui rendere legittime le condotte degli atleti, intendendo col termine “legittimo” non la regolarità sportiva della condotta ma la sua conformità agli aspetti normativi codificati. Vi sono, infatti, molteplici esempi in cui un “illecito sportivo” (locuzione di creazione dottrinale, indicata in buona parte dei regolamenti alla voce “falli e scorrettezze”) o un comportamento non regolamentare rimangono tali solo in ambito agonistico, nulla rilevando in ambito giudiziario. Ci si chiede, allora (e ci si è chiesto per lungo tempo) quale sia il margine entro cui un comportamento non regolare rimanga immune dall'espletarsi dell'azione penale 35 DOTTRINA La persegubilità penale…… La dottrina ha istituito l'anzidetta categoria degli “illeciti sportivi” al fine di individuare una sorta di soglia, variabile da sport a sport e quindi da caso a caso, entro la quale circoscrivere le condotte agonistiche non rilevabili penalmente. Questa soglia è stata, fin dai decenni scorsi, denominata soglia del “rischio consentito” sottintendendo che, chi pratica volontariamente e senza costrizioni uno sport, per il fatto stesso di farlo, accetta di subire le possibili ed eventuali conseguenze degli effetti della propria pratica. Tornando agli esempi di prima, il praticante la boxe non potrà, tranne casi particolari di cui si dirà in seguito, pretendere tutela penale anche nel caso in cui gli effetti dei colpi subiti rientrassero, dal punto di vista oggettivo, entro i parametri delle lesioni personali. Né chi pratica il calcio o il basket potrà, nel caso di chiara involontarietà del proprio intervento, vedersi indagato per gli effetti del proprio gesto sportivo, quand'anche quest'ultimo risultasse lesivo. Il fatto stesso che il livello dell'asticella del rischio consentito (creatura, lo ripetiamo, dottrinale) risulti variabile a seconda della disciplina presa in considerazione è un indice inequivocabile della difficoltà, rectius impossibilità, di configurare un unico parametro valevole per tutte le discipline. Conseguentemente, la nostra analisi comincia già in salita; con la consapevolezza, cioè, di non poter uniformare tutti gli sport ad un unico criterio valutativo. Si dovrà, volta per volta, aver contezza della pratica sportiva di cui si dibatte con due ordini di conseguenze: In primo luogo, servirà un adeguata esperienza della disciplina specifica, conoscendone sia le regole che le prassi in uso ai praticanti. In secundis, sarà possibile, se non auspicabile, operare delle classificazioni tra le svariate discipline entro cui far rientrare alcuni sport che per specificità e grado di contatto fisico rivestono delle similitudini. Ad avviso di chi scrive, la divisione tra “sport comportanti il contatto fisico e non” appare assai vetusta. Sussistono, infatti, discipline che, pur non comportando il contatto tra i contendenti, possono dar adito a situazioni di lesioni personali del tutto involontarie. Si pensi ad attività come il baseball, la pallavolo, od il tennis che, pur non ammettendo il contatto tra i corpi dei contendenti, possono provocare degli effetti dannosi a causa di eventuali contatti con la palla scagliata ad alta velocità, sempre nel rispetto delle regole. 36 DOTTRINA La persegubilità penale…… Dal nostro modesto punto di vista, ci permettiamo di suggerire una classificazione in sei categorie: a) sport che impongono per il loro regolamento il contatto fisico (es: boxe, judo, arti marziali, lotta ); b) sport che sottintendono il contatto fisico (es: football americano, rugby, hockey su ghiaccio); c) sport che prevedono la possibilità di contatto fisico (es: calcio, pallacanestro, pallanuoto); d) sport che non prevedono contatto (es: tennis, pallavolo, tennis da tavolo), e) sport che non ammettono il contatto se non per caso fortuito (es: corsa campestre, nuoto di fondo); f) sport ove i contendenti gareggiano senza la presenza di avversari (es: sci, nuoto in corsia, concorsi d'atletica leggera o di ginnastica artistica) Appare evidente come la soglia del rischio consentito tocchi il punto più alto per quanto concerne la categoria al punto a) mentre rasenti il profilo più sasso in merito alle discipline ricomprese nella categoria sub e) Quanto alla categoria sub f), l'assenza dal campo di gioco di avversari implica l'impossibilità che si verifichino condotte perseguibili penalmente. Ora, assodato che il rischio consentito varia da disciplina a disciplina, val la pena ricordare i due filoni dottrinali che hanno caratterizzato l'analisi dal dopoguerra ad oggi. Da una parte vi è il filone che tende a ricondurre la scriminante del rischio consentito all'interno dell'art 50 c.p., riconoscendole valenza quale “consenso dell'avente diritto” a tutti gli effetti; dall'altra chi, rivendicando una specificità dovuta alla particolarità dell'ambito agonistico, ritiene che questa vada ad inserirsi in un contesto diverso, prettamente specifico e quindi riconducibile ad una creatura ad hoc. Una causa di giustificazione, per l'appunto, non codificata. Per dirimere detta diatriba ci giungono in soccorso le stesse pronunce giurisprudenziali che, sebbene in origine inclini alla prima delle teorie esposte, con il corso degli anni hanno visto modificare l'orientamento iniziale. Sino agli 90, la Suprema Corte ha confortato i sostenitori della teoria del consenso dell'avente diritto (Cass. Sez. V, n. 9627, 8 ottobre 1992; Cass. Sez V, 2 maggio 1993), confermando come la soglia del rischio andasse valutata caso per caso, nell'impossibilità ( già diagnosticata sopra) di erigere un omogeneo muro di cinta, entro cui ricondurre tutte le discipline. Le cose cambiano con l'avvento del nuovo millennio, allorchè la Cassazione affronta direttamente il dibattito nella pronuncia n. 1951/2000 ( Cass. Sez V). E' la stessa Suprema Corte a chiedersi quale dei due orientamenti dottrinali abbia da preferirsi. 37 DOTTRINA La persegubilità penale…… Leggendone il dettato si percepisce come la giurisprudenza, a mezzo di detta pronuncia, abbia operato una radicale inversione di tendenza. La teoria del rischio consentito viene messa da parte in adesione all'orientamento che riconduce i casi di contatto da gioco all'esistenza di una causa di giustificazione non codificata. Quali i motivi di questa preferenza? Principalmente uno. La teoria del rischio consentito, sviluppatasi identificando quale parametro giuridico l'art 50 c.p. ( “non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne”), presta al fianco ad alcune obiezioni. La più immediata di queste, sostenibile da chiunque aderisca alla teoria della concezione tripartita del reato, è rappresentata dalla difficoltà di sostenere il consenso dell'avente diritto allorchè il bene giuridico da tutelarsi sia rappresentato dal diritto all'integrità fisica o, addirittura, alla vita. Non vi è dubbio, infatti, che questi diritti rientrino tra quelli cosidetti “indisponibili”, con la conseguenza di creare una contraddizione qualora si ritenga possibile prestare un consenso in merito alla lesione di un diritto che, per sua stessa natura, non può essere intaccato. Chi scrive non può che aderire alle considerazioni poc'anzi riportate ma ha il dovere di segnalare come la teoria del consenso dell'avente diritto risulti l'unica elaborata sulla scorta del nostro codice. Va da sé che nel momento in cui la dottrina prima e la giurisprudenza poi parlano di scriminante non codificata, sono costrette a crearla ad hoc, sottintendo l'impossibilità di trovare appigli nel panorama giuridico vigente. Il punto è di non secondaria importanza perchè ci permette di comprendere la difficoltà d'inserimento della soglia del rischio consentito all'interno delle norme in vigore. Da un lato, vi è un apparentamento con l'art 50 c.p. con tutte le contraddizioni sopra dedotte. Dall'altro, per venire incontro all'esigenza di specificità del caso, vi è una forzatura normativa comportante la creazione di una causa di giustificazione diversa da quelle codificate. Ad avviso di chi scrive, il filone da seguire è quest'ultimo, quantomeno per non incorrere in problematiche relative all'eventuale non osservanza dei principi costituzionali, nel caso in cui si volessero rendere disponibili dei diritti che non lo sono. Vi è inoltre un ulteriore vantaggio. 38 DOTTRINA La persegubilità penale…… Rifacendosi alla teoria della scriminante non codificata, ci si apre la possibilità di fuoriuscire dai dettami classici di cui all'elemento soggettivo che sta alla base delle condotte lesive di cui agli artt. 582 e 590 c p, con l'effetto di poter trattare le questioni che si presentano innanzi ai giudici penali alla stregua di mere situazioni di fatto. Come già anticipato, le pronunce del nuovo millennio si sono succedute tutte nel senso di quest'ultimo intendimento (Corte d'appello Palermo, 26 novembre 2002; Cass. Sez IV, 7 ottobre 2003, Cass. Sez. V, 20 gennaio 2005, n. 19473). Quanto redatto in premessa può, a seconda degli intendimenti e delle opinioni personali, prestare il fianco a critiche o trovare consenso; di sicuro, presuppone un'attenta valutazione caso per caso delle condotte poste in essere. Ora vien lecito chiedersi quando, in relazione al rischio più o meno alto consentito in seno alle singole discipline, il compimento di atti lesivi possa dar origine ad un'azione penale. Ebbene, l'elaborazione giurisprudenziale dell'ultimo decennio è concorde nell'identificare nella “violazione delle regole di lealtà sportiva” il confine oltre il quale rendere perseguibili i comportamenti tenuti durante le competizioni. Detta così, però, la spiegazione non può ritenersi soddisfacente. Il concetto di lealtà risulta infatti tanto lodevole e nobile quanto aleatorio e di difficile connotazione pratica. Di seguito si tenterà di delinearne quelli che, a nostro modo di vedere, paiono essere i punti cardine, nel rispetto delle indicazioni provenienti dalle massime giurisprudenziali. Il tutto senza tralasciare l'esperienza prettamente agonistica, non sempre tenuta in buon conto da chi, pur chiamato a giudicare nelle aule giudiziarie, risulta talvolta carente di nozioni specifiche. Ebbene, l'incipit del nostro ragionamento non può discostarsi da un'importante precisazione. Non tutti gli illeciti regolamentari presuppongono una violazione dei doveri di lealtà. Tornando alla classificazione precedentemente proposta, la categoria sub c) è quella che più si presta al ragionamento in essere. Non è raro, infatti, osservare, nel corso di una partita di basket o di calcio, un arbitro che sanzioni come comportamento falloso o scorretto un gesto che, almeno nelle intenzioni, non lo voleva essere. Si pensi al cestista che cerca di stoppare l'avversario ed involontariamente lo tocca, provocando comunque il fischio arbitrale. 39 DOTTRINA La persegubilità penale…… Ovvero al calciatore che, nel tentativo di intervenire sul pallone, si ritrova a colpire l'avversario per l'abilità di questo nell'anticiparlo o per un'improvvisa mancanza di coordinazione nel movimento posto in essere. A prescindere dalla disciplina e dalla soglia del rischio consentito, andrà considerato come l'aver commesso un fallo od una scorrettezza non rappresenti, di per sé, indice di violazione dei doveri di lealtà. Ragionando a contrario, si dovrebbe concludere che in tutte le occasioni in cui non viene rilevato un fallo da parte del giudice di gara la condotta non sarà perseguibile. Paradossalmente, così non è! Sussistono casi in cui, nonostante l'arbitro non abbia ravvisato gli estremi per sanzionare il comportamento quale antisportivo, l'azione penale è stata comunque incardinata. Non vi è da esserne sorpresi. Se è vero che l'arbitro è giudice insindacabile sul campo di gioco, è, altresì, vero che taluni gesti da sanzionare possono sfuggire al proprio occhio e che, per un (umano) errore di valutazione, altri che andrebbero sanzionati non lo siano. Potrà, pertanto, essere perseguito un comportamento quand'anche non fosse stato ravvisato falloso dall'arbitro. Conseguentemente, ai fini della rilevanza nel processo, il referto arbitrale non assume una pregnante importanza, senza peraltro indurre chi legge a ritenere inutile la figura arbitrale. Lo stesso giudice di gara potrà essere sentito quale teste nel corso del dibattimento unitamente agli assistenti che ne coadiuvarono l'arbitraggio, rappresentando una fondamentale fonte di ricostruzione dei fatti da parte di un soggetto “terzo”. Superato questo primo gradino, diviene necessario comprendere quando un gesto agonistico superi i limiti consentiti. Appurato che non è sufficiente l'antisportività del gesto, è doveroso discernere tra la condotta comportante un'imputazione ai sensi dell'art 590 c.p. e la condotta comportante un'imputazione ai sensi dell'art 582 c.p. Partendo da quest'ultima, quella cioè relativa al reato di lesioni personali, è evidente come l'elemento soggettivo del “dolo” vada ricondotto alla reale ed inequivocabile intenzione di ledere all'integrità fisica dell'avversario. Perchè si abbia una simile situazione la competizione agonistica deve apparire, oltre ogni fondato dubbio, quale mera occasione per il compimento della scorrettezza. 40 DOTTRINA La persegubilità penale…… E' questo il caso in cui un atleta, durante una situazione di gioco fermo o di svolgimento dell'azione in una zona del campo ad esso distante, colpisca volontariamente un avversario o reagisca ad interventi ricevuti in precedenza. Sul punto, la Suprema Corte è stata lapidaria nel corso dell'ultimo decennio e sulla scorta della massime elaborate si può tranquillamente sostenere come la perseguibilità penale per condotte di questo tipo appaia fuori discussione. A maggior ragione, lo sarà nel caso in cui comportamenti simili avvengano fuori dal terreno di gioco. Basti pensare alle risse o alle cosidette “imboscate” che purtroppo avvengono non di rado al rientro negli spogliatoi. Ancor più evidente sarà la perseguibilità penale in relazione a condotte avvenute tra atleti, al termine non solo dell'incontro ma anche delle procedure di vestizione, prima di lasciare la struttura ove è situato l'impianto di gioco. Tristemente famoso, risulta essere a tal proposito l'episodio che vide coinvolti, nell'autunno del 2000, i giocatori Ferrigno e Bertolotti con quest'ultimo vittima di un aggressione da parte dell'avversario, poco prima che le compagini lasciassero l'impianto. Trattavasi di un mero “regolamento di conti” a seguito di una discussione avvenuta in campo durante l'incontro di calcio ComoModena. Il nostro pensiero corre nella direzione secondo cui una situazione di questo tipo nemmeno consti all'ambito sportivo. Questo perchè un fatto accaduto dopo un cospicuo lasso di tempo dalla fine dell'incontro nemmeno può considerarsi attinente alla competizione. Varranno, in situazioni simili, le norme del codice penale senza bisogno di scomodare la teoria del rischio consentito. Quanto invece al reato di lesioni colpose, l'elemento soggettivo dovrà essere frutto di attente valutazioni. Sul punto chi scrive non può che rimarcare come le autorità chiamate a giudicare in merito a simili episodi bisognino di un adeguata e peculiare conoscenza della disciplina di cui si dibatte. Senza voler polemizzare, nemmeno lontanamente, con gli organi di magistratura, ci sia consentito affermare che anche un attento studio delle regole di ogni singolo sport può non risultare sufficiente acchè un giudice abbia contezza della materia. 41 DOTTRINA La persegubilità penale…… Ogni pratica sportiva presuppone una serie di prassi, di circostanze e di regole non scritte tali da caratterizzarne lo svolgimento. Le stesse tattiche di gioco poste in essere dalle squadre e la diversità (anche emotiva) tra i vari momenti della gara condizionano il comportamento degli atleti. Si pensi, ad esempio alla pallacanestro, disciplina in cui, spesso, le squadre ricorrono al fallo sistematico (e quindi volontario) al mero fine di fermare il cronometro, senza intenzione di dolere all'integrità degli avversari ma con la chiara volontà di compiere un'irregolarità. Ragionamento analogo per la pallanuoto o per il calcio da quando è divenuto comune il concetto di fallo tattico. Conseguentemente, il concetto di lesioni colpose in seno alle competizione sportive diventa quanto di più complesso possa esservi da analizzare. Ebbene, nell'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale si sono succeduti molti spunti. Tra i più importanti, val la pena ricordare quello relativo al cosidetto “eccesso di foga” con cui si riteneva punibile un intervento che, per quanto finalizzato ad avere un vantaggio nell'ambito dell'incontro (ad esempio, la conquista del pallone) andava a ledere l'integrità altrui a causa della mancanza di lucidità e/o dell'impossibilità di fermarsi e/o dell'ansia da risultato. Questo concetto, che continua a risultare il miglior punto di partenza per chi si avventura in simili analisi, è stato ed è tuttora frutto di perfezionamenti ed adattamenti alle realtà di fatto che abbondano nei campi di gioco. Ebbene, dal nostro modesto osservatorio, riteniamo che la vera scriminante per ammettere un'imputazione per lesioni colpose sia rappresentata dalla connessione esistente o meno tra il fatto incidentale e il gesto tecnico agonistico. In parole povere, è nostra opinione che fin tanto che l'intervento, anche se duro nelle forme e nei modi, sia rapportabile alla (tentata) azione di gioco, non si debba propendere per la perseguibilità penale. Interventi anche pericolosi, scomposti o, come si suol dire, cattivi non potranno trovare giustizia nelle sedi ordinarie se finalizzati ad ottenere un vantaggio Questo perchè, in caso contrario, la casistica risulterebbe talmente ampia da dilatare senza limite la competenza della giustizia ordinaria penale. Quando parliamo di connessione al gesto tecnico sportivo intendiamo affermare che, sino a quando l'intervento risulti collegabile alla giocata sportiva, l'atleta non dovrà essere indagato. 42 DOTTRINA La persegubilità penale…… Stabilito questo, diviene però necessario piantare dei paletti al fine di delimitare il concetto di giocata sportiva o gesto tecnico agonistico. E' evidente come, mai come in queste situazioni, si renda necessaria un'analisi caso per caso. Sussistono, però, dei fattori che possono essere di grande ausilio nello stabilire l'esistenza o meno dell'auspicata connessione. Ad esempio, nei giochi con la palla, un elemento che, in ambito giudiziario, potrà scagionare l'atleta falloso, può essere rappresentato dalla vicinanza o meno del pallone al punto di impatto dei contendenti. Gli obiettori di questa teoria potranno di certo sostenere che la vicinanza della palla non è sintomo di involontarietà (fallo tattico docet) ma poiché l'intervento non deve risultare involontario bensì “non colposo” (che è un concetto diverso), e considerato come la scriminante di cui si discute risulti di per sé “non codificata”, nulla vieta di inserire un plus riguardante la vicinanza dal pallone quale metro per stabilire o meno la connessione all'azione agonistica. Non possiamo negare che un'impostazione come quella suggerita possa apparire una forzatura ma è sempre auspicabile porre dei paletti tanto più che l'orientamento testè proposto riveste una incontestabile praticità nell'analisi degli eventi. Quanto appena dedotto, può apparire un orientamento estensivo e permissivo nei confronti di chi si macchia di scorrettezze in campo, ma le eventuali obiezioni (che abbiamo già previsto) non saranno condivise dalla maggior parte dei praticanti gli sport in questione che, unitamente a chi scrive, sono consapevoli di come le normali regole della convivenza e del buon comportamento non sempre trovino spazio nei campi di gioco, dove l'ansia da risultato e la vis agonistica tendono a prendere il sopravvento. Per esplicare meglio il concetto, valga l'esempio di uno dei primi casi in cui un atleta professionista pensò di querelare un suo collega. Nel novembre 1981, il calciatore Giancarlo Antognoni venne violentemente colpito alla tempia da un intervento del portiere genoano Silvano Martina. L'impatto, risultato tremendo, provocò un duplice arresto cardiaco ad Antognoni che rimase per ore in pericolo di vita. Le cronache del tempo narrano come lo stesso, una volta ripreso l'uso della ragione, fosse tentato di querelare Martina. 43 DOTTRINA La persegubilità penale…… Questa, in realtà, rimase solo un'ipotesi perchè, dimostrando una classe ed un eleganza paragonabile a quella che era solito mostrare in campo, Antognoni non solo desistette dall'azione penale ma incontrò il suo avversario di lì a poco per dirimere amichevolmente la vicenda Da allora, però, le cose sono cambiate e allo stato attuale vi è un proliferare di querele per fatti molto meno gravi. Ad avviso di chi scrive, e lo ribadiamo è nostra opinione, nemmeno il tremendo impatto AntognoniMartina avrebbe legittimato un'azione penale nei confronti del malcapitato portiere. Chi ha alla mente le immagini dell'impatto potrà dissentire ma, nella fattispecie, pur riscontrando da parte di Martina una totale scompostezza nell'intervento, oltre che un palese ritardo e un'impossibilità di intervenire sul pallone, andrà considerato come la palla fosse vicina ai contendenti e come l'intenzione agonistica di Martina fosse, almeno in origine, quella di impedire il tiro all'avversario. Non vogliamo minimamente negare che l'intervento fosse particolarmente pericoloso e che meritasse la sanzione sportiva dell'espulsione, (per la cronaca, l'arbitro non fischiò nemmeno il fallo!!!) ma solo ribadire che in casi in cui vi è connessione tra il gioco e l'intervento falloso è opportuno optare per l'inopportunità dell'azione penale. E' naturale che, così facendo, l'ambito della perseguibilità penale per le condotte ex art 590 c.p. si riduca assai, ma val la pena ricordare che siamo in ambito sportivo e quindi caratterizzato da una specificità di fondo.. Come già anticipato, la Cassazione non è propriamente di questo avviso, anzi ammette la perseguibilità per lesioni colpose ogni qualvolta l'inosservanza delle regole, anche se non finalizzata alla lesione altrui, abbia provocato le conseguenze lesive. Tralasciando il nostro pensiero, dobbiamo convivere con il presente orientamento che origina numerosi casi di processi penali, cercando di far luce in merito ad alcuni aspetti processuali. A farla da padrone è, ancora una volta, il calcio ma le considerazioni che seguono potranno essere ricondotte a tutte le discipline. E' infatti doveroso presentare a chi legge una serie di valutazioni che l'esperienza giudiziaria ha radicato in noi. L'analisi dei dibattimenti processuali risulta particolarmente agevolata nei casi in cui l'atleta imputato abbia da essere un professionista od un partecipante ad una manifestazione di pubblico interesse. Il perchè di tale agevolazione è presto spiegato. 44 DOTTRINA La persegubilità penale…… Trattandosi di competizioni importanti, vi potranno essere molteplici ausilii al convincimento del giudice; dai ricordi collettivi, alle riprese audiovisive, alle cronache, al numeroso pubblico di spettatori ed addetti ai lavori che, seguendo l'evento, potrà darne ampio riscontro in sede testimoniale. In realtà, il proliferare dei processi penali per eventi di cui alle competizioni sportive trova terreno fertile nel dilettantismo e nei campionati giovanili. Non è difficile comprenderne i motivi: i cosidetti “professionisti” godono di assicurazioni tali da fornire adeguati risarcimenti con la conseguenza che, passata la rabbia per il dolore e la delusione per lo stop forzato, raramente trovano interesse a vedere condannati i loro colleghi. Diversamente, molte famiglie di ragazzi frequentanti i campi dei settori giovanili dilettantistici intravedono nell'eventuale risarcimento una fonte di ricavo, con la conseguenza di incardinare l'azione per costituirsi parte civile nel dibattimento. L'esperienza personale ci porta a rabbrividire di fronte a talune richieste, soprattutto quando comprendono degli importi a titolo di risarcimento per il danno esistenziale del tutto abnormi rispetto al grado di capacità degli atleti stessi. Ad ogni buon conto, nel momento in cui si apre il dibattimento innanzi al Giudicante, quando non vi sono gli ausilii di cui sopra, le testimonianze diventano l'unico modo per cercare di ricostruire il fatto (coadiuvate dalla relazione dei consulenti del tribunale, nei casi in cui vengono nominati). Per quanto ci vien dato di vedere, capita spesso che i compagni, i sostenitori, i dirigenti ed i simpatizzanti della compagine per cui è tesserata la parte lesa ricostruiscano la vicenda in un modo, mentre i rispettivi della squadra avversaria in un modo diametralmente opposto. Ciò comporterebbe che, in ottemperanza al principio secondo cui anche in caso di minimo dubbio l'imputato deve essere assolto, questi dovrebbe effettivamente essere scagionato. In realtà, spesso le sentenze vanno oltre quel principio con la conseguenza che, paradossalmente, nei dibattimenti non si tende a dimostrare la colpevolezza dell'imputato ma, contrariamente ai principi, si chiede a costui di dimostrare la propria innocenza. Va da sé che in un panorama come quello appena delineato non c'è da star allegri quando ci si trova alla sbarra. Ed effettivamente, risulta necessario che almeno un teste terzo, estraneo cioè ad una delle compagini, testimoni. Ecco allora che improvvisamente la figura dell'arbitro recupera la propria importanza. 45 DOTTRINA La persegubilità penale…… Se è vero, come già menzionato, che l'azione penale non è condizionata dal referto arbitrale è, altresì, vero che l'arbitro può avere in sede testimoniale ampia rilevanza. A tal proposito ci permettiamo di menzionare la sentenza del 10 luglio 2009 con cui il Giudice Monocratico del Tribunale di Venezia, Sezione Distaccata di San Donà di Piave ha assolto il calciatore M C dall'accusa di lesioni dolose. Ebbene, dopo un'infinita serie di udienze ed un odissea di sette anni e mezzo, correlata da una pesantissima richiesta di risarcimento danni, proprio la deposizione dell'arbitro, sicurissimo nel ricordare come il giocatore non solo avesse toccato la palla nell'azione del presunto fallo, ma addirittura l'avesse giocata, sottintendendo in tal modo la coscienza d'esserne in possesso, ha fatto luce su una questione altrimenti caratterizzata da versioni diametralmente opposte. Questo per ricordare come, da una parte hanno ragione coloro i quali limitano la competenza dei giudici di gara all'ambito sportivo, dall'altro non deve essere dimenticato che, proprio per la funzione che riveste, il giudice di gara è spesso presente nelle vicinanze dell'impatto ed, in mancanza di immagini o altri mezzi d'ausilio, andrà sempre indicato tra i testimoni della difesa, soprattutto nei casi in cui non abbia sanzionato la condotta antisportiva. Purtroppo, la tendenza odierna è quella contraria al pensiero che nelle pagine precedenti abbiamo esposto ma tant'è. Ciò comporta quale conseguenza che sempre più spesso vengano adite le Sedi Giudiziarie al fine di vedersi riconosciuti dei lauti risarcimenti con il sequenziale rischio che molti genitori impediscano ai propri figli la pratica sportiva per il timore di divenire in futuro oggetto delle pretese risarcitorie degli avversari. A mero titolo esemplificativo, nel caso poc'anzi ricordato, il giovane atleta (ventenne all'epoca dei fatti) ha convissuto per oltre sette anni e mezzo con il peso di una richiesta risarcitoria enorme e con la spada di damocle di una pesante condanna tanto da avere visto limitato ogni suo movimento in un campo di gioco per il timore di eventuali ripercussioni. Le società stesse dovrebbero prevenire un simile malcostume, garantendo l'efficienza delle procedure per i risarcimenti derivanti dalle compagnie assicurative obbligatorie (ambito in cui spesso latitano) e riportando i loro tesserati al rispetto dei veri valori sportivi. Allo stesso modo, andrà ricordato agli atleti che lo sport si fonda sui valori di correttezza e lealtà ma mentre scriviamo queste righe siamo i primi a renderci conto d'essere ormai diventati pleonastici in un mondo, soprattutto quello professionistico, dove l'interesse ed il profitto la fan da padroni. 46 DOTTRINA La persegubilità penale…… Ci sia consentito sottolineare come il concetto di intervento di gioco andrà rapportato di volta all'importanza ed al gradi di competitività della manifestazione oggetto d'analisi. Ciò significa che ad un intervento avvenuto durante un allenamento od un'esercitazione andrà richiesto un grado di cautela ben più alto rispetto al medesimo intervento eventualmente effettuato durante un incontro valevole per una qualsiasi competizione agonistica. Da ultimo chi scrive nutre grossi perplessità sul fatto che un'ampia perseguibilità penale delle condotte sportive possa prevenire il gioco scorretto o possa valere quale limite all'eccessiva antisportività. Questo risultato andrà raggiunto intensificando i provvedimenti di giustizia sportiva e solo in casi di evidente intervento in cattiva fede il provvedimento giudiziario potrà servire da deterrente, sempre ricordando come il primo insegnamento che giunge ai praticanti di molte discipline sia quello di entrare “convinti e decisi sul pallone” onde evitare che sia lo stesso soggetto interveniente a farsi male. In definitiva, a chiosa di questa analisi ci sentiamo di affermare che, sin tanto che l'intervento agonistico non sfocia nell'intimidazione, sarà bene rimanga circoscritto ai provvedimenti di natura giurisportiva. Vi è la speranza che, anche i giudici di merito e quelli di legittimità riportino in fretta l'ambito entro detto limite. (*) Avvocato del foro di Venezia 47 DOTTRINA PARTE SECONDA NOTE A SENTENZA SOMMARIO: La buona fede e l’ignoranza scusabile dell’atleta escludono la violazione dell’art. 2.3 del Codice WADA per mancanza dell’elemento soggettivo - Nota a lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA v/ CONI, FIGC, Daniele Mannini & Davide Possanzini, 27 luglio 2009 pag.49 FEDERICA TOSEL, La giurisdizione dell’Alta Corte di Giustiziadel CONI quale pag.80 MARIO VIGNA E MARIA CECILIA MORANDINI, ultimo grado di giustizia. Presupposti e limiti del contenzioso esofederale. Così è (se vi pare) - Nota a Alta Corte di Giustizia Sportiva, Decisione n. 1/2009 del 14 maggio 2009, Juventus/FIGC. MARIO TOCCI, Doppio tesseramento di calciatore: problematiche connesse alla fattispecie dei tesseramenti in stagioni diverse - Nota a Commissione Disciplinare Nazionale della F.I.G.C. Comunicato n. 88/CDN F.I.G.C. del 07 maggio 2009 48 pag.100 Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... CAS 2008/A/1557 AWARD delivered by the COURT OF ARBITRATION FOR SPORT sitting in the following composition: President: Pr Dirk-Reiner Martens, Attorney-at-Law, Munich, Germany Arbitrators: Dr Quentin Byrne-Sutton, Attorney-at-Law, Geneva, Switzerland Mr Ercus Stewart SC, Barrister, Dublin, Ireland Ad hoc Clerk: Mr Andreas Zagklis, Attorney-at-Law, Athens, Greece. in the arbitration between Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) Represented by Mr Mario Gallavotti, Attorney-at-Law, Rome, Italy and Mr Antonio Rigozzi, Attorney-at-Law, Geneva, Switzerland Daniele Mannini Represented by Messrs Fabio Lattanzi and Paolo Rodella, Attorneys-at-Law, Rome, Italy and Mr Gianpaolo Monteneri, Zurich, Switzerland Davide Possanzini Represented by Mr Carlo Antonio Ghirardi, Attorney-at-Law, Brescia, Italy Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) and World Anti-Doping Agency (WADA) Represented by Messrs François Kaiser and Claude Ramoni, Attorneys-at-Law, Lausanne, Switzerland 49 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... 1. Introduction 1. 1.1 Federazione Italiana Giuoco Calcio ("FIGC") is the Italian football federation which groups Italian football clubs. 2. 1.2 Daniele Mannini and Davide Possanzini are professional football players ("Players") who were registered with Brescia Calcio S.p.A. ("Brescia") at the point in time relevant in these proceedings. 3. 1.3 Comitato Olimpico Nazionale Italiano ("CONI") is the Italian National Olympic Committee which represents all national sport associations in Italy, including FIGC. 4. 1.4 The World Anti-Doping Agency ("WADA") is a foundation formed by the Olympic Movement and Public Authorities whose aim is to promote and coordinate the fight against doping in sport. 5. 1.5 Pursuant to a decision of CONI's Judges of Final Jurisdiction (Giudice di Ultima Istanza, "GUI") dated 20 March 2008, the Players were suspended for 15 days from participation in all competitions or activities authorized or organized by FIGC because of a delay in providing blood and urine samples on the occasion of a doping control on 1 December 2007. 6. 1.6 On 16 May 2008 WADA filed with the Court of Arbitration for Sport ("CAS") an appeal against the decision issued on 20 March 2008 by GUI and received by WADA on 21 April 2008. According to WADA, the Players had "unduly refused to submit to urine sample collection on December 1, 2007" and should be sanctioned according to Article 2.3 of the World Anti-Doping Code ("WADA Code"). 7. 1.7 On 29 January 2009 the Panel rendered its award ("First Award"). The holding of the First Award reads as follows: "1. The Appeal filed by the World Anti-Doping Agency on 16 May 2008 against the decision issued on 20 March 2008 by the Judges of Final Jurisdiction on Doping Issues of CONI is partially upheld. 1. 2. The decision issued on 20 March 2008 by the Judges of Final Jurisdiction on Doping Issues of CONI is set aside. 2. 3. A suspension of one year is imposed on Mr Daniele Mannini and Mr Davide Possanzini commencing on the date of this decision, less the period of fifteen days already served. 3. 4. All other motions or prayers for relief are dismissed. 50 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... 4. 5. This award is pronounced without costs, except for the court office fee of CHF 500 (five hundred Swiss Francs) paid by the World Anti-Doping Agency, which is retained by the CAS. 6. Each party shall bear its own costs." 1. 1.8 Following notification of the First Award, on 12 February 2009 the FIGC filed with CAS a "Request for Arbitration" ("the Request") asking "for a new arbitration on this matter". FIGC – and with it the Players – contends that new facts and/or new evidence "were made available" and that "if this new evidence had been known to the Panel who delivered the Award, their decision would have been different". The FIGC and the Players also requested CAS to order, as a preliminary measure, a stay of execution of the First Award in order to allow the Players to continue playing. 2. 1.9 On 18 March 2009 the Panel issued its Order on the issue of preliminary measures (“the Order”), ruling that “1. The application by Federazione Italiana Giuoco Calcio, Daniele Mannini and Davide Possanzini for a stay of the execution of the award issued on 29 January 2009 by the Court of Arbitration for Sport is upheld. 2. The costs deriving from the present order will be determined at the end of the revision proceedings.” 1.10 Therefore, the Panel shall now decide on the Request, after having heard the positions and evidence presented by the Parties. 2. Facts and Proceedings before CAS 1. 2.1 As a preliminary matter, the Panel refers to the facts as established in the proceedings which led to the First Award. Their evaluation under the scope of evidence presented after the issuance of the First Award, to the extent necessary, will be dealt with when discussing the merits of the Request. 2. 2.2 On the occasion of a regular season game of Serie B of FIGC on 1 December 2007 between Brescia and A.C. Chievo Verona ("the Game") the Players were drawn to undergo a doping control. 51 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... 3. 2.3 In keeping with the practice in Italy for doping controls during football games, the official notification of the Players’ selection for Sample collection was made to the Players’ team representative in the technical area. 4. 2.4 In this case the team representative who received the notification in the technical area on behalf of the Players was the Brescia team doctor Diego Giuliani ("Dr. Giuliani"), who had the responsibility of informing the Players thereof at the end of the game. 5. 2.5 Thus, at the end of the Game at approximately 17.45 hrs the Players were advised by Dr. Giuliani that they had to report immediately to the doping-control station. This occurred as the Players left the pitch and were on the steps leading to the corridor where the dressing room was situated. .2.6 The foregoing notification was confirmed in the Players' written submissions in the following terms: .• “At the conclusion of the match, as the Player was coming off the pitch, he was advised by the team doctor, Dott. Diego Giuliani, that he had been selected to submit to an antidoping control and that he should report to the anti-doping station” (written submission of Davide Possanzini of 21 July 2008); .• “Mr Mannini, at the end of the home match, lost by the club, was informed by the deputy assistant of Brescia, Mr. Diego Giuliani, that he was selected, jointly with Davide Possanzini, to undergo to the anti-doping control; … the two players duly proceeded towards the anti-doping room…” (written submission of Daniele Mannini of 21 July 2008). 2.7 Mr Possanzini had already described this sequence of events during his examination by the Doping Prosecution Office on 19 December 2007, when he declared: “…at the end of the game, as soon as I left the field, I was informed by Brescia team’s doctor, Dr. Diego Giuliani, that I had been selected for the doping control and that I had to go to the doping testing room immediately”. 1. 2.8 The FIGC Anti-Doping Representatives, Mr Vicenzo De Vita and Mr Riccardo Miadoro were waiting with Dr. Giuliani and then followed the Players into the corridor in order to keep them in sight. In that respect, Mr Possanzini declared at the hearing on 23 October 2008 that he remembered seeing on the steps an official whose function he recognized because of the person’s badge. In the official report signed on 1 December 2007 by the two foregoing representatives, it is stated that: “At 5:45 PM, the Brescia official representative was duly notified, 52 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... in his own technical area, that the players selected for the anti-doping operations were Messrs. Mannini and Possanzini. The two players were followed in their locker room by the anti-doping officials …”. Both Players’ declarations in front of the Doping Prosecution Office on 19 December 2007 confirm in substance that they were in sight of the Anti-Doping representatives when reaching the dressing room, since both of them declare having seen an inspector being invited into the dressing room. 2. 2.9 As the Players were walking towards the doping control station they were intercepted by the team coach and the President of Brescia and were instructed to immediately proceed to the Brescia dressing room instead of the doping control station because an important team meeting had been scheduled in view of Brescia's third consecutive defeat. The Players did as they were told and entered the dressing room for a meeting which lasted somewhere between 10 and 25 minutes. 1. 2.10 Mr De Vita was invited to join the Players in the dressing room, but when he tried to enter he found the door blocked from the inside so that he had to wait outside until after the meeting. During that time the Players were not under visual control of doping control officials. 2. 2.11 At the end of the team meeting, approximately 35 minutes after the end of the Game, the Players proceeded to the doping control station and gave blood and urine samples. The analysis of the samples did not reveal the presence of any prohibited substance. 3. 2.12 The Players' case was initially examined by the Ufficio di Procura Antidoping ("UPA"), which concluded that the Players had no intention to avoid the doping control and that thus the Players' behaviour would not fall under Article 2.3 of the WADA Code. However, according to the UPA, the Players were guilty of non-cooperation with the anti-doping officials and were thus subject to sanctions according to Articles 6.2 and 6.6 of the "Istruzioni Operative della Commissione Antidoping" (hereinafter the "IOCA") and Article 4.2 of the "Procedimento disciplinare e Istruzioni operative relative all'attività dell' Ufficio di Procura Antidoping" of CONI (hereinafter the "PIUPA"; jointly with the IOCA referred to as the "Istruzioni"). 1. 2.13 On 29 January 2008, the Court of First Instance of the FIGC acquitted the Players considering that there was no sanction provided for in the Istruzioni for the Players' 53 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... behaviour. In particular, the Court found that the wording of Article 4.2 of the PIUPA did not provide a basis for sanctioning a violation of Articles 6.2 and 6.6 of the IOCA. 2. 2.14 On 20 March 2008, upon appeal by the UPA, the GUI set aside the first- instance ruling and imposed a sanction of 15 days of ineligibility on the Players for a violation of several anti-doping rules contained in the Istruzioni. More specifically, it found that Articles 6.2 and 6.6 of the IOCA and Article 4.2 of the PIUPA had been violated. The GUI decision does not provide express reasons for not applying Article 2.3 of the WADA Code (hereinafter "Article 2.3"), but in its discussion refers to the Players' brief filed with GUI on 12 March 2008 in which they argue that "… lacking facts that could constitute violations as per Article 2 of WADC, that is aimed at evading sample collection, the conditions to initiate disciplinary proceedings were not met" and request in the alternative “… subordinately this Panel to apply article 10.5.2 of WADC, imposing fifteen days’ ineligibility on the athletes barring them from every match”. 3. 2.15 On 16 May 2008 WADA filed with CAS an appeal against the decision issued on 20 March 2008 by GUI. According to WADA, the Players had "unduly refused to submit to urine sample collection on December 1, 2007" and should be sanctioned according to Article 2.3. 4. 2.16 A hearing took place in Lausanne on 23 October 2008. 5. 2.17 On 29 January 2009 the Panel rendered the First Award. 6. 2.18 On 12 February 2009 the FIGC filed the Request. 7. 2.19 On 17 February 2009 the Players agreed to the Request filed by FIGC. 8. 2.20 On 18 February 2009 WADA informed CAS that it had no objection that the same Panel who rendered the Award in CAS 2008/A/1557 examines whether there is any ground to re-open the case and furthermore noted that if the Panel would establish that such grounds existed, WADA would abide by such decision. 1. 2.21 On 18 March 2009 the Panel issued its Order on the issue of preliminary 2.22 The Panel held a hearing on 3 April 2009 at the CAS Court Office in measures. 2. Lausanne to deal with the Request. The following persons gave evidence before the Panel: -Daniele Mannini; -Davide Possanzini; -Dr Matteo Frameglia, anti-doping officer; -Prof Giuseppe Capua, President of the FIGC Anti-Doping Commission; -Prof Piero Volpi, Italian Football Players Union's Representative to the FIGC Anti- 54 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... Doping Commission; -Luigi Corioni, President of Brescia. 1. 2.23 At the end of the hearing, the parties, after making submissions in support of their respective requests for relief, confirmed that they had no objections to raise regarding their right to be heard and that they have been treated equally and fairly in the arbitration proceedings. 2. 2.24 By letter dated 14 April 2009 the Players filed a petition challenging Dr. Quentin Byrne-Sutton as arbitrator. Following written submissions by all parties and the arbitrators concerned, on 27 May 2009 the Board of the International Council of Arbitration for Sport issued its "Decision on a petition for challenge of an arbitrator", ruling as follows: "The petition for challenge against Mr Quentin Byrne-Sutton as arbitrator, filed by the Players Mannini and Possanzini, and supported by the FIGC, is rejected." 3. The Parties' submissions 1. 3.1 The positions of the parties are summarised as follows: 2. 3.2 FIGC, Mannini, Possanzini 3.2.1 FIGC and the Players submit that by virtue of FIGC's Request, the Players' submissions dated 5 March 2009 and WADA's letter dated 18 February 2009 the parties have concluded a new arbitration agreement which authorizes the Panel to “re-open” the proceedings and decide the case on the basis of new evidence; thus, there is no need to 1 apply by analogy Article 123 of the “Loi sur le Tribunal Fédéral” (the “Article 123”)for these proceedings. 1. 3.2.2 In the event the Panel were to decide to apply Article 123, the standard of diligence mentioned in the Order for preliminary measures (see paragraph 4.1 of the Order) was set too high and not in accordance with the jurisprudence of the Swiss Federal Tribunal (“the SFT”). In cases where the evidence was really compelling, the SFT did not apply the test of diligence with a view to delivering a fair result. The FIGC and the Players have now brought forward evidence that was unknown to them before the rendering of the First Award and/or could not be proven at that time. 55 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... 2. 3.2.3 FIGC and the Players further submit that there is a series of new facts and/or new evidence on the basis of which the Panel should now reach a different conclusion, i.e. that the Players did not commit an anti-doping rule violation: -Dr Matteo Frameglia, one of the anti-doping officers involved in the relevant doping control procedure, informed the FIGC on 6 February 2009 that the tests “were carried out without any violation of the rules by the players” and that their delay in attending the test “was clearly tolerated” by the anti-doping officers. -Dr Riccardo Miadoro, also one of the anti-doping officers involved in the relevant doping control procedure, contacted the FIGC shortly after the publication of the First Award and stated that the suspension of the Players must have been caused by a misunderstanding of the facts of the case, since a) the anti-doping officers expressed “certain tolerance … about test timing”, b) the Players during the team meeting “were visible in sight [sic] and were not doing any illegal antidoping practices”. -Mr Corioni, President of Brescia, made a public statement on 2 February 2009 saying that the door of the Brescia locker room was open to allow players and staff, as well as other people on duty to enter. He had not testified in the previous proceedings because he was under suspension by the league at the time of the doping test and was thus not supposed to be in the locker room. He did not want to openly admit that he had acted in violation of the suspension order. 1 "Art. 123 Autres motifs 1. 1. La révision peut être demandée lorsqu’une procédure pénale établit que l’arrêt a été influencé au préjudice du requérant par un crime ou un délit, même si aucune condamnation n’est intervenue. Si l’action pénale n’est pas possible, la preuve peut être administrée d’une autre manière. 2. 2. La révision peut en outre être demandée: a) dans les affaires civiles et les affaires de droit public, si le requérant découvre après coup des faits pertinents ou des moyens de preuve concluants qu’il n’avait pas pu invoquer dans la procédure précédente, à l’exclusion des faits ou moyens de preuve postérieurs à l’arrêt; b) dans les affaires pénales, si les conditions fixées à l’art. 229, ch. 1 et 2, de la loi fédérale du 15 juin 1934 sur la procédure pénale1 sont remplies" -The WADA Code is not directly applicable in Italian football. Article 2.3 of the Norme Sportive Anti-doping which incorporates Article 2.3 of the WADA Code into the Italian football legal framework merely refers to “justification” (“giustificato motivo”) and not to “…compelling justification”. -Dr Frameglia and Prof Capua informed the FIGC for the first time after the First Award that in December 2007 it was a commonly held belief in Italian football that anti-doping tests after the match were considered advance notice tests, which did not require any kind of direct control over 56 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... the athletes by the anti-doping officers between the notification and the test. Also, the Players’ delay is in compliance with the timeframe of 30 minutes provided for in Article 6.2 of the IOCA with respect to advance notice doping tests. -The guidelines regarding doping-test procedures coming from the FIGC Anti-Doping Commission, which is a body fully independent from the FIGC management, and shared by clubs and players created a “convincement among all the interested parties that appears not to be in line with the WADA [Code]”, i.e. that chaperoning was not obligatory at all times. -The award rendered by CAS on 18 March 2009 in the matter 2008/A/1551 WADA v/ CONI, FIGC, Nicolò Cherubin (“the Cherubin Award”) provides an interpretation of the applicable rules which, if adopted in the present case, would lead to a different result on the merits. 3.3 WADA 1. 3.3.1 WADA submits that it had no objection that the same Panel who rendered the First Award examines, on the basis of the previous proceedings (including the tapes of the hearings), whether there is any ground to re-open the case. However, WADA contends that it did not agree to a new arbitration or to the case being re-opened and that it will be up to the Panel to decide whether the Request based on allegedly new evidence permits or not to re-open the case. If the Panel finds that the case should be re-opened, the Panel should then re-open a procedure on the merits. 2. 3.3.2 WADA argues that the re-opening of a case already closed by a CAS award should occur only in exceptional circumstances. In any case, a party to a CAS proceeding should not be allowed to re-open a case in order to file evidence, which such party “renounced to file” in the previous proceedings. In particular, it would be contrary to the principle of good faith for a party to “renounce to file” evidence in proceedings and wait for the outcome of such proceedings before filing allegedly "new" evidence and requesting a reconsideration of the case, if the award is adverse to such party. 3. 3.3.3 WADA further submits that Mr Frameglia was one of the FIGC representatives present in Brescia at the time of the doping test in question on December 1, 2007. He signed the report executed on the day of the match where it is stated that (i) the players Mannini and Possanzini were not authorized to leave the doping control station and (ii) that they failed to appear after having been repeatedly summoned. Furthermore, Mr Fra meglia was not in charge of notifying or chaperoning the players Mannini and Possanzini but rather the players from the other team. His statement that tests performed at the end of matches 57 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... were not considered as "no advance notice" tests contradicts the clear text of the report signed by the DCOs and the FIGC representatives at the end of the football match held on December 1, 2007. 3.3.4 According to WADA, the statement of Mr Capua, an "indirect" witness, is contradicted by evidence filed in the previous proceedings and statements of witnesses or parties who were present on the day of the match and who have been examined at the hearing. Therefore Mr Capua’s statement does not constitute new evidence, which could be admissible to reconsider the case. 4. Jurisdiction and Conditions of Revision 1. 4.1 Since the seat of this arbitration is in Switzerland and since the FIGC, the Players and CONI are all neither domiciled nor habitually resident in Switzerland, the Swiss Private International Law Act ("PILA") applies to this arbitration (Article 176 para. 1 PILA). 2. 4.2 The PILA and the Code of Sports-related Arbitration (the "CAS Code") do not provide 2 for a review of international arbitral awards. However, it is undisputedthat if the parties agree to submit a request for revision to an arbitral tribunal directly, the latter is competent to undertake such revision under the rules which govern a "révision" of court decisions applied mutatis mutandis to a review of "international" arbitral awards. 1. 4.3 In its letter dated 18 February 2009 addressed to CAS, WADA stated that it “has no objection that the same Panel who rendered the award in CAS 2008/A/1557 examines, on the basis of the conduct of the proceeding (including the tapes of the hearing), whether there is any ground to re-open the case. If the Panel determines that such a ground exists, WADA will abide to such decision”. FIGC and the players interpret the above reaction by WADA to the Request as an acceptance to re-open the proceedings which enables the Panel to reconsider the First Award in light of new evidence before it. WADA on the other hand submits that it merely agreed that the CAS, and not the SFT, examine the Request under the criteria laid down in Article 123. 2. 4.4 On the basis of the correspondence exchanged between the Parties and CAS, the Panel finds there was no agreement by WADA to a new arbitration, as initially requested by the FICG, but that, at a minimum, the Parties agreed that this Panel should have jurisdiction to determine whether there is any ground for a revision of the First Award. The Panel finds therefore 58 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... that it is competent to examine whether the conditions for a revision are met and, if so, to revise the First Award. In doing so the Panel shall apply by Cf. ATF 118 II 199. analogy and for guidance those rules which govern a “revision” of court decisions, in 34 cluding Article 123and related case law of the SFT, without being bound by them in a formal sense. 4.5 In keeping with the rules governing the revision of court decisions, when deciding on the revision of the First Award, the Panel will apply a dual test: 4.5.1 First, the Panel shall determine whether the revision is admissible (“rescindent”), in light of the following conditions (infra §5): i) Did the alleged new facts/new evidence exist at the time of the First Award ("faits nouveaux anciens")?, ii) Are the claimants able to prove that they were unable to produce the alleged new facts/new evidence in the previous proceedings without any negligence on their part? iii) Are the alleged new facts/new evidence "relevant" and "conclusive" in the sense that they could likely lead to a modification of the First Award on the merits? 4.5.2 Second, if the three above requirements are met, the Panel will have to decide whether the application of the new facts/new evidence should lead to a modification of the First Award (“rescissoire”) (infra §6). 5. Admissibility of the Revision (“rescindent”) 5.1 As mentioned above, the FIGC and the Players have the burden of proving that they 5 were not negligent in omitting to present these facts in the previous proceedings . The Panel considers that the test of diligence is fundamental and must be applied strictly because without it the doctrine of “res judicata” and basic principles of due process 3 Loi sur le Tribunal Fédéral, art. 123 para. 2a. 4 59 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... Cf. ATF 11.05 1999 [Bull. ASA 2000.p. 326, RSDIE 1999, p. 608, Yearbook 2001, p. 299]; ATF 09.07.1997 [Bull. ASA 1997 p. 506, RSDIE 1998 p. 588]; ATF 02.07.1997 [Bull. ASA 1997, p. 494, RSDIE 1998, p. 580.] 5 The applicant must establish that, through no fault of its own, it was prevented from or otherwise unable to adduce the relevant facts or evidence in the course of the arbitral proceedings. This means that the applicant must show that it acted diligently in the arbitral proceedings and that it did everything it could to elucidate the facts that it deemed relevant to its case. (E. Geisinger/V. Frossard, Challenge and Revision of the Award, in Kaufmann Kohler / Stucki (ed.), International Arbitration in Switzerland – a Handbook for Practitioners, Kluwer, 2004, p.163 ). would be undermined. A revision cannot be a means for parties to make up for past mistakes and any negligence in their management of their burden of proof. 5.2 The Panel points out that much of the evidence adduced by the FICG and the Players after the First Award was established through witnesses. In this respect, article 44.2 of the CAS Code inter alia reads: “ […] The parties call to be heard by the Panel such witnesses and experts which they have specified in their written submissions. The parties are responsible for the availability and costs of the witnesses and experts called to be heard. […]” 1. 5.3 Thus, when applying the test of diligence, it needs to be borne in mind that each party had the procedural burden of calling its own witnesses and experts, and that in the proceedings leading to the First Award the Panel did not impose any restrictions in that regard. On the contrary, making use of its authority under Article 44.2 of the CAS Code, the Panel exceptionally authorized the hearing of witnesses via teleconference (Messrs Giorgio Cavenaghi and Vincenzo De Vita for the Appellant; Mr Serse Cosmi for the Respondent). 2. 5.4 Bearing in mind this procedural framework, the Panel finds that the evidence provided by Dr Frameglia and Mr Corioni with respect to the Player’s delay in submitting to doping control is inadmissible for the following reasons: -The FIGC and the Players could have called as a witness in the previous proceedings the President of Brescia Mr Corioni who was, together with the coach Mr Cosmi, the person who required the Players to join the team meeting right after the Game. Mr Corioni clarified that he was not supposed to be present in the locker room due to serving a disciplinary ban imposed on him by 60 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... the league and that a new sanction would have been imposed on him had he testified earlier before this Panel. The Panel finds that this explains why FIGC and the Players chose not to have Mr Corioni testify earlier before CAS and not why they were unable to call him as a witness. -Dr Frameglia was one of the three FIGC anti-doping officers at the Game and he co-signed the report which gave rise to this case. From an objective point of view, FIGC and the Players were expected to have considered Dr Frameglia as a possible witness when preparing their answer to WADA’s appeal, where WADA had listed the other two FIGC anti-doping officers (Messrs De Vita and Miadoro) as witnesses. 1. 5.5 As regards Mr Miadoro, the Panel wishes to underline that, although he did not participate in the hearing of 3 April 2009, he had been called by WADA as a witness in the previous proceedings. During the hearing of 23 October 2008 WADA withdrew its motion to hear Mr Miadoro as a witness without any objections raised by the (then) Respondents (see para. 26 of the First Award) who are therefore not allowed to bring forward Mr Miadoro’s ex-post statement that the First Award was based on a “misunderstanding of the facts”. 2. 5.6 Furthermore, the Panel finds that since WADA’s appeal was based on Article 2.3 in the proceedings before the First Award, the FIGC and the Players could have invoked the alleged discrepancy between the English version of Article 2.3 and the Italian translation in the Norme Sportive Anti-Doping, i.e. between the words “compelling justification” and “justification”. Instead, when addressing the issue of “compelling justification” in their submissions and oral pleadings, they did so without contending that the wording of the Italian rule might imply a different standard. Consequently, FIGC’s new submission in that respect is inadmissible. 3. 5.7 The Panel also notes that the Cherubin Award was published approximately two months after the First Award and therefore does not meet the first criterion for the revision of the First Award. The Panel accepts that an arbitral award may provide guidance with regards to the applicable law, which is usually a matter of proof in international arbitration; however, the Panel is of the opinion that new jurisprudence cannot, in principle, be a reason for the revision of an arbitral award. The Panel finds that the Cherubin Award is in any event not relevant to the present case, since it refers to an incident where the player in question went to the doping control station directly after the end of the game and then left without being told not to do so in terms he could readily understand as being a formal injunction linked to a possible sanction. Conversely, the focus of the present proceedings is the 35-minute delay between notification and arrival at the doping control station, during which the Players remained unattended by the chaperones. 61 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... 4. 5.8 The Panel shall now examine the admissibility of that part of the evidence produced to invoke that there was a lack of understanding and some confusion about the regulatory requirement of immediately proceeding to the doping control station after the Game while being continuously chaperoned. 5. 5.9 With respect to that aspect of the additional evidence adduced by the FICG and the Players, the Panel finds that the three conditions of admissibility are met. 1. 5.10 Given that the FIGC and the Players are invoking a practice which allegedly prevailed in Italian football during a period between approximately 2005 and 2008, the alleged facts pre-existed the rendering of the First Award and must be admitted with respect to that condition. 2. 5.11 The condition that the additional evidence is relevant enough to possibly have an impact on the outcome of the case is also met, since whether the doping-control procedures the Panel deemed applicable when rendering its First Award – in particular the duty of the Players to proceed immediately to the control station and to remain in visual contact with the chaperones – were properly applied and understood in Italian football in December 2007 at the time of the test is relevant in establishing an anti-doping rule violation. 3. 5.12 In connection with the requirement of due diligence, the FIGC contends that the publication of the First Award triggered numerous reactions and, after internal discussions, the FIGC management discovered that the FIGC Anti-doping Commission, an allegedly autonomous body, had been interpreting the in-competition testing procedures as “advance notice” tests which did not require chaperoning of the players. Further investigations revealed that professional football players in Italy were not aware of their relevant obligations and that anti-doping officers were generally tolerant with delays and chaperoning. However, the FIGC also acknowledged at the hearing that between 2005 and 2008 it had engaged in lengthy discussions with CONI regarding the issue of visual control of players before providing a sample. 1. 5.13 The Panel heard extensive evidence on this issue which left it unclear whether the FIGC management was aware of the guidelines provided by its Anti-Doping Commission in meetings with chaperones and representatives of the players’ union. On balance, the Panel is unconvinced that the FIGC was entirely ignorant of the problem and could not have raised the issue at the outset of the proceedings. 62 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... 2. 5.14 That said, based on the testimony and statements heard during the hearing on 3 April 2009, the Panel finds that the Players themselves were unaware of such discussions surrounding the nature of the doping-control procedures, and that prior to the First Award the Players were no doubt incapable of realizing how important it was for them to explain in detail what their perception was of the nature of the doping-control they were subject to after the games and of the duties that stemmed therefrom at the time of test in December 2007. 3. 5.15 Because the gap in understanding between what was legally required of the Players in terms of duties and what they allegedly believed to be their rights and obligations in undergoing the doping control after the game only became apparent to them upon receipt of the First Award, the Panel finds that the Players cannot be deemed negligent for having failed to adduce fuller evidence on this point during the proceedings that preceded the First Award. 4. 5.16 For the above reasons, the Panel considers that the three conditions for admitting a revision of the case (“rescindent”) are met with respect to the additional evidence adduced about the practice and beliefs which allegedly prevailed in Italian football during a period between approximately 2005 and 2008 as to the nature and conditions of the post-match doping controls that regularly took place. 6. Revised Decision (“rescissoire”) 1. 6.1 In determining whether or not to render a different award on the basis of the evidence and allegations admitted, the Panel shall apply the same regulations as relied on in the First Award and will examine the consequence of applying those regulations to the broader set of facts and evidence now on record. 2. 6.2 Before examining the most relevant aspects of the additional evidence, the Panel recalls the following passages from the First Award, which will help to put the reasoning in this award into context: “50. [T]he main issues the Panel has to address are […] whether or not a violation of Article 2.3 occurred and, if so, with what consequences. 51. The Panel does not disagree with GUI’s opinion that the Players acted in violation of the doping-test procedures defined in Articles 6.2 and 6.6 of the Procedural Guidelines of the Antidoping Control Committee. However, for the reasons examined below, the Panel finds that such behaviour of the Players also amounted to the violation of a substantive anti-doping rule, i.e. of 63 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... Article 2.3, and that by ignoring this fact GUI misapplied the rules. In addition, and as shall be discussed in the next section of this award, the Panel considers GUI to have applied the wrong sanction. […] 53. […] It has also been established that the Players were fully conscious of the fact that they had to report to the doping control without delay and deliberately (even though perhaps reluctantly) decided to attend a team meeting to which they were called by their coach and President. […] 58. It has been established that the Players reported to the doping-control station with a delay of at least 25 minutes, so the question is whether this can be characterized as either a failure or a refusal to submit the sample, despite the fact that the Players did eventually present themselves to the control and delivered the samples. […] 2. 59. In that relation it is relevant that according to Article 6.2 of the Istruzioni the athlete "must appear as soon as possible in the anti-doping test station and in any case by the deadline specified in the notification" and "must be in constant sight of and directly observed by the personnel" and that according to WADA's International Standard for Testing [Section 5.4.1(e)] it is the athlete's responsibility to "remain within sight of the DCO/Chaperone until the completion of the Sample Collection procedure". 3. 60. The foregoing provisions confirm that under the meaning of Article 2.3 any behaviour whereby an athlete expressly refuses, or de facto fails to report to the control station without delay and remains without chaperone during such delay, must be deemed a refusal or a failure to submit a sample, unless there is “a compelling justification”. 4. 61. In other words, the refusal or failure is constituted by any delay in providing the sample after having been notified to do so, where the delay is not authorized by the control personnel and during which the athlete is not chaperoned, irrespective of whether the athlete submits a sample at some subsequent point in time. 5. 73. While WADA has the burden of proving a failure or refusal to submit a sample, the burden of proving a possible "compelling justification" is on the Players. 64 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... 1. 76. [T]he Panel finds that more probably than not the Players found themselves in the dilemma of either risking an argument with the coach and /or the President if they refused to attend the meeting – since it appears credible that they had been quite forcibly summoned to and requested to stay in the meeting – or complying with those instructions and arriving late at the doping-control station. 2. 77. However, the Panel does not consider this dilemma to be a "compelling justification" to fail to submit to a sample without delay, notably because even if they had acted against the instructions of their coach and President, from a legal perspective they would not have risked any repercussions with respect to their employment relationship, as they would have been conforming with binding rules (binding also on the coach and the President) forming a mandatory part of their engagement as professional players. 3. 78. In that connection, there is no evidence that the Players made any serious efforts to convince their principals of the need to first go to the doping-control station and that they were in effect “sequestered” in the dressing room in the sense of being physically prevented from leaving. 4. 79. Thus, to remain in conformity with their anti-doping duty to submit a sample – which they were well aware of, due to having undergone other In-Competition tests in the past – the Players should have resolved the dilemma by either going directly to the control station before entering the dressing room or by insisting with the coach and or President that they must first go to the control station or by insisting that a chaperone be admitted to the dressing room.” 1. 6.3 In relation to the reasoning in the First Award and given the additional evidence, the question is now whether the Players did or did not know precisely what their duties were with respect to the applicable doping-control procedure, and, if not, whether they are responsible for the lack of knowledge. 2. 6.4 During the hearing of 3 April 2009 Prof Capua, President of the FIGC Anti- Doping Commission and Prof Volpi, Italian Football Players Union's Representative to the FIGC Anti-Doping Commission testified on the issue of chaperoning and delays in incompetition doping controls. 3. 6.5 Prof Capua 1. 6.5.1 According to Prof. Capua's evidence, as from 1 July 2005, when the new anti- doping regulations entered into force, the FIGC Anti-Doping Commission has been responsible, 65 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... mainly in collaboration with CONI and with the assistance of its own chaperones, for coordinating and providing support for the conduct of the tests effected by the Italian anti-doping agency ("CONI-NADO"). The Commission also continues to provide training and consulting services to players and clubs, as well as to the chaperones themselves, in particular by taking care of the implementation of the anti-doping regulations and operative instructions for the conduct of the tests. 2. 6.5.2 After having been informed of the First Award, Prof Capua felt forced to inform the FIGC's Legal Office of the interpretation which at the time of the doping control and until the end of 2007 was still generally recognized within the Italian football move ment, and was in fact known to CONI-NADO: in-competition tests were considered as advance notice tests, since these controls were routinely effected on the occasion of all the Serie A and Serie B matches. Only the out-of-competition tests, which were implemented starting 20042005 – being more infrequent and for this reason considered to be extraordinary – were actually considered controls without notice and required chaperoning. 1. 6.5.3 Prof Capua was aware of discussions and certain clashes between FIGC and CONINADO on this issue, which were allegedly only resolved at the beginning of 2008, in particular following various sessions held throughout the year 2007, for the training and certification of chaperones, and after several meetings with players' and clubs' representatives. 2. 6.5.4 Prof Capua declared that the FIGC Anti-Doping Commission, in its regular meetings with chaperones, during which operative instructions for their activities are provided, always indicated that it was preferable to ensure that the test was completed by recommending to its officials to "favour the smooth conduct of the anti-doping tests by interpreting in a reasonable manner the possible tensions which players may be experiencing after a match". Further, the FIGC Anti-Doping Commission would provide guidelines to the Player's Union and the latter would inform the players accordingly. 3. 6.6 Prof Volpi 1. 6.6.1 Prof Volpi confirmed that there was a disagreement between the FIGC and CONI on the issue of visual control of players between the time of notification and the arrival at the doping control station in in-competition tests. According to Prof Volpi, the interpretation which at that time was still prevailing within the FIGC Anti-Doping Commission and the Italian football movement was that in-competition anti-doping tests were considered essentially as ordinary tests 66 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... with advance notice, for which visual contact between the anti-doping officials and the players selected for testing was not required between notification and arrival at the doping control station. The practice changed as of the beginning of 2008 but in general the players' level of awareness and education on such issues was still very low until the First Award. 2. 6.6.2 Prof Volpi also testified that the education of players with respect to regulations and related rights and duties was carried out by the Players’ Union mainly through annual meetings with the captains of the teams during the general assembly. However, aside from a video on doping procedures distributed to the teams some 3-5 years ago, there had been no special education with regard to doping-control procedures until after the First Award was published. 3. 6.7 Dr Frameglia 6.7.1 Dr Frameglia's testimony was mainly focused on evidence which have already been considered inadmissible (see para. 5.4 above), since it related to the doping control of 1 December 2007. However, Dr Frameglia confirmed during the hearing that, although since 2005 he was aware of the rule of chaperoning the players selected for incompetition doping control, "one thing is theory – [another] thing is practic[e]". From his experience, Dr Frameglia believed that the vast majority of football players in Italy were under the impression that this was an advance-notice test where reasonable delays with no visual contact by the chaperones could occur without it having any dramatic consequences. 6.8 The Players 1. 6.8.1 The Players declared in substance that they had received no formal instruction or material information about the nature of the doping-control tests they were subject to after the football matches, i.e. on the topic of whether such tests were deemed to constitute ordinary tests or out-of-competition tests, or concerning precisely what their duties were in terms of proceeding to the control station and interacting with chaperones. 2. 6.9 Despite the declarations and testimony summarized above, the Panel is not convinced that the whole of what FIGC coined “the Italian football family” falsely believed the post-match doping-controls were deemed to be advance-notice tests, since, among others, the DCO’s written reports tend to demonstrate the contrary. 1. 6.10 However, the Panel is now convinced that on 1 December 2007, when the Players were asked to proceed to the doping-control station upon leaving the football pitch, neither 67 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... of them had a clear understanding of whether this corresponded to an incompetition or to an out-ofcompetition doping control or of what their duties were in terms of proceeding to the station and staying in visual contact with the chaperone. 2. 6.11 The Panel’s finding raises the question whether the Players can be deemed responsible for their lack of knowledge and understanding of the applicable anti-doping procedures. 3. 6.12 In that relation, it goes without saying that professional athletes are bound by a taxing duty to properly inform themselves regarding anti-doping regulations and procedures as well as to educate themselves with respect to any aspects they fail to understand; otherwise the purpose and application of anti-doping rules would be undermined. The fact that professional athletes are expected to behave in a responsible manner is indeed one of the cornerstones of the fight against doping and has been continuously upheld by CAS. 4. 6.13 At the same time, one of the corollaries of the diligence required of professional athletes and of the severity of the sanctions attached to anti-doping violations is that athletes must be given a fair opportunity to fully inform and educate themselves, with the benefit of user-friendly tools and materials, regarding the regulations and procedures. This implies that when regulations and procedures emanate from anti-doping organizations and are enforced via a pyramid of international and national sports federations, associations and anti-doping bodies, it must be ensured at each level that the rules are effectively implemented and that efficient processes are put in place to inform and educate the athletes. Indeed, because the regulatory framework is complex and partly private and contractual in nature, any other approach would be unfair. 5. 6.14 The importance of athletes having access to relevant information is implicit for example in numerous CAS awards dealing with the issue of contaminated nutritional supplements, in which the existence of readily available information is deemed an important factor in determining whether an athlete is at fault and to what degree: “As a general remark, the Panel observes that the sporting world has, for quite some time even before the 2000 Sydney Games, been well aware of the risks in connection with using so called nutritional supplements, i.e. the risk that they may be contaminated or, in fact, “spiked” with anabolic steroids without this being declared on the labels of the containers. There have been several cases of positive tests for nandrolone which have been attributed to nutritional supplements and which have been widely publicised in the sports press. This fact was the likely motive for the IOC press releases in October 1999 and February 2000 […] which gave an unequivocal warning 68 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... about the use of imported and unlicensed supplements and their possible mislabeling.” (emphasis added by the Panel) [CAS 20001/A/317, CAS Digest II, pp.170-171; see also CAS OG 02/001, CAS Digest III, p.579, and more recently CAS 2005/A/847, Knauss v/ FIS, paras. 7.3.2-7.3.3] 6.15 Furthermore, sports regulations must be clear, and the practices of the authorities that enforce them must be consistent and predictable, as underlined in the following fashion by the CAS: “The fight against doping is arduous, and it may require strict rules. But the rule-makers and the rule-appliers must begin by being strict with themselves. Regulations that may affect the careers of dedicated athletes must be predictable. They must emanate from duly authorized bodies. They must be adopted in constitutionally proper ways. They should not be the product of an obscure process of accretion. Athletes and officials should not be confronted with a thicket of mutually qualifying or even contradictory rules that can be understood only on the basis of the de facto practice over the course of many years of a small group of insiders” [CAS 94/129, USA Shooting & Q./International Shooting Union (UIT), award of 23 May 1995, CAS Digest I, pp.197-198; see also CAS 2006/A/1164 Luca Scassa and MV Augusta Motor Spa v/ FIM and TAS 2004/A/762, White Endurance Team c./ Fédération Motocycliste Suisse] 1. 6.16 Given the legal principles recalled above, the Panel considers that in this case the Players cannot be deemed responsible for their lack of knowledge and understanding of the nature of the anti-doping test and corresponding duties to which they were subject on 1 December 2007. 2. 6.17 Article 2.3 of WADC and the corresponding CONI rule are generic in nature, in the sense that they simply define the anti-doping violation consisting of a failure to submit to sample collection. They do not define the different types of doping controls that exist for sample collection or the related procedural requirements for the testing. Those details are found in underlying anti-doping rules. 3. 6.18 In this case, the definition of the nature of the doping-control test involved, of the corresponding procedural requirements and of the DCO’s, the chaperone’s and the Italian football players’ respective duties derives from a combination of various sections (“Libros”) of the Norme Sportive Anti-Doping of CONI and of the WADA International Standard for Testing, in a manner which is not easy to comprehend even for a lawyer. 69 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... 1. 6.19 Thus, even if they do not quite represent “a thicket of mutually qualifying or even contradictory rules”, the applicable doping-control procedure and the exact scope of the athletes’ duties could certainly not be readily understood by the Players without them being informed and educated as to the rules by the FICG and/or by the Players’ Union. Otherwise, the Players would not “see the wood for the trees”. 2. 6.20 In relation to the foregoing, the Panel finds that the declarations and testimony heard on 3 April 2009 establish beyond reasonable doubt that on the date of the dopingcontrol in December 2007 (i) the two Players had received no manner of education or materials and did not have ready access to any source of information that would have allowed them to understand in a synthetic manner the essential and imperative elements of the anti-doping controls they were subject to and what exact duties they must abide by, (ii) the practices among chaperones/DCOs were not entirely uniform with regard to important conditions such as the immediacy with which players must report to the control station and the strictness of requiring uninterrupted visual contact, (iii) from around July 2005, when the new rules of CONI entered into force, until the beginning of 2008, the anti-doping authorities were not properly and consistently enforcing the new rules and the requirements laid down in Article 6.2 of the IOCA and Section 5.4.1(e) of WADA's International Standard for Testing, and (iv) although a certain level of collaboration from the selected players was expected, this was far from being seen and enforced as a duty the violation of which would incur a sanction of two years ineligibility. As a result and with doping controls conducted as often as every Sunday, many football players participating in Serie A and Serie B were bona fide convinced that immediate reporting to the doping control station and uninterrupted visual control by the chaperones were not – in the words of Mr Mannini – “essential”. 3. 6.21 For the foregoing reasons, the Panel finds that through no fault or negligence of their own the Players themselves had no more than an “impressionistic” view of what their exact duties were in terms of reporting immediately to the control station and remaining in uninterrupted visual control of the chaperones, and were far from believing that no exceptions were possible or from understanding the gravity of the sanction which would ensue in case of a breach. 4. 6.22 As a result and contrary to its finding in its First Award, the Panel now finds that when the Players stopped off in the changing room for somewhere between 10 and 25 minutes before proceeding to the control station they were not conscious of the fact and could not know that despite the circumstances (losing the game and being summoned by the coach and President) this 70 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... delay and loss of visual control would according to the rules be deemed a failure or a refusal to submit to the doping control. 5. 6.23 Therefore, the Panel concludes that the Players cannot be deemed to have refused or failed to submit to sample collection under Article 2.3. 6. 6.24 In reaching this conclusion the Panel does not question the validity of Article 2.3 or its strict conditions of application as determined in the First Award but only decides, for factual reasons based on the additional evidence admitted on record, that in the particular circumstances of this case Mr Mannini and Mr Possanzini cannot be deemed to have violated Article 2.3 and thereby committed a doping offense. Accordingly, the Panel considers it must retract its First Award, with the consequence that the sanction provided therein is no longer applicable and instead the decision issued on 20 March 2008 by the Judges of Final Jurisdiction on Doping Issues of CONI is confirmed. 7. Costs ON THESE GROUNDS The Court of Arbitration for Sport rules: 1. 1. The Request for Arbitration filed by the Federazione Italiana Giuoco Calcio on 12 February 2009 is upheld to the extent it requested a revision of the Award rendered by the Panel on 29 January 2009. 2. 2. The Panel’s Award of 29 January 2009 is retracted. 3. 3. The Appeal filed by the World Anti-Doping Agency on 16 May 2008 against the decision issued on 20 March 2008 by the Judges of Final Jurisdiction on Doping Issues of CONI is dismissed. 4. 4. The decision issued on 20 March 2008 by the Judges of Final Jurisdiction on Doping Issues of CONI is confirmed. 5. 5. All other motions or prayers for relief are dismissed. 6. 6. (…) Lausanne, 27 July 2009 THE COURT OF ARBITRATION FOR SPORT 71 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... LA BUONA FEDE E L’IGNORANZA SCUSABILE DELL’ATLETA ESCLUDONO LA VIOLAZIONE DELL’ART. 2.3 DEL CODICE WADA PER MANCANZA DELL’ELEMENTO SOGGETTIVO NOTA A LODO ARBITRALE CAS 2008/A/1557 WADA V/ CONI, FIGC, DANIELE MANNINI & DAVIDE POSSANZINI - 27 LUGLIO 2009 di Mario Vigna (*) e Maria Cecilia Morandini (**) Con il lodo in esame, revisione di un primo lodo, il Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna (di seguito “CAS”) ha statuito come i calciatori Daniele Mannini e Davide Possanzini non avessero violato l’art. 2.3 del Codice Mondiale Antidoping (“WADA Code”)1 per mancanza dell’elemento soggettivo della condotta, in quanto gli stessi avrebbero agito in “buona fede” e con “ignoranza scusabile” circa le norme e le procedure relative ai controlli antidoping. Sommario: 1. Il caso di specie. 2. L’art. 2.3 del WADA Code e la perdita del contatto visivo tra l’atleta e i DCOs. 3. Elementi per la revisione del primo Lodo del CAS. La tipologia di test No Advance Notice. 4. Conclusioni. 1 Qui considerato nell’edizione 2003, applicabile ai fatti del procedimento. 72 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... 1. Il caso di specie. In data 1 dicembre 2007 i calciatori Daniele Mannini e Davide Possanzini, entrambi tesserati per il Brescia Calcio, venivano invitati a sottoporsi ad un controllo antidoping al termine della partita contro la squadra A.C. Chievo Verona. Mentre si accingevano a recarsi al controllo, i giocatori venivano invitati dal proprio Presidente ed allenatore a dirigersi all’interno dello spogliatoio giacché, a breve, vi sarebbe stata una riunione dell’intera squadra per discutere sull’ennesima sconfitta subita. Durante tale riunione i Doping Control Officers (“DCOs”) perdevano il contatto visivo con i giocatori e, pertanto, gli atleti si presentavano al controllo 35 minuti dopo l’avvenuto avviso di convocazione, svolgendo il test con esito, per entrambi, negativo. Il caso veniva esaminato dal Giudice di Ultima Istanza in materia di doping del CONI (“GUI”)2, il quale statuiva che i giocatori non avevano violato l’art. 2.3 del WADA Code, dal momento che non si erano sottratti al test, ma piuttosto si erano resi colpevoli di non aver cooperato fattivamente nello svolgimento della procedura di controllo. Pertanto, il GUI condannava i calciatori alla sospensione dall’attività sportiva per 15 giorni in violazione di degli articoli. 6.2 e 6.6 delle Istruzioni Operative della Commissione Antidoping del CONI e in virtù dell’art. 4.2 delle Istruzioni Operative dell’Ufficio di Procura Antidoping3. Il 16 maggio 2008, la WADA presentava ricorso al CAS in appello alla decisione del GUI, sostenendo che i giocatori avevano agito in violazione del art. 2.3 del WADA Code. In data 29 gennaio 2009, il CAS emanava un primo lodo arbitrale, disponendo la sospensione di entrambi i giocatori per 1 anno a seguito della riscontrata violazione dell’art. 2.3 del WADA Code, attenuata da una negligenza non significativa nella condotta4. Il 12 febbraio 2009, la FIGC inoltrava richiesta di revisione della decisione, evidenziando la presenza di nuove prove. Sia i giocatori che la WADA stessa non presentavano obiezioni al riesame del caso. Dopo aver sospeso l’esecuzione del lodo sottoposto a revisione, il CAS procedeva alla disamina delle nuove prove e, all’esito della nuova istruttoria, proscioglieva i calciatori 2 Oggi Tribunale Nazionale Antidoping. 3 L’art. 4.2 delle Disposizioni Operative dell’UPA-CONI recita: “nei confronti di qualunque tesserato che non presti la collaborazione richiesta … può trovare applicazione la sanzione della sospensione per un periodo da uno a sei mesi”. 4 Il primo Lodo nel procedimento in oggetto è disponibile al link http://www.tascas.org/d2wfiles/document/2971/5048/0/Award%201557%20internet.pdf 73 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... dall’addebito di violazione del 2.3 del WADA Code e confermava la sanzione imposta dal GUI nel giudizio a livello nazionale5. 2. L’art. 2.3 del WADA Code e la perdita del contatto visivo tra l’atleta e i DCOs. Ai sensi del 2.3 del Codice WADA, rappresenta violazione delle norme antidoping la “mancata presentazione o rifiuto, senza giustificato motivo, di sottoporsi al prelievo dei campioni biologici previa notifica, in conformità con la normativa antidoping applicabile, o comunque sottrarsi in altro modo al prelievo dei campioni biologici”. Nel caso in esame, il comportamento negligente e l’atteggiamento manifestato dai giocatori è stato interpretato – nel primo lodo – come idoneo a costituire un rifiuto, ovvero un atteggiamento volto a sottrarsi dall’effettuazione del controllo. Dall’analisi della condotta, va sottolineato come il thema decidendum si sia focalizzato sulla problematica del controllo visivo dei giocatori da parte dei DCOs incaricati. Infatti, nel momento intercorrente tra la notificazione del controllo ai giocatori, da parte del medico sociale della squadra, e l’effettuazione del test, gli stessi sono sfuggiti al contatto visivo per un lasso di tempo tale da poter interpretarsi come rifiuto di sottoporsi al controllo stesso. In tale ottica, con il primo lodo il Collegio CAS ha affermato, rispetto alla decisione del GUI, che non solo vi era stata mancata collaborazione, ma che la fattispecie integrava, altresì, la violazione di cui all’art. 2.3 del WADA Code poiché gli stessi giocatori, dal momento dell’avvenuta notificazione ad eseguire il test, erano – rectius avrebbero dovuto essere – totalmente consapevoli delle conseguenze derivanti dal loro comportamento negligente. A tal riguardo, va osservato che nell’ipotesi di rifiuto di cui al 2.3, la perdita del contatto visivo dovrebbe precludere l’effettuazione del test, oramai inficiato ab origine da un vizio insanabile che ne pregiudica l’attendibilità. In particolare, la ratio del controllo visivo risiede nella possibilità che l’atleta possa assumere, nel lasso di tempo tra avviso e controllo, delle sostanze coprenti o comunque alterare il normale svolgimento del controllo stesso, inficiandone la validità e l’efficacia. È alla luce di questa interpretazione che la condotta dei calciatori è stata interpretata – nel primo lodo – quale rifiuto all’effettuazione dei test e non come mero ritardo nell’adempimento del controllo stesso. Tuttavia, va analizzato come anche il comportamento dei DCOs non sia stato del tutto esente da censure ma, anzi, si sia contraddistinto per una certa approssimazione nella conoscenza delle 5 Il testo completo del Lodo qui esaminato è disponibile cas.org/d2wfiles/document/3424/5048/0/Award%201557%20-%20II%20_internet_.pdf 74 al link http://www.tas- NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... procedure e nello svolgimento delle operazioni di controllo. Infatti, una volta perso il contatto visivo, i DCOs avrebbero dovuto considerare il test come “rifiutato” e non procedere all’effettuazione delle operazioni di prelievo. Tuttavia, nel caso di specie il prelievo dei campioni biologici è stato effettuato nonostante la perdita del contatto visivo e il lasso di tempo di 35 minuti tra avviso e prelievo. 3. Elementi per la revisione del primo Lodo del CAS. La tipologia di test No Advance Notice. A seguito della presentazione della richiesta di acquisizione di nuove prove da parte della FIGC, il Collegio CAS ha verificato la presenza dei presupposti per procedere ad una pronuncia di revisione di quanto statuito precedentemente. In termini di diritto positivo, il codice di procedura del CAS non prevede la possibilità di sottoporre a revisione quanto già stabilito in un lodo arbitrale. Elemento fondamentale per procedere ad un riesame del caso è il consenso o la non opposizione delle parti partecipanti al giudizio di cui si chiede la revisione stessa. È infatti in base a tale concorde volontà che il CAS ha riesaminato, quanto precedentemente statuito, alla luce di nuovi elementi istruttori. Nel caso di specie, al fine di determinare la possibilità di sottoporre a revisione il decisum del primo lodo, il Collegio CAS ha vagliato i seguenti aspetti se le nuove prove esistessero già ai tempi del emissione del precedente lodo; se agli appellanti potessero dimostrare di non aver prodotto le nuove prove nel precedente giudizio non per loro negligenza; se i nuovi elementi risultassero rilevanti e fondamentali, in maniera tale da poter modificare quanto statuito nel precedente lodo. Verificata l’ammissibilità del giudizio di revisione, il Collegio ha considerato come nuovo elemento di prova l’erronea valutazione circa la natura del test antidoping da parte dei giocatori, argomentato in termini di una asserita “prassi italiana” relativa ai controlli effettuati nel calcio professionistico. Infatti, come emerso in sede istruttoria, i test antidoping al termine delle partite di campionato italiano venivano generalmente considerati come Advance Notice test piuttosto che No Advance Notice. In merito, va ricordato che, secondo la definizione del Codice WADA, un test No Advance Notice è un controllo antidoping eseguito senza alcun preavviso sull’atleta e durante il quale lo stesso viene continuamente accompagnato – con costante contatto visivo – dal momento della 75 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... notifica fino al prelievo del campione biologico. In virtù di tale erronea valutazione sulla natura del test, i giocatori avrebbero ignorato “scusabilmente” la doverosità del contatto visivo con i DCOs. L’introduzione di questo nuovo elemento circa la natura dei test, ha spinto il Collegio CAS ad una più approfondita valutazione dell’elemento soggettivo posto alla base del comportamento dei giocatori. In tale analisi, l’Organo Giudicante ha considerato che la condotta negligente dei calciatori fosse mitigata da alcune significative scriminanti. In particolare, il Collegio CAS ha valutato sia l’effettiva non conoscenza che la possibile conoscibilità da parte dei giocatori delle reali conseguenze derivanti dalla propria condotta. Nello svolgere tale analisi il Collegio ha ravvisato – secondo l’apprezzamento basato sulla “confortable satisfaction” – come gli stessi fossero ignari delle ripercussioni regolamentari che sarebbero derivate dalla perdita del contatto visivo con i DCOs e dal ritardo nell’effettuazione dei test. Infatti, il Collegio CAS rileva come, al momento della comunicazione del controllo, i giocatori non avessero reale conoscenza di quale fosse la procedura da seguire, ritenendo che l’effettuazione del test in un momento non immediatamente successivo alla notificazione dello stesso, non avrebbe comportato alcuna violazione della normativa antidoping. Pertanto, la mancata conoscenza o conoscibilità delle norme per “ignoranza scusabile” e il mero ritardo non sembra possano coincidere con una volontà dei giocatori di “rifiutarsi” di effettuare il controllo. Sul punto, va notato che in un precedente caso riguardante l’applicazione del 2.3 del Codice WADA6, il Collegio TAS avesse già evidenziato come “The comments to article 2.3 of the World Anti-Doping Code show that an AntiDoping violation is committed only if and when the athlete finally refuses to be tested or avoids being tested.”7 In sostanza, seguendo le deduzioni del Collegio CAS, il ritardo dei giocatori nell’effettuazione del controllo non può considerarsi quale rifiuto, in considerazione del fatto che gli stessi ignoravano in “bona fide” la procedura da seguire. 6 CAS 2008/A/1551 WADA v/ CONI, FIGC & Nicolò Cherubin, par. 31, disponibile al link http://www.tascas.org/d2wfiles/document/3094/5048/0/Award%201551%20FINAL%20internet.pdf. 7 Il Commento all’art. 2.3 (Codice WADA 2003) recita: “Failure or refusal to submit to Sample collection after notification was prohibited in almost all pre-Code anti-doping rules. This Article expands the typical pre-Code rule to include ‘otherwise evading Sample collection’ as prohibited conduct. Thus, for example, it would be an anti-doping rule violation if it were established that an Athlete was hiding from a Doping Control official to evade notification or Testing. A violation of ‘refusing or failing to submit to Sample collection’ may be based on either intentional or negligent conduct of the Athlete, while ‘evading’ Sample collection contemplates intentional conduct by the Athlete.” ovvero in italiano (traduzione non ufficiale): “l’omissione o il rifiuto di sottoporsi al prelievo dei campioni previa notifica sono sanzionati in quasi tutti i vigenti regolamenti antidoping. Il presente Articolo espande tale norma generale fino a sanzionare i comportamenti tesi a ‘sottrarsi in altro modo al prelievo dei campioni’. Pertanto, si ha una violazione del regolamento antidoping qualora venga accertato che un Atleta si sottrae ai test condotti da un commissario addetto ai controlli antidoping. Una violazione per ‘rifiuto o omissione di sottoporsi al prelievo dei campioni’ può essere dovuta a una precisa intenzione o a negligenza dell’Atleta, mentre ‘sottrarsi’ al prelievo del campione contempla necessariamente un preciso intento da parte dell’Atleta.” 76 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... A tal riguardo, il Collegio ha rilevato che non possa ascriversi una responsabilità per negligenza qualora gli atleti non abbiano a propria disposizione mezzi e strumenti idonei per la dovuta cognizione e comprensione delle procedure antidoping. La possibilità per gli atleti di essere informati è infatti presupposto fondamentale del sistema disciplinare sportivo, sistema di matrice essenzialmente privatistica, contraddistinto da una struttura organizzativa piramidale. In tale ottica, le federazioni internazionali e nazionali devono assolutamente predisporre ed implementare procedure e meccanismi che consentano agli atleti di poter a loro volta rendersi diligenti e responsabili nella conoscenza della normativa antidoping. È evidente come vi fosse una generica approssimazione nel sistema dei controlli del calcio. Ciò è altresì dimostrato dal fatto che i DCOs abbiano permesso l’esecuzione dei test nonostante vi fosse stata la perdita del contatto visivo, qualificando implicamene essi stessi la condotta come “mero ritardo” piuttosto che “rifiuto”. Alla luce della ulteriore disamina istruttoria, il Collegio CAS conclude le proprie motivazioni sottolineando la genericità dell’art. 2.3, il quale non distingue alcunché in merito alle differenti tipologie di controlli e alle relative procedure applicabili per ognuno di essi. Diviene quindi possibile, come nel caso di specie, che il 2.3 non trovi applicazione nei casi in cui l’atleta si discosti dal normale iter dei vari controlli antidoping in “buona fede” e per “ignoranza scusabile”, stati soggettivi che non possono ricondursi ad un rifiuto. 4. Conclusioni. Appare evidente che l’eccessiva genericità del 2.3 ha indotto il Collegio CAS a derubricare la condotta da “rifiuto” di sottoporsi al controllo antidoping a semplice mancata collaborazione in quanto gli atleti, ai sensi delle Norme Antidoping del CONI, avrebbero agito con comportamento superficiale ma scusabile. In tale ottica, il Collegio CAS conferma la pronuncia del GUI e i 15 giorni di sospensione per mancata collaborazione. A ben guardare, la norma interna del CONI sembra costituire una sorta di “patch” normativa per quello che nel Codice WADA potrebbe potenzialmente rappresentare un vero e proprio “bug” regolamentare. Infatti, la formulazione del 2.3 contenuta nel Codice WADA, immutata nella versione 2009, equipara il rifiuto espresso all’omissione, non distinguendo in termini di gravosità della sanzione, a seconda se la mancata sottoposizione al controllo sia frutto di un’intenzione esplicita dell’atleta o di una negligenza dello stesso. 77 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... Inoltre, la norma non esemplifica delle ipotesi colpose che possano fungere da parametro in relazione alle varie tipologie di controlli e alle conseguenti diverse procedure antidoping. Pertanto, il ritardo, la perdita del contatto visivo e tutti gli altri obblighi della procedura di controllo che l’atleta possa aver colposamente violato, dovranno necessariamente essere valutati alla stregua delle circostanze di fatto del singolo caso e, di conseguenza, ritenersi scusabili e non rientranti nella fattispecie del 2.3 ogni qual volta risultasse che la condotta dell’atleta sia imperniata su una “buona fede” e su una “ignoranza scusabile” dello stesso circa controlli e procedure, stati soggettivi atti ad escludere l’applicazione della norma. Infatti, qualora l’atleta non osservi correttamente la procedura antidoping, occorrerà verificare in concreto se tale condotta possa rappresentare un rifiuto di sottoporsi al test o se sia piuttosto frutto di una mancata o addirittura erronea apprensione della normativa antidoping per causa a lui non imputabile. In precedenti applicazioni del 2.3 o di norme sostanzialmente equivalenti, il CAS aveva seguito un’interpretazione più restrittiva della norma, rilevando come il rifiuto di sottoporsi a controllo antidoping cosiddetto “innocente”, poiché ad esempio connotato da giustificate ragioni inerenti la sicurezza e le modalità del controllo, rappresentasse comunque una violazione perseguibile e sanzionabile8. Secondo tale impostazione, le intenzioni soggettive dell’Atleta rimanevano irrilevanti, dinanzi all’elemento oggettivo del rifiuto, costituito ad esempio dalla perdita del contatto visivo con i DCOs. Con la presente decisione, sembra invece affermarsi l’assoluta valenza dell’elemento soggettivo della condotta, tale da escludere l’applicazione della norma nell’ipotesi in cui non si rinvenga una reale intenzione dell’atleta di non sottoporsi al controllo. In conclusione, se è vero che l’attuale formulazione del 2.3 permette alla stessa di abbracciare diverse fattispecie, è altrettanto vero che l’attuale enunciazione presta il fianco ad ipotesi di “buona fede” e “ignoranza scusabile” troppo ampie ed indeterminate. In mancanza di una maggiore specificità nel diritto positivo della WADA, è presumibile che il CAS tornerà ad esprimersi a breve sull’applicabilità o meno del 2.3, specie in casi dove la mancata, differita o anomala sottoposizione a controllo antidoping sembri prescindere dalla reale coscienza e volontà dell’atleta di non sottoporsi propriamente alle modalità del controllo stesso. 8 Richard H. McLaren, CAS Doping jurisprudence: What can we learn?, in Sweet & Maxwell’s International Sports Law Review, Febbraio 2006, 11. 78 NOTE A SENTENZA Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini... Con ogni probabilità, tale giurisprudenza potrebbe fornire sia maggiori delucidazioni sulla applicazione del 2.3 in riferimento alle singole tipologie di controllo antidoping, sia dei parametri di massima per valutare o meno la scusabilità della condotta. (*) Mario Vigna è Junior Associate dello Studio Coccia De Angelis & Associati, Roma e Sostituto Procuratore della Procura Antidoping del CONI. (**) Maria Cecilia Morandini è membro dello Studio Morandini e Associati, Roma. 79 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... ALTA CORTE DI GIUSTIZIA SPORTIVA Decisione n. 1 Anno 2009 L’Alta Corte di Giustizia, composta da dott. Riccardo Chieppa, Presidente, dott. Alberto de Roberto, Relatore dott. Giovanni Francesco Lo Turco prof. Massimo Luciani prof. Roberto Pardolesi, ha pronunciato la seguente DECISIONE nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 1/2009 proposto da Juventus F.C. s.p.a. nei confronti della Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.) avverso la decisione della Corte di Giustizia Federale, sezioni unite, della F.I.G.C., 28 aprile – 8 maggio 2009, relativa a reclamo avverso la delibera del Giudice Sportivo presso la Lega Nazionale Professionisti, com. uff. n. 261 del 20 aprile 2009, recante sanzione di disputare una gara a porte chiuse inflitta alla Juventus F.C. s.p.a., a seguito dell’incontro Juventus/Internazionale del 18 aprile 2009; visti gli scritti difensivi delle parti, Foro Italico – Palazzo H – L.go Lauro de Bosis, 15 Alta Corte di Giustizia Sportiva 00194 - Roma Segreteria: tel. +39 06 3685.7382 -fax +39 06 3685.7493 presso il Coni [email protected] - www.coni.it uditi nella udienza del 14 maggio 2009 il relatore, dott. Alberto de Roberto, uditi i difensori della parte ricorrente – Juventus F.C. s.p.a. – avv. ti Luigi Chiappero, Michele Briamonte, Maria Turco ed i difensori della parte resistente – Federazione Italiana Giuoco Calcio – avv. ti Luigi Medugno, Letizia Mazzarelli, Federico Freni, 80 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... Ritenuto in fatto 1. Il giorno 18 aprile 2009 si svolgeva a Torino l’incontro tra le squadre del Juventus F.C. e del F.C. Internazionale Milano (Inter), valevole per la 13^ giornata di ritorno del campionato italiano di calcio Serie A. .In riferimento a tale gara il giudice sportivo della Lega Calcio disponeva, in data 20 aprile 2009, di sanzionare la società Juventus con l’obbligo di disputare un incontro a porte chiuse: ciò in considerazione dei cori intonati a più riprese da sostenitori della società ospitante con obiettivi di discriminazione razziale. Nel provvedimento sanzionatorio il giudice sportivo aggiungeva, a dimostrazione della inapplicabilità delle esimenti ed attenuanti di cui al Codice di Giustizia Sportiva (d’ora innanzi CGS) della Federazione Italiana Giuoco Calcio (d’ora innanzi FIGC), che, durante l’esecuzione dei cori, non si erano registrate palesi manifestazioni di dissenso da parte della tifoseria juventina ed erano pure mancati interventi dissuasivi dei responsabili del Club. 2. Avverso tale decisione del giudice sportivo la società Juventus proponeva, in data 21 aprile 2009, ricorso alla Corte di giustizia federale della FIGC. .Queste le censure dedotte: a) il giudice sportivo ha erroneamente irrogato la sanzione dello svolgimento della partita a porte chiuse prevista solo per il caso di recidiva, insussistente nella specie. La sanzione da infliggere alla società era, invece, semmai quella minore dell’ammenda; b) contro ogni evidenza il giudice sportivo ha erroneamente ritenuto insussistenti le esimenti ed attenuanti che pur si lasciavano ravvisare nei confronti della società ricorrente. 3. La Corte di giustizia federale, nella seduta del 28 aprile 2009, respingeva il reclamo pubblicando lo stesso giorno il dispositivo della decisione. 4. In data 29 aprile 2009 - disponendo del solo dispositivo di reiezione - la società Juventus proponeva ricorso innanzi a questa Alta Corte di Giustizia Sportiva (d’ora innanzi Alta Corte) chiedendo, nel contempo, l’immediata sospensione del provvedimento irrogatorio della sanzione. Venivano dedotte le seguenti le censure: a) Violazione del doppio grado di tutela, sancito dal protocollo 7° della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dall’art. 111 della Costituzione, risultando il processo federale, in virtù delle recenti modifiche apportate al CGS della FIGC, articolato su di un unico grado di giudizio (ricorso alla Corte di giustizia federale). 81 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... b) Violazione delle norme in materia di pubblicazione della sentenza, giacché il dispositivo della decisione è stato conosciuto dalle parti, tramite dispaccio ANSA, “più di un’ora prima” della comunicazione ufficiale della pronuncia. c) Violazione dell’art. 11, comma 3, del citato Codice della FIGC in relazione all’art. 18, comma 1, lett. d), del CGS per essere stata applicata una sanzione (la disputa di una gara a porte chiuse) in carenza di recidiva. d) Mancato riconoscimento delle esimenti ed attenuanti sebbene la loro sussistenza risultasse al di fuori di ogni dubbio. 5. In relazione alla richiesta di provvedimento cautelare questa Alta Corte - all’esito della camera di consiglio appositamente convocata – provvedeva, con ordinanza del 30 aprile 2009, ad accordare la sospensione dell’esecuzione della sanzione fino al 15 maggio 2009, in vista della necessità di acquisire la motivazione della decisione. 6. In data 8 maggio 2009 veniva pubblicata nei termini la pronuncia della Corte di giustizia federale della FIGC nel suo testo integrale, comprensivo della motivazione. Detta Corte evidenziava che, nella specie, doveva trovare autonoma applicazione quella parte dell’art. 13 del CGS che contempla come fattispecie a se stante - distinta dalla figura di base e da quella aggravata dalla recidiva – l’illecito sportivo concretantesi nella realizzazione di fatti della stessa natura della fattispecie di base ma di rilevante numero e gravità. Veniva, inoltre, rilevato – in relazione alle esimenti ed attenuanti invocate dalla società ricorrente – che non risultava in alcun modo dimostrata la presenza di fatti riconducibili al novero delle esimenti e delle attenuanti di cui all’art. 13 del citato Codice. La società Juventus - concludeva la decisione – meritava dunque la sanzione che le era stata inflitta (disputa di una partita a porte chiuse): si era, d’altra parte, in presenza dell’irrogazione di una sanzione particolarmente mite, a confronto dell’ampia gamma di sanzioni utilizzabili per reprimere l’illecito qui in esame. 7. In data 11 maggio 2009 la ricorrente ha depositato un ulteriore scritto difensivo nel quale oltre a ribadire quanto già in precedenza dedotto nel ricorso originario - sviluppa ulteriormente le proprie difese anche alla luce della motivazione della sentenza nel frattempo pubblicata. Sostiene la società Juventus - argomentando con riferimento a detta motivazione - che la configurazione come autonoma fattispecie dell’illecito ad essa addebitato (più violazioni della stessa natura di particolare gravità, poste in essere in un unico contesto) aveva finito per condurre, 82 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... in palese contrasto con ogni principio, all’assoggettamento della stessa Juventus ad una misura più grave di quella che sarebbe stata sopportata in caso di recidiva. 8. Con memoria dell’11 maggio 2009, corredata da documenti, la FIGC ha contestato la proponibilità in rito, sotto vari riflessi, del presente ricorso rivolto all’Alta Corte, deducendo nel merito l’infondatezza della impugnativa proposta: a) sotto il profilo dell’improponibilità del ricorso si rileva che, ai sensi del testuale tenore dell’art. 30, comma 3, dello Statuto FIGC, non sono consentite ulteriori impugnazioni avverso sanzioni che abbiano comportato, come nella specie, la disputa dell’incontro a porte chiuse. Deve perciò ritenersi interdetto il ricorso presentato a questa Alta Corte; b) rende improponibile il ricorso anche la circostanza che la normativa (art. 12 bis e 12 ter dello Statuto CONI) non consente all’Alta Corte di conoscere delle sanzioni patrimoniali fino a € 10.000 e delle sospensioni fino a 120 giorni continuativi. Ora – si afferma - anche la disputa di una partita a porte chiuse si lascia ricondurre (nel più è compreso il meno) tra le misure sanzionatorie “leggere” di cui la sospensione con durata fino a 120 giorni rappresenta il limite invalicabile; c) sotto un ulteriore profilo si fa rilevare che l’Alta Corte è tenuta a declinare la propria cognizione tutte le volte nelle quali la lite non rivesta particolare rilevanza sia in punto di fatto che di diritto (art. 12 ter Statuto CONI e art. 1 del Codice dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva). La presente controversia non mette capo, infatti, ad una misura sanzionatoria direttamente prevista tra le sanzioni sottratte alla cognizione di questa Alta Corte, ma è assimilabile, nei suoi contenuti, alle sanzioni tenui avverso le quali non è ammesso ricorso alla stessa Alta Corte; d) in relazione ad altro profilo si rappresenta che, ai sensi dell’art. 12 dello Statuto del CONI (norma ispirata all’obiettivo della salvaguardia delle autonomie federali), le nuove disposizioni che danno vita, nell’ordinamento sportivo, all’Alta Corte e ai Collegi arbitrali espressi dal Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport (d’ora innanzi Tribunale) possono operare, nei riguardi delle decisioni federali, solo in quanto le singole Federazioni, con proprie norme statutarie e regolamentari, abbiano ritenuto di recepirle e farle proprie; e) da un’ulteriore e diversa angolazione, si rappresenta che la lite - nel nostro caso solo sportiva (e, perciò, senza ricadute nell’ordinamento generale) - non potrebbe ritenersi relativa a diritti indisponibili e si sottrarrebbe, perciò, al sindacato dell’Alta Corte postulante, invece, la necessaria presenza di controversie relative a diritti indisponibili. 83 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... 9. Anche nel merito le censure della Juventus vengono contestate. Si rileva, anzitutto, quanto alla violazione del doppio grado, che detta regola vale nell’ordinamento penale o, a tutto concedere, nel contenzioso giurisdizionale. Nel nostro caso si è in presenza, invece, di misure di carattere disciplinare anche se irrogate con il rispetto di particolari guarentigie. In ogni caso è mancata l’impugnazione della citata norma del CGS della FIGC che contempla – secondo la prospettazione del ricorrente - l’espletamento della procedura in unico grado dinanzi alla sola Corte di giustizia federale. Va posto, inoltre, in rilievo che la sanzione irrogata, conseguente a comportamenti ripetuti e di particolare gravità, è stata correttamente sussunta sotto la previsione di un’ulteriore e più grave fattispecie la quale prevede, in relazione alla ipotesi or ora ricordata, una punizione più severa di quella contemplata nell’ipotesi di recidiva. Deve farsi, infatti, riferimento in questo caso non già alla recidiva prevista per l’illecito di base, ma alla norma generale sulla recidiva (art. 21 CGS) che prevede, appunto, un aggravamento delle pene quando qualunque fattispecie sia posta in essere in presenza di un fatto illecito della medesima natura. La società ricorrente ha presentato note di udienza. Entrambe le parti, all’udienza pubblica del 14 maggio, hanno oralmente sviluppato le loro difese. Considerato in diritto 1. Va per prima esaminata la eccezione (collocata come seconda nel quadro delle difese della FIGC) rivolta a sostenere che l’adita Alta Corte non avrebbe titolo a conoscere della presente controversia in considerazione dei caratteri della sanzione irrogata (chiusura al pubblico dello stadio durante lo svolgimento di una partita). Si sostiene che la detta sanzione, non implicante la radicale interdizione di attività sportiva, ma tesa a consentire lo svolgimento della competizione senza pubblico, rientrerebbe, anche per il limite della sua durata (una sola giornata), tra le sanzioni sottratte a questa Alta Corte (sanzioni di carattere pecuniario fino a € 10.000; sospensione dell’attività sportiva per un periodo non superiore a 120 giorni). L’eccezione deve essere disattesa. 84 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... Non è dubbio che i due nuovi organismi di giustizia sportiva, introdotti a livello esofederale dallo Statuto del CONI, modificato con delibera del Consiglio Nazionale del CONI n. 1369 del 26 febbraio 2008 ed approvato con D.M. 7 aprile 2008 (Alta Corte: art. 12 bis; Tribunale: art. 12 ter), sono chiamati a conoscere, nell’ulteriore grado al quale il CONI ha dato vita, delle sole controversie relative a sanzioni di significativa rilevanza. Non è agevole, però, per l’interprete, identificare la precisa linea di confine che divide le controversie in tema di sanzioni di minore rilievo (sottratte al nuovo contenzioso) e quelle, invece, di spettanza dei nuovi organi di giustizia sportiva (al di fuori, naturalmente, delle figure sanzionatorie - pecuniarie e interdittive - espressamente sottratte dalla norma statutaria CONI alla cognizione dei due nuovi organi di giustizia sportiva). Sembra assolutamente inaccettabile, anche per la sua palese disarmonia con il sistema, una interpretazione che riservi ai due nuovi organi di giustizia sportiva la possibilità di conoscere di ogni controversia relativa a sanzioni sportive, diverse da quelle espressamente menzionate nella norma statutaria (sanzioni di carattere pecuniario fino a 10.000 euro; sospensione dell’attività sportiva fino a 120 giorni). E’ da ammettere, all’opposto, che sanzioni anche diverse da quelle di carattere pecuniario e interdittivo espressamente sottratte al nuovo contenzioso debbano ottenere definizione in ambito solo federale, senza pervenire all’Alta Corte (o al Tribunale), se la lite si manifesti sprovvista di quella rilevanza che ha ottenuto esplicita enunciazione solo con riferimento alle sanzioni pecuniarie e interdittive. E’ proprio con riferimento ad un riparto di confine, che trae le sue radici dalla norma espressamente formulata a proposito delle controversie pecuniarie e interdittive, che deve rintracciarsi il discrimine tra le sanzioni sottoposte al contenzioso dell’Alta Corte (e del Tribunale) e quelle di minore rilievo assoggettate ad un contenzioso che non può superare i limiti della sede federale. E’ evidente, anzitutto, la collocazione al di sotto della linea che consente l’accesso ai nuovi organi di giustizia espressi dal CONI di sanzioni di carattere non pecuniario né interdittivo di modesto effetto afflittivo come, ad esempio, le diffide, le ammonizioni e misure similari. Più difficile prendere posizione, invece, per quanto concerne la misura che è stata irrogata nella specie (la sola sulla quale si concentrerà l’attenzione in questa sede). Ritiene il Collegio che la sanzione ora ricordata (svolgimento della partita a porte chiuse) vada senz’altro ricondotta tra quelle che, in via di principio, consentono l’accesso all’ Alta Corte (o al Tribunale). 85 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... Le pesanti incidenze economiche (pur se riflesse) che si riconnettono allo svolgimento di una competizione senza presenza di pubblico (e vendita dei biglietti); la particolare ostensibilità della sanzione per le modalità della sua esecuzione (con conseguente caduta d’immagine della società, della squadra e della sua tifoseria); ancora, l’effetto incisivamente afflittivo dello svolgimento della partita nel silenzio degli spalti, privando così la squadra dei suoi tifosi e questi ultimi della possibilità di sostenere la squadra, sono dati che, tutti insieme, concorrono a far ritenere che la sanzione oggetto della presente controversia non sia, in via di principio, sottratta alla cognizione dei due nuovi organi di giustizia sportiva. Alla luce di tali considerazioni (e fermo quanto più oltre si osserverà in ordine agli ulteriori profili rilevanti della problematica) non sembrano sussistere ostacoli, sotto questo aspetto, in ordine alla cognizione di questa Alta Corte. 2. Con una ulteriore eccezione - in qualche misura collegata a quella or ora definita – si fa rilevare che la riconduzione della sanzione irrogata (disputa di una partita a porte chiuse) tra quelle sulle quali hanno titolo per pronunciare l’Alta Corte ed il Tribunale, non rende immancabile l’esercizio della potestas decidendi di questa Alta Corte, adita con il presente ricorso. Ed invero l’art. 12 bis dello Statuto del CONI e le norme del Codice dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva, con le quali si è data attuazione alla detta disciplina, consentono al nuovo organo di negare la propria cognizione quando la concreta vicenda sottoposta al suo esame non rivesta, in fatto o diritto, interesse ai fini della esplicazione delle sue funzioni. Anche tale eccezione va disattesa. Effettivamente la normativa in precedenza ricordata consente a questa Alta Corte di declinare l’esercizio delle proprie attribuzioni quando la fattispecie – in punto di fatto e di diritto – risulti non meritevole di conseguire una sua decisione. Si ritiene, però, che, nella specie, non sussistano le condizioni che consentono alla Corte di disporre del diniego di ogni pronuncia. Le questioni dedotte – anche perché la presente controversia è la prima portata all’Alta Corte – rivestono grande rilievo sia a livello sostanziale che processuale per l’ordinamento nazionale sportivo. Per quel che attiene ai profili sostantivi, va rilevato che si discute, in questa sede, di cori discriminatori sul piano razziale (una problematica particolarmente avvertita in questi ultimi tempi). Per quel che attiene agli aspetti processuali, basti solo rilevare le complesse problematiche – sollevate proprio dall’impegnata difesa della FIGC – che vengono prospettate in questa sede. 86 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... Va, perciò, definita negativamente la istanza con cui si chiede all’Alta Corte di rifiutare qualunque pronuncia nella presente controversia. 3. Con una ulteriore eccezione (invero di non solare chiarezza) sembra sostenersi dalla FIGC che il nuovo sistema contenzioso, fondato sugli ulteriori gravami proponibili all’Alta Corte e al Tribunale, non è, allo stato, in condizione di operare almeno nei confronti della FIGC. Le norme statutarie del CONI, istitutive dei nuovi organi (in particolare l’art. 12 dello Statuto), - si afferma - nella consapevolezza di intervenire in aree, come quelle della giustizia sportiva, estranee alla competenza normativa del CONI, avrebbero dovuto essere recepite negli ordinamenti federali dagli statuti e dai regolamenti delle singole Federazioni sportive nazionali. L’eccezione – frutto di un fraintendimento del sistema – deve essere disattesa. Non è dubbio che il CONI – istituzione inserita, ad un tempo, (come ente pubblico) nell’ordinamento della Repubblica Italiana e nell’ordinamento sportivo internazionale avente il suo vertice nel CIO – ha titolo, al pari delle Federazioni, a dar vita, avvalendosi dell’autonomia al CONI espressamente riconosciuta anche dalla legislazione statale, ad organismi di giustizia sportiva chiamati ad esercitare la propria iurisdictio a sviluppo e completamento della precedente fase di giustizia federale, in quelle ipotesi nelle quali il CONI ritenga di introdurre un’ulteriore fase di contenzioso esofederale. Confermano la spettanza al CONI degli anzidetti poteri regolatori univoci sintomi desunti dalla normativa vigente. L’art. 1 del D.L. n. 220/03 (convertito nella L. 280/03), dopo aver conclamato che “la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale…”, stabilisce, all’art. 2 lett. a (con evidente riferimento a competenze anche contenziose distribuite a più livelli dell’ordinamento sportivo: CONI, Federazioni), che l’ordinamento sportivo nazionale si scompone, a sua volta, in “interne articolazioni” (l’ordinamento facente capo al CONI e gli ordinamenti che hanno come loro punto di riferimento le Federazioni sportive nazionali). Un testuale riconoscimento del potere normativo del CONI in tema di organizzazione e funzionamento della giustizia sportiva si ricava, infine, dalla disposizione che accorda l’accesso alla giurisdizione statale, per controversie sportive rilevanti anche in quest’ultimo ordinamento, previo esperimento del contenzioso sportivo interno “secondo le previsioni degli statuti” del CONI e delle Federazioni sportive: una formula che si risolve nell’esplicito riconoscimento sia della giustizia sportiva in sede CONI che di quella di rango federale. 87 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... Non contrasta con tali conclusioni l’art. 12 (nuova versione) dello Statuto del CONI (la norma sulla quale la FIGC costruisce il suo assunto in ordine alla carenza in capo al CONI di poteri normativi in tema di giustizia sportiva). A parte quanto or ora si è detto in ordine alla disciplina primaria statale, va qui ricordato che al citato art. 12 (da leggere in connessione con i successivi articoli 12 ter e 22) va conferito un significato del tutto diverso da quello postulato dalla FIGC. La norma in questione, infatti, mira solo a disporre che gli statuti e i regolamenti federali possano inserire, nella loro trama, clausole compromissorie attributive di poteri cognitori alla giustizia arbitrale gestita dal Tribunale, curando di acquisire, da parte dei propri affiliati, iscritti, ecc. (i soggetti con i quali potranno insorgere le future controversie), l’esplicita adesione alla clausola stessa. E’ fuori discussione, in un quadro siffatto, la piena riconducibilità alla normativa di paternità del CONI dei nuovi organi di giustizia e delle norme concernenti competenze e procedure contenziose destinate ad ottenere svolgimento dinanzi ai predetti organismi. 4. Nel presupposto che le singole Federazioni abbiano titolo a decidere del regime da attribuire alle pronunce adottate in sede contenziosa, si ricorda che - ai sensi dell’art. 30 dello statuto federale, adottato dall’Assemblea Straordinaria il 22 gennaio 2007 e successivamente emendato con deliberazione del Commissario straordinario n. 80/CS del 6 marzo 2007 - restano sottratte al contenzioso della Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport le pronunce contenziose federali della FIGC aventi ad oggetto sanzioni pecuniarie di importo inferiore a 50.000 euro, perdita a tavolino della gara, sottrazione di punteggi, squalifiche di campo e disputa della partita a porte chiuse. Ora – afferma la resistente FIGC – la presente controversia (rivolta contro una sanzione che impone lo svolgimento a porte chiuse di una gara) non può ottenere definizione in questa sede trattandosi di misura sanzionatoria sottratta al sindacato di questa Alta Corte. Anche tale eccezione non può essere condivisa. E’, in primo luogo, tutta da dimostrare la perdurante operatività del citato art. 30 dello Statuto federale, incidente in campo di azione riservato ai poteri regolatori del CONI che ha provveduto ad esercitare le sue competenze disponendo, con gli artt. 12, 12 bis e 12 ter del suo Statuto, che le sole decisioni federali relative a sanzioni sportive non suscettibili di reclamo innanzi ai nuovi organi di giustizia sportiva (Alta Corte e Tribunale) sono - come avanti si è ricordato – le sanzioni pecuniarie inferiori a € 10.000; le sanzioni interdittive di durata minore di 120 giorni e, secondo la linea interpretativa alla quale si è ritenuto di prestare adesione (vedi par. 1 della presente motivazione in 88 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... diritto), le altre sanzioni non patrimoniali né interdittive irrogate per violazioni di modesta rilevanza. Ma, a parte questi rilievi – che pur sono decisivi ed assorbenti – resta l’osservazione che il citato art. 30 dello Statuto FIGC assume, a proprio obiettivo, quello di sottrarre ad ogni impugnazione le decisioni federali (facenti capo alla FIGC) per le quali risultava previsto il ricorso innanzi alla Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport. L’espresso riferimento della norma a tale organo (non più in vita), diversamente composto e con attribuzioni ben differenti da quelle dei nuovi organi di giustizia sportiva, rendono infondato l’assunto, propugnato in questa sede, secondo cui la norma sarebbe rivolta ad impedire, “al buio”, non soltanto alla soppressa Camera, ma anche a qualunque altro organismo futuro di conoscere delle decisioni un tempo sottratte al sindacato della Camera di conciliazione ed arbitrato per lo sport. 5. Con un’ultima eccezione la FIGC - nel presupposto che questa Alta Corte possa solo conoscere di controversie relative ai diritti indisponibili e interessi legittimi – afferma che le sanzioni sportive (compresa la sanzione che contempla la disputa della partita a porte chiuse) si inscrivono – come risulta anche dalla attitudine delle stesse a formare oggetto di transazione in sede conciliativa – tra le controversie relative a diritti disponibili, non conoscibili da questa Alta Corte. Anche tale eccezione va disattesa. Va, infatti, chiarito che la cognizione delle liti in tema di sanzioni sportive da parte di questa Alta Corte risulta testualmente riconosciuta dalle norme che definiscono le attribuzioni di detta istituzione: l’articolo 1, comma 4, del Codice dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva – proprio nel presupposto di una competenza in area sanzionatoria dell’Alta Corte anche in materia di sanzioni sportive – sottrae a quest’ultima solo le sanzioni sportive minori di cui in precedenza si è detto (sanzioni inferiori a 10.000 euro; sospensione di attività per non più di 120 giorni; ulteriori liti di modesto rilievo, liti che la stessa Alta Corte decide di non definire). A parte ciò va osservato – facendo perno sul chiaro tenore degli articoli 12 ter e 22 dello Statuto del CONI e sulle norme codicistiche di attuazione, dettate sia per l’Alta Corte che per il Tribunale – che il riferimento alla cognizione da parte dell’Alta Corte delle liti relative a diritti indisponibili (e interessi legittimi), in contrapposizione alle controversie concernenti diritti disponibili o solo rilevanti per l’ordinamento sportivo, non introduce in alcun modo limiti all’intervento dell’Alta Corte – come vorrebbe la FIGC – ma si propone solo di circoscrivere l’intervento di quest’ultima al solo campo delle liti relative a diritti indisponibili (ed interessi legittimi). 89 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... La distinzione tra le due categorie di controversie (di cui pure è traccia nella normativa) serve solo ad identificare, nell’amplissimo campo delle liti di spettanza dell’Alta Corte, quelle che – su accordo delle parti (clausola compromissoria inserita nei regolamenti e condivisa dagli affiliati; compromesso, altri accordi di analogo tenore) - sono suscettibili di venire devoluti alla competenza arbitrale. Solo, infatti, liti relative a diritti disponibili o destinate ad esaurire i propri effetti nell’ordinamento sportivo, possono venire sottratte all’Alta Corte per essere trasferite alla cognizione alternativa del contenzioso arbitrale, innanzi al Tribunale. 6. Può passarsi, ora, all’esame del merito. Per quanto attiene al primo motivo va rilevato che è inutile stabilire in questa sede se anche nell’ordinamento della giustizia sportiva trovino applicazione i principi del doppio grado di giurisdizione garantito dal 7° protocollo aggiuntivo alla Convenzione dei Diritti dell’Uomo. Va osservato, a questo riguardo, in primo luogo, che, nella specie, è operante un contenzioso nel quale è garantito il doppio grado di giustizia sportiva (anzi, forse una tutela che si spinge fino a tre successivi livelli). Non soltanto ha titolo ad interloquire la Corte di giustizia federale e, in ulteriore grado, l’Alta Corte (e il Tribunale), ma lo stesso provvedimento irrogatorio della sanzione – come avveniva un tempo nel nostro ordinamento per le sanzioni disciplinari prima dell’avvento della disposizione VI^ transitoria della Costituzione risulta adottato da un’autorità indipendente a conclusione di una procedura aperta al contraddittorio. 7. Per quel che riguarda la seconda censura va rilevato che non sono stati acquisiti elementi che consentano di affermare – come sostiene la società Juventus – che l’esito della lite innanzi alla Corte di giustizia federale è stato reso noto prima della pubblicazione, nelle forme di rito, del dispositivo. In ogni caso, quando pure questa (non commendevole) “fuga” di notizia fosse avvenuta, risulterebbe del tutto inidonea ad operare con effetti invalidanti sulla rituale pubblicazione del dispositivo e, successivamente, dell’integrale testo della sentenza. 8. Per quanto attiene alla terza e quarta censura (rivolte entrambe a contestare la sanzione irrogata alla società Juventus) deve darsi atto, anzitutto, che l’acquisizione della motivazione della decisione della Corte di giustizia federale è valsa a dimostrare la non aderenza ai contenuti del provvedimento sanzionatorio e della decisione della Corte di giustizia federale delle doglianze che erano state mosse contro il dispositivo (la sola parte della sentenza cognita nel momento dell’impugnativa). E’ rimasto così smentito, anzitutto, l’assunto secondo cui si sarebbe proceduto nella specie ad irrogare una sanzione non prevista. 90 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... Ed invero si ricava chiaramente dalla decisione impugnata che i fatti per i quali si è applicata alla società Juventus la sanzione della disputa della partita a porte chiuse non sono costituiti dalla recidiva, ma da circostanze che valgono a integrare la più grave e autonoma fattispecie di cui al terzo comma dell’art. 11 del CGS. La norma ora ricordata – dopo aver affermato la responsabilità anche delle società sportive per cori, grida e ogni altra manifestazione espressiva di discriminazioni – prevede, infatti, una figura base di illecito per la quale è consentita l’irrogazione di una sanzione solo pecuniaria. Nel caso di recidiva – con riguardo sempre a figure riconducibili all’illecito della figura base – le sanzioni vengono elevate ad un maggior livello, contemplandosi, oltre alla sanzione patrimoniale, l’adozione “congiuntamente o disgiuntamente” della disputa di una o più partite a porte chiuse o con limitata presenza di spettatori (chiusura di taluni settori dello stadio). Nello stesso articolo si prevede, inoltre, anche una ulteriore fattispecie concernente comportamenti – specie se realizzati con una pluralità di condotte - di “particolare gravità” implicanti la comminatoria della sanzione relativa all’ipotesi di recidiva, di cui si è detto, nonché altre sanzioni fortemente afflittive come la retrocessione, la sottrazione di punteggio, il passaggio alla categoria inferiore ecc. Ed è evidente che tra le violazioni di questa particolare gravità vanno collocati i cori di discriminazione razziale che a più riprese sono stati espressi nello stadio torinese (arg. ex art. 3, comma 1, Cost.; d.l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, in l. 25 giugno 1993, n. 205; art. 8 l. 22 aprile 2005, n. 69; art. 14 Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, fatta a Roma il 4 novembre 1950; Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, New York 7 marzo 1966, ratificata con l. 13 ottobre 1975, n. 654; Patto internazionale relativo ai diritti economici sociali e culturali, New York 16 – 19 dicembre 1966, ratificato con l. 25 ottobre 1977, n. 881; Convenzione Generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro, 6 – 22 giugno 1962, ratificata con l. 13 luglio 1966, n. 657; artt. 2, comma 1, quarto periodo, e 29 del Trattato di Maastricht, istitutivo dell’Unione Europea, ratificato con l. 3 novembre 2002, n. 454; direttiva 2000/43/CE, relativa alla parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica; art. 2, comma 4, dello Statuto del CONI; art. 2, comma 5, dello Statuto della F.I.G.C.). La decisione impugnata, attribuendo - al pari del provvedimento irrogatorio della sanzione adottato dal giudice sportivo – giusto risalto al carattere discriminatorio dei cori intonati ripetutamente dalla tifoseria juventina (dieci volte nei due tempi della partita), ha inflitto la sanzione 91 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... della disputa di una partita a porte chiuse, sanzione quest’ultima che, per effetto del richiamo delle sanzioni previste per le precedenti fattispecie, compresa la recidiva, risultava pienamente suscettibile di venire adottata come sanzione del comportamento tenuto dai sostenitori della Juventus nel caso in esame. 9. Non può condividersi, nemmeno, la censura (avanzata dopo la conoscenza della motivazione) con la quale si sostiene che, in contrasto con i generali principi, la disciplina di cui si è fatta applicazione condurrebbe all’illegittimo risultato di reprimere, in maniera meno severa, l’ipotesi di recidiva rispetto ad un illecito che – pur se grave e caratterizzato da più violazioni – risulta posto in essere in un unitario contesto di tempo e di azione. Anche tale doglianza va disattesa. La lata previsione normativa (non censurata – si noti – sotto questo riguardo dalla società ricorrente) pone a disposizione, ai fini dell’esercizio dello ius puniendi, un’ampia gamma di misure sanzionatorie da infliggere, naturalmente in ordine gradato, a seconda della gravità della fattispecie accertata. Né è esatto che le sanzioni concernenti la recidiva (richiamate al solo fine di individuare altre sanzioni suscettibili di utilizzazione nel caso di manifestazioni discriminatorie a contenuto razzista di particolare gravità poste in essere con più comportamenti) conducano all’applicazione di sanzioni meno severe nel caso di recidiva (ad esempio lo svolgimento della partita a porte chiuse). La fattispecie concernente gravi violazioni più volte ripetute, che integri l’ipotesi di recidiva, non ricade, infatti, sotto la recidiva prevista per la figura dell’illecito - base, ma sotto il trattamento della recidiva regolata dall’articolo 21 CGS che contempla per tale ipotesi un aggravamento delle sanzioni. Il ricorso va, pertanto respinto e tenuta ferma la sanzione irrogata. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio. P.Q.M. L’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA SPORTIVA RIGETTA il ricorso SPESE interamente compensate DISPONE la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica. Così deciso in Roma, nella sede del Coni, il 14 maggio 2009 92 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... LA GIURISDIZIONE DELL’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA SPORTIVA DEL CONI QUALE ULTIMO GRADO DI GIUSTIZIA. PRESUPPOSTI E LIMITI DEL CONTENZIOSO ESOFEDERALE. COSÌ È (SE VI PARE). di Federica Tosel (*) SOMMARIO 1.Premessa: l’ambito di analisi ed il quadro normativo di riferimento 2.La controversia devoluta all’Alta Corte di Giustizia Sportiva, secondo le prospettazioni difensive in punto di ammissibilità della Juventus FC e della FIGC. 3.La ritenuta competenza funzionale dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva: un’occasione perduta. 1. Premessa: l’ambito di analisi ed il quadro normativo di riferimento Desta La decisione che si annota costituisce la prima pronuncia della “neo-nata” Alta Corte di Giustizia del C.O.N.I. ed offre lo spunto per tentare di enucleare, senza pretesa alcuna di esaustività e con l’ovvia riserva di ogni miglior approfondimento allorché si avranno ulteriori decisioni sul tema, quali siano i presupposti ed i limiti del nuovo contenzioso esofederale. Chiarendo. Con l’approvazione da parte del Ministero per le politiche giovanili e le Attività Sportive (DM 7 aprile 2007) della riforma dello Statuto del C.O.N.I. (di cui alla deliberazione del Consiglio Nazionale del Coni n. 1369 del 26 febbraio 2008 assunta ai sensi del D. Lgs. 8 gennaio 2004, n. 151), si è approntato un nuovo distema di giustizia e di arbitrato per lo sport (cfr. nuovo art. 12 Statuto CONI), finalizzato ad accentuare le caratteristiche di autonomia, terzietà ed indipendenza degli organi di giustizia del CONI, poiché messe in seria discussione dal noto caso Lorbek. 1 "Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, recante "Riordino del Comitato olimpico nazionale italiano - CONI", ai sensi dell'articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137" pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 21 del 27 gennaio 2004. 93 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... In particolare, con la modifica dell’art. 12 e con l’introduzione dei artt. 12 bis e 12 ter dello Statuto del CONI, “le funzioni, la denominazione e la composizione della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport sono state modificate in armonia con quanto stabilito dall’ordinamento sportivo internazionale, dagli orientamenti espressi in proposito dalla giurisprudenza amministrativa”2. Più specificamente, il nuovo statuto del CONI 3 prevede un “sistema di giustizia e di arbitrato per lo sport strutturato in analogia a quanto previsto dal Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna ed è composto dall’Alta Corte di Giustizia Sportiva e dal Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, operanti presso il CONI in piena autonomia ed indipendenza”2 . Infatti, il nuovo sistema della giustizia sportiva, centralizzato ed “atto a dirimere tutte le questioni inerenti i conflitti tra i pariordinati nello sport” 4, previsto e disciplinato in riferimento alle Federazioni sportive nazionali, ma integralmente applicabile, ai sensi del secondo comma del nuovo art. 12 Statuto Coni, “anche alle Discipline sportive associate e agli Enti di promozione sportiva ove previsto dai rispettivi Statuti” a decorrere dal 22 gennaio 20085 ha ripartito tra l’Alta Corte di Giustizia Sportiva (da ora in poi, anche più semplicemente, “Alta Corte”) ed il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport quelle che erano le funzioni della (ormai soppressa) Camera di Conciliazione ed Arbitrato del Coni. Per quel che concerne la competenza funzionale dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva (id est: per ciò che concerne l’ambito precipuo della presente analisi) va ulteriormente premesso il quadro normativo di riferimento. A mente dell’art. 12 bis commi 1 et 2 dello Statuto del CONI: “1. L’Alta Corte di giustizia sportiva costituisce l'ultimo grado della giustizia sportiva per le controversie sportive di cui al presente articolo, aventi ad oggetto diritti indisponibili o per le quali le parti non abbiano pattuito la competenza arbitrale. 2 Così comunicato di Prot. n. 0000127/08 dd. 21 maggio 2008 a firma del Segretario del Coordinamento Attività Politiche e Istituzionali del CONI. 3 Per il testo integrale si rimanda a: http://www.coni.it/fileadmin/_temp_/coni/pdf/Statut2008.pdf 4 Così Valentina D’Antonio “Il C.O.N.I. codifica la riforma della Giustizia Sportiva, in Sportlex news, Gennaio 2009 5 Termine, poi, di fatto prorogato di un anno, ovvero, come si vedrà, fino all’entrata in vigore dei rispettivi Codici di funzionamento. 94 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... 2. Sono ammesse a giudizio soltanto le controversie valutate dall’Alta Corte di notevole rilevanza per l'ordinamento sportivo nazionale, in ragione delle questioni di fatto e diritto coinvolte. Il principio di diritto posto a base della decisione dell’Alta Corte che definisce la controversia deve essere tenuto in massimo conto da tutti gli organi di giustizia sportiva….”6. Più specifico, per quel che qui interessa, appare l’art. 1 (nei suoi commi 2, 3 et 4) del Codice dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva, approvato dalla stessa Alta Corte in ossequio al comma 4 dell’art. 12 bis cit.7 in data 15 dicembre 2008 e successivamente integrato il 23 marzo 2009 8 in forza del quale: “2. L’Alta Corte costituisce l’ultimo grado della giustizia sportiva per le controversie in materia di sport, aventi a oggetto diritti indisponibili o per le quali non sia prevista la competenza del Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport (d’ora innanzi Tribunale), salve le esclusioni di cui al seguente comma 4. 3. Condizioni di ammissibilità del giudizio avanti all’Alta Corte sono la notevole rilevanza della controversia per l’ordinamento sportivo nazionale, valutata dall’Alta Corte in ragione delle questioni di fatto e di diritto in esame, e l’avvenuto esperimento dei rimedi o ricorsi previsti dalla giustizia sportiva federale. 4. Sono escluse dalla competenza dell’Alta Corte le controversie concernenti le sanzioni pecuniarie e sospensioni di minore entità di cui all’articolo 3, comma 1, Codice dei giudizi innanzi al Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport e disciplina degli arbitri (d’ora innanzi Codice TNAS), quelle in materia di doping, nonché quelle aventi a oggetto una pronuncia della Giunta nazionale del CONI, emessa su parere dell’Alta Corte ai sensi dell’articolo 7, comma 5, lett. n) dello Statuto del CONI, su ricorsi relativi a revoca o diniego di affiliazione di società sportive.” Nello specifico, sono escluse dalla competenza dell’Alta Corte, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 comma 4 proprio Codice e 3 comma 1 Codice TNAS 9 “…le controversie… 6 Il terzo comma del medesimo art. 12 bis, poi, prevede quale ulteriore competenza dell’Alta Corte, l’emissione di pareri non vincolanti su richiesta presentata dal Coni o da una Federazione sportiva, tramite il Coni. 7 In forza del quale “Al fine di salvaguardare l'indipendenza e l'autonomia del Tribunale di cui all'art. 12 ter e dei diritti delle parti, l’Alta Corte emana il Codice per la risoluzione delle controversie sportive e adotta il Regolamento disciplinare degli arbitri.”. 8 Sottoposto a presa d’atto da parte della Giunta Nazionale del CONI il 18 dicembre 2008, emanato e pubblicato il 7 gennaio 2009, in vigore dal 22 gennaio 2009. Per la consultazione integrale del CODICE DELL’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA SPORTIVA si rimanda a http://www.coni.it/fileadmin/arbitrato/ALTA_CORTE__2_Regolamento_sn.pdf 95 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... concernenti sanzioni pecuniarie di importo inferiore a diecimila euro o sospensioni di durata inferiore a centoventi giorni continuativi.” Conseguentemente e per sintesi, può affermarsi che, terminati i gradi di giustizia endofederali 10 (id est nel caso in esame, per la FIGC, concernendo il procedimento una sanzione comminata dal Giudice Sportivo Nazionale presso la LNP ai sensi dell’art. 29 Codice di Giustizia Sportiva, successivamente al ricorso avanti alla Corte di Giustizia Federale), le parti interessate possono adire l’Alta Corte di Giustizia Sportiva del CONI, in veste di Giudice esofederale di ultimo grado, solo con riferimento a controversie così qualificabili: di notevole rilevanza per l’ordinamento sportivo nazionale, escluse comunque quelle concernenti sanzioni pecuniarie di importo inferiore a diecimila euro o sospensioni di durata inferiore a centoventi giorni continuativi, concernenti, in ogni caso, diritti indisponibili ovvero disponibili per i quali non sia stata pattuita la competenza arbitrale. 2. La controversia devoluta all’Alta Corte di Giustizia Sportiva, secondo le prospettazioni difensive in punto di ammissibilità della Juventus FC e della FIGC. La “controversia” che ha portato alla decisione che qui si annota aveva ad oggetto la sanzione della disputa di una partita a porte chiuse (ex art. 11, n. 3 e 18, n. 1 lett. d) CGS) comminata dal Giudice Sportivo alla società Juventus FC, nella sua veste di società ospitante la gara disputatasi contro la società Internazionale il 18 aprile 2009, per alcuni cori provenienti da Procura Federale, costituenti espressione di discriminazione razziale nei confronti di un giocatore avversario. Come già detto, essa verrà in questa sede esaminata esclusivamente nell’ottica della sua “conoscibilità” da parte dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva, secondo i parametri legali supra chiariti e fondanti la competenza del nuovo organo di giustizia. Vistasi rigettare il ricorso da parte della Corte di Giustizia Federale, nella sua più autorevole composizione 11, negli stringenti termini impostile dall’ordinamento, la Juventus FC avanzava il primo ricorso all’Alta Corte di Giustizia assumendo, preliminarmente, ai fini della relativa ammissibilità dell’impugnazione stessa, che nel caso di specie non si rientrasse nel caso delle 9 Per la consultazione integrale del CODICE DEI GIUDIZI INNANZI AL TRIBUNALE NAZIONALE DI ARBITRATO PER LO SPORT E DISCIPLINA DEGLI ARBITRI, dall’Alta Corte di giustizia sportiva il 15 dicembre 2008, integrato il 23 marzo come sottoposto a presa d’atto da parte della Giunta Nazionale del CONI il 18 dicembre 2008, emanato e pubblicato il 7 gennaio 2009 ed in vigore dal 22 gennaio 2009 si rimanda a: http://www.coni.it/fileadmin/arbitrato/TNAS__2_Regolamento_sn.pdf Approvato 10 Ferme restando le esclusioni per materia di cui all’art. 4 Cod. Alta Corte cit. 11 Cfr. Corte di Giustizia Federale - Sezioni Unite - CU n. 175/CGF 96 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... infrazioni minori, le quali nell’ambito della giurisdizione sportiva sono circoscritte alle sanzioni pecuniarie12. Invero, la “vecchia signora”, per il tramite dei suoi difensori, evidenziava che proprio dalla decisione della Corte di Giustizia Federale di rimessione alle Sezione Unite, emergeva l’indiscutibile evenienza che nel caso di specie trattavasi di una questione di diritto implicante la discussione sulla gravità della sanzione. La società ricorrente, infatti, evidenziava come fosse indiscutibile che la presenza o meno del pubblico, in ambito agonistico e soprattutto a fine campionato, incidesse nel complesso della stessa prestazione agonistica della squadra. A ragionare diversamente, sottolineava la Juventus FC, in una situazione oggettivamente grave e rilevante per le ragioni già sintetizzate, bisognerebbe ammettere che l’ordinamento sportivo vigente (che, dall’entrata in vigore del nuovo CGS – luglio 2007 – non prevede più la possibilità di impugnare la decisione del GS, all’evidenza presa in assenza di contradditorio, prima avanti alla Commissione Disciplinare e poi, se del caso, avanti alla, ora soppressa, Commissione d’Appello Federale) veicoli una grave violazione del diritto al doppio grado di giurisdizione riconosciuto dall’art. 2 comma 1 del protocollo addizionale n. VII alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La FIGC, al contrario, eccepiva pregiudizialmente il difetto di cognizione dell’Alta Corte assumendo la non compromettibilità in arbitrato della controversia de qua. La difesa della Federazione, in particolare, sottolineava con articolata argomentazione, che a prescindere dalla natura della potestas iudicandi dell’Alta Corte 13 , il dettato dell’art. 30 terzo comma ultimo inciso lett. c) dello Statuto FIGC (valido e vincolante per i soggetti dell’ordinamento sportivo calcistico ed impermeabile alla riforma dello Statuto CONI) non consente l’arbitrabilità, tra le tante, delle “controversie decise in via definitiva dagli Organi della giustizia sportiva federale relative ad omologazioni di risultati sportivi o che abbiano dato luogo a sanzioni soltanto pecuniarie di importo inferiore a 50.000 Euro, ovvero a sanzioni comportanti: a) la squalifica o inibizione di tesserati, anche se in aggiunta a sanzioni pecuniarie, inferiore a 20 giornate di gara o 120 giorni; b) la perdita della gara; c) l’obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse; d) la squalifica del campo”. 12 Si ringrazia l’Avv. Luigi Chiappero per aver messo a disposizione di chi scrive il ricorso e la memoria depositati nell’interesse della Juventus FC nel procedimento de quo. 13 Ovvero “tanto nel caso in cui si ritenga che, operando come “organo di ultimo grado della Giustizia sportiva”, esso sia attributario di un potere decisorio che dà luogo ad una pronunzia destinata a definire l’assetto dei rapporti controversi attraverso l’emanazione di un provvedimento amministrativo di carattere giustiziale; quanto nel caso in cui si ritenga, invece, che codesta Corte sia un organo arbitrale (nell’accezione tecnica del termine), investito di una funzione decisoria fondata su di un’investitura di matrice negoziale derivante dalla convergente volontà delle parti.” 97 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... Puntualizza, invero, la FIGC che già la (ora soppressa) Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport del CONI (le cui funzioni, come più volte si è detto, sono state ripartite ex artt. 12, 12 bis e 12 ter del nuovo Statuto Coni tra l’Alta Corte di Giustizia per lo Sport ed il Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport), si era espressa in tal senso nel lodo pronunciato in data 12 ottobre 2008 nel procedimento di Arbitrato promosso dalla S.S. Calcio Napoli SPA contro la stessa Federazione in ordine ad una controversia del tutto analoga 14. Evidenziava, infatti, la FIGC l’impermeabilità delle proprie norme statutarie alle modifiche attuate a livello esofederale dal CONI (ente dotato di semplici poteri di vigilanza e di controllo delle singole Federazioni e non certo di quello autoritativo di intervento diretto nella produzione normativa delle stesse), anche se inconciliabili ed incompatibili con il nuovo sistema di giustizia sportiva ivi predisposto. La FIGC sottolineava, poi, in via subordinata sul punto come, in ogni caso, nella fattispecie in esame non si potesse parlare di “diritti indisponibili” e difettasse l’ulteriore requisito della “notevole rilevanza” della questione per l’ordinamento nazionale, requisito legittimante, come già visto, il ricorso all’Alta Corte. Quanto all’asserita incompatibilità del sistema con il diritto al doppio grado di giurisdizione riconosciuto dall’art. 2 comma 1 del protocollo addizionale n. VII alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la FIGC rimarcava che esso è proprio del solo processo penale ed invocabile solo allorquando l’organo Giudicante è investito di una funzione giurisdizionale. 3. La ritenuta competenza funzionale dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva: un’occasione perduta. Rigettando le supra sintetizzate eccezioni pregiudiziali e preliminari della FIGC, come ognuno potrà apprezzare dalla lettura della decisione n. 1/2009 dell’Alta Corte, detto Organo di Giustizia si è dichiarato competente a conoscere la controversia sottopostagli dalla Juventus FC. Tuttavia, le argomentazioni esplicitate dall’Alta Corte a sostegno della propria competenza, a modesto avviso di chi scrive, non consentono all’interprete di avere chiarezza sull’effettiva e concreta portata della riforma della giustizia sportiva meglio enucleata sub § 1. 14 Eccezion fatta perché, in quella sede, si affrontava, altresì, la questione della applicabilità dell’art. 30 terzo comma, ultimo inciso lett. c) Statuto FIGC alla sanzione dell’obbligo di disputare alcune partite NON a porte chiuse, ma con alcuni settori inibiti al pubblico. Per la consultazione integrale di detto Lodo, avente ad oggetto la sanzione comminata, con CU 54/2008 dal GS presso la LNP alla società partenopea dell’obbligo di disputare fino al 31 ottobre tutte le gare con i settori denominati “CURVA A” e “CURVA B” inibiti agli spettatori, si rimanda a http://coni.it/fileadmin/arbitrato/275_A_2.pdf. In tale sede, invero, si affrontava principalmente, veniva affrontata la questione interpretativa dell’art. 30 98 NOTE A SENTENZA La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI... Invero, stante il disposto di cui all’art. 12 bis comma 2 dello Statuto del CONI, in forza del quale “Il principio di diritto posto a base della decisione dell’Alta Corte che definisce la controversia deve essere tenuto in massimo conto da tutti gli organi di giustizia sportiva”, può oggi affermarsi soltanto che: Detto organo di giustizia, in via di principio, si riterrà competente a conoscere, quale ultimo grado di giurisdizione sportiva ed a livello esofederale, ogni controversia avente ad oggetto l’obbligo di disputare una partita (ovvero, a fortiori, più partite) a porte chiuse, essendo questa una sanzione di significativa rilevanza15; dovranno necessariamente rimanere confinate a livello endofederale, poiché sottratte alla competenza dell’Alta Corte, solo le questioni espressamente previste dall’art. 3 comma 1 Codice TNAS (concernenti sanzioni pecuniarie di importo inferiore a diecimila euro o sospensioni di durata inferiore a centoventi giorni continuativi) nonché quelle “di carattere non pecuniario né interdittivo di modesto effetto afflittivo” come le diffide, le ammonizioni e misure similari. La previsione di cui all’art. 30 Statuto FIGC non ha alcuna valenza limitativa delle competenze riconosciute a livello esofederale all’Alta Corte; L’Alta Corte potrà occuparsi non solo di diritti indisponibili (compresi in quest’ultima categoria, gli interessi legittimi), ma anche di quelli disponibili, ove manchi l’accordo delle parti alla devoluzione arbitrale della sottostante questione. Ebbene, quelle appena enucleate, ad avviso di chi scrive, sono le uniche certezze desumibili dalla decisione qui annotata: essa, in particolare, non chiarisce – e non v’è chi non veda che l’occasione poteva essere quella più propizia per affrontare in generale la relativa tematica – quali siano i parametri in forza dei quali poter riconoscere, o meno, ad una determinata questione la caratteristica della “significativa rilevanza per l’ordinamento sportivo nazionale”. Ai posteri l’ardua sentenza. (*) Avvocato del foro di Bologna, esperta di diritto sportivo. 15 Secondo la Corte, infatti, “Le pesanti incidenze economiche (pur se riflesse) che si riconnettono allo svolgimento di una competizione senza presenza di pubblico (e vendita dei biglietti); la particolare ostensibilità della sanzione per le modalità della sua esecuzione (con conseguente caduta d’immagine della società, della squadra e della sua tifoseria); ancora, l’effetto incisivamente afflittivo dello svolgimento della partita nel silenzio degli spalti, privando così la squadra dei suoi tifosi e questi ultimi della possibilità di sostenere la squadra, sono dati che, tutti insieme, concorrono a far ritenere che la sanzione oggetto della presente controversia non sia, in via di principio, sottratta alla cognizione dei due nuovi organi di giustizia sportiva.” 99 NOTE A SENTENZA Doppio tesseramento di calciatore... STAGIONE SPORTIVA 2008/2009 COMUNICATO UFFICIALE N. 88/CDN DEL 07 MAGGIO 2009 DELIBERA DELLA COMMISSIONE DISCIPLINARE NAZIONALE DELLA F.I.G.C. La Commissione disciplinare nazionale, costituita dal dott. Sabino Luce, Presidente; dall’avv. Valentino Fedeli, dall’avv. Alessandro Levanti, Componenti; dal sig. Claudio Cresta, Segretario, con la collaborazione del sig. Nicola Terra, si è riunita il giorno 7 maggio 2009 e ha assunto le seguenti decisioni: APPELLO DELLA PROCURA FEDERALE AVVERSO L’INCONGRUITA’ DELLA SANZIONE INFLITTA ALLA SOCIETA’ FC SAN MARCO (ammenda di € 1.000,00) A SEGUITO DI PROPRIO DEFERIMENTO (delibera CD Territoriale presso il CR Calabria CU n. 121 del 31.3.2009) Le società ASC D Jordan Aufugum, Polisposportiva Audace San Marco, Polisportiva Nuova S. Nicola Arcella, A.S. Spezzano Albanese, partecipanti al campionato regionale Calabria di prima categoria, con atto datato 3 dicembre 2008 denunciavano al Presidente del Comitato Regionale Calabria che la società FC San Marco aveva utilizzato nelle prime otto gare di campionato della stagione in corso il calciatore Daniele L. che risultava tesserato per altra società. La Procura federale, investita del caso, accertava che in effetti la società FC San Marco il 29 agosto 2008 aveva inviato all’ufficio competente la richiesta di aggiornamento posizione di tesseramento del calciatore Daniele L. che non veniva accolta in quanto tale calciatore risultava già tesserato per altra società. Il mancato tesseramento era portato a conoscenza della società interessata con lettera 17 novembre 2008 dell’Ufficio tesseramento del Comitato Regionale Calabria. L’organo inquirente accertava altresì che il calciatore aveva partecipato in posizione irregolare ad otto gare di Campionato, disputate tutte in epoca precedente la comunicazione dell’Ufficio. 100 NOTE A SENTENZA Doppio tesseramento di calciatore... La Procura federale con atto datato 2 febbraio 2009 deferiva alla Commissione Disciplinare Territoriale presso il Comitato Regionale Calabria il calciatore Daniele L. (violazione artt. 1 comma 1 CGS; 40 comma 4 NOIF; 10 commi 2 e 6 CGS); il sig. Stefano M. ed il sig. Santo S., entrambi co-presidenti della società F.C. San Marco; i sigg.ri Bruno S., Pasquale P., Andrea R., quali dirigenti della società FC San Marco (per tutti, violazione artt. 1 comma 1 CGS; 40 comma 4 NOIF; 10 commi 2 e 6 CGS); la società FC San Marco (responsabilità diretta ed oggettiva ai sensi dell’art. 4 commi 1 e 2 CGS in relazione all’art. 1 comma 5 CGS). Veniva più in particolare contestato: al L. di aver sottoscritto la richiesta di tesseramento per la società FC San Marco mentre era tesserato per altra società e di aver partecipato in posizione irregolare ad otto gare di campionato della società FC San Marco; al M. di aver sottoscritto la richiesta di tesseramento del L. senza aver effettuato con la necessaria diligenza le opportune verifiche e per aver consentito che il calciatore partecipasse alle otto gare di campionato di cui sopra in posizione irregolare; a S., S., P. e R. per aver sottoscritto le distinte delle otto gare alle quali aveva partecipato il calciatore L. e per aver dichiarato con tale sottoscrizione che i calciatori indicati in ciascuna distinta, quindi anche il L., erano regolarmente tesserati e partecipavano alla gara sotto la responsabilità della società di appartenenza (S. una distinta; S. quattro distinte; P. una distinta; R. due distinte). Innanzi la Commissione disciplinare Territoriale, la Procura Federale, all’udienza di discussione del deferimento, chiedeva che fossero comminate le seguenti sanzioni: per il L. mesi quattro di squalifica; per il M. mesi sei di inibizione; per lo S. mesi tre di inibizione; per il S. mesi quattro di inibizione; per il P. ed il R. mesi tre di inibizione; per la società F.C. San Marco 8 (otto) punti di penalizzazione in classifica ed € 1.000,00 di ammenda. Si costituivano nel procedimento i deferiti, i quali chiedevano il proscioglimento. La Commissione Disciplinare Territoriale, con decisione pubblicata il 31 marzo 2009, irrogava al L. la squalifica sino al 30 ottobre 2009; al M. la inibizione sino al 30 settembre 2009; a S., S., P. e R. la inibizione sino al 30 giugno 2009; alla società FC San Marco l’ammenda di € 1.000,00. Avverso tale decisione propone ricorso la Procura federale per la modifica della statuizione di primo grado limitatamente alla mancata applicazione della penalizzazione dei punti in classifica. 101 NOTE A SENTENZA Doppio tesseramento di calciatore... Deduce la ricorrente che il giudice di primo grado avrebbe mancato di considerare il disposto dell’art. 10 comma 8 parte seconda CGS, che, nel caso in cui venga accertata la responsabilità diretta della società, prevede chiaramente e senza possibilità di diversa interpretazione l’applicazione delle sanzioni di cui alle lettere g, h, i dell’art. 18 comma 1 CGS, tra le quali la penalizzazione di uno o più punti in classifica (lett. g). Resiste al ricorso la società FC San Marco, la quale, con memoria scritta spedita a mezzo raccomandata il 14 aprile 2009, eccepisce l’improcedibilità e la inammissibilità del ricorso per violazione degli artt. 34 comma 7 e 35 comma 4.1 CGS; deduce la congruità della sanzione applicata dalla Commissione Disciplinare Territoriale e, comunque, la mancata violazione da parte della resistente dell’art. 40 comma 4 NOIF; conclude per l’accoglimento delle dispiegate eccezioni e, nel merito, per il rigetto del gravame e, più gradatamente, soccorrendo l’ipotesi di accoglimento del ricorso, per l’applicazione del minimo della pena. All’udienza odierna sono comparse le parti, le quali si sono riportate alle rispettive conclusioni. Occorre preliminarmente esaminare le eccezioni preliminari e pregiudiziali sollevate dalla società FC San Marco nonchè dalla Procura federale. Su tutte le eccezioni sollevate questa Commissione, a scioglimento della riserva, ha deciso come da separata ordinanza letta alle parti ed allegata al verbale di udienza. Nel merito il ricorso è fondato. Costituisce orientamento consolidato di questa Commissione che ai sensi dell’art. 10 comma 6 ultimo inciso CGS, qualora alle competizioni sportive partecipano calciatori sotto falso nome o che comunque non hanno titolo per prendervi parte, a società, dirigenti e tesserati si applicano le sanzioni di cui ai successivi commi 8 e 9. Per il comma 8 dell’art. 10 CGS, se, come nel caso in esame, viene accertata la responsabilità diretta della società, il fatto è punito, a seconda della gravità, con le sanzioni delle lettere g) (penalizzazione di uno o più punti in classifica), h) (retrocessione all’ultimo posto in classifica), i) (esclusione dal campionato) dell’art. 18 comma 1 CGS. La motivazione della decisione impugnata appare dunque errata nella parte in cui, mossa dall’esigenza di graduare la pena in base all’elemento soggettivo della violazione, finisce per eludere la norma, mancando di applicare la sanzione della penalizzazione dei punti in classifica, in essa prevista. 102 NOTE A SENTENZA Doppio tesseramento di calciatore... La sanzione difatti è suscettibile di essere graduata, ma nell’ambito delle pene delle lettere g), h), i) comma 1 art. 18 CGS, da applicarsi secondo il prudente apprezzamento dell’organo giudicante in relazione alla maggiore o minore gravità della violazione, senza quindi ricorrere, per i punti di penalizzazione in classifica, al criterio dell’automatismo. Tale criterio, peraltro, è previsto dall’art. 17 comma 8 CGS con riferimento alle sanzioni inerenti alla disputa delle gare, la cui fattispecie è estranea al caso su cui si controverte. Si ritiene equo sanzionare la società FC San Marco con la penalizzazione di quattro punti in classifica, da scontarsi nella stagione in corso. P.Q.M. accoglie il ricorso e, per l’effetto, a parziale modifica della decisione impugnata, commina alla società FC San Marco la penalizzazione di 4 (quattro) punti in classifica, da scontarsi nella corrente stagione sportiva 2008/2009. Conferma nel resto la decisione impugnata. 103 NOTE A SENTENZA Doppio tesseramento di calciatore... DOPPIO TESSERAMENTO DI CALCIATORE: PROBLEMATICHE CONNESSE ALLA FATTISPECIE DEI TESSERAMENTI IN STAGIONI DIVERSE di Mario Tocci (*) Desta decisamente meraviglia la decisione assunta dalla Commissione Disciplinare Nazionale, in riforma di altra adottata dalla Commissione Disciplinare Territoriale del Comitato Regionale Calabria, della Federazione Italiana Giuoco Calcio ed ora in commento. In particolare, con la decisione de qua, la Commissione Disciplinare Nazionale della FIGC ha accolto l’appello interposto dal Procuratore Federale della FIGC avverso la decisione della Commissione Disciplinare Territoriale del Comitato Regionale Calabria della FIGC di cui al rispettivo Comunicato Ufficiale n. 121 del 31 marzo 2009. Il procedimento di primo grado si era instaurato a cagione della presunta posizione irregolare del calciatore Daniele L. per otto partite del campionati disputato dalla F. C. San Marco, asseritamente tesserato contestualmente per altra società nella stessa stagione sportiva, violativa e dispregiativa del disposto del comma quarto dell’articolo 40 delle Norme Organizzative Interne Federali della FIGC e dunque dei commi sesto e ottavo dell’articolo 10 del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC indi dante titolo e luogo alla responsabilità diretta della Società medesima con conseguente applicabilità delle sanzioni di cui all’articolo 18 comma primo del Codice di Giustizia Sportiva. Aveva invocato, in particolare, la Procura Federale della FIGC l’applicazione di otto punti di penalizzazione in classifica. Aveva resistito in prima istanza la F. C. San Marco onde dedurre la non sussumibilità della condotta imputatale nella fattispecie astrattamente prevista dal disposto del comma quarto dell’articolo 40 delle Norme Organizzative Interne Federali della FIGC. La Commissione Disciplinare Territoriale del Comitato Regionale Calabria della FIGC – riconosciuta la non sussumibilità della condotta imputata alla F. C. San Marco nella fattispecie astrattamente prevista dal disposto del comma quarto dell’articolo 40 delle Norme Organizzative Interne Federali della FIGC, indi per l’effetto accertata la responsabilità della F. C. San Marco in ordine alla sola violazione del disposto del comma primo dell’articolo 1 e mercè corretta 104 NOTE A SENTENZA Doppio tesseramento di calciatore... applicazione del comma primo dell’articolo 18 richiamato dal comma sesto dello stesso articolo 1 del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC – con la decisione già menzionata aveva irrogato alla Società medesima la sola ammenda di Euro 1.000,00 (mille/00) in virtù della considerazione della buona fede informatrice della condotta dei dirigenti nei fatti di causa. Interponeva appello la Procura Federale della FIGC onde insistere nelle conclusioni di prima istanza. All’esito dell’udienza di comparizione delle parti, addì 07 maggio 2009, la Commissione Disciplinare Nazionale accoglieva il ricorso della Procura Federale della FIGC, pur irrogando alla F. C. San Marco la penalizzazione di quattro anziché otto punti in classifica. La decisione appare viziata per ragioni di rito e merito. Quanto ai profili di rito, essa appare deficitaria di motivazione in ordine alle doglianze dedotte in via pregiudiziale e preliminare dalla difesa della Società incolpata, in violazione del disposto del comma secondo dell’articolo 34 del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC. Ai sensi della menzionata disposizione normativa, infatti, le decisioni degli organi di giustizia sportiva devono essere motivate, ancorché in modo sintetico. Nessuna traccia appare nella decisione in commento circa la risoluzione, ad opera dell’organo giusdicente pronunciante, delle doglianze dedotte in via pregiudiziale e preliminare dalla F. C. San Marco; lo stesso organo giusdicente pronunciante, anzi, afferma che il riepilogo della risoluzione delle questioni medesime riposa in ordinanze lette alle parti in udienza ed allegate al relativo verbale ma non alla decisione. Di conseguenza, è palese l’omessa motivazione della decisione in parte qua. Quanto ai profili di merito, è innegabile che la decisione sia scorretta allorché faccia applicazione del disposto dell’articolo 1, comma primo, anziché di quello dell’articolo 10, comma sesto, del Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C. L’articolo 10, comma sesto, del Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C. punisce le condotte relative all’esercizio dell’attività agonistica da parte di soggetti tesserati sotto falso nome ovvero falsa attestazione di cittadinanza oppure privi di titolo abilitante. La vicenda contenziosa sottesa alla decisione di cui si discetta ha avuto origine dal presunto doppio tesseramento del calciatore Daniele L., di cui nella presente stagione sportiva era stato dalla Società incolpata ritualmente richiesto il tesseramento ancorché – come successivamente emerso – esso atleta fosse stato già tesserato in precedente stagione sportiva presso altra società. 105 NOTE A SENTENZA Doppio tesseramento di calciatore... Sicché, pacifico essendo che non si controvertisse delle fattispecie di tesseramento di atleta sotto falso nome ovvero falsa attestazione di cittadinanza, bisognava verificare se il calciatore Daniele L. avesse esercitato attività agonistica presso la Società F. C. San Marco in difetto di titolo abilitante. Orbene, è da negare che il calciatore Daniele L. avesse esercitato attività agonistica presso la società F. C. San Marco in difetto di titolo abilitante. È incontestabilmente emerso durante il giudizio di primo grado, e non è stato contraddetto durante il giudizio di secondo grado, che in relazione al calciatore Daniele L.: o era stato ritualmente richiesto il tesseramento per la presente stagione sportiva presso la società F. C. San Marco in data 29 agosto 2008; o l’Ufficio Tesseramenti del Comitato Regionale Calabrese della Federazione Italiana Giuoco Calcio aveva comunicato il diniego della menzionata richiesta in data 17 novembre 2008 con nota pervenuta alla società F. C. San Marco in data 19 novembre 2008 a mezzo del servizio postale. Nell’intervallo intercorrente tra la richiesta di tesseramento e il riscontro negativo di essa, allorquando ha esercitato attività agonistica presso la Società F. C. San Marco, il calciatore Daniele L. aveva titolo abilitante per giocare le partite effettivamente disputate. A conforto di tale argomentazione milita il disposto dell’articolo 39, comma terzo, delle Norme Organizzative Interne Federali della Federazione Italiana Giuoco Calcio, secondo cui una volta che sia pervenuta al competente Ufficio Tesseramenti, la richiesta di tesseramento inoltrata a mezzo del servizio postale è efficace, salvo successive revoche. Va ancor superiormente considerato che alcuna violazione del disposto del quarto comma dell’articolo 40 delle Norme Organizzative Interne Federali della Federazione Italiana Giuoco Calcio è stata posta in essere dalla Società di primo grado come correttamente statuito dalla Commissione Disciplinare Territoriale di prima istanza. La mentovata disposizione così recita: “Al calciatore che nella stessa stagione sportiva sottoscrive richieste di tesseramento per più società si applicano le sanzioni previste dal Codice di Giustizia Sportiva della Federazione Italiana Giuoco Calcio”. Appare evidente come la norma non sia stata violata atteso che il tesseramento del calciatore Daniele L. con l’U. S. Verbicaro era avvenuta nel 2006 e quello con la F. C. San Marco si era avuto nel 2008 quindi non nella stessa stagione sportiva. 106 NOTE A SENTENZA Doppio tesseramento di calciatore... Ma, seppure tutto quanto finora argomentato non fosse valido, non poteva non invocarsi la scriminante della buona fede, disciplinata riguardo all’illecito amministrativo – qual’è l’illecito sportivo – dall’articolo 3 della Legge 689/1981, che esclude la responsabilità in ordine all’illecito amministrativo quando sussistano elementi positivi idonei a ingenerare nell'autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta (iuxta Cass. Civ. 13610/2007). L’ammissibilità della circostanza scriminante della buona fede nell’illecito sportivo è stata acclarata dalla Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport del Coni nel lodo arbitrale 08 febbraio 2005 pronunciato nella controversia tra Salerno Corse S.r.l. ed ACI nonché dalla Commissione Disciplinare Nazionale della Lega Professionisti Serie C nella sentenza di cui al comunicato 271/C del 12 maggio 2004. I dirigenti della società F.C. San Marco, una volta spedita all’Ufficio Tesseramenti del Comitato Regionale Calabrese della Federazione Italiana Giuoco Calcio la richiesta di tesseramento del calciatore Daniele L. e alla luce del silenzio serbato per oltre due mesi dal personale addetto, hanno fatto affidamento sulla consapevolezza della incolpevole putativa liceità del proprio agire. Da ciò doveva farsi discendere la assoluta mancanza di responsabilità diretta da parte della F. C. San Marco. Valga ad ulteriore riprova dell’assunto di cui sopra la circostanza dell’immediato fermo del calciatore nelle partite svoltesi successivamente alla comunicazione di diniego di tesseramento. La giurisprudenza è confortante sul punto. Con decisione di cui al Comunicato Ufficiale n. 40 del 04 dicembre 2008, la Commissione Disciplinare Nazionale della FiGC ha affermato che l’immediato fermo di un calciatore di cui venga rigettata la richiesta di tesseramento è sintomo della buona fede dei dirigenti societari che vi provvedano. (*) Avvocato in Cosenza, Dottorando di ricerca in "Impresa, Stato e Mercato" nell'Università Statale degli Studi della Calabria 107 NOTE A SENTENZA PARTE TERZA GIURISPRUDENZA SOMMARIO: DELL'8 pag.109 2009, pag.118 COMMISSIONE DISCIPLINARE NAZIONALE FIGC, C.U. N. 8/2009 DEL 14 LUGLIO 2009: ancora sulla c.d. violazione della clausola compromissoria pag.123 CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE LAVORO, SENTENZA N. 10867 DEL 12 2009: qualificazione del rapporto di "lavoro" tra arbitro e Federazione MAGGIO pag.126 CORTE D'APPELLO DI TORINO, SEZ. LAVORO 28 OTT. 2008, B.P.M C/ TORINO FC: trasferimento del titolo sportivo e trasferimento d'azienda: problematiche pag.138 CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE FIGC A SEZIONI UNITE, C.U. N. 190 MAGGIO 2009: giudizio di primo grado di revisione nel caso Guardiola TRIBUNALE NAZIONALE DI ARBITRATO PAPARESTA/AIA E FIGC DELLO SPORT, sottese ai rapporti di lavoro tra club e tesserati 108 LODO 1 LUGLIO Revisione del caso Guardiola.… FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE Sezioni Unite COMUNICATO UFFICIALE N. 190/CGF (2008/2009) TESTI DELLE DECISIONI RELATIVE AL COM. UFF. N. 183/CGF – RIUNIONE DELL’ 8 MAGGIO 2009 1° Collegio composto dai Signori: Presidente: Dott. Giancarlo CORAGGIO; Componenti: Prof. Mario SANINO, Prof. Mario SERIO, Avv. Carlo PORCEDDU, Avv. Edilberto RICCIARDI, Avv. Maurizio GRECO, Dr. Claudio MARCHITIELLO, Dr. Lucio MOLINARI, Dr. Antonio PATIERNO - Rappresentante A.I.A.: Dott. Carlo BRAVI – Segretario: Dott. Antonio METITIERI. RICORSO PER REVISIONE EX ART. 39, COMMA 2 C.G.S. DEL SIG. GUARDIOLA SALA JOSEP AVVERSO LA REIEZIONE DEL RECLAMO PROPOSTO AVVERSO SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER MESI 4 A FAR DATA DAL 22.11.2001 E DELL’AMMENDA DI € 50.000,00 CON L’ULTERIORE MISURA DI CONTROLLI SENZA PREAVVISO PER LA DURATA DI MESI 4 A DECORRERE DAL TERMINE DELLA SQUALIFICA, INFLITTE A SEGUITO DI DEFERIMENTO DELL’UFFICIO DI PROCURA ANTIDOPING DEL C.O.N.I. (Delibera della Commissione d’Appello Federale – Com. Uff. n. 21/C del 9.2.2001) Svolgimento del procedimento Con ricorso del 21.4.2009 Josep Guardiola Sala chiedeva, ai sensi dell’art. 39, comma 2, C.G.S., a questa Corte la revisione della pronuncia della Commissione Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti del 24.1.2002, confermata dalla Commissione d’Appello Federale il successivo 8 febbraio, con cui gli era stata inflitta la sanzione della sospensione da qualsiasi attività agonistica per un periodo di quattro mesi e la multa di € 50.000,00 ed era stata altresì disposta l’ulteriore misura di controlli senza preavviso per la durata di 4 mesi a decorrere dal termine della squalifica. 109 GIURISPRUDENZA Revisione del caso Guardiola.… Il ricorrente era stato dichiarato responsabile della violazione dell’art. 13 n.1, lett. b) del Regolamento dell’Attività Antidoping per essere, mentre era tesserato per la società Brescia Calcio S.p.A. nel corso della Stagione Sportiva 2001/2002, risultato positivo per metaboliti del nandrolone in esito ai controlli disposti in occasione delle gare Piacenza/Brescia del 21.10.2001 e Lazio/Brescia del 4.11.2001. La decisione era stata, come detto, confermata dalla Commissione d’Appello Federale, la quale aveva osservato che correttamente i giudici di primo grado avevano basato la propria pronuncia sulle risultanze tecniche e sulla esatta interpretazione dell’elemento psicologico minimo necessario ad integrare la fattispecie di non intenzionale assunzione di sostanze proibite. Nel ricorso per revisione si sottolineava che lo stesso era proposto in quanto ricorrevano congiuntamente le due condizioni previste dall’art. 39 comma 2 citato, e consistenti nella sopravvenienza di nuove e decisive prove ai fini della dichiarazione di insussistenza di responsabilità e nella inconciliabilità dei fatti posti a fondamento della decisione originaria con quelli di altra decisione irrevocabile. In particolare, il ricorrente osservava, quanto alla prima condizione, che erano state acquisite nuove prove riferibili alla circostanza che le autorità sportive internazionali e nazionali competenti in materia di doping avevano, aderendo a condivisi studi scientifici, sottoposto a revisione critica i criteri vigenti al momento della commissione dei fatti in tema di rilevazione ed esame effettuato ai fini della verifica della assunzione di sostanze vietate. Il ricorrente deduceva, al riguardo, che, con comunicazione proveniente in data 1.10.2007 dal laboratorio Antidoping della Federazione Medico Sportiva Italiana, basata sulle indicazioni racchiuse nella nota tecnica del 13.5.2005 della World Anti-Doping Agency (WADA), si affermava che nel caso delle analisi condotte con riguardo ai campioni organici a lui appartenenti ricorrevano tutte le condizioni denominate parametri complementari che avrebbero imposto l’esecuzione del test di stabilità sui campioni rilevanti. Nella comunicazione si sottolineava, peraltro, che tale test si sarebbe potuto utilmente effettuare solo entro un periodo massimo di quattro-cinque settimane dal prelievo del campione, mentre sarebbe stata del tutto inutile l’odierna effettuazione. 110 GIURISPRUDENZA Revisione del caso Guardiola.… Sulla base di questa circostanza il ricorrente rilevava che il mutamento dei criteri di analisi e la ricorrenza nel caso di specie delle condizioni per la rinnovazione del test originario, legate alla contemporanea presenza nel campione prelevato di tutti i parametri complementari di instabilità, costituivano nuovi elementi di prova che avrebbero esplicato efficacia decisiva al fine della dichiarazione della insussistenza della sua responsabilità. Quanto alla seconda condizione legittimante il ricorso per revisione il ricorrente osservava che, con sentenza del 23.10.2007, divenuta irrevocabile il 26 febbraio dell’anno successivo, la Corte d’Appello di Brescia, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, lo aveva assolto perché il fatto non sussiste dall’imputazione di cui all’art. 81 Codice Penale e all’art. 9 della legge 14 dicembre 2000 n. 376 “perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in qualità di atleta del Brescia Calcio, assumeva farmaci, o sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche e/o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le proprie prestazioni agonistiche”. La Corte di Appello rilevava che, in conseguenza della nota tecnica esplicativa della WADA, che contempla cinque parametri complementari da considerare, ai fini dell’esecuzione del test di stabilità prima che si possa dichiarare un esito avverso delle analisi, nel caso di campioni di urine in cui, come nella fattispecie, sia stata riscontrata la presenza del metabolita del nandrolone, l’accertamento da cui aveva tratto origine il procedimento penale doveva ritenersi inattendibile, stante l’impossibilità di effettuare ora per allora il test di stabilità sui campioni prelevati all’epoca. Da tale sentenza penale, che aveva precluso la celebrazione di altro giudizio per il medesimo fatto davanti al Tribunale di Roma, il ricorrente ricavava la conclusione che si fosse in presenza di decisione, seppur proveniente da ordinamento diverso da quello sportivo, inconciliabile con quella della cui revisione si tratta in quanto la pronuncia penale aveva diversamente ricostruito il profilo fattuale della vicenda, pervenendo alla conclusione che andasse esclusa la stessa sussistenza del fatto da cui era sorto il procedimento disciplinare sportivo. Al fine di resistere si costituiva con memoria del 29.4.2009 l’Ufficio Procura Antidoping istituito presso il C.O.N.I. che ne eccepiva l’infondatezza nei suoi articolati profili. Veniva, in particolare, contestato che si considerasse prova nuova sopravvenuta la nota informativa della WADA, tenuto conto della circostanza che non solo essa semplicemente atteneva ad una modalità diversa di acquisizione della prova ma, riguardava circostanze che non avevano mai costituito a suo tempo oggetto di censura o lagnanza da parte del ricorrente o del suo consulente, che non aveva mai mosso alcun rilievo in ordine ai modi di effettuazione del controllo 111 GIURISPRUDENZA Revisione del caso Guardiola.… del campione organico ed alle loro caratteristiche intrinseche. Del resto, secondo la Procura resistente, se venisse dichiarato ammissibile il ricorso in questione tutti i procedimenti definiti secondo i precedenti riferimenti normativi, anche se ormai irrevocabili, sarebbero soggetti a revisione. Veniva poi contestata la sussistenza del secondo profilo invocato dal ricorrente ai fini della revisione, in quanto mancherebbe il presupposto del contrasto tra i due giudicanti e ciò perché la responsabilità affermata in campo sportivo conseguiva alla violazione non intenzionale della norma di prudenza riguardante il divieto di assunzione di sostanze proibite, mentre la contestazione penale aveva ad oggetto un reato per la cui configurazione era necessario un elemento psicologico qualificato costituito dal dolo specifico. Si chiedeva, pertanto, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. All’udienza di discussione dell’8.5.2009 le parti illustravano oralmente le proprie difese ed insistevano nelle rispettive conclusioni. Motivi della decisione La questione che in via logicamente preliminare la Corte è chiamata ad affrontare, riguarda la ammissibilità del ricorso per revisione, peraltro contestata dalla Procura Antidoping resistente. Il ricorrente ha dedotto due dei profili che l’art. 39, comma 2, C.G.S. pone a fondamento della pronuncia caducatoria di una decisione irrevocabile adottata dagli Organi di Giustizia Sportiva federali. In particolare, viene osservato che sarebbero sopravvenute nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrerebbero che il condannato avrebbe dovuto essere prosciolto nonché si afferma la inconciliabilità dei fatti posti a fondamento della decisione con quelli di altra decisione irrevocabile. Come illustrato nella parte espositiva, le condizioni afferenti al primo profilo dovrebbero, secondo il ricorrente, ravvisarsi nella adesione prestata dall’organismo mondiale antidoping alle nuove opinioni espresse dalla comunità scientifica circa i metodi di analisi applicabili a campioni che presentino una serie congiunta di parametri identificativi, tutti in concreto posseduti da quello che costituì oggetto del procedimento conclusosi con pronuncia irrevocabile di condanna. 112 GIURISPRUDENZA Revisione del caso Guardiola.… L’inconciliabilità con altra decisione irrevocabile andrebbe colta in ciò che il procedimento penale che ha tratto origine dalla medesima condotta, fenomenicamente intesa, su cui si è pronunciato il Giudice Sportivo, si è concluso con sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste, proprio alla stregua delle nuove acquisizioni scientifiche. Ciò premesso, il Collegio rileva che l’esame in questione deve essere condotto attraverso la esegesi della norma di cui al comma 2 dell’art. 39 citato, la cui formulazione, per ciò che attiene all’impulso di cui il procedimento necessita ed alla ripartizione degli oneri di giudizio tra la parte ed il giudice, sembra aver bisogno di alcune precisazioni integrative, in omaggio al compito nomofilattico riservato a questa Corte a Sezioni Unite dal vigente ordinamento federale, che dai suoi orientamenti riceve i criteri direttivi in materia di Giustizia Sportiva. In primo luogo, è da porre nel debito conto che il procedimento di revisione non può perdere la propria caratteristica di promuovimento su istanza della parte interessata per il solo fatto che la norma si esprima affermando che “la Corte di Giustizia Federale può disporre la revisione…”. Ed invero la disposizione può solo spiegarsi attribuendo al legislatore la volontà di affidare alla Corte stessa il previo compito, che in questa sede motivazionale si sta assolvendo, di verificare l’ammissibilità del ricorso per revisione: e ciò in quanto manca per il procedimento in esame una disposizione corrispondente a quella posta dal comma 4, del medesimo art. 39 in materia di revocazione, allorché si stabilisce che “l’organo investito della revocazione si pronuncia pregiudizialmente sull’ammissibilità del ricorso per revocazione”. Ciò equivale a dire che la struttura del procedimento di revisione desumibile dall’art. 39 C.G.S. contempla il doppio momento, comune a quello per revocazione, della ammissibilità e, quello ulteriore e successivo, della rescindibilità e possibile sostituibilità della pronuncia della cui rimozione si tratta. E’ ancora da considerare che le condizioni astrattamente legittimanti la proposizione del ricorso per revisione possono ricorrere in via alternativa, senza che questo escluda la possibilità, che il ricorrente adombra nel caso di specie, di una loro concorrenza. Nell’ipotesi di concorrente deduzione di più condizioni tra quelle enunciate dal comma 2, spetterà a questa Corte, ove il ricorso stesso valichi lo scrutinio di ammissibilità, individuare quella che esibisca una attitudine assorbente ai fini della possibile caducazione della pronuncia. E tale giudizio dovrà essere espresso avuto riguardo alla maggior capacità della condizione in concreto dedotta di privare di base fondante la pronuncia della cui revisione si tratta. 113 GIURISPRUDENZA Revisione del caso Guardiola.… E’, infine, da mettere in rilievo che la struttura letterale e la stessa impostazione finalistica della norma federale ricalcano quelle che il codice di procedura penale disciplina all’art. 630: è, allora, inevitabile che la norma processualpenalistica costituisca lo sfondo di riferimento anche per il giudizio sportivo, non ravvisandosi ragioni per affermare una applicazione derogatoria, attesa la sostanziale identità delle condizioni al cui ricorso è subordinato l’utile esperimento del rimedio. Ed invero, le ipotesi di cui alle lett. a), c), e d) dell’art. 630 C.P.P. descrivono le medesime ipotesi recepite dal comma 2 dell’art. 39 C.G.S., riferendosi rispettivamente al caso di inconciliabilità dei fatti stabiliti a fondamento della pronuncia soggetta a revisione con quelli stabiliti in altre sentenze irrevocabili promananti dal plesso giurisdizionale ordinario o speciale, al caso di sopravvenienza di nuove prove risolutive e, infine, all’accertamento della dipendenza della condanna dalla dimostrata falsità in atti o in giudizio. L’ulteriore corollario di questa armoniosa convivenza tra i due sistemi normativi quanto all’ipotesi in esame è che possono certamente costituire utili, se non addirittura imprescindibili, criteri ermeneutici quelli elaborati nel tempo e con costanza di caratteri dalla giurisprudenza penale di legittimità in punto di determinazione della ammissibilità dei ricorsi per revisione. A questo riguardo deve subito aversi riguardo alla nozione di “prove nuove”, così ponendo le premesse per delibare l’ammissibilità del ricorso in esame. Circola, ormai in forma accreditata e condivisa, l’idea che, ai fini dell’ammissibilità della richiesta di revisione, vadano qualificate “prove nuove” quelle che, pur incidendo su un tema già divenuto oggetto di indagine nel corso della cognizione ordinaria, siano fondate su tecniche diverse e innovative, tali da fornire risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili: così si è da ultimo espressa la Cassazione penale con sentenza 26637 del 28.5.2008, che si colloca in linea di continuità con conformi precedenti che datano alla sentenza della stessa Corte 1976 del 1997, a partire dalla quale si è definitivamente superato il contrario e sparuto indirizzo inaugurato sotto la vigenza dell’attuale codice di procedura penale con la sentenza 3444 del 1992. Nel medesimo senso si è ritenuto che la valutazione di ammissibilità debba intendersi estesa anche ad elementi di prova di cui rilevi solo l’esistenza e la persuasività e non il procedimento, o le forme della loro avvenuta acquisizione. Grazie a questi orientamenti, che consolidano l’idea che nel giudizio di revisione il giudice debba verificare l’attitudine dimostrativa delle nuove prove, congiuntamente alle prove del precedente giudizio, rispetto al risultato finale del proscioglimento, (Cass. Pen. 17.6.2008, n. 29486) hanno potuto trovare decisivo ingresso quali elementi capaci di dirimere a favore 114 GIURISPRUDENZA Revisione del caso Guardiola.… dell’imputato i dubbi sulla propria responsabilità nuovi e diffusi metodi di indagine tecnica, quali quelli ematochimici o idonei a far risaltare particolari caratteristiche genetiche. Quanto al profilo della inconciliabilità tra giudicati la Corte di Cassazione ha ribadito nel tempo che le situazioni di contrasto non sono definibili in numero chiuso e possono essere le più varie, in modo da denunciare, rispetto alla sentenza di condanna, una diversa realtà fattuale, irrevocabilmente accertata in altra sentenza ed idonea a scagionare il condannato (Cass. Pen. 7.2.2006 n. 10916). Alla luce dei riferiti indirizzi giurisprudenziali, dai quali queste Sezioni Unite non hanno alcun motivo di discostarsi, la Corte ritiene che il ricorso sia ammissibile sotto ciascuno dei profili dedotti, che in effetti si combinano tra loro quanto alla loro attitudine dimostrativa della sopravvenienza nella scienza tossicologica di nuove modalità di valutazione dei campioni organici, la cui mancata adozione comprometterebbe senza scampo l’attendibilità di un eventuale giudizio di positività. Ed invero, il mutamento, o più esattamente l’affinamento delle conoscenze scientifiche in materia di cosiddetti parametri complementari, consentono di affermare che ognuno di essi, come autorevolmente ed obiettivamente riconosciuto dal direttore del laboratorio Antidoping del C.O.N.I., era rintracciabile nei campioni organici del ricorrente esaminati in passato. Tale incontroversa circostanza avrebbe dovuto imporre, alla luce del nuovo grado di conoscenze scientifiche, una rinnovazione dell’esame, al fine di allontanare il rischio della instabilità del campione organico che avrebbe, altrimenti, viziato la attendibilità del test di positività. Ora, è certo che tale prospettazione, peraltro suffragata dagli elementi scientifici indicati già nella parte espositiva, si candidi a costituire di per sé elemento idoneo a revocare in dubbio il fondamento della precedente condanna, riguardata sotto l’aspetto della persuasività delle prove già acquisite. Come tale la prospettazione stessa si rivela atta ad integrare, sotto l’angolo visuale della ammissibilità, il primo dei profili legittimanti, ai sensi del comma 2 più volte citato, la richiesta di revisione. Altrettanto è da dirsi in relazione al profilo della inconciliabilità tra giudicati. Ed invero, va subito chiarito che la lettera e lo spirito della norma federale, che genericamente riferiscono l’inconciliabilità a qualsiasi “altra decisione irrevocabile”, depongono nel senso che sarebbe arbitrario circoscrivere la disarmonia tra pronunce al solo ambito endosportivo, rinunciando così alla necessaria apertura di una finestra di confronto con il mondo dell’ordinamento 115 GIURISPRUDENZA Revisione del caso Guardiola.… di diritto comune chiamato a disciplinare, sia pur applicando il proprio diverso ordine normativo, le medesime condotte umane rilevanti nell’ordinamento federale. Questa osservazione implica che, contrariamente a quanto eccepito dalla Procura resistente, non è d’ostacolo alla rilevanza della denunciata disarmonia il fatto che siano diverse le fattispecie incriminatrici previste dall’ordinamento sportivo e da quello penale, una volta che ci si trovi in presenza della medesima condotta umana (assunzione di sostanze non consentite) e della relativa valutazione attraverso gli identici metodi di indagine (quelli effettuati in sede sportiva al termine delle due gare che qui rilevano). Ed inoltre, giova alla causa dell’ammissibilità del ricorso sotto il profilo in esame l’esito incontestabilmente assolutorio del procedimento penale, di cui congruamente il ricorrente ha utilizzato la delineazione di una diversa realtà fattuale, costituita dalla inattendibilità delle precedenti indagini e l’insuperabile grado di fallacia derivante dalla loro mancata rinnovazione in presenza dei parametri complementari che avrebbero dovuto far qualificare come instabile il campione organico esaminato. Così dichiarata l’ammissibilità del ricorso è agevole conseguenzialmente giudicarne, nella direzione rescissoria perseguita dal ricorrente, la fondatezza, consegnata alla ricorrenza di sufficienti condizioni dimostrative che l’originario incolpato non avrebbe potuto essere ragionevolmente dichiarato responsabile della violazione ascrittagli. Di ciò è agevole rendersi conto, se si considera che le nuove acquisizioni scientifiche, imprescindibili ai fini dell’espressione del giudizio tecnico destinato ad integrare la norma disciplinare in bianco prevista in ambito federale, portano alla serena conclusione che non si sarebbe potuta dichiarare attendibile la valutazione di positività del test, non essendosi preventivamente proceduto all’attesa della stabilizzazione del campione che presentava caratteristiche tali da giustificarne una simile qualificazione e alla susseguente rinnovazione dell’analisi. Su questo aspetto sono inequivocabili le parole dei cultori della materia poi trasfuse nelle direttive del WADA, poi fatte proprie dal direttore del laboratorio Antidoping del C.O.N.I.. La doppia omissione in parola si tradusse, cioè, nella preclusione di qualsiasi attendibilità alla precedente valutazione scientifica, su cui poggiò interamente la condanna della cui revisione si tratta. 116 GIURISPRUDENZA Revisione del caso Guardiola.… D’altro canto, corrobora la fondatezza del ricorso anche la circostanza che la diffusamente illustrata nuova evidenza scientifica fu integralmente trasferita sul piano del giudizio penale, che assolse l’odierno ricorrente per insussistenza del fatto in base alla rilevazione storica della mancata adozione delle necessarie tecniche di indagine. Non è, pertanto, rilevante in questa sede la valutazione giuridica della condotta umana ascritta in sede penale al ricorrente, quanto l’accertamento storico connesso ai modi di rilevazione scientifica della stessa: e tale accertamento, nel senso prima indicato, ovviamente non può che vincolare, anche in sede di rinvio, gli Organi di Giustizia Sportiva. Da questo punto di vista non solo entrambi i profili di ricorso si rivelano autonomamente considerati ammissibili e fondati ma rivelano anche il carattere della loro perfetta convergenza verso l’esito assolutorio, muovendo entrambi dalla avvenuta rideterminazione della realtà fattuale che ha dato luogo all’odierna controversia. In conclusione, il ricorso produce, in dipendenza della sua descritta fondatezza, l’effetto rescissorio consistente nella eliminazione della precedente pronuncia di condanna e nella sua sostituzione, nel mondo dei fenomeni giuridici attratti nella sfera di competenza della Giustizia Sportiva, con quella di completo proscioglimento. Per questi motivi la C.G.F, dichiara ammissibile il ricorso per revisione ex art. 39 C.G.S. come sopra proposto dal Sig. Guardiola Sala Josep, lo accoglie e, per l’effetto, lo assolve dall’incolpazione ascritta. Dispone restituirsi la tassa reclamo. 117 GIURISPRUDENZA Paparesta/AIA e FIGC.… Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport IL COLLEGIO ARBITRALE composto dai signori Prof. avv. Domenico La Medica Presidente Prof. avv. Angelo Piazza Arbitro Prof. avv. Ferruccio Auletta Arbitro nominato ai sensi del Codice dei giudizi innanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato lo Sport, con sede in Roma, ha deliberato il seguente LODO nel procedimento di arbitrato (prot. n. 0473 del 20.3.2009) promosso da: Dr Gianluca Paparesta, rapp.to e difeso dall’Avv.to Gianluigi Pellegrino, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di questo, in Roma, corso Rinascimento n. attore contro Associazione Italiana Arbitri - AIA, in persona del legale rapp.te p.t., Marcello Nicchi, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Luigi Medugno e Mario Gallavotti, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Po n. 9 convenuta e nei confronti di Federazione Italiana Giuoco Calcio - FIGC, in persona del legale rapp.te p.t., dr Giancarlo Abete, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di questi, in Roma, via Panama n. 58 altra convenuta FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO In data 4 luglio 2008 il Comitato Nazionale dell’A.I.A. ha approvato all’ unanimità la relazione di fine stagione della Commissione arbitri per i campionati nazionali di serie A e B (C.A.N.) e le relative proposte dei nuovi ruoli arbitrali di specifica competenza, disponendo la dismissione, per normale avvicendamento tecnico, tra gli altri, dell’associato arbitro effettivo Gianluca Paparesta. 118 GIURISPRUDENZA Paparesta/AIA e FIGC.… Gianluca Paparesta, ritenendo la determinazione dell’A.I.A. caratterizzata da illegittimità, ha proposto istanza di arbitrato chiedendo alla Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport del C.O.N.I. di «dichiarare illegittima, annullandola e comunque privandola di efficacia, per come adottata, la dismissione dai ruoli C.A.N. dell’istante con ogni determinazione consequenziale». L’A.I.A., convenuta insieme alla F.I.G.C., contestava la domanda osservando che l’ avvicendamento dell’istante dai ruoli della C.A.N. era derivato da una scelta tecnica legittimamente compiuta dagli organi a cui la normativa federale assegna il compito di formare gli organici arbitrali e organizzare l’attività dell’associazione. Si sarebbe trattato, pertanto, secondo l’A.I.A., di una scelta tecnico-organizzativa, come tale sottratta al sindacato arbitrale. Costituito il Collegio, questo riteneva la controversia arbitrabile a norma dell’art. 30, comma 3, Statuto F.I.G.C., stante che «gli arbitri sono tesserati della F.I.G.C. e associati dell’A.I.A.» (art. 38 Reg. A.I.A.) onde «più di due parti s[o]no vincolate dalla stessa convenzione di arbitrato» e, in concreto, la controversia risultava promossa nei confronti di A.I.A. e di F.I.G.C. Il Collegio, quindi, ne esaminava il merito al fine di «accertare la legittimità o meno del potere esercitato dall’A.I.A. nei confronti di G. Paparesta». E ne concludeva nel senso che «le caratteristiche dell’avvicendamento […] esclud[evano] che tratta[va]si, in particolare quanto a G. Paparesta, di determinazione organica non conforme al dovere di lealtà e buona fede nell’ attuazione del rapporto associativo», «la determinazione sub judice appare[ndo] connotata dalla piena rispondenza alle regole, oltre che di competenza, di ragionevolezza, proporzionalità, coerenza, compiutezza informativa e paritario trattamento, onde alcun vizio di sviamento finalistico del potere attribuito all’organo che ne [era stato] autore [poteva] rilevarsi». Il Collegio, definitivamente pronunciando in data 13 ottobre 2008, provvedeva a «rigetta[re] le domande proposte dal dr Gianluca Paparesta». Il dr G. Paparesta ha impugnato il lodo avanti il T.A.R. del Lazio, domandandone l’annullamento e, con questo, l’anticipazione in via di urgenza dei pertinenti effetti. Il G.A., come dichiara il dr G. Paparesta, «con ordinanza 6016/08 ha accolto la relativa istanza cautelare», e «la decisione cautelare è stata confermata dal Consiglio che ha rigettato l’appello di AIA e FIGC, con ordinanza VI sez. n. 559/09»: su tali premesse (testualmente riprese da pg. 14 della «istanza di arbitrato» n. 473 del 20 marzo 2009 da cui muove la presente decisione) è intervenuta da parte dell’A.I.A., in data 18 febbraio 2009, la nuova delibera «con la quale il Comitato Nazionale ha approvato la proposta dell’organo tecnico di confermare l’avvicendamento del Paparesta» (pg. 1), considerando che il vizio del procedimento rilevato (in sede di delibazione 119 GIURISPRUDENZA Paparesta/AIA e FIGC.… sommaria) dal G.A. era stato quello di avere «il Comitato Nazionale […] provveduto invece in assenza di proposta, tale non potendosi qualificare la generica richiesta di valutazione dell’opportunità di riduzione dell’organico». Sennonchè, il dr G. Paparesta viene ora censurando altresì la delibera assunta in adempimento del dovere di conformarsi al provvedimento giurisdizionale poiché l’A.I.A. -egli assume- «si è limitata a proporre la conferma dell’illegittimo avvicendamento» (pg. 2), così che «ancora una volta la valutazione tecnica [è] stata inammissibilmente negata con assunzione di nuova odiosa determinazione» (pg. 3). Dunque, G. Paparesta -benchè nel dichiarato «convincimento dell’istante che il nuovo atto ora intervenuto possa essere portato anche direttamente innanzi al giudice investito della questione (il giudice amministrativo)»- ha proposto domanda di arbitrato onde consentire che l’adito Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport «voglia dichiarare invalido perché illegittimo l’avvicendamento per come disposto». Hanno resistito l’A.I.A. e la F.I.G.C., entrambe concludendo in via preliminare per l’inammissibilità della domanda di arbitrato, quindi per il rigetto di essa nel merito, assumendo in limine litis che le sopravvenute determinazioni appaiono come atti «inidonei a provocare l’insorgenza di un’autonoma vertenza» -vertenza «che è già stata interamente scrutinata e definita nei suoi aspetti di merito»- e sopra i quali un giudizio di «rispondenza agli obblighi conformativi dell’attività svolta in sede di esecuzione del decisum cautelare» non trova sede diversa da quella del G.A. Costituitosi il Collegio in epigrafe a norma dell’art. 6, comma 3, del Codice per i giudizi avanti al T.N.A.S., le parti, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione alla udienza tenutasi in data 4 giugno 2009, hanno -concordandovi gli Arbitri- proceduto seduta stante nella discussione a norma dell’art. 21, comma 2. Le parti hanno pure convenuto di prorogare al 10 agosto 2009 il termine di pronuncia del lodo, autorizzando la pubblicazione anticipata del dispositivo. Riunito in conferenza personale degli arbitri, il Collegio ha deliberato all’unanimità la decisione per i seguenti MOTIVI La domanda di arbitrato, avanzata ai sensi dell’art.30, comma 3, dello Statuto della F.I.G.C., non è ammissibile. 120 GIURISPRUDENZA Paparesta/AIA e FIGC.… La delibera presa in data 18 febbraio 2009 dall’A.I.A. in funzione di adeguamento all’ ordinanza cautelare del Tar per il Lazio–sez. III ter, assunta in data 18 dicembre 2008 nel corso del giudizio di impugnazione del lodo contrattuale inter partes del 13 ottobre 2008, fa sì che nella fattispecie si controverta, adesso, di sola «esecuzione dell’ordinanza cautelare» del Giudice amministrativo, e ciò sia alla luce delle prospettazioni contenute nella domanda che delle difese delle parti convenute. Le relative questioni devono trovare la loro sede di decisione nel corso del giudizio amministrativo. Invero, ai sensi del novellato art. 21, penultimo comma, L. n. 1034/1971, è esperibile giudizio di ottemperanza con specifico riferimento ai provvedimenti cautelari emessi dal Giudice amministrativo. Qualsivoglia contestazione che intenda censurare la suddetta delibera assunta dall’ A.I.A., in adempimento del dovere di conformarsi all’ordinanza emessa dal T.A.R. Lazio, deve, quindi, ritenersi inerente allo stesso Tribunale Amministrativo e al pertinente potere di «ottemperanza», cioè di disporre «le opportune disposizioni attuative», secondo un principio di immedesimazione del giudice dell’attuazione nell’autore del provvedimento cautelare attuando (art. 669 duodecies c.p.c.): autore che, giusta l’art. 818 c.p.c., non può in linea di principio identificarsi negli arbitri. Del resto, l’art. 21, penultimo comma, L. n. 1034/1971, codificando il principio di piena effettività della tutela cautelare concede al Giudice amministrativo il potere di decidere nel merito, per verificare quali siano le misure più idonee al fine di garantire la tutela interinale della situazione soggettiva lesa. E tale competenza si intende attribuita con specifico riferimento sia ai casi di mancato adempimento, sia ai casi in cui l’inottemperanza al contenuto conformativo dell’ordinanza sia da ritenersi soltanto parziale. Peraltro, la possibilità di immediata adizione del G.A., pur nella progressione della «sequenza procedimentale» (cfr. Tar Liguria - Genova, I, 15 gennaio 2009, n. 66) realizzatasi con la delibera dell’A.I.A. del 18 febbraio 2009, non è revocata in dubbio neppure dalla parte istante, che, per il controllo giudiziale della attività di conformazione al dictum cautelare, potrà quindi ancora riferirsi al medesimo G.A., l’unico capace di conoscere, allo stato, della controversia tra le parti, anche quando la delibera dell’ A.I.A. del 18 febbraio 2009 fosse da identificare come uno di quegli atti «adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti»; invero, «l’istituto dei motivi aggiunti si addice anche al caso di riesercizio del potere amministrativo stimolato da una statuizione cautelare 121 GIURISPRUDENZA Paparesta/AIA e FIGC.… del giudice» (Tar Calabria – Reggio c., 19 settembre 2003, n. 1155, in Foro amm. – Tar, 2003, 2751). La assoluta novità e singolarità delle questioni trattate giustifica la sopportazione delle spese del procedimento e per assistenza difensiva in pari misura tra le parti. I diritti degli arbitri sono liquidati in dispositivo a norma dell’art. 26, comma 4, del Codice. P.Q.M. Il Collegio, definitivamente pronunciando nella controversia promossa con «istanza di arbitrato» pervenuta in data 20 marzo 2009, prot. n. 473, così provvede: • dichiara inammissibile l’ «istanza di arbitrato» proposta dal dr Gianluca Paparesta; • dichiara interamente compensate tra le parti le spese del procedimento e per assistenza difensiva; • dichiara le parti tenute in egual misura, con vincolo di solidarietà, al pagamento dei diritti degli arbitri, liquidati in € 2.000,00, nonché dei diritti amministrativi di spettanza del C.O.N.I.; • manda alla Segreteria di comunicare alle parti il presente lodo. Così deliberato, all’unanimità dei voti espressi dagli arbitri riuniti in conferenza personale, in Roma, presso gli uffici del T.N.A.S., in data 4 giugno 2009 e 1° luglio 2009, e sottoscritto in numero di quattro originali nei luoghi e nelle date di seguito indicati. 122 GIURISPRUDENZA Violazione clausola compromissoria.… FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO COMUNICATO UFFICIALE N. 8/CDN (2009/2010) La Commissione Disciplinare Nazionale, costituita dall’Avv. Gianfranco Tobia, Presidente; dall’Avv. Valentino Fedeli, dall’Avv. Pietro Moscato, Componenti; dal Sig. Claudio Cresta, Segretario, con la collaborazione del Sig. Salvatore Floriddia, si è riunita il giorno 3 luglio 2009 e ha assunto le seguenti decisioni: (317) – APPELLO DELLA PROCURA FEDERALE AVVERSO IL PROSCIOGLIMENTO DELLA SOC. ASD SANLURI CALCIO E DEL CALCIATORE LUIGI UCCHEDDU, EMESSO A SEGUITO DI DEFERIMENTO DELLA PROCURA FEDERALE (delibera CD Territoriale presso il CR Sardegna CU n. 46 del 21.5.2009). La Procura Federale ha impugnato la decisione della Commissione Disciplinare Territoriale della Sardegna, pubblicata con C.U. N°. 46 del 21.5.09, con la quale sono stati prosciolti il calciatore Luigi Uccheddu e la società A.S.D. Sanluri Calcio dalla contestazione: . ● il primo, della violazione di cui agli artt. 1, co. 1, CGS; art. 30, co. 2 e 4 dello Statuto Federale e 15, CGS, per aver adito l’A.G. Ordinaria, presentando denuncia-querela nei confronti di altro tesserato, in assenza di autorizzazione da parte del Consiglio Federale, pertanto, in violazione della clausola compromissoria; . ● la seconda, a titolo di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’art. 4, co. 2, CGS per la violazione ascritta al proprio tesserato. All’udienza di discussione la Procura Federale, rappresentata dall’Avv. Manca, insisteva per l’accoglimento del ricorso in oggetto. La Commissione Disciplinare Nazionale, letti gli atti del procedimento, osserva: la Commissione Disciplinare Territoriale di Sardegna, con decisione pubblicata nel C.U. N°. 46 del 21.05.09, proscioglieva dagli addebiti contestati con deferimento N°. 5494/179 del 18.03.2009, il calciatore Luigi Uccheddu e la Società di appartenenza A.S.D. Sanluri Calcio. In sostanza, l’Uccheddu aveva adito l’autorità giudiziaria ordinaria, presentando una denuncia-querela nei confronti di altro tesserato in assenza di autorizzazione da parte del Consiglio Federale, rendendosi così responsabile, ad avviso della Procura, di evidente violazione della 123 GIURISPRUDENZA Violazione clausola compromissoria.… “clausola compromissoria”; conseguentemente, la Società A.S.D. Sanluri Calcio era ritenuta oggettivamente responsabile per le violazioni ascritte al proprio tesserato. La decisione della C.D.T., si basava sulle seguenti motivazioni, che sinteticamente riportiamo: - i rapporti tra l’ordinamento giuridico dello Stato e quello Sportivo sono stati regolati dalla Legge N°. 280/2003. L’articolo 1 di tale Legge, sebbene “riconosca e favorisca l’autonomia dell’ordinamento sportivo”, afferma che tale autonomia è limitata dai casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo. Da tale principio, la C.D.T. trae la conseguenza che, nei casi in cui la giurisdizione sportiva non possa esaurire nel proprio ambito tutte le aspettative legittime del soggetto titolare del diritto leso, l’autonomia della giurisdizione sportiva debba lasciare campo libero a quella ordinaria trovando il suo logico limite nel dettato della carta Costituzionale (artt. 24 e 25). -la materia penale pertanto deve essere sottratta alla giurisdizione sportiva e devoluta esclusivamente a quella dello Stato, unica competente a decidere; -l’art. 30 dello Statuto Federale deve, quindi, intendersi inapplicabile per non violare il principio di diritto alla difesa e del Giudice Naturale precostituito per Legge, garantito al cittadino dalla Costituzione Repubblicana; -viene citato, in tal senso il recente provvedimento (5.03.2009) della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, che motiva conformemente all’interpretazione della Commissione Disciplinare Territoriale della Sardegna; -in conclusione, il calciatore Luigi Uccheddu ha legittimamente sporto denuncia-querela di cui trattasi, esercitando un proprio diritto personale che non può essere subordinato ad alcuna decisione o autorizzazione del Consiglio Federale. Avverso il proscioglimento dei deferiti proponeva rituale appello la Procura Federale chiedendo la integrale riforma della decisione e l’irrogazione ai deferiti delle sanzioni previste dalle norme Federali. I motivi dell’appello possono essere così riassunti: .- la decisione della C.D.T. non appare in alcun modo condivisibile anche se fa espresso riferimento alla pronuncia della Camera d Conciliazione dello Sport citata; .- la violazione dell’art. 30 dello Statuto Federale (e delle altre norme connesse) appare palese; .- esiste un netto discrimine tra le ipotesi in cui il tesserato presenti all’A.G.O. una mera denuncia per un reato perseguibile d’ufficio e quella in cui venga presentata una denuncia-querela 124 GIURISPRUDENZA Violazione clausola compromissoria.… per reati perseguibili solo per impulso e volontà punitiva di parte. In questo caso, sempre ad avviso della Procura Federale, sussiste indubbiamente l’obbligo di richiedere l’autorizzazione prevista dall’art. 30 dello Statuto Federale; .- in definitiva, tale obbligo non lede in alcun modo il diritto della persona offesa dal reato, avendo questa tutto il tempo necessario per osservare il disposto dell’art. 30, eventualmente precisando che è necessaria una risposta tempestiva, dovendo rispettare i termini di legge (tre mesi dal fatto) per proporre utilmente la querela; -in conclusione, non vi è alcun contrasto tra l’autonomia dell’ordinamento sportivo e quello ordinario per casi di tal genere. Tutto ciò premesso e considerato, questa Commissione ritiene di voler accogliere l’appello proposto dalla Procura Federale. La giurisprudenza di questa Commissione è costante nel ritenere che, in casi come quello che ci occupa, l’operatività della clausola compromissoria non impedisce in alcun modo al tesserato l’esercizio dei propri diritti costituzionalmente garantiti. In effetti non vi è alcun contrasto, come sostenuto nell’appello, tra l’autonomia dell’ordinamento sportivo e la giurisdizione ordinaria, dal momento che il tesserato che si consideri leso da un fatto-reato, perseguibile a querela, commesso ai propri danni da altro tesserato, può inoltrare, nell’immediatezza del fatto, la richiesta di autorizzazione prescritta esplicando l’urgenza di ricevere sollecita e tempestiva risposta dovendo rispettare il termine di tre mesi dal fatto prescritto dalla legge ordinaria a pena di decadenza. Agire non in conformità a tale in principio e senza rispettare tale prassi costituisce indubbiamente violazione della norma contestata con il deferimento iniziale. Ne consegue, a carico delle società di appartenenza del tesserato, la violazione della norma sulla responsabilità oggettiva, come pure contestato alla medesima. P.Q.M. in riforma della decisione impugnata, accoglie il ricorso della Procura Federale avverso il provvedimento della Commissione Disciplinare Territoriale Sardegna, pubblicata nel C.U. N°. 46 del 28.5.09, con il quale venivano prosciolti sia il calciatore Luigi Uccheddu che la Società A.S.D. Sanluri Calcio dalle violazioni delle norme federali contestate con il deferimento N°. 5494/179 del 18.3.09 e, per l’effetto, irroga le seguenti sanzioni: . ● al Sig. Luigi Uccheddu, mesi 6 (sei) di squalifica; . ● alla Società ASD Sanluri Calcio, Euro 500,00 (cinquecento/00) di ammenda. Il Presidente della CDN Avv. Gianfranco Tobia Pubblicato in Roma il 14 luglio 2009 125 GIURISPRUDENZA Cassazione Civile n°10867.… CASSAZIONE CIVILE, SEZ. LAV., 12 MAGGIO 2009, N. 10867 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg.ri magistrati: dott. Sciarelli Guglielmo - presidente dott. Vidiri Guido - consigliere dott. Zappia Pietro - rel. consigliere dott. Curzio Pietro - consigliere dott. Meliaò Giuseppe - consigliere ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 26886/2006 proposto da: B.A., elettivamente domiciliato in Roma, piazzale Clodio 14, presso lo studio dell'avvocato graziani andrea, rappresentato e difeso dall'avvocato Colucci Angelo, giusta procura speciale atto notar Chiantini Simone di Milano del 22/01/09, rep. 8959; ricorrente contro F.I.G.C. Federazione Italiana Gioco Calcio e A.I.A. Associazione Italiana Arbitri; intimati sul ricorso 31827/2006 proposto da F.I.G.C. Federazione Italiana Gioco Calcio e A.I.A. Associazione Italiana Arbitri, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma, via Po 9, presso lo studio dell'avvocato Gallavotti Mario, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato Veneto Gaetano, giusta mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale; controricorrenti e ricorrenti incidentali contro B.A..; 126 GIURISPRUDENZA Cassazione Civile n°10867.… intimato avverso la sentenza n. 4731/2005 della Corte d'Appello di Roma, depositata il 06/10/2005 r.g.n. 9835/03; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/03/2009 dal consigliere dott. Zappia Pietro; udito l'avvocato Graziani Gianfranco; udito l'avvocato Veneto Gaetano; udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott. Riello Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso. FATTO Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, depositato in data 20.5.2002 B.A., premesso di avere svolto l'attività di arbitro di calcio quale associato all'Associazione Italiana Arbitri (A.I.A.) della Federazione Italiana Gioco Calcio (F.I.G.C.), essendo stato inserito dal (OMISSIS) tra gli arbitri della prima Categoria Nazionale Interregionale, venendo promosso dal (OMISSIS) ad arbitrare gli incontri della serie C, per poi passare nel (OMISSIS) a dirigere partite di serie A e B percependo quindi uno stipendio fisso mensile e dedicando gran parte della giornata agli allenamenti, e premesso che nel (OMISSIS) aveva interrotto, a causa dell'impegno conseguente alla suddetta attività arbitrale, il proprio rapporto lavorativo con la Pirelli s.p.a., presso la quale svolgeva la propria opera dal (OMISSIS), esponeva che con lettera del 2.7.2001, al termine della stagione sportiva (OMISSIS), l'A.I.A. gli aveva comunicato che non era più confermato nel ruolo di arbitro, senza addurre alcuna motivazione e senza che lo stesso avesse mai ricevuto note di demerito nel corso della predetta stagione sportiva. Ritenendo l'illegittimità di tale condotta, chiedeva che il giudice adito, accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la F.I.G.C., o in subordine l'A.I.A., ed esso ricorrente, a decorrere dal luglio 1993 o comunque dal luglio 1999, volesse dichiarare il diritto di esso ricorrente alla regolarizzazione della propria posizione contributiva, e volesse dichiarare la illegittimità, nullità o inefficacia del recesso intimatogli con la predetta nota del 2.7.2001, adottando le conseguenti determinazioni; in subordine chiedeva che venisse dichiarata l'esistenza di un rapporto di 127 GIURISPRUDENZA Cassazione Civile n°10867.… ollaborazione coordinata e continuativa o, in ulteriore subordine, di un contratto a prestazioni corrispettive, condannando altresì la F.I.G.C., o in subordine l'A.I.A, al risarcimento dei danni per la lesione alla professionalità ed all'immagine di esso ricorrente. Con vittoria di spese e compensi. Istauratosi il contraddittorio, si costituivano la F.I.G.C. e l'A.I.A., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, eccependo preliminarmente la carenza di giurisdizione del giudice adito, e chiedendo comunque il rigetto del ricorso. Con sentenza in data 25.3.2003 il Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, affermata la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, rigettava la domanda proposta dal ricorrente, condannando lo stesso al pagamento delle spese di giudizio. Avverso tale sentenza proponeva appello il B. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l'accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo; e proponevano altresì appello incidentale la F.I.G.C. e l'A.I.A., reiterando il dedotto difetto di giurisdizione del giudice adito. La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 8.6.2005, rigettava entrambe le impugnazioni - principale ed incidentale - proposte, compensando tra le parti le spese del suddetto grado del giudizio. Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione B.A., con quattro motivi di impugnazione. Resistono con controricorso la F.I.G.C. e l'A.I.A., che propongono a loro volta ricorso incidentale in ordine alla ritenuta giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria. La causa è stata rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte in relazione al motivo di ricorsoincidentale concernente la giurisdizione. Con sentenza in data 11.3.2008 le Sezioni Unite, riuniti i ricorsi, rigettavano il ricorso incidentale e dichiaravano la giurisdizione del giudice ordinario; rinviavano la causa a questa Sezione Lavoro per l'esame dei motivi del ricorso principale. Il ricorrente principale ha depositato memoria di costituzione di nuovo procuratore. Le controparti hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c.. 128 GIURISPRUDENZA Cassazione Civile n°10867.… DIRITTO Col primo motivo di gravame il ricorrente principale lamenta violazione delle norme sull'effetto devolutivo dell'appello e sulla specificità dei motivi (art. 434 c.p.c.; art. 409 c.p.c., n. 3); presunta mancata riproposizione della domanda in via subordinata di riconoscimento del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (art. 409 c.p.c., n. 3) e della domanda risarcitoria concernente il danno alla professionalità ed all'immagine; nonchè omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). In particolare rileva il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto la violazione delle regole sull'effetto devolutivo dell'appello conseguente alla mancata riproposizione di tali domande, atteso che una attenta lettura dei motivi di appello avrebbe consentito di rilevare la presenza di un palese riferimento anche alle domande suddette; pertanto la Corte d'appello, ritenendo l'inammissibilità del gravame per la mancanza di specifico motivo di impugnazione, era incorsa nella violazione dell'art. 345 c.p.c.. Col secondo motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c. e dell'art. 437 c.p.c., nonchè contraddittoria motivazione della decisione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Rileva invero il ricorrente che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto l'inammissibilità, in quanto deduzione nuova, della invocata fittizietà del rapporto associativo sebbene il B., con i motivi D) ed E) dell'appello, nel contestare la sentenza di primo grado ribadendo le modalità concrete del rapporto, avesse svolto delle mere difese ribadendo il superamento della volontà negoziale espressa al tempo dell'adesione al c.d. patto associativo, nonchè l'assenza dei requisiti tipici del predetto rapporto associativo. Nell'ambito di tale motivo il ricorrente lamenta altresì violazione e falsa applicazione delle norme relative alla valutazione delle prove ed in particolare nel processo del lavoro (artt. 115, 412 e 437 c.p.c.), nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione sulle istanze istruttorie e sulla produzione documentale dell'appellante in primo e secondo grado (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5); in particolare rileva che i giudici di merito avevano violato le norme in materia di poteri istruttori del giudice del lavoro basandosi sull'erroneo presupposto che l'esistenza di un rapporto associativo escludeva in radice la possibilità di un rapporto di lavoro subordinato (tale censura nella memoria ex art. 378 c.p.c., costituisce un autonomo capo di impugnazione). 129 GIURISPRUDENZA Cassazione Civile n°10867.… Col terzo motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione di legge: artt. 112 e 113 c.p.c., ed art. 409 c.p.c.; non corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Rileva in particolare il ricorrente che l'oggetto principale del giudizio incoato era costituito dalla richiesta di accertamento della esistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra lo stesso e la F.I.G.C., o in subordine l'A.I.A, da cui discendevano le ulteriori domande di regolarizzazione contributiva, declaratoria di illegittimità del licenziamento, reintegra o riammissione nel posto di lavoro, corresponsione di somme, risarcimento del danno alla professionalità, nonchè le altre domande proposte in via subordinata. A fronte di tali richieste la Corte d'appello aveva palesemente ignorato la domanda principale di accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, essendosi limitata semplicemente a dichiarare a priori ed in astratto l'inesistenza di tale rapporto, senza analizzare il caso concreto. Col quarto motivo di gravame il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., commi 3 e 5, violazione delle norme in materia di diritto del lavoro (artt. 4 e 35 Cost.; art. 2094 c.c.; art. 409 c.p.c., comma 3). In particolare il ricorrente rileva che erroneamente la Corte territoriale, violando le norme interpretative in materia di controversie di lavoro, aveva in definitiva ritenuto una presunta prevalenza delle norme del diritto sportivo su quelle dell'ordinamento statale poste a tutela del lavoro subordinato. Per contro, le diverse finalità ed i diversi ambiti di applicazione dei due ordinamenti, non consentono di dubitare che le prime hanno valenza ed efficacia esclusivamente all'interno dell'ordinamento sportivo medesimo, mentre le seconde, in quanto poste a tutela del lavoro, hanno rilevanza esterna e devono essere quindi necessariamente prese in considerazione dal giudice quando viene sottoposto al suo giudizio l'accertamento dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato. E pertanto, una volta rilevato che le finalità ludiche delle associazioni sportive erano ampiamente superate dalle finalità agonistiche e dalle motivazioni economiche ne derivava, come verificatosi nel caso di specie, che l'attività sportiva dell'arbitro veniva ad inserirsi nell'ambito della struttura dell'associazione non solo per i fini istituzionali che la stessa persegue (quelli ludici appunto) ma anche per quelli di guadagno (diritti televisivi, sponsor): di qui la necessità di qualificare l'arbitro di calcio quale lavoratore subordinato, perfettamente inserito nella "azienda calcio" al cui servizio mette la propria prestazione. 130 GIURISPRUDENZA Cassazione Civile n°10867.… Pertanto l'esistenza di un rapporto associativo non è ostativo al riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, perchè tale conclusione sarebbe in sostanziale contrasto con l'impianto della L. n. 91 del 1981 sul c.d. lavoro sportivo. Per contro rileva il ricorrente che nulla aveva detto l'impugnata sentenza in ordine alla legge sul professionismo sportivo, salvo ad escluderne l'applicabilità in quanto legge speciale, e senza dire quale altra legge sarebbe applicabile nel caso di specie, al fine della qualificazione giuridica della fattispecie in oggetto. Il primo motivo di ricorso è infondato. Sul punto ritiene il Collegio di dover innanzi tutto rilevare che, per come a più riprese evidenziato da questa Corte, l'interpretazione dell'atto di appello (e quindi del suo contenuto) spetta esclusivamente al giudice del gravame, e può essere sindacato in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici ovvero per contraddittorietà o insufficienza della motivazione: circostanze che non si sono verificate nel caso di specie. Giova invero evidenziare in proposito che, per costante orientamento giurisprudenziale, nell'atto di appello devono essere specificamente individuate le statuizioni concretamente impugnate, e devono essere altresì esposte, con sufficiente grado di specificità, le ragioni sulle quali, in relazione a ciascuna statuizione impugnata, si fondano i motivi di dissenso dell'appellante. Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale ha rilevato che siffatta specifica indicazione si appalesava carente non soltanto con riferimento - siccome riconosciuto dallo stesso ricorrente alla censura concernente la domanda di risarcimento del danno, ma anche con riferimento alla ulteriore censura concernente la sussistenza di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa ovvero di un contratto a prestazioni corrispettive, "essendo tutti i motivi formulati dal B. in realtà riferiti all'esistenza, nei fatti, di un rapporto di lavoro subordinato". Il rilievo, in punto di diritto, è senz'altro esatto, trattandosi di istituti diversi dal rapporto di lavoro subordinato, aventi differenti presupposti e differente disciplina; e pertanto deve ritenersi corretto sotto il profilo del rispetto dei canoni emeneutici e correttamente motivato l'assunto della Corte territoriale circa l'assenza di alcuna specifica impugnazione sul punto, laddove la Corte predetta ha rilevato che tutti i motivi formulati dal B. si riferivano alla esistenza, nei fatti, di un rapporto di lavoro subordinato, di talchè il motivo di appello indicato al capo F) non poteva riferirsi anche alle domande subordinate, mancando qualsivoglia specifico motivo di censura sul punto relativo alla esistenza di un diverso rapporto di parasubordinazione. Pertanto correttamente la Corte territoriale ha ritenuto l'inammissibilità del gravame sul punto, atteso che nell'atto di appello alla parte volitiva deve sempre necessariamente accompagnarsi la 131 GIURISPRUDENZA Cassazione Civile n°10867.… parte argomentativa, non essendo tra l'altro sufficiente che il gravame consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate ma essendo necessario che alle argomentazioni svolte nell'impugnata sentenza l'impugnante contrapponga delle specifiche argomentazioni atte ad inficiare, in relazione alle singole e diverse statuizioni contestate, il fondamento logico giuridico delle stesse (Cass. SS.UU., 29.1.2000 n. 16). Il ricorso non può quindi sul punto trovare accoglimento. Del pari infondato è il secondo motivo di gravame. Osserva il Collegio che in realtà l'assunto del ricorrente secondo cui la deduzione in ordine al carattere fittizio, a decorrere da un determinato momento, del rapporto associativo intercorso fra le parti non costituirebbe una deduzione nuova in appello ma integrerebbe una mera difesa risolvendosi in buona sostanza in una semplice evidenziazione della modalità concrete del rapporto in questione da cui emergerebbe in maniera palese il superamento della volontà negoziale espressa originariamente al momento della adesione al patto associativo, si appalesa non condivisibile. Devesi in proposito evidenziare che nel processo del lavoro si ha introduzione di una domanda nuova per modificazione della causa petendi, non consentita in appello, quando gli elementi prospettati in giudizio, se pur già esposti nell'atto introduttivo, vengono dedotti in grado di appello con una differente portata, atteso che in tal modo non viene in rilievo solo una diversa qualificazione giuridica dei fatti, ma si introduce nel giudizio un nuovo tema di indagine che altera l'oggetto sostanziale dell'azione ed i termini della controversia, con conseguente violazione della lealtà del contraddittorio ma soprattutto del principio del doppio grado di giurisdizione (Cass. sez. lav., 23.3.2006 n. 6431; Cass. sez. lav., 20.10.2005 n. 20265). E siffatta situazione si è verificata nel caso di specie ove si osservi che, per come correttamente rilevato dai giudici del gravame, il ricorso in primo grado era basato sulla natura subordinata (o parasubordinata) del rapporto intercorso, e non anche sul carattere fittizio, a decorrere da un dato momento, dello stesso, mai in realtà dedotto nel giudizio di primo grado; e pertanto i rilievi svolti dall'odierno ricorrente, concernenti l'assenza dei requisiti tipici del rapporto associativo ed il preteso superamento della volontà negoziale originariamente espressa, non costituiscono semplice richiamo ai fatti precedentemente esposti, ma introducono in realtà nel giudizio un nuovo tema di indagine mai percorso nel precedente grado del giudizio, come tale non consentito ai sensi dell'art. 437 c.p.c.. Il ricorso sul punto è pertanto infondato. Ad analoghe conclusioni ritiene il Collegio di dover pervenire per quel che riguarda il terzo motivo di gravame, concernente la dedotta violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., per mancanza di 132 GIURISPRUDENZA Cassazione Civile n°10867.… corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, sotto il profilo che la Corte territoriale avrebbe ignorato la domanda di accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro istauratosi tra le parti, essendosi limitata semplicemente a declamare, non in concreto bensì in astratto, la inesistenza a priori di un siffatto rapporto. Orbene, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (fra le altre, Cass. sez. lav., 13.9.2006 n. 1958; Cass. sez. lav., 12.5.2006 n. 11039) che la motivazione in fatto della sentenza d'appello - la quale confermi, come nella specie, la sentenza di primo grado - può risultare dalla integrazione della parte motiva delle due sentenze. E pertanto deve escludersi, nel caso di specie, il denunciato vizio motivazionale ove si osservi che il giudice di primo grado aveva correttamente rilevato che, essendo il B. un tesserato della F.I.G.C., in quanto arbitro di calcio facente parte quindi dell'A.I.A. e prestando la propria attività per detta associazione, e non potendo l'attività suddetta essere ricondotta ad un rapporto subordinato o a qualsivoglia rapporto a prestazioni corrispettive se non nel caso in cui l'attività (sportiva) del tesserato non coincida affatto con l'oggetto e con lo scopo istituzionale della Federazione, doveva escludersi che l'attività dello stesso potesse essere ricondotta ad un rapporto di lavoro subordinato, integrando per contro adempimento del patto associativo per l'esercizio in comune dell'attività sportiva. E ciò coerentemente alla cospicua giurisprudenza sul punto che ha costantemente evidenziato che il vincolo associativo avente un determinato oggetto può essere ricondotto ad un rapporto di collaborazione subordinata fra i medesimi soggetti solo qualora l'attività svolta esuli dal contenuto dell'oggetto sociale e non coincida con il conseguimento dei fini istituzionali dell'associazione; con la ulteriore precisazione che lo stabilire se sussista in concreto, a fianco del rapporto associativo, un ulteriore e diverso rapporto di subordinazione, si risolve in un accertamento di fatto, demandato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità ove risulti congruamente motivato (Cass. sez. lav., 16.11.1978 n. 5325; Cass. sez. lav., 8.6.1977 n. 2360; Cass. sez. 1^, 23.7.1969 n. 2772; Cass. sez. 2^, 29.7.1965 n. 1826). Orbene nel caso di specie la Corte territoriale ha correttamente rilevato che il B., tesserato della F.I.G.C., in qualità di arbitro appartenente all'A.I.A., aveva liberamente accettato il rapporto associativo, con tutti i diritti e gli obblighi ad esso inerenti, diversi dai diritti e dagli obblighi propri del rapporto di lavoro subordinato; e le concrete modalità di svolgimento dell'attività di arbitro erano state sempre determinate secondo le norme dell'ordinamento sportivo che disciplinavano il rapporto associativo, nell'ambito ed in ragione di detto rapporto, conformemente cioè alle finalità istituzionali dell'associazione cui aveva aderito in qualità di tesserato. 133 GIURISPRUDENZA Cassazione Civile n°10867.… Ed in tale ottica rimangono ovviamente superate le ulteriori deduzioni dell'interessato concernenti la maggiore gravosità degli impegni conseguenti al passaggio alle serie superiori, e quindi il carattere autenticamente retributivo dei compensi corrispostigli, trattandosi di deduzioni meramente in fatto, che i giudici di merito hanno ritenuto, per le considerazioni in precedenza svolte circa la rilevanza del vincolo associativo e dell'inserimento dell'attività svolta nei fini propri dell'associazione, di dover implicitamente disattendere. Nè appare conferente il richiamo, operato dal ricorrente, alla norma di cui alla L. 23 marzo 1981, n. 91, art. 2, avendo la giurisprudenza sul punto evidenziato il carattere tassativo delle figure di professionisti sportivi indicate dalla disposizione suddetta (Cass. sez. lav., 11.4.2008 n. 9551), fra cui non rientra quella dell'arbitro; donde la inapplicabilità della relativa normativa. Quale logico corollario delle suddette premesse la Corte territoriale ha rilevato che, dovendosi ritenere la permanenza del rapporto associativo anche dopo il passaggio del B. alle serie superiori atteso che le modalità concrete di svolgimento dell'attività di arbitro evidenziavano che in tale rapporto - e non in un diverso rapporto di lavoro subordinato - trovavano origine e ragione le prestazioni dello stesso, risultavano superate le deduzioni dell'appellante circa la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Tale conclusione porta al superamento dell'ulteriore censura, sollevata all'interno del secondo motivo di gravame (terzo motivo nella memoria ex art. 378 c.p.c.), concernente l'omesso espletamento della chiesta attività istruttoria e l'omessa ammissione dei documenti prodotti in secondo grado, nonchè la non corretta valutazione delle prove documentali in atti. Sul punto occorre premettere che - come questa Corte ha affermato a più riprese - il giudice del merito non è tenuto ad ammettere i mezzi di prova dedotti dalle parti ove ritenga sufficientemente istruito il processo e ben può, nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali insindacabili in cassazione, non ammettere le dedotte prove testimoniali o documentali quando, alla stregua di tutte le altre risultanze di causa, valuti le stesse come inconducenti. Trattasi di valutazione demandata al potere discrezionale del giudice di merito con apprezzamento che, se congruamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità. Nella specie la Corte d'appello ha in via preliminare focalizzato la propria attenzione sulla circostanza che l'attività di arbitro, in quanto svolta in qualità di tesserato all'interno dell'Associazione Italiana Arbitri e coerentemente all'oggetto ed allo scopo istituzionale della F.I.G.C., non poteva essere ricondotta ad un rapporto di lavoro subordinato o a qualsivoglia rapporto a prestazioni corrispettive, integrando in realtà adempimento del patto sociale. 134 GIURISPRUDENZA Cassazione Civile n°10867.… Orbene, il procedimento logico - giuridico sviluppato nell'impugnata decisione a sostegno delle riportate conclusioni è ineccepibile in quanto coerente e razionale e frutto di una completa valutazione delle risultanze di causa. Coerentemente, quindi, la Corte territoriale ha ritenuto la non rilevanza dell'attività istruttoria sollecitata dall'appellante, ritenendo comunque la non configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato: si tratta di un giudizio sorretto da motivazione congrua ed adeguata che sfugge quindi al sindacato in questa sede di legittimità. Pertanto neanche sotto tale profilo il proposto gravame può trovare accoglimento. In ordine all'ultimo motivo di gravame osserva il Collegio che nessuna violazione dei canoni ermeneutici in materia di controversie del lavoro è stata posta in essere dalla Corte d'Appello, non avendo la stessa giammai ritenuto una presunta prevalenza delle norme del diritto sportivo su quelle dell'ordinamento statale poste a tutela del lavoro subordinato; ed invero i giudici di merito, con motivazione assolutamente coerente e logica che questo Collegio condivide pienamente essendosi questa Corte, per come detto, a più riprese pronunciata sulla specifica questione, hanno rilevato che in presenza di un vincolo associativo fra più soggetti per lo svolgimento di una determinata attività, e quindi anche in presenza del patto associativo esistente fra i tesserati all'A.I.A., l'attività posta concretamente in essere dagli associati può essere ricondotta ad un ulteriore (e diverso) rapporto di lavoro subordinato o comunque a prestazioni corrispettive, solo non nel caso in cui l'attività dell'associato esuli dall'oggetto e dalle finalità dell'associazione; e del pari la Corte territoriale ha altresì evidenziato, sulla base - per come detto - di un accertamento di fatto non suscettibile di sindacato in sede di giudizio di legittimità, che le concrete modalità di espletamento dell'attività di arbitro da parte del ricorrente si erano sempre svolte secondo le norme dell'ordinamento sportivo che disciplinavano il rapporto associativo, nell'ambito ed in ragione di detto rapporto, conformemente cioè alle finalità istituzionali dell'associazione cui aveva aderito in qualità di tesserato. Alla stregua di quanto sopra i giudici di merito hanno in buona sostanza ritenuto non già una inammissibile prevalenza delle norme dell'ordinamento sportivo su quelle dell'ordinamento statale in materia di rapporto di lavoro subordinato, bensì la non applicabilità nel caso di specie delle norme lavoristiche in tema di rapporto di lavoro subordinato (o parasubordinato) in considerazione della esistenza fra i soggetti di un vincolo associativo e della riconducibilità delle prestazioni effettuate all'oggetto sociale. 135 GIURISPRUDENZA Cassazione Civile n°10867.… Trattasi invero di un concetto di pacifica applicazione, che rileva non solo nell'ambito delle associazioni sportive ma in qualsiasi contesto in cui sia ravvisarle un vincolo associativo e lo svolgimento di prestazioni nell'ambito del contratto sociale. Deve escludersi pertanto la dedotta violazione delle norme lavoristiche, per la semplice ragione che le stesse in realtà - alla stregua della ricostruzione del rapporto operata dai giudici di merito con motivazione del tutto aderente alle proprie premesse in fatto ed in diritto ed in questa sede non sindacabili - non possono trovare applicazione. Nè può ritenersi alcuna violazione delle disposizioni di cui alla L. 23 marzo 1981, n. 91 contenente norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti. Ed invero questa Corte ha rilevato che l'art. 2 della legge predetta opera una distinzione tra le figure tassativamente indicate di sportivi professionisti (atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici), che esercitano attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI, cui va applicata la L. 23 marzo 1981, n. 91, e gli altri sportivi professionisti non indicati in detta disposizione, il cui rapporto di lavoro, qualora ne ricorrano gli estremi, è assoggettato invece alle generali norme regolanti il rapporto di lavoro subordinato (Cass. sez. lav., 11.4.2008 n. 9551). Ed ha altresì rilevato che per tali figure di lavoratori sportivi, diverse da quelle contemplate nel predetto della L. n. 91 del 1981, art. 2, la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione deve essere accertata di volta in volta nel caso concreto, in applicazione dei criteri forniti dal diritto comune del lavoro (Cass. sez. lav., 8.9.2006 n. 19275; Cass. sez. lav., 28.12.1996, n. 11540). Alla stregua di quanto sopra deve ritenersi, per tabulas, la inapplicabilità nei confronti dell'arbitro della normativa dettata dal suddetto testo legislativo, non essendo l'arbitro ricompreso nella categoria degli sportivi professionisti cui, in base al dettato della art. 2 legge predetta, la norma in questione può trovare applicazione. E deve ritenersi altresì la inapplicabilità nei confronti dello stesso della normativa lavoristica in tema di rapporto di lavoro subordinato, stante l'esistenza di un rapporto associativo dell'arbitro di calcio, in quanto tesserato con la F.I.G.C. e facente quindi parte dell'A.I.A., di talchè le prestazioni svolte allo stesso, a prescindere dalla gravosità degli impegni e dalla presenza di una remunerazione, integrano adempimento del patto associativo per l'esercizio in comune dell'attività sportiva. A meno che l'attività svolta esuli dal contenuto dell'oggetto sociale nel qual caso può ritenersi, per come detto, l'esistenza (o anche la coesistenza) di un rapporto di lavoro subordinato, in relazione a tale diversa attività, sulla base di un accertamento di fatto demandato al giudice di 136 GIURISPRUDENZA Cassazione Civile n°10867.… merito e non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Il ricorso va di conseguenza rigettato. Rileva il Collegio, per quel che riguarda il regolamento delle spese processuali relative al giudizio di legittimità, che, avuto riguardo alla sentenza delle Sezioni Unite la quale, dopo aver proceduto alla riunione dei ricorsi proposti avverso l'impugnata sentenza, ha rigettato il ricorso incidentale proposto dalla F.I.G.C. e dall'A.I.A., ricorrono giusti motivi, in ragione della reciproca soccombenza, per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese relative al presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte: Vista la sentenza delle sezioni unite che, riuniti i ricorsi, ha rigettato il ricorso incidentale, rigetta altresì il ricorso principale; compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, il 4 marzo 2009. Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2009. 137 GIURISPRUDENZA Trasferimento del titolo sportivo.… Corte d’Appello di Torino Sezione lavoro 28 ottobre 2008 Pres. rel. Peyron. Segnalazione del Dott. Paolo Giovanni Demarchi Lavoro subordinato – Trasferimento d’azienda – Trasferimento del titolo sportivo a in base alle Norme della FIGC – Conservazione dell’identità – Sussistenza – Trasferimento di beni immateriali – Irrilevanza – Inesistenza di rapporto contrattuale – Irrilevanza – Applicazione dell’art. 2112 cod. civ. – Prosecuzione del rapporto di lavoro subordinato – Sussistenza. Il trasferimento del titolo sportivo da una società ad un'altra, attuato dalla FIGC ai sensi dell’art. 52 delle Norme FIGC, presuppone il mutamento di titolarità dell’attività economica organizzata preesistente e la conservazione in capo alla seconda società dell’identità della precedente, pur in assenza del trasferimento di beni materiali organizzati. Indipendentemente da un rapporto contrattuale diretto tra le due società, sussistono pertanto in ispecie i requisiti richiesti dall’art. 2112 cod. civ. per il trasferimento d’azienda, con conseguente applicazione del regime inderogabile previsto da tale norma a garanzia della prosecuzione del rapporto di lavoro e della conservazione dei diritti che ne derivano. (fb) 138 GIURISPRUDENZA Trasferimento del titolo sportivo.… S ENTEN ZA nella causa di lavoro iscritta al n.ro 756/2008 R.G.L. promossa da: B. P. M., C.F.: *, residente in **, rappresentato e difeso, per delega in calce al ricorso introduttivo, dall’avv. **. APPELLANTE CONTRO TORINO F.C. S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv.ti **. APPELLATA Oggetto: Qualificazione. CONCLUSIONI Per l’appellante: “Voglia la Corte Ecc.ma respinta ogni diversa domanda, eccezione istanza, Nel merito: - dichiarare che tra il prof. B. e la Torino F.C. Spa, a partire dal 26 luglio 2005, ovvero dal 13 agosto 2005, ovvero dalla data meglio vista dal Giudicante, si è concluso, per effetto del passaggio ex artt. 2112 c.c. et 52 Norme Fgci oppure per effetto del rapporto di fatto instauratosi anche in forza di autonomi e autosufficienti atti di assunzione, un contratto di lavoro subordinato; 139 GIURISPRUDENZA Trasferimento del titolo sportivo.… - dichiarare la nullità, l’inefficacia e l’illegittimità del licenziamento comminato oralmente dalla Torino F.C. spa nei confronti del prof. M. B. in data 28 settembre 2005; - dichiarare mai cessato il rapporto di lavoro tra il prof. B. e la Torino F.C. Spa, ovvero, in subordine, condannare la Torino F.C. Spa a reintegrare il prof. M. B. nel posto di lavoro (con riserva di scegliere l’alternativa di cui all’art. 18 L. 300/70); - dichiarare che l’inquadramento è quello di impiegato di 4° livello, con mansioni di massaggiatore sportivo e massofisioterapista, rieducatore funzionale; che la retribuzione è quantomeno quella di € 4.339,83 lordi, pari a quanto percepito dal ricorrente da parte della Torino calcio spa, condannando la Torino FC spa al pagamento del dovuto, sulla base della retribuzione globale del prof. B., quale determinata mediante l’esame delle buste paga, ovvero determinanda mediante eventuale ctu; - condannare la Torino F.C. Spa a risarcire il danno per l’ingiustificato licenziamento, in misura non inferiore a 5 mensilità di retribuzione globale di fatto, oltre a tutte le retribuzioni maturate e maturande dal licenziamento all’effettivo reintegro (ovvero alla data di scelta dell’indennità sostitutiva della reintegrazione); In subordine, salvo gravame, ove ritenuta operante la L. 604/66, così come modificata dalla L. 108/90, - dichiarare l’inefficacie, invalidità e illegittimità del licenziamento disposto dalla Torino F.C. Spa nei confronti del prof. M. B.; - condannare la Torino F.C. Spa a riassumere il medesimo prof. M. B. o in alternativa a indennizzare il danno in misura non inferiore a 6 mensilità di retribuzione globale di fatto. In ogni caso - condannare la Torino F.C. Spa al risarcimento del danno nella stessa misura prevista dall’art. 18 L. 300/70, e comunque al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento a quello dell’effettivo reintegro, che parimenti si chiede. - Condannare la Torino F.C. al pagamento delle retribuzioni maturate dal 26 luglio 2005 al 28 settembre 2005, in misura pari ad € 8.680 lordi; - Con le spese (oltre Iva, Cpa, spese forfettarie)”. 140 GIURISPRUDENZA Trasferimento del titolo sportivo.… Per l’appellata: “Voglia la Corte d’Appello di Torino – Sezione Lavoro rigettare l’appello proposto contro la sentenza in epigrafe indicata (Tribunale Torino – Lavoro n. 1694/2007) confermando la sentenza stessa, con ogni conseguenza”. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato il 12.7.2006 B. P. M., premesso di esser stato alle dipendenze di Torino Calcio spa come massaggiatore sportivo e massioterapista dal 1.7.1997 con retribuzione da ultimo di euro 4.339,83, chiese dichiararsi l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con Torino FC spa (già Società Civile Campo Torino) da date variabili (o 26.7.2005 o 13.8.2005 o altra) alternativamente: a) per applicazione dell’art. 2112 c.c. e 52 norme FIGC; b) per esser sorto nell’agosto 2005 un rapporto di fatto con detta società; di conseguenza impugnò il licenziamento orale intimatogli il 28.9.2005 con le conseguenze di reintegrazione e risarcimento danni. Con sentenza 15.3/13.6.2007, non notificata, il tribunale respinse il ricorso, compensando le spese. Con ricorso depositato l’11.6.2008 il B. propone appello assumendo le conclusioni sopra riportate. Resiste l’appellato chiedendo respingersi l’appello. La causa è stata oralmente discussa e decisa come da dispositivo in calce. MOTIVI DELLA DECISIONE Il tribunale ha respinto le domande sotto entrambi i profili: ha negato che tra il B. e Torino F.C. spa sia sorto, di fatto, un rapporto di lavoro ex novo in relazione all’attività lavorativa dal medesimo prestata nel periodo 19.8/28.9.2005; ha altresì negato che tra Torino Calcio spa e Torino F.C. spa si sia realizzato un trasferimento di azienda comportante la prosecuzione dei rapporti di lavoro ex art. 2112 c.c.; scrive al riguardo il tribunale - dopo aver affermato che, come sostenuto concordemente dalle parti, la fattispecie posta in essere è stata quella prevista dall’art. 52 comma 6° e non quella del comma 3° Norme FIGC – che “secondo la chiara lettera della norma, la fattispecie 141 GIURISPRUDENZA Trasferimento del titolo sportivo.… di cui al 6° comma dell’art. 52 esclude il passaggio d’azienda, ed è quanto si è verificato nel caso di specie, al di là di ogni ragionevole dubbio. Le allegazioni di parte ricorrente (v. i doc. prodotti in data 2.1.07 e cioè medaglie, schede e raccoglitore allegati ai quotidiani, pagine pubblicitarie, articoli di giornale ecc.) mirano a dimostrare una sorta di “continuità”, in quanto fanno riferimento alla non interrotta storia della squadra granata, fondata nel 1906 e di cui la spa Torino F.C. mostrerebbe aver raccolto l’eredità. Di eredità si tratta, ma certamente non in termini di stretto diritto: eredità “morale” per così dire, di storia, di tifoseria, di squadra ma evidentemente un conto è la passione sportiva, la tradizione e l’attaccamento ad una squadra, ai simboli (logo, colore ecc.) aspetti su cui fanno leva le pubblicazioni prodotte e un conto sono le obbligazioni civilisticamente rilevanti …”. L’appellante ripropone entrambe le tesi. In fatto è pacifico: - che il B. era dipendente dal 1997 del Torino Calcio spa con mansioni di massaggiatore sportivo, massioterapista addetto alla squadra Primavera; - che il Torino Calcio spa (che nell’anno 2004/2005 aveva partecipato al campionato di serie B ed ottenuto la promozione in serie A) a seguito di irregolarità amministrative fu privato dalla FIGC del titolo sportivo, requisito necessario per potersi iscrivere al campionato successivo, a seguito di lodo 26.7.2005 del collegio arbitrale della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport (doc. 2 appellante); - che, avvalendosi del c.d. Lodo Petrucci (riportato nel doc. 1 appellata), la Società Campo Civile Torino srl, costituitasi a fine 2004, ottenne il titolo sportivo ex art. 52 comma 6° delle Norme organizzative interne della FIGC per cui potè iscrivere la squadra al campionato 2005/2006 in serie B; - che il 26.8.2005 la Società Campo Civile Torino srl mutò il nome in Torino Football Club srl, poi le quote vennero cedute alla Stella srl e la società si trasformò in spa ed assunse il nome di “Torino Football Club s.p.a.” o, in forma abbreviata, “Torino F.C. s.p.a”, vicende che attengono alla struttura societaria ma non hanno certamente dato luogo ad un episodio di trasferimento di azienda; 142 GIURISPRUDENZA Trasferimento del titolo sportivo.… - che il 28.9.2005 il B., che aveva continuato a seguire gli allenamenti della squadra Primavera, venne allontanato da un incaricato della Torino FC spa dal campo sul quale la squadra stava per giocare una partita di Coppa Italia; - che con lettera 10.10.2005 del liquidatore della Torino Calcio spa il B. venne licenziato dalla stessa con corresponsione dell’indennità di preavviso. L’art. 52 delle Norme FIGC recita: 1.Il titolo sportivo è il riconoscimento da parte della F.I.G.C. delle condizioni tecniche sportive che consentono, concorrendo gli altri requisiti previsti dalle norme federali, la partecipazione di una società ad un determinato Campionato. 2. In nessun caso il titolo sportivo può essere oggetto di valutazione economica o di cessione. 3. Il titolo sportivo di una società cui venga revocata l’affiliazione ai sensi dell’art. 16, comma 6, può essere attribuito, entro il termine della data di presentazione della domanda di iscrizione al campionato successivo, ad altra società con delibera del Presidente federale, previo parere vincolante della COVISOC ove il titolo sportivo concerna un campionato professionistico, a condizione che la nuova società, con sede nello stesso comune della precedente, dimostri nel termine perentorio di due giorni prima, esclusi i festivi, di detta scadenza: 1) di avere acquisito l’intera azienda sportiva della società in stato di insolvenza; 2)di aver ottenuto l’affiliazione alla F.I.G.C.; 3) di essersi accollata e di aver assolto tutti i debiti sportivi della società cui è stata revocata l’affiliazione ovvero di averne garantito il pagamento mediante rilascio di fideiussione bancaria a prima richiesta; 4) di possedere un adeguato patrimonio e risorse sufficienti a garantire il soddisfacimento degli oneri relativi al campionato di competenza; 4. …. 5. …. 6. In caso di non ammissione al campionato di serie A, B o C1 di una società costituente espressione della tradizione sportiva italiana e con un radicamento nel territorio di appartenenza comprovato da una continuativa partecipazione, anche in serie diverse, ai campionati professionistici di Serie A, B, C1 e C2 negli ultimi dieci anni, ovvero, di una partecipazione per almeno venticinque anni nell’ambito del calcio professionistico, la FIGC, sentito il Sindaco della città interessata, può attribuire, a fronte di un contributo straordinario in favore del Fondo di 143 GIURISPRUDENZA Trasferimento del titolo sportivo.… Garanzia per Calciatori ed Allenatori di calcio, il titolo sportivo inferiore di una categoria rispetto a quello di pertinenza della società non ammessa ad altra società, avente sede nella stessa città della società non ammessa, che sia in grado di fornire garanzie di solidità finanziaria e continuità aziendale. Al capitale della nuova società non possono partecipare, neppure per interposta persona, né possono assumervi cariche, soggetti che, nella società non ammessa, abbiano ricoperto cariche sociali ovvero detenuto partecipazioni dirette e/o indirette superiori al 2% del capitale totale o comunque tali da determinarne il controllo gestionale, né soggetti che siano legati da vincoli di parentela o affinità entro il quarto grado con gli stessi…..”. L’appellante critica la decisione del tribunale osservando che l’art. 52 cit. è norma regolamentare che non può derogare a norma imperativa come è l’art. 2112 c.c. e che l’assegnazione del titolo sportivo comporta il trasferimento di un rilevante bene immateriale di valore economico; contesta la sentenza ove parla di “eredità morale” osservando che “grazie all’acquisizione del titolo sportivo, è stata esercitata proprio la stessa attività, sugli stessi campi, con alcuni dei precedenti giocatori (quasi tutti per quanto attiene la Primavera), utilizzando le stesse maglie (i colori sociali), lo stesso marchio (seppur, cfr. deposizione Ferrato, leggermente modificato, per evitare la ravvisabilità della continuità aziendale: come se bastasse una leggera modifica ad escluderla). La sentenza parla di simboli ma, in verità, i termini giuridici sono marchio e avviamento, che costituiscono elementi squisitamente economici, benché cc.dd. immateriali, imprescindibili ed essenziali in ogni azienda, e di cui la nuova società ha proseguito l’utilizzazione e lo sfruttamento …”. Risponde l’appellata che la fattispecie dell’art. 52 comma 6° non concreta un trasferimento di azienda poiché è basata proprio sulla discontinuità aziendale, diversamente da quella del comma 3°; che il titolo sportivo in nessun caso può essere oggetto di valutazione economica o di cessione; che difetta in radice il fenomeno della cessione di azienda, come rilevato dal tribunale. E’ palese che la fattispecie regolata dal comma 3° (che prevede l’attribuzione del titolo nella stessa categoria spettante alla società che lo ha perduto), richiedendo da parte della nuova società l’acquisizione dell’intera azienda sportiva ed il pagamento dei debiti, presuppone una cessione di azienda nel senso tradizionale mentre l’ipotesi del comma 6° (che prevede l’attribuzione del titolo nella categoria inferiore) prescinde dall’acquisizione dell’intera azienda e dal pagamento dei debiti. 144 GIURISPRUDENZA Trasferimento del titolo sportivo.… E’ pure evidente che nel caso in esame si è realizzata l’ipotesi regolata dal comma 6° dell’art. 52: la Torino F.C. non ha acquisito l’intera azienda, non ne ha pagato i debiti ed ha ottenuto il titolo sportivo inferiore, con conseguente iscrizione al campionato in serie B. Basta ciò per affermare l’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c. come ritenuto dal tribunale? Il problema è assai delicato e nuovo per la giurisprudenza. Ad avviso di questa corte non ha rilevanza, come indice di discontinuità, il divieto di partecipazione alla nuova società di soggetti che abbiano ricoperto cariche sociali od abbiano avuto partecipazioni di rilievo nella vecchia società: ciò attiene alla discontinuità degli assetti proprietari ma non incide sulla continuità aziendale e sportiva. Ritiene la corte necessaria una più approfondita indagine poiché, da un lato, il concetto di trasferimento di azienda ai fini dell’art. 2112 c.c. è certamente diverso da quello tradizionale applicabile ad altri fini e, dall’altro, si tratta di un’azienda organizzata per l’esercizio di un’attività sportiva, soggetta quindi alla normativa del settore dello sport calcistico professionistico, attività peraltro dai rilevanti risvolti economici, tanto da esserne previsto l’esercizio sotto la forma della società per azioni. L’art. 2112 c.c. prevede a tutela dei lavoratori per il caso di cessione di azienda, un regime inderogabile diverso da quello previsto in generale per tutti i contratti dell’azienda ceduta dall’art. 2558 c.c., norma invece dispositiva; in particolare garantisce ai lavoratori la prosecuzione del rapporto di lavoro e la conservazione dei diritti che ne derivano. La norma ha subìto nel tempo numerose modifiche rispetto alla formulazione originaria del 1942 (basti pensare che per questa era sufficiente la tempestiva disdetta da parte del cedente per evitare la prosecuzione del rapporto) nel costante intento di migliorare la tutela dei lavoratori; in particolare si è progressivamente ampliato il concetto di trasferimento di azienda, differenziandolo a questi fini da quello tradizionale di alienazione e facendogli assumere una connotazione specifica e propria. 145 GIURISPRUDENZA Trasferimento del titolo sportivo.… Il punto di arrivo di questo sviluppo, influenzato dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria e dalle direttive comunitarie, a loro volta modificatesi col tempo sino all’ultima 2001/23/CE, è la nuova formulazione dell’art. 2112 come sostituito dall’art. 1 d.lgs. 18/01 con decorrenza dal 1.7.2001. Il comma 5° recita: “Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento è attuato, ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda….”. Di fronte a questa norma non è sufficiente per negare il trasferimento di azienda porre in rilievo che la fattispecie realizzata è quella del comma 6° e non quella del comma 3° dell’art. 52 norme FIGC ma occorre chiedersi se l’assegnazione da parte della FIGC del titolo sportivo perso dal Torino Calcio spa alla Società Campo Civile Torino srl (poi trasformatasi in Torino F.C. spa) configuri un trasferimento d’azienda nel senso descritto dall’art. 2112 comma 5° c.c.. L’evidente particolarità del caso in esame è data dal fatto che non vi è trasferimento di beni materiali da una società all’altra ma unicamente perdita da parte della vecchia società del titolo sportivo ed acquisizione del medesimo da parte della nuova per effetto di una decisione dell’autorità sportiva FIGC. La circostanza che non vi sia stato un rapporto contrattuale diretto avente ad oggetto il trasferimento del titolo da Torino Calcio spa a Torino FC spa è irrilevante: la giurisprudenza aveva già affermato che la mancanza di tale rapporto contrattuale non osta a configurare un trasferimento di azienda (v. Cass. 21023/07; Id. 5934/04) e la dizione dell’art. 2112 comma 5° (“qualsiasi operazione … a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento è attuato”) è di tale ampiezza da ricomprendere il caso in esame. Né è dubbio che la gestione di una squadra di calcio dia luogo ad un’attività economica organizzata al fine dello scambio di servizi. 146 GIURISPRUDENZA Trasferimento del titolo sportivo.… Né, infine è dubbio che vi sia stato mutamento della titolarità dell’attività economica poiché Torino Calcio spa era soggetto preesistente e Torino FC spa è soggetto giuridico diverso (ed anche con assetto proprietario totalmente diverso). Il punto delicato è, come già sopra anticipato, se sia sufficiente il passaggio del titolo sportivo ad integrare il trasferimento di azienda. Indubbiamente la giurisprudenza ha progressivamente ampliato il concetto, giungendo ad affermare che “può configurarsi un trasferimento aziendale che abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare know how (o comunque dall’utilizzo di copyright, brevetti, marchi, ecc) …” (Cass. 206/04; Id. 19842/03). Tuttavia ritiene questa corte che la nuova formulazione della norma imponga di spingersi più avanti; essa, infatti, individua il trasferimento di azienda non già nel passaggio di beni materiali o immateriali organizzati quanto nel fatto che, attraverso non importa quale operazione, vi sia stato il mutamento di titolarità dell’attività economica organizzata preesistente e che questa conservi nel trasferimento la propria identità. La conservazione dell’identità pur in assenza di passaggio di beni materiali organizzati, è il punto decisivo e qui viene in rilievo la particolarità dell’attività economica sportiva. Certamente il passaggio di beni materiali ed immateriali organizzati facilita l’accertamento della conservazione dell’identità e, probabilmente, è sufficiente quando si tratti di normali imprese industriali o commerciali (peraltro la giurisprudenza, in tema di cessione del marchio e tutela del consumatore prima della novella del 1992, riteneva “sufficiente ad integrare la cessione del ramo di azienda la circostanza del trasferimento dei procedimenti e delle notizie indispensabili alla ripetizione, da parte del cessionario del marchio del prodotto marcato, con i suoi pregi essenziali così da non produrre confusione nel pubblico” (così in motivazione Cass. 1424/00). Per decidere sul punto occorre muovere dal quadro di fatto in cui si inserisce l’assegnazione del titolo sportivo alla nuova società a norma dell’art. 52 comma 6°. 147 GIURISPRUDENZA Trasferimento del titolo sportivo.… Presupposto per il ricorso a detta norma è che la società che ha perso il titolo sportivo sia una “società costituente espressione della tradizione sportiva italiana e con un radicamento nel territorio di appartenenza”, radicamento individuato in certi requisiti; in tal caso la FIGC, sentito il sindaco della città, può attribuire, entro termini assai stretti che consentano l’iscrizione al campionato successivo, il titolo “ad altra società, avente sede nella stessa città della società non ammessa, che sia in grado di fornire garanzie di solidità finanziaria e continuità aziendale”. La nuova società deve, quindi, aver sede nella città (per confermare il radicamento sul territorio), garantire la sua solidità finanziaria (per non ritrovarsi in breve nella situazione che ha fatto perdere il titolo sportivo alla società precedente) e la “continuità aziendale”. Cosa significa la garanzia della continuità aziendale? Non può essere, come afferma l’appellata, la garanzia della propria continuità (chè, allora, il requisito sarebbe un doppione inutile della solidità finanziaria), bensì proprio la garanzia della continuità con la precedente azienda, in modo che possa continuare la tradizione sportiva (il che, in altre parole, significa che i tifosi della vecchia squadra possano continuare ad identificarsi con la nuova). L’intento sportivo perseguito dalla FIGC è all’evidenza, si pensi anche ai ristretti tempi della procedura, quello di non lasciare “orfani” gli sportivi e di non disperdere i tifosi della squadra gestita dalla società che ha perso il titolo. Se questo è vero, ne discende che l’assegnazione del titolo sportivo non è solo un asettico “riconoscimento da parte della F.I.G.C. delle condizioni tecniche sportive che consentono, concorrendo gli altri requisiti previsti dalle norme federali, la partecipazione di una società ad un determinato Campionato” ma è soprattutto un trasferimento del patrimonio immateriale della precedente società. E questo patrimonio non ha solo un valore di eredità morale bensì un rilevante valore economico costituito dalla possibilità di sfruttare economicamente la continuità (si pensi alle sponsorizzazioni, ai diritti per le riprese televisive ecc.); non per nulla la nuova squadra ha conservato il nome ed i colori della vecchia e, last but not least, la tifoseria granata ha trasferito la propria passione sportiva, come è dato notorio, alla nuova squadra, pur composta in gran parte da calciatori diversi (sul passaggio dei calciatori – che non è oggetto della presente causa – opera la normativa che consente loro di liberarsi dal vincolo contrattuale con la squadra in casi come il presente). 148 GIURISPRUDENZA Trasferimento del titolo sportivo.… Allora, pur in assenza di trasferimento di beni materiali organizzati, si realizza il requisito della conservazione dell’identità. Ritiene pertanto la corte che vi siano tutti i requisiti richiesti dall’art. 2112 comma 5° per configurare il trasferimento di azienda: vi è un’operazione a prescindere dalla tipologia negoziale (assegnazione da parte della F.I.G.C. del titolo sportivo al Torino F.C. spa) che comporta il mutamento della titolarità (da Torino spa a Torino F.C. spa) di un’attività economica organizzata al fine dello scambio di servizi (la gestione di una squadra professionista di calcio rientra senz’ombra di dubbio in tali parametri), attività preesistente (la Torino spa esisteva da anni) e che conserva nel trasferimento la propria identità (per effetto della richiesta garanzia di continuità aziendale). Da ciò consegue che il rapporto di lavoro del B. è proseguito automaticamente col nuovo datore di lavoro, con conservazione dei diritti relativi (art. 2112 comma 1° c.c.). L’accoglimento di questo motivo esonera dall’esame dell’altro, relativo alla costituzione di fatto del rapporto di lavoro. Deve perciò affermarsi l’esistenza di rapporto di lavoro subordinato con l’appellata dal 26.7.2005, data indicata dall’appellante. Ne consegue che l’allontanamento dal campo di allenamento avvenuto verbalmente il 28.9.2005 integra l’ipotesi di licenziamento, inefficace perché verbale in violazione dell’art. 2 l. 604/66. L’appellata deve pertanto essere condannata a corrispondere la retribuzione dal 26.7.2005 sino alla data di ripristino del rapporto, con rivalutazione monetaria ed interessi. Le spese di entrambi i gradi sono a carico dell’appellata, soccombente. 149 GIURISPRUDENZA Trasferimento del titolo sportivo.… P.Q.M. Visto l’art. 437 c.p.c., in accoglimento dell’appello, dichiara che il rapporto di lavoro tra B. P. M. e spa Torino Calcio è proseguito dal 26.7.2005 con Torino FC spa (già Società Civile Campo Torino srl) a sensi dell’art. 2112 c.c.; dichiara l’inefficacia del licenziamento intimato il 28.9.2005; condanna Torino FC spa a pagare a B. P. M. le retribuzioni dal 26.7.2005 sino all’effettivo ripristino del rapporto; condanna l’appellata a rimborsare all’appellante le spese di entrambi i gradi liquidate [omissis]. Così deciso all’udienza del 28.10.2008 IL PRESIDENTE Estensore Dott. Carlo PEYRON 150 GIURISPRUDENZA