parte prima - Giustizia Sportiva.it

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Anno V
Pubblicazione numero 2
2009
GiustiziaSportiva.it
Rivista Giuridica
Direzione e Fondatori
Enrico Crocetti Bernardi
Antonino de Silvestri
Enrico Lubrano
Paolo Moro
Jacopo Tognon
Comitato di Redazione
Giuseppe Agostini
Alessia Bellomo
Marco Mazzucato
Emanuele Paolucci
Michela Pigato
Jacopo Tognon
Direttore Responsabile
Mario Liccardo
_____________________________________________________________
Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004
al numero 1902 del Registro Stampa
- Periodico quadrimestrale –
- ISSN 1974-5230 1
INDICE DEL FASCICOLO 2°
PARTE PRIMA
DOTTRINA
ANTONINO DE SILVESTRI, Integrazione e disintegrazione delle Federazioni Sportive
dal sistema della legalità costituzionale
pag. 4
MAURO SFERRAZZA, Spunti per una riconsiderazione dei rapporti tra ordinamento
sportivo e ordinamento statale
pag.10
PACO D’ONOFRIO, La F.I.G.C. e la perpetuatio jurisdictionis
pag.29
ALESSIO RUI, La perseguibilità penale a seguito di interventi avvenuti durante le
competizioni agonistiche. -Limiti all'azione. Aspetti processuali
pag.34
PARTE SECONDA
NOTE A SENTENZA
MARIO VIGNA E MARIA CECILIA MORANDINI, La buona fede e l’ignoranza scusabile
dell’atleta escludono la violazione dell’art. 2.3 del Codice WADA per mancanza
dell’elemento soggettivo - Nota a lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA v/ CONI,
FIGC, Daniele Mannini & Davide Possanzini, 27 luglio 2009
pag.49
FEDERICA TOSEL,
La giurisdizione dell’Alta Corte di Giustiziadel CONI quale
ultimo grado di giustizia. Presupposti e limiti del contenzioso esofederale. Così è (se
vi pare) - Nota a Alta Corte di Giustizia Sportiva, Decisione n. 1/2009 del 14 maggio
2009, Juventus/FIGC.
pag.80
MARIO TOCCI,
Doppio tesseramento di calciatore: problematiche connesse alla
fattispecie dei tesseramenti in stagioni diverse - Nota a Commissione Disciplinare
Nazionale della F.I.G.C. Comunicato n. 88/CDN F.I.G.C. del 07 maggio 2009
pag.100
PARTE TERZA
GIURISPRUDENZA
CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE FIGC A SEZIONI UNITE, C.U. N. 190
2009: giudizio di primo grado di revisione nel caso Guardiola
DELL'8 MAGGIO
pag.109
TRIBUNALE NAZIONALE DI ARBITRATO DELLO SPORT, LODO 1 LUGLIO 2009, PAPARESTA/AIA
E FIGC
pag.118
COMMISSIONE DISCIPLINARE NAZIONALE FIGC, C.U. N. 8/2009
ancora sulla c.d. violazione della clausola compromissoria
LUGLIO
2009:
pag.123
MAGGIO
2009:
pag.126
CORTE D'APPELLO DI TORINO, SEZ. LAVORO 28 OTT. 2008, B.P.M C/ TORINO FC:
trasferimento del titolo sportivo e trasferimento d'azienda: problematiche sottese ai
rapporti di lavoro tra club e tesserati
pag.138
DEL
14
CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE LAVORO, SENTENZA N. 10867 DEL 12
qualificazione del rapporto di "lavoro" tra arbitro e Federazione
2
PARTE PRIMA
DOTTRINA
SOMMARIO:
,
Integrazione e disintegrazione delle Federazioni Sportive dal
sistema della legalità costituzionale
ANTONINO DE SILVESTRI
MAURO SFERRAZZA
, Spunti per una riconsiderazione dei rapporti tra ordinamento
pag. 4
pag.10
sportivo e ordinamento statale
PACO D’ONOFRIO
, La F.I.G.C. e la perpetuatio jurisdictionis
La perseguibilità penale a seguito di interventi avvenuti durante le
competizioni agonistiche. -Limiti all'azione. Aspetti processuali
ALESSIO RUI,
3
pag.29
pag.34
Integrazione e disintegrazione……
INTEGRAZIONE E DISINTEGRAZIONE DELLE
FEDERAZIONI SPORTIVE DAL SISTEMA DELLA
LEGALITA’ COSTITUZIONALE
di Antonino De Silvestri (*)
Lontanissimi tra loro per natura e contenuti, i due dicta che si annotano sono però sottilmente
legati da un filo che consente di riprendere il discorso, in termini di diritto vivente, sulla già
denunciata inidoneità della teoria ordinamentale classica a svolgere ancora un’ utile funzione
euristica per far posto, in sua vece, alla metodologia dell’integrazione tra precetti statuali e norme
autodisciplinari 1.
Sono del resto in continuo aumento le voci, sempre più autorevoli, che si levano per
segnalare come “la mera ricognizione della/e teoria/e pluralistico-ordinamentale si sia nel tempo
resa in molti casi risibile nella sua continua e problematica riproposizione”, come “la nozione di
ordinamento sportivo, sottoposta a opposte tensioni, si stia divincolando su se stessa, prossima allo
sfinimento” e come “l’ipostatizzazione di un ordinamento distinto e separato da quello dello Stato,
finisca con il legittimare “in modo automatico l’esistenza di un’area fenomenica sottratta a
quest’ultimo e alle sue norme, a cominciare da quelle costituzionali”2.
Ed è sempre più frequente, al tempo stesso, la presa d’atto che l’ordinamento sportivo, lungi
da porsi come enclave concettuale”, debba invece considerarsi anch’esso integrato, in quello statale,
al pari degli altri ordinamenti infrastatuali”3 , con la conseguenza che la prospettiva interpretativa
più corretta, non possa che essere quella di profondere “uno sforzo doveroso volto a porre la
giustizia statale e quella sportiva in un rapporto di complementarietà e non di sovrapposizione, e
meno ancora di conflitto”4.
Sullo sfondo dell’ormai pressoché completa giuridificazione statuale della materia sportiva,
ma non anche del completo assorbimento della stessa, essendo riservati ampi spazi, per dettato
1
Il riferimento è relativo ad A. DE SILVESTRI “Le questioni del metodo –Osservazioni minime sul concetto di ordinamento
sportivo” , nel numero precedente di questa rivista, i cui contenuti risultano ora rimeditati ed ampliati in Il diritto dello sport: muove
metodologie d’approccio, in Rivista delle Facoltà degli Studi di Palermo – Sport, benessere, diritto e società, Fascicolo 2, 2009.
2
L.FERRARA, voce Giustizia Sportiva, in Enciclopedia del Diritto, Giuffrà Editore, Milano, in corso di pubblicazione.
3
G. MANFREDI Pluralità degli ordinamenti e tutela giurisdizionale – I rapporti tra giustizia statale e giustizia sportiva,
Giappichelli, Torino, 2007, pp. 283 e 309.
4
R. MORZENTI PELLEGRINI, L’evoluzione dei rapporti tra fenomeno sportivo e ordinamento statale, Giuffrè, Milano, 2007, pp.
134 e ss., 196-197.
4
DOTTRINA
Integrazione e disintegrazione……
costituzionale e codicistico, oltre che per specifica scelta legislativa, alle soluzioni giustiziali
endoassociative, non può che essere riguardata con favore la decisione della Corte di Giustizia
Federale, pronunciata a Sezioni Unite, in quanto relativa a questione particolarmente rilevante ai
sensi dell’ art. 34 n. 12 dello Statuto FIGC.
Osservava alla fine degli anni 90 la CAF5 che, “per le caratteristiche ed i limiti strutturali
dell’ordinamento della giustizia sportiva, lo stesso non è suscettibile di auto integrazioni” mediante
l’inserzione a livello interpretativo di rimedi dallo stesso non contemplati ovvero di
eterointegrazioni mediante la trasposizione di istituti giuridici propri dell’ordinamento generale”.
La pronuncia in commento, è all’evidenza, di tenore diametralmente opposto a quanto
affermato in precedenza dall’allora massimo organo giustiziale calcistico, perché in essa si sostiene
che la norma processualpenalistica di cui all’art. 630 c.p. costituisce, invece, “lo sfondo di
riferimento anche per il giudizio sportivo” e perchè, per motivare l’apertura della fase rescindente,
sia quanto alle “prove nuove” che all’ “inconciliabilità di giudicati” la stessa si fonda, facendoli
propri, su specifici, “eteronomi” arresti della Cassazione Penale.
Se poi si considera che la dichiarata necessità di aprire una “finestra di confronto con il
mondo dell’ordinamento di diritto comune” allo scopo di poter realizzare “l’armoniosa convivenza
tra i due sistemi normativi” è stata manifestata nell’ambito della funzione nomofilattica riservata
alla Corte a Sezioni Unite, si comprende come l’operata integrazione tra le norme federali di soft
law con quelle statuali di hard law travalichi ampiamente il caso portato alla sua cognizione per
imporre, ben più a monte, un futuro metodo di giudizio per
l’intero plesso della giustizia
endoassociativa calcistica.
L’espresso ripudio dei pregressi canoni di giudizio, incentrati sull’ormai insostenibile
modulo autoreferenziale con pretese di alternatività alla giustizia statuale non è ovviamente casuale,
ma costituisce il frutto di una consapevole presa di coscenza, da parte dell’attuale organo apicale
della giustizia calcistica, sia delle scelte specifiche del legislatore che della rinuncia, da parte delle
federazioni (e delle altre organizzazioni sportive), ad ogni pretesa di incondizionata autodichia
ritenendosi le stesse non più calate in un vacuam caratterizzato dall’assenza di poteri statuali, non
più separate dallo, ma integrate al contrario nell’ordinamento generale.
E’ del resto l’intero sistema giustiziale sportivo quale voluto dal legislatore e dal regolatore
CONI ad apparire, a ben vedere, un autentico manifesto dell’integrazione.
5
C.A.F. FIGC, App. riun AC Campobasso, riunione del 12 giugno 1998, C.U. n. 34/C.
5
DOTTRINA
Integrazione e disintegrazione……
Con il D. Lgs n. 242/1999, l’attuale referente del movimento sportivo nazionale in luogo
della precedente legge n. 426/1942, è infatti iniziato il trend del contemperamento tra le esigenze di
autodichia delle federazioni sportive e l’irrinunciabile sovranità dello Stato, ed il perno della
riforma è costituito dalla nuova funzione del CONI quale regolatore e garante di entrambi gli
anzidetti valori.
Avvalendosi del potere statutario conferitogli dall’art. 2 del menzionato decreto, il CONI ha
innanzitutto significativamente accolto, per la soluzione di tutte le controversie nell’ordinamento
sportivo, il principio del giusto procedimento (art. 2 n. 8 St.), che attinge il proprio humus
direttamente dall’art. 111 della Costituzione e le cui specificazioni applicative, peraltro non ancora
completamente esplorate in ambito giustizial-sportivo, non possono che essere modellate, sia a fini
di validità di ciascun procedimento che di formulazione di astratte fattispecie regolamentari, su
canoni propri dell’ordinamento generale.
Anche sulla scorta della modifica legislativa di cui alla lettera h) bis dell’art. 7 comma 2 del
decreto legislativo n. 15/2004, che abilita la Giunta nazionale “all’individuazione dei criteri generali
dei procedimenti di giustizia sportiva” nel rispetto, tra l’altro, dei “principi del contraddittorio tra le
parti, del diritto di difesa, della terzietà e l’imparzialità degli organi giudicanti, della ragionevole
durata e della impugnabilità delle decisioni”, l’integrazione tra giustizia sportiva e giustizia
ordinaria risulta inoltre consacrata dalla specifica attività regolamentare svolta dal CONI proprio al
fine di “conformare” al rispetto dei canoni anzidetti l’autonomia disciplinare delle singole
federazioni.
Il Principio Fondamentale n. 30 degli Statuti impone infatti a quest’ultime di attenersi ai
Principi di Giustizia emanati dalla Giunta (e, si badi bene, per quanto non espressamente previsto, ai
principi del diritto processuale) i quali, come emerge dalla loro semplice lettura, risultano già di per
sé stessi il precipitato di tutti gli istituti fondamentali contenuti nel codice penale di rito.
Tra i quali, per tornare al caso di specie, appunto quello della necessaria previsione “di un
giudizio di revisione quale mezzo straordinario di impugnazione delle decisioni di natura
disciplinare esperibile, senza limiti di tempo, dinanzi all’organo di appello“ nei casi di
“inconciliabilità dei fatti posti a fondamento della decisione con quelli di altra decisione divenuta
irrevocabile”, di “sopravvenienza di prove nuove e decisive di innocenza”, nonchè di “acclarata
falsità in atti o in giudizio” (art. 3 comma 6 dell’anzidetto Principio).
6
DOTTRINA
Integrazione e disintegrazione……
E la FIGC, che in precedenza prevedeva all’art. 35 del proprio Codice di Giustizia Sportiva
un’ibrida figura denominata “revocazione” ispirata all’analogo istituto processual-civilistico, ma
che accorpava in sé anche le ipotesi di revisione mutuate invece dal codice penale di rito, si è
seppur tardivamente adeguata anche sotto il profilo formale, posto che l’attuale art. 39 distingue
nettamente, al n. 1, le ipotesi di revocazione applicabili al contenzioso tra pariordinati da quelle di
revisione, disciplinate invece dal successivo n. 2 appunto nei termini imposti dal CONI.
Se dunque la pronuncia dell’organo giustiziale della FIGC rappresenta un condivisibile
esempio di come possa essere operata “dal basso” l’integrazione delle norme autodisciplinari
sportive con i precetti dell’ordinamento statuale, la decisione del Consiglio di Stato evoca lo stesso
tema “dall’alto”, ponendo il problema del quantum di autodichia lo Stato pluralista può concedere
alle federazioni-associazioni alla luce, evidentemente, dell’assetto disegnato dalla legge n.
280/2003.
I panamministrativisti, evidentemente soddisfatti dell’attribuzione del contenzioso sportivo
alla giurisdizione esclusiva del TAR Lazio, hanno all’epoca salutato la sua emanazione come “un
momento fondamentale nell’evoluzione dei rapporti tra l’ordinamento sportivo complessivamente
considerato e l’ordinamento statale” ed hanno considerato il riconoscimento formale dell’autonomia
come “una grande conquista dello sport”, persino “sotto il profilo della certezza del diritto”,
6
laddove sei anni di casistica giurisprudenziale hanno ampiamente dimostrato, come avevo
puntualmente previsto, l’inettitudine selettiva della legge a discriminare le pretese sportive
statualmente rilevanti 7 e quindi, come ribadito anche di recente, l’inafferrabilità del criterio della
rilevanza esterna8 .
La realtà, invece, è che l’impianto della legge risulta ispirato da un (questo sì) fondamentale
equivoco di fondo.
Si legge infatti nella relazione al decreto legge n. 220/2003 che quello sportivo “è
tradizionalmente riconosciuto quale ordinamento sportivo autonomo secondo la nota teoria del
pluralismo degli ordinamenti giuridici” e che “la questione della relazione tra giustizia sportiva e
giustizia ordinaria si inquadra, ovviamente, nell’ambito del rapporto tra i due ordinamenti”.
6
7
86
Così E.LUBRANO, La giurisdizione amministrativa in materia sportiva dopo la legge 17 ottobre 2003 n. 280 , in AA.VV., La
giustizia sportiva – Analisi critica della legge 17 ottobre 2003 n. 280, Experta edizioni, Forlì, 2004, pp. 182-183.
7 A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale in A.A. V.V., La giustizia sportiva, cit., p.p.
85 ss
8 Così F. ELEFANTE, I risvolti economici della giustizia sportiva nella giurisprudenza del TAR del Lazio. L’inafferrabilità
del criterio della rilevanza esterna, in Foro amm. TAR 2008, 6, pp 1740 ss.
7
DOTTRINA
Integrazione e disintegrazione……
Non ci si è avveduti, però, che l’autonomia dell’ordinamento sportivo, in quanto concessa,
non poteva che essere statuale, e che il riferimento alla teoria ordinamentale classica era il sintomo,
appunto, dell’equivoco di fondo che l’attività giustiziale sportiva potesse attingere il suo ubi
consistam da un ordinamento extrastatuale, superiorem non recognoscens quale avrebbe dovuto
considerarsi, alla stregua dell’anzidetta teoria, quello sportivo.
Per quanto ridimensionata in sede di conversione in termini di quantum concesso, nella
legge di conversione è rimasto immutato il convincimento, intimamente equivoco se non
contraddittorio, di poter regolare, e quindi integrare l’autodichia sportiva nell’ordinamento generale
tracciando confini avulsi dal sistema della legalità costituzionale.
E’ questa la spiegazione, in particolare, della “riserva” di cui all’art. 2, lett. b), che nella sua
univocità precettiva non può prestarsi ad interpretazione diversa da quella suggerita dal chiaro
tenore letterale e fatta propria dalla decisione in commento.
Non a caso, del resto, lo stesso giudice civile, chiamato a pronunciarsi sotto diverso profilo,
quello della appartenenza o meno alla sua cognizione del contenzioso di cui agli art. 43 e 44 del
D.lgs 286/98 abbia concluso, nel medesimo ordine di idee che il legislatore, regolando in via
“innovativa ed esclusiva i rapporti tra ordinamento statale ed ordinamento sportivo” abbia
“tracciato, in via esaustiva e completa”, il sistema dei rapporti tra gli anzidetti ordinamenti,
assegnando a quello sportivo la cognizione “dell’intero, relativo settore di materie”9.
Né, da ultimo, sono passate inosservate, alla dottrina più recente, sia l’opinabilità di un
criterio che fonda la competenza giurisdizionale sugli asseriti effetti indiretti che possono scaturire
dall’applicazione di una sanzione sportiva, che il fondamento più “politico” che ”giuridico” della
sinora abbracciata interpretazione correttiva 10
Una volta ritenuto dal massimo organo di giustizia amministrativa che l’interpretazione
correttiva finirebbe con il tradursi “in una operazione di disapplicazione delle legge
incostituzionale”, sembra dunque avere le ore contate la pretesa di riservare un trattamento
privilegiato alle federazioni, sino a concedere alle stesse quell’autodichia, sostanzialmente
equivalente ad immunità giurisdizionale, negata ad altri gruppi sociali (associazioni professionali,
partiti, sindacati, per tacere della Chiesa cattolica), che godono di una tutela costituzionale
sicuramente più intensa.
9
Trib Trento, Sez. civile, ordinanza a seguito di reclamo, TS c/ FIPAV , 4 dicembre 2008, est. G. Adilardi.
10
Così F. ELEFANTE, op. loco.citt.
8
DOTTRINA
Integrazione e disintegrazione……
Nuovi scenari sono dunque all’orizzonte, e toccherà di nuovo al legislatore il compito di
integrare gli enti sportivi associativi nel sistema della legalità costituzionale dell’ordinamento
generale dal quale, allo stato, risultano completamente “scollegati”11 o, se si preferisce,
“disintegrati” né si vede, per altro verso, come un tale obbiettivo possa essere raggiunto
prescindendo dal ruolo fondante dell’autonomia privata, sia a livello nazionale che sovranazionale12
(*)Avvocato, Consulente della Lega Nazionale Dilettanti, esperto di diritto sportivo
11
Amplius in A. DE SILVESTRI, AA.VV., Diritto dello sport, Le Monnier Università, Economia e Diritto, Firenze, 2008, pp. 136 ss.
Sul punto vedi, ancora, A. DE SILVESTRI, Le nuove frontiere del diritto dello sport, in AA.VV., Diritto comunitario dello sport ,
Giappichelli, Torino, 2009, pp 81 ss
12
9
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
SPUNTI PER UNA RICONSIDERAZIONE DEI RAPPORTI
TRA ORDINAMENTO SPORTIVO E ORDINAMENTO
STATALE
di Mauro Sferrazza (*)
SOMMARIO:
1. Impostazione del problema.
2. Configurabilità dell’ordinamento sportivo quale ordinamento giuridico.
3. I rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento generale.
4. La ricostruzione dei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale alla luce
del mutato quadro legislativo.
5. Prospettive di riconsiderazione dei rapporti tra i due ordinamenti.
1. Impostazione del problema.
Nonostante gli interventi legislativi succedutisi in materia, la copiosa elaborazione dottrinaria
e le statuizioni (non sempre coerenti) della giurisprudenza, il tema dei complicati rapporti tra
ordinamento sportivo ed ordinamento giuridico statale appare lungi dall’aver trovato una definitiva
sistemazione. Del pari, incertezze permangono sulla portata e sulla rilevanza che talune attività
delle federazioni sportive nazionali assumono per l’ordinamento dello Stato1.
1
Ex multis cfr. G. VIDIRI, Il caso Catania: i difficili rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo, nota ad ordinanza Tar
Sicilia, Catania, 29 settembre 1993, n. 929, in Foro it., 1994, III, p. 513.
10
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
Il vivace dibattito in materia è in qualche modo il frutto dell’incerto ed oscillante intervento
legislativo, «sempre in bilico tra un’ottica pubblicistica, giustificata dalla particolare natura degli
interessi coinvolti, ed una visione privatistica, idonea ad assicurare una snellezza di forme ed una
flessibilità di procedure, indispensabili per un soddisfacente svolgimento dell’attività agonistica»2.
Certo, trovare il punto di equilibrio, il giusto compromesso tra inderogabilità di alcuni
principi (fondamentali) dell’ordinamento dello Stato e l’autonomia a buon diritto rivendicata da
quello sportivo non è cosa semplice.
Del resto, se è vero che democraticità e modernità di uno Stato si misurano anche in funzione
della sua «capacità di organizzare le autonomie: anzi di organizzare se stesso come rete, come
collettore e relais delle varie autonomie»3, è altrettanto vero che «qualsiasi processo di
rafforzamento delle autonomie, anche il più esteso, non può però mai importare l’abbandono da
parte dell’ordinamento statale del nucleo di regole e principi fondamentali, che per il loro carattere
unificante non sopportano limitazioni di alcun genere, e la cui rinunzia si traduce in una negazione
delle funzioni e dei poteri sovrani dello stato» e che quindi «il pur doveroso ed opportuno
riconoscimento di ampi spazi di autonomia all’ordinamento sportivo non può far dimenticare la
natura settoriale e derivata di tale ordinamento rispetto a quello statale, che per la sua natura
originaria e sovrana, risulta invece impermeabile a forme di compressione ed ingerenza, capaci di
rinnegarne i principi fondamentali»4.
Ed in tal senso, la giurisprudenza amministrativa ha in più occasioni
affermato come
«l’ordinamento sportivo nazionale, pur essendo dotato di ampi poteri di autonomia, autarchia ed
autodichia, è derivato da quello generale dello Stato»5.
Tali autorevoli considerazioni, tuttavia, non devono indurre a concludere per la mancanza di
giuridicità e di autonomia normativa degli ordinamenti sportivi, che costituiscono la modalità
ordinaria di autogoverno di una comunità,
considerato che deve anzi ritenersi un’eccezione
l’ingerenza dello Stato nel governo dello sport 6.
2
G. VIDIRI, Natura giuridica e potere regolamentare delle federazioni sportive nazionali, in Foro it., 1994, p.137.
3
A. MANZELLA, La giustizia sportiva nel pluralismo delle autonomie sportive, in Riv. dir. sport., 1993, p. 2.
4
G. VIDIRI, Il caso Catania: i difficili rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo, cit., p. 513.
5
Tar, Sicilia, Catania, sez. II, ord. 5 giugno 2003, n. 958, in Foro amm – Tar, 2004, p. 856, con nota di G. Calcerano, Il secondo
«caso Catania»: interesse pubblico al regolare svolgimento delle competizioni sportive e autonomia dell’ordinamento giuridico
sportivo.
6
In tal senso, A. MANZELLA, La giustizia sportiva nel pluralismo delle autonomie sportive, cit., p.2
11
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
Sotto un profilo generale, dunque, conserva attualità la questione della rilevanza
nell’ordinamento giuridico generale della normativa federale e della individuazione dei limiti
all’autonomia ed alla capacità di autorganizzazione attribuite (i.e. riconosciuti) all’ordinamento
sportivo e, quindi, degli ambiti di rilevanza, per l’ordinamento generale, dei fatti e degli atti legati
allo svolgimento delle competizioni sportive. Nella presente breve nota si tenterà, appunto, di
svolgere una sintetica indagine ricognitiva sullo stato dei rapporti tra i due ordinamenti qui presi in
considerazione, alla luce del rinnovato quadro normativo in materia.
2. Configurabilità dell’ordinamento sportivo quale ordinamento giuridico.
Premesso che chi scrive non ha certo l’ardire di cimentarsi con le problematiche di teoria
generale del diritto e dell’ordinamento giuridico e previamente espunta ogni pretesa di esaustività
della trattazione, anche attesa la complessità e l’ampiezza del tema, la ricostruzione giuridica del
fenomeno sportivo7 che si tenterà di svolgere, per quanto caratterizzata da esigenze di sintesi, non
può non prendere le mosse dalle principali formulazioni teoriche in materia, a cominciare dalla
teoria istituzionale8.
Come noto, secondo siffatta teoria, i requisiti dell’ordinamento giuridico – in estrema sintesi –
sono: 1) l’insieme dei soggetti, nel duplice significato che non è diritto ciò che non va al di là della
sfera del singolo individuo e che non si configura società senza che in essa si manifesti il fenomeno
giuridico; 2) il complesso delle regole di organizzazione; 3) l’ordine sociale, ossia l’insieme delle
strutture nel cui ambito si muovono ed operano i componenti della comunità. Ciò premesso, «il
concetto che ci sembra necessario e sufficiente per rendere in termini esatti quello di diritto, come
ordinamento giuridico considerato complessivamente e unitariamente, è il concetto di istituzione.
Ogni ordinamento giuridico è istituzione e viceversa ogni istituzione è un ordinamento giuridico»9.
L’ordinamento, dunque, assume natura giuridica nel momento in cui il gruppo sociale si
organizza, rectius si istituzionalizza10.
7
Per una ricostruzione delle diverse teorie sulla natura del fenomeno sportivo v. I. E A. MARIANI TORO, Gli ordinamenti sportivi,
Milano, 1977, p. 9 ss.
8
La teoria è stata formulata per la prima volta in Italia da S. ROMANO, L’ordinamento giuridico3, Firenze, 1977, p. 106.
9
S. ROMANO, L’ordinamento giuridico3, cit., p. 27.
10
Non sono mancate critiche alla suddetta teoria. Per ragioni di spazio si rimanda, in particolare, a T. MARTINEZ, Diritto
costituzionale8, Milano, 1994 e V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale2, I, Roma, 1970. Tale corrente di pensiero mette in
evidenza come all’origine o alla base di quella che si definisce organizzazione ci sono pur sempre delle regole già esistenti, nel senso
che l’istituzione è si un fatto, ma si tratta di un fatto ordinato e, quindi, conforme a determinate norme che essa necessariamente
presuppone. «Il che val quanto dire che il processo di istituzionalizzazione e produzione di regole di condotta non possono andare
disgiunti e che quindi là dove c’imbattiamo in un gruppo organizzato, là siamo sicuri di trovare un complesso di regole di condotta
12
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
In sintesi, è ordinamento giuridico ogni gruppo sociale che si auto-organizza e che
effettivamente si realizza «in uno stabile assetto di interessi e relazioni sociali, almeno mediamente
[…] conformi alle norme che ne costituiscono l’aspetto deontologico»11.
Sotto un dato profilo, poi, gli ordinamenti giuridici possono dividersi in due diverse categorie,
l’una espressione di interessi collettivi, l’altra di interessi meramente settoriali. Gli ordinamenti
giuridici appartenenti a questa ultima categoria difettano dei requisiti dell’autosufficienza e
dell’assoluta autonomia. L’ordinamento giuridico, cioè, può essere originario o derivato: dipende
dal tipo di relazione che si instaura con l’ordinamento statale generale e apparterà all’una o all’altra
categoria «a seconda che trovi il proprio titolo di validità in sé stesso o nell’ordinamento statale»12.
Di fondamentale importanza, in tema, è poi l’applicazione, al fenomeno sportivo, della teoria
della pluralità degli ordinamenti giuridici13, che consente di superare la tesi dell’unicità
dell’ordinamento giuridico dello Stato: «la trasformazione della società sottostante allo Stato
sovrano moderno ha determinato la crisi dell’ordinamento statale in quanto unico, unitario,
esclusivo e, quindi, il manifestarsi e la crescente rilevanza di una molteplicità di ordinamenti sociali
nel suo stesso ambito, di una molteplicità politipica non riconducibile affatto alla natura unitaria
degli ordinamenti statali»14.
che a quell’organizzazione hanno dato vita, o, in altre parole, che, se istituzione equivale a ordinamento giuridico, ordinamento
giuridico equivale a complesso di norme. Ma allora la teoria dell’istituzione non esclude, bensì include la teoria normativa del
diritto» (N. BOBBIO, Teoria della norma giuridica, Torino, 1958, p. 19). Secondo altra importante dottrina, la concezione di cui trattasi
«è inficiata dall’errore di confondere due realtà: il diritto e la comunità, che sono modi di essere diversi e distinti della vita sociale. Il
diritto invero è una forza destinata ad organizzare, a disciplinare, ad orientare, a dirigere la vita e l’attività di una comunità e da
questa, per ciò, si distingue allo stesso modo in cui il medico si differenzia dall’ospedale per il quale presta servizio e l’insegnamento
si differenzia dalla scolaresca alla quale è impartito» (A. TESAURO, Istituzioni di diritto pubblico, I, Nozioni generali. Il diritto
costituzionale2, Torino, 1971, p. 89). Altri hanno fermato la loro attenzione sull’elemento dell’organizzazione quale punto debole
della ricostruzione istituzionalistica, poiché attribuirebbe alla stessa un assetto statico, incapace di rappresentare la realtà nei suoi
aspetti dinamici: la teoria coglie soltanto «l’aspetto strutturale e statico del fenomeno giuridico; paradossalmente ha ignorato il modo
in cui il diritto attraverso le norme di condotta si indirizza agli uomini per orientarne l’azione. L’istituzionalismo è una concezione
molto fertile se utilizzata per lo studio delle organizzazioni giuridiche storiche che non hanno più vigenza; per gli ordinamenti
giuridici contemporanei e vigenti il suo punto debole sta nel non offrire uno strumento di conoscenza che possa spiegare la tensione
tra il diritto e la realtà» (A. CATANIA, Argomenti per una teoria dell’ordinamento giuridico, Napoli, 1976, p. 137).
Taluna dottrina si è anche interrogata sull’attuale significato del concetto di organizzazione, giungendo a concludere che, considerate
le notevoli variazioni subite nel tempo, «come strumento euristico, “istituzione” oggi, non ha più interesse» (S. CASSESE, Istituzione:
un concetto ormai inutile, in Pol. dir., 1979, p. 59).
11
V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale2, I, Padova, 1970, p. 15.
12
T. MARTINES, Diritto Costituzionale9, Milano, 1998, p. 40.
13
Cfr. W. CESARINI SFORZA, Il diritto dei privati, in Riv. it. sc. giur., 1929. Sulla teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, v., tra
gli altri, E. ALLORIO, La pluralità degli ordinamenti giuridici e l’accertamento giudiziale, in Riv. dir. civ., 1955, p. 247 ss.; A.
LAMBERTI, Gli ordinamenti giuridici: unità e pluralità, Salerno, 1980, p. 148 ss.; L. DI NELLA, La teoria della pluralità degli
ordinamenti giuridici: analisi critica dei profili teorici e delle applicazioni al fenomeno sportivo, in Riv. dir. sport., 1998, p. 5. Utile
anche una rilettura di H. KELSEN, General theory of law and State, Harvard, 1945, trad. it. di S. Cotta – G. Treves (a cura di), Teoria
generale del diritto e dello Stato, Milano, 1954.
14
M. SANINO, Diritto sportivo, cit., p. 23.
13
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
In tale contesto teorico non appare dubbia la possibilità di configurare l’ordinamento sportivo
quale ordinamento giuridico: l’ordinamento sportivo è espressione di quello che con nota ed
efficace espressione venne definito «il diritto dei privati»15. Del resto, si tratta pur sempre di un
ordinamento sociale, la cui peculiarità consiste nella ricerca del miglioramento continuo del
risultato sportivo16 e, quindi, in quanto tale, giuridico, risolvendosi «nell’insieme delle
qualificazioni esclusive della posizione, delle situazioni, dei rapporti, dei comportamenti degli
appartenenti al gruppo»17.
«Qualunque ordinamento sociale è giuridico, in quanto è un ordinamento […] onde più non
interessa stabilire di quale ordinamento si tratta […]. E se una gerarchia di ordinamenti non è più
possibile, bisogna concludere che il concetto di ordinamento giuridico viene in considerazione ogni
volta che da un rapporto giuridico, attraverso la norma che lo regola, si risale a una volontà
regolatrice, quale che sia codesta volontà»18. «Gli ordinamenti sociali sono pertanto da ritenersi
giuridici, in quanto “più o meno bene” organizzati, ma sempre dotati comunque di un minimum di
organizzazione e quindi di autorità, quand’anche, a sua vota – e, al limite – anorganica, spontanea,
istintiva, saltuaria, diffusa, e via dicendo»19.
La dottrina20, dunque, considera come giuridico l’ordinamento sportivo. Del resto, per
organizzare e gestire le varie competizioni sportive ed assicurare la corretta acquisizione dei
risultati è necessario porre in essere ed attuare specifiche regole, così che di fatto «i requisiti del
gioco vengono a identificarsi con i principi generali del diritto, le sue regole e il suo concreto
svolgimento corrispondono, rispettivamente, alla normazione e all’organizzazione»21.
Non manca, tuttavia, chi reputa l’ordinamento statale e quello sportivo «ordini eterogenei
situati su piani differenti», essendo il fenomeno sportivo «nient’altro che un complesso o un sistema
di giochi»22. Altri hanno evidenziato la scarsa utilità ed utilizzabilità del diritto in questo settore
sociale, che sarebbe dominato, invece, dal principio del fair play23.
15
W. CESARINI SFORZA, Il diritto dei privati, cit., p. 43, ossia «quello che i privati medesimi creano per regolare determinati rapporti di
interesse collettivo in mancanza, o nell’insufficienza, della legge statuale» (p. 3), il complesso, cioè, «delle norme che autorità non
statuali emanano per regolare determinate relazioni giuridiche tra le persone ad esse sottoposte» (p. 26).
16
Cfr. A. MARANI TORO, voce «Federazioni sportive», in Nov. dig. it, App. III, Torino, 1982, p. 681 ss.
17
M. SANINO, Diritto sportivo, Padova, 2002, p. 24.
18
W. CESARINI SFORZA, Il diritto dei privati, cit., p. 13.
19
F. MODUGNO, Pluralità degli ordinamenti, in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1983, p. 12.
20
Cfr., in particolare, M.S. GIANNINI, Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. dir. sport., 1949, p. 10; W.
CESARINI SFORZA, La teoria degli ordinamenti giuridici e il diritto sportivo, in Foro it., 1933, c. 1381.
21
S. CANGELLI, L’ordinamento giuridico sportivo, Foggia, 1998, p. 21.
22
C. FURNO, Note critiche di giochi, scommesse e arbitraggi sportivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952, p. 641.
23
Cfr. F. CARNELUTTI, Figura giuridica dell’arbitro sportivo, in Riv. dir. proc., 1953, p. 16, che, appunto, riteneva estraneo alle regole
del diritto l’intero fenomeno sportivo.
14
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
Secondo altra corrente dottrinale «la ricostruzione del fenomeno sportivo secondo la teoria
della pluralità degli ordinamenti giuridici non appare convincente sotto diversi profili»24. In
particolare, viene criticata «la prospettiva paritaria nei rapporti tra ordinamenti laddove si descrive
di fatto il rapporto tra gli stessi in modo asimmetrico», in quanto, affermando che «il diritto dei
privati non deriverebbe la sua giuridicità dalla posizione entro la gerarchia del diritto statuale in
quanto esso sarebbe una formazione “parallela” a quest’ultimo […] si trasforma la sezione
trasversale della realtà giuridica in una sezione orizzontale della stessa, nella quale senza alcuna
spiegazione logica il terzo strato, prima “sottoposto” a quello “superiore” del diritto dello Stato,
viene ora ad affiancarsi al primo»25.
«Se questo è vero, si dimostra mal fondata la ragione per cui è stata costruita la teoria della
pluralità degli ordinamenti giuridici, che è quella di riaffermare la indipendenza e la autonomia
degli ordinamenti particolari nei confronti dello Stato e la loro pari dignità con esso, e dunque non
subordinare la natura di un ente a ciò che lo Stato dispone rispetto allo stesso. Se i tre possibili
rapporti tra Stato e altri ordinamenti [ossia, riconoscimento, indifferenza, opposizione] dipendono
dallo Stato, cessa ogni parità tra l’uno e gli altri»26.
In tale ambito vi è chi evidenzia che il diritto è l’insieme di principi e norme che regolano la
coesistenza e costituisce l’aspetto normativo del sociale27 e che «regole e principi, interdipendenti e
coessenziali, configurano un insieme unitario e gerarchicamente disposto, che può essere definito,
per la sua funzione ordinatrice, ordinamento giuridico e, per la sua natura di componente della
struttura sociale, realtà normativa»28. Ciò premesso, se sono propri dell’ordinamento giuridico i
caratteri dell’originarietà, nel senso che mutua da se stesso la sua legittimità 29, e dell’esclusività30,
nonché la capacità di produrre norme ed applicarle31, se ne desume che lo specifico
dell’ordinamento è la norma giuridica32 e la giuridicità della norma consiste nella sua esclusività,
24
L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1999, p. 83.
25
L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, cit., p. 86.
26
G.U. RESCIGNO, Corso di diritto pubblico4, Bologna, 1995, p. 204.
27
Cfr. L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, cit., p. 128.
28
P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 1997, p. 4.
29
Cfr. L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, cit., p. 128.
30
Cfr. E. FAZZALARI, Ordinamento giuridico. Teoria generale, in Enc. giur. Treccani, XXI, Roma, 1990, p. 5.
31
Cfr. N. BOBBIO, Teoria della norma giuridica, cit., p. 207 ss.: «nel passare dalle norme inferiori di un ordinamento a quelle
superiori, noi passiamo dalla fase in cui la forza è rivolta ad applicare il diritto a quella in cui serve a produrlo, e pertanto passiamo
dal concetto di forza come sanzione di un diritto già stabilito (cioè mezzo per rendere il diritto efficace) al concetto di forza come
produzione di un diritto che deve valere in avvenire. V. anche C. LAVAGNA, Istituzioni di diritto pubblico5, Torino, 1982, p. 11, che
osserva: «Considerando infatti l’ordinamento in se stesso, come sistema organico di regole, la forza del diritto è un elemento
intrinseco».
32
Cfr. N. BOBBIO, Teoria della norma giuridica, cit., p. 207
15
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
«nel senso che essa prevale su eventuali altre regole», e nel suo essere vincolante, «nel senso che la
condotta concreta deve – piaccia o no – conformarsi alla regola in che la norma consiste»33. E’,
dunque, «questo sistema di regole e principi e di apparati da esso creati che esprime nella sua
globalità il valore della giuridicità, intesa come vincolatività ed esclusività»34. Ne consegue che è
fuorviante definire quale ordinamento, anche se derivato, le manifestazioni dell’autonomia privata o
pubblica, «giacchè significherebbe riconoscere ad esse quella giuridicità originaria intrinseca al
fenomeno ordinamentale che esse invece non hanno in quanto la derivano dal sistema normativo nel
suo complesso.
L’ordinamento giuridico non conosce dunque al suo interno altri “ordinamenti” (ancorché
derivati), bensì settori normativi integrati da uno o più sistemi nell’insieme ordinamentale unitario e
superiore»35.
Riteniamo, invece, che all’affermazione della natura giuridica dell’ordinamento sportivo
possa giungersi anche attraverso la dissociazione dell’idea di diritto da quella di Stato, che è, poi, il
concetto fondamentale che sta a base della stessa teoria degli ordinamenti, onde consentire il
recupero di visibilità degli ordinamenti non statuali. Ed anche per chi assuma la natura “derivata”
dell’ordinamento sportivo da quello statale è, appunto, sufficiente siffatto elemento per conferire
allo stesso il carattere della giuridicità36.
La configurazione in termini di giuridicità dell’ordinamento sportivo ha, poi, trovato
conferma in una storica pronuncia della Suprema Corte che ebbe, tra l’altro, ad affermare: «Il
fenomeno sportivo, quale attività disciplinata sia in astratto che in concreto, visto
indipendentemente dal suo inserimento nell’ordinamento statale, si presenta come organizzazione a
base plurisoggettiva per il conseguimento di un interesse generale.
E’ un complesso organizzato di persone che si struttura in organi cui è demandato il poteredovere, ciascuno nella sfera di sua competenza, di svolgere l’attività disciplinatrice, sia concreta che
astratta, per il conseguimento dell’interesse generale. E’, dunque, un ordinamento giuridico»37.
In definitiva, anche alla luce del dato positivo e dei numerosi riscontri interpretativi, sembra
possibile concludere che quello sportivo è un ordinamento giuridico.
33
E. FAZZALARI, Ordinamento giuridico. Teoria generale, cit. p. 1.
34
L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, cit., p. 131.
35
L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, cit., p. 132.
36
Cfr., tra gli altri, R. FRASCAROLI, voce «Sport», in Enc. dir., Milano, XLIII, p. 513 ss.; A. QUARANTA, Rapporti tra ordinamento
sportivo e ordinamento giuridico, in Riv. dir. sport., 1979, p. 29 ss.
37
Cassazione, sez. III, 11 febbraio 1978, n. 625, in Foro it., 1978, I, c. 862, con osservazioni di C.M. BARONE.
16
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
3. I rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento generale.
Sposata la tesi del pluralismo giuridico, previa negazione dell’assunto dello Stato come
monopolista nel campo della produzione normativa, considerata la mancata regolazione della
materia per via legislativa e preso atto della «rivendicazione di incondizionata autodichia da parte
degli organi di giustizia sportiva»38, la dottrina prevalente ha, dunque, individuato, in quello
sportivo, un vero e proprio ordinamento, originario e dotato di autonoma capacità normativa.
Nonostante una certa unità di vedute sul fatto che l’attività sportiva sia «antica come il mondo»39,
non sembra possa, invece, affermarsi che l’ordinamento giuridico sportivo si caratterizzi per essere
sovrano.
La sovranità, infatti, implica «non solo l’originarietà e l’indipendenza, ma anche la
supremazia sugli ordinamenti minori; questi ultimi quindi, difettando di tale supremazia, per
operare all’interno di un ordinamento sovrano, quale quello statale, devono necessariamente
conformarsi ad esso»40. Ed anche a voler ritenere che originarietà e sovranità vadano considerate in
modo unitario, deve osservarsi come «sia l’una che l’altra possono essere fatte valere
esclusivamente all’interno dell’ordinamento sportivo» e come la sovranità dell’ordinamento
sportivo «dovrà cedere di fronte a quella dello Stato nella misura in cui quest’ultimo intende
esercitarla»41.
Data, dunque, per acquisita la natura originaria dell’ordinamento giuridico sportivo rimane,
appunto, il problema dei rapporti con l’ordinamento giuridico generale. La tesi prevalente
propendeva per l’ipotesi di indifferenza o irrilevanza, per l’ordinamento statale, di quello sportivo
che, quindi, esiste come tale accanto a quello dello Stato42.
Anche l’orientamento giurisprudenziale sembrava aver assunto tale prospettiva. Le stesse
Sezioni Unite hanno più volte hanno individuato un’area di totale autonomia dell’ordinamento
sportivo, laddove si tratti di rapporti di natura tecnica connessi alla regolamentazione interna dello
stesso ordinamento, mentre laddove le relazioni sono connesse all’espletamento della funzione
amministrativo-organizzativa delle istituzioni sportive o i rapporti tra i soggetti dell’ordinamento
38
A. DE SILVESTRI, Il discorso sul metodo: osservazioni minime sul concetto di ordinamento sportivo, in www.giustiziasportiva.it,
2009, 1.
39
U. GUALAZZINI, Premesse storiche al diritto sportivo, Milano, 1965, p. 1.
40
E. RUSSO, L’ordinamento sportivo e la giustizia sportiva, in www.giustiziasportiva.it, 2006, 2.
41
R. PEREZ, Disciplina statale e disciplina sportiva, in Scritti in memoria di M.S. Giannini, Milano, 1988, I, p. 511 ss.
42
Cfr. W. CESARINI SFORZA, Il diritto dei privati, cit., p. 33.
17
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
stesso si atteggiano in modo “paritario”, allora la competenza giurisdizionale è rispettivamente dei
giudici amministrativi (essendo quelle situazioni qualificate come interessi legittimi) e dei giudici
ordinari (assumendo i relativi rapporti natura di diritti soggettivi)43.
Insomma, la sostanziale deregulation in cui per lungo periodo hanno operato le federazioni
sportive nazionali aveva consentito alle stesse di provvedere autonomamente alle proprie peculiari
esigenze, anche di quelle connesse alla risoluzione dei conflitti, tanto da far giungere una parte della
dottrina ad affermare che i regolamenti federali sono capaci, idonei e destinati a regolare sotto tutti
gli aspetti le situazioni soggettive e oggettive che lo sport determina e che, pertanto, essi ed essi
soltanto sono i referenti con cui l’interprete deve misurarsi44.
La ricostruzione dell’ordinamento sportivo quale superiorem non recognoscens deve, però,
oggi fare i conti con la legislazione emanata in materia e, segnatamente, con la legge del 1981,
prima e con il c.d. decreto Melandri (1999) e la legge n. 280 (2003), poi. Quando, infatti, «a
decorrere dagli anni Settanta, cominciarono a confluire nello sport, e segnatamente nel calcio,
interessi d’ordine economico e lavoristico che ricevevano tutela primaria ed irrinunciabile
nell’ordinamento generale, ed i tesserati e le affiliate presero man mano coscienza che nessuno
status endoassociativo poteva far da velo al diritto, loro costituzionalmente garantito quali cittadini,
di rivolgersi alla magistratura per la tutela delle loro ragioni, il mito dell’impenetrabilità statuale
dello sport entrò in crisi»45.
La legge n. 91/1981 così statuisce all’art. 1: «L’esercizio dell’attività sportiva, sia essa svolta
in forma individuale o collettiva, sia in forma professionistica o dilettantistica, è libera». Guardando
all’essenza di siffatta disposizione, non si può eludere che essa rappresenti un quadro del fenomeno
sportivo di dimensioni certo più ampie di quella ufficiale e organizzata, nel senso che si ha la chiara
affermazione della libertà di esercizio della pratica sportiva, che ben può, quindi, essere esercitata al
di fuori dei circuiti, delle organizzazioni e delle strutture ufficiali.
43
Cfr. Cassazione, sez. un., 26 ottobre 1989, n. 4399, in Foro it., I, c. 899, con nota di G. Catalano; Cassazione, sez. un., 9 maggio
1986, n. 3092, ivi, 1986, I, c. 1251; Cassazione, sez. un., 9 maggio 1986, n. 3091, ivi, 1986, I, c. 1257. Negli stessi termini v. anche
Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, ord. 9 ottobre 1993, in Foro it., 1994, III, c. 511. Tale ripartizione non è
esente da critiche: «Una tale rappresentazione della natura delle posizioni giuridiche e delle competenze giurisdizionali contraddice
ancora una volta in modo stridente la teoria della pluralità degli ordinamenti»; il richiamo alla stessa, allora, trova senso
nell’intenzione «dei giudici di proteggere quell’ambito di autonomia delle istituzioni sportive costituito dai rapporti di natura
tecnica». Del resto, si prosegue,«la “dichiarazione di non intervento” della Cassazione nell’ambito dei rapporti tecnici sembra
eccessiva» sol che si consideri che «se autonomia vuol dire anche libertà di autoregolamentare i propri interessi, essa non significa
però spazio libero dal diritto […]. Oltre a ciò, appare contraddittorio discorrere di irrilevanza là dove, per un verso, l’ordinamento
generale ha al contrario interessi rilevanti anche allo svolgimento delle attività sportive e, per l’altro, gli interessi privati coinvolti
sono certamente meritevoli di tutela» (L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, cit., p. 106 s.).
44
P. MIRTO, L’organizzazione sportiva italiana. Autonomia e specialità del diritto sportivo, in Riv. dir. sport., 1959, p. 352.
45
A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, in P. Moro (a cura di), La giustizia sportiva, Rimini, 2004,
p. 84.
18
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
Accanto, cioè, al c.d. agonismo programmato, l’attività sportiva può ben «essere liberamente
svolta come attività ricreativa e, al tempo stesso, formativa, come impiego del tempo libero»46.
Peraltro, corollario di tale assunto è che l’affermata libertà di esercizio della pratica sportiva
«comporta, fuori dei casi di cui alla l. n. 91 del 1981, anche la libertà del relativo associazionismo a
scopi ricreativi e culturali al fine di offrire agli associati la possibilità di svolgere un’attività
agonistica non collegata ai programmi federali»47.
Quale conseguenza di tale nuovo quadro normativo di riferimento accade che il precetto
statutario con il quale la federazione tentava di impedire fughe di giurisdizione all’esterno comincia
ad essere violato con sempre maggiore frequenza48 «ed alla fase della tendenziale idoneità della
giustizia sportiva a contenere nel suo interno ogni controversia subentrò quella dell’aperto conflitto
con la giustizia dello Stato destinata a caratterizzare, con alterne vicende e sulla scia
dell’inestricabile querelle della natura delle federazioni, gli anni Ottanta e larghissima parte degli
anni Novanta»49.
A siffatta situazione di elevata conflittualità tra i due ordinamenti cerca di porre rimedio il
d.lgs. n. 242/1999, nella prospettiva della conciliazione delle due posizioni, sovranità dello Stato ed
autodichia delle federazioni sportive. Tale obiettivo, anche con le modifiche apportate dal d.lgs. n.
15/2004,
viene particolarmente perseguito attraverso l’attribuzione al Coni, esso stesso
qualificatosi “autorità” nel proprio statuto, della soggettività giuridica di diritto pubblico e della
posizione di garante delle anzidette esigenze, nonché del riconoscimento di esso ente quale
istituzione apicale, nell’ambito del territorio italiano, del movimento sportivo internazionale (Cio).
Si giunge, così, al d.l. 19 agosto 2003, n. 220, convertito, con modificazioni, dalla l. 17
ottobre 2003, n. 280, salutata con grande favore dall’opinione pubblica50, ma giustamente accolta
con molte riserve già dai primi commentatori.
Una parte della dottrina ritiene che la suddetta legge ha «codificato principi di teoria generale
e di diritto sostanziale da tempo immanenti nel nostro ordinamento»51.
46
In questo senso, v. E. PICARDO, in M. Persiani (a cura di), Legge 23 marzo 1981, n. 91, in Nuove leggi civ. commentate, 1982, p.
561. In termini non dissimili, T. PERSEO, Analisi della nozione di sport, in Riv. dir. sport., 1962, p. 147 s.
47
L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, cit., p. 98.
48
Cfr. A. DE SILVESTRI, Enfatizzazione delle funzioni e infortuni giudiziari in tema di sport, in Riv. dir. sport., 1993, p. 370 ss.
49
A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, cit., p. 84.
50
Anche perché ha – di fatto – consentito il regolare avvio dei campionati, dopo l’inestricabile “groviglio” che si era verificato in
sede di giustizia ed il conseguente noto “pantano” estivo.
51
N. PAOLANTONIO, Ordinamento statale e ordinamento sportivo: spunti problematici, in Foro amm. – Tar, 2007, p. 1152.
19
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
Altri evidenziano il contenuto velleitario della pretesa di riservare all’ordinamento sportivo la
regolamentazione di quasi tutte le materia già da sempre, peraltro, ricomprese nel novero della
giustizia sportiva, venendosi così a creare una sorta di giudice speciale non statuale, con
conseguente possibile violazione dell’art. 102, co. 2, Cost.52. Si osserva, quanto al riparto delle
giurisdizioni, che nella relazione di accompagnamento al decreto è fatto riferimento ad una sorta di
«doppia chiave» alla quale non sembra «corrispondere la toppa della porta»53.
Il legislatore «ha tentato, pur senza riuscirvi, di fornire parametri per distinguere, nell’ambito
delle pretese oggetto di tutela endoassociativa, tra quelle riservate e quelle giurisdizionali
statualmente, nessun criterio ha potuto offrire per individuare le restanti controversie che, non
relative a rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti, sono comunque devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Queste ultime sono infatti relative a pretese non
tipizzate […] pertanto, non può che farsi riferimento alla medesima, sterile norma di principio di
cui all’art. 1 […] che ne lascia in realtà impregiudicata la qualificazione»54.
Insomma, secondo una certa corrente di pensiero «l’obiettivo primario di separare le due
giustizie è stato clamorosamente mancato» e «la legge creerà sicuramente più problemi degli invero
pochi che ha risolto, costringendo l’interprete a misurarsi con un referente specifico palesemente
inadeguato che potrebbe persino mostrarsi fuorviante»55.
Certo è che di fatto e sul piano generale, si assiste ad una “corposa” ingerenza dello Stato
nell’organizzazione del movimento sportivo e lo stesso art. 1 del d.l. n. 220/2003 «sembra voler
freudianamente, mediante una importante affermazione di principio, prevenire le critiche ad una
presunta ingerenza della politica nel mondo dello sport»56.
52
G. MANZI, Un limite alla possibilità di adire la magistratura non sembra in linea con le regole costituzionali, in Guida al diritto, 6
settembre 2003, p. 138 ss.
53
T.E. FROSINI, Perplessità sull’applicazione ai processi in corso, in Guida al diritto, 6 settembre 2003, p. 144 ss.
54
A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, cit., p. 89.
55
A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, cit., p. 87.
56
L. GIACOMARDO, Autonomia per le federazioni ed una delega in bianco al Coni, in Dir. e giust., 13 settembre 2003, p. 9.
20
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
4. La ricostruzione dei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale alla luce
del mutato quadro legislativo.
Con i sopra citati interventi normativi si è compiuta quella che autorevole dottrina ha definito
«una sorta di omicidio del consenziente»57, avendo di fatto lo Stato “ucciso” l’ordinamento sportivo
con pretese di sovranità ed autoreferenzialità.
Il mutato quadro legislativo, infatti, sembra considerare l’ordinamento sportivo quale
ordinamento particolare, tanto è vero che lo stesso Statuto federale parla ormai di ordinamento
“sezionale”. Con le conseguenze che tale inquadramento comporta: così, ad esempio, in punto
giustizia sportiva, potrebbero non più giustificarsi forme di giustizia alternativa a quella dello Stato,
se non nei (sempre più) ristretti limiti in cui l’ordinamento generale reputa irrilevante la materia.
Anche se, a ben osservare, un appiglio per non ritenere inapplicabile alla materia la teoria
ordinamentale potrebbe scorgersi nella volontà legislativa di riconoscere ampi margini di autonomia
all’ordinamento sportivo, testimoniata dalla stessa novella legislativa del 2003, nella parte in cui
opera un’espressa riserva a favore del predetto ordinamento relativamente alla disciplina di tutta
una serie di questioni e materie58.
Ed anche la stessa lettera della norma di cui all’art. 1 del citato testo normativo del 2003 è in
tal senso sintomatica, laddove dispone che la Repubblica «riconosce e favorisce l’autonomia
dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale
facente capo al Comitato olimpico internazionale». Non si deve, infatti, dimenticare che la
caratteristica saliente dell’attività sportiva è quella di riferirsi ad un ordinamento che prima di essere
nazionale è a carattere superstatuale, anche se non corrispondente a quello internazionale59.
Non vi è, dunque, dubbio che il legislatore, «in linea con i principi espressi dalla
giurisprudenza, ha riconosciuto il carattere peculiare dell’ordinamento sportivo rispetto agli altri
ordinamenti settoriali che esplicano la propria attività nell’ambito dell’ordinamento statale,
57
A. DE SILVESTRI, Il discorso sul metodo: osservazioni minime sul concetto di ordinamento sportivo, cit.
58
Recita la norma di cui all’art. 2, co. 1, del d.l. 19 agosto 2003, n. 220, conv. con modificazioni dalla l. 17 ottobre 2003, n. 280: «In
applicazione dei principi di cui all’art. 1, è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a)
l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue
articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e
l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive».
59
Cfr. Cassazione, 2 aprile 1963, n. 811, in Foro it., 1963, I, c. 894. V., a tal proposito, S.A.R. NAFZIGER, Caratteri e tendenze del
diritto sportivo internazionale, in Riv. dir. sport., 1996, p. 207. Sull’ordinamento sportivo mondiale v. M. SANINO, Problematica
attuale in materia sportiva, Roma, 1984, p. 11 ss.
21
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
peculiarità costituita dal fatto di costituire un’articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale
facente capo al Comitato olimpico internazionale»60.
E’ stato, peraltro, correttamente evidenziato come «l’autonomia dell’ordinamento sportivo
(rectius l’insindacabilità statuale delle pretese endoassociative) non è […] una benevola
concessione dell’ultima ora, né, tanto meno, un effetto della legge n. 280/2003, ma la risultante di
sistema di principi già vigenti»61. Il riconoscimento, cioè, di un rilevante margine di autonomia
all’ordinamento sportivo, «non deve essere interpretato come gentile concessione dello Stato ma, al
contrario, come modo normale ed ordinario di autogoverno di una comunità»62.
L’analisi dei rapporti tra i due ordinamenti, ordinariamente ricostruiti in termini di gerarchia63,
non può neppure prescindere dalla disposizione di cui all’art. 16 del d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242,
sulla base del quale “le federazioni sportive nazionali sono rette da norme statutarie e
regolamentari”.
In altri termini, se, data la sua natura derivata, l’ordinamento sportivo «non potrà mai
contenere norme contrastanti con quelle dell’ordinamento statale, l’attuazione delle quali è assunta
da quest’ultimo come assolutamente irrinunciabile (ad esempio norme penali, di ordine pubblico) se
vorranno aspirare alla coesistenza nel suo ambito»64, anche atteso che «lo Stato, in quanto
ordinamento sovrano, non può mai rinunciare a far valere la propria sovranità»65, ciò non significa
che lo stesso ordinamento statale non possa consentire la prevalenza degli ordinamenti particolari,
nel caso di norme in conflitto con disposizioni normative generali.
In tal ottica occorre anche considerare che l’impianto normativo di cui alle già citate leggi n.
91 del 1981 e n. 242 del 1999 ha comportato l’emersione, a livello di ordinamento giuridico, della
regolamentazione sportiva delle federazioni, la cui struttura organizzativa non può più considerarsi
confinata al diritto interno, ma appare ormai operare con efficacia generale e non già riferita ai soli
tesserati66. In breve, pare possibile affermare che il legislatore consente che l’attività di
60
E. LUBRANO, La giurisdizione amministrativa in materia sportiva, in P. Moro (a cura di), La giustizia sportiva, cit., p. 166 s. L’A.,
tuttavia, ritiene che il suddetto «principio generale di autonomia trova però un limite logico nel fatto che l’ordinamento sportivo
nazionale esplica comunque la propria attività nell’ambito del territorio dello Stato Italiano, dal cui ordinamento necessariamente
deriva».
61
A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, cit., p. 98.
62
L. GIACOMARDO, Autonomia per le federazioni ed una delega in bianco al Coni, cit., p. 9.
63
Secondo F. AGNINO, Statuti sportivi discriminatori ed attività sportiva: quale futuro?, in Foro it., 2002, I, 897 ss., ad esempio,
sarebbe espressione di tale generale principio di superiorità della normazione statale rispetto quella dell’ordinamento sportivo, la
ratio decidendi seguita dalle ordinanze del Trib. Pescara, 18 ottobre 2001, Trib. Teramo, 30 marzo 2001 e Trib. Reggio Emilia, tutte
in Foro it, 2002, I, 895 ss.
64
F. MODUGNO, Pluralità degli ordinamenti, in Enc.giur., Milano, 1985, XXIV, p. 58.
65
M.S. GIANNINI, Prime considerazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, cit., p. 26.
22
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
regolamentazione delle federazioni sportive assuma efficacia giuridica e rilevanza anche
nell’ordinamento generale67.
In definitiva, il depauperamento normativo dell’autonomia dell’ordinamento sportivo non è
tale da poterne desumere la sua totale dipendenza da quello generale, anche perché, così
ragionando, occorrerebbe «considerare integralmente giuridificati, e quindi statalizzati, tutti i suoi
precetti autodisciplinari, compresi quelli di natura tecnica che garantiscono l’omologazione»
dell’ordinamento sportivo nazionale con quello degli altri Paesi68.
L’ordinamento giuridico sportivo rimane pur sempre capace di regolare, per il tramite delle
sue strutture organizzative, fattispecie generali ed astratte con valenza verso la generalità dei
soggetti dell’ordinamento medesimo, in funzione del perseguimento di specifiche finalità pur
sempre rientranti nell’interesse generale in ragione del quale esso stesso è costituito.
Questo effetto, riteniamo, possa più facilmente e correttamente essere ricollegato ad un
rapporto tra ordinamento sportivo ed ordinamento giuridico impostato non già in termini di stretta
gerarchia, bensì nell’ottica di un riconoscimento: «riconoscimento, da parte dell’ordinamento
giuridico statale, dell’ordinamento giuridico sportivo già autonomamente esistente e perciò
originario; non già creazione»69, anche perché, come già detto, occorre sempre tenere presente che
l’ordinamento sportivo è collegato all’ordinamento giuridico internazionale (segnatamente, il
Comitato olimpico internazionale), da cui attinge la sua fonte70.
In breve, ad avviso di chi scrive, una corretta interpretazione del carattere di autonomia ed
autodichia dell’ordinamento giuridico sportivo, deve tenere in debito conto che seppure scevro dal
connotato della sovranità e, dunque, della capacità effettiva di imporre ai propri componenti
«l’osservanza rispetto a se stesso di qualsiasi altro ordinamento»71, detto ordinamento ha comunque
natura originaria ed esiste ancor prima ed al di fuori del formale riconoscimento da parte
dell’ordinamento giuridico generale, che pur ne comprime l’esercizio delle relative potestà, in
funzione della salvaguardia delle fondamentali norme (imperative e di ordine pubblico) che
regolano i rapporti tra i consociati. Del resto, il fenomeno sportivo costituisce «un ordinamento a
66
In tali termini, S. LANDOLFI, La legge n. 91 del 1981 e la «emersione» dell’ordinamento sportivo, in Riv. dir. sport., 1982, p. 40. V.
anche A. DE SILVESTRI, Il diritto sportivo oggi, in Dir. lav., 1988, I, p.256 e G. VIDIRI, Il lavoro sportivo tra codice civile e norma
speciale, in Riv. it. dir. lav., 2002, I, p. 43.
67
In senso conforme, G. VIDIRI, Natura giuridica e potere regolamentare delle federazioni sportive nazionali, cit., p. 139: «Il
legislatore ha, in tale direzione, fatto propri principi esclusivi dell’ordinamento sportivo, ed ha disciplinato con rilevanza esterna
l’operato delle federazioni».
68
A. DE SILVESTRI, Il discorso sul metodo: osservazioni minime sul concetto di ordinamento sportivo, cit.
69
Cassazione, 11 febbraio 1978, n. 625, cit.
70
In tali termini anche Cassazione, 2 aprile 1963, n. 811, in Foro it., 1963, I, c. 894.
71
M.S. GIANNINI, Prime considerazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, cit., p. 18.
23
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
formazione spontanea, ovvero non istituito dall’ordinamento generale statale, suscettibile di essere
variamente considerato dallo stesso Stato, secondo la propria maggiore o minore capacità di
autodeterminarsi ed auto legittimarsi, che costituisce la misura della sua autonomia rispetto alla
posizione di supremazia dell’ordinamento statuale»72.
Peraltro, come già affermato dalle stesse Sezioni unite, l’imposizione del rispetto delle norme
fondamentali non significa che l’ingerenza dell’ordinamento generale «sia tale da coprire ogni
aspetto dell’attività normativa dell’ordinamento separato, posto che esistono norme interne
(denominate extragiuridiche dalla dottrina che ne ha individuato l’essenza), che pur dotate di
rilevanza nell’ambito dell’ordinamento che le ha espresse, sono insuscettibili di inquadramento
giuridico nell’ambito dell’ordinamento generale. Tali sono, indiscutibilmente, le norme meramente
tecniche»73.
5. Prospettive di riconsiderazione dei rapporti tra i due ordinamenti.
Occorre, quindi, assumere una definizione esegeticamente corretta della sfera di autonomia
dell’ordinamento sportivo e ridefinire la collocazione dello stesso nell’ambito dell’organizzazione
socio-giuridica dello Stato, partendo dalla considerazione dell’evoluzione, nella società, del
fenomeno sportivo e, ancor prima, della stessa pratica sportiva e tenendo conto delle finalità dallo
stesso perseguiti, così come degli scopi attuati.
Non può, dunque, condividersi una certa tendenza di una parte importante della dottrina a
“confinare” l’ordinamento sportivo e la sua capacità di normazione nel mero ambito delle regole del
gioco e delle regole tecniche e, in generale, la tendenza ad una massiva riduzione della sfera di
autonomia allo stesso attribuito. La realizzazione delle rilevanti finalità di interesse collettivo, ma
anche di semplice attuazione delle personalità e degli interessi dei singoli individui e dei gruppi,
perseguite dal movimento sportivo organizzato, necessita dell’autonomia e della capacità di
regolamentazione proprie degli ordinamenti giuridici.
Non si vuol, qui, sostenere una illimitata ed indefinita autonomia dell’ordinamento sportivo
ed in tal senso, il nuovo quadro normativo in materia pone come limite a quella che è stata definita
una «insostenibile assoluta autonomia dell’ordinamento giuridico il rispetto effettivo dei diritti
inviolabili dell’uomo»74. L’impostazione non condivisibile dei rapporti tra i due ordinamenti insiste,
72
E. LUBRANO, Vita e problemi della pubblica amministrazione, in Riv. amm. Rep. it., 2001, II, p. 603.
73
Cassazione, sez. un., 26 ottobre 1989, n. 4399, cit., c. 906.
74
P. MORO, Giustizia sportiva e diritti processuali, in P. Moro (a cura di), La giustizia sportiva, cit., p. 8.
24
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
però, nella relativa individuazione dei «casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della
Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo»75 e la
“naturale” tensione di una parte degli interpreti verso una espansione di tale ambito di rilevanza.
Anche perché, esasperando il concetto positivo posto dal legislatore del 2003, potrebbe
paradossalmente giungersi all’affermazione che ogni fatto o atto che si svolge o viene assunto
all’interno dell’ordinamento sportivo è suscettibile di acquistare profili di rilevanza esterna al
medesimo, atteso l’enorme impatto sociale e le ricadute economiche dell’attività agonistica,
soprattutto a livello professionistico.
E’ sufficiente, a tal riguardo, far riferimento alla giurisprudenza di un numero sempre
maggiore di tribunali amministrativi regionali che, utilizzando «il grimaldello della “valenza
pubblicistica”» di cui all’art. 15, co. 1., del d.lgs. n. 242/1999, nonché il sin troppo facile strumento
esegetico
«delle
conseguenze
patrimoniali
che
sempre,
ma
indirettamente,
derivano
dall’applicazione dei regolamenti sportivi o dalle relative sanzioni disciplinari, ma che possono
altresì derivare da ogni altra attività sociale giuridicamente indifferente»76, «manipolato a dismisura
sino a far rivivere la non più sostenibile tesi della “doppia natura” delle federazioni sportive, hanno
ritenuto di doversi attribuire la giurisdizione in numerose controversie, anche dilettantistiche, in cui
di interessi legittimi non v’era nemmeno la minima traccia»77, venendo forse meno a quella che
ancor oggi è la funzione del processo amministrativo, ossia «assicurare la legalità ed il buon
esercizio dell’azione amministrativa»78.
Tutto ciò nonostante il riconoscimento formale della natura di associazioni private delle
federazioni, che – per logica – sembrava dovesse sottrarre molte “occasioni” di intervento alla
magistratura amministrativa che, invece, con una sorta di “ri-pubblicizzazione” di fatto di ciò che il
legislatore aveva privatizzato79, colta dall’ansia di «riproporre ovunque il dominio del giudizio di
annullamento»80, ha emesso «una serie di provvedimenti destinati, nel breve giro di pochi anni, a
75
Art. 1, l. n. 280/2003.
76
Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, 8 novembre 2007, n. 1048, in Riv. dir. econ. sport, 2007, 3, p. 100.
77
A. DE SILVESTRI, Le questioni del lodo camerale: autonomia o discrezionalità delle federazioni sportive nazionali?, in
www.giustiziasportiva.it, 2007, 3, p.74 s.
78
L. MAZZAROLLI, Quadro generale della giustizia amministrativa, in L. Mazzarolli (a cura di), Diritto amministrativo5, Bologna,
2005, II, p. 352.
79
In siffatti termini si esprime S. CASSESE, Diamo ai Tar (pur coi loro difetti) l’onore delle armi, in Corriere della Sera, 21 agosto
2003.
80
A. ROMANO TASSONE, Lodo arbitrale ex art. 6 l. n. 205/2000 e giudice dell’impugnazione, in Foro amm. – CdS, 2003, p. 2280.
25
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
mettere in scacco l’intera giustizia sportiva ed a provocare, ancora più a monte, lo “scollegamento”
dal sistema delle stesse federazioni sportive nazionali»81.
Dette “interpretazioni correttive” delle norme qui in rilievo sembrano essere adottate ai fini
dell’affermazione della sussistenza della giurisdizione amministrativa od ordinaria82: esse, tuttavia,
travalicano «il limite, per ogni giudice sempre insuperabile, della mera disapplicazione della
legge»83. Siffatta tendenza, complice la complessità dei livelli di produzione normativa, rischia di
trasformare quella che episodicamente può definirsi come “giurisprudenza creativa” in momenti di
«anarchia assoluta»84.
L’agire delle federazioni sportive è improntato ad autonomia e non già a discrezionalità
amministrativa: l’assunto si ricava dallo stesso modello legale ideato dal legislatore per le predette
federazioni, considerate associazioni dotate di personalità giuridica di diritto privato, ma anche dalla
stessa Carta costituzionale, come di recente ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui
«il fondamento dell’autonomia dell’ordinamento sportivo» deve essere rinvenuto «nella norma
costituzionale di cui all’art. 18, concernente la tutela della libertà associativa, nonché nell’art. 2,
relativo al riconoscimento dei diritti inviolabili delle formazioni sociali nelle quali si svolge la
personalità del singolo»85.
Sul
piano,
ad
esempio,
delle
materie
sottratte
alla
competenza
giurisdizionale
dell’ordinamento sportivo una riconsiderazione del corretto rapporto tra ordinamenti dovrebbe,
previo necessario conducente intervento di modificazione normativa86, portare ad un ampliamento
degli spazi di autonomia, attraverso il recupero di alcuni passaggi dello stesso d.l. n. 220/2003,
soppressi in sede di conversione, come quelli relativi alle questioni di ammissione e affiliazione di
tesserati e società, alle quali occorrerebbe aggiungere le situazioni connesse all’esclusione degli
stessi soggetti dai ruoli federali87.
81
A. DE SILVESTRI, Le questioni del lodo camerale: autonomia o discrezionalità delle federazioni sportive nazionali?, cit., p. 74.
82
Anche se deve segnalarsi come qualche giudice ordinario abbia già declinato la propria giurisdizione in favore di quella sportiva:
cfr. Tribunale di Bergamo, 10 gennaio 2003, n. 224, inedita, a quanto consta; Tribunale di Pescara, ord. 14 dicembre 2001, in Corr.
giur., 2002, 2, p. 223.
83
Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, 8 novembre 2007, n. 1048, cit., p. 100.
84
Cfr. V. DOMENICHELLI, Regolazione e interpretazione nel cambiamento del diritto amministrativo: verso un nuovo feudalismo
giuridico?, in Dir. proc. amm., 2004, p. 1 ss.
85
In tali termini, Cassazione 27 settembre 2006, n. 21006, in Guida al diritto, 2006, 46, 59 (s.m.), nonché in www.giustiziasportiva.it
e Cassazione, 28 settembre 2005, n. 18919, in Mass. Giust. civ., 2005, f. 7/8.
86
Intervento auspicato da diverse voci della dottrina: v., ad es., G. VALORI, Il diritto nello sport, principi, soggetti, organizzazione,
Torino, 2005, p. 120, secondo cui è auspicabile un ulteriore intervento del legislatore affinchè chiarisca, «una volta per tutte, le
questioni che assumono rilevanza per l’ordinamento giuridico dello Stato separandole da quelle giuridicamente indifferenti».
87
Cfr. L. GIACOMARDO, Autonomia per le federazioni ed una delega in bianco al Coni, cit., p. 10. Contra, ad es., Tar Lazio, 1 aprile
2004, n. 2987, in Foro amm. – Tar, 2004, p. 1112, secondo cui il rapporto associativo, in sé considerato, «è certo rilevante per
l’ordinamento sportivo, ma impinge altresì su posizioni regolate dall’ordinamento generale, onde la relativa tutela spetta al giudice
26
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
In tale prospettiva non può tralasciarsi la banale, quanto decisiva considerazione che l’attuale
qualificazione in termini di diritti soggettivi o interessi legittimi di siffatte situazioni giuridiche non
potrebbe neppure configurarsi in assenza ed al di fuori dell’organizzazione sportiva.
In altri termini, prima che situazioni giuridiche rilevanti per lo Stato sono e rimangono
situazioni che traggono la loro fonte, origine e regolamentazione nell’ordinamento sportivo e,
pertanto, a questo devono essere riservati gli eventuali casi di contenzioso.
Una volta riconosciuto alle federazioni sportive il potere di emanare norme interne per
l’ordinato svolgimento delle competizioni sportive e per la corretta acquisizione dei risultati delle
attività agonistiche, logica-giuridica vuole che sia alle stesse riservata la competenza ed il giudizio
sull’osservanza di siffatte norme.
I provvedimenti, dunque, emanati in conseguenza dell’applicazione di dette norme producono
i loro effetti all’interno dell’ordinamento di settore e soltanto in via eventuale ed indiretta essi si
riverberano nell’ordinamento generale e non possono, quindi, che rimanere per quest’ultimo
irrilevanti. Del resto, tutte le attività esplicazione dell’autonomia organizzativa e tecnica affidata
alle federazioni sportive nazionali per il corretto ed ordinato svolgimento delle competizioni
sportive tra le società affiliate e/o con i loro tesserati, non possono che attenere alla vita interna
delle stesse federazioni.
E’ lo stesso effetto fondamentale della giuridicità degli ordinamenti sportivi che depone in tal
senso: «gli ordinamenti statali possono non consentire nel loro territorio l’attuazione dell’agonismo
programmatico in uno o più sport, ma se lo consentono ciò di per sé significa che essa può e deve
essere organizzata e curata dagli sportivi stessi per mezzo di ordinamenti dotati, appunto, del
requisito della giuridicità»88.
E’, dunque, opportuna una rimeditazione su quali debbano essere (o, per meglio dire, sono) le
questioni con efficacia meramente interna all’ordinamento sportivo, sancendone espressamente la
loro insindacabilità da parte del giudice statale, distinguendole da quelle che assumono una diretta
ed effettiva (e non già meramente potenziale ed indiretta) rilevanza esterna,ossia nell’ambito
dell’ordinamento generale, e prevedendo, dunque, soltanto per queste ultime il sindacato
giurisdizionale ordinario o amministrativo, dopo l’espletamento dei diversi gradi della giustizia
speciale sportiva.
amministrativo, nella propria competenza esclusiva di cui all’art. 3 comma 1 par. I, d.l. n. 220 del 2003».
A. MARANI TORO, voce «Sport», in Nov. dig. it., vol. XVIII, 1971, p. 50.
88
27
DOTTRINA
Spunti per una riconsiderazione dei rapporti……
In altri termini, si ritiene che «un intervento dello Stato nella disciplina sportiva – e quindi
una limitazione all’espansione autonomistica dell’ordinamento sportivo – possa verificarsi solo nei
casi in cui l’interesse, pur pubblico, di settore (sportivo) venga ad interferire con quelli più generali
e più “ampiamente” pubblici che compete direttamente allo Stato tutelare ed attuare»89.
La soluzione pubblica nelle controversie sportive può giustificarsi soltanto «se e nella misura
in cui le istituzioni dello sport non risultino in grado di predisporre adeguate forme di tutela»90,
anche perché l’intervento continuo e, per certi versi, sistematico della giustizia dello Stato va
considerato un disvalore che porta alla negazione della stessa autonomia che pacificamente, invece,
connota l’ordinamento sportivo.
In definitiva, l’unità e l’unicità del diritto non deve tradursi nella negazione della molteplicità
degli ordinamenti giuridici, che, in quanto tali, non sono creati dallo Stato, trovando, invece, causa
sulla forza spontanea di creazione della coscienza giuridica.
La varietà e la molteplicità della realtà giuridico-sociale mal si presta ad essere interamente
colta, interpretata e regolata dall’ordinamento statale: l’ordinamento sportivo, dunque, non può
essere semplicisticamente definito come formazione giuridica che trova posizione nell’ambito della
gerarchia del diritto dello Stato, poichè – al contrario – esso esiste e vive su un piano parallelo.
(*) Avvocato Vicepresidente Commissione Disciplinare Territoriale – F.I.G.C. - LND Com. reg. Veneto
89
G. IADECOLA, Se al presidente di un comitato regionale della F.I.G.C. compete la qualifica penalistica di persona incaricata di un
pubblico servizio, in Cass. pen., 1996, 12, p. 3799.
90
G. NAPOLITANO, Caratteri e prospettive dell’arbitrato amministrativo sportivo, in Giorn. dir. amm., 2004, p. 1162.
28
DOTTRINA
FIGC e la perpetuatio jurisdictionis……
LA F.I.G.C E LA PERPETUATIO JURISDICTIONIS
di Paco D’Onofrio (*)
Recentemente, una questione di particolare rilievo ha interessato l’attività di giustizia
domestica della FIGC, sollecitando un’approfondita discussione che, traendo origine dal singolo
caso di specie, consente di avviare una più ampia riflessione sull’effettiva collocazione giuridica dei
poteri associativi derivanti dal tesseramento e sul loro legittimo esercizio da parte degli organi
federali.
L’argomento non appare privo di pregio, in considerazione della tutela costituzionale del
singolo dinanzi all’eventualità di un’attività censorea e disciplinare, arbitraria ed illegittima,
perpetrata a suo discapito dalla giustizia sportiva federale.
Il nucleo essenziale della questione evidenziata afferisce alla dubbia legittimità di un
procedimento disciplinare iniziato a carico di un soggetto che abbia, precedentemente alla notifica
del deferimento, effettivo dies a quo dell’attività giurisdizionale domestica, rassegnato le proprie
formali dimissioni e che, accettando il definitivo ed irreversibile estraniamento dall’ambito federale
conseguente alla propria iniziativa, abbia deciso di interrompere e recidere ogni legame, rapporto e
relazione giuridica con l’associazione di appartenenza, la Federazione sportiva.
Questa apparentemente pacifica impostazione dogmatica, non ha incontrato uniformemente il
favore dei giudici sportivi, per alcuni dei quali sussisterebbe in ambito associativo la c.d.
perpetuatio jurisdictionis.
In una dimensione critica di questa ricostruzione fatta propria da parte della giustizia
domestica, si consideri che l’ordinamento sportivo, di cui la Federazione Italiana Giuoco Calcio
costituisce un’articolazione settoriale, è pacificamente ritenuto dalla dottrina quale ordinamento
giuridico derivato, poiché trova la propria legittimazione nei superiori valori contenuti negli artt. 2 e
18 della Costituzione, in una dimensione di autonomia giuridica riconosciuta anche dalla legge
280/03.
Inoltre, nella sua complessa strutturazione sono rinvenibili, senza dubbio, tutti gli elementi
costitutivi tipici di un ordinamento giuridico, così come, speculare a quella statale, si presenta la
ripartizione dei poteri e delle competenze, tra organi legislativi, esecutivi e giurisdizionali,
attraverso la quale si intende garantire non soltanto il rispetto delle norme domestiche, ma anche di
29
DOTTRINA
FIGC e la perpetuatio jurisdictionis……
quei principi e di quei valori proprio di uno Stato di diritto, di cui il sistema sportivo è,
necessariamente, parte.
Quindi, non pare, altresì, potersi revocare in dubbio che l’elemento caratterizzante tale
ordinamento sia la sua innegabile natura associativa, anche alla luce dell’entrata in vigore del
Decreto Melandri del 1999, che ha determinato l’attribuzione per legem della personalità di diritto
privato alle Federazioni Sportive Nazionali, ponendo definitivamente fine ad un’annosa oscillazione
tra rilevanza formalmente privatistica e pubblicistica delle stesse.
In ogni caso il carattere effettivamente decisivo per un corretto inquadramento ermeneutico
della fattispecie e della dimensione giuridica entro cui ricomprendere l’ordinamento federale, è
quello associativo, così come asseverato dal ricordato intervento normativo.
Dunque, l’appartenenza all’ordinamento sportivo, per il tramite della Federazione di
riferimento in base alla disciplina sportiva di cui, a vario titolo, si è espressione, si costituisce in
ossequio al c.d. vincolo associativo, in ragione del quale ciascuna persona fisica, mediante
tesseramento, nonché ciascuna persona giuridica, mediante affiliazione, decide volontariamente di
partecipare all’ordinamento federale, accettandone le regole, nonché l’organizzazione e le decisioni.
Inconfutabilmente, risiede nell’atto di volontaria adesione alla Federazione il dies a quo
dell’assoggettabilità del tesserato, nel caso che ci occupa, alla cogenza di quest’ultima, a differenza
di quanto avviene a livello statale, laddove si registra, evidentemente, una passività sine limite
rispetto alle attività istituzionali, specificamente giurisdizionali, atteso il carattere originario
dell’ordinamento ed indisponibile della posizione giuridica soggettiva.
Ben diversamente, fatalmente, deve essere considerato il rapporto giuridico corrente tra un
tesserato e gli organi di giustizia federale, poiché la stessa proponibilità dell’azione disciplinare,
nonché l’eventuale carattere coattivo della decisione assunta, deve trovare il suo necessario
presupposto nella formale appartenenza del soggetto deferito all’associazione procedente,
difettando il quale, ogni iniziativa risulta destituita di fondamento giuridico, illegittima e, dunque,
abusiva.
E’ pacificamente riconosciuta a ciascuno un’ampia libertà di associazione ex art. 18 Cost. e,
parimenti, già l’insegnamento dei Costituenti suggeriva di considerare necessariamente vigente
anche la c.d. libertà dall’associazione, vale a dire il pieno diritto da parte di ciascuno di
interrompere e risolvere il vincolo associativo, federale nel caso che ci occupa, assumendo lo status
di extraneus rispetto al consesso di precedente appartenenza, con la conseguenza, evidente, che dal
30
DOTTRINA
FIGC e la perpetuatio jurisdictionis……
momento delle rassegnate formali dimissioni, in alcun modo gli organi associativi avranno
competenza e legittimazione ad agire nei suoi riguardi.
L’autonomia della quale ontologicamente gode l’ordinamento sportivo non potrà tradursi
giammai nella pretesa di violare, benché in ambito associativo, i diritti soggettivi e gli interessi
legittimi riconosciuti e tutelati dallo Stato già a livello costituzionale, sia positivi che negativi, come
la già ricordata libertà dall’associazione.
Quest’insuperabile insegnamento di civiltà giuridica non ha trovato, evidentemente,
completo e pacifico riconoscimento nel maturato convincimento a sostegno di alcune pronunce
federali, che hanno preferito ritenere meritevole di accoglimento un non meglio precisato
“interesse” della FIGC ad agire indistintamente, non ritenendo di motivare le proprie decisioni
indicando quale norma possa considerarsi fonte di legittimazione della perpetuatio jurisdictionis.
Paradossalmente, le stesse norme federali risultano esemplari sul punto, poiché non
annoverano in alcun modo la figura del c.d. extraneus, riconoscendo implicitamente l’impossibilità
di procedere nei confronti di chi non abbia (più) alcun legame formale con la Federazione, alla
quale deve essere impedito di incidere sulla sfera individuale di un soggetto terzo.
Proprio l’art. 1, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva, quale norma di principio ed
incipit dell’intera disciplina, nel menzionare i soggetti tenuti all’osservanza delle norme e degli atti
federali, con i quali, dunque, gli stessi organi associativi, ivi compresi quelli giurisdizionali,
possono entrare in relazione ed in tal senso procedere ove necessario, spende tassativamente, per le
persone fisiche, lo status di dirigente, atleta, tecnico ed ufficiale di gara, concludendo con
l’assorbente e residuale categoria di chiusura “ogni altro soggetto dell’ordinamento federale”.
Come non leggere nell’apicale norma riportata il senso dell’argomento sostenuto, vale a dire
che esplicitamente la legislazione domestica estromette, come non potrebbe non fare, dal pervasivo
spazio d’intervento degli organi federali quanti non siano ricompresi nel novero dei soggetti
menzionati?
Si trovi ulteriore conferma all’impostazione concettuale evidenziata nel successivo art.3 CGS,
proprio in tema di responsabilità delle persone fisiche, poiché, nel riportare le categorie giuridiche
soggettive del dolo e della colpa, specifica che “Le persone fisiche appartenenti all’ordinamento
federale sono responsabili delle violazioni delle norme loro applicabili”.
Dunque, nuovamente con coerenza esemplare insuscettibile di confutazione, tra i principi di
giustizia sportiva si individua la clausola di esclusività, in ragione della quale solo chi appartiene
31
DOTTRINA
FIGC e la perpetuatio jurisdictionis……
all’ordinamento FIGC potrà essere considerato responsabile per le eventuali violazioni commesse e,
conseguentemente, passibile di procedimento disciplinare.
Ancora, con incedere incessante, si potrà citare il successivo art.5 CGS in tema di
dichiarazioni lesive, che specifica l’esclusivo ambito di competenza limitato nuovamente ed
esplicitamente ai “soggetti dell’ordinamento sportivo [ai quali] è fatto divieto…..”; stesso tenore
presenta il dettato del successivo art. 6 in materia di scommesse, laddove si prevede che è fatto
divieto effettuare o accettare scommesse “ai soggetti dell’ordinamento federale, ai dirigenti, ai soci
ed a tesserati delle società appartenenti al settore professionistico”.
Esemplare poi è la disciplina riservata all’ipotesi più grave prevista dal CGS, ovvero l’illecito
sportivo, che, attesa la rilevanza della fattispecie e la spiccata necessità di provvedere
restrittivamente, dovrebbe registrare la più ampia comprensività del novero dei soggetti passibili,
limitandosi, invece, a menzionare specificamente, art. 7 comma 2, soltanto “Le società, i dirigenti, i
soci e i tesserati”, escludendo, pertanto, ogni possibile altro coinvolgimento.
Quando il CGS si riferisce a non meglio precisati “soggetti non autorizzati”, nei quali
rientrano a pieno titolo tutti coloro che non sono tesserati o affiliati, viene formulata solo una
fattispecie incriminatrice nei confronti di quei soggetti sportivi che si avvalgono, illegittimamente,
dell’attività compiuta dai primi, senza che, tuttavia, si possa in alcun modo sostenere l’attivazione
di un procedimento disciplinare nei confronti degli stessi.
Quanto esposto, inoltre, assume ulteriore rilevanza in considerazione della fase successiva al
deferimento ed all’eventuale pronuncia di condanna, poiché l’ordinamento federale, artt. 18 e 19
CGS, nel prevedere le sanzioni a carico dei colpevoli, esplicitamente si riferisce nella prima ipotesi
alle società e nella seconda ai dirigenti, soci e tesserati di una società, non contemplando,
evidentemente l’ipotesi stravagante e suggestiva, in un’ottica de jure condendo, di comminazione ed
esecutività della sanzione a carico di un soggetto terzo.
Peraltro, se così non fosse, si giungerebbe all’assurdo, che pacificamente prova il suo
opposto, per cui alcuni istituti processuali, di indubbio vantaggio per il deferito, come nel caso del
c.d. patteggiamento sportivo di cui all’art. 23 CGS, non sarebbero invocabili e concreta mente
utilizzabili dall’incolpato non tesserato, poiché tassativamente la stessa norma prevede che tale
possibilità venga accordata solo ai soggetti di cui all’art.1, comma 1 CGS, vale a dire i tesserati, con
conseguente inaccettabile disparità di trattamento non certo conciliabile con il presupposto
ontologico di un ordinamento giuridico.
32
DOTTRINA
FIGC e la perpetuatio jurisdictionis……
Risulta evidente, dunque, l’insostenibile distorsione giuridica che sostiene la perpetuatio
jurisdictionis, poiché ostinatamente si continua a procedere nei confronti di chi non è più un
tesserato dell’ordinamento sportivo; proprio le norme domestiche, come dimostrato, senza peraltro
citare completamente le ipotesi ricorrenti, ostano ad una tale impostazione.
Se si fosse voluta legittimare un’iniziativa giudiziaria nei confronti di un ex tesserato, ferma
restando in ogni caso l’incostituzionalità dell’ipotesi, tuttavia il legislatore sportivo, proprio dopo
aver modificato il dettato del precedente CGS alla luce delle vicende giudiziarie dell’estate del 2006
(si veda l’introduzione di specifiche fattispecie precedentemente mancanti nell’articolato domestico
ma emerse nel corso di quel processo sportivo), l’avrebbe potuta inserire, semplicemente integrando
il novero dei destinatari delle norme, includendo anche agli ex tesserati.
Diversamente argomentando, si ignorerebbe il pacifico principio, peraltro di non recente
consacrazione, per cui “ubi lex voluit dixit, ubi tacuit noluit”, in ragione del quale può considerarsi
legittima e giuridicamente fondata solo quell’iniziativa giudiziaria che, costituendo in re ipsa un
gravame, trovi l’avallo in un’esplicita formulazione normativa che ne costituisca il presupposto ed il
fondamento, in un’ottica di doveroso ossequio al principio di tassatività.
Conclusivamente corre l’obbligo di chiarire, per doverosa esaustività espositiva, che privo di
pregio e sterile concettualmente sarebbe l’argomento della finalità elusiva perseguita mediante
strumentali preventive dimissioni da parte del soggetto tesserato consapevole delle responsabilità
prossime ad essere a lui ascritte, poiché com’è noto, l’atto dismissivo dell’appartenenza federale è
definitivo, irrevocabile ed irreversibile, di fatto già produttivo della massima forma di estraniamento
federale, che la giustizia sportiva potrebbe comminare solo nel caso della radiazione, peraltro con
un procedimento complesso.
Dunque, chi interrompe definitivamente il proprio rapporto con l’ambito associativo sportivo
deve vedersi riconosciuto il diritto all’intangibilità assoluta della propria sfera giuridica, che
comporta la non assoggettabilità ad alcun procedimento disciplinare, così come, a fortiori, la non
sofferenza di eventuali sanzioni comminate all’uopo.
(*) Avvocato del Foro di Bologna e Docente di Diritto dello Sport
presso l’Università degli Studi di Bologna
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DOTTRINA
La persegubilità penale……
LA PERSEGUIBILITA’ PENALE A SEGUITO DI INTERVENTI
AVVENUTI DURANTE LE COMPETIZIONI AGONISTICHE .
LIMITI ALL’AZIONE – ASPETTI PROCESSUALI.
di Alessio Rui (*)
Nel panorama giurisportivo degli ultimi anni, sempre più spazio è stato riservato al dibattito
relativo all'opportunità di perseguire, in ambito penale, condotte lesive poste in essere durante lo
svolgimento di manifestazioni e/o attività agonistiche.
Grazie agli interventi giurisprudenziali succedutesi negli ultimi anni, risulta, oggi, possibile
delineare un contesto per alcuni tratti diverso da quello elaborato dalla dottrina specialistica sino
allo scorso decennio.
Il tutto dovuto all'evolversi della tecnica e dell'animus pugnandi in seno agli atleti ma anche
all'importanza sempre maggiore, soprattutto nel mondo professionistico, rivestita da alcuni sportivi
per questioni essenzialmente riconducibili ad interessi economici.
Interessi cresciuti in maniera esponenziale negli ultimi anni, tanto da provocare un palese
nocumento alle società d'appartenenza o all'atleta stesso, nel caso in cui le sofferenze dovute ad una
lesione comportino uno stop prolungato dell'attività agonistica .
Sulla base di una simile premessa, i soggetti (fisici e/o giuridici) si stanno dimostrando ogni
giorno più interessati a tutelarsi innanzi all'autorità ordinaria, non risultando gli organi di giustizia
sportiva idonei a stabilire dei risarcimenti economici in favore delle (presunte) parti lese e a
condannare, con pene coercitive, gli atleti scorretti che divengono dapprima indagati e
successivamente imputati.
Ragionamento analogo per quanto concerne il mondo dilettantistico e dei settori giovanili,
caratterizzato dall'accrescersi di azioni penali, a seguito di querele per lesioni colpose o dolose.
Ed è proprio in seno a questo contesto che si incontrano gli ostacoli più duri
nell'espletamento dei processi, per una serie di motivi che saranno esposti al termine della nostra
analisi.
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DOTTRINA
La persegubilità penale……
Chi scrive non vede favorevolmente il proliferare di dette azioni per i motivi che di seguito
si andranno ad esporre.
Ad ogni modo, prima di chiosare il presente lavoro con la nostra opinione sarà bene
identificare i punti salienti caratterizzanti l'argomento, incentrando l'attenzione non tanto sulle teorie
pleonastiche relative all'esimente o al consenso del praticante l'attività sportiva, bensì
sull'evoluzione giurisdizionale in corso.
Ebbene, un'introduzione all'argomento non può prescindere dal menzionare gli articoli 582
c.p. e 590 c.p.
Disciplinanti, rispettivamente, il reato di lesioni personali e di lesioni personali colpose.
Andrà subito considerato come i concetti di dolo e di colpa, inseriti in un contesto di
competizione sportiva, debbano essere circoscritti alle peculiarità ed alle regole degli sport che si
vanno ad analizzare.
Risulta evidente, infatti, come un pugno sferrato nel corso di un match di pugilato non possa
rappresentare una condotta dolosa a differenza di colpo sferrato a gioco fermo in un incontro di
calcio e/o di pallacanestro che ne ravviserebbe la specificità di cui all'elemento soggettivo
intenzionale.
Ed anche il concetto di cui all'art 590 c.p. andrà ricondotto alla disciplina di volta in volta
interessata, risultando non comparabili le lesioni colpose riconducibili alla condotta di chi, durante
un incontro di calcio colpisce l'avversario in maniera involontaria, con quelle di un soggetto che
urta un concorrente nel corso di una gara di corsa (disciplina ove il contatto fisico non è previsto),
invadendo la corsia altrui.
Sulla scorta di quanto poc'anzi esposto, la dottrina si è affannata nel cercare di stabilire un
criterio generale che potesse delineare i margini entro cui rendere legittime le condotte degli atleti,
intendendo col termine “legittimo” non la regolarità sportiva della condotta ma la sua conformità
agli aspetti normativi codificati.
Vi sono, infatti, molteplici esempi in cui un “illecito sportivo” (locuzione di creazione
dottrinale, indicata in buona parte dei regolamenti alla voce “falli e scorrettezze”) o un
comportamento non regolamentare rimangono tali solo in ambito agonistico, nulla rilevando in
ambito giudiziario.
Ci si chiede, allora (e ci si è chiesto per lungo tempo) quale sia il margine entro cui un
comportamento non regolare rimanga immune dall'espletarsi dell'azione penale
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DOTTRINA
La persegubilità penale……
La dottrina ha istituito l'anzidetta categoria degli “illeciti sportivi” al fine di individuare una
sorta di soglia, variabile da sport a sport e quindi da caso a caso, entro la quale circoscrivere le
condotte agonistiche non rilevabili penalmente.
Questa soglia è stata, fin dai decenni scorsi, denominata soglia del “rischio consentito”
sottintendendo che, chi pratica volontariamente e senza costrizioni uno sport, per il fatto stesso di
farlo, accetta di subire le possibili ed eventuali conseguenze degli effetti della propria pratica.
Tornando agli esempi di prima, il praticante la boxe non potrà, tranne casi particolari di cui
si dirà in seguito, pretendere tutela penale anche nel caso in cui gli effetti dei colpi subiti
rientrassero, dal punto di vista oggettivo, entro i parametri delle lesioni personali.
Né chi pratica il calcio o il basket potrà, nel caso di chiara involontarietà del proprio
intervento, vedersi indagato per gli effetti del proprio gesto sportivo, quand'anche quest'ultimo
risultasse lesivo.
Il fatto stesso che il livello dell'asticella del rischio consentito (creatura, lo ripetiamo,
dottrinale) risulti variabile a seconda della disciplina presa in considerazione è un indice
inequivocabile della difficoltà, rectius impossibilità, di configurare un unico parametro valevole per
tutte le discipline.
Conseguentemente, la nostra analisi comincia già in salita; con la consapevolezza, cioè, di
non poter uniformare tutti gli sport ad un unico criterio valutativo.
Si dovrà, volta per volta, aver contezza della pratica sportiva di cui si dibatte con due ordini
di conseguenze:
In primo luogo, servirà un adeguata esperienza della disciplina specifica, conoscendone sia
le regole che le prassi in uso ai praticanti.
In secundis, sarà possibile, se non auspicabile, operare delle classificazioni tra le svariate
discipline entro cui far rientrare alcuni sport che per specificità e grado di contatto fisico rivestono
delle similitudini.
Ad avviso di chi scrive, la divisione tra “sport comportanti il contatto fisico e non” appare
assai vetusta.
Sussistono, infatti, discipline che, pur non comportando il contatto tra i contendenti, possono
dar adito a situazioni di lesioni personali del tutto involontarie.
Si pensi ad attività come il baseball, la pallavolo, od il tennis che, pur non ammettendo il
contatto tra i corpi dei contendenti, possono provocare degli effetti dannosi a causa di eventuali
contatti con la palla scagliata ad alta velocità, sempre nel rispetto delle regole.
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DOTTRINA
La persegubilità penale……
Dal nostro modesto punto di vista, ci permettiamo di suggerire una classificazione in sei
categorie: a) sport che impongono per il loro regolamento il contatto fisico (es: boxe, judo, arti
marziali, lotta ); b) sport che sottintendono il contatto fisico (es: football americano, rugby, hockey
su ghiaccio); c) sport che prevedono la possibilità di contatto fisico (es: calcio, pallacanestro,
pallanuoto); d) sport che non prevedono contatto (es: tennis, pallavolo, tennis da tavolo), e) sport
che non ammettono il contatto se non per caso fortuito (es: corsa campestre, nuoto di fondo); f)
sport ove i contendenti gareggiano senza la presenza di avversari (es: sci, nuoto in corsia, concorsi
d'atletica leggera o di ginnastica artistica)
Appare evidente come la soglia del rischio consentito tocchi il punto più alto per quanto
concerne la categoria al punto a) mentre rasenti il profilo più sasso in merito alle discipline
ricomprese nella categoria sub e)
Quanto alla categoria sub f), l'assenza dal campo di gioco di avversari implica l'impossibilità
che si verifichino condotte perseguibili penalmente.
Ora, assodato che il rischio consentito varia da disciplina a disciplina, val la pena ricordare i
due filoni dottrinali che hanno caratterizzato l'analisi dal dopoguerra ad oggi.
Da una parte vi è il filone che tende a ricondurre la scriminante del rischio consentito
all'interno dell'art 50 c.p., riconoscendole valenza quale “consenso dell'avente diritto” a tutti gli
effetti; dall'altra chi, rivendicando una specificità dovuta alla particolarità dell'ambito agonistico,
ritiene che questa vada ad inserirsi in un contesto diverso, prettamente specifico e quindi
riconducibile ad una creatura ad hoc.
Una causa di giustificazione, per l'appunto, non codificata.
Per dirimere detta diatriba ci giungono in soccorso le stesse pronunce giurisprudenziali che,
sebbene in origine inclini alla prima delle teorie esposte, con il corso degli anni hanno visto
modificare l'orientamento iniziale.
Sino agli 90,
la Suprema Corte ha confortato i sostenitori della teoria del consenso
dell'avente diritto (Cass. Sez. V, n. 9627, 8 ottobre 1992; Cass. Sez V, 2 maggio 1993), confermando
come la soglia del rischio andasse valutata caso per caso, nell'impossibilità ( già diagnosticata
sopra) di erigere un omogeneo muro di cinta, entro cui ricondurre tutte le discipline.
Le cose cambiano con l'avvento del nuovo millennio, allorchè la Cassazione affronta
direttamente il dibattito nella pronuncia n. 1951/2000 ( Cass. Sez V).
E' la stessa Suprema Corte a chiedersi quale dei due orientamenti dottrinali abbia da
preferirsi.
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DOTTRINA
La persegubilità penale……
Leggendone il dettato si percepisce come la giurisprudenza, a mezzo di detta pronuncia,
abbia operato una radicale inversione di tendenza.
La teoria del rischio consentito viene messa da parte in adesione all'orientamento che
riconduce i casi di contatto da gioco all'esistenza di una causa di giustificazione non codificata.
Quali i motivi di questa preferenza?
Principalmente uno.
La teoria del rischio consentito, sviluppatasi identificando quale parametro giuridico l'art 50
c.p. ( “non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può
validamente disporne”), presta al fianco ad alcune obiezioni.
La più immediata di queste, sostenibile da chiunque aderisca alla teoria della concezione
tripartita del reato, è rappresentata dalla difficoltà di sostenere il consenso dell'avente diritto
allorchè il bene giuridico da tutelarsi sia rappresentato dal diritto all'integrità fisica o, addirittura,
alla vita.
Non vi è dubbio, infatti, che questi diritti rientrino tra quelli cosidetti “indisponibili”, con la
conseguenza di creare una contraddizione qualora si ritenga possibile prestare un consenso in
merito alla lesione di un diritto che, per sua stessa natura, non può essere intaccato.
Chi scrive non può che aderire alle considerazioni poc'anzi riportate ma ha il dovere di
segnalare come la teoria del consenso dell'avente diritto risulti l'unica elaborata sulla scorta del
nostro codice.
Va da sé che nel momento in cui la dottrina prima e la giurisprudenza poi parlano di
scriminante non codificata, sono costrette a crearla ad hoc, sottintendo l'impossibilità di trovare
appigli nel panorama giuridico vigente.
Il punto è di non secondaria importanza perchè ci permette di comprendere la difficoltà
d'inserimento della soglia del rischio consentito all'interno delle norme in vigore.
Da un lato, vi è un apparentamento con l'art 50 c.p. con tutte le contraddizioni sopra dedotte.
Dall'altro, per venire incontro all'esigenza di specificità del caso, vi è una forzatura
normativa comportante la creazione di una causa di giustificazione diversa da quelle codificate.
Ad avviso di chi scrive, il filone da seguire è quest'ultimo, quantomeno per non incorrere in
problematiche relative all'eventuale non osservanza dei principi costituzionali, nel caso in cui si
volessero rendere disponibili dei diritti che non lo sono.
Vi è inoltre un ulteriore vantaggio.
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DOTTRINA
La persegubilità penale……
Rifacendosi alla teoria della scriminante non codificata, ci si apre la possibilità di fuoriuscire
dai dettami classici di cui all'elemento soggettivo che sta alla base delle condotte lesive di cui agli
artt. 582 e 590 c p, con l'effetto di poter trattare le questioni che si presentano innanzi ai giudici
penali alla stregua di mere situazioni di fatto.
Come già anticipato, le pronunce del nuovo millennio si sono succedute tutte nel senso di
quest'ultimo intendimento (Corte d'appello Palermo, 26 novembre 2002; Cass. Sez IV, 7 ottobre
2003, Cass. Sez. V, 20 gennaio 2005, n. 19473).
Quanto redatto in premessa può, a seconda degli intendimenti e delle opinioni personali,
prestare il fianco a critiche o trovare consenso; di sicuro, presuppone un'attenta valutazione caso per
caso delle condotte poste in essere.
Ora vien lecito chiedersi quando, in relazione al rischio più o meno alto consentito in seno
alle singole discipline, il compimento di atti lesivi possa dar origine ad un'azione penale.
Ebbene, l'elaborazione giurisprudenziale dell'ultimo decennio è concorde nell'identificare
nella “violazione delle regole di lealtà sportiva” il confine oltre il quale rendere perseguibili i
comportamenti tenuti durante le competizioni.
Detta così, però, la spiegazione non può ritenersi soddisfacente.
Il concetto di lealtà risulta infatti tanto lodevole e nobile quanto aleatorio e di difficile
connotazione pratica.
Di seguito si tenterà di delinearne quelli che, a nostro modo di vedere, paiono essere i punti
cardine, nel rispetto delle indicazioni provenienti dalle massime giurisprudenziali.
Il tutto senza tralasciare l'esperienza prettamente agonistica, non sempre tenuta in buon
conto da chi, pur chiamato a giudicare nelle aule giudiziarie, risulta talvolta carente di nozioni
specifiche.
Ebbene, l'incipit del nostro ragionamento non può discostarsi da un'importante precisazione.
Non tutti gli illeciti regolamentari presuppongono una violazione dei doveri di lealtà.
Tornando alla classificazione precedentemente proposta, la categoria sub c) è quella che più
si presta al ragionamento in essere.
Non è raro, infatti, osservare, nel corso di una partita di basket o di calcio, un arbitro che
sanzioni come comportamento falloso o scorretto un gesto che, almeno nelle intenzioni, non lo
voleva essere.
Si pensi al cestista che cerca di stoppare l'avversario ed involontariamente lo tocca,
provocando comunque il fischio arbitrale.
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DOTTRINA
La persegubilità penale……
Ovvero
al calciatore che, nel tentativo di intervenire sul pallone, si ritrova a colpire
l'avversario per l'abilità di questo nell'anticiparlo o per un'improvvisa mancanza di coordinazione
nel movimento posto in essere.
A prescindere dalla disciplina e dalla soglia del rischio consentito, andrà considerato come
l'aver commesso un fallo od una scorrettezza non rappresenti, di per sé, indice di violazione dei
doveri di lealtà.
Ragionando a contrario, si dovrebbe concludere che in tutte le occasioni in cui non viene
rilevato un fallo da parte del giudice di gara la condotta non sarà perseguibile.
Paradossalmente, così non è!
Sussistono casi in cui, nonostante l'arbitro non abbia ravvisato gli estremi per sanzionare il
comportamento quale antisportivo, l'azione penale è stata comunque incardinata.
Non vi è da esserne sorpresi.
Se è vero che l'arbitro è giudice insindacabile sul campo di gioco, è, altresì, vero che taluni
gesti da sanzionare possono sfuggire al proprio occhio e che, per un (umano) errore di valutazione,
altri che andrebbero sanzionati non lo siano.
Potrà, pertanto, essere perseguito un comportamento quand'anche non fosse stato ravvisato
falloso dall'arbitro.
Conseguentemente, ai fini della rilevanza nel processo, il referto arbitrale non assume una
pregnante importanza, senza peraltro indurre chi legge a ritenere inutile la figura arbitrale.
Lo stesso giudice di gara potrà essere sentito quale teste nel corso del dibattimento
unitamente agli assistenti che ne coadiuvarono l'arbitraggio, rappresentando una fondamentale fonte
di ricostruzione dei fatti da parte di un soggetto “terzo”.
Superato questo primo gradino, diviene necessario comprendere quando un gesto agonistico
superi i limiti consentiti.
Appurato che non è sufficiente l'antisportività del gesto, è doveroso discernere tra la
condotta comportante un'imputazione ai sensi dell'art 590 c.p. e la condotta comportante
un'imputazione ai sensi dell'art 582 c.p.
Partendo da quest'ultima, quella cioè relativa al reato di lesioni personali, è evidente come
l'elemento soggettivo del “dolo” vada ricondotto alla reale ed inequivocabile intenzione di ledere
all'integrità fisica dell'avversario.
Perchè si abbia una simile situazione la competizione agonistica deve apparire, oltre ogni
fondato dubbio, quale mera occasione per il compimento della scorrettezza.
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DOTTRINA
La persegubilità penale……
E' questo il caso in cui un atleta, durante una situazione di gioco fermo o di svolgimento
dell'azione in una zona del campo ad esso distante, colpisca volontariamente un avversario o
reagisca ad interventi ricevuti in precedenza.
Sul punto, la Suprema Corte è stata lapidaria nel corso dell'ultimo decennio e sulla scorta
della massime elaborate si può tranquillamente sostenere come la perseguibilità penale per condotte
di questo tipo appaia fuori discussione.
A maggior ragione, lo sarà nel caso in cui comportamenti simili avvengano fuori dal terreno
di gioco.
Basti pensare alle risse o alle cosidette “imboscate” che purtroppo avvengono non di rado al
rientro negli spogliatoi.
Ancor più evidente sarà la perseguibilità penale in relazione a condotte avvenute tra atleti, al
termine non solo dell'incontro ma anche delle procedure di vestizione, prima di lasciare la struttura
ove è situato l'impianto di gioco.
Tristemente famoso, risulta essere a tal proposito l'episodio che vide coinvolti, nell'autunno
del 2000, i giocatori Ferrigno e Bertolotti con quest'ultimo vittima di un aggressione da parte
dell'avversario, poco prima che le compagini lasciassero l'impianto.
Trattavasi di un mero “regolamento di conti” a seguito di una discussione avvenuta in campo
durante l'incontro di calcio ComoModena.
Il nostro pensiero corre nella direzione secondo cui una situazione di questo tipo nemmeno
consti all'ambito sportivo.
Questo perchè un fatto accaduto dopo un cospicuo lasso di tempo dalla fine dell'incontro
nemmeno può considerarsi attinente alla competizione.
Varranno, in situazioni simili, le norme del codice penale senza bisogno di scomodare la
teoria del rischio consentito.
Quanto invece al reato di lesioni colpose, l'elemento soggettivo dovrà essere frutto di attente
valutazioni.
Sul punto chi scrive non può che rimarcare come le autorità chiamate a giudicare in merito a
simili episodi bisognino di un adeguata e peculiare conoscenza della disciplina di cui si dibatte.
Senza voler polemizzare, nemmeno lontanamente, con gli organi di magistratura, ci sia
consentito affermare che anche un attento studio delle regole di ogni singolo sport può non risultare
sufficiente acchè un giudice abbia contezza della materia.
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DOTTRINA
La persegubilità penale……
Ogni pratica sportiva presuppone una serie di prassi, di circostanze e di regole non scritte
tali da caratterizzarne lo svolgimento.
Le stesse tattiche di gioco poste in essere dalle squadre e la diversità (anche emotiva) tra i
vari momenti della gara condizionano il comportamento degli atleti.
Si pensi, ad esempio alla pallacanestro, disciplina in cui, spesso, le squadre ricorrono al fallo
sistematico (e quindi volontario) al mero fine di fermare il cronometro, senza intenzione di dolere
all'integrità degli avversari ma con la chiara volontà di compiere un'irregolarità.
Ragionamento analogo per la pallanuoto o per il calcio da quando è divenuto comune il
concetto di fallo tattico.
Conseguentemente, il concetto di lesioni colpose in seno alle competizione sportive diventa
quanto di più complesso possa esservi da analizzare.
Ebbene, nell'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale si sono succeduti molti spunti.
Tra i più importanti, val la pena ricordare quello relativo al cosidetto “eccesso di foga” con
cui si riteneva punibile un intervento che, per quanto finalizzato ad avere un vantaggio nell'ambito
dell'incontro (ad esempio, la conquista del pallone) andava a ledere l'integrità altrui a causa della
mancanza di lucidità e/o dell'impossibilità di fermarsi e/o dell'ansia da risultato.
Questo concetto, che continua a risultare il miglior punto di partenza per chi si avventura in
simili analisi, è stato ed è tuttora frutto di perfezionamenti ed adattamenti alle realtà di fatto che
abbondano nei campi di gioco.
Ebbene, dal nostro modesto osservatorio, riteniamo che la vera scriminante per ammettere
un'imputazione per lesioni colpose sia rappresentata dalla connessione esistente o meno tra il fatto
incidentale e il gesto tecnico agonistico.
In parole povere, è nostra opinione che fin tanto che l'intervento, anche se duro nelle forme e
nei modi, sia rapportabile alla (tentata) azione di gioco, non si debba propendere per la
perseguibilità penale.
Interventi anche pericolosi, scomposti o, come si suol dire, cattivi non potranno trovare
giustizia nelle sedi ordinarie se finalizzati ad ottenere un vantaggio
Questo perchè, in caso contrario, la casistica risulterebbe talmente ampia da dilatare senza
limite la competenza della giustizia ordinaria penale.
Quando parliamo di connessione al gesto tecnico sportivo intendiamo affermare che, sino a
quando l'intervento risulti collegabile alla giocata sportiva, l'atleta non dovrà essere indagato.
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DOTTRINA
La persegubilità penale……
Stabilito questo, diviene però necessario piantare dei paletti al fine di delimitare il concetto
di giocata sportiva o gesto tecnico agonistico.
E' evidente come, mai come in queste situazioni, si renda necessaria un'analisi caso per caso.
Sussistono, però, dei fattori che possono essere di grande ausilio nello stabilire l'esistenza o
meno dell'auspicata connessione.
Ad esempio, nei giochi con la palla, un elemento che, in ambito giudiziario,
potrà
scagionare l'atleta falloso, può essere rappresentato dalla vicinanza o meno del pallone al punto di
impatto dei contendenti.
Gli obiettori di questa teoria potranno di certo sostenere che la vicinanza della palla non è
sintomo di involontarietà (fallo tattico docet) ma poiché l'intervento non deve risultare involontario
bensì “non colposo” (che è un concetto diverso), e considerato come la scriminante di cui si discute
risulti di per sé “non codificata”, nulla vieta di inserire un plus riguardante la vicinanza dal pallone
quale metro per stabilire o meno la connessione all'azione agonistica.
Non possiamo negare che un'impostazione come quella suggerita possa apparire una
forzatura ma è sempre auspicabile porre dei paletti tanto più che l'orientamento testè proposto
riveste una incontestabile praticità nell'analisi degli eventi.
Quanto appena dedotto, può apparire un orientamento estensivo e permissivo nei confronti
di chi si macchia di scorrettezze in campo, ma le eventuali obiezioni (che abbiamo già previsto) non
saranno condivise dalla maggior parte dei praticanti gli sport in questione che, unitamente a chi
scrive, sono consapevoli di come le normali regole della convivenza e del buon comportamento non
sempre trovino spazio nei campi di gioco, dove l'ansia da risultato e la vis agonistica tendono a
prendere il sopravvento.
Per esplicare meglio il concetto, valga l'esempio di uno dei primi casi in cui un atleta
professionista pensò di querelare un suo collega.
Nel novembre 1981, il calciatore Giancarlo Antognoni venne violentemente colpito alla
tempia da un intervento del portiere genoano Silvano Martina.
L'impatto, risultato tremendo, provocò un duplice arresto cardiaco ad Antognoni che rimase
per ore in pericolo di vita.
Le cronache del tempo narrano come lo stesso, una volta ripreso l'uso della ragione, fosse
tentato di querelare Martina.
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La persegubilità penale……
Questa, in realtà, rimase solo un'ipotesi perchè, dimostrando una classe ed un eleganza
paragonabile a quella che era solito mostrare in campo, Antognoni non solo desistette dall'azione
penale ma incontrò il suo avversario di lì a poco per dirimere amichevolmente la vicenda
Da allora, però, le cose sono cambiate e allo stato attuale vi è un proliferare di querele per
fatti molto meno gravi.
Ad avviso di chi scrive, e lo ribadiamo è nostra opinione, nemmeno il tremendo impatto
AntognoniMartina avrebbe legittimato un'azione penale nei confronti del malcapitato portiere.
Chi ha alla mente le immagini dell'impatto potrà dissentire ma, nella fattispecie, pur
riscontrando da parte di Martina una totale scompostezza nell'intervento, oltre che un palese ritardo
e un'impossibilità di intervenire sul pallone, andrà considerato come la palla fosse vicina ai
contendenti e come l'intenzione agonistica di Martina fosse, almeno in origine, quella di impedire il
tiro all'avversario.
Non vogliamo minimamente negare che l'intervento fosse particolarmente pericoloso e che
meritasse la sanzione sportiva dell'espulsione, (per la cronaca, l'arbitro non fischiò nemmeno il
fallo!!!) ma solo ribadire che in casi in cui vi è connessione tra il gioco e l'intervento falloso è
opportuno optare per l'inopportunità dell'azione penale.
E' naturale che, così facendo, l'ambito della perseguibilità penale per le condotte ex art 590
c.p. si riduca assai, ma val la pena ricordare che siamo in ambito sportivo e quindi caratterizzato da
una specificità di fondo..
Come già anticipato, la Cassazione non è propriamente di questo avviso, anzi ammette la
perseguibilità per lesioni colpose ogni qualvolta l'inosservanza delle regole, anche se non finalizzata
alla lesione altrui, abbia provocato le conseguenze lesive.
Tralasciando il nostro pensiero, dobbiamo convivere con il presente orientamento che
origina numerosi casi di processi penali, cercando di far luce in merito ad alcuni aspetti processuali.
A farla da padrone è, ancora una volta, il calcio ma le considerazioni che seguono potranno
essere ricondotte a tutte le discipline.
E' infatti doveroso presentare a chi legge una serie di valutazioni che l'esperienza giudiziaria
ha radicato in noi.
L'analisi dei dibattimenti processuali risulta particolarmente agevolata nei casi in cui l'atleta
imputato abbia da essere un professionista od un partecipante ad una manifestazione di pubblico
interesse.
Il perchè di tale agevolazione è presto spiegato.
44
DOTTRINA
La persegubilità penale……
Trattandosi di competizioni importanti, vi potranno essere molteplici ausilii al
convincimento del giudice; dai ricordi collettivi, alle riprese audiovisive, alle cronache, al numeroso
pubblico di spettatori ed addetti ai lavori che, seguendo l'evento, potrà darne ampio riscontro in sede
testimoniale.
In realtà, il proliferare dei processi penali per eventi di cui alle competizioni sportive trova
terreno fertile nel dilettantismo e nei campionati giovanili.
Non è difficile comprenderne i motivi: i cosidetti “professionisti” godono di assicurazioni
tali da fornire adeguati risarcimenti con la conseguenza che, passata la rabbia per il dolore e la
delusione per lo stop forzato, raramente trovano interesse a vedere condannati i loro colleghi.
Diversamente, molte famiglie di ragazzi frequentanti i campi dei settori giovanili
dilettantistici intravedono nell'eventuale risarcimento una fonte di ricavo, con la conseguenza di
incardinare l'azione per costituirsi parte civile nel dibattimento.
L'esperienza personale ci porta a rabbrividire di fronte a talune richieste, soprattutto quando
comprendono degli importi a titolo di risarcimento per il danno esistenziale del tutto abnormi
rispetto al grado di capacità degli atleti stessi.
Ad ogni buon conto, nel momento in cui si apre il dibattimento innanzi al Giudicante,
quando non vi sono gli ausilii di cui sopra, le testimonianze diventano l'unico modo per cercare di
ricostruire il fatto (coadiuvate dalla relazione dei consulenti del tribunale, nei casi in cui vengono
nominati).
Per quanto ci vien dato di vedere, capita spesso che i compagni, i sostenitori, i dirigenti ed i
simpatizzanti della compagine per cui è tesserata la parte lesa ricostruiscano la vicenda in un modo,
mentre i rispettivi della squadra avversaria in un modo diametralmente opposto.
Ciò comporterebbe che, in ottemperanza al principio secondo cui anche in caso di minimo
dubbio l'imputato deve essere assolto, questi dovrebbe effettivamente essere scagionato.
In realtà, spesso le sentenze vanno oltre quel principio con la conseguenza che,
paradossalmente, nei dibattimenti non si tende a dimostrare la colpevolezza dell'imputato ma,
contrariamente ai principi, si chiede a costui di dimostrare la propria innocenza.
Va da sé che in un panorama come quello appena delineato non c'è da star allegri quando ci
si trova alla sbarra.
Ed effettivamente, risulta necessario che almeno un teste terzo, estraneo cioè ad una delle
compagini, testimoni.
Ecco allora che improvvisamente la figura dell'arbitro recupera la propria importanza.
45
DOTTRINA
La persegubilità penale……
Se è vero, come già menzionato, che l'azione penale non è condizionata dal referto arbitrale
è, altresì, vero che l'arbitro può avere in sede testimoniale ampia rilevanza.
A tal proposito ci permettiamo di menzionare la sentenza del 10 luglio 2009 con cui il
Giudice Monocratico del Tribunale di Venezia, Sezione Distaccata di San Donà di Piave ha assolto
il calciatore M C dall'accusa di lesioni dolose.
Ebbene, dopo un'infinita serie di udienze ed un odissea di sette anni e mezzo, correlata da
una pesantissima richiesta di risarcimento danni, proprio la deposizione dell'arbitro, sicurissimo nel
ricordare come il giocatore non solo avesse toccato la palla nell'azione del presunto fallo, ma
addirittura l'avesse giocata, sottintendendo in tal modo la coscienza d'esserne in possesso, ha fatto
luce su una questione altrimenti caratterizzata da versioni diametralmente opposte.
Questo per ricordare come, da una parte hanno ragione coloro i quali limitano la competenza
dei giudici di gara all'ambito sportivo, dall'altro non deve essere dimenticato che, proprio per la
funzione che riveste, il giudice di gara è spesso presente nelle vicinanze dell'impatto ed, in
mancanza di immagini o altri mezzi d'ausilio, andrà sempre indicato tra i testimoni della difesa,
soprattutto nei casi in cui non abbia sanzionato la condotta antisportiva.
Purtroppo, la tendenza odierna è quella contraria al pensiero che nelle pagine precedenti
abbiamo esposto ma tant'è.
Ciò comporta quale conseguenza che sempre più spesso vengano adite le Sedi Giudiziarie al
fine di vedersi riconosciuti dei lauti risarcimenti con il sequenziale rischio che molti genitori
impediscano ai propri figli la pratica sportiva per il timore di divenire in futuro oggetto delle pretese
risarcitorie degli avversari.
A mero titolo esemplificativo, nel caso poc'anzi ricordato, il giovane atleta (ventenne
all'epoca dei fatti) ha convissuto per oltre sette anni e mezzo con il peso di una richiesta risarcitoria
enorme e con la spada di damocle di una pesante condanna tanto da avere visto limitato ogni suo
movimento in un campo di gioco per il timore di eventuali ripercussioni.
Le società stesse dovrebbero prevenire un simile malcostume, garantendo l'efficienza delle
procedure per i risarcimenti derivanti dalle compagnie assicurative obbligatorie (ambito in cui
spesso latitano) e riportando i loro tesserati al rispetto dei veri valori sportivi.
Allo stesso modo, andrà ricordato agli atleti che lo sport si fonda sui valori di correttezza e
lealtà ma mentre scriviamo queste righe siamo i primi a renderci conto d'essere ormai diventati
pleonastici in un mondo, soprattutto quello professionistico, dove l'interesse ed il profitto la fan da
padroni.
46
DOTTRINA
La persegubilità penale……
Ci sia consentito sottolineare come il concetto di intervento di gioco andrà rapportato di
volta all'importanza ed al gradi di competitività della manifestazione oggetto d'analisi.
Ciò significa che ad un intervento avvenuto durante un allenamento od un'esercitazione
andrà richiesto un grado di cautela ben più alto rispetto al medesimo intervento eventualmente
effettuato durante un incontro valevole per una qualsiasi competizione agonistica.
Da ultimo chi scrive nutre grossi perplessità sul fatto che un'ampia perseguibilità penale
delle condotte sportive possa prevenire il gioco scorretto o possa valere quale limite all'eccessiva
antisportività.
Questo risultato andrà raggiunto intensificando i provvedimenti di giustizia sportiva e solo
in casi di evidente intervento in cattiva fede il provvedimento giudiziario potrà servire da deterrente,
sempre ricordando come il primo insegnamento che giunge ai praticanti di molte discipline sia
quello di entrare “convinti e decisi sul pallone” onde evitare che sia lo stesso soggetto interveniente
a farsi male.
In definitiva, a chiosa di questa analisi ci sentiamo di affermare che, sin tanto che
l'intervento agonistico non sfocia nell'intimidazione, sarà bene rimanga circoscritto ai
provvedimenti di natura giurisportiva.
Vi è la speranza che, anche i giudici di merito e quelli di legittimità riportino in fretta
l'ambito entro detto limite.
(*) Avvocato del foro di Venezia
47
DOTTRINA
PARTE SECONDA
NOTE A SENTENZA
SOMMARIO:
La buona fede e l’ignoranza
scusabile dell’atleta escludono la violazione dell’art. 2.3 del Codice WADA per
mancanza dell’elemento soggettivo - Nota a lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA
v/ CONI, FIGC, Daniele Mannini & Davide Possanzini, 27 luglio 2009
pag.49
FEDERICA TOSEL, La giurisdizione dell’Alta Corte di Giustiziadel CONI quale
pag.80
MARIO VIGNA
E
MARIA CECILIA MORANDINI,
ultimo grado di giustizia. Presupposti e limiti del contenzioso esofederale. Così è (se
vi pare) - Nota a Alta Corte di Giustizia Sportiva, Decisione n. 1/2009 del 14 maggio
2009, Juventus/FIGC.
MARIO TOCCI,
Doppio tesseramento di calciatore: problematiche connesse alla
fattispecie dei tesseramenti in stagioni diverse - Nota a Commissione Disciplinare
Nazionale della F.I.G.C. Comunicato n. 88/CDN F.I.G.C. del 07 maggio 2009
48
pag.100
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
CAS 2008/A/1557 AWARD
delivered by the
COURT OF ARBITRATION FOR SPORT
sitting in the following composition:
President: Pr Dirk-Reiner Martens, Attorney-at-Law, Munich, Germany
Arbitrators: Dr Quentin Byrne-Sutton, Attorney-at-Law, Geneva, Switzerland
Mr Ercus Stewart SC, Barrister, Dublin, Ireland
Ad hoc Clerk: Mr Andreas Zagklis, Attorney-at-Law, Athens, Greece.
in the arbitration between
Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC)
Represented by Mr Mario Gallavotti, Attorney-at-Law, Rome, Italy and Mr Antonio Rigozzi,
Attorney-at-Law, Geneva, Switzerland
Daniele Mannini
Represented by Messrs Fabio Lattanzi and Paolo Rodella, Attorneys-at-Law, Rome, Italy and
Mr Gianpaolo Monteneri, Zurich, Switzerland
Davide Possanzini
Represented by Mr Carlo Antonio Ghirardi, Attorney-at-Law, Brescia, Italy
Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI)
and
World Anti-Doping Agency (WADA)
Represented by Messrs François Kaiser and Claude Ramoni, Attorneys-at-Law, Lausanne,
Switzerland
49
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
1.
Introduction
1.
1.1
Federazione Italiana Giuoco Calcio ("FIGC") is the Italian football federation
which groups Italian football clubs.
2.
1.2
Daniele Mannini and Davide Possanzini are professional football players
("Players") who were registered with Brescia Calcio S.p.A. ("Brescia") at the point in time relevant
in these proceedings.
3.
1.3
Comitato Olimpico Nazionale Italiano ("CONI") is the Italian National
Olympic Committee which represents all national sport associations in Italy, including FIGC.
4.
1.4
The World Anti-Doping Agency ("WADA") is a foundation formed by the
Olympic Movement and Public Authorities whose aim is to promote and coordinate the fight
against doping in sport.
5.
1.5
Pursuant to a decision of CONI's Judges of Final Jurisdiction (Giudice di
Ultima Istanza, "GUI") dated 20 March 2008, the Players were suspended for 15 days from
participation in all competitions or activities authorized or organized by FIGC because of a delay in
providing blood and urine samples on the occasion of a doping control on 1 December 2007.
6.
1.6
On 16 May 2008 WADA filed with the Court of Arbitration for Sport
("CAS") an appeal against the decision issued on 20 March 2008 by GUI and received by WADA
on 21 April 2008. According to WADA, the Players had "unduly refused to submit to urine sample
collection on December 1, 2007" and should be sanctioned according to Article 2.3 of the World
Anti-Doping Code ("WADA Code").
7.
1.7
On 29 January 2009 the Panel rendered its award ("First Award"). The
holding of the First Award reads as follows:
"1. The Appeal filed by the World Anti-Doping Agency on 16 May 2008 against the decision
issued on 20 March 2008 by the Judges of Final Jurisdiction on Doping Issues of CONI is partially
upheld.
1.
2. The decision issued on 20 March 2008 by the Judges of Final Jurisdiction on
Doping Issues of CONI is set aside.
2.
3. A suspension of one year is imposed on Mr Daniele Mannini and Mr Davide
Possanzini commencing on the date of this decision, less the period of fifteen days already served.
3.
4. All other motions or prayers for relief are dismissed.
50
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
4.
5. This award is pronounced without costs, except for the court office fee of CHF 500 (five
hundred Swiss Francs) paid by the World Anti-Doping Agency, which is retained by the CAS.
6. Each party shall bear its own costs."
1.
1.8
Following notification of the First Award, on 12 February 2009 the FIGC
filed with CAS a "Request for Arbitration" ("the Request") asking "for a new arbitration on this
matter". FIGC – and with it the Players – contends that new facts and/or new evidence "were made
available" and that "if this new evidence had been known to the Panel who delivered the Award,
their decision would have been different". The FIGC and the Players also requested CAS to order,
as a preliminary measure, a stay of execution of the First Award in order to allow the Players to
continue playing.
2.
1.9
On 18 March 2009 the Panel issued its Order on the issue of preliminary
measures (“the Order”), ruling that
“1. The application by Federazione Italiana Giuoco Calcio, Daniele Mannini and Davide
Possanzini for a stay of the execution of the award issued on 29 January 2009 by the Court of
Arbitration for Sport is upheld.
2. The costs deriving from the present order will be determined at the end of the revision
proceedings.”
1.10
Therefore, the Panel shall now decide on the Request, after having heard the
positions and evidence presented by the Parties.
2.
Facts and Proceedings before CAS
1.
2.1
As a preliminary matter, the Panel refers to the facts as established in the
proceedings which led to the First Award. Their evaluation under the scope of evidence presented
after the issuance of the First Award, to the extent necessary, will be dealt with when discussing the
merits of the Request.
2.
2.2
On the occasion of a regular season game of Serie B of FIGC on 1 December
2007 between Brescia and A.C. Chievo Verona ("the Game") the Players were drawn to undergo a
doping control.
51
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
3.
2.3
In keeping with the practice in Italy for doping controls during football
games, the official notification of the Players’ selection for Sample collection was made to the
Players’ team representative in the technical area.
4.
2.4
In this case the team representative who received the notification in the
technical area on behalf of the Players was the Brescia team doctor Diego Giuliani ("Dr. Giuliani"),
who had the responsibility of informing the Players thereof at the end of the game.
5.
2.5
Thus, at the end of the Game at approximately 17.45 hrs the Players were
advised by Dr. Giuliani that they had to report immediately to the doping-control station. This
occurred as the Players left the pitch and were on the steps leading to the corridor where the
dressing room was situated.
.2.6
The foregoing notification was confirmed in the Players' written submissions in the
following terms:
.•
“At the conclusion of the match, as the Player was coming off the pitch, he was
advised by the team doctor, Dott. Diego Giuliani, that he had been selected to submit to an antidoping control and that he should report to the anti-doping station” (written submission of Davide
Possanzini of 21 July 2008);
.•
“Mr Mannini, at the end of the home match, lost by the club, was informed by the
deputy assistant of Brescia, Mr. Diego Giuliani, that he was selected, jointly with Davide
Possanzini, to undergo to the anti-doping control; … the two players duly proceeded towards the
anti-doping room…” (written submission of Daniele Mannini of 21 July 2008).
2.7
Mr Possanzini had already described this sequence of events during his examination
by the Doping Prosecution Office on 19 December 2007, when he declared: “…at the end of the
game, as soon as I left the field, I was informed by Brescia team’s doctor, Dr. Diego Giuliani, that I
had been selected for the doping control and that I had to go to the doping testing room
immediately”.
1.
2.8
The FIGC Anti-Doping Representatives, Mr Vicenzo De Vita and Mr
Riccardo Miadoro were waiting with Dr. Giuliani and then followed the Players into the corridor in
order to keep them in sight. In that respect, Mr Possanzini declared at the hearing on 23 October
2008 that he remembered seeing on the steps an official whose function he recognized because of
the person’s badge. In the official report signed on 1 December 2007 by the two foregoing
representatives, it is stated that: “At 5:45 PM, the Brescia official representative was duly notified,
52
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
in his own technical area, that the players selected for the anti-doping operations were Messrs.
Mannini and Possanzini. The two players were followed in their locker room by the anti-doping
officials …”. Both Players’ declarations in front of the Doping Prosecution Office on 19 December
2007 confirm in substance that they were in sight of the Anti-Doping representatives when reaching
the dressing room, since both of them declare having seen an inspector being invited into the
dressing room.
2.
2.9
As the Players were walking towards the doping control station they were
intercepted by the team coach and the President of Brescia and were instructed to immediately
proceed to the Brescia dressing room instead of the doping control station because an important
team meeting had been scheduled in view of Brescia's third consecutive defeat. The Players did as
they were told and entered the dressing room for a meeting which lasted somewhere between 10
and 25 minutes.
1.
2.10
Mr De Vita was invited to join the Players in the dressing room, but when he
tried to enter he found the door blocked from the inside so that he had to wait outside until after the
meeting. During that time the Players were not under visual control of doping control officials.
2.
2.11
At the end of the team meeting, approximately 35 minutes after the end of the
Game, the Players proceeded to the doping control station and gave blood and urine samples. The
analysis of the samples did not reveal the presence of any prohibited substance.
3.
2.12
The Players' case was initially examined by the Ufficio di Procura Antidoping
("UPA"), which concluded that the Players had no intention to avoid the doping control and that
thus the Players' behaviour would not fall under Article 2.3 of the WADA Code. However,
according to the UPA, the Players were guilty of non-cooperation with the anti-doping officials and
were thus subject to sanctions according to Articles
6.2 and 6.6 of the "Istruzioni Operative della Commissione Antidoping" (hereinafter the
"IOCA") and Article 4.2 of the "Procedimento disciplinare e Istruzioni operative relative all'attività
dell' Ufficio di Procura Antidoping" of CONI (hereinafter the "PIUPA"; jointly with the IOCA
referred to as the "Istruzioni").
1.
2.13
On 29 January 2008, the Court of First Instance of the FIGC acquitted the
Players considering that there was no sanction provided for in the Istruzioni for the Players'
53
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
behaviour. In particular, the Court found that the wording of Article 4.2 of the PIUPA did not
provide a basis for sanctioning a violation of Articles 6.2 and 6.6 of the IOCA.
2.
2.14
On 20 March 2008, upon appeal by the UPA, the GUI set aside the first-
instance ruling and imposed a sanction of 15 days of ineligibility on the Players for a violation of
several anti-doping rules contained in the Istruzioni. More specifically, it found that Articles 6.2 and
6.6 of the IOCA and Article 4.2 of the PIUPA had been violated. The GUI decision does not provide
express reasons for not applying Article 2.3 of the WADA Code (hereinafter "Article 2.3"), but in its
discussion refers to the Players' brief filed with GUI on 12 March 2008 in which they argue that "…
lacking facts that could constitute violations as per Article 2 of WADC, that is aimed at evading
sample collection, the conditions to initiate disciplinary proceedings were not met" and request in
the alternative “… subordinately this Panel to apply article 10.5.2 of WADC, imposing fifteen days’
ineligibility on the athletes barring them from every match”.
3.
2.15
On 16 May 2008 WADA filed with CAS an appeal against the decision issued
on 20 March 2008 by GUI. According to WADA, the Players had "unduly refused to submit to urine
sample collection on December 1, 2007" and should be sanctioned according to Article 2.3.
4.
2.16
A hearing took place in Lausanne on 23 October 2008.
5.
2.17
On 29 January 2009 the Panel rendered the First Award.
6.
2.18
On 12 February 2009 the FIGC filed the Request.
7.
2.19
On 17 February 2009 the Players agreed to the Request filed by FIGC.
8.
2.20
On 18 February 2009 WADA informed CAS that it had no objection that the
same Panel who rendered the Award in CAS 2008/A/1557 examines whether there is any
ground to re-open the case and furthermore noted that if the Panel would establish that such
grounds existed, WADA would abide by such decision.
1.
2.21
On 18 March 2009 the Panel issued its Order on the issue of preliminary
2.22
The Panel held a hearing on 3 April 2009 at the CAS Court Office in
measures.
2.
Lausanne to deal with the Request. The following persons gave evidence before the Panel: -Daniele
Mannini; -Davide Possanzini; -Dr Matteo Frameglia, anti-doping officer; -Prof Giuseppe Capua,
President of the FIGC Anti-Doping Commission; -Prof Piero Volpi, Italian Football Players Union's
Representative to the FIGC Anti-
54
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
Doping Commission;
-Luigi Corioni, President of Brescia.
1.
2.23
At the end of the hearing, the parties, after making submissions in support of
their respective requests for relief, confirmed that they had no objections to raise regarding their
right to be heard and that they have been treated equally and fairly in the arbitration proceedings.
2.
2.24
By letter dated 14 April 2009 the Players filed a petition challenging Dr.
Quentin Byrne-Sutton as arbitrator. Following written submissions by all parties and the arbitrators
concerned, on 27 May 2009 the Board of the International Council of Arbitration for Sport issued
its "Decision on a petition for challenge of an arbitrator", ruling as follows:
"The petition for challenge against Mr Quentin Byrne-Sutton as arbitrator, filed by the Players
Mannini and Possanzini, and supported by the FIGC, is rejected."
3.
The Parties' submissions
1.
3.1
The positions of the parties are summarised as follows:
2.
3.2
FIGC, Mannini, Possanzini
3.2.1
FIGC and the Players submit that by virtue of FIGC's Request, the Players'
submissions dated 5 March 2009 and WADA's letter dated 18 February 2009 the parties have
concluded a new arbitration agreement which authorizes the Panel to “re-open” the proceedings and
decide the case on the basis of new evidence; thus, there is no need to
1
apply by analogy Article 123 of the “Loi sur le Tribunal Fédéral” (the “Article 123”)for these
proceedings.
1.
3.2.2 In the event the Panel were to decide to apply Article 123, the standard of
diligence mentioned in the Order for preliminary measures (see paragraph 4.1 of the Order) was set
too high and not in accordance with the jurisprudence of the Swiss Federal Tribunal (“the SFT”). In
cases where the evidence was really compelling, the SFT did not apply the test of diligence with a
view to delivering a fair result. The FIGC and the Players have now brought forward evidence that
was unknown to them before the rendering of the First Award and/or could not be proven at that
time.
55
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
2.
3.2.3 FIGC and the Players further submit that there is a series of new facts and/or
new evidence on the basis of which the Panel should now reach a different conclusion, i.e. that the
Players did not commit an anti-doping rule violation:
-Dr Matteo Frameglia, one of the anti-doping officers involved in the relevant doping control
procedure, informed the FIGC on 6 February 2009 that the tests “were carried out without any
violation of the rules by the players” and that their delay in attending the test “was clearly tolerated”
by the anti-doping officers.
-Dr Riccardo Miadoro, also one of the anti-doping officers involved in the relevant doping
control procedure, contacted the FIGC shortly after the publication of the First Award and stated
that the suspension of the Players must have been caused by a misunderstanding of the facts of the
case, since a) the anti-doping officers expressed “certain tolerance … about test timing”, b) the
Players during the team meeting “were visible in sight [sic] and were not doing any illegal antidoping practices”.
-Mr Corioni, President of Brescia, made a public statement on 2 February 2009 saying that
the door of the Brescia locker room was open to allow players and staff, as well as other people on
duty to enter. He had not testified in the previous proceedings because he was under suspension by
the league at the time of the doping test and was thus not supposed to be in the locker room. He did
not want to openly admit that he had acted in violation of the suspension order.
1
"Art. 123 Autres motifs
1. 1. La révision peut être demandée lorsqu’une procédure pénale établit que l’arrêt a été influencé au préjudice du requérant par un
crime ou un délit, même si aucune condamnation n’est intervenue. Si l’action pénale n’est pas possible, la preuve peut être
administrée d’une autre manière.
2.
2. La révision peut en outre être demandée:
a) dans les affaires civiles et les affaires de droit public, si le requérant découvre après coup des faits pertinents ou des moyens de
preuve concluants qu’il n’avait pas pu invoquer dans la procédure précédente, à l’exclusion des faits ou moyens de preuve postérieurs
à l’arrêt;
b) dans les affaires pénales, si les conditions fixées à l’art. 229, ch. 1 et 2, de la loi fédérale du 15 juin 1934 sur la procédure pénale1
sont remplies"
-The WADA Code is not directly applicable in Italian football. Article 2.3 of the Norme
Sportive Anti-doping which incorporates Article 2.3 of the WADA Code into the Italian football
legal framework merely refers to “justification” (“giustificato motivo”) and not to “…compelling
justification”.
-Dr Frameglia and Prof Capua informed the FIGC for the first time after the First Award that
in December 2007 it was a commonly held belief in Italian football that anti-doping tests after the
match were considered advance notice tests, which did not require any kind of direct control over
56
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
the athletes by the anti-doping officers between the notification and the test. Also, the Players’ delay
is in compliance with the timeframe of 30 minutes provided for in Article 6.2 of the IOCA with
respect to advance notice doping tests.
-The guidelines regarding doping-test procedures coming from the FIGC Anti-Doping
Commission, which is a body fully independent from the FIGC management, and shared by clubs
and players created a “convincement among all the interested parties that appears not to be in line
with the WADA [Code]”, i.e. that chaperoning was not obligatory at all times.
-The award rendered by CAS on 18 March 2009 in the matter 2008/A/1551 WADA v/ CONI,
FIGC, Nicolò Cherubin (“the Cherubin Award”) provides an interpretation of the applicable rules
which, if adopted in the present case, would lead to a different result on the merits.
3.3
WADA
1.
3.3.1 WADA submits that it had no objection that the same Panel who rendered the
First Award examines, on the basis of the previous proceedings (including the tapes of the hearings),
whether there is any ground to re-open the case. However, WADA contends that it did not agree to a
new arbitration or to the case being re-opened and that it will be up to the Panel to decide whether
the Request based on allegedly new evidence permits or not to re-open the case. If the Panel finds
that the case should be re-opened, the Panel should then re-open a procedure on the merits.
2.
3.3.2 WADA argues that the re-opening of a case already closed by a CAS award
should occur only in exceptional circumstances. In any case, a party to a CAS proceeding should
not be allowed to re-open a case in order to file evidence, which such party “renounced to file” in
the previous proceedings. In particular, it would be contrary to the principle of good faith for a party
to “renounce to file” evidence in proceedings and wait for the outcome of such proceedings before
filing allegedly "new" evidence and requesting a reconsideration of the case, if the award is adverse
to such party.
3.
3.3.3 WADA further submits that Mr Frameglia was one of the FIGC
representatives present in Brescia at the time of the doping test in question on December 1, 2007.
He signed the report executed on the day of the match where it is stated that (i) the players Mannini
and Possanzini were not authorized to leave the doping control station and (ii) that they failed to
appear after having been repeatedly summoned. Furthermore, Mr Fra
meglia was not in charge of notifying or chaperoning the players Mannini and Possanzini but
rather the players from the other team. His statement that tests performed at the end of matches
57
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
were not considered as "no advance notice" tests contradicts the clear text of the report signed by
the DCOs and the FIGC representatives at the end of the football match held on December 1, 2007.
3.3.4
According to WADA, the statement of Mr Capua, an "indirect" witness, is
contradicted by evidence filed in the previous proceedings and statements of witnesses or parties
who were present on the day of the match and who have been examined at the hearing. Therefore
Mr Capua’s statement does not constitute new evidence, which could be admissible to reconsider
the case.
4.
Jurisdiction and Conditions of Revision
1.
4.1
Since the seat of this arbitration is in Switzerland and since the FIGC, the
Players and CONI are all neither domiciled nor habitually resident in Switzerland, the Swiss Private
International Law Act ("PILA") applies to this arbitration (Article 176 para. 1 PILA).
2.
4.2
The PILA and the Code of Sports-related Arbitration (the "CAS Code") do
not provide
2
for a review of international arbitral awards. However, it is undisputedthat if the parties agree
to submit a request for revision to an arbitral tribunal directly, the latter is competent to undertake
such revision under the rules which govern a "révision" of court decisions applied mutatis mutandis
to a review of "international" arbitral awards.
1.
4.3
In its letter dated 18 February 2009 addressed to CAS, WADA stated that it
“has no objection that the same Panel who rendered the award in CAS 2008/A/1557 examines, on
the basis of the conduct of the proceeding (including the tapes of the hearing), whether there is any
ground to re-open the case. If the Panel determines that such a ground exists, WADA will abide to
such decision”. FIGC and the players interpret the above reaction by WADA to the Request as an
acceptance to re-open the proceedings which enables the Panel to reconsider the First Award in light
of new evidence before it. WADA on the other hand submits that it merely agreed that the CAS, and
not the SFT, examine the Request under the criteria laid down in Article 123.
2.
4.4
On the basis of the correspondence exchanged between the Parties and CAS,
the Panel finds there was no agreement by WADA to a new arbitration, as initially requested by the
FICG, but that, at a minimum, the Parties agreed that this Panel should have jurisdiction to
determine whether there is any ground for a revision of the First Award. The Panel finds therefore
58
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
that it is competent to examine whether the conditions for a revision are met and, if so, to revise the
First Award. In doing so the Panel shall apply by
Cf. ATF 118 II 199.
analogy and for guidance those rules which govern a “revision” of court decisions, in
34
cluding Article 123and related case law of the SFT, without being bound by them in a formal
sense.
4.5
In keeping with the rules governing the revision of court decisions, when deciding on
the revision of the First Award, the Panel will apply a dual test:
4.5.1
First, the Panel shall determine whether the revision is admissible (“rescindent”), in
light of the following conditions (infra §5):
i)
Did the alleged new facts/new evidence exist at the time of the First Award ("faits
nouveaux anciens")?,
ii)
Are the claimants able to prove that they were unable to produce the alleged new
facts/new evidence in the previous proceedings without any negligence on their part?
iii)
Are the alleged new facts/new evidence "relevant" and "conclusive" in the sense that
they could likely lead to a modification of the First Award on the merits?
4.5.2
Second, if the three above requirements are met, the Panel will have to decide
whether the application of the new facts/new evidence should lead to a modification of the First
Award (“rescissoire”) (infra §6).
5.
Admissibility of the Revision (“rescindent”)
5.1
As mentioned above, the FIGC and the Players have the burden of proving that they
5
were not negligent in omitting to present these facts in the previous proceedings . The Panel
considers that the test of diligence is fundamental and must be applied strictly because without it the
doctrine of “res judicata” and basic principles of due process
3
Loi sur le Tribunal Fédéral, art. 123 para. 2a.
4
59
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
Cf. ATF 11.05 1999 [Bull. ASA 2000.p. 326, RSDIE 1999, p. 608, Yearbook 2001, p. 299];
ATF 09.07.1997 [Bull. ASA 1997 p. 506, RSDIE 1998 p. 588]; ATF 02.07.1997 [Bull. ASA 1997, p.
494, RSDIE 1998, p. 580.]
5
The applicant must establish that, through no fault of its own, it was prevented from or
otherwise unable to adduce the relevant facts or evidence in the course of the arbitral proceedings.
This means that the applicant must show that it acted diligently in the arbitral proceedings and that
it did everything it could to elucidate the facts that it deemed relevant to its case. (E. Geisinger/V.
Frossard, Challenge and Revision of the Award, in Kaufmann Kohler / Stucki (ed.), International
Arbitration in Switzerland – a Handbook for Practitioners, Kluwer, 2004, p.163 ).
would be undermined. A revision cannot be a means for parties to make up for past mistakes
and any negligence in their management of their burden of proof.
5.2
The Panel points out that much of the evidence adduced by the FICG and the Players
after the First Award was established through witnesses. In this respect, article 44.2 of the CAS
Code inter alia reads:
“ […] The parties call to be heard by the Panel such witnesses and experts which they have
specified in their written submissions. The parties are responsible for the availability and costs of
the witnesses and experts called to be heard. […]”
1.
5.3
Thus, when applying the test of diligence, it needs to be borne in mind that
each party had the procedural burden of calling its own witnesses and experts, and that in the
proceedings leading to the First Award the Panel did not impose any restrictions in that regard. On
the contrary, making use of its authority under Article 44.2 of the CAS Code, the Panel
exceptionally authorized the hearing of witnesses via teleconference (Messrs Giorgio Cavenaghi
and Vincenzo De Vita for the Appellant; Mr Serse Cosmi for the Respondent).
2.
5.4
Bearing in mind this procedural framework, the Panel finds that the evidence
provided by Dr Frameglia and Mr Corioni with respect to the Player’s delay in submitting to doping
control is inadmissible for the following reasons:
-The FIGC and the Players could have called as a witness in the previous proceedings the
President of Brescia Mr Corioni who was, together with the coach Mr Cosmi, the person who
required the Players to join the team meeting right after the Game. Mr Corioni clarified that he was
not supposed to be present in the locker room due to serving a disciplinary ban imposed on him by
60
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
the league and that a new sanction would have been imposed on him had he testified earlier before
this Panel. The Panel finds that this explains why FIGC and the Players chose not to have Mr
Corioni testify earlier before CAS and not why they were unable to call him as a witness.
-Dr Frameglia was one of the three FIGC anti-doping officers at the Game and he co-signed
the report which gave rise to this case. From an objective point of view, FIGC and the Players were
expected to have considered Dr Frameglia as a possible witness when preparing their answer to
WADA’s appeal, where WADA had listed the other two FIGC anti-doping officers (Messrs De Vita
and Miadoro) as witnesses.
1.
5.5
As regards Mr Miadoro, the Panel wishes to underline that, although he did
not participate in the hearing of 3 April 2009, he had been called by WADA as a witness in the
previous proceedings. During the hearing of 23 October 2008 WADA withdrew its motion to hear
Mr Miadoro as a witness without any objections raised by the (then) Respondents (see para. 26 of
the First Award) who are therefore not allowed to bring forward Mr Miadoro’s ex-post statement
that the First Award was based on a “misunderstanding of the facts”.
2.
5.6
Furthermore, the Panel finds that since WADA’s appeal was based on Article
2.3 in the proceedings before the First Award, the FIGC and the Players could have invoked the
alleged discrepancy between the English version of Article 2.3 and the Italian translation in the
Norme Sportive Anti-Doping, i.e. between the words “compelling justification” and “justification”.
Instead, when addressing the issue of “compelling justification” in their submissions and oral
pleadings, they did so without contending that the wording of the Italian rule might imply a
different standard. Consequently, FIGC’s new submission in that respect is inadmissible.
3.
5.7
The Panel also notes that the Cherubin Award was published approximately
two months after the First Award and therefore does not meet the first criterion for the revision of
the First Award. The Panel accepts that an arbitral award may provide guidance with regards to the
applicable law, which is usually a matter of proof in international arbitration; however, the Panel is
of the opinion that new jurisprudence cannot, in principle, be a reason for the revision of an arbitral
award. The Panel finds that the Cherubin Award is in any event not relevant to the present case,
since it refers to an incident where the player in question went to the doping control station directly
after the end of the game and then left without being told not to do so in terms he could readily
understand as being a formal injunction linked to a possible sanction. Conversely, the focus of the
present proceedings is the 35-minute delay between notification and arrival at the doping control
station, during which the Players remained unattended by the chaperones.
61
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
4.
5.8
The Panel shall now examine the admissibility of that part of the evidence
produced to invoke that there was a lack of understanding and some confusion about the regulatory
requirement of immediately proceeding to the doping control station after the Game while being
continuously chaperoned.
5.
5.9
With respect to that aspect of the additional evidence adduced by the FICG
and the Players, the Panel finds that the three conditions of admissibility are met.
1.
5.10
Given that the FIGC and the Players are invoking a practice which allegedly
prevailed in Italian football during a period between approximately 2005 and 2008, the alleged facts
pre-existed the rendering of the First Award and must be admitted with respect to that condition.
2.
5.11
The condition that the additional evidence is relevant enough to possibly have
an impact on the outcome of the case is also met, since whether the doping-control procedures the
Panel deemed applicable when rendering its First Award – in particular the duty of the Players to
proceed immediately to the control station and to remain in visual contact with the chaperones –
were properly applied and understood in Italian football in December 2007 at the time of the test is
relevant in establishing an anti-doping rule violation.
3.
5.12
In connection with the requirement of due diligence, the FIGC contends that
the publication of the First Award triggered numerous reactions and, after internal discussions, the
FIGC management discovered that the FIGC Anti-doping Commission, an
allegedly autonomous body, had been interpreting the in-competition testing procedures as
“advance notice” tests which did not require chaperoning of the players. Further investigations
revealed that professional football players in Italy were not aware of their relevant obligations and
that anti-doping officers were generally tolerant with delays and chaperoning. However, the FIGC
also acknowledged at the hearing that between 2005 and 2008 it had engaged in lengthy discussions
with CONI regarding the issue of visual control of players before providing a sample.
1.
5.13
The Panel heard extensive evidence on this issue which left it unclear whether
the FIGC management was aware of the guidelines provided by its Anti-Doping Commission in
meetings with chaperones and representatives of the players’ union. On balance, the Panel is
unconvinced that the FIGC was entirely ignorant of the problem and could not have raised the issue
at the outset of the proceedings.
62
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
2.
5.14
That said, based on the testimony and statements heard during the hearing on
3 April 2009, the Panel finds that the Players themselves were unaware of such discussions
surrounding the nature of the doping-control procedures, and that prior to the First Award the
Players were no doubt incapable of realizing how important it was for them to explain in detail what
their perception was of the nature of the doping-control they were subject to after the games and of
the duties that stemmed therefrom at the time of test in December 2007.
3.
5.15
Because the gap in understanding between what was legally required of the
Players in terms of duties and what they allegedly believed to be their rights and obligations in
undergoing the doping control after the game only became apparent to them upon receipt of the
First Award, the Panel finds that the Players cannot be deemed negligent for having failed to adduce
fuller evidence on this point during the proceedings that preceded the First Award.
4.
5.16
For the above reasons, the Panel considers that the three conditions for
admitting a revision of the case (“rescindent”) are met with respect to the additional evidence
adduced about the practice and beliefs which allegedly prevailed in Italian football during a period
between approximately 2005 and 2008 as to the nature and conditions of the post-match doping
controls that regularly took place.
6.
Revised Decision (“rescissoire”)
1.
6.1
In determining whether or not to render a different award on the basis of the
evidence and allegations admitted, the Panel shall apply the same regulations as relied on in the
First Award and will examine the consequence of applying those regulations to the broader set of
facts and evidence now on record.
2.
6.2
Before examining the most relevant aspects of the additional evidence, the
Panel recalls the following passages from the First Award, which will help to put the reasoning in
this award into context:
“50. [T]he main issues the Panel has to address are […] whether or not a violation of Article
2.3 occurred and, if so, with what consequences.
51. The Panel does not disagree with GUI’s opinion that the Players acted in violation of the
doping-test procedures defined in Articles 6.2 and 6.6 of the Procedural Guidelines of the Antidoping Control Committee. However, for the reasons examined below, the Panel finds that such
behaviour of the Players also amounted to the violation of a substantive anti-doping rule, i.e. of
63
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
Article 2.3, and that by ignoring this fact GUI misapplied the rules. In addition, and as shall be
discussed in the next section of this award, the Panel considers GUI to have applied the wrong
sanction.
[…]
53. […] It has also been established that the Players were fully conscious of the fact that they
had to report to the doping control without delay and deliberately (even though perhaps reluctantly)
decided to attend a team meeting to which they were called by their coach and President.
[…]
58.
It has been established that the Players reported to the doping-control station with a
delay of at least 25 minutes, so the question is whether this can be characterized as either a failure
or a refusal to submit the sample, despite the fact that the Players did eventually present themselves
to the control and delivered the samples.
[…]
2.
59. In that relation it is relevant that according to Article 6.2 of the Istruzioni the
athlete "must appear as soon as possible in the anti-doping test station and in any case by the
deadline specified in the notification" and "must be in constant sight of and directly observed by the
personnel" and that according to WADA's International Standard for Testing [Section 5.4.1(e)] it is
the athlete's responsibility to "remain within sight of the DCO/Chaperone until the completion of
the Sample Collection procedure".
3.
60. The foregoing provisions confirm that under the meaning of Article 2.3 any
behaviour whereby an athlete expressly refuses, or de facto fails to report to the control station
without delay and remains without chaperone during such delay, must be deemed a refusal or a
failure to submit a sample, unless there is “a compelling justification”.
4.
61. In other words, the refusal or failure is constituted by any delay in providing the
sample after having been notified to do so, where the delay is not authorized by the control
personnel and during which the athlete is not chaperoned, irrespective of whether the athlete
submits a sample at some subsequent point in time.
5.
73. While WADA has the burden of proving a failure or refusal to submit a sample,
the burden of proving a possible "compelling justification" is on the Players.
64
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
1.
76. [T]he Panel finds that more probably than not the Players found themselves in the
dilemma of either risking an argument with the coach and /or the President if they refused to attend
the meeting – since it appears credible that they had been quite forcibly summoned to and requested
to stay in the meeting – or complying with those instructions and arriving late at the doping-control
station.
2.
77. However, the Panel does not consider this dilemma to be a "compelling
justification" to fail to submit to a sample without delay, notably because even if they had acted
against the instructions of their coach and President, from a legal perspective they would not have
risked any repercussions with respect to their employment relationship, as they would have been
conforming with binding rules (binding also on the coach and the President) forming a mandatory
part of their engagement as professional players.
3.
78. In that connection, there is no evidence that the Players made any serious efforts
to convince their principals of the need to first go to the doping-control station and that they were in
effect “sequestered” in the dressing room in the sense of being physically prevented from leaving.
4.
79. Thus, to remain in conformity with their anti-doping duty to submit a sample –
which they were well aware of, due to having undergone other In-Competition tests in the past – the
Players should have resolved the dilemma by either going directly to the control station before
entering the dressing room or by insisting with the coach and or President that they must first go to
the control station or by insisting that a chaperone be admitted to the dressing room.”
1.
6.3
In relation to the reasoning in the First Award and given the additional
evidence, the question is now whether the Players did or did not know precisely what their duties
were with respect to the applicable doping-control procedure, and, if not, whether they are
responsible for the lack of knowledge.
2.
6.4
During the hearing of 3 April 2009 Prof Capua, President of the FIGC Anti-
Doping Commission and Prof Volpi, Italian Football Players Union's Representative to the FIGC
Anti-Doping Commission testified on the issue of chaperoning and delays in incompetition doping
controls.
3.
6.5
Prof Capua
1.
6.5.1 According to Prof. Capua's evidence, as from 1 July 2005, when the new anti-
doping regulations entered into force, the FIGC Anti-Doping Commission has been responsible,
65
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
mainly in collaboration with CONI and with the assistance of its own chaperones, for coordinating
and providing support for the conduct of the tests effected by the Italian anti-doping agency
("CONI-NADO"). The Commission also continues to provide training and consulting services to
players and clubs, as well as to the chaperones themselves, in particular by taking care of the
implementation of the anti-doping regulations and operative instructions for the conduct of the tests.
2.
6.5.2 After having been informed of the First Award, Prof Capua felt forced to
inform the FIGC's Legal Office of the interpretation which at the time of the doping control and
until the end of 2007 was still generally recognized within the Italian football move
ment, and was in fact known to CONI-NADO: in-competition tests were considered as
advance notice tests, since these controls were routinely effected on the occasion of all the Serie A
and Serie B matches. Only the out-of-competition tests, which were implemented starting 20042005 – being more infrequent and for this reason considered to be extraordinary – were actually
considered controls without notice and required chaperoning.
1.
6.5.3 Prof Capua was aware of discussions and certain clashes between FIGC and
CONINADO on this issue, which were allegedly only resolved at the beginning of 2008, in
particular following various sessions held throughout the year 2007, for the training and
certification of chaperones, and after several meetings with players' and clubs' representatives.
2.
6.5.4 Prof Capua declared that the FIGC Anti-Doping Commission, in its regular
meetings with chaperones, during which operative instructions for their activities are provided,
always indicated that it was preferable to ensure that the test was completed by recommending to its
officials to "favour the smooth conduct of the anti-doping tests by interpreting in a reasonable
manner the possible tensions which players may be experiencing after a match". Further, the FIGC
Anti-Doping Commission would provide guidelines to the Player's Union and the latter would
inform the players accordingly.
3.
6.6
Prof Volpi
1.
6.6.1 Prof Volpi confirmed that there was a disagreement between the FIGC and
CONI on the issue of visual control of players between the time of notification and the arrival at the
doping control station in in-competition tests. According to Prof Volpi, the interpretation which at
that time was still prevailing within the FIGC Anti-Doping Commission and the Italian football
movement was that in-competition anti-doping tests were considered essentially as ordinary tests
66
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
with advance notice, for which visual contact between the anti-doping officials and the players
selected for testing was not required between notification and arrival at the doping control station.
The practice changed as of the beginning of 2008 but in general the players' level of awareness and
education on such issues was still very low until the First Award.
2.
6.6.2 Prof Volpi also testified that the education of players with respect to
regulations and related rights and duties was carried out by the Players’ Union mainly through
annual meetings with the captains of the teams during the general assembly. However, aside from a
video on doping procedures distributed to the teams some 3-5 years ago, there had been no special
education with regard to doping-control procedures until after the First Award was published.
3.
6.7
Dr Frameglia
6.7.1
Dr Frameglia's testimony was mainly focused on evidence which have already been
considered inadmissible (see para. 5.4 above), since it related to the doping control of 1 December
2007. However, Dr Frameglia confirmed during the hearing that, although since 2005 he was aware
of the rule of chaperoning the players selected for incompetition doping control, "one thing is
theory – [another] thing is practic[e]". From his experience, Dr Frameglia believed that the vast
majority of football players in Italy were under the impression that this was an advance-notice test
where reasonable delays with no visual contact by the chaperones could occur without it having any
dramatic consequences.
6.8
The Players
1.
6.8.1 The Players declared in substance that they had received no formal instruction
or material information about the nature of the doping-control tests they were subject to after the
football matches, i.e. on the topic of whether such tests were deemed to constitute ordinary tests or
out-of-competition tests, or concerning precisely what their duties were in terms of proceeding to
the control station and interacting with chaperones.
2.
6.9
Despite the declarations and testimony summarized above, the Panel is not
convinced that the whole of what FIGC coined “the Italian football family” falsely believed the
post-match doping-controls were deemed to be advance-notice tests, since, among others, the
DCO’s written reports tend to demonstrate the contrary.
1.
6.10
However, the Panel is now convinced that on 1 December 2007, when the
Players were asked to proceed to the doping-control station upon leaving the football pitch, neither
67
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
of them had a clear understanding of whether this corresponded to an incompetition or to an out-ofcompetition doping control or of what their duties were in terms of proceeding to the station and
staying in visual contact with the chaperone.
2.
6.11
The Panel’s finding raises the question whether the Players can be deemed
responsible for their lack of knowledge and understanding of the applicable anti-doping procedures.
3.
6.12
In that relation, it goes without saying that professional athletes are bound by
a taxing duty to properly inform themselves regarding anti-doping regulations and procedures as
well as to educate themselves with respect to any aspects they fail to understand; otherwise the
purpose and application of anti-doping rules would be undermined. The fact that professional
athletes are expected to behave in a responsible manner is indeed one of the cornerstones of the
fight against doping and has been continuously upheld by CAS.
4.
6.13
At the same time, one of the corollaries of the diligence required of
professional athletes and of the severity of the sanctions attached to anti-doping violations is that
athletes must be given a fair opportunity to fully inform and educate themselves, with the benefit of
user-friendly tools and materials, regarding the regulations and procedures. This implies that when
regulations and procedures emanate from anti-doping organizations and are enforced via a pyramid
of international and national sports federations, associations and anti-doping bodies, it must be
ensured at each level that the rules are effectively implemented and that efficient processes are put
in place to inform and educate the athletes. Indeed, because the regulatory framework is complex
and partly private and contractual in nature, any other approach would be unfair.
5.
6.14
The importance of athletes having access to relevant information is implicit
for example in numerous CAS awards dealing with the issue of contaminated nutritional
supplements, in which the existence of readily available information is deemed an important factor
in determining whether an athlete is at fault and to what degree:
“As a general remark, the Panel observes that the sporting world has, for quite some time
even before the 2000 Sydney Games, been well aware of the risks in connection with using so
called nutritional supplements, i.e. the risk that they may be contaminated or, in fact, “spiked” with
anabolic steroids without this being declared on the labels of the containers. There have been
several cases of positive tests for nandrolone which have been attributed to nutritional supplements
and which have been widely publicised in the sports press. This fact was the likely motive for the
IOC press releases in October 1999 and February 2000 […] which gave an unequivocal warning
68
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
about the use of imported and unlicensed supplements and their possible mislabeling.” (emphasis
added by the Panel) [CAS 20001/A/317, CAS Digest II, pp.170-171; see also CAS OG 02/001,
CAS Digest III, p.579, and more recently CAS 2005/A/847, Knauss v/ FIS, paras. 7.3.2-7.3.3]
6.15
Furthermore, sports regulations must be clear, and the practices of the authorities that
enforce them must be consistent and predictable, as underlined in the following fashion by the
CAS:
“The fight against doping is arduous, and it may require strict rules. But the rule-makers and
the rule-appliers must begin by being strict with themselves. Regulations that may affect the careers
of dedicated athletes must be predictable. They must emanate from duly authorized bodies. They
must be adopted in constitutionally proper ways. They should not be the product of an obscure
process of accretion. Athletes and officials should not be confronted with a thicket of mutually
qualifying or even contradictory rules that can be understood only on the basis of the de facto
practice over the course of many years of a small group of insiders” [CAS 94/129, USA Shooting &
Q./International Shooting Union (UIT), award of 23 May 1995, CAS Digest I, pp.197-198; see also
CAS 2006/A/1164 Luca Scassa and MV Augusta Motor Spa v/ FIM and TAS 2004/A/762, White
Endurance Team c./ Fédération Motocycliste Suisse]
1.
6.16
Given the legal principles recalled above, the Panel considers that in this case
the Players cannot be deemed responsible for their lack of knowledge and understanding of the
nature of the anti-doping test and corresponding duties to which they were subject on 1 December
2007.
2.
6.17
Article 2.3 of WADC and the corresponding CONI rule are generic in nature,
in the sense that they simply define the anti-doping violation consisting of a failure to submit to
sample collection. They do not define the different types of doping controls that exist for sample
collection or the related procedural requirements for the testing. Those details are found in
underlying anti-doping rules.
3.
6.18
In this case, the definition of the nature of the doping-control test involved, of
the corresponding procedural requirements and of the DCO’s, the chaperone’s and the Italian
football players’ respective duties derives from a combination of various sections
(“Libros”) of the Norme Sportive Anti-Doping of CONI and of the WADA International
Standard for Testing, in a manner which is not easy to comprehend even for a lawyer.
69
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
1.
6.19
Thus, even if they do not quite represent “a thicket of mutually qualifying or
even contradictory rules”, the applicable doping-control procedure and the exact scope of the
athletes’ duties could certainly not be readily understood by the Players without them being
informed and educated as to the rules by the FICG and/or by the Players’ Union. Otherwise, the
Players would not “see the wood for the trees”.
2.
6.20
In relation to the foregoing, the Panel finds that the declarations and
testimony heard on 3 April 2009 establish beyond reasonable doubt that on the date of the
dopingcontrol in December 2007 (i) the two Players had received no manner of education or
materials and did not have ready access to any source of information that would have allowed them
to understand in a synthetic manner the essential and imperative elements of the anti-doping
controls they were subject to and what exact duties they must abide by, (ii) the practices among
chaperones/DCOs were not entirely uniform with regard to important conditions such as the
immediacy with which players must report to the control station and the strictness of requiring
uninterrupted visual contact, (iii) from around July 2005, when the new rules of CONI entered into
force, until the beginning of 2008, the anti-doping authorities were not properly and consistently
enforcing the new rules and the requirements laid down in Article 6.2 of the IOCA and Section
5.4.1(e) of WADA's International Standard for Testing, and (iv) although a certain level of
collaboration from the selected players was expected, this was far from being seen and enforced as
a duty the violation of which would incur a sanction of two years ineligibility. As a result and with
doping controls conducted as often as every Sunday, many football players participating in Serie A
and Serie B were bona fide convinced that immediate reporting to the doping control station and
uninterrupted visual control by the chaperones were not – in the words of Mr Mannini – “essential”.
3.
6.21
For the foregoing reasons, the Panel finds that through no fault or negligence
of their own the Players themselves had no more than an “impressionistic” view of what their exact
duties were in terms of reporting immediately to the control station and remaining in uninterrupted
visual control of the chaperones, and were far from believing that no exceptions were possible or
from understanding the gravity of the sanction which would ensue in case of a breach.
4.
6.22
As a result and contrary to its finding in its First Award, the Panel now finds
that when the Players stopped off in the changing room for somewhere between 10 and 25 minutes
before proceeding to the control station they were not conscious of the fact and could not know that
despite the circumstances (losing the game and being summoned by the coach and President) this
70
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
delay and loss of visual control would according to the rules be deemed a failure or a refusal to
submit to the doping control.
5.
6.23
Therefore, the Panel concludes that the Players cannot be deemed to have
refused or failed to submit to sample collection under Article 2.3.
6.
6.24
In reaching this conclusion the Panel does not question the validity of Article
2.3 or its strict conditions of application as determined in the First Award but only decides, for
factual reasons based on the additional evidence admitted on record, that in the particular
circumstances of this case Mr Mannini and Mr Possanzini cannot be deemed to have violated
Article 2.3 and thereby committed a doping offense. Accordingly, the Panel considers it must retract
its First Award, with the consequence that the sanction provided therein is no longer applicable and
instead the decision issued on 20 March 2008 by the Judges of Final Jurisdiction on Doping Issues
of CONI is confirmed.
7. Costs
ON THESE GROUNDS
The Court of Arbitration for Sport rules:
1.
1.
The Request for Arbitration filed by the Federazione Italiana Giuoco Calcio
on 12 February 2009 is upheld to the extent it requested a revision of the Award rendered by the
Panel on 29 January 2009.
2.
2.
The Panel’s Award of 29 January 2009 is retracted.
3.
3.
The Appeal filed by the World Anti-Doping Agency on 16 May 2008 against
the decision issued on 20 March 2008 by the Judges of Final Jurisdiction on Doping Issues of CONI
is dismissed.
4.
4.
The decision issued on 20 March 2008 by the Judges of Final Jurisdiction on
Doping Issues of CONI is confirmed.
5.
5.
All other motions or prayers for relief are dismissed.
6.
6.
(…)
Lausanne, 27 July 2009
THE COURT OF ARBITRATION FOR SPORT
71
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
LA
BUONA FEDE E L’IGNORANZA SCUSABILE DELL’ATLETA ESCLUDONO
LA VIOLAZIONE DELL’ART.
2.3 DEL CODICE WADA
PER MANCANZA
DELL’ELEMENTO SOGGETTIVO
NOTA A LODO ARBITRALE CAS 2008/A/1557 WADA V/ CONI, FIGC,
DANIELE MANNINI & DAVIDE POSSANZINI - 27 LUGLIO 2009
di Mario Vigna (*) e Maria Cecilia Morandini (**)
Con il lodo in esame, revisione di un primo lodo, il Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna
(di seguito “CAS”) ha statuito come i calciatori Daniele Mannini e Davide Possanzini non avessero
violato l’art. 2.3 del Codice Mondiale Antidoping (“WADA Code”)1 per mancanza dell’elemento
soggettivo della condotta, in quanto gli stessi avrebbero agito in “buona fede” e con “ignoranza
scusabile” circa le norme e le procedure relative ai controlli antidoping.
Sommario:
1. Il caso di specie.
2. L’art. 2.3 del WADA Code e la perdita del contatto visivo tra l’atleta e i DCOs.
3. Elementi per la revisione del primo Lodo del CAS. La tipologia di test No Advance Notice.
4. Conclusioni.
1
Qui considerato nell’edizione 2003, applicabile ai fatti del procedimento.
72
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
1. Il caso di specie.
In data 1 dicembre 2007 i calciatori Daniele Mannini e Davide Possanzini, entrambi tesserati
per il Brescia Calcio, venivano invitati a sottoporsi ad un controllo antidoping al termine della
partita contro la squadra A.C. Chievo Verona.
Mentre si accingevano a recarsi al controllo, i giocatori venivano invitati dal proprio
Presidente ed allenatore a dirigersi all’interno dello spogliatoio giacché, a breve, vi sarebbe stata
una riunione dell’intera squadra per discutere sull’ennesima sconfitta subita. Durante tale riunione i
Doping Control Officers (“DCOs”) perdevano il contatto visivo con i giocatori e, pertanto, gli atleti
si presentavano al controllo 35 minuti dopo l’avvenuto avviso di convocazione, svolgendo il test
con esito, per entrambi, negativo.
Il caso veniva esaminato dal Giudice di Ultima Istanza in materia di doping del CONI
(“GUI”)2, il quale statuiva che i giocatori non avevano violato l’art. 2.3 del WADA Code, dal
momento che non si erano sottratti al test, ma piuttosto si erano resi colpevoli di non aver cooperato
fattivamente nello svolgimento della procedura di controllo. Pertanto, il GUI condannava i
calciatori alla sospensione dall’attività sportiva per 15 giorni in violazione di degli articoli. 6.2 e 6.6
delle Istruzioni Operative della Commissione Antidoping del CONI e in virtù dell’art. 4.2 delle
Istruzioni Operative dell’Ufficio di Procura Antidoping3.
Il 16 maggio 2008, la WADA presentava ricorso al CAS in appello alla decisione del GUI,
sostenendo che i giocatori avevano agito in violazione del art. 2.3 del WADA Code.
In data 29 gennaio 2009, il CAS emanava un primo lodo arbitrale, disponendo la sospensione
di entrambi i giocatori per 1 anno a seguito della riscontrata violazione dell’art. 2.3 del WADA
Code, attenuata da una negligenza non significativa nella condotta4.
Il 12 febbraio 2009, la FIGC inoltrava richiesta di revisione della decisione, evidenziando la
presenza di nuove prove. Sia i giocatori che la WADA stessa non presentavano obiezioni al riesame
del caso.
Dopo aver sospeso l’esecuzione del lodo sottoposto a revisione, il CAS procedeva alla
disamina delle nuove prove e, all’esito della nuova istruttoria, proscioglieva i calciatori
2
Oggi Tribunale Nazionale Antidoping.
3
L’art. 4.2 delle Disposizioni Operative dell’UPA-CONI recita: “nei confronti di qualunque tesserato che non presti la collaborazione
richiesta … può trovare applicazione la sanzione della sospensione per un periodo da uno a sei mesi”.
4
Il
primo
Lodo
nel
procedimento
in
oggetto
è
disponibile
al
link
http://www.tascas.org/d2wfiles/document/2971/5048/0/Award%201557%20internet.pdf
73
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
dall’addebito di violazione del 2.3 del WADA Code e confermava la sanzione imposta dal GUI nel
giudizio a livello nazionale5.
2. L’art. 2.3 del WADA Code e la perdita del contatto visivo tra l’atleta e i DCOs.
Ai sensi del 2.3 del Codice WADA, rappresenta violazione delle norme antidoping la
“mancata presentazione o rifiuto, senza giustificato motivo, di sottoporsi al prelievo dei campioni
biologici previa notifica, in conformità con la normativa antidoping applicabile, o comunque
sottrarsi in altro modo al prelievo dei campioni biologici”.
Nel caso in esame, il comportamento negligente e l’atteggiamento manifestato dai giocatori è
stato interpretato – nel primo lodo – come idoneo a costituire un rifiuto, ovvero un atteggiamento
volto a sottrarsi dall’effettuazione del controllo.
Dall’analisi della condotta, va sottolineato come il thema decidendum si sia focalizzato sulla
problematica del controllo visivo dei giocatori da parte dei DCOs incaricati. Infatti, nel momento
intercorrente tra la notificazione del controllo ai giocatori, da parte del medico sociale della squadra,
e l’effettuazione del test, gli stessi sono sfuggiti al contatto visivo per un lasso di tempo tale da
poter interpretarsi come rifiuto di sottoporsi al controllo stesso. In tale ottica, con il primo lodo il
Collegio CAS ha affermato, rispetto alla decisione del GUI, che non solo vi era stata mancata
collaborazione, ma che la fattispecie integrava, altresì, la violazione di cui all’art. 2.3 del WADA
Code poiché gli stessi giocatori, dal momento dell’avvenuta notificazione ad eseguire il test, erano –
rectius avrebbero dovuto essere – totalmente consapevoli delle conseguenze derivanti dal loro
comportamento negligente. A tal riguardo, va osservato che nell’ipotesi di rifiuto di cui al 2.3, la
perdita del contatto visivo dovrebbe precludere l’effettuazione del test, oramai inficiato ab origine
da un vizio insanabile che ne pregiudica l’attendibilità. In particolare, la ratio del controllo visivo
risiede nella possibilità che l’atleta possa assumere, nel lasso di tempo tra avviso e controllo, delle
sostanze coprenti o comunque alterare il normale svolgimento del controllo stesso, inficiandone la
validità e l’efficacia. È alla luce di questa interpretazione che la condotta dei calciatori è stata
interpretata – nel primo lodo – quale rifiuto all’effettuazione dei test e non come mero ritardo
nell’adempimento del controllo stesso.
Tuttavia, va analizzato come anche il comportamento dei DCOs non sia stato del tutto esente
da censure ma, anzi, si sia contraddistinto per una certa approssimazione nella conoscenza delle
5
Il
testo
completo
del
Lodo
qui
esaminato
è
disponibile
cas.org/d2wfiles/document/3424/5048/0/Award%201557%20-%20II%20_internet_.pdf
74
al
link
http://www.tas-
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
procedure e nello svolgimento delle operazioni di controllo. Infatti, una volta perso il contatto
visivo, i DCOs avrebbero dovuto considerare il test come “rifiutato” e non procedere
all’effettuazione delle operazioni di prelievo. Tuttavia, nel caso di specie il prelievo dei campioni
biologici è stato effettuato nonostante la perdita del contatto visivo e il lasso di tempo di 35 minuti
tra avviso e prelievo.
3. Elementi per la revisione del primo Lodo del CAS. La tipologia di test No Advance
Notice.
A seguito della presentazione della richiesta di acquisizione di nuove prove da parte della
FIGC, il Collegio CAS ha verificato la presenza dei presupposti per procedere ad una pronuncia di
revisione di quanto statuito precedentemente. In termini di diritto positivo, il codice di procedura
del CAS non prevede la possibilità di sottoporre a revisione quanto già stabilito in un lodo arbitrale.
Elemento fondamentale per procedere ad un riesame del caso è il consenso o la non opposizione
delle parti partecipanti al giudizio di cui si chiede la revisione stessa. È infatti in base a tale
concorde volontà che il CAS ha riesaminato, quanto precedentemente statuito, alla luce di nuovi
elementi istruttori. Nel caso di specie, al fine di determinare la possibilità di sottoporre a revisione il
decisum del primo lodo, il Collegio CAS ha vagliato i seguenti aspetti
se le nuove prove esistessero già ai tempi del emissione del precedente lodo;
se agli appellanti potessero dimostrare di non aver prodotto le nuove prove nel precedente
giudizio non per loro negligenza;
se i nuovi elementi risultassero rilevanti e fondamentali, in maniera tale da poter modificare
quanto statuito nel precedente lodo.
Verificata l’ammissibilità del giudizio di revisione, il Collegio ha considerato come nuovo
elemento di prova l’erronea valutazione circa la natura del test antidoping da parte dei giocatori,
argomentato in termini di una asserita “prassi italiana” relativa ai controlli effettuati nel calcio
professionistico. Infatti, come emerso in sede istruttoria, i test antidoping al termine delle partite di
campionato italiano venivano generalmente considerati come Advance Notice test piuttosto che No
Advance Notice.
In merito, va ricordato che, secondo la definizione del Codice WADA, un test No Advance
Notice è un controllo antidoping eseguito senza alcun preavviso sull’atleta e durante il quale lo
stesso viene continuamente accompagnato – con costante contatto visivo – dal momento della
75
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
notifica fino al prelievo del campione biologico. In virtù di tale erronea valutazione sulla natura del
test, i giocatori avrebbero ignorato “scusabilmente” la doverosità del contatto visivo con i DCOs.
L’introduzione di questo nuovo elemento circa la natura dei test, ha spinto il Collegio CAS ad
una più approfondita valutazione dell’elemento soggettivo posto alla base del comportamento dei
giocatori. In tale analisi, l’Organo Giudicante ha considerato che la condotta negligente dei
calciatori fosse mitigata da alcune significative scriminanti.
In particolare, il Collegio CAS ha valutato sia l’effettiva non conoscenza che la possibile
conoscibilità da parte dei giocatori delle reali conseguenze derivanti dalla propria condotta. Nello
svolgere tale analisi il Collegio ha ravvisato – secondo l’apprezzamento basato sulla “confortable
satisfaction” – come gli stessi fossero ignari delle ripercussioni regolamentari che sarebbero
derivate dalla perdita del contatto visivo con i DCOs e dal ritardo nell’effettuazione dei test. Infatti,
il Collegio CAS rileva come, al momento della comunicazione del controllo, i giocatori non
avessero reale conoscenza di quale fosse la procedura da seguire, ritenendo che l’effettuazione del
test in un momento non immediatamente successivo alla notificazione dello stesso, non avrebbe
comportato alcuna violazione della normativa antidoping. Pertanto, la mancata conoscenza o
conoscibilità delle norme per “ignoranza scusabile” e il mero ritardo non sembra possano coincidere
con una volontà dei giocatori di “rifiutarsi” di effettuare il controllo. Sul punto, va notato che in un
precedente caso riguardante l’applicazione del 2.3 del Codice WADA6, il Collegio TAS avesse già
evidenziato come “The comments to article 2.3 of the World Anti-Doping Code show that an AntiDoping violation is committed only if and when the athlete finally refuses to be tested or avoids
being tested.”7
In sostanza, seguendo le deduzioni del Collegio CAS, il ritardo dei giocatori
nell’effettuazione del controllo non può considerarsi quale rifiuto, in considerazione del fatto che gli
stessi ignoravano in “bona fide” la procedura da seguire.
6
CAS 2008/A/1551 WADA v/ CONI, FIGC & Nicolò Cherubin, par. 31, disponibile al link http://www.tascas.org/d2wfiles/document/3094/5048/0/Award%201551%20FINAL%20internet.pdf.
7
Il Commento all’art. 2.3 (Codice WADA 2003) recita: “Failure or refusal to submit to Sample collection after notification was
prohibited in almost all pre-Code anti-doping rules. This Article expands the typical pre-Code rule to include ‘otherwise evading
Sample collection’ as prohibited conduct. Thus, for example, it would be an anti-doping rule violation if it were established that an
Athlete was hiding from a Doping Control official to evade notification or Testing. A violation of ‘refusing or failing to submit to
Sample collection’ may be based on either intentional or negligent conduct of the Athlete, while ‘evading’ Sample collection
contemplates intentional conduct by the Athlete.” ovvero in italiano (traduzione non ufficiale): “l’omissione o il rifiuto di sottoporsi
al prelievo dei campioni previa notifica sono sanzionati in quasi tutti i vigenti regolamenti antidoping. Il presente Articolo espande
tale norma generale fino a sanzionare i comportamenti tesi a ‘sottrarsi in altro modo al prelievo dei campioni’. Pertanto, si ha una
violazione del regolamento antidoping qualora venga accertato che un Atleta si sottrae ai test condotti da un commissario addetto ai
controlli antidoping. Una violazione per ‘rifiuto o omissione di sottoporsi al prelievo dei campioni’ può essere dovuta a una precisa
intenzione o a negligenza dell’Atleta, mentre ‘sottrarsi’ al prelievo del campione contempla necessariamente un preciso intento da
parte dell’Atleta.”
76
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
A tal riguardo, il Collegio ha rilevato che non possa ascriversi una responsabilità per
negligenza qualora gli atleti non abbiano a propria disposizione mezzi e strumenti idonei per la
dovuta cognizione e comprensione delle procedure antidoping. La possibilità per gli atleti di essere
informati è infatti presupposto fondamentale del sistema disciplinare sportivo, sistema di matrice
essenzialmente privatistica, contraddistinto da una struttura organizzativa piramidale. In tale ottica,
le federazioni internazionali e nazionali devono assolutamente predisporre ed implementare
procedure e meccanismi che consentano agli atleti di poter a loro volta rendersi diligenti e
responsabili nella conoscenza della normativa antidoping.
È evidente come vi fosse una generica approssimazione nel sistema dei controlli del calcio.
Ciò è altresì dimostrato dal fatto che i DCOs abbiano permesso l’esecuzione dei test nonostante vi
fosse stata la perdita del contatto visivo, qualificando implicamene essi stessi la condotta come
“mero ritardo” piuttosto che “rifiuto”.
Alla luce della ulteriore disamina istruttoria, il Collegio CAS conclude le proprie motivazioni
sottolineando la genericità dell’art. 2.3, il quale non distingue alcunché in merito alle differenti
tipologie di controlli e alle relative procedure applicabili per ognuno di essi. Diviene quindi
possibile, come nel caso di specie, che il 2.3 non trovi applicazione nei casi in cui l’atleta si discosti
dal normale iter dei vari controlli antidoping in “buona fede” e per “ignoranza scusabile”, stati
soggettivi che non possono ricondursi ad un rifiuto.
4. Conclusioni.
Appare evidente che l’eccessiva genericità del 2.3 ha indotto il Collegio CAS a derubricare la
condotta da “rifiuto” di sottoporsi al controllo antidoping a semplice mancata collaborazione in
quanto gli atleti, ai sensi delle Norme Antidoping del CONI, avrebbero agito con comportamento
superficiale ma scusabile. In tale ottica, il Collegio CAS conferma la pronuncia del GUI e i 15
giorni di sospensione per mancata collaborazione. A ben guardare, la norma interna del CONI
sembra costituire una sorta di “patch” normativa per quello che nel Codice WADA potrebbe
potenzialmente rappresentare un vero e proprio “bug” regolamentare.
Infatti, la formulazione del 2.3 contenuta nel Codice WADA, immutata nella versione 2009,
equipara il rifiuto espresso all’omissione, non distinguendo in termini di gravosità della sanzione, a
seconda se la mancata sottoposizione al controllo sia frutto di un’intenzione esplicita dell’atleta o di
una negligenza dello stesso.
77
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
Inoltre, la norma non esemplifica delle ipotesi colpose che possano fungere da parametro in
relazione alle varie tipologie di controlli e alle conseguenti diverse procedure antidoping. Pertanto,
il ritardo, la perdita del contatto visivo e tutti gli altri obblighi della procedura di controllo che
l’atleta possa aver colposamente violato, dovranno necessariamente essere valutati alla stregua delle
circostanze di fatto del singolo caso e, di conseguenza, ritenersi scusabili e non rientranti nella
fattispecie del 2.3 ogni qual volta risultasse che la condotta dell’atleta sia imperniata su una “buona
fede” e su una “ignoranza scusabile” dello stesso circa controlli e procedure, stati soggettivi atti ad
escludere l’applicazione della norma.
Infatti, qualora l’atleta non osservi correttamente la procedura antidoping, occorrerà
verificare in concreto se tale condotta possa rappresentare un rifiuto di sottoporsi al test o se sia
piuttosto frutto di una mancata o addirittura erronea apprensione della normativa antidoping per
causa a lui non imputabile.
In precedenti applicazioni del 2.3 o di norme sostanzialmente equivalenti, il CAS aveva
seguito un’interpretazione più restrittiva della norma, rilevando come il rifiuto di sottoporsi a
controllo antidoping cosiddetto “innocente”, poiché ad esempio connotato da giustificate ragioni
inerenti la sicurezza e le modalità del controllo, rappresentasse comunque una violazione
perseguibile e sanzionabile8.
Secondo tale impostazione, le intenzioni soggettive dell’Atleta rimanevano irrilevanti,
dinanzi all’elemento oggettivo del rifiuto, costituito ad esempio dalla perdita del contatto visivo con
i DCOs. Con la presente decisione, sembra invece affermarsi l’assoluta valenza dell’elemento
soggettivo della condotta, tale da escludere l’applicazione della norma nell’ipotesi in cui non si
rinvenga una reale intenzione dell’atleta di non sottoporsi al controllo.
In conclusione, se è vero che l’attuale formulazione del 2.3 permette alla stessa di abbracciare
diverse fattispecie, è altrettanto vero che l’attuale enunciazione presta il fianco ad ipotesi di “buona
fede” e “ignoranza scusabile” troppo ampie ed indeterminate.
In mancanza di una maggiore specificità nel diritto positivo della WADA, è presumibile che il
CAS tornerà ad esprimersi a breve sull’applicabilità o meno del 2.3, specie in casi dove la mancata,
differita o anomala sottoposizione a controllo antidoping sembri prescindere dalla reale coscienza e
volontà dell’atleta di non sottoporsi propriamente alle modalità del controllo stesso.
8
Richard H. McLaren, CAS Doping jurisprudence: What can we learn?, in Sweet & Maxwell’s International Sports Law Review,
Febbraio 2006, 11.
78
NOTE A SENTENZA
Lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA vs CONI,FIGC,Mannini,Possanzini...
Con ogni probabilità, tale giurisprudenza potrebbe fornire sia maggiori delucidazioni sulla
applicazione del 2.3 in riferimento alle singole tipologie di controllo antidoping, sia dei parametri di
massima per valutare o meno la scusabilità della condotta.
(*) Mario Vigna è Junior Associate dello Studio Coccia De Angelis & Associati, Roma e Sostituto
Procuratore della Procura Antidoping del CONI.
(**) Maria Cecilia Morandini è membro dello Studio Morandini e Associati, Roma.
79
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
ALTA CORTE DI GIUSTIZIA SPORTIVA
Decisione n. 1 Anno 2009
L’Alta Corte di Giustizia,
composta da dott. Riccardo Chieppa, Presidente, dott. Alberto de Roberto, Relatore dott.
Giovanni Francesco Lo Turco prof. Massimo Luciani prof. Roberto Pardolesi,
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 1/2009 proposto da Juventus F.C. s.p.a. nei confronti
della Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.) avverso la decisione della Corte di Giustizia
Federale, sezioni unite, della F.I.G.C., 28 aprile – 8 maggio 2009, relativa a reclamo avverso la
delibera del Giudice Sportivo presso la Lega Nazionale Professionisti, com. uff. n. 261 del 20 aprile
2009, recante sanzione di disputare una gara a porte chiuse inflitta alla Juventus F.C. s.p.a., a
seguito dell’incontro Juventus/Internazionale del 18 aprile 2009;
visti gli scritti difensivi delle parti,
Foro Italico – Palazzo H – L.go Lauro de Bosis, 15
Alta Corte di Giustizia Sportiva
00194 - Roma Segreteria: tel. +39 06 3685.7382 -fax +39 06 3685.7493
presso il Coni
[email protected] - www.coni.it
uditi nella udienza del 14 maggio 2009 il relatore, dott. Alberto de Roberto,
uditi i difensori della parte ricorrente – Juventus F.C. s.p.a. – avv. ti Luigi
Chiappero, Michele Briamonte, Maria Turco ed i difensori della parte
resistente – Federazione Italiana Giuoco Calcio – avv. ti Luigi Medugno,
Letizia Mazzarelli, Federico Freni,
80
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
Ritenuto in fatto
1. Il giorno 18 aprile 2009 si svolgeva a Torino l’incontro tra le squadre del Juventus F.C. e
del F.C. Internazionale Milano (Inter), valevole per la 13^ giornata di ritorno del campionato
italiano di calcio Serie A.
.In riferimento a tale gara il giudice sportivo della Lega Calcio disponeva, in data 20 aprile
2009, di sanzionare la società Juventus con l’obbligo di disputare un incontro a porte chiuse: ciò in
considerazione dei cori intonati a più riprese da sostenitori della società ospitante con obiettivi di
discriminazione razziale. Nel provvedimento sanzionatorio il giudice sportivo aggiungeva, a
dimostrazione della inapplicabilità delle esimenti ed attenuanti di cui al Codice di Giustizia Sportiva
(d’ora innanzi CGS) della Federazione Italiana Giuoco Calcio (d’ora innanzi FIGC), che, durante
l’esecuzione dei cori, non si erano registrate palesi manifestazioni di dissenso da parte della
tifoseria juventina ed erano pure mancati interventi dissuasivi dei responsabili del Club.
2. Avverso tale decisione del giudice sportivo la società Juventus proponeva, in data 21 aprile
2009, ricorso alla Corte di giustizia federale della FIGC.
.Queste le censure dedotte:
a) il giudice sportivo ha erroneamente irrogato la sanzione dello
svolgimento della partita a porte chiuse prevista solo per il caso di recidiva,
insussistente nella specie. La sanzione da infliggere alla società era,
invece, semmai quella minore dell’ammenda;
b) contro ogni evidenza il giudice sportivo ha erroneamente ritenuto
insussistenti le esimenti ed attenuanti che pur si lasciavano ravvisare nei
confronti della società ricorrente.
3. La Corte di giustizia federale, nella seduta del 28 aprile 2009, respingeva il reclamo
pubblicando lo stesso giorno il dispositivo della decisione.
4. In data 29 aprile 2009 - disponendo del solo dispositivo di reiezione - la società Juventus
proponeva ricorso innanzi a questa Alta Corte di Giustizia Sportiva (d’ora innanzi Alta Corte)
chiedendo, nel contempo, l’immediata sospensione del provvedimento irrogatorio della sanzione.
Venivano dedotte le seguenti le censure: a) Violazione del doppio grado di tutela, sancito dal
protocollo 7° della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dall’art. 111 della Costituzione,
risultando il processo federale, in virtù delle recenti modifiche apportate al CGS della FIGC,
articolato su di un unico grado di giudizio (ricorso alla Corte di giustizia federale).
81
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
b) Violazione delle norme in materia di pubblicazione della sentenza, giacché il dispositivo
della decisione è stato conosciuto dalle parti, tramite dispaccio ANSA, “più di un’ora prima” della
comunicazione ufficiale della pronuncia.
c) Violazione dell’art. 11, comma 3, del citato Codice della FIGC in relazione all’art. 18,
comma 1, lett. d), del CGS per essere stata applicata una sanzione (la disputa di una gara a porte
chiuse) in carenza di recidiva.
d) Mancato riconoscimento delle esimenti ed attenuanti sebbene la loro sussistenza risultasse
al di fuori di ogni dubbio.
5. In relazione alla richiesta di provvedimento cautelare questa Alta Corte - all’esito della
camera di consiglio appositamente convocata – provvedeva, con ordinanza del 30 aprile 2009, ad
accordare la sospensione dell’esecuzione della sanzione fino al 15 maggio 2009, in vista della
necessità di acquisire la motivazione della decisione.
6. In data 8 maggio 2009 veniva pubblicata nei termini la pronuncia della Corte di giustizia
federale della FIGC nel suo testo integrale, comprensivo della motivazione.
Detta Corte evidenziava che, nella specie, doveva trovare autonoma applicazione quella parte
dell’art. 13 del CGS che contempla come fattispecie a se stante - distinta dalla figura di base e da
quella aggravata dalla recidiva – l’illecito sportivo concretantesi nella realizzazione di fatti della
stessa natura della fattispecie di base ma di rilevante numero e gravità. Veniva, inoltre, rilevato – in
relazione alle esimenti ed attenuanti invocate dalla società ricorrente – che non risultava in alcun
modo dimostrata la presenza di fatti riconducibili al novero delle esimenti e delle attenuanti di cui
all’art. 13 del citato Codice.
La società Juventus - concludeva la decisione – meritava dunque la sanzione che le era stata
inflitta (disputa di una partita a porte chiuse): si era, d’altra parte, in presenza dell’irrogazione di
una sanzione particolarmente mite, a confronto dell’ampia gamma di sanzioni utilizzabili per
reprimere l’illecito qui in esame.
7. In data 11 maggio 2009 la ricorrente ha depositato un ulteriore scritto difensivo nel quale oltre a ribadire quanto già in precedenza dedotto nel ricorso originario - sviluppa ulteriormente le
proprie difese anche alla luce della motivazione della sentenza nel frattempo pubblicata.
Sostiene la società Juventus - argomentando con riferimento a detta motivazione - che la
configurazione come autonoma fattispecie dell’illecito ad essa addebitato (più violazioni della
stessa natura di particolare gravità, poste in essere in un unico contesto) aveva finito per condurre,
82
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
in palese contrasto con ogni principio, all’assoggettamento della stessa Juventus ad una misura più
grave di quella che sarebbe stata sopportata in caso di recidiva.
8. Con memoria dell’11 maggio 2009, corredata da documenti, la FIGC ha contestato la
proponibilità in rito, sotto vari riflessi, del presente ricorso rivolto all’Alta Corte, deducendo nel
merito l’infondatezza della impugnativa proposta: a) sotto il profilo dell’improponibilità del ricorso
si rileva che, ai sensi del testuale tenore dell’art. 30, comma 3, dello Statuto FIGC, non sono
consentite ulteriori impugnazioni avverso sanzioni che abbiano comportato, come nella specie, la
disputa dell’incontro a porte chiuse.
Deve perciò ritenersi interdetto il ricorso presentato a questa Alta Corte; b) rende
improponibile il ricorso anche la circostanza che la normativa (art. 12 bis e 12 ter dello Statuto
CONI) non consente all’Alta Corte di conoscere delle sanzioni patrimoniali fino a € 10.000 e delle
sospensioni fino a 120 giorni continuativi.
Ora – si afferma - anche la disputa di una partita a porte chiuse si lascia ricondurre (nel più è
compreso il meno) tra le misure sanzionatorie “leggere” di cui la sospensione con durata fino a 120
giorni rappresenta il limite invalicabile;
c) sotto un ulteriore profilo si fa rilevare che l’Alta Corte è tenuta a declinare la propria
cognizione tutte le volte nelle quali la lite non rivesta particolare rilevanza sia in punto di fatto che
di diritto (art. 12 ter Statuto CONI e art. 1 del Codice dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva).
La presente controversia non mette capo, infatti, ad una misura sanzionatoria direttamente
prevista tra le sanzioni sottratte alla cognizione di questa Alta Corte, ma è assimilabile, nei suoi
contenuti, alle sanzioni tenui avverso le quali non è ammesso ricorso alla stessa Alta Corte; d) in
relazione ad altro profilo si rappresenta che, ai sensi dell’art. 12 dello Statuto del CONI (norma
ispirata all’obiettivo della salvaguardia delle autonomie federali), le nuove disposizioni che danno
vita, nell’ordinamento sportivo, all’Alta Corte e ai Collegi arbitrali espressi dal Tribunale nazionale
di arbitrato per lo sport (d’ora innanzi Tribunale) possono operare, nei riguardi delle decisioni
federali, solo in quanto le singole Federazioni, con proprie norme statutarie e regolamentari,
abbiano ritenuto di recepirle e farle proprie; e) da un’ulteriore e diversa angolazione, si rappresenta
che la lite - nel nostro caso solo sportiva (e, perciò, senza ricadute nell’ordinamento generale)
- non potrebbe ritenersi relativa a diritti indisponibili e si sottrarrebbe, perciò, al sindacato
dell’Alta Corte postulante, invece, la necessaria presenza di controversie relative a diritti
indisponibili.
83
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
9. Anche nel merito le censure della Juventus vengono contestate. Si rileva, anzitutto, quanto
alla violazione del doppio grado, che detta regola vale nell’ordinamento penale o, a tutto concedere,
nel contenzioso giurisdizionale. Nel nostro caso si è in presenza, invece, di misure di carattere
disciplinare anche se irrogate con il rispetto di particolari guarentigie.
In ogni caso è mancata l’impugnazione della citata norma del CGS della FIGC che contempla
– secondo la prospettazione del ricorrente - l’espletamento della procedura in unico grado dinanzi
alla sola Corte di giustizia federale.
Va posto, inoltre, in rilievo che la sanzione irrogata, conseguente a comportamenti ripetuti e di
particolare gravità, è stata correttamente sussunta sotto la previsione di un’ulteriore e più grave
fattispecie la quale prevede, in relazione alla ipotesi or ora ricordata, una punizione più severa di
quella contemplata nell’ipotesi di recidiva. Deve farsi, infatti, riferimento in questo caso non già
alla recidiva prevista per l’illecito di base, ma alla norma generale sulla recidiva (art. 21 CGS) che
prevede, appunto, un aggravamento delle pene quando qualunque fattispecie sia posta in essere in
presenza di un fatto illecito della medesima natura.
La società ricorrente ha presentato note di udienza. Entrambe le parti, all’udienza pubblica
del 14 maggio, hanno oralmente sviluppato le loro difese.
Considerato in diritto
1. Va per prima esaminata la eccezione (collocata come
seconda nel quadro delle difese
della FIGC) rivolta a sostenere che l’adita Alta Corte non avrebbe titolo a conoscere della presente
controversia in considerazione dei caratteri della sanzione irrogata (chiusura al pubblico dello stadio
durante lo svolgimento di una partita).
Si sostiene che la detta sanzione, non implicante la radicale interdizione di attività sportiva,
ma tesa a consentire lo svolgimento della competizione senza pubblico, rientrerebbe, anche per il
limite della sua durata (una sola giornata), tra le sanzioni sottratte a questa Alta Corte (sanzioni di
carattere pecuniario fino a € 10.000; sospensione dell’attività sportiva per un periodo non superiore
a 120 giorni). L’eccezione deve essere disattesa.
84
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
Non è dubbio che i due nuovi organismi di giustizia sportiva, introdotti a livello esofederale
dallo Statuto del CONI, modificato con delibera del Consiglio Nazionale del CONI n. 1369 del 26
febbraio 2008 ed approvato con D.M. 7 aprile 2008 (Alta Corte: art. 12 bis; Tribunale: art. 12 ter),
sono chiamati a conoscere, nell’ulteriore grado al quale il CONI ha dato vita, delle sole controversie
relative a sanzioni di significativa rilevanza.
Non è agevole, però, per l’interprete, identificare la precisa linea di confine che divide le
controversie in tema di sanzioni di minore rilievo (sottratte al nuovo contenzioso) e quelle, invece,
di spettanza dei nuovi organi di giustizia sportiva (al di fuori, naturalmente, delle figure
sanzionatorie - pecuniarie e interdittive - espressamente sottratte dalla norma statutaria CONI alla
cognizione dei due nuovi organi di giustizia sportiva).
Sembra assolutamente inaccettabile, anche per la sua palese disarmonia con il sistema, una
interpretazione che riservi ai due nuovi organi di giustizia sportiva la possibilità di conoscere di
ogni controversia relativa a sanzioni sportive, diverse da quelle espressamente menzionate nella
norma statutaria (sanzioni di carattere pecuniario fino a 10.000 euro; sospensione dell’attività
sportiva fino a 120 giorni).
E’ da ammettere, all’opposto, che sanzioni anche diverse da quelle di carattere pecuniario e
interdittivo espressamente sottratte al nuovo contenzioso debbano ottenere definizione in ambito
solo federale, senza pervenire all’Alta Corte (o al Tribunale), se la lite si manifesti sprovvista di
quella rilevanza che ha ottenuto esplicita enunciazione solo con riferimento alle sanzioni pecuniarie
e interdittive. E’ proprio con riferimento ad un riparto di confine, che trae le sue radici dalla norma
espressamente formulata a proposito delle controversie pecuniarie e interdittive, che deve
rintracciarsi il discrimine tra le sanzioni sottoposte al contenzioso dell’Alta Corte (e del Tribunale) e
quelle di minore rilievo assoggettate ad un contenzioso che non può superare i limiti della sede
federale.
E’ evidente, anzitutto, la collocazione al di sotto della linea che consente l’accesso ai nuovi
organi di giustizia espressi dal CONI di sanzioni di carattere non pecuniario né interdittivo di
modesto effetto afflittivo come, ad esempio, le diffide, le ammonizioni e misure similari. Più
difficile prendere posizione, invece, per quanto concerne la misura che è stata irrogata nella specie
(la sola sulla quale si concentrerà l’attenzione in questa sede).
Ritiene il Collegio che la sanzione ora ricordata (svolgimento della partita a porte chiuse)
vada senz’altro ricondotta tra quelle che, in via di principio, consentono l’accesso all’ Alta Corte (o
al Tribunale).
85
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
Le pesanti incidenze economiche (pur se riflesse) che si riconnettono allo svolgimento di una
competizione senza presenza di pubblico (e vendita dei biglietti); la particolare ostensibilità della
sanzione per le modalità della sua esecuzione (con conseguente caduta d’immagine della società,
della squadra e della sua tifoseria); ancora, l’effetto incisivamente afflittivo dello svolgimento della
partita nel silenzio degli spalti, privando così la squadra dei suoi tifosi e questi ultimi della
possibilità di sostenere la squadra, sono dati che, tutti insieme, concorrono a far ritenere che la
sanzione oggetto della presente controversia non sia, in via di principio, sottratta alla cognizione dei
due nuovi organi di giustizia sportiva.
Alla luce di tali considerazioni (e fermo quanto più oltre si osserverà in ordine agli ulteriori
profili rilevanti della problematica) non sembrano sussistere ostacoli, sotto questo aspetto, in ordine
alla cognizione di questa Alta Corte.
2. Con una ulteriore eccezione - in qualche misura collegata a quella or ora definita – si fa
rilevare che la riconduzione della sanzione irrogata (disputa di una partita a porte chiuse) tra quelle
sulle quali hanno titolo per pronunciare l’Alta Corte ed il Tribunale, non rende immancabile
l’esercizio della potestas decidendi di questa Alta Corte, adita con il presente ricorso.
Ed invero l’art. 12 bis dello Statuto del CONI e le norme del Codice dell’Alta Corte di
Giustizia Sportiva, con le quali si è data attuazione alla detta disciplina, consentono al nuovo organo
di negare la propria cognizione quando la concreta vicenda sottoposta al suo esame non rivesta, in
fatto o diritto, interesse ai fini della esplicazione delle sue funzioni. Anche tale eccezione va
disattesa.
Effettivamente la normativa in precedenza ricordata consente a questa Alta Corte di declinare
l’esercizio delle proprie attribuzioni quando la fattispecie – in punto di fatto e di diritto – risulti non
meritevole di conseguire una sua decisione. Si ritiene, però, che, nella specie, non sussistano le
condizioni che consentono alla Corte di disporre del diniego di ogni pronuncia.
Le questioni dedotte – anche perché la presente controversia è la prima portata all’Alta Corte
– rivestono grande rilievo sia a livello sostanziale che processuale per l’ordinamento nazionale
sportivo. Per quel che attiene ai profili sostantivi, va rilevato che si discute, in questa sede, di cori
discriminatori sul piano razziale (una problematica particolarmente avvertita in questi ultimi tempi).
Per quel che attiene agli aspetti processuali, basti solo rilevare le complesse problematiche –
sollevate proprio dall’impegnata difesa della FIGC – che vengono prospettate in questa sede.
86
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
Va, perciò, definita negativamente la istanza con cui si chiede all’Alta Corte di rifiutare
qualunque pronuncia nella presente controversia.
3. Con una ulteriore eccezione (invero di non solare chiarezza) sembra sostenersi dalla FIGC
che il nuovo sistema contenzioso, fondato sugli ulteriori gravami proponibili all’Alta Corte e al
Tribunale, non è, allo stato, in condizione di operare almeno nei confronti della FIGC.
Le norme statutarie del CONI, istitutive dei nuovi organi (in particolare l’art. 12 dello
Statuto), - si afferma - nella consapevolezza di intervenire in aree, come quelle della giustizia
sportiva, estranee alla competenza normativa del CONI, avrebbero dovuto essere recepite negli
ordinamenti federali dagli statuti e dai regolamenti delle singole Federazioni sportive nazionali.
L’eccezione – frutto di un fraintendimento del sistema – deve essere disattesa.
Non è dubbio che il CONI – istituzione inserita, ad un tempo, (come ente pubblico)
nell’ordinamento della Repubblica Italiana e nell’ordinamento sportivo internazionale avente il suo
vertice nel CIO – ha titolo, al pari delle Federazioni, a dar vita, avvalendosi dell’autonomia al CONI
espressamente riconosciuta anche dalla legislazione statale, ad organismi di giustizia sportiva
chiamati ad esercitare la propria iurisdictio a sviluppo e completamento della precedente fase di
giustizia federale, in quelle ipotesi nelle quali il CONI ritenga di introdurre un’ulteriore fase di
contenzioso esofederale.
Confermano la spettanza al CONI degli anzidetti poteri regolatori univoci sintomi desunti
dalla normativa vigente. L’art. 1 del D.L. n. 220/03 (convertito nella L. 280/03), dopo aver
conclamato che “la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo
nazionale quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale…”, stabilisce, all’art. 2 lett.
a (con evidente riferimento a competenze anche contenziose distribuite a più livelli
dell’ordinamento sportivo: CONI, Federazioni), che l’ordinamento sportivo nazionale si scompone,
a sua volta, in “interne articolazioni” (l’ordinamento facente capo al CONI e gli ordinamenti che
hanno come loro punto di riferimento le Federazioni sportive nazionali).
Un testuale riconoscimento del potere normativo del CONI in tema di organizzazione e
funzionamento della giustizia sportiva si ricava, infine, dalla disposizione che accorda l’accesso alla
giurisdizione statale, per controversie sportive rilevanti anche in quest’ultimo ordinamento, previo
esperimento del contenzioso sportivo interno “secondo le previsioni degli statuti” del CONI e delle
Federazioni sportive: una formula che si risolve nell’esplicito riconoscimento sia della giustizia
sportiva in sede CONI che di quella di rango federale.
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NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
Non contrasta con tali conclusioni l’art. 12 (nuova versione) dello Statuto del CONI (la norma
sulla quale la FIGC costruisce il suo assunto in ordine alla carenza in capo al CONI di poteri
normativi in tema di giustizia sportiva). A parte quanto or ora si è detto in ordine alla disciplina
primaria statale, va qui ricordato che al citato art. 12 (da leggere in connessione con i successivi
articoli 12 ter e 22) va conferito un significato del tutto diverso da quello postulato dalla FIGC.
La norma in questione, infatti, mira solo a disporre che gli statuti e i regolamenti federali
possano inserire, nella loro trama, clausole compromissorie attributive di poteri cognitori alla
giustizia arbitrale gestita dal Tribunale, curando di acquisire, da parte dei propri affiliati, iscritti,
ecc. (i soggetti con i quali potranno insorgere le future controversie), l’esplicita adesione alla
clausola stessa. E’ fuori discussione, in un quadro siffatto, la piena riconducibilità alla normativa di
paternità del CONI dei nuovi organi di giustizia e delle norme concernenti competenze e procedure
contenziose destinate ad ottenere svolgimento dinanzi ai predetti organismi.
4. Nel presupposto che le singole Federazioni abbiano titolo a decidere del regime da
attribuire alle pronunce adottate in sede contenziosa, si ricorda che - ai sensi dell’art. 30 dello
statuto federale, adottato dall’Assemblea Straordinaria il 22 gennaio 2007 e successivamente
emendato con deliberazione del Commissario straordinario n. 80/CS del 6 marzo 2007 - restano
sottratte al contenzioso della Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport le pronunce
contenziose federali della FIGC aventi ad oggetto sanzioni pecuniarie di importo inferiore a 50.000
euro, perdita a tavolino della gara, sottrazione di punteggi, squalifiche di campo e disputa della
partita a porte chiuse.
Ora – afferma la resistente FIGC – la presente controversia (rivolta contro una sanzione che
impone lo svolgimento a porte chiuse di una gara) non può ottenere definizione in questa sede
trattandosi di misura sanzionatoria sottratta al sindacato di questa Alta Corte. Anche tale eccezione
non può essere condivisa.
E’, in primo luogo, tutta da dimostrare la perdurante operatività del citato art. 30 dello Statuto
federale, incidente in campo di azione riservato ai poteri regolatori del CONI che ha provveduto ad
esercitare le sue competenze disponendo, con gli artt. 12, 12 bis e 12 ter del suo Statuto, che le sole
decisioni federali relative a sanzioni sportive non suscettibili di reclamo innanzi ai nuovi organi di
giustizia sportiva (Alta Corte e Tribunale) sono - come avanti si è ricordato – le sanzioni pecuniarie
inferiori a € 10.000; le sanzioni interdittive di durata minore di 120 giorni e, secondo la linea
interpretativa alla quale si è ritenuto di prestare adesione (vedi par. 1 della presente motivazione in
88
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
diritto), le altre sanzioni non patrimoniali né interdittive irrogate per violazioni di modesta
rilevanza.
Ma, a parte questi rilievi – che pur sono decisivi ed assorbenti – resta l’osservazione che il
citato art. 30 dello Statuto FIGC assume, a proprio obiettivo, quello di sottrarre ad ogni
impugnazione le decisioni federali (facenti capo alla FIGC) per le quali risultava previsto il ricorso
innanzi alla Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport. L’espresso riferimento della norma a
tale organo (non più in vita), diversamente composto e con attribuzioni ben differenti da quelle dei
nuovi organi di giustizia sportiva, rendono infondato l’assunto, propugnato in questa sede, secondo
cui la norma sarebbe rivolta ad impedire, “al buio”, non soltanto alla soppressa Camera, ma anche a
qualunque altro organismo futuro di conoscere delle decisioni un tempo sottratte al sindacato della
Camera di conciliazione ed arbitrato per lo sport.
5. Con un’ultima eccezione la FIGC - nel presupposto che questa Alta Corte possa solo
conoscere di controversie relative ai diritti indisponibili e interessi legittimi – afferma che le
sanzioni sportive (compresa la sanzione che contempla la disputa della partita a porte chiuse) si
inscrivono – come risulta anche dalla attitudine delle stesse a formare oggetto di transazione in sede
conciliativa – tra le controversie relative a diritti disponibili, non conoscibili da questa Alta Corte.
Anche tale eccezione va disattesa.
Va, infatti, chiarito che la cognizione delle liti in tema di sanzioni sportive da parte di questa
Alta Corte risulta testualmente riconosciuta dalle norme che definiscono le attribuzioni di detta
istituzione: l’articolo 1, comma 4, del Codice dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva – proprio nel
presupposto di una competenza in area sanzionatoria dell’Alta Corte anche in materia di sanzioni
sportive – sottrae a quest’ultima solo le sanzioni sportive minori di cui in precedenza si è detto
(sanzioni inferiori a 10.000 euro; sospensione di attività per non più di 120 giorni; ulteriori liti di
modesto rilievo, liti che la stessa Alta Corte decide di non definire).
A parte ciò va osservato – facendo perno sul chiaro tenore degli articoli 12 ter e 22 dello
Statuto del CONI e sulle norme codicistiche di attuazione, dettate sia per l’Alta Corte che per il
Tribunale – che il riferimento alla cognizione da parte dell’Alta Corte delle liti relative a diritti
indisponibili (e interessi legittimi), in contrapposizione alle controversie concernenti diritti
disponibili o solo rilevanti per l’ordinamento sportivo, non introduce in alcun modo limiti
all’intervento dell’Alta Corte – come vorrebbe la FIGC – ma si propone solo di circoscrivere
l’intervento di quest’ultima al solo campo delle liti relative a diritti indisponibili (ed interessi
legittimi).
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NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
La distinzione tra le due categorie di controversie (di cui pure è traccia nella normativa) serve
solo ad identificare, nell’amplissimo campo delle liti di spettanza dell’Alta Corte, quelle che – su
accordo delle parti (clausola compromissoria inserita nei regolamenti e condivisa dagli affiliati;
compromesso, altri accordi di analogo tenore) - sono suscettibili di venire devoluti alla competenza
arbitrale. Solo, infatti, liti relative a diritti disponibili o destinate ad esaurire i propri effetti
nell’ordinamento sportivo, possono venire sottratte all’Alta Corte per essere trasferite alla
cognizione alternativa del contenzioso arbitrale, innanzi al Tribunale.
6. Può passarsi, ora, all’esame del merito. Per quanto attiene al primo motivo va rilevato che è
inutile stabilire in questa sede se anche nell’ordinamento della giustizia sportiva trovino
applicazione i principi del doppio grado di giurisdizione garantito dal 7° protocollo aggiuntivo alla
Convenzione dei Diritti dell’Uomo. Va osservato, a questo riguardo, in primo luogo, che, nella
specie, è operante un contenzioso nel quale è garantito il doppio grado di giustizia sportiva (anzi,
forse una tutela che si spinge fino a tre successivi livelli). Non soltanto ha titolo ad interloquire la
Corte di giustizia federale e, in ulteriore grado, l’Alta Corte (e il Tribunale), ma lo stesso
provvedimento irrogatorio della sanzione – come avveniva un tempo nel nostro ordinamento per le
sanzioni disciplinari prima dell’avvento della disposizione VI^ transitoria della Costituzione risulta adottato da un’autorità indipendente a conclusione di una procedura aperta al contraddittorio.
7. Per quel che riguarda la seconda censura va rilevato che non sono stati acquisiti elementi
che consentano di affermare – come sostiene la società Juventus – che l’esito della lite innanzi alla
Corte di giustizia federale è stato reso noto prima della pubblicazione, nelle forme di rito, del
dispositivo.
In ogni caso, quando pure questa (non commendevole) “fuga” di notizia fosse avvenuta,
risulterebbe del tutto inidonea ad operare con effetti invalidanti sulla rituale pubblicazione del
dispositivo e, successivamente, dell’integrale testo della sentenza.
8. Per quanto attiene alla
terza e quarta censura (rivolte entrambe a contestare la sanzione irrogata alla società
Juventus) deve darsi atto, anzitutto, che l’acquisizione della motivazione della decisione della Corte
di giustizia federale è valsa a dimostrare la non aderenza ai contenuti del provvedimento
sanzionatorio e della decisione della Corte di giustizia federale delle doglianze che erano state
mosse contro il dispositivo (la sola parte della sentenza cognita nel momento dell’impugnativa).
E’ rimasto così smentito, anzitutto, l’assunto secondo cui si sarebbe proceduto nella specie ad
irrogare una sanzione non prevista.
90
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
Ed invero si ricava chiaramente dalla decisione impugnata che i fatti per i quali si è applicata
alla società Juventus la sanzione della disputa della partita a porte chiuse non sono costituiti dalla
recidiva, ma da circostanze che valgono a integrare la più grave e autonoma fattispecie di cui al
terzo comma dell’art. 11 del CGS.
La norma ora ricordata – dopo aver affermato la responsabilità anche delle società sportive
per cori, grida e ogni altra manifestazione espressiva di discriminazioni – prevede, infatti, una
figura base di illecito per la quale è consentita l’irrogazione di una sanzione solo pecuniaria.
Nel caso di recidiva – con riguardo sempre a figure riconducibili all’illecito della figura base
– le sanzioni vengono elevate ad un maggior livello, contemplandosi, oltre alla sanzione
patrimoniale, l’adozione “congiuntamente o disgiuntamente” della disputa di una o più partite a
porte chiuse o con limitata presenza di spettatori (chiusura di taluni settori dello stadio). Nello
stesso articolo si prevede, inoltre, anche una ulteriore fattispecie concernente comportamenti –
specie se realizzati con una pluralità di condotte - di “particolare gravità” implicanti la
comminatoria della sanzione relativa all’ipotesi di recidiva, di cui si è detto, nonché altre sanzioni
fortemente afflittive come la retrocessione, la sottrazione di punteggio, il passaggio alla categoria
inferiore ecc.
Ed è evidente che tra le violazioni di questa particolare gravità vanno collocati i cori di
discriminazione razziale che a più riprese sono stati espressi nello stadio torinese (arg. ex art. 3,
comma 1, Cost.; d.l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, in l. 25 giugno 1993, n.
205; art. 8 l. 22 aprile 2005, n. 69; art. 14 Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, fatta a Roma il 4 novembre 1950; Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di
discriminazione razziale, New York 7 marzo 1966, ratificata con l. 13 ottobre 1975, n. 654; Patto
internazionale relativo ai diritti economici sociali e culturali, New York 16 – 19 dicembre 1966,
ratificato con l. 25 ottobre 1977, n. 881; Convenzione Generale dell’Organizzazione internazionale
del lavoro, 6 – 22 giugno 1962, ratificata con l. 13 luglio 1966, n. 657; artt. 2, comma 1, quarto
periodo, e 29 del Trattato di Maastricht, istitutivo dell’Unione Europea, ratificato con l. 3 novembre
2002, n. 454; direttiva 2000/43/CE, relativa alla parità di trattamento tra le persone
indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica; art. 2, comma 4, dello Statuto del CONI; art. 2,
comma 5, dello Statuto della F.I.G.C.).
La decisione impugnata, attribuendo - al pari del provvedimento irrogatorio della sanzione
adottato dal giudice sportivo – giusto risalto al carattere discriminatorio dei cori intonati
ripetutamente dalla tifoseria juventina (dieci volte nei due tempi della partita), ha inflitto la sanzione
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NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
della disputa di una partita a porte chiuse, sanzione quest’ultima che, per effetto del richiamo delle
sanzioni previste per le precedenti fattispecie, compresa la recidiva, risultava pienamente
suscettibile di venire adottata come sanzione del comportamento tenuto dai sostenitori della
Juventus nel caso in esame.
9. Non può condividersi, nemmeno, la censura (avanzata dopo la conoscenza della
motivazione) con la quale si sostiene che, in contrasto con i generali principi, la disciplina di cui si è
fatta applicazione condurrebbe all’illegittimo risultato di reprimere, in maniera meno severa,
l’ipotesi di recidiva rispetto ad un illecito che – pur se grave e caratterizzato da più violazioni –
risulta posto in essere in un unitario contesto di tempo e di azione.
Anche tale doglianza va disattesa. La lata previsione normativa (non censurata – si noti –
sotto questo riguardo dalla società ricorrente) pone a disposizione, ai fini dell’esercizio dello ius
puniendi, un’ampia gamma di misure sanzionatorie da infliggere, naturalmente in ordine gradato, a
seconda della gravità della fattispecie accertata.
Né è esatto che le sanzioni concernenti la recidiva (richiamate al solo fine di individuare altre
sanzioni suscettibili di utilizzazione nel caso di manifestazioni discriminatorie a contenuto razzista
di particolare gravità poste in essere con più comportamenti) conducano all’applicazione di sanzioni
meno severe nel caso di recidiva (ad esempio lo svolgimento della partita a porte chiuse). La
fattispecie concernente gravi violazioni più volte ripetute, che integri l’ipotesi di recidiva, non
ricade, infatti, sotto la recidiva prevista per la figura dell’illecito - base, ma sotto il trattamento della
recidiva regolata dall’articolo 21 CGS che contempla per tale ipotesi un aggravamento delle
sanzioni. Il ricorso va, pertanto respinto e tenuta ferma la sanzione irrogata. Sussistono giusti motivi
per compensare le spese del giudizio.
P.Q.M.
L’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA SPORTIVA
RIGETTA il ricorso
SPESE interamente compensate
DISPONE la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro
difensori anche con il mezzo della posta elettronica.
Così deciso in Roma, nella sede del Coni, il 14 maggio 2009
92
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
LA GIURISDIZIONE DELL’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA
SPORTIVA DEL CONI QUALE ULTIMO GRADO DI
GIUSTIZIA. PRESUPPOSTI E LIMITI DEL
CONTENZIOSO ESOFEDERALE. COSÌ È (SE VI PARE).
di Federica Tosel (*)
SOMMARIO
1.Premessa: l’ambito di analisi ed il quadro normativo di riferimento
2.La controversia devoluta all’Alta Corte di Giustizia Sportiva, secondo le prospettazioni
difensive in punto di ammissibilità della Juventus FC e della FIGC.
3.La ritenuta competenza funzionale dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva: un’occasione
perduta.
1. Premessa: l’ambito di analisi ed il quadro normativo di riferimento
Desta La decisione che si annota costituisce la prima pronuncia della “neo-nata” Alta Corte di
Giustizia del C.O.N.I. ed offre lo spunto per tentare di enucleare, senza pretesa alcuna di esaustività
e con l’ovvia riserva di ogni miglior approfondimento allorché si avranno ulteriori decisioni sul
tema, quali siano i presupposti ed i limiti del nuovo contenzioso esofederale.
Chiarendo.
Con l’approvazione da parte del Ministero per le politiche giovanili e le Attività Sportive (DM
7 aprile 2007) della riforma dello Statuto del C.O.N.I. (di cui alla deliberazione del Consiglio
Nazionale del Coni n. 1369 del 26 febbraio 2008 assunta ai sensi del D. Lgs. 8 gennaio 2004, n.
151), si è approntato un nuovo distema di giustizia e di arbitrato per lo sport (cfr. nuovo art. 12
Statuto CONI), finalizzato ad accentuare le caratteristiche di autonomia, terzietà ed indipendenza
degli organi di giustizia del CONI, poiché messe in seria discussione dal noto caso Lorbek.
1
"Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, recante "Riordino del Comitato olimpico nazionale italiano
- CONI", ai sensi dell'articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137" pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 21 del 27 gennaio 2004.
93
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
In particolare, con la modifica dell’art. 12 e con l’introduzione dei artt. 12 bis e 12 ter dello
Statuto del CONI, “le funzioni, la denominazione e la composizione della Camera di Conciliazione
e Arbitrato per lo Sport sono state modificate in armonia con quanto stabilito dall’ordinamento
sportivo internazionale, dagli orientamenti espressi in proposito dalla giurisprudenza
amministrativa”2.
Più specificamente, il nuovo statuto del CONI 3 prevede un “sistema di giustizia e di arbitrato
per lo sport strutturato in analogia a quanto previsto dal Tribunale Arbitrale dello Sport di
Losanna ed è composto dall’Alta Corte di Giustizia Sportiva e dal Tribunale Nazionale di Arbitrato
per lo Sport, operanti presso il CONI in piena autonomia ed indipendenza”2 .
Infatti, il nuovo sistema della giustizia sportiva, centralizzato ed “atto a dirimere tutte le
questioni inerenti i conflitti tra i pariordinati nello sport” 4, previsto e disciplinato in riferimento
alle Federazioni sportive nazionali, ma integralmente applicabile, ai sensi del secondo comma del
nuovo art. 12 Statuto Coni, “anche alle Discipline sportive associate e agli Enti di promozione
sportiva ove previsto dai rispettivi Statuti” a decorrere dal 22 gennaio 20085 ha ripartito tra l’Alta
Corte di Giustizia Sportiva (da ora in poi, anche più semplicemente, “Alta Corte”) ed il Tribunale
Nazionale di Arbitrato per lo Sport quelle che erano le funzioni della (ormai soppressa) Camera di
Conciliazione ed Arbitrato del Coni.
Per quel che concerne la competenza funzionale dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva (id est:
per ciò che concerne l’ambito precipuo della presente analisi) va ulteriormente premesso il quadro
normativo di riferimento.
A mente dell’art. 12 bis commi 1 et 2 dello Statuto del CONI:
“1. L’Alta Corte di giustizia sportiva costituisce l'ultimo grado della giustizia sportiva per le
controversie sportive di cui al presente articolo, aventi ad oggetto diritti indisponibili o per le quali
le parti non abbiano pattuito la competenza arbitrale.
2
Così comunicato di Prot. n. 0000127/08 dd. 21 maggio 2008 a firma del Segretario del Coordinamento Attività Politiche e
Istituzionali del CONI.
3
Per il testo integrale si rimanda a: http://www.coni.it/fileadmin/_temp_/coni/pdf/Statut2008.pdf
4
Così Valentina D’Antonio “Il C.O.N.I. codifica la riforma della Giustizia Sportiva, in Sportlex news, Gennaio 2009
5
Termine, poi, di fatto prorogato di un anno, ovvero, come si vedrà, fino all’entrata in vigore dei rispettivi Codici di funzionamento.
94
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
2. Sono ammesse a giudizio soltanto le controversie valutate dall’Alta Corte di notevole
rilevanza per l'ordinamento sportivo nazionale, in ragione delle questioni di fatto e diritto
coinvolte. Il principio di diritto posto a base della decisione dell’Alta Corte che definisce la
controversia deve essere tenuto in massimo conto da tutti gli organi di giustizia sportiva….”6.
Più specifico, per quel che qui interessa, appare l’art. 1 (nei suoi commi 2, 3 et 4) del Codice
dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva, approvato dalla stessa Alta Corte in ossequio al comma 4
dell’art. 12 bis cit.7 in data 15 dicembre 2008 e successivamente integrato il 23 marzo 2009 8 in forza
del quale:
“2. L’Alta Corte costituisce l’ultimo grado della giustizia sportiva per le controversie in
materia di sport, aventi a oggetto diritti indisponibili o per le quali non sia prevista la competenza
del Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport (d’ora innanzi Tribunale), salve le esclusioni di cui
al seguente comma 4.
3. Condizioni di ammissibilità del giudizio avanti all’Alta Corte sono la notevole rilevanza
della controversia per l’ordinamento sportivo nazionale, valutata dall’Alta Corte in ragione delle
questioni di fatto e di diritto in esame, e l’avvenuto esperimento dei rimedi o ricorsi previsti dalla
giustizia sportiva federale.
4. Sono escluse dalla competenza dell’Alta Corte le controversie concernenti le sanzioni
pecuniarie e sospensioni di minore entità di cui all’articolo 3, comma 1, Codice dei giudizi innanzi
al Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport e disciplina degli arbitri (d’ora innanzi Codice
TNAS), quelle in materia di doping, nonché quelle aventi a oggetto una pronuncia della Giunta
nazionale del CONI, emessa su parere dell’Alta Corte ai sensi dell’articolo 7, comma 5, lett. n)
dello Statuto del CONI, su ricorsi relativi a revoca o diniego di affiliazione di società sportive.”
Nello specifico, sono escluse dalla competenza dell’Alta Corte, ai sensi del combinato
disposto degli artt. 1 comma 4 proprio Codice e 3 comma 1 Codice TNAS 9 “…le controversie…
6
Il terzo comma del medesimo art. 12 bis, poi, prevede quale ulteriore competenza dell’Alta Corte, l’emissione di pareri non
vincolanti su richiesta presentata dal Coni o da una Federazione sportiva, tramite il Coni.
7
In forza del quale “Al fine di salvaguardare l'indipendenza e l'autonomia del Tribunale di cui all'art. 12 ter e dei diritti delle parti,
l’Alta Corte emana il Codice per la risoluzione delle controversie sportive e adotta il Regolamento disciplinare degli arbitri.”.
8
Sottoposto a presa d’atto da parte della Giunta Nazionale del CONI il 18 dicembre 2008, emanato e pubblicato il 7 gennaio 2009, in
vigore dal 22 gennaio 2009. Per la consultazione integrale del CODICE DELL’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA SPORTIVA si rimanda a
http://www.coni.it/fileadmin/arbitrato/ALTA_CORTE__2_Regolamento_sn.pdf
95
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
concernenti sanzioni pecuniarie di importo inferiore a diecimila euro o sospensioni di durata
inferiore a centoventi giorni continuativi.”
Conseguentemente e per sintesi, può affermarsi che, terminati i gradi di giustizia endofederali
10
(id est nel caso in esame, per la FIGC, concernendo il procedimento una sanzione comminata dal
Giudice Sportivo Nazionale presso la LNP ai sensi dell’art. 29 Codice di Giustizia Sportiva,
successivamente al ricorso avanti alla Corte di Giustizia Federale), le parti interessate possono adire
l’Alta Corte di Giustizia Sportiva del CONI, in veste di Giudice esofederale di ultimo grado, solo
con riferimento a controversie così qualificabili: di notevole rilevanza per l’ordinamento sportivo
nazionale, escluse comunque quelle concernenti sanzioni pecuniarie di importo inferiore a diecimila
euro o sospensioni di durata inferiore a centoventi giorni continuativi, concernenti, in ogni caso,
diritti indisponibili ovvero disponibili per i quali non sia stata pattuita la competenza arbitrale.
2. La controversia devoluta all’Alta Corte di Giustizia Sportiva, secondo le prospettazioni
difensive in punto di ammissibilità della Juventus FC e della FIGC.
La “controversia” che ha portato alla decisione che qui si annota aveva ad oggetto la sanzione
della disputa di una partita a porte chiuse (ex art. 11, n. 3 e 18, n. 1 lett. d) CGS) comminata dal
Giudice Sportivo alla società Juventus FC, nella sua veste di società ospitante la gara disputatasi
contro la società Internazionale il 18 aprile 2009, per alcuni cori provenienti da Procura Federale,
costituenti espressione di discriminazione razziale nei confronti di un giocatore avversario.
Come già detto, essa verrà in questa sede esaminata esclusivamente nell’ottica della sua
“conoscibilità” da parte dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva, secondo i parametri legali supra
chiariti e fondanti la competenza del nuovo organo di giustizia.
Vistasi rigettare il ricorso da parte della Corte di Giustizia Federale, nella sua più autorevole
composizione 11, negli stringenti termini impostile dall’ordinamento, la Juventus FC avanzava il
primo ricorso all’Alta Corte di Giustizia assumendo, preliminarmente, ai fini della relativa
ammissibilità dell’impugnazione stessa, che nel caso di specie non si rientrasse nel caso delle
9
Per la consultazione integrale del CODICE DEI GIUDIZI INNANZI AL TRIBUNALE NAZIONALE DI ARBITRATO PER LO SPORT E DISCIPLINA DEGLI ARBITRI,
dall’Alta Corte di giustizia sportiva il 15 dicembre 2008, integrato il 23 marzo come sottoposto a presa d’atto da parte
della Giunta Nazionale del CONI il 18 dicembre 2008, emanato e pubblicato il 7 gennaio 2009 ed in vigore dal 22 gennaio 2009 si
rimanda a: http://www.coni.it/fileadmin/arbitrato/TNAS__2_Regolamento_sn.pdf
Approvato
10
Ferme restando le esclusioni per materia di cui all’art. 4 Cod. Alta Corte cit.
11
Cfr. Corte di Giustizia Federale - Sezioni Unite - CU n. 175/CGF
96
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
infrazioni minori, le quali nell’ambito della giurisdizione sportiva sono circoscritte alle sanzioni
pecuniarie12.
Invero, la “vecchia signora”, per il tramite dei suoi difensori, evidenziava che proprio dalla
decisione della Corte di Giustizia Federale di rimessione alle Sezione Unite, emergeva
l’indiscutibile evenienza che nel caso di specie trattavasi di una questione di diritto implicante la
discussione sulla gravità della sanzione.
La società ricorrente, infatti, evidenziava come fosse indiscutibile che la presenza o meno del
pubblico, in ambito agonistico e soprattutto a fine campionato, incidesse nel complesso della stessa
prestazione agonistica della squadra.
A ragionare diversamente, sottolineava la Juventus FC, in una situazione oggettivamente
grave e rilevante per le ragioni già sintetizzate, bisognerebbe ammettere che l’ordinamento sportivo
vigente (che, dall’entrata in vigore del nuovo CGS – luglio 2007 – non prevede più la possibilità di
impugnare la decisione del GS, all’evidenza presa in assenza di contradditorio, prima avanti alla
Commissione Disciplinare e poi, se del caso, avanti alla, ora soppressa, Commissione d’Appello
Federale) veicoli una grave violazione del diritto al doppio grado di giurisdizione riconosciuto
dall’art. 2 comma 1 del protocollo addizionale n. VII alla Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
La FIGC, al contrario, eccepiva pregiudizialmente il difetto di cognizione dell’Alta Corte
assumendo la non compromettibilità in arbitrato della controversia de qua.
La difesa della Federazione, in particolare, sottolineava con articolata argomentazione, che a
prescindere dalla natura della potestas iudicandi dell’Alta Corte
13
, il dettato dell’art. 30 terzo
comma ultimo inciso lett. c) dello Statuto FIGC (valido e vincolante per i soggetti dell’ordinamento
sportivo calcistico ed impermeabile alla riforma dello Statuto CONI) non consente l’arbitrabilità, tra
le tante, delle “controversie decise in via definitiva dagli Organi della giustizia sportiva federale relative
ad omologazioni di risultati sportivi o che abbiano dato luogo a sanzioni soltanto pecuniarie di importo
inferiore a 50.000 Euro, ovvero a sanzioni comportanti: a) la squalifica o inibizione di tesserati, anche se in
aggiunta a sanzioni pecuniarie, inferiore a 20 giornate di gara o 120 giorni; b) la perdita della gara; c)
l’obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse; d) la squalifica del campo”.
12
Si ringrazia l’Avv. Luigi Chiappero per aver messo a disposizione di chi scrive il ricorso e la memoria depositati nell’interesse
della Juventus FC nel procedimento de quo.
13
Ovvero “tanto nel caso in cui si ritenga che, operando come “organo di ultimo grado della Giustizia sportiva”, esso sia
attributario di un potere decisorio che dà luogo ad una pronunzia destinata a definire l’assetto dei rapporti controversi attraverso
l’emanazione di un provvedimento amministrativo di carattere giustiziale; quanto nel caso in cui si ritenga, invece, che codesta
Corte sia un organo arbitrale (nell’accezione tecnica del termine), investito di una funzione decisoria fondata su di un’investitura di
matrice negoziale derivante dalla convergente volontà delle parti.”
97
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
Puntualizza, invero, la FIGC che già la (ora soppressa) Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo
Sport del CONI (le cui funzioni, come più volte si è detto, sono state ripartite ex artt. 12, 12 bis e 12 ter del
nuovo Statuto Coni tra l’Alta Corte di Giustizia per lo Sport ed il Tribunale nazionale di arbitrato per lo
sport), si era espressa in tal senso nel lodo pronunciato in data 12 ottobre 2008 nel procedimento di Arbitrato
promosso dalla S.S. Calcio Napoli SPA contro la stessa Federazione in ordine ad una controversia del tutto
analoga 14.
Evidenziava, infatti, la FIGC l’impermeabilità delle proprie norme statutarie alle modifiche attuate a
livello esofederale dal CONI (ente dotato di semplici poteri di vigilanza e di controllo delle singole
Federazioni e non certo di quello autoritativo di intervento diretto nella produzione normativa delle stesse),
anche se inconciliabili ed incompatibili con il nuovo sistema di giustizia sportiva ivi predisposto.
La FIGC sottolineava, poi, in via subordinata sul punto come, in ogni caso, nella fattispecie in esame
non si potesse parlare di “diritti indisponibili” e difettasse l’ulteriore requisito della “notevole rilevanza”
della questione per l’ordinamento nazionale, requisito legittimante, come già visto, il ricorso all’Alta Corte.
Quanto all’asserita incompatibilità del sistema con il diritto al doppio grado di giurisdizione
riconosciuto dall’art. 2 comma 1 del protocollo addizionale n. VII alla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la FIGC rimarcava che esso è proprio
del solo processo penale ed invocabile solo allorquando l’organo Giudicante è investito di una
funzione giurisdizionale.
3. La ritenuta competenza funzionale dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva: un’occasione
perduta.
Rigettando le supra sintetizzate eccezioni pregiudiziali e preliminari della FIGC, come ognuno potrà
apprezzare dalla lettura della decisione n. 1/2009 dell’Alta Corte, detto Organo di Giustizia si è dichiarato
competente a conoscere la controversia sottopostagli dalla Juventus FC.
Tuttavia, le argomentazioni esplicitate dall’Alta Corte a sostegno della propria competenza, a modesto
avviso di chi scrive, non consentono all’interprete di avere chiarezza sull’effettiva e concreta portata della
riforma della giustizia sportiva meglio enucleata sub § 1.
14
Eccezion fatta perché, in quella sede, si affrontava, altresì, la questione della applicabilità dell’art. 30 terzo comma, ultimo inciso
lett. c) Statuto FIGC alla sanzione dell’obbligo di disputare alcune partite NON a porte chiuse, ma con alcuni settori inibiti al
pubblico. Per la consultazione integrale di detto Lodo, avente ad oggetto la sanzione comminata, con CU 54/2008 dal GS presso la
LNP alla società partenopea dell’obbligo di disputare fino al 31 ottobre tutte le gare con i settori denominati “CURVA A” e “CURVA
B” inibiti agli spettatori, si rimanda a http://coni.it/fileadmin/arbitrato/275_A_2.pdf. In tale sede, invero, si affrontava principalmente,
veniva affrontata la questione interpretativa dell’art. 30
98
NOTE A SENTENZA
La Giurisdizione dell’alta Corte di Giustizia del CONI...
Invero, stante il disposto di cui all’art. 12 bis comma 2 dello Statuto del CONI, in forza del quale
“Il principio di diritto posto a base della decisione dell’Alta Corte che definisce la controversia
deve essere tenuto in massimo conto da tutti gli organi di giustizia sportiva”, può oggi affermarsi
soltanto che:
Detto organo di giustizia, in via di principio, si riterrà competente a conoscere, quale ultimo
grado di giurisdizione sportiva ed a livello esofederale, ogni controversia avente ad oggetto
l’obbligo di disputare una partita (ovvero, a fortiori, più partite) a porte chiuse, essendo questa una
sanzione di significativa rilevanza15;
dovranno necessariamente rimanere confinate a livello endofederale, poiché sottratte alla
competenza dell’Alta Corte, solo le questioni espressamente previste dall’art. 3 comma 1 Codice
TNAS (concernenti sanzioni pecuniarie di importo inferiore a diecimila euro o sospensioni di durata
inferiore a centoventi giorni continuativi) nonché quelle “di carattere non pecuniario né interdittivo
di modesto effetto afflittivo” come le diffide, le ammonizioni e misure similari.
La previsione di cui all’art. 30 Statuto FIGC non ha alcuna valenza limitativa delle
competenze riconosciute a livello esofederale all’Alta Corte;
L’Alta Corte potrà occuparsi non solo di diritti indisponibili (compresi in quest’ultima
categoria, gli interessi legittimi), ma anche di quelli disponibili, ove manchi l’accordo delle parti
alla devoluzione arbitrale della sottostante questione.
Ebbene, quelle appena enucleate, ad avviso di chi scrive, sono le uniche certezze desumibili
dalla decisione qui annotata: essa, in particolare, non chiarisce – e non v’è chi non veda che
l’occasione poteva essere quella più propizia per affrontare in generale la relativa tematica – quali
siano i parametri in forza dei quali poter riconoscere, o meno, ad una determinata questione la
caratteristica della “significativa rilevanza per l’ordinamento sportivo nazionale”.
Ai posteri l’ardua sentenza.
(*) Avvocato del foro di Bologna, esperta di diritto sportivo.
15
Secondo la Corte, infatti, “Le pesanti incidenze economiche (pur se riflesse) che si riconnettono allo svolgimento di una
competizione senza presenza di pubblico (e vendita dei biglietti); la particolare ostensibilità della sanzione per le modalità della sua
esecuzione (con conseguente caduta d’immagine della società, della squadra e della sua tifoseria); ancora, l’effetto incisivamente
afflittivo dello svolgimento della partita nel silenzio degli spalti, privando così la squadra dei suoi tifosi e questi ultimi della
possibilità di sostenere la squadra, sono dati che, tutti insieme, concorrono a far ritenere che la sanzione oggetto della presente
controversia non sia, in via di principio, sottratta alla cognizione dei due nuovi organi di giustizia sportiva.”
99
NOTE A SENTENZA
Doppio tesseramento di calciatore...
STAGIONE SPORTIVA 2008/2009
COMUNICATO UFFICIALE N. 88/CDN DEL 07 MAGGIO 2009
DELIBERA DELLA COMMISSIONE DISCIPLINARE
NAZIONALE DELLA F.I.G.C.
La Commissione disciplinare nazionale, costituita dal dott. Sabino Luce, Presidente; dall’avv.
Valentino Fedeli, dall’avv. Alessandro Levanti, Componenti; dal sig. Claudio Cresta, Segretario,
con la collaborazione del sig. Nicola Terra, si è riunita il giorno 7 maggio 2009 e ha assunto le
seguenti decisioni:
APPELLO DELLA PROCURA FEDERALE
AVVERSO L’INCONGRUITA’ DELLA SANZIONE
INFLITTA ALLA SOCIETA’ FC SAN MARCO (ammenda di € 1.000,00)
A SEGUITO DI PROPRIO DEFERIMENTO
(delibera CD Territoriale presso il CR Calabria CU n. 121 del 31.3.2009)
Le società ASC D Jordan Aufugum, Polisposportiva Audace San Marco, Polisportiva Nuova
S. Nicola Arcella, A.S. Spezzano Albanese, partecipanti al campionato regionale Calabria di prima
categoria, con atto datato 3 dicembre 2008 denunciavano al Presidente del Comitato Regionale
Calabria che la società FC San Marco aveva utilizzato nelle prime otto gare di campionato della
stagione in corso il calciatore Daniele L. che risultava tesserato per altra società.
La Procura federale, investita del caso, accertava che in effetti la società FC San Marco il 29
agosto 2008 aveva inviato all’ufficio competente la richiesta di aggiornamento posizione di
tesseramento del calciatore Daniele L. che non veniva accolta in quanto tale calciatore risultava già
tesserato per altra società.
Il mancato tesseramento era portato a conoscenza della società interessata con lettera 17
novembre 2008 dell’Ufficio tesseramento del Comitato Regionale Calabria.
L’organo inquirente accertava altresì che il calciatore aveva partecipato in posizione irregolare
ad otto gare di Campionato, disputate tutte in epoca precedente la comunicazione dell’Ufficio.
100
NOTE A SENTENZA
Doppio tesseramento di calciatore...
La Procura federale con atto datato 2 febbraio 2009 deferiva alla Commissione Disciplinare
Territoriale presso il Comitato Regionale Calabria il calciatore Daniele L. (violazione artt. 1 comma
1 CGS; 40 comma 4 NOIF; 10 commi 2 e 6 CGS); il sig. Stefano M. ed il sig. Santo S., entrambi
co-presidenti della società F.C. San Marco; i sigg.ri Bruno S., Pasquale P., Andrea R., quali dirigenti
della società FC San Marco (per tutti, violazione artt. 1 comma 1 CGS; 40 comma 4 NOIF; 10
commi 2 e 6 CGS); la società FC San Marco (responsabilità diretta ed oggettiva ai sensi dell’art. 4
commi 1 e 2 CGS in relazione all’art. 1 comma 5 CGS).
Veniva più in particolare contestato: al L. di aver sottoscritto la richiesta di tesseramento per
la società FC San Marco mentre era tesserato per altra società e di aver partecipato in posizione
irregolare ad otto gare di campionato della società FC San Marco; al M. di aver sottoscritto la
richiesta di tesseramento del L. senza aver effettuato con la necessaria diligenza le opportune
verifiche e per aver consentito che il calciatore partecipasse alle otto gare di campionato di cui sopra
in posizione irregolare; a S., S., P. e R. per aver sottoscritto le distinte delle otto gare alle quali
aveva partecipato il calciatore L. e per aver dichiarato con tale sottoscrizione che i calciatori indicati
in ciascuna distinta, quindi anche il L., erano regolarmente tesserati e partecipavano alla gara sotto
la responsabilità della società di appartenenza (S. una distinta; S. quattro distinte; P. una distinta; R.
due distinte).
Innanzi la Commissione disciplinare Territoriale, la Procura Federale, all’udienza di
discussione del deferimento, chiedeva che fossero comminate le seguenti sanzioni: per il L. mesi
quattro di squalifica; per il M. mesi sei di inibizione; per lo S. mesi tre di inibizione; per il S. mesi
quattro di inibizione; per il P. ed il R. mesi tre di inibizione; per la società F.C. San Marco 8 (otto)
punti di penalizzazione in classifica ed € 1.000,00 di ammenda.
Si costituivano nel procedimento i deferiti, i quali chiedevano il proscioglimento.
La Commissione Disciplinare Territoriale, con decisione pubblicata il 31 marzo 2009,
irrogava al L. la squalifica sino al 30 ottobre 2009; al M. la inibizione sino al 30 settembre 2009; a
S., S., P. e R. la inibizione sino al 30 giugno 2009; alla società FC San Marco l’ammenda di €
1.000,00.
Avverso tale decisione propone ricorso la Procura federale per la modifica della statuizione di
primo grado limitatamente alla mancata applicazione della penalizzazione dei punti in classifica.
101
NOTE A SENTENZA
Doppio tesseramento di calciatore...
Deduce la ricorrente che il giudice di primo grado avrebbe mancato di considerare il disposto
dell’art. 10 comma 8 parte seconda CGS, che, nel caso in cui venga accertata la responsabilità
diretta della società, prevede chiaramente e senza possibilità di diversa interpretazione
l’applicazione delle sanzioni di cui alle lettere g, h, i dell’art. 18 comma 1 CGS, tra le quali la
penalizzazione di uno o più punti in classifica (lett. g).
Resiste al ricorso la società FC San Marco, la quale, con memoria scritta spedita a mezzo
raccomandata il 14 aprile 2009, eccepisce l’improcedibilità e la inammissibilità del ricorso per
violazione degli artt. 34 comma 7 e 35 comma 4.1 CGS; deduce la congruità della
sanzione applicata dalla Commissione Disciplinare Territoriale e, comunque, la mancata
violazione da parte della resistente dell’art. 40 comma 4 NOIF; conclude per l’accoglimento delle
dispiegate eccezioni e, nel merito, per il rigetto del gravame e, più gradatamente, soccorrendo
l’ipotesi di accoglimento del ricorso, per l’applicazione del minimo della pena.
All’udienza odierna sono comparse le parti, le quali si sono riportate alle rispettive
conclusioni.
Occorre preliminarmente esaminare le eccezioni preliminari e pregiudiziali sollevate dalla
società FC San Marco nonchè dalla Procura federale.
Su tutte le eccezioni sollevate questa Commissione, a scioglimento della riserva, ha deciso
come da separata ordinanza letta alle parti ed allegata al verbale di udienza.
Nel merito il ricorso è fondato.
Costituisce orientamento consolidato di questa Commissione che ai sensi dell’art. 10 comma
6 ultimo inciso CGS, qualora alle competizioni sportive partecipano calciatori sotto falso nome o
che comunque non hanno titolo per prendervi parte, a società, dirigenti e tesserati si applicano le
sanzioni di cui ai successivi commi 8 e 9.
Per il comma 8 dell’art. 10 CGS, se, come nel caso in esame, viene accertata la responsabilità
diretta della società, il fatto è punito, a seconda della gravità, con le sanzioni delle lettere g)
(penalizzazione di uno o più punti in classifica), h) (retrocessione all’ultimo posto in classifica), i)
(esclusione dal campionato) dell’art. 18 comma 1 CGS.
La motivazione della decisione impugnata appare dunque errata nella parte in cui, mossa
dall’esigenza di graduare la pena in base all’elemento soggettivo della violazione, finisce per
eludere la norma, mancando di applicare la sanzione della penalizzazione dei punti in classifica, in
essa prevista.
102
NOTE A SENTENZA
Doppio tesseramento di calciatore...
La sanzione difatti è suscettibile di essere graduata, ma nell’ambito delle pene delle lettere g),
h), i) comma 1 art. 18 CGS, da applicarsi secondo il prudente apprezzamento dell’organo giudicante
in relazione alla maggiore o minore gravità della violazione, senza quindi ricorrere, per i punti di
penalizzazione in classifica, al criterio dell’automatismo.
Tale criterio, peraltro, è previsto dall’art. 17 comma 8 CGS con riferimento alle sanzioni
inerenti alla disputa delle gare, la cui fattispecie è estranea al caso su cui si controverte.
Si ritiene equo sanzionare la società FC San Marco con la penalizzazione di quattro punti in
classifica, da scontarsi nella stagione in corso.
P.Q.M.
accoglie il ricorso e, per l’effetto, a parziale modifica della decisione impugnata, commina
alla società FC San Marco la penalizzazione di 4 (quattro) punti in classifica, da scontarsi nella
corrente stagione sportiva 2008/2009. Conferma nel resto la decisione impugnata.
103
NOTE A SENTENZA
Doppio tesseramento di calciatore...
DOPPIO TESSERAMENTO DI CALCIATORE:
PROBLEMATICHE CONNESSE ALLA FATTISPECIE DEI
TESSERAMENTI IN STAGIONI DIVERSE
di Mario Tocci (*)
Desta decisamente meraviglia la decisione assunta dalla Commissione Disciplinare
Nazionale, in riforma di altra adottata dalla Commissione Disciplinare Territoriale del Comitato
Regionale Calabria, della Federazione Italiana Giuoco Calcio ed ora in commento.
In particolare, con la decisione de qua, la Commissione Disciplinare Nazionale della FIGC
ha accolto l’appello interposto dal Procuratore Federale della FIGC avverso la decisione della
Commissione Disciplinare Territoriale del Comitato Regionale Calabria della FIGC di cui al
rispettivo Comunicato Ufficiale n. 121 del 31 marzo 2009.
Il procedimento di primo grado si era instaurato a cagione della presunta posizione
irregolare del calciatore Daniele L. per otto partite del campionati disputato dalla F. C. San Marco,
asseritamente tesserato contestualmente per altra società nella stessa stagione sportiva, violativa e
dispregiativa del disposto del comma quarto dell’articolo 40 delle Norme Organizzative Interne
Federali della FIGC e dunque dei commi sesto e ottavo dell’articolo 10 del Codice di Giustizia
Sportiva della FIGC indi dante titolo e luogo alla responsabilità diretta della Società medesima con
conseguente applicabilità delle sanzioni di cui all’articolo 18 comma primo del Codice di Giustizia
Sportiva.
Aveva invocato, in particolare, la Procura Federale della FIGC l’applicazione di otto punti di
penalizzazione in classifica.
Aveva resistito in prima istanza la F. C. San Marco onde dedurre la non sussumibilità della
condotta imputatale nella fattispecie astrattamente prevista dal disposto del comma quarto
dell’articolo 40 delle Norme Organizzative Interne Federali della FIGC.
La Commissione Disciplinare Territoriale del Comitato Regionale Calabria della FIGC –
riconosciuta la non sussumibilità della condotta imputata alla F. C. San Marco nella fattispecie
astrattamente prevista dal disposto del comma quarto dell’articolo 40 delle Norme Organizzative
Interne Federali della FIGC, indi per l’effetto accertata la responsabilità della F. C. San Marco in
ordine alla sola violazione del disposto del comma primo dell’articolo 1 e mercè corretta
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NOTE A SENTENZA
Doppio tesseramento di calciatore...
applicazione del comma primo dell’articolo 18 richiamato dal comma sesto dello stesso articolo 1
del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC – con la decisione già menzionata aveva irrogato alla
Società medesima la sola ammenda di Euro 1.000,00 (mille/00) in virtù della considerazione della
buona fede informatrice della condotta dei dirigenti nei fatti di causa.
Interponeva appello la Procura Federale della FIGC onde insistere nelle conclusioni di prima
istanza.
All’esito dell’udienza di comparizione delle parti, addì 07 maggio 2009, la Commissione
Disciplinare Nazionale accoglieva il ricorso della Procura Federale della FIGC, pur irrogando alla
F. C. San Marco la penalizzazione di quattro anziché otto punti in classifica.
La decisione appare viziata per ragioni di rito e merito.
Quanto ai profili di rito, essa appare deficitaria di motivazione in ordine alle doglianze
dedotte in via pregiudiziale e preliminare dalla difesa della Società incolpata, in violazione del
disposto del comma secondo dell’articolo 34 del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC.
Ai sensi della menzionata disposizione normativa, infatti, le decisioni degli organi di
giustizia sportiva devono essere motivate, ancorché in modo sintetico.
Nessuna traccia appare nella decisione in commento circa la risoluzione, ad opera
dell’organo giusdicente pronunciante, delle doglianze dedotte in via pregiudiziale e preliminare
dalla F. C. San Marco; lo stesso organo giusdicente pronunciante, anzi, afferma che il riepilogo
della risoluzione delle questioni medesime riposa in ordinanze lette alle parti in udienza ed allegate
al relativo verbale ma non alla decisione.
Di conseguenza, è palese l’omessa motivazione della decisione in parte qua.
Quanto ai profili di merito, è innegabile che la decisione sia scorretta allorché faccia
applicazione del disposto dell’articolo 1, comma primo, anziché di quello dell’articolo 10, comma
sesto, del Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C.
L’articolo 10, comma sesto, del Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C. punisce le
condotte relative all’esercizio dell’attività agonistica da parte di soggetti tesserati sotto falso nome
ovvero falsa attestazione di cittadinanza oppure privi di titolo abilitante.
La vicenda contenziosa sottesa alla decisione di cui si discetta ha avuto origine dal presunto
doppio tesseramento del calciatore Daniele L., di cui nella presente stagione sportiva era stato dalla
Società incolpata ritualmente richiesto il tesseramento ancorché – come successivamente emerso –
esso atleta fosse stato già tesserato in precedente stagione sportiva presso altra società.
105
NOTE A SENTENZA
Doppio tesseramento di calciatore...
Sicché, pacifico essendo che non si controvertisse delle fattispecie di tesseramento di atleta
sotto falso nome ovvero falsa attestazione di cittadinanza, bisognava verificare se il calciatore
Daniele L. avesse esercitato attività agonistica presso la Società F. C. San Marco in difetto di titolo
abilitante.
Orbene, è da negare che il calciatore Daniele L. avesse esercitato attività agonistica presso la
società F. C. San Marco in difetto di titolo abilitante.
È incontestabilmente emerso durante il giudizio di primo grado, e non è stato contraddetto
durante il giudizio di secondo grado, che in relazione al calciatore Daniele L.:
o
era stato ritualmente richiesto il tesseramento per la presente stagione sportiva presso
la società F. C. San Marco in data 29 agosto 2008;
o
l’Ufficio Tesseramenti del Comitato Regionale Calabrese della Federazione Italiana
Giuoco Calcio aveva comunicato il diniego della menzionata richiesta in data 17 novembre 2008
con nota pervenuta alla società F. C. San Marco in data 19 novembre 2008 a mezzo del servizio
postale.
Nell’intervallo intercorrente tra la richiesta di tesseramento e il riscontro negativo di essa,
allorquando ha esercitato attività agonistica presso la Società F. C. San Marco, il calciatore Daniele
L. aveva titolo abilitante per giocare le partite effettivamente disputate.
A conforto di tale argomentazione milita il disposto dell’articolo 39, comma terzo, delle
Norme Organizzative Interne Federali della Federazione Italiana Giuoco Calcio, secondo cui una
volta che sia pervenuta al competente Ufficio Tesseramenti, la richiesta di tesseramento inoltrata a
mezzo del servizio postale è efficace, salvo successive revoche.
Va ancor superiormente considerato che alcuna violazione del disposto del quarto comma
dell’articolo 40 delle Norme Organizzative Interne Federali della Federazione Italiana Giuoco
Calcio è stata posta in essere dalla Società di primo grado come correttamente statuito dalla
Commissione Disciplinare Territoriale di prima istanza.
La mentovata disposizione così recita: “Al calciatore che nella stessa stagione sportiva
sottoscrive richieste di tesseramento per più società si applicano le sanzioni previste dal Codice di
Giustizia Sportiva della Federazione Italiana Giuoco Calcio”.
Appare evidente come la norma non sia stata violata atteso che il tesseramento del calciatore
Daniele L. con l’U. S. Verbicaro era avvenuta nel 2006 e quello con la F. C. San Marco si era avuto
nel 2008 quindi non nella stessa stagione sportiva.
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NOTE A SENTENZA
Doppio tesseramento di calciatore...
Ma, seppure tutto quanto finora argomentato non fosse valido, non poteva non invocarsi la
scriminante della buona fede, disciplinata riguardo all’illecito amministrativo – qual’è l’illecito
sportivo – dall’articolo 3 della Legge 689/1981, che esclude la responsabilità in ordine all’illecito
amministrativo quando sussistano elementi positivi idonei a ingenerare nell'autore della violazione
il convincimento della liceità della sua condotta (iuxta Cass. Civ. 13610/2007).
L’ammissibilità della circostanza scriminante della buona fede nell’illecito sportivo è stata
acclarata dalla Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport del Coni nel lodo arbitrale 08
febbraio 2005 pronunciato nella controversia tra Salerno Corse S.r.l. ed ACI nonché dalla
Commissione Disciplinare Nazionale della Lega Professionisti Serie C nella sentenza di cui al
comunicato 271/C del 12 maggio 2004.
I dirigenti della società F.C. San Marco, una volta spedita all’Ufficio Tesseramenti del
Comitato Regionale Calabrese della Federazione Italiana Giuoco Calcio la richiesta di tesseramento
del calciatore Daniele L. e alla luce del silenzio serbato per oltre due mesi dal personale addetto,
hanno fatto affidamento sulla consapevolezza della incolpevole putativa liceità del proprio agire.
Da ciò doveva farsi discendere la assoluta mancanza di responsabilità diretta da parte della
F. C. San Marco.
Valga ad ulteriore riprova dell’assunto di cui sopra la circostanza dell’immediato fermo del
calciatore nelle partite svoltesi successivamente alla comunicazione di diniego di tesseramento.
La giurisprudenza è confortante sul punto.
Con decisione di cui al Comunicato Ufficiale n. 40 del 04 dicembre 2008, la Commissione
Disciplinare Nazionale della FiGC ha affermato che l’immediato fermo di un calciatore di cui venga
rigettata la richiesta di tesseramento è sintomo della buona fede dei dirigenti societari che vi
provvedano.
(*) Avvocato in Cosenza, Dottorando di ricerca in "Impresa, Stato e Mercato"
nell'Università Statale degli Studi della Calabria
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NOTE A SENTENZA
PARTE TERZA
GIURISPRUDENZA
SOMMARIO:
DELL'8
pag.109
2009,
pag.118
COMMISSIONE DISCIPLINARE NAZIONALE FIGC, C.U. N. 8/2009 DEL 14
LUGLIO 2009: ancora sulla c.d. violazione della clausola compromissoria
pag.123
CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE LAVORO, SENTENZA N. 10867 DEL 12
2009: qualificazione del rapporto di "lavoro" tra arbitro e Federazione
MAGGIO
pag.126
CORTE D'APPELLO DI TORINO, SEZ. LAVORO 28 OTT. 2008, B.P.M C/ TORINO
FC: trasferimento del titolo sportivo e trasferimento d'azienda: problematiche
pag.138
CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE FIGC A SEZIONI UNITE, C.U. N. 190
MAGGIO 2009: giudizio di primo grado di revisione nel caso Guardiola
TRIBUNALE NAZIONALE DI ARBITRATO
PAPARESTA/AIA E FIGC
DELLO
SPORT,
sottese ai rapporti di lavoro tra club e tesserati
108
LODO
1
LUGLIO
Revisione del caso Guardiola.…
FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO
CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE Sezioni Unite
COMUNICATO UFFICIALE N. 190/CGF (2008/2009)
TESTI DELLE DECISIONI RELATIVE AL COM. UFF. N. 183/CGF –
RIUNIONE DELL’ 8 MAGGIO 2009
1° Collegio composto dai Signori:
Presidente: Dott. Giancarlo CORAGGIO; Componenti: Prof. Mario SANINO, Prof. Mario
SERIO, Avv. Carlo PORCEDDU, Avv. Edilberto RICCIARDI, Avv. Maurizio GRECO, Dr. Claudio
MARCHITIELLO, Dr. Lucio MOLINARI, Dr. Antonio PATIERNO - Rappresentante A.I.A.: Dott.
Carlo BRAVI – Segretario: Dott. Antonio METITIERI.
RICORSO PER REVISIONE EX ART. 39, COMMA 2 C.G.S. DEL SIG.
GUARDIOLA SALA JOSEP AVVERSO LA REIEZIONE DEL RECLAMO PROPOSTO
AVVERSO SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER MESI 4 A FAR DATA DAL 22.11.2001 E
DELL’AMMENDA DI € 50.000,00 CON L’ULTERIORE MISURA DI CONTROLLI SENZA
PREAVVISO PER LA DURATA DI MESI 4 A DECORRERE DAL TERMINE DELLA
SQUALIFICA, INFLITTE A SEGUITO DI DEFERIMENTO DELL’UFFICIO DI
PROCURA ANTIDOPING DEL C.O.N.I.
(Delibera della Commissione d’Appello Federale – Com. Uff. n. 21/C del 9.2.2001)
Svolgimento del procedimento
Con ricorso del 21.4.2009 Josep Guardiola Sala chiedeva, ai sensi dell’art. 39, comma 2,
C.G.S., a questa Corte la revisione della pronuncia della Commissione Disciplinare presso la Lega
Nazionale Professionisti del 24.1.2002, confermata dalla Commissione d’Appello Federale il
successivo 8 febbraio, con cui gli era stata inflitta la sanzione della sospensione da qualsiasi attività
agonistica per un periodo di quattro mesi e la multa di € 50.000,00 ed era stata altresì disposta
l’ulteriore misura di controlli senza preavviso per la durata di 4 mesi a decorrere dal termine della
squalifica.
109
GIURISPRUDENZA
Revisione del caso Guardiola.…
Il ricorrente era stato dichiarato responsabile della violazione dell’art. 13 n.1, lett. b) del
Regolamento dell’Attività Antidoping per essere, mentre era tesserato per la società Brescia Calcio
S.p.A. nel corso della Stagione Sportiva 2001/2002, risultato positivo per metaboliti del
nandrolone in esito ai controlli disposti in occasione delle gare Piacenza/Brescia del 21.10.2001 e
Lazio/Brescia del 4.11.2001. La decisione era stata, come detto, confermata dalla Commissione
d’Appello Federale, la quale aveva osservato che correttamente i giudici di primo grado avevano
basato la propria pronuncia sulle risultanze tecniche e sulla esatta interpretazione dell’elemento
psicologico minimo necessario ad integrare la fattispecie di non intenzionale assunzione di sostanze
proibite.
Nel ricorso per revisione si sottolineava che lo stesso era proposto in quanto ricorrevano
congiuntamente le due condizioni previste dall’art. 39 comma 2 citato, e consistenti nella
sopravvenienza di nuove e decisive prove ai fini della dichiarazione di insussistenza di
responsabilità e nella inconciliabilità dei fatti posti a fondamento della decisione originaria con
quelli di altra decisione irrevocabile.
In particolare, il ricorrente osservava, quanto alla prima condizione, che erano state acquisite
nuove prove riferibili alla circostanza che le autorità sportive internazionali e nazionali competenti
in materia di doping avevano, aderendo a condivisi studi scientifici, sottoposto a revisione critica i
criteri vigenti al momento della commissione dei fatti in tema di rilevazione ed esame effettuato ai
fini della verifica della assunzione di sostanze vietate.
Il ricorrente deduceva, al riguardo, che, con comunicazione proveniente in data 1.10.2007
dal laboratorio Antidoping della Federazione Medico Sportiva Italiana, basata sulle indicazioni
racchiuse nella nota tecnica del 13.5.2005 della World Anti-Doping Agency (WADA), si affermava
che nel caso delle analisi condotte con riguardo ai campioni organici a lui appartenenti ricorrevano
tutte le condizioni denominate parametri complementari che avrebbero imposto l’esecuzione del
test di stabilità sui campioni rilevanti.
Nella comunicazione si sottolineava, peraltro, che tale test si sarebbe potuto utilmente
effettuare solo entro un periodo massimo di quattro-cinque settimane dal prelievo del campione,
mentre sarebbe stata del tutto inutile l’odierna effettuazione.
110
GIURISPRUDENZA
Revisione del caso Guardiola.…
Sulla base di questa circostanza il ricorrente rilevava che il mutamento dei criteri di analisi e
la ricorrenza nel caso di specie delle condizioni per la rinnovazione del test originario, legate alla
contemporanea presenza nel campione prelevato di tutti i parametri complementari di instabilità,
costituivano nuovi elementi di prova che avrebbero esplicato efficacia decisiva al fine della
dichiarazione della insussistenza della sua responsabilità.
Quanto alla seconda condizione legittimante il ricorso per revisione il ricorrente osservava
che, con sentenza del 23.10.2007, divenuta irrevocabile il 26 febbraio dell’anno successivo, la Corte
d’Appello di Brescia, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, lo aveva assolto perché
il fatto non sussiste dall’imputazione di cui all’art. 81 Codice Penale e all’art. 9 della legge 14
dicembre 2000 n. 376 “perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in qualità di atleta
del Brescia Calcio, assumeva farmaci, o sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, non
giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche e/o
biologiche dell’organismo, al fine di alterare le proprie prestazioni agonistiche”. La Corte di
Appello rilevava che, in conseguenza della nota tecnica esplicativa della WADA, che contempla
cinque parametri complementari da considerare, ai fini dell’esecuzione del test di stabilità prima che
si possa dichiarare un esito avverso delle analisi, nel caso di campioni di urine in cui, come nella
fattispecie, sia stata riscontrata la presenza del metabolita del nandrolone, l’accertamento da cui
aveva tratto origine il procedimento penale doveva ritenersi inattendibile, stante l’impossibilità di
effettuare ora per allora il test di stabilità sui campioni prelevati all’epoca.
Da tale sentenza penale, che aveva precluso la celebrazione di altro giudizio per il medesimo
fatto davanti al Tribunale di Roma, il ricorrente ricavava la conclusione che si fosse in presenza di
decisione, seppur proveniente da ordinamento diverso da quello sportivo, inconciliabile con quella
della cui revisione si tratta in quanto la pronuncia penale aveva diversamente ricostruito il profilo
fattuale della vicenda, pervenendo alla conclusione che andasse esclusa la stessa sussistenza del
fatto da cui era sorto il procedimento disciplinare sportivo.
Al fine di resistere si costituiva con memoria del 29.4.2009 l’Ufficio Procura Antidoping
istituito presso il C.O.N.I. che ne eccepiva l’infondatezza nei suoi articolati profili.
Veniva, in particolare, contestato che si considerasse prova nuova sopravvenuta la nota
informativa della WADA, tenuto conto della circostanza che non solo essa semplicemente atteneva
ad una modalità diversa di acquisizione della prova ma, riguardava circostanze che non avevano
mai costituito a suo tempo oggetto di censura o lagnanza da parte del ricorrente o del suo
consulente, che non aveva mai mosso alcun rilievo in ordine ai modi di effettuazione del controllo
111
GIURISPRUDENZA
Revisione del caso Guardiola.…
del campione organico ed alle loro caratteristiche intrinseche. Del resto, secondo la Procura
resistente, se venisse dichiarato ammissibile il ricorso in questione tutti i procedimenti definiti
secondo i precedenti riferimenti normativi, anche se ormai irrevocabili, sarebbero soggetti a
revisione.
Veniva poi contestata la sussistenza del secondo profilo invocato dal ricorrente ai fini della
revisione, in quanto mancherebbe il presupposto del contrasto tra i due giudicanti e ciò perché la
responsabilità affermata in campo sportivo conseguiva alla violazione non intenzionale della norma
di prudenza riguardante il divieto di assunzione di sostanze proibite, mentre la contestazione penale
aveva ad oggetto un reato per la cui configurazione era necessario un elemento psicologico
qualificato costituito dal dolo specifico. Si chiedeva, pertanto, la dichiarazione di inammissibilità
del ricorso.
All’udienza di discussione dell’8.5.2009 le parti illustravano oralmente le proprie difese ed
insistevano nelle rispettive conclusioni.
Motivi della decisione
La questione che in via logicamente preliminare la Corte è chiamata ad affrontare, riguarda
la ammissibilità del ricorso per revisione, peraltro contestata dalla Procura Antidoping resistente.
Il ricorrente ha dedotto due dei profili che l’art. 39, comma 2, C.G.S. pone a fondamento
della pronuncia caducatoria di una decisione irrevocabile adottata dagli Organi di Giustizia Sportiva
federali.
In particolare, viene osservato che sarebbero sopravvenute nuove prove che, sole o unite a
quelle già valutate, dimostrerebbero che il condannato avrebbe dovuto essere prosciolto nonché si
afferma la inconciliabilità dei fatti posti a fondamento della decisione con quelli di altra decisione
irrevocabile.
Come illustrato nella parte espositiva, le condizioni afferenti al primo profilo dovrebbero,
secondo il ricorrente, ravvisarsi nella adesione prestata dall’organismo mondiale antidoping alle
nuove opinioni espresse dalla comunità scientifica circa i metodi di analisi applicabili a campioni
che presentino una serie congiunta di parametri identificativi, tutti in concreto posseduti da quello
che costituì oggetto del procedimento conclusosi con pronuncia irrevocabile di condanna.
112
GIURISPRUDENZA
Revisione del caso Guardiola.…
L’inconciliabilità con altra decisione irrevocabile andrebbe colta in ciò che il procedimento
penale che ha tratto origine dalla medesima condotta, fenomenicamente intesa, su cui si è
pronunciato il Giudice Sportivo, si è concluso con sentenza irrevocabile di assoluzione perché il
fatto non sussiste, proprio alla stregua delle nuove acquisizioni scientifiche.
Ciò premesso, il Collegio rileva che l’esame in questione deve essere condotto attraverso la
esegesi della norma di cui al comma 2 dell’art. 39 citato, la cui formulazione, per ciò che attiene
all’impulso di cui il procedimento necessita ed alla ripartizione degli oneri di giudizio tra la parte ed
il giudice, sembra aver bisogno di alcune precisazioni integrative, in omaggio al compito
nomofilattico riservato a questa Corte a Sezioni Unite dal vigente ordinamento federale, che dai
suoi orientamenti riceve i criteri direttivi in materia di Giustizia Sportiva.
In primo luogo, è da porre nel debito conto che il procedimento di revisione non può perdere
la propria caratteristica di promuovimento su istanza della parte interessata per il solo fatto che la
norma si esprima affermando che “la Corte di Giustizia Federale può disporre la revisione…”. Ed
invero la disposizione può solo spiegarsi attribuendo al legislatore la volontà di affidare alla Corte
stessa il previo compito, che in questa sede motivazionale si sta assolvendo, di verificare
l’ammissibilità del ricorso per revisione: e ciò in quanto manca per il procedimento in esame una
disposizione corrispondente a quella posta dal comma 4, del medesimo art. 39 in materia di
revocazione, allorché si stabilisce che “l’organo investito della revocazione si pronuncia
pregiudizialmente sull’ammissibilità del ricorso per revocazione”.
Ciò equivale a dire che la struttura del procedimento di revisione desumibile dall’art. 39
C.G.S. contempla il doppio momento, comune a quello per revocazione, della ammissibilità
e, quello ulteriore e successivo, della rescindibilità e possibile sostituibilità della pronuncia della cui
rimozione si tratta.
E’ ancora da considerare che le condizioni astrattamente legittimanti la proposizione del
ricorso per revisione possono ricorrere in via alternativa, senza che questo escluda la possibilità, che
il ricorrente adombra nel caso di specie, di una loro concorrenza.
Nell’ipotesi di concorrente deduzione di più condizioni tra quelle enunciate dal comma 2,
spetterà a questa Corte, ove il ricorso stesso valichi lo scrutinio di ammissibilità, individuare quella
che esibisca una attitudine assorbente ai fini della possibile caducazione della pronuncia.
E tale giudizio dovrà essere espresso avuto riguardo alla maggior capacità della condizione
in concreto dedotta di privare di base fondante la pronuncia della cui revisione si tratta.
113
GIURISPRUDENZA
Revisione del caso Guardiola.…
E’, infine, da mettere in rilievo che la struttura letterale e la stessa impostazione finalistica
della norma federale ricalcano quelle che il codice di procedura penale disciplina all’art. 630: è,
allora, inevitabile che la norma processualpenalistica costituisca lo sfondo di riferimento anche per
il giudizio sportivo, non ravvisandosi ragioni per affermare una applicazione derogatoria, attesa la
sostanziale identità delle condizioni al cui ricorso è subordinato l’utile esperimento del rimedio.
Ed invero, le ipotesi di cui alle lett. a), c), e d) dell’art. 630 C.P.P. descrivono le medesime
ipotesi recepite dal comma 2 dell’art. 39 C.G.S., riferendosi rispettivamente al caso di
inconciliabilità dei fatti stabiliti a fondamento della pronuncia soggetta a revisione con quelli
stabiliti in altre sentenze irrevocabili promananti dal plesso giurisdizionale ordinario o speciale, al
caso di sopravvenienza di nuove prove risolutive e, infine, all’accertamento della dipendenza della
condanna dalla dimostrata falsità in atti o in giudizio.
L’ulteriore corollario di questa armoniosa convivenza tra i due sistemi normativi quanto
all’ipotesi in esame è che possono certamente costituire utili, se non addirittura imprescindibili,
criteri ermeneutici quelli elaborati nel tempo e con costanza di caratteri dalla giurisprudenza penale
di legittimità in punto di determinazione della ammissibilità dei ricorsi per revisione.
A questo riguardo deve subito aversi riguardo alla nozione di “prove nuove”, così ponendo
le premesse per delibare l’ammissibilità del ricorso in esame.
Circola, ormai in forma accreditata e condivisa, l’idea che, ai fini dell’ammissibilità della
richiesta di revisione, vadano qualificate “prove nuove” quelle che, pur incidendo su un tema già
divenuto oggetto di indagine nel corso della cognizione ordinaria, siano fondate su tecniche diverse
e innovative, tali da fornire risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili:
così si è da ultimo espressa la Cassazione penale con sentenza 26637 del 28.5.2008, che si colloca
in linea di continuità con conformi precedenti che datano alla sentenza della stessa Corte 1976 del
1997, a partire dalla quale si è definitivamente superato il contrario e sparuto indirizzo inaugurato
sotto la vigenza dell’attuale codice di procedura penale con la sentenza 3444 del 1992.
Nel medesimo senso si è ritenuto che la valutazione di ammissibilità debba intendersi estesa
anche ad elementi di prova di cui rilevi solo l’esistenza e la persuasività e non il procedimento, o le
forme della loro avvenuta acquisizione.
Grazie a questi orientamenti, che consolidano l’idea che nel giudizio di revisione il giudice
debba verificare l’attitudine dimostrativa delle nuove prove, congiuntamente alle prove del
precedente giudizio, rispetto al risultato finale del proscioglimento, (Cass. Pen. 17.6.2008, n.
29486) hanno potuto trovare decisivo ingresso quali elementi capaci di dirimere a favore
114
GIURISPRUDENZA
Revisione del caso Guardiola.…
dell’imputato i dubbi sulla propria responsabilità nuovi e diffusi metodi di indagine tecnica, quali
quelli ematochimici o idonei a far risaltare particolari caratteristiche genetiche.
Quanto al profilo della inconciliabilità tra giudicati la Corte di Cassazione ha ribadito nel
tempo che le situazioni di contrasto non sono definibili in numero chiuso e possono essere le più
varie, in modo da denunciare, rispetto alla sentenza di condanna, una diversa realtà fattuale,
irrevocabilmente accertata in altra sentenza ed idonea a scagionare il condannato (Cass. Pen.
7.2.2006 n. 10916).
Alla luce dei riferiti indirizzi giurisprudenziali, dai quali queste Sezioni Unite non hanno
alcun motivo di discostarsi, la Corte ritiene che il ricorso sia ammissibile sotto ciascuno dei profili
dedotti, che in effetti si combinano tra loro quanto alla loro attitudine dimostrativa della
sopravvenienza nella scienza tossicologica di nuove modalità di valutazione dei campioni organici,
la cui mancata adozione comprometterebbe senza scampo l’attendibilità di un eventuale giudizio di
positività.
Ed invero, il mutamento, o più esattamente l’affinamento delle conoscenze scientifiche in
materia di cosiddetti parametri complementari, consentono di affermare che ognuno di essi, come
autorevolmente ed obiettivamente riconosciuto dal direttore del laboratorio Antidoping del
C.O.N.I., era rintracciabile nei campioni organici del ricorrente esaminati in passato.
Tale incontroversa circostanza avrebbe dovuto imporre, alla luce del nuovo grado di
conoscenze scientifiche, una rinnovazione dell’esame, al fine di allontanare il rischio della
instabilità del campione organico che avrebbe, altrimenti, viziato la attendibilità del test di
positività.
Ora, è certo che tale prospettazione, peraltro suffragata dagli elementi scientifici indicati già
nella parte espositiva, si candidi a costituire di per sé elemento idoneo a revocare in dubbio il
fondamento della precedente condanna, riguardata sotto l’aspetto della persuasività delle prove già
acquisite. Come tale la prospettazione stessa si rivela atta ad integrare, sotto l’angolo visuale della
ammissibilità, il primo dei profili legittimanti, ai sensi del comma 2 più volte citato, la richiesta di
revisione.
Altrettanto è da dirsi in relazione al profilo della inconciliabilità tra giudicati.
Ed invero, va subito chiarito che la lettera e lo spirito della norma federale, che
genericamente riferiscono l’inconciliabilità a qualsiasi “altra decisione irrevocabile”, depongono nel
senso che sarebbe arbitrario circoscrivere la disarmonia tra pronunce al solo ambito endosportivo,
rinunciando così alla necessaria apertura di una finestra di confronto con il mondo dell’ordinamento
115
GIURISPRUDENZA
Revisione del caso Guardiola.…
di diritto comune chiamato a disciplinare, sia pur applicando il proprio diverso ordine normativo, le
medesime condotte umane rilevanti nell’ordinamento federale.
Questa osservazione implica che, contrariamente a quanto eccepito dalla Procura resistente,
non è d’ostacolo alla rilevanza della denunciata disarmonia il fatto che siano diverse le fattispecie
incriminatrici previste dall’ordinamento sportivo e da quello penale, una volta che ci si trovi in
presenza della medesima condotta umana (assunzione di sostanze non consentite) e della relativa
valutazione attraverso gli identici metodi di indagine (quelli effettuati in sede sportiva al termine
delle due gare che qui rilevano).
Ed inoltre, giova alla causa dell’ammissibilità del ricorso sotto il profilo in esame l’esito
incontestabilmente assolutorio del procedimento penale, di cui congruamente il ricorrente ha
utilizzato la delineazione di una diversa realtà fattuale, costituita dalla inattendibilità delle
precedenti indagini e l’insuperabile grado di fallacia derivante dalla loro mancata rinnovazione in
presenza dei parametri complementari che avrebbero dovuto far qualificare come instabile il
campione organico esaminato.
Così dichiarata l’ammissibilità del ricorso è agevole conseguenzialmente giudicarne, nella
direzione rescissoria perseguita dal ricorrente, la fondatezza, consegnata alla ricorrenza di
sufficienti condizioni dimostrative che l’originario incolpato non avrebbe potuto essere
ragionevolmente dichiarato responsabile della violazione ascrittagli.
Di ciò è agevole rendersi conto, se si considera che le nuove acquisizioni scientifiche,
imprescindibili ai fini dell’espressione del giudizio tecnico destinato ad integrare la norma
disciplinare in bianco prevista in ambito federale, portano alla serena conclusione che non si
sarebbe potuta dichiarare attendibile la valutazione di positività del test, non essendosi
preventivamente proceduto all’attesa della stabilizzazione del campione che presentava
caratteristiche tali da giustificarne una simile qualificazione e alla susseguente rinnovazione
dell’analisi. Su questo aspetto sono inequivocabili le parole dei cultori della materia poi trasfuse
nelle direttive del WADA, poi fatte proprie dal direttore del laboratorio Antidoping del C.O.N.I..
La doppia omissione in parola si tradusse, cioè, nella preclusione di qualsiasi attendibilità
alla precedente valutazione scientifica, su cui poggiò interamente la condanna della cui revisione si
tratta.
116
GIURISPRUDENZA
Revisione del caso Guardiola.…
D’altro canto, corrobora la fondatezza del ricorso anche la circostanza che la diffusamente
illustrata nuova evidenza scientifica fu integralmente trasferita sul piano del giudizio penale, che
assolse l’odierno ricorrente per insussistenza del fatto in base alla rilevazione storica della mancata
adozione delle necessarie tecniche di indagine.
Non è, pertanto, rilevante in questa sede la valutazione giuridica della condotta umana
ascritta in sede penale al ricorrente, quanto l’accertamento storico connesso ai modi di rilevazione
scientifica della stessa: e tale accertamento, nel senso prima indicato, ovviamente non può che
vincolare, anche in sede di rinvio, gli Organi di Giustizia Sportiva.
Da questo punto di vista non solo entrambi i profili di ricorso si rivelano autonomamente
considerati ammissibili e fondati ma rivelano anche il carattere della loro perfetta convergenza
verso l’esito assolutorio, muovendo entrambi dalla avvenuta rideterminazione della realtà fattuale
che ha dato luogo all’odierna controversia.
In conclusione, il ricorso produce, in dipendenza della sua descritta fondatezza, l’effetto
rescissorio consistente nella eliminazione della precedente pronuncia di condanna e nella sua
sostituzione, nel mondo dei fenomeni giuridici attratti nella sfera di competenza della Giustizia
Sportiva, con quella di completo proscioglimento.
Per questi motivi la C.G.F, dichiara ammissibile il ricorso per revisione ex art. 39 C.G.S.
come sopra proposto dal Sig. Guardiola Sala Josep, lo accoglie e, per l’effetto, lo assolve
dall’incolpazione ascritta.
Dispone restituirsi la tassa reclamo.
117
GIURISPRUDENZA
Paparesta/AIA e FIGC.…
Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport
IL COLLEGIO ARBITRALE
composto dai signori Prof. avv. Domenico La Medica Presidente Prof. avv. Angelo Piazza
Arbitro Prof. avv. Ferruccio Auletta Arbitro nominato ai sensi del Codice dei giudizi innanzi al
Tribunale Nazionale di Arbitrato lo Sport, con sede in Roma, ha deliberato il seguente
LODO
nel procedimento di arbitrato (prot. n. 0473 del 20.3.2009)
promosso da:
Dr Gianluca Paparesta, rapp.to e difeso dall’Avv.to Gianluigi Pellegrino, ed
elettivamente domiciliato presso lo studio di questo, in Roma, corso Rinascimento n.
attore
contro
Associazione Italiana Arbitri - AIA, in persona del legale rapp.te p.t., Marcello Nicchi,
rappresentata e difesa dagli Avv.ti Luigi Medugno e Mario Gallavotti, ed elettivamente domiciliata
presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Po n. 9
convenuta
e nei confronti di
Federazione Italiana Giuoco Calcio - FIGC, in persona del legale rapp.te p.t., dr Giancarlo
Abete, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli, ed elettivamente
domiciliata presso lo studio di questi, in Roma, via Panama n. 58
altra convenuta
FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO
In data 4 luglio 2008 il Comitato Nazionale dell’A.I.A. ha approvato all’ unanimità la
relazione di fine stagione della Commissione arbitri per i campionati nazionali di serie A e B
(C.A.N.) e le relative proposte dei nuovi ruoli arbitrali di specifica competenza, disponendo la
dismissione, per normale avvicendamento tecnico, tra gli altri, dell’associato arbitro effettivo
Gianluca Paparesta.
118
GIURISPRUDENZA
Paparesta/AIA e FIGC.…
Gianluca Paparesta, ritenendo la determinazione dell’A.I.A. caratterizzata da illegittimità, ha
proposto istanza di arbitrato chiedendo alla Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport del
C.O.N.I. di «dichiarare illegittima, annullandola e comunque privandola di efficacia, per come
adottata, la dismissione dai ruoli C.A.N. dell’istante con ogni determinazione consequenziale».
L’A.I.A., convenuta insieme alla F.I.G.C., contestava la domanda osservando che l’
avvicendamento dell’istante dai ruoli della C.A.N. era derivato da una scelta tecnica legittimamente
compiuta dagli organi a cui la normativa federale assegna il compito di formare gli organici arbitrali
e organizzare l’attività dell’associazione. Si sarebbe trattato, pertanto, secondo l’A.I.A., di una
scelta tecnico-organizzativa, come tale sottratta al sindacato arbitrale.
Costituito il Collegio, questo riteneva la controversia arbitrabile a norma dell’art. 30, comma
3, Statuto F.I.G.C., stante che «gli arbitri sono tesserati della F.I.G.C. e associati dell’A.I.A.» (art.
38 Reg. A.I.A.) onde «più di due parti s[o]no vincolate dalla stessa convenzione di arbitrato» e, in
concreto, la controversia risultava promossa nei confronti di A.I.A. e di F.I.G.C.
Il Collegio, quindi, ne esaminava il merito al fine di «accertare la legittimità o meno del
potere esercitato dall’A.I.A. nei confronti di G. Paparesta». E ne concludeva nel senso che «le
caratteristiche dell’avvicendamento […] esclud[evano] che tratta[va]si, in particolare quanto a G.
Paparesta, di determinazione organica non conforme al dovere di lealtà e buona fede nell’ attuazione
del rapporto associativo», «la determinazione sub judice appare[ndo] connotata dalla piena
rispondenza alle regole, oltre che di competenza, di ragionevolezza, proporzionalità, coerenza,
compiutezza informativa e paritario trattamento, onde alcun vizio di sviamento finalistico del potere
attribuito all’organo che ne [era stato] autore [poteva] rilevarsi».
Il Collegio, definitivamente pronunciando in data 13 ottobre 2008, provvedeva a «rigetta[re]
le domande proposte dal dr Gianluca Paparesta».
Il dr G. Paparesta ha impugnato il lodo avanti il T.A.R. del Lazio, domandandone
l’annullamento e, con questo, l’anticipazione in via di urgenza dei pertinenti effetti.
Il G.A., come dichiara il dr G. Paparesta, «con ordinanza 6016/08 ha accolto la relativa
istanza cautelare», e «la decisione cautelare è stata confermata dal Consiglio che ha rigettato
l’appello di AIA e FIGC, con ordinanza VI sez. n. 559/09»: su tali premesse (testualmente riprese
da pg. 14 della «istanza di arbitrato» n. 473 del 20 marzo 2009 da cui muove la presente decisione)
è intervenuta da parte dell’A.I.A., in data 18 febbraio 2009, la nuova delibera «con la quale il
Comitato Nazionale ha approvato la proposta dell’organo tecnico di confermare l’avvicendamento
del Paparesta» (pg. 1), considerando che il vizio del procedimento rilevato (in sede di delibazione
119
GIURISPRUDENZA
Paparesta/AIA e FIGC.…
sommaria) dal G.A. era stato quello di avere «il Comitato Nazionale […] provveduto invece in
assenza di proposta, tale non potendosi qualificare la generica richiesta di valutazione
dell’opportunità di riduzione dell’organico».
Sennonchè, il dr G. Paparesta viene ora censurando altresì la delibera assunta in
adempimento del dovere di conformarsi al provvedimento giurisdizionale poiché l’A.I.A. -egli
assume- «si è limitata a proporre la conferma dell’illegittimo avvicendamento» (pg. 2), così che
«ancora una volta la valutazione tecnica [è] stata inammissibilmente negata con assunzione di
nuova odiosa determinazione» (pg. 3).
Dunque, G. Paparesta -benchè nel dichiarato «convincimento dell’istante che il nuovo atto
ora intervenuto possa essere portato anche direttamente innanzi al giudice investito della questione
(il giudice amministrativo)»- ha proposto domanda di arbitrato onde consentire che l’adito
Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport «voglia dichiarare invalido perché illegittimo
l’avvicendamento per come disposto».
Hanno resistito l’A.I.A. e la F.I.G.C., entrambe concludendo in via preliminare per
l’inammissibilità della domanda di arbitrato, quindi per il rigetto di essa nel merito, assumendo in
limine litis che le sopravvenute determinazioni appaiono come atti «inidonei a provocare
l’insorgenza di un’autonoma vertenza» -vertenza «che è già stata interamente scrutinata e definita
nei suoi aspetti di merito»- e sopra i quali un giudizio di «rispondenza agli obblighi conformativi
dell’attività svolta in sede di esecuzione del decisum cautelare» non trova sede diversa da quella del
G.A.
Costituitosi il Collegio in epigrafe a norma dell’art. 6, comma 3, del Codice per i giudizi
avanti al T.N.A.S., le parti, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione alla udienza tenutasi in
data 4 giugno 2009, hanno -concordandovi gli Arbitri- proceduto seduta stante nella discussione a
norma dell’art. 21, comma 2. Le parti hanno pure convenuto di prorogare al 10 agosto 2009 il
termine di pronuncia del lodo, autorizzando la pubblicazione anticipata del dispositivo.
Riunito in conferenza personale degli arbitri, il Collegio ha deliberato all’unanimità la
decisione per i seguenti
MOTIVI
La domanda di arbitrato, avanzata ai sensi dell’art.30, comma 3, dello Statuto della F.I.G.C.,
non è ammissibile.
120
GIURISPRUDENZA
Paparesta/AIA e FIGC.…
La delibera presa in data 18 febbraio 2009 dall’A.I.A. in funzione di adeguamento all’
ordinanza cautelare del Tar per il Lazio–sez. III ter, assunta in data 18 dicembre 2008 nel corso del
giudizio di impugnazione del lodo contrattuale inter partes del 13 ottobre 2008, fa sì che nella
fattispecie si controverta, adesso, di sola «esecuzione dell’ordinanza cautelare» del Giudice
amministrativo, e ciò sia alla luce delle prospettazioni contenute nella domanda che delle difese
delle parti convenute.
Le relative questioni devono trovare la loro sede di decisione nel corso del giudizio
amministrativo.
Invero, ai sensi del novellato art. 21, penultimo comma, L. n. 1034/1971, è esperibile
giudizio di ottemperanza con specifico riferimento ai provvedimenti cautelari emessi dal Giudice
amministrativo. Qualsivoglia contestazione che intenda censurare la suddetta delibera assunta dall’
A.I.A., in adempimento del dovere di conformarsi all’ordinanza emessa dal T.A.R. Lazio, deve,
quindi, ritenersi inerente allo stesso Tribunale Amministrativo e al pertinente potere di
«ottemperanza», cioè di disporre «le opportune disposizioni attuative», secondo un principio di
immedesimazione del giudice dell’attuazione nell’autore del provvedimento cautelare attuando (art.
669 duodecies c.p.c.): autore che, giusta l’art. 818 c.p.c., non può in linea di principio identificarsi
negli arbitri.
Del resto, l’art. 21, penultimo comma, L. n. 1034/1971, codificando il principio di piena
effettività della tutela cautelare concede al Giudice amministrativo il potere di decidere nel merito,
per verificare quali siano le misure più idonee al fine di garantire la tutela interinale della situazione
soggettiva lesa. E tale competenza si intende attribuita con specifico riferimento sia ai casi di
mancato adempimento, sia ai casi in cui l’inottemperanza al contenuto conformativo dell’ordinanza
sia da ritenersi soltanto parziale.
Peraltro, la possibilità di immediata adizione del G.A., pur nella progressione della
«sequenza procedimentale» (cfr. Tar Liguria - Genova, I, 15 gennaio 2009, n. 66) realizzatasi con la
delibera dell’A.I.A. del 18 febbraio 2009, non è revocata in dubbio neppure dalla parte istante, che,
per il controllo giudiziale della attività di conformazione al dictum cautelare, potrà quindi ancora
riferirsi al medesimo G.A., l’unico capace di conoscere, allo stato, della controversia tra le parti,
anche quando la delibera dell’ A.I.A. del 18 febbraio 2009 fosse da identificare come uno di quegli
atti «adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti»; invero, «l’istituto dei motivi aggiunti si
addice anche al caso di riesercizio del potere amministrativo stimolato da una statuizione cautelare
121
GIURISPRUDENZA
Paparesta/AIA e FIGC.…
del giudice» (Tar Calabria – Reggio c., 19 settembre 2003, n. 1155, in Foro amm. – Tar, 2003,
2751).
La assoluta novità e singolarità delle questioni trattate giustifica la sopportazione delle spese
del procedimento e per assistenza difensiva in pari misura tra le parti. I diritti degli arbitri sono
liquidati in dispositivo a norma dell’art. 26, comma 4, del Codice.
P.Q.M.
Il Collegio, definitivamente pronunciando nella controversia promossa con «istanza di
arbitrato» pervenuta in data 20 marzo 2009, prot. n. 473, così provvede:
• dichiara inammissibile l’ «istanza di arbitrato» proposta dal dr Gianluca Paparesta;
• dichiara interamente compensate tra le parti le spese del procedimento e per assistenza
difensiva;
• dichiara le parti tenute in egual misura, con vincolo di solidarietà, al pagamento dei diritti
degli arbitri, liquidati in € 2.000,00, nonché dei diritti amministrativi di spettanza del C.O.N.I.;
• manda alla Segreteria di comunicare alle parti il presente lodo.
Così deliberato, all’unanimità dei voti espressi dagli arbitri riuniti in conferenza personale,
in Roma, presso gli uffici del T.N.A.S., in data 4 giugno 2009 e 1° luglio 2009, e sottoscritto in
numero di quattro originali nei luoghi e nelle date di seguito indicati.
122
GIURISPRUDENZA
Violazione clausola compromissoria.…
FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO
COMUNICATO UFFICIALE N. 8/CDN (2009/2010)
La Commissione Disciplinare Nazionale, costituita dall’Avv. Gianfranco Tobia, Presidente;
dall’Avv. Valentino Fedeli, dall’Avv. Pietro Moscato, Componenti; dal Sig. Claudio Cresta,
Segretario, con la collaborazione del Sig. Salvatore Floriddia, si è riunita il giorno 3 luglio
2009 e ha assunto le seguenti decisioni:
(317) – APPELLO DELLA PROCURA FEDERALE AVVERSO IL
PROSCIOGLIMENTO DELLA SOC. ASD SANLURI CALCIO E DEL CALCIATORE
LUIGI UCCHEDDU, EMESSO A SEGUITO DI DEFERIMENTO DELLA PROCURA
FEDERALE
(delibera CD Territoriale presso il CR Sardegna CU n. 46 del 21.5.2009).
La Procura Federale ha impugnato la decisione della Commissione Disciplinare Territoriale
della Sardegna, pubblicata con C.U. N°. 46 del 21.5.09, con la quale sono stati prosciolti il
calciatore Luigi Uccheddu e la società A.S.D. Sanluri Calcio dalla contestazione:
.
● il primo, della violazione di cui agli artt. 1, co. 1, CGS; art. 30, co. 2 e 4 dello
Statuto Federale e 15, CGS, per aver adito l’A.G. Ordinaria, presentando denuncia-querela nei
confronti di altro tesserato, in assenza di autorizzazione da parte del Consiglio Federale, pertanto, in
violazione della clausola compromissoria;
.
● la seconda, a titolo di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’art. 4, co. 2, CGS per la
violazione ascritta al proprio tesserato. All’udienza di discussione la Procura Federale, rappresentata
dall’Avv. Manca, insisteva per l’accoglimento del ricorso in oggetto. La Commissione Disciplinare
Nazionale, letti gli atti del procedimento, osserva: la Commissione Disciplinare Territoriale di
Sardegna, con decisione pubblicata nel C.U. N°. 46 del 21.05.09, proscioglieva dagli addebiti
contestati con deferimento N°. 5494/179 del 18.03.2009, il calciatore Luigi Uccheddu e la Società
di appartenenza A.S.D. Sanluri Calcio.
In sostanza, l’Uccheddu aveva adito l’autorità giudiziaria ordinaria, presentando una
denuncia-querela nei confronti di altro tesserato in assenza di autorizzazione da parte del Consiglio
Federale, rendendosi così responsabile, ad avviso della Procura, di evidente violazione della
123
GIURISPRUDENZA
Violazione clausola compromissoria.…
“clausola compromissoria”; conseguentemente, la Società A.S.D. Sanluri Calcio era ritenuta
oggettivamente responsabile per le violazioni ascritte al proprio tesserato. La decisione della
C.D.T., si basava sulle seguenti motivazioni, che sinteticamente riportiamo:
- i rapporti tra l’ordinamento giuridico dello Stato e quello Sportivo sono stati regolati dalla
Legge N°. 280/2003. L’articolo 1 di tale Legge, sebbene “riconosca e favorisca l’autonomia
dell’ordinamento sportivo”, afferma che tale autonomia è limitata dai casi di rilevanza per
l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con
l’ordinamento sportivo. Da tale principio, la C.D.T. trae la conseguenza che, nei casi in cui la
giurisdizione sportiva non possa esaurire nel proprio ambito tutte le aspettative legittime del
soggetto titolare del diritto leso, l’autonomia della giurisdizione sportiva debba lasciare campo
libero a quella ordinaria trovando il suo logico limite nel dettato della carta Costituzionale (artt. 24 e
25).
-la materia penale pertanto deve essere sottratta alla giurisdizione sportiva e devoluta
esclusivamente a quella dello Stato, unica competente a decidere;
-l’art. 30 dello Statuto Federale deve, quindi, intendersi inapplicabile per non violare il
principio di diritto alla difesa e del Giudice Naturale precostituito per Legge, garantito al cittadino
dalla Costituzione Repubblicana;
-viene citato, in tal senso il recente provvedimento (5.03.2009) della Camera di
Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, che motiva conformemente all’interpretazione della
Commissione Disciplinare Territoriale della Sardegna;
-in conclusione, il calciatore Luigi Uccheddu ha legittimamente sporto denuncia-querela di
cui trattasi, esercitando un proprio diritto personale che non può essere subordinato ad alcuna
decisione o autorizzazione del Consiglio Federale. Avverso il proscioglimento dei deferiti
proponeva rituale appello la Procura Federale chiedendo la integrale riforma della decisione e
l’irrogazione ai deferiti delle sanzioni previste dalle norme Federali. I motivi dell’appello possono
essere così riassunti:
.- la decisione della C.D.T. non appare in alcun modo condivisibile anche se fa espresso
riferimento alla pronuncia della Camera d Conciliazione dello Sport citata;
.- la violazione dell’art. 30 dello Statuto Federale (e delle altre norme connesse) appare
palese;
.- esiste un netto discrimine tra le ipotesi in cui il tesserato presenti all’A.G.O. una mera
denuncia per un reato perseguibile d’ufficio e quella in cui venga presentata una denuncia-querela
124
GIURISPRUDENZA
Violazione clausola compromissoria.…
per reati perseguibili solo per impulso e volontà punitiva di parte. In questo caso, sempre ad avviso
della Procura Federale, sussiste indubbiamente l’obbligo di richiedere l’autorizzazione prevista
dall’art. 30 dello Statuto Federale;
.- in definitiva, tale obbligo non lede in alcun modo il diritto della persona offesa dal reato,
avendo questa tutto il tempo necessario per osservare il disposto dell’art. 30, eventualmente
precisando che è necessaria una risposta tempestiva, dovendo rispettare i termini di legge (tre mesi
dal fatto) per proporre utilmente la querela;
-in conclusione, non vi è alcun contrasto tra l’autonomia dell’ordinamento sportivo e quello
ordinario per casi di tal genere. Tutto ciò premesso e considerato, questa Commissione ritiene di
voler accogliere l’appello proposto dalla Procura Federale. La giurisprudenza di questa
Commissione è costante nel ritenere che, in casi come quello che ci occupa, l’operatività della
clausola compromissoria non impedisce in alcun modo al tesserato l’esercizio dei propri diritti
costituzionalmente garantiti. In effetti non vi è alcun contrasto, come sostenuto nell’appello, tra
l’autonomia dell’ordinamento sportivo e la giurisdizione ordinaria, dal momento che il tesserato che
si consideri leso da un fatto-reato, perseguibile a querela, commesso ai propri danni da altro
tesserato, può inoltrare, nell’immediatezza del fatto, la richiesta di autorizzazione prescritta
esplicando l’urgenza di ricevere sollecita e tempestiva risposta dovendo rispettare il termine di tre
mesi dal fatto prescritto dalla legge ordinaria a pena di decadenza. Agire non in conformità a tale in
principio e senza rispettare tale prassi costituisce indubbiamente violazione della norma contestata
con il deferimento iniziale. Ne consegue, a carico delle società di appartenenza del tesserato, la
violazione della norma sulla responsabilità oggettiva, come pure contestato alla medesima.
P.Q.M.
in riforma della decisione impugnata, accoglie il ricorso della Procura Federale avverso il
provvedimento della Commissione Disciplinare Territoriale Sardegna, pubblicata nel C.U. N°. 46
del 28.5.09, con il quale venivano prosciolti sia il calciatore Luigi Uccheddu che la Società A.S.D.
Sanluri Calcio dalle violazioni delle norme federali contestate con il deferimento N°. 5494/179 del
18.3.09 e, per l’effetto, irroga le seguenti sanzioni:
.
● al Sig. Luigi Uccheddu, mesi 6 (sei) di squalifica;
.
● alla Società ASD Sanluri Calcio, Euro 500,00 (cinquecento/00) di ammenda.
Il Presidente della CDN Avv. Gianfranco Tobia
Pubblicato in Roma il 14 luglio 2009
125
GIURISPRUDENZA
Cassazione Civile n°10867.…
CASSAZIONE CIVILE, SEZ. LAV., 12 MAGGIO 2009, N. 10867
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri magistrati:
dott. Sciarelli Guglielmo - presidente dott.
Vidiri Guido - consigliere dott.
Zappia Pietro - rel. consigliere dott.
Curzio Pietro - consigliere dott.
Meliaò Giuseppe - consigliere ha
pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 26886/2006 proposto da:
B.A., elettivamente domiciliato in Roma, piazzale Clodio 14, presso lo studio dell'avvocato
graziani andrea, rappresentato e difeso dall'avvocato Colucci Angelo, giusta procura speciale
atto notar Chiantini Simone di Milano del 22/01/09, rep. 8959;
ricorrente
contro
F.I.G.C.
Federazione Italiana Gioco Calcio e A.I.A. Associazione Italiana Arbitri;
intimati sul
ricorso 31827/2006 proposto da
F.I.G.C.
Federazione Italiana Gioco Calcio e A.I.A. Associazione Italiana Arbitri, in persona
dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma, via Po 9, presso lo
studio dell'avvocato Gallavotti Mario, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato
Veneto Gaetano, giusta mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;
controricorrenti e ricorrenti incidentali contro
B.A..;
126
GIURISPRUDENZA
Cassazione Civile n°10867.…
intimato avverso
la sentenza n. 4731/2005 della Corte d'Appello di Roma, depositata il 06/10/2005
r.g.n.
9835/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/03/2009 dal consigliere
dott.
Zappia Pietro;
udito l'avvocato Graziani Gianfranco;
udito l'avvocato Veneto Gaetano;
udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott. Riello Luigi, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.
FATTO
Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, depositato in data 20.5.2002 B.A.,
premesso di avere svolto l'attività di arbitro di calcio quale associato all'Associazione Italiana
Arbitri (A.I.A.) della Federazione Italiana Gioco Calcio (F.I.G.C.), essendo stato inserito dal
(OMISSIS) tra gli arbitri della prima Categoria Nazionale Interregionale, venendo promosso dal
(OMISSIS) ad arbitrare gli incontri della serie C, per poi passare nel (OMISSIS) a dirigere partite di
serie A e B percependo quindi uno stipendio fisso mensile e dedicando gran parte della giornata agli
allenamenti, e premesso che nel (OMISSIS) aveva interrotto, a causa dell'impegno conseguente alla
suddetta attività arbitrale, il proprio rapporto lavorativo con la Pirelli s.p.a., presso la quale svolgeva
la propria opera dal (OMISSIS), esponeva che con lettera del 2.7.2001, al termine della stagione
sportiva (OMISSIS), l'A.I.A. gli aveva comunicato che non era più confermato nel ruolo di arbitro,
senza addurre alcuna motivazione e senza che lo stesso avesse mai ricevuto note di demerito nel
corso della predetta stagione sportiva.
Ritenendo l'illegittimità di tale condotta, chiedeva che il giudice adito, accertata la sussistenza
di un rapporto di lavoro subordinato tra la F.I.G.C., o in subordine l'A.I.A., ed esso ricorrente, a
decorrere dal luglio 1993 o comunque dal luglio 1999, volesse dichiarare il diritto di esso ricorrente
alla regolarizzazione della propria posizione contributiva, e volesse dichiarare la illegittimità, nullità
o inefficacia del recesso intimatogli con la predetta nota del 2.7.2001, adottando le conseguenti
determinazioni; in subordine chiedeva che venisse dichiarata l'esistenza di un rapporto di
127
GIURISPRUDENZA
Cassazione Civile n°10867.…
ollaborazione coordinata e continuativa o, in ulteriore subordine, di un contratto a prestazioni
corrispettive, condannando altresì la F.I.G.C., o in subordine l'A.I.A, al risarcimento dei danni per la
lesione alla professionalità ed all'immagine di esso ricorrente. Con vittoria di spese e compensi.
Istauratosi il contraddittorio, si costituivano la F.I.G.C. e l'A.I.A., in persona dei rispettivi legali
rappresentanti pro tempore, eccependo preliminarmente la carenza di giurisdizione del giudice
adito, e chiedendo comunque il rigetto del ricorso.
Con sentenza in data 25.3.2003 il Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, affermata la
giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, rigettava la domanda proposta dal ricorrente,
condannando lo stesso al pagamento delle spese di giudizio.
Avverso tale sentenza proponeva appello il B. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e
chiedendo l'accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo; e proponevano altresì
appello incidentale la F.I.G.C. e l'A.I.A., reiterando il dedotto difetto di giurisdizione del giudice
adito.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 8.6.2005, rigettava entrambe le
impugnazioni - principale ed incidentale - proposte, compensando tra le parti le spese del suddetto
grado del giudizio.
Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione B.A., con quattro motivi di
impugnazione.
Resistono con controricorso la F.I.G.C. e l'A.I.A., che propongono a loro volta ricorso
incidentale in ordine alla ritenuta giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria.
La causa è stata rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte in relazione al motivo di
ricorsoincidentale concernente la giurisdizione.
Con sentenza in data 11.3.2008 le Sezioni Unite, riuniti i ricorsi, rigettavano il ricorso
incidentale e dichiaravano la giurisdizione del giudice ordinario; rinviavano la causa a questa
Sezione Lavoro per l'esame dei motivi del ricorso principale.
Il ricorrente principale ha depositato memoria di costituzione di nuovo procuratore.
Le controparti hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c..
128
GIURISPRUDENZA
Cassazione Civile n°10867.…
DIRITTO
Col primo motivo di gravame il ricorrente principale lamenta violazione delle norme sull'effetto
devolutivo dell'appello e sulla specificità dei motivi (art. 434 c.p.c.; art. 409 c.p.c., n. 3); presunta
mancata riproposizione della domanda in via subordinata di riconoscimento del rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa (art. 409 c.p.c., n. 3) e della domanda risarcitoria
concernente il danno alla professionalità ed all'immagine; nonchè omessa o insufficiente o
contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
In particolare rileva il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto la
violazione delle regole sull'effetto devolutivo dell'appello conseguente alla mancata riproposizione
di tali domande, atteso che una attenta lettura dei motivi di appello avrebbe consentito di rilevare la
presenza di un palese riferimento anche alle domande suddette; pertanto la Corte d'appello,
ritenendo l'inammissibilità del gravame per la mancanza di specifico motivo di impugnazione, era
incorsa nella violazione dell'art. 345 c.p.c..
Col secondo motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art.
345 c.p.c. e dell'art. 437 c.p.c., nonchè contraddittoria motivazione della decisione (art. 360 c.p.c.,
nn. 3 e 5).
Rileva invero il ricorrente che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto
l'inammissibilità, in quanto deduzione nuova, della invocata fittizietà del rapporto associativo
sebbene il B., con i motivi D) ed E) dell'appello, nel contestare la sentenza di primo grado
ribadendo le modalità concrete del rapporto, avesse svolto delle mere difese ribadendo il
superamento della volontà negoziale espressa al tempo dell'adesione al c.d. patto associativo,
nonchè l'assenza dei requisiti tipici del predetto rapporto associativo.
Nell'ambito di tale motivo il ricorrente lamenta altresì violazione e falsa applicazione delle
norme relative alla valutazione delle prove ed in particolare nel processo del lavoro (artt. 115, 412 e
437 c.p.c.), nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione sulle istanze istruttorie e sulla
produzione documentale dell'appellante in primo e secondo grado (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5); in
particolare rileva che i giudici di merito avevano violato le norme in materia di poteri istruttori del
giudice del lavoro basandosi sull'erroneo presupposto che l'esistenza di un rapporto associativo
escludeva in radice la possibilità di un rapporto di lavoro subordinato (tale censura nella memoria
ex art. 378 c.p.c., costituisce un autonomo capo di impugnazione).
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GIURISPRUDENZA
Cassazione Civile n°10867.…
Col terzo motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione di legge: artt. 112 e 113 c.p.c., ed
art. 409 c.p.c.; non corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato; omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
Rileva in particolare il ricorrente che l'oggetto principale del giudizio incoato era costituito
dalla richiesta di accertamento della esistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra lo stesso e la
F.I.G.C., o in subordine l'A.I.A, da cui discendevano le ulteriori domande di regolarizzazione
contributiva, declaratoria di illegittimità del licenziamento, reintegra o riammissione nel posto di
lavoro, corresponsione di somme, risarcimento del danno alla professionalità, nonchè le altre
domande proposte in via subordinata. A fronte di tali richieste la Corte d'appello aveva palesemente
ignorato la domanda principale di accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato,
essendosi limitata semplicemente a dichiarare a priori ed in astratto l'inesistenza di tale rapporto,
senza analizzare il caso concreto.
Col quarto motivo di gravame il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., commi 3 e 5,
violazione delle norme in materia di diritto del lavoro (artt. 4 e 35 Cost.; art. 2094 c.c.; art. 409
c.p.c., comma 3).
In particolare il ricorrente rileva che erroneamente la Corte territoriale, violando le norme
interpretative in materia di controversie di lavoro, aveva in definitiva ritenuto una presunta
prevalenza delle norme del diritto sportivo su quelle dell'ordinamento statale poste a tutela del
lavoro subordinato.
Per contro, le diverse finalità ed i diversi ambiti di applicazione dei due ordinamenti, non
consentono di dubitare che le prime hanno valenza ed efficacia esclusivamente all'interno
dell'ordinamento sportivo medesimo, mentre le seconde, in quanto poste a tutela del lavoro, hanno
rilevanza esterna e devono essere quindi necessariamente prese in considerazione dal giudice
quando viene sottoposto al suo giudizio l'accertamento dell'esistenza di un rapporto di lavoro
subordinato o parasubordinato. E pertanto, una volta rilevato che le finalità ludiche delle
associazioni sportive erano ampiamente superate dalle finalità agonistiche e dalle motivazioni
economiche ne derivava, come verificatosi nel caso di specie, che l'attività sportiva dell'arbitro
veniva ad inserirsi nell'ambito della struttura dell'associazione non solo per i fini istituzionali che la
stessa persegue (quelli ludici appunto) ma anche per quelli di guadagno (diritti televisivi, sponsor):
di qui la necessità di qualificare l'arbitro di calcio quale lavoratore subordinato, perfettamente
inserito nella "azienda calcio" al cui servizio mette la propria prestazione.
130
GIURISPRUDENZA
Cassazione Civile n°10867.…
Pertanto l'esistenza di un rapporto associativo non è ostativo al riconoscimento di un rapporto
di lavoro subordinato, perchè tale conclusione sarebbe in sostanziale contrasto con l'impianto della
L. n. 91 del 1981 sul c.d. lavoro sportivo. Per contro rileva il ricorrente che nulla aveva detto
l'impugnata sentenza in ordine alla legge sul professionismo sportivo, salvo ad escluderne
l'applicabilità in quanto legge speciale, e senza dire quale altra legge sarebbe applicabile nel caso di
specie, al fine della qualificazione giuridica della fattispecie in oggetto.
Il primo motivo di ricorso è infondato. Sul punto ritiene il Collegio di dover innanzi tutto
rilevare che, per come a più riprese
evidenziato da questa Corte, l'interpretazione dell'atto di appello (e quindi del suo contenuto)
spetta esclusivamente al giudice del gravame, e può essere sindacato in sede di legittimità solo per
violazione dei canoni ermeneutici ovvero per contraddittorietà o insufficienza della motivazione:
circostanze che non si sono verificate nel caso di specie.
Giova invero evidenziare in proposito che, per costante orientamento giurisprudenziale,
nell'atto di appello devono essere specificamente individuate le statuizioni concretamente
impugnate, e devono essere altresì esposte, con sufficiente grado di specificità, le ragioni sulle
quali, in relazione a ciascuna statuizione impugnata, si fondano i motivi di dissenso dell'appellante.
Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale ha rilevato che siffatta specifica indicazione si
appalesava carente non soltanto con riferimento - siccome riconosciuto dallo stesso ricorrente alla
censura concernente la domanda di risarcimento del danno, ma anche con riferimento alla
ulteriore censura concernente la sussistenza di un rapporto di collaborazione coordinata e
continuativa ovvero di un contratto a prestazioni corrispettive, "essendo tutti i motivi formulati
dal B. in realtà riferiti all'esistenza, nei fatti, di un rapporto di lavoro subordinato". Il rilievo, in
punto di diritto, è senz'altro esatto, trattandosi di istituti diversi dal rapporto di lavoro subordinato,
aventi differenti presupposti e differente disciplina; e pertanto deve ritenersi corretto sotto il profilo
del rispetto dei canoni emeneutici e correttamente motivato l'assunto della Corte territoriale circa
l'assenza di alcuna specifica impugnazione sul punto, laddove la Corte predetta ha rilevato che tutti
i motivi formulati dal B. si riferivano alla esistenza, nei fatti, di un rapporto di lavoro subordinato,
di talchè il motivo di appello indicato al capo F) non poteva riferirsi anche alle domande
subordinate, mancando qualsivoglia specifico motivo di censura sul punto relativo alla esistenza di
un diverso rapporto di parasubordinazione.
Pertanto correttamente la Corte territoriale ha ritenuto l'inammissibilità del gravame sul punto,
atteso che nell'atto di appello alla parte volitiva deve sempre necessariamente accompagnarsi la
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GIURISPRUDENZA
Cassazione Civile n°10867.…
parte argomentativa, non essendo tra l'altro sufficiente che il gravame consenta di individuare le
statuizioni concretamente impugnate ma essendo necessario che alle argomentazioni svolte
nell'impugnata sentenza l'impugnante contrapponga delle specifiche argomentazioni atte ad
inficiare, in relazione alle singole e diverse statuizioni contestate, il fondamento logico giuridico
delle stesse (Cass. SS.UU., 29.1.2000 n. 16).
Il ricorso non può quindi sul punto trovare accoglimento.
Del pari infondato è il secondo motivo di gravame. Osserva il Collegio che in realtà l'assunto
del ricorrente secondo cui la deduzione in ordine al carattere fittizio, a decorrere da un determinato
momento, del rapporto associativo intercorso fra le parti non costituirebbe una deduzione nuova in
appello ma integrerebbe una mera difesa risolvendosi in buona sostanza in una semplice
evidenziazione della modalità concrete del rapporto in questione da cui emergerebbe in maniera
palese il superamento della volontà negoziale espressa originariamente al momento della adesione
al patto associativo, si appalesa non condivisibile.
Devesi in proposito evidenziare che nel processo del lavoro si ha introduzione di una domanda
nuova per modificazione della causa petendi, non consentita in appello, quando gli elementi
prospettati in giudizio, se pur già esposti nell'atto introduttivo, vengono dedotti in grado di appello
con una differente portata, atteso che in tal modo non viene in rilievo solo una diversa
qualificazione giuridica dei fatti, ma si introduce nel giudizio un nuovo tema di indagine che altera
l'oggetto sostanziale dell'azione ed i termini della controversia, con conseguente violazione della
lealtà del contraddittorio ma soprattutto del principio del doppio grado di giurisdizione (Cass. sez.
lav., 23.3.2006 n. 6431; Cass. sez. lav., 20.10.2005 n. 20265).
E siffatta situazione si è verificata nel caso di specie ove si osservi che, per come correttamente
rilevato dai giudici del gravame, il ricorso in primo grado era basato sulla natura subordinata (o
parasubordinata) del rapporto intercorso, e non anche sul carattere fittizio, a decorrere da un dato
momento, dello stesso, mai in realtà dedotto nel giudizio di primo grado; e pertanto i rilievi svolti
dall'odierno ricorrente, concernenti l'assenza dei requisiti tipici del rapporto associativo ed il preteso
superamento della volontà negoziale originariamente espressa, non costituiscono semplice richiamo
ai fatti precedentemente esposti, ma introducono in realtà nel giudizio un nuovo tema di indagine
mai percorso nel precedente grado del giudizio, come tale non consentito ai sensi dell'art. 437 c.p.c..
Il ricorso sul punto è pertanto infondato.
Ad analoghe conclusioni ritiene il Collegio di dover pervenire per quel che riguarda il terzo
motivo di gravame, concernente la dedotta violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., per mancanza di
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Cassazione Civile n°10867.…
corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, sotto il profilo che la Corte territoriale avrebbe
ignorato la domanda di accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro istauratosi tra le parti,
essendosi limitata semplicemente a declamare, non in concreto bensì in astratto, la inesistenza a
priori di un siffatto rapporto.
Orbene, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (fra le altre, Cass. sez. lav.,
13.9.2006 n. 1958; Cass. sez. lav., 12.5.2006 n. 11039) che la motivazione in fatto della
sentenza d'appello - la quale confermi, come nella specie, la sentenza di primo grado - può risultare
dalla integrazione della parte motiva delle due sentenze. E pertanto deve escludersi, nel caso di
specie, il denunciato vizio motivazionale ove si osservi che il giudice di primo grado aveva
correttamente rilevato che, essendo il B. un tesserato della F.I.G.C., in quanto arbitro di calcio
facente parte quindi dell'A.I.A. e prestando la propria attività per detta associazione, e non potendo
l'attività suddetta essere ricondotta ad un rapporto subordinato o a qualsivoglia rapporto a
prestazioni corrispettive se non nel caso in cui l'attività (sportiva) del tesserato non coincida affatto
con l'oggetto e con lo scopo istituzionale della Federazione, doveva escludersi che l'attività dello
stesso potesse essere ricondotta ad un rapporto di lavoro subordinato, integrando per contro
adempimento del patto associativo per l'esercizio in comune dell'attività sportiva.
E ciò coerentemente alla cospicua giurisprudenza sul punto che ha costantemente evidenziato
che il vincolo associativo avente un determinato oggetto può essere ricondotto ad un rapporto di
collaborazione subordinata fra i medesimi soggetti solo qualora l'attività svolta esuli dal contenuto
dell'oggetto sociale e non coincida con il conseguimento dei fini istituzionali dell'associazione; con
la ulteriore precisazione che lo stabilire se sussista in concreto, a fianco del rapporto associativo, un
ulteriore e diverso rapporto di subordinazione, si risolve in un accertamento di fatto, demandato al
giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità ove risulti congruamente motivato (Cass.
sez. lav., 16.11.1978 n. 5325; Cass. sez. lav., 8.6.1977 n. 2360; Cass. sez. 1^, 23.7.1969 n. 2772;
Cass. sez. 2^, 29.7.1965 n. 1826).
Orbene nel caso di specie la Corte territoriale ha correttamente rilevato che il B., tesserato della
F.I.G.C., in qualità di arbitro appartenente all'A.I.A., aveva liberamente accettato il rapporto
associativo, con tutti i diritti e gli obblighi ad esso inerenti, diversi dai diritti e dagli obblighi propri
del rapporto di lavoro subordinato; e le concrete modalità di svolgimento dell'attività di arbitro
erano state sempre determinate secondo le norme dell'ordinamento sportivo che disciplinavano il
rapporto associativo, nell'ambito ed in ragione di detto rapporto, conformemente cioè alle finalità
istituzionali dell'associazione cui aveva aderito in qualità di tesserato.
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GIURISPRUDENZA
Cassazione Civile n°10867.…
Ed in tale ottica rimangono ovviamente superate le ulteriori deduzioni dell'interessato
concernenti la maggiore gravosità degli impegni conseguenti al passaggio alle serie superiori, e
quindi il carattere autenticamente retributivo dei compensi corrispostigli, trattandosi di deduzioni
meramente in fatto, che i giudici di merito hanno ritenuto, per le considerazioni in precedenza
svolte circa la rilevanza del vincolo associativo e dell'inserimento dell'attività svolta nei fini propri
dell'associazione, di dover implicitamente disattendere.
Nè appare conferente il richiamo, operato dal ricorrente, alla norma di cui alla L. 23 marzo
1981, n. 91, art. 2, avendo la giurisprudenza sul punto evidenziato il carattere tassativo delle figure
di professionisti sportivi indicate dalla disposizione suddetta (Cass. sez. lav., 11.4.2008 n. 9551), fra
cui non rientra quella dell'arbitro; donde la inapplicabilità della relativa normativa.
Quale logico corollario delle suddette premesse la Corte territoriale ha rilevato che, dovendosi
ritenere la permanenza del rapporto associativo anche dopo il passaggio del B. alle serie superiori
atteso che le modalità concrete di svolgimento dell'attività di arbitro evidenziavano che in tale
rapporto - e non in un diverso rapporto di lavoro subordinato - trovavano origine e ragione le
prestazioni dello stesso, risultavano superate le deduzioni dell'appellante circa la sussistenza di un
rapporto di lavoro subordinato.
Tale conclusione porta al superamento dell'ulteriore censura, sollevata all'interno del secondo
motivo di gravame (terzo motivo nella memoria ex art. 378 c.p.c.), concernente l'omesso
espletamento della chiesta attività istruttoria e l'omessa ammissione dei documenti prodotti in
secondo grado, nonchè la non corretta valutazione delle prove documentali in atti.
Sul punto occorre premettere che - come questa Corte ha affermato a più riprese - il giudice del
merito non è tenuto ad ammettere i mezzi di prova dedotti dalle parti ove ritenga sufficientemente
istruito il processo e ben può, nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali insindacabili in cassazione,
non ammettere le dedotte prove testimoniali o documentali quando, alla stregua di tutte le altre
risultanze di causa, valuti le stesse come inconducenti.
Trattasi di valutazione demandata al potere discrezionale del giudice di merito con
apprezzamento che, se congruamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità. Nella specie la
Corte d'appello ha in via preliminare focalizzato la propria attenzione sulla circostanza che l'attività
di arbitro, in quanto svolta in qualità di tesserato all'interno dell'Associazione Italiana Arbitri e
coerentemente all'oggetto ed allo scopo istituzionale della F.I.G.C., non poteva essere ricondotta ad
un rapporto di lavoro subordinato o a qualsivoglia rapporto a prestazioni corrispettive, integrando in
realtà adempimento del patto sociale.
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GIURISPRUDENZA
Cassazione Civile n°10867.…
Orbene, il procedimento logico - giuridico sviluppato nell'impugnata decisione a sostegno delle
riportate conclusioni è ineccepibile in quanto coerente e razionale e frutto di una completa
valutazione delle risultanze di causa.
Coerentemente, quindi, la Corte territoriale ha ritenuto la non rilevanza dell'attività istruttoria
sollecitata dall'appellante, ritenendo comunque la non configurabilità di un rapporto di lavoro
subordinato: si tratta di un giudizio sorretto da motivazione congrua ed adeguata che sfugge quindi
al sindacato in questa sede di legittimità.
Pertanto neanche sotto tale profilo il proposto gravame può trovare accoglimento.
In ordine all'ultimo motivo di gravame osserva il Collegio che nessuna violazione dei canoni
ermeneutici in materia di controversie del lavoro è stata posta in essere dalla Corte d'Appello, non
avendo la stessa giammai ritenuto una presunta prevalenza delle norme del diritto sportivo su quelle
dell'ordinamento statale poste a tutela del lavoro subordinato; ed invero i giudici di merito, con
motivazione assolutamente coerente e logica che questo Collegio condivide pienamente essendosi
questa Corte, per come detto, a più riprese pronunciata sulla specifica questione, hanno rilevato che
in presenza di un vincolo associativo fra più soggetti per lo svolgimento di una determinata attività,
e quindi anche in presenza del patto associativo esistente fra i tesserati all'A.I.A., l'attività posta
concretamente in essere dagli associati può essere ricondotta ad un ulteriore (e diverso) rapporto di
lavoro subordinato o comunque a prestazioni corrispettive, solo non nel caso in cui l'attività
dell'associato esuli dall'oggetto e dalle finalità dell'associazione; e del pari la Corte territoriale ha
altresì evidenziato, sulla base - per come detto - di un accertamento di fatto non suscettibile di
sindacato in sede di giudizio di legittimità, che le concrete modalità di espletamento dell'attività di
arbitro da parte del ricorrente si erano sempre svolte secondo le norme dell'ordinamento sportivo
che disciplinavano il rapporto associativo, nell'ambito ed in ragione di detto rapporto,
conformemente cioè alle finalità istituzionali dell'associazione cui aveva aderito in qualità di
tesserato.
Alla stregua di quanto sopra i giudici di merito hanno in buona sostanza ritenuto non già una
inammissibile prevalenza delle norme dell'ordinamento sportivo su quelle dell'ordinamento statale
in materia di rapporto di lavoro subordinato, bensì la non applicabilità nel caso di specie delle
norme lavoristiche in tema di rapporto di lavoro subordinato (o parasubordinato) in considerazione
della esistenza fra i soggetti di un vincolo associativo e della riconducibilità delle prestazioni
effettuate all'oggetto sociale.
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GIURISPRUDENZA
Cassazione Civile n°10867.…
Trattasi invero di un concetto di pacifica applicazione, che rileva non solo nell'ambito delle
associazioni sportive ma in qualsiasi contesto in cui sia ravvisarle un vincolo associativo e lo
svolgimento di prestazioni nell'ambito del contratto sociale.
Deve escludersi pertanto la dedotta violazione delle norme lavoristiche, per la semplice ragione
che le stesse in realtà - alla stregua della ricostruzione del rapporto operata dai giudici di merito con
motivazione del tutto aderente alle proprie premesse in fatto ed in diritto ed in questa sede non
sindacabili - non possono trovare applicazione.
Nè può ritenersi alcuna violazione delle disposizioni di cui alla L. 23 marzo 1981, n. 91
contenente norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti. Ed invero questa Corte
ha rilevato che l'art. 2 della legge predetta opera una distinzione tra le figure tassativamente indicate
di sportivi professionisti (atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici), che
esercitano attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline
regolamentate dal CONI, cui va applicata la L. 23 marzo 1981, n. 91, e gli altri sportivi
professionisti non indicati in detta disposizione, il cui rapporto di lavoro, qualora ne ricorrano gli
estremi, è assoggettato invece alle generali norme regolanti il rapporto di lavoro subordinato (Cass.
sez. lav., 11.4.2008 n. 9551). Ed ha altresì rilevato che per tali figure di lavoratori sportivi, diverse
da quelle contemplate nel predetto della L. n. 91 del 1981, art. 2, la sussistenza o meno del vincolo
di subordinazione deve essere accertata di volta in volta nel caso concreto, in applicazione dei
criteri forniti dal diritto comune del lavoro (Cass. sez. lav., 8.9.2006 n. 19275; Cass. sez. lav.,
28.12.1996, n. 11540).
Alla stregua di quanto sopra deve ritenersi, per tabulas, la inapplicabilità nei confronti
dell'arbitro della normativa dettata dal suddetto testo legislativo, non essendo l'arbitro ricompreso
nella categoria degli sportivi professionisti cui, in base al dettato della art. 2 legge predetta, la
norma in questione può trovare applicazione.
E deve ritenersi altresì la inapplicabilità nei confronti dello stesso della normativa lavoristica in
tema di rapporto di lavoro subordinato, stante l'esistenza di un rapporto associativo dell'arbitro di
calcio, in quanto tesserato con la F.I.G.C. e facente quindi parte dell'A.I.A., di talchè le prestazioni
svolte allo stesso, a prescindere dalla gravosità degli impegni e dalla presenza di una
remunerazione, integrano adempimento del patto associativo per l'esercizio in comune dell'attività
sportiva. A meno che l'attività svolta esuli dal contenuto dell'oggetto sociale nel qual caso può
ritenersi, per come detto, l'esistenza (o anche la coesistenza) di un rapporto di lavoro subordinato, in
relazione a tale diversa attività, sulla base di un accertamento di fatto demandato al giudice di
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GIURISPRUDENZA
Cassazione Civile n°10867.…
merito e non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Il ricorso va di
conseguenza rigettato.
Rileva il Collegio, per quel che riguarda il regolamento delle spese processuali relative al
giudizio di legittimità, che, avuto riguardo alla sentenza delle Sezioni Unite la quale, dopo aver
proceduto alla riunione dei ricorsi proposti avverso l'impugnata sentenza, ha rigettato il ricorso
incidentale proposto dalla F.I.G.C. e dall'A.I.A., ricorrono giusti motivi, in ragione della reciproca
soccombenza, per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese relative al presente
giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte:
Vista la sentenza delle sezioni unite che, riuniti i ricorsi, ha rigettato il ricorso incidentale,
rigetta altresì il ricorso principale; compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2009.
137
GIURISPRUDENZA
Trasferimento del titolo sportivo.…
Corte d’Appello di Torino
Sezione lavoro 28 ottobre 2008
Pres. rel. Peyron.
Segnalazione del Dott. Paolo Giovanni Demarchi
Lavoro subordinato – Trasferimento d’azienda – Trasferimento del titolo sportivo a in base
alle Norme della FIGC – Conservazione dell’identità – Sussistenza – Trasferimento di beni
immateriali – Irrilevanza – Inesistenza di rapporto contrattuale – Irrilevanza – Applicazione dell’art.
2112 cod. civ. – Prosecuzione del rapporto di lavoro subordinato – Sussistenza.
Il trasferimento del titolo sportivo da una società ad un'altra, attuato dalla FIGC ai sensi
dell’art. 52 delle Norme FIGC, presuppone il mutamento di titolarità dell’attività economica
organizzata preesistente e la conservazione in capo alla seconda società dell’identità della
precedente, pur in assenza del trasferimento di beni materiali organizzati. Indipendentemente da un
rapporto contrattuale diretto tra le due società, sussistono pertanto in ispecie i requisiti richiesti
dall’art. 2112 cod. civ. per il trasferimento d’azienda, con conseguente applicazione del regime
inderogabile previsto da tale norma a garanzia della prosecuzione del rapporto di lavoro e della
conservazione dei diritti che ne derivano. (fb)
138
GIURISPRUDENZA
Trasferimento del titolo sportivo.…
S ENTEN ZA
nella causa di lavoro iscritta al n.ro 756/2008 R.G.L.
promossa da:
B. P. M., C.F.: *, residente in **, rappresentato e difeso, per delega in calce al ricorso
introduttivo, dall’avv. **.
APPELLANTE
CONTRO
TORINO F.C. S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv.ti **.
APPELLATA
Oggetto: Qualificazione.
CONCLUSIONI
Per l’appellante:
“Voglia la Corte Ecc.ma
respinta ogni diversa domanda, eccezione istanza,
Nel merito:
- dichiarare che tra il prof. B. e la Torino F.C. Spa, a partire dal 26 luglio 2005, ovvero dal
13 agosto 2005, ovvero dalla data meglio vista dal Giudicante, si è concluso, per effetto del
passaggio ex artt. 2112 c.c. et 52 Norme Fgci oppure per effetto del rapporto di fatto instauratosi
anche in forza di autonomi e autosufficienti atti di assunzione, un contratto di lavoro subordinato;
139
GIURISPRUDENZA
Trasferimento del titolo sportivo.…
- dichiarare la nullità, l’inefficacia e l’illegittimità del licenziamento comminato oralmente
dalla Torino F.C. spa nei confronti del prof. M. B. in data 28 settembre 2005;
- dichiarare mai cessato il rapporto di lavoro tra il prof. B. e la Torino F.C. Spa, ovvero, in
subordine, condannare la Torino F.C. Spa a reintegrare il prof. M. B. nel posto di lavoro (con riserva
di scegliere l’alternativa di cui all’art. 18 L. 300/70);
- dichiarare che l’inquadramento è quello di impiegato di 4° livello, con mansioni di
massaggiatore sportivo e massofisioterapista, rieducatore funzionale; che la retribuzione è
quantomeno quella di € 4.339,83 lordi, pari a quanto percepito dal ricorrente da parte della Torino
calcio spa, condannando la Torino FC spa al pagamento del dovuto, sulla base della retribuzione
globale del prof. B., quale determinata mediante l’esame delle buste paga, ovvero determinanda
mediante eventuale ctu;
- condannare la Torino F.C. Spa a risarcire il danno per l’ingiustificato licenziamento, in
misura non inferiore a 5 mensilità di retribuzione globale di fatto, oltre a tutte le retribuzioni
maturate e maturande dal licenziamento all’effettivo reintegro (ovvero alla data di scelta
dell’indennità sostitutiva della reintegrazione);
In subordine, salvo gravame, ove ritenuta operante la L. 604/66, così come modificata dalla
L. 108/90,
- dichiarare l’inefficacie, invalidità e illegittimità del licenziamento disposto dalla Torino
F.C. Spa nei confronti del prof. M. B.;
- condannare la Torino F.C. Spa a riassumere il medesimo prof. M. B. o in alternativa a
indennizzare il danno in misura non inferiore a 6 mensilità di retribuzione globale di fatto.
In ogni caso
- condannare la Torino F.C. Spa al risarcimento del danno nella stessa misura prevista
dall’art. 18 L. 300/70, e comunque al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dal giorno del
licenziamento a quello dell’effettivo reintegro, che parimenti si chiede.
- Condannare la Torino F.C. al pagamento delle retribuzioni maturate dal 26 luglio 2005 al
28 settembre 2005, in misura pari ad € 8.680 lordi;
- Con le spese (oltre Iva, Cpa, spese forfettarie)”.
140
GIURISPRUDENZA
Trasferimento del titolo sportivo.…
Per l’appellata:
“Voglia la Corte d’Appello di Torino – Sezione Lavoro rigettare l’appello proposto contro la
sentenza in epigrafe indicata (Tribunale Torino – Lavoro n. 1694/2007) confermando la sentenza
stessa, con ogni conseguenza”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 12.7.2006 B. P. M., premesso di esser stato alle dipendenze di
Torino Calcio spa come massaggiatore sportivo e massioterapista dal 1.7.1997 con retribuzione da
ultimo di euro 4.339,83, chiese dichiararsi l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con
Torino FC spa (già Società Civile Campo Torino) da date variabili (o 26.7.2005 o 13.8.2005 o altra)
alternativamente: a) per applicazione dell’art. 2112 c.c. e 52 norme FIGC; b) per esser sorto
nell’agosto 2005 un rapporto di fatto con detta società; di conseguenza impugnò il licenziamento
orale intimatogli il 28.9.2005 con le conseguenze di reintegrazione e risarcimento danni.
Con sentenza 15.3/13.6.2007, non notificata, il tribunale respinse il ricorso, compensando le
spese.
Con ricorso depositato l’11.6.2008 il B. propone appello assumendo le conclusioni sopra
riportate.
Resiste l’appellato chiedendo respingersi l’appello.
La causa è stata oralmente discussa e decisa come da dispositivo in calce.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il tribunale ha respinto le domande sotto entrambi i profili: ha negato che tra il B. e Torino
F.C. spa sia sorto, di fatto, un rapporto di lavoro ex novo in relazione all’attività lavorativa dal
medesimo prestata nel periodo 19.8/28.9.2005; ha altresì negato che tra Torino Calcio spa e Torino
F.C. spa si sia realizzato un trasferimento di azienda comportante la prosecuzione dei rapporti di
lavoro ex art. 2112 c.c.; scrive al riguardo il tribunale - dopo aver affermato che, come sostenuto
concordemente dalle parti, la fattispecie posta in essere è stata quella prevista dall’art. 52 comma 6°
e non quella del comma 3° Norme FIGC – che “secondo la chiara lettera della norma, la fattispecie
141
GIURISPRUDENZA
Trasferimento del titolo sportivo.…
di cui al 6° comma dell’art. 52 esclude il passaggio d’azienda, ed è quanto si è verificato nel caso di
specie, al di là di ogni ragionevole dubbio. Le allegazioni di parte ricorrente (v. i doc. prodotti in
data 2.1.07 e cioè medaglie, schede e raccoglitore allegati ai quotidiani, pagine pubblicitarie, articoli
di giornale ecc.) mirano a dimostrare una sorta di “continuità”, in quanto fanno riferimento alla non
interrotta storia della squadra granata, fondata nel 1906 e di cui la spa Torino F.C. mostrerebbe aver
raccolto l’eredità. Di eredità si tratta, ma certamente non in termini di stretto diritto: eredità
“morale” per così dire, di storia, di tifoseria, di squadra ma evidentemente un conto è la passione
sportiva, la tradizione e l’attaccamento ad una squadra, ai simboli (logo, colore ecc.) aspetti su cui
fanno leva le pubblicazioni prodotte e un conto sono le obbligazioni civilisticamente rilevanti …”.
L’appellante ripropone entrambe le tesi.
In fatto è pacifico:
- che il B. era dipendente dal 1997 del Torino Calcio spa con mansioni di massaggiatore
sportivo, massioterapista addetto alla squadra Primavera;
- che il Torino Calcio spa (che nell’anno 2004/2005 aveva partecipato al campionato di serie
B ed ottenuto la promozione in serie A) a seguito di irregolarità amministrative fu privato dalla
FIGC del titolo sportivo, requisito necessario per potersi iscrivere al campionato successivo, a
seguito di lodo 26.7.2005 del collegio arbitrale della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo
Sport (doc. 2 appellante);
- che, avvalendosi del c.d. Lodo Petrucci (riportato nel doc. 1 appellata), la Società Campo
Civile Torino srl, costituitasi a fine 2004, ottenne il titolo sportivo ex art. 52 comma 6° delle Norme
organizzative interne della FIGC per cui potè iscrivere la squadra al campionato 2005/2006 in serie
B;
- che il 26.8.2005 la Società Campo Civile Torino srl mutò il nome in Torino Football Club
srl, poi le quote vennero cedute alla Stella srl e la società si trasformò in spa ed assunse il nome di
“Torino Football Club s.p.a.” o, in forma abbreviata, “Torino F.C. s.p.a”, vicende che attengono alla
struttura societaria ma non hanno certamente dato luogo ad un episodio di trasferimento di azienda;
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GIURISPRUDENZA
Trasferimento del titolo sportivo.…
- che il 28.9.2005 il B., che aveva continuato a seguire gli allenamenti della squadra
Primavera, venne allontanato da un incaricato della Torino FC spa dal campo sul quale la squadra
stava per giocare una partita di Coppa Italia;
- che con lettera 10.10.2005 del liquidatore della Torino Calcio spa il B. venne licenziato
dalla stessa con corresponsione dell’indennità di preavviso.
L’art. 52 delle Norme FIGC recita:
1.Il titolo sportivo è il riconoscimento da parte della F.I.G.C. delle condizioni tecniche
sportive che consentono, concorrendo gli altri requisiti previsti dalle norme federali, la
partecipazione di una società ad un determinato Campionato.
2. In nessun caso il titolo sportivo può essere oggetto di valutazione economica o di
cessione.
3. Il titolo sportivo di una società cui venga revocata l’affiliazione ai sensi dell’art. 16,
comma 6, può essere attribuito, entro il termine della data di presentazione della domanda di
iscrizione al campionato successivo, ad altra società con delibera del Presidente federale, previo
parere vincolante della COVISOC ove il titolo sportivo concerna un campionato professionistico, a
condizione che la nuova società, con sede nello stesso comune della precedente, dimostri nel
termine perentorio di due giorni prima, esclusi i festivi, di detta scadenza: 1) di avere acquisito
l’intera azienda sportiva della società in stato di insolvenza; 2)di aver ottenuto l’affiliazione alla
F.I.G.C.; 3) di essersi accollata e di aver assolto tutti i debiti sportivi della società cui è stata
revocata l’affiliazione ovvero di averne garantito il pagamento mediante rilascio di fideiussione
bancaria a prima richiesta; 4) di possedere un adeguato patrimonio e risorse sufficienti a garantire il
soddisfacimento degli oneri relativi al campionato di competenza;
4.
….
5.
….
6. In caso di non ammissione al campionato di serie A, B o C1 di una società costituente
espressione della tradizione sportiva italiana e con un radicamento nel territorio di appartenenza
comprovato da una continuativa partecipazione, anche in serie diverse, ai campionati
professionistici di Serie A, B, C1 e C2 negli ultimi dieci anni, ovvero, di una partecipazione per
almeno venticinque anni nell’ambito del calcio professionistico, la FIGC, sentito il Sindaco della
città interessata, può attribuire, a fronte di un contributo straordinario in favore del Fondo di
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GIURISPRUDENZA
Trasferimento del titolo sportivo.…
Garanzia per Calciatori ed Allenatori di calcio, il titolo sportivo inferiore di una categoria rispetto a
quello di pertinenza della società non ammessa ad altra società, avente sede nella stessa città della
società non ammessa, che sia in grado di fornire garanzie di solidità finanziaria e continuità
aziendale. Al capitale della nuova società non possono partecipare, neppure per interposta persona,
né possono assumervi cariche, soggetti che, nella società non ammessa, abbiano ricoperto cariche
sociali ovvero detenuto partecipazioni dirette e/o indirette superiori al 2% del capitale totale o
comunque tali da determinarne il controllo gestionale, né soggetti che siano legati da vincoli di
parentela o affinità entro il quarto grado con gli stessi…..”.
L’appellante critica la decisione del tribunale osservando che l’art. 52 cit. è norma
regolamentare che non può derogare a norma imperativa come è l’art. 2112 c.c. e che
l’assegnazione del titolo sportivo comporta il trasferimento di un rilevante bene immateriale di
valore economico; contesta la sentenza ove parla di “eredità morale” osservando che “grazie
all’acquisizione del titolo sportivo, è stata esercitata proprio la stessa attività, sugli stessi campi, con
alcuni dei precedenti giocatori (quasi tutti per quanto attiene la Primavera), utilizzando le stesse
maglie (i colori sociali), lo stesso marchio (seppur, cfr. deposizione Ferrato, leggermente
modificato, per evitare la ravvisabilità della continuità aziendale: come se bastasse una leggera
modifica ad escluderla). La sentenza parla di simboli ma, in verità, i termini giuridici sono marchio
e avviamento, che costituiscono elementi squisitamente economici, benché cc.dd. immateriali,
imprescindibili ed essenziali in ogni azienda, e di cui la nuova società ha proseguito l’utilizzazione
e lo sfruttamento …”.
Risponde l’appellata che la fattispecie dell’art. 52 comma 6° non concreta un trasferimento
di azienda poiché è basata proprio sulla discontinuità aziendale, diversamente da quella del comma
3°; che il titolo sportivo in nessun caso può essere oggetto di valutazione economica o di cessione;
che difetta in radice il fenomeno della cessione di azienda, come rilevato dal tribunale.
E’ palese che la fattispecie regolata dal comma 3° (che prevede l’attribuzione del titolo nella
stessa categoria spettante alla società che lo ha perduto), richiedendo da parte della nuova società
l’acquisizione dell’intera azienda sportiva ed il pagamento dei debiti, presuppone una cessione di
azienda nel senso tradizionale mentre l’ipotesi del comma 6° (che prevede l’attribuzione del titolo
nella categoria inferiore) prescinde dall’acquisizione dell’intera azienda e dal pagamento dei debiti.
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GIURISPRUDENZA
Trasferimento del titolo sportivo.…
E’ pure evidente che nel caso in esame si è realizzata l’ipotesi regolata dal comma 6° dell’art. 52: la
Torino F.C. non ha acquisito l’intera azienda, non ne ha pagato i debiti ed ha ottenuto il titolo
sportivo inferiore, con conseguente iscrizione al campionato in serie B.
Basta ciò per affermare l’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c. come ritenuto dal tribunale? Il
problema è assai delicato e nuovo per la giurisprudenza.
Ad avviso di questa corte non ha rilevanza, come indice di discontinuità, il divieto di
partecipazione alla nuova società di soggetti che abbiano ricoperto cariche sociali od abbiano avuto
partecipazioni di rilievo nella vecchia società: ciò attiene alla discontinuità degli assetti proprietari
ma non incide sulla continuità aziendale e sportiva.
Ritiene la corte necessaria una più approfondita indagine poiché, da un lato, il concetto di
trasferimento di azienda ai fini dell’art. 2112 c.c. è certamente diverso da quello tradizionale
applicabile ad altri fini e, dall’altro, si tratta di un’azienda organizzata per l’esercizio di un’attività
sportiva, soggetta quindi alla normativa del settore dello sport calcistico professionistico, attività
peraltro dai rilevanti risvolti economici, tanto da esserne previsto l’esercizio sotto la forma della
società per azioni.
L’art. 2112 c.c. prevede a tutela dei lavoratori per il caso di cessione di azienda, un regime
inderogabile diverso da quello previsto in generale per tutti i contratti dell’azienda ceduta dall’art.
2558 c.c., norma invece dispositiva; in particolare garantisce ai lavoratori la prosecuzione del
rapporto di lavoro e la conservazione dei diritti che ne derivano.
La norma ha subìto nel tempo numerose modifiche rispetto alla formulazione originaria del
1942 (basti pensare che per questa era sufficiente la tempestiva disdetta da parte del cedente per
evitare la prosecuzione del rapporto) nel costante intento di migliorare la tutela dei lavoratori; in
particolare si è progressivamente ampliato il concetto di trasferimento di azienda, differenziandolo a
questi fini da quello tradizionale di alienazione e facendogli assumere una connotazione specifica e
propria.
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Trasferimento del titolo sportivo.…
Il punto di arrivo di questo sviluppo, influenzato dalla giurisprudenza nazionale e
comunitaria e dalle direttive comunitarie, a loro volta modificatesi col tempo sino all’ultima
2001/23/CE, è la nuova formulazione dell’art. 2112 come sostituito dall’art. 1 d.lgs. 18/01 con
decorrenza dal 1.7.2001.
Il comma 5° recita: “Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per
trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un’attività
economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni
o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità, a
prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento è
attuato, ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda….”.
Di fronte a questa norma non è sufficiente per negare il trasferimento di azienda porre in
rilievo che la fattispecie realizzata è quella del comma 6° e non quella del comma 3° dell’art. 52
norme FIGC ma occorre chiedersi se l’assegnazione da parte della FIGC del titolo sportivo perso
dal Torino Calcio spa alla Società Campo Civile Torino srl (poi trasformatasi in Torino F.C. spa)
configuri un trasferimento d’azienda nel senso descritto dall’art. 2112 comma 5° c.c..
L’evidente particolarità del caso in esame è data dal fatto che non vi è trasferimento di beni
materiali da una società all’altra ma unicamente perdita da parte della vecchia società del titolo
sportivo ed acquisizione del medesimo da parte della nuova per effetto di una decisione dell’autorità
sportiva FIGC.
La circostanza che non vi sia stato un rapporto contrattuale diretto avente ad oggetto il
trasferimento del titolo da Torino Calcio spa a Torino FC spa è irrilevante: la giurisprudenza aveva
già affermato che la mancanza di tale rapporto contrattuale non osta a configurare un trasferimento
di azienda (v. Cass. 21023/07; Id. 5934/04) e la dizione dell’art. 2112 comma 5° (“qualsiasi
operazione … a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il
trasferimento è attuato”) è di tale ampiezza da ricomprendere il caso in esame.
Né è dubbio che la gestione di una squadra di calcio dia luogo ad un’attività economica
organizzata al fine dello scambio di servizi.
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GIURISPRUDENZA
Trasferimento del titolo sportivo.…
Né, infine è dubbio che vi sia stato mutamento della titolarità dell’attività economica poiché
Torino Calcio spa era soggetto preesistente e Torino FC spa è soggetto giuridico diverso (ed anche
con assetto proprietario totalmente diverso).
Il punto delicato è, come già sopra anticipato, se sia sufficiente il passaggio del titolo
sportivo ad integrare il trasferimento di azienda.
Indubbiamente la giurisprudenza ha progressivamente ampliato il concetto, giungendo ad
affermare che “può configurarsi un trasferimento aziendale che abbia ad oggetto anche solo un
gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacità operativa sia
assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare know how (o comunque dall’utilizzo di
copyright, brevetti, marchi, ecc) …” (Cass. 206/04; Id. 19842/03).
Tuttavia ritiene questa corte che la nuova formulazione della norma imponga di spingersi
più avanti; essa, infatti, individua il trasferimento di azienda non già nel passaggio di beni materiali
o immateriali organizzati quanto nel fatto che, attraverso non importa quale operazione, vi sia stato
il mutamento di titolarità dell’attività economica organizzata preesistente e che questa conservi nel
trasferimento la propria identità.
La conservazione dell’identità pur in assenza di passaggio di beni materiali organizzati, è il
punto decisivo e qui viene in rilievo la particolarità dell’attività economica sportiva. Certamente il
passaggio di beni materiali ed immateriali organizzati facilita l’accertamento della conservazione
dell’identità e, probabilmente, è sufficiente quando si tratti di normali imprese industriali o
commerciali (peraltro la giurisprudenza, in tema di cessione del marchio e tutela del consumatore
prima della novella del 1992, riteneva “sufficiente ad integrare la cessione del ramo di azienda la
circostanza del trasferimento dei procedimenti e delle notizie indispensabili alla ripetizione, da parte
del cessionario del marchio del prodotto marcato, con i suoi pregi essenziali così da non produrre
confusione nel pubblico” (così in motivazione Cass. 1424/00).
Per decidere sul punto occorre muovere dal quadro di fatto in cui si inserisce l’assegnazione
del titolo sportivo alla nuova società a norma dell’art. 52 comma 6°.
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Trasferimento del titolo sportivo.…
Presupposto per il ricorso a detta norma è che la società che ha perso il titolo sportivo sia
una “società costituente espressione della tradizione sportiva italiana e con un radicamento nel
territorio di appartenenza”, radicamento individuato in certi requisiti; in tal caso la FIGC, sentito il
sindaco della città, può attribuire, entro termini assai stretti che consentano l’iscrizione al
campionato successivo, il titolo “ad altra società, avente sede nella stessa città della società non
ammessa, che sia in grado di fornire garanzie di solidità finanziaria e continuità aziendale”. La
nuova società deve, quindi, aver sede nella città (per confermare il radicamento sul territorio),
garantire la sua solidità finanziaria (per non ritrovarsi in breve nella situazione che ha fatto perdere
il titolo sportivo alla società precedente) e la “continuità aziendale”. Cosa significa la garanzia della
continuità aziendale? Non può essere, come afferma l’appellata, la garanzia della propria continuità
(chè, allora, il requisito sarebbe un doppione inutile della solidità finanziaria), bensì proprio la
garanzia della continuità con la precedente azienda, in modo che possa continuare la tradizione
sportiva (il che, in altre parole, significa che i tifosi della vecchia squadra possano continuare ad
identificarsi con la nuova).
L’intento sportivo perseguito dalla FIGC è all’evidenza, si pensi anche ai ristretti tempi della
procedura, quello di non lasciare “orfani” gli sportivi e di non disperdere i tifosi della squadra
gestita dalla società che ha perso il titolo.
Se questo è vero, ne discende che l’assegnazione del titolo sportivo non è solo un asettico
“riconoscimento da parte della F.I.G.C. delle condizioni tecniche sportive che consentono,
concorrendo gli altri requisiti previsti dalle norme federali, la partecipazione di una società ad un
determinato Campionato” ma è soprattutto un trasferimento del patrimonio immateriale della
precedente società. E questo patrimonio non ha solo un valore di eredità morale bensì un rilevante
valore economico costituito dalla possibilità di sfruttare economicamente la continuità (si pensi alle
sponsorizzazioni, ai diritti per le riprese televisive ecc.); non per nulla la nuova squadra ha
conservato il nome ed i colori della vecchia e, last but not least, la tifoseria granata ha trasferito la
propria passione sportiva, come è dato notorio, alla nuova squadra, pur composta in gran parte da
calciatori diversi (sul passaggio dei calciatori – che non è oggetto della presente causa – opera la
normativa che consente loro di liberarsi dal vincolo contrattuale con la squadra in casi come il
presente).
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Trasferimento del titolo sportivo.…
Allora, pur in assenza di trasferimento di beni materiali organizzati, si realizza il requisito
della conservazione dell’identità.
Ritiene pertanto la corte che vi siano tutti i requisiti richiesti dall’art. 2112 comma 5° per
configurare il trasferimento di azienda: vi è un’operazione a prescindere dalla tipologia negoziale
(assegnazione da parte della F.I.G.C. del titolo sportivo al Torino F.C. spa) che comporta il
mutamento della titolarità (da Torino spa a Torino F.C. spa) di un’attività economica organizzata al
fine dello scambio di servizi (la gestione di una squadra professionista di calcio rientra senz’ombra
di dubbio in tali parametri), attività preesistente (la Torino spa esisteva da anni) e che conserva nel
trasferimento la propria identità (per effetto della richiesta garanzia di continuità aziendale).
Da ciò consegue che il rapporto di lavoro del B. è proseguito automaticamente col nuovo
datore di lavoro, con conservazione dei diritti relativi (art. 2112 comma 1° c.c.).
L’accoglimento di questo motivo esonera dall’esame dell’altro, relativo alla costituzione di
fatto del rapporto di lavoro.
Deve perciò affermarsi l’esistenza di rapporto di lavoro subordinato con l’appellata dal
26.7.2005, data indicata dall’appellante.
Ne consegue che l’allontanamento dal campo di allenamento avvenuto verbalmente il
28.9.2005 integra l’ipotesi di licenziamento, inefficace perché verbale in violazione dell’art. 2 l.
604/66.
L’appellata deve pertanto essere condannata a corrispondere la retribuzione dal 26.7.2005
sino alla data di ripristino del rapporto, con rivalutazione monetaria ed interessi.
Le spese di entrambi i gradi sono a carico dell’appellata, soccombente.
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Trasferimento del titolo sportivo.…
P.Q.M.
Visto l’art. 437 c.p.c.,
in accoglimento dell’appello,
dichiara che il rapporto di lavoro tra B. P. M. e spa Torino Calcio è proseguito dal 26.7.2005
con Torino FC spa (già Società Civile Campo Torino srl) a sensi dell’art. 2112 c.c.;
dichiara l’inefficacia del licenziamento intimato il 28.9.2005;
condanna Torino FC spa a pagare a B. P. M. le retribuzioni dal 26.7.2005 sino all’effettivo
ripristino del rapporto;
condanna l’appellata a rimborsare all’appellante le spese di entrambi i gradi liquidate
[omissis].
Così deciso all’udienza del 28.10.2008
IL PRESIDENTE Estensore
Dott. Carlo PEYRON
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