comunicare l`azienda nella network society - UPA

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COMUNICARE L’AZIENDA
NELLA NETWORK SOCIETY
orientarsi nel futuro
E-BOOK 2o15
a cura degli studenti
del Corso di Alta Formazione UPA
Corso di alta formazione upa 2015
Comunicare l’azienda nella network society
Prefazione Patrizia Gilberti
Coordinamento e Editing Maria Carlotta Missaglia e Andrea Cuman
Grafica e Impaginazione Marina Bianconi e Giulia Satta
Revisione Miriam Grandi e Riccardo Mottadelli
Testi a cura di Marina Bianconi, Ceclia Bidorini, Piera Colasante,
Valentina Cornagliotto, Rosa Cucchiararo, Giacomo Giuggioli, Miriam Grandi,
Domenico Iermito, Giacomo Legnani, Rosella Limosani, Riccardo Mottadelli,
Alessandra Munafò, Luca Papale, Francesca Papasergi, Maria Silvia Peronetto,
Rosalba Pinto, Federica Ponzo, Stella Sacco, Giulia Satta, Cristina Scala,
Diana Shendrikova, Anna Superti, Martina Trecca, Jessica Vaghi,
Stefania Zona
Distribuito in Licenza Creative Commons
CC BY-NC-ND
COMUNICARE L’AZIENDA
NELLA NETWORK SOCIETY
orientarsi nel futuro
comunicare l’azienda nella network society
Indice
Prefazione ...........................................................................................................6
INTRODUZIONE
1. L’azienda al tempo del web 2.0 e il consumatore social ..................................10
2. Self and Society in the networked era .............................................................18
3. La brand communication tra media tradizionali e social media .......................26
BRANDING
4. Una, nessuna, centomila identità ....................................................................34
5. Il caso Nespresso: dal pensiero alla strategia aziendale ..................................41
6. Dal marketing al societing nella brand society .................................................47
7. Fare la spesa di significati ...............................................................................55
8. Etica e responsabilità sociale d’impresa ..........................................................60
MARKETING
9. Il concetto di marketing ...................................................................................66
10. Trade Marketing: definizioni, storia, sviluppo ................................................72
11. Il web 2.0 e il nuovo contratto sociale ...........................................................79
12. Logiche e sviluppi del Mobile marketing .......................................................86
13. Digital marketing e social CRM ......................................................................93
14. Comunicazione e marketing cross-culturale...................................................99
15. Il media planning integrato ...........................................................................105
16. Flat Design First .............................................................................................112
17. Creatività e nuove forme della comunicazione pubblicitaria crossmediale ....128
18. Gli eventi: strumenti di marketing e comunicazione ......................................136
comunicare l’azienda nella network society
STRUMENTI
19. Le ricerche sui media ....................................................................................148
20. Social media listening ...................................................................................154
21. Google e siti web 2.0 ....................................................................................162
22. Google AdWords e Google Analytics ..............................................................169
23. Viral video .....................................................................................................178
24. I Big Data e la loro rappresentazione .............................................................188
NORMATIVE
25. Comunicazione pubblicitaria: profili normativi e autoregolamentazione .......196
Glossario ............................................................................................................210
Autori ..................................................................................................................224
comunicare l’azienda nella network society
prefazione
di Patrizia Gilberti
Anche quest’anno il Corso di Alta Formazione UPA è giunto al termine. Dopo tante
lezioni e giorni passati insieme, ci siamo prefissati, come gli scorsi anni, di
raccogliere gli interventi dei docenti. Questo ebook riporta gli appunti d’aula
degli studenti, arricchiti da una piccola bibliografia ragionata e da un glossario
sui concetti di maggior interesse trattati nel corso.
Come per le precedenti edizioni il corso ha fornito una visione d’insieme delle
opportunità offerte dai media digitali e dai social media al marketing e alla
comunicazione aziendale.
Partendo dal presupposto che lo scenario dei media e della comunicazione è
sempre più complesso ed evolve con ritmi sempre più rapidi, l’obiettivo del
corso era quello di favorire una formazione in grado di cogliere l’impatto delle
nuove tecnologie sui contesti sociali, culturali, economici e tecnologici che stanno
ridefinendo i mercati contemporanei.
Le tematiche di fondo nel 2015 sono state lo sviluppo sostenibile e il ruolo centrale
della comunicazione nel costruire narrazioni capaci di trasmettere nel modo più
efficace il valore (aggiunto) che nasce dal legame fra un’azienda e il suo territorio.
A una parte più teorica sono stati affiancati project work operativi per permettere
agli studenti di mettersi davvero in gioco. Sviluppare un progetto di marketing
e di comunicazione per una grande azienda è stato, in particolare, l’obiettivo
formativo di questi progetti. Gli studenti hanno avuto l’opportunità di lavorare
su brief reali, che rappresentano problemi e obiettivi di alcune grandi aziende,
come Coop, (brand identity), Ferrero (Nutella - brand reputation), Snam (CSR e
brand awareness), Volvo (scouting e analisi di aziende) e di startup come Farma
Marketing Network (strategie e strumenti di comunicazione per il network).
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comunicare l’azienda nella network society
La prima competenza che gli studenti hanno potuto allenare lungo questo
percorso di crescita, molto concreto e operativo, è la capacità di analizzare la
strategia di marketing e comunicazione di un’azienda, individuando i suoi punti
di forza e di debolezza rispetto ai competitor e al mercato, approfondendo il
modello di business, esplorando la comunicazione, soprattutto nelle sue
declinazioni digital e social.
In secondo luogo, con l’aiuto di strumenti di monitoraggio come BlogMeter, i
ragazzi hanno potuto prendere confidenza con le dinamiche conversazionali
della rete e dei social, sviluppare una sensibilità ai numeri e raffinare la capacità
di individuare consumer insight.
Una terza competenza messa in gioco è la capacità di elaborare strategie e
concept di comunicazione, lavorando sullo sviluppo di proposte creative, sulla
base delle criticità/opportunità emerse durante l’analisi.
Inoltre gli studenti hanno appreso a migliorare il gioco di squadra, a capire le
competenze e a valorizzare le potenzialità di ognuno.
Public speaking, preparazione dei supporti di presentazione e capacità di
argomentare le proprie scelte hanno completato il percorso.
Le pagine che seguono, insieme agli articoli scritti dagli studenti durante l’anno
per il Blog del Corso sono contributi aperti e rappresentano un progressivo
approfondimento dei temi trattati anche nei precedenti anni, in una logica di
condivisione e arricchimento reciproco.
In questa prospettiva una novità importante è UPA Academy, piattaforma di
social learning, all’interno della quale è confluito il Blog del corso.
UPA Academy ha favorito quest’anno la collaborazione tra studenti, tutor e
professori e la condivisione di tutti i contenuti delle lezioni: interventi dei docenti,
approfondimenti personali, materiale bibliografico e materiale di studio. Oltre
a essere di supporto all’attività didattica in aula, ha consentito di lavorare a
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comunicare l’azienda nella network society
distanza nello sviluppo dei project work.
È ora anche utile nel job placement: le aziende potranno trovare i curricula
aggiornati dei partecipanti dei corsi UPA, anche degli anni precedenti.
Un’ultima considerazione: UPA Academy è nata allo scopo di favorire la
diffusione di idee, spunti di riflessione ed esperienze di persone con sensibilità
e competenze diverse e ci auguriamo possa divenire punto di riferimento e di
aggiornamento continuo per gli appassionati di comunicazione interessati a
farne parte.
A conclusione dell’anno vorrei rivolgere anche a nome dell’UPA un sincero
ringraziamento a tutti coloro che hanno dato un contributo al Corso e lo hanno
reso così speciale. Quanta energia, passione e inspiration hanno animato l’aula!
Grazie, quindi:
• a Fausto Colombo (Università Cattolica), Guido Di Fraia (Università IULM),
Roberto Grandi (Università di Bologna), per il prezioso contributo dato nel
Comitato Scientifico che ha disegnato un percorso di eccellenza caratterizzato
da un utile e necessario equilibrio tra contenuti teorici e competenze pratiche;
• ai docenti universitari e agli affermati professionisti che hanno aperto le menti dei
nostri giovani, stimolandole con contaminazioni provenienti da discipline diverse;
• a Tiziana De Icco di Ferrero, Francesco Cecere di Coop Italia, James Osborne
di Lundquist per Snam, Paolo Casti per Volvo Ocean Race e Paolo Bertozzi per
Farma Marketing Network, che hanno supportato con grande disponibilità i
team legati ai diversi project work.
Ringrazio inoltre: Carlotta Missaglia, tutor e importante riferimento anche per
la content curation del Corso; Andrea Cuman, il Lato Oscuro della Forza, che
insieme a Carlotta ha coordinato l’ebook; Andrea Genovese, coordinatore dei
project work e CEO di Social Academy con cui abbiamo anche progettato UPA
Academy.
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comunicare l’azienda nella network society
Infine un augurio di cuore per un “radioso futuro” a Marina, Cecilia,
Piera,Valentina, Rosa, Giacomo, Miriam, Domenico, Giacomo, Rossella,
Riccardo, Alessandra, Luca, Francesca, Maria Silvia, Rosalba, Federica, Stella,
Giulia, Cristina, Diana, Anna, Martina, Jessica, Stefania che con impegno,
intelligenza, curiosità, passione ed entusiasmo hanno vissuto questi cinque
intensi mesi di Corso senza mai risparmiarsi.
Oggi si è conclusa una fase, ma il loro viaggio prosegue…
Sulla home page di UPA Academy appare una bussola: strumento che aiuta a
orientarsi nel futuro e che indica una direzione precisa verso cui muoversi senza
smarrirsi lungo il percorso. Questo è quello che il corso ha voluto essere per i
ragazzi.
Il Comitato UPA Formazione - a cui aderiscono importanti aziende quali
Assicurazioni Generali, Eni, Ferrero, Intesa Sanpaolo, Lavazza, Veneto Banca e
protagonisti di primissimo piano del mondo della comunicazione come Auditel,
Clear Channel, IGP Decaux, Nielsen, OPQ, Piemme, Publitalia ‘80, Mondadori
Pubblicità, Rai Pubblicità, RTL 102.5 - si pone da oltre venticinque anni l’obiettivo
di fornire le conoscenze e gli strumenti utili per sviluppare le competenze, le
esperienze e le capacità dei professionisti della comunicazione e di facilitare
l’incontro di giovani laureati di talento con il mondo del lavoro.
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comunicare l’azienda nella network society | INTRODUZIONE
L’azienda al tempo del web 2.0
e il consumatore social
Tratto dalla lezione di Guido Di Fraia | di Luca Papale
Web 2.0: in molti hanno tentato di definire questo fenomeno in maniera
univoca per distinguerlo dal web 1.0 (O’Reilly, 2005; Grivet Foiaia, 2007; Cormode
& Krishnamurthy, 2008; Lafuente & Righi, 2011), arrivando anche a teorizzare delle
declinazioni successive come web 3.0, 4.0 e così via (Aghaei, Nematbakhsh
& Khosravi Farsani, 2012). Andando a ricercare dei punti in comune tra i vari
teorici del web e le riflessioni da loro prodotte, ciò che emerge è che il web è
passato dall’essere statico a dinamico, da unilaterale a multilaterale, spostandosi
sempre di più verso la partecipazione collettiva.
Ciò che è importante capire, soprattutto in ottica di comunicazione aziendale,
è che l’evoluzione del web – un fenomeno costante, che va tenuto sempre in
osservazione data la sua natura fluida – ha modificato il modo in cui le persone,
e dunque i consumatori, vivono il loro rapporto con i beni di consumo e con chi
li produce e li distribuisce. Con il volgere del XX secolo, l’evoluzione tecnologica ha dimostrato un carattere
di crescita esponenziale, tale da modificare le vite dei singoli e delle società
in maniera radicale e alterarne prepotentemente la percezione del tempo
e dello spazio (Kern, 2007). Crescita esponenziale significa, infatti, che, con il
passare del tempo, la velocità con cui le tecnologie e i suoi usi mutano aumenta
costantemente. E così, correndo verso il 2000 e oltre tra immaginari cyberpunk,
speranze e paure, la tecnologia ha subito cambiamenti radicali. I CD e gli
MMS, apparentemente tecnologie rivoluzionarie, hanno avuto un ciclo di vita
brevissimo.
La bolla delle Dot-com è esplosa, causando da un lato danni economici di
proporzioni enormi, e dall’altro applicando il darwinismo al mondo del
business digitale. L’utilizzo sporadico e mirato di Internet con connessione
a 56k – che impegnava la linea telefonica – si è evoluto in una vita sempre
connessa e interconnessa a banda larga. Le schede telefoniche e le cartoline,
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la brand communication tra media tradizionali e social media
elementi immancabili di ogni vacanza, hanno ceduto il passo all’immediatezza
di WhatsApp, ai piani tariffari flat, al Wi-Fi gratis nei bar. L’obsolescenza
programmata (Latouche, 2015) è diventata una realtà che le persone hanno
metabolizzato con facilità e accettato in maniera quasi automatica, travolte dalla
velocità con cui il panorama tecnologico – e, con esso, il tessuto sociale – muta,
relegando a un passato, che è allo stesso tempo sia prossimo che remoto,
dispositivi e infrastrutture che sembravano destinati a restare per sempre.
Contemporaneamente, le nuove tecnologie approdate con prepotenza, ma
silenziosamente, nella vita di tutti i giorni, sembrano essere sempre esistite.
I social network sono sicuramente tra le innovazioni tecnologiche e comunicative
che più si sono infiltrate nel tessuto sociale con rapidità e naturalezza, diventando
una componente importante, quasi indispensabile, delle vite di buona parte
della popolazione mondiale. Come riportato da Wired, “Il 31% del traffico ai
siti arriva dai social network. Sono loro il vero driver che porta contatti, e la
percentuale di questo effetto traino continua a crescere: a dicembre 2014 ha
raggiunto quota 31.24%, contro il 22.71% dello scorso anno” (Parlangeli, 2015).
Un’altra serie di innovazioni che pervade l’attuale panorama sociale è tutto
ciò che va sotto il nome di
tecnologia indossabile (Fig.
1): dai casi estremi di persone
con arti biomeccanici e chip
sotto pelle, a tecnologie
legate
all’entertainment
come Oculus Rift e Microsoft
HoloLens, fino ad arrivare a
casi quotidiani di auricolari
Bluetooth,
smartwatch,
Google Glass, sensori di
prossimità e gli stessi telefoni
cellulari che, più spesso Fig. 1: Esempi di tecnologia indossabile. Fonte: contegix.com
tenuti in mano che in tasca,
sono un vero e proprio capo d’abbigliamento a metà tra la tecnologia e la moda.
L’altra faccia della medaglia di questo mondo sempre più simile alle suggestioni
11
la brand communication tra media tradizionali e social media
di Gibson, Dick, Asimov e Kojima è il digital divide (Bauerlein, 2011).
Da un lato ci sono persone sempre aggiornate e al passo con la tecnologia che
le circonda e si sviluppa intorno a loro, dall’altro c’è chi a questa tecnologia non
Fig. 2: L’uso dei social network in Italia da PC, smartphone e tablet. Fonte: Makno, Laboratorio Conme, 2014
ha accesso, e nel mezzo c’è chi, pur avendo accesso alla tecnologia, non riesce a
utilizzarla appieno, soprattutto in ottica prosumer. I motivi di questa esclusione
sono vari: si va da ragioni geografiche a culturali, politiche, demografiche,
sociali. L’Italia sembra
contenere tutte queste
motivazioni. Molte aree
del Bel Paese sono
caratterizzate da una
scarsa copertura di
rete per via delle loro
peculiarità geografiche,
altrove è difficile
cablare determinate
Fig. 3: Dal marketing funnel all’user experience journey. Fonte: McKinsey 2007, Cap Gemini 2013
città per colpa di piani
urbanistici obsoleti e della tendenza di questa antica terra a svelare patrimoni
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la brand communication tra media tradizionali e social media
archeologici sepolti ogni volta che si apre un cantiere.
I governi che si susseguono rimandano a oltranza l’aggiornamento delle
infrastrutture, e settano obiettivi e deadline a quindici anni da adesso,
dimenticando che nel frattempo la tecnologia avrà continuato ad accelerare la
propria crescita (Massaro & Sideri, 2015).
Forse anche per queste ragioni la navigazione in rete si sposta sempre più dal
wired al wireless, dal PC al cellulare/tablet (Fig. 2): come riporta ancora una
volta Wired, “se da una parte siamo ben sotto la media per quanto riguarda la
possibilità di accedere alla Rete, dall’altra siamo senza dubbio davanti rispetto
al continente europeo in termini di ore trascorse online e di utilizzo dei social
media soprattutto via mobile. […]
In Italia il tempo medio speso su Internet ogni giorno è di 4,7 ore tramite laptop/
desktop, e di 2,2 ore accedendo tramite mobile” (Foggetti, 2014).
Questa onnipresenza del web, anche outdoor, ha radicalmente modificato
le modalità di acquisto di beni e servizi da parte dei consumatori. Se prima
dell’ubiquità della rete dominava un modello lineare, che conduceva il potenziale
cliente dal marketing all’acquisto con modalità e tempi ben quantificabili
Fig. 4: Le chiavi del successo in campo aziendale nel corso delle epoche.
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la brand communication tra media tradizionali e social media
(marketing funnel), ora il
processo d’acquisto è un vero
e proprio viaggio (Fig. 3) fatto
di deviazioni, ripensamenti,
consultazioni di fonti di
informazione
molteplici,
utilizzo di app e siti di
e-commerce,
recensioni
online e comparatori di
prezzi – TriVaGo, TripAdvisor,
eDreams, Amazon, Zalando,
per citarne solo alcuni.
Risorse online e negozi fisici
diventano le une lo specchio Fig. 5: Identikit del consumatore social.
degli altri: se è vero che
una ricerca in rete può indirizzare il consumatore verso l’acquisto di un bene
presso un determinato negozio, è altrettanto vero che un oggetto visto nella
classica vetrina può essere semplicemente il motore d’azione per ricerche più
approfondite online, a cui potrebbe seguire un acquisto direttamente tramite
siti di e-commerce.
È in questo panorama in continua evoluzione, fatto di tecnologie mutevoli
e pubblici eterogenei,
che la comunicazione
aziendale deve muoversi
oggi, cercando da un
lato di accomodare, se
non anticipare, i trend
comunicativi e sociali
legati alla nascita di nuove
tecnologie, e dall’altro di
non abbandonare tutti
coloro che non vogliono
o non riescono a stare al
Fig. 6: Il ruolo del digitale nella nuova comunicazione aziendale.
14
la brand communication tra media tradizionali e social media
passo con i tempi.
Mentre per il secondo compito basta continuare a fare affidamento su quanto
già testato, studiato e sperimentato sul campo in anni di comunicazione e
marketing, accontentare il consumatore social diventa la sfida che determina,
spesso, la sopravvivenza di un’azienda.
C’è stato un cambio di paradigma nel corso degli anni che ha visto l’ago della
bussola spostarsi gradualmente, nella ricerca della giusta via per un business
di successo, dall’importanza della produzione di beni alla loro distribuzione e
promozione; oggi, quell’ago punta direttamente sull’utente finale (Fig. 4), posto
al centro dell’universo di molti brand di successo, al punto che alcuni hanno
incluso questo concetto nei loro payoff, come ad esempio Banca Mediolanum
(“costruita intorno a te”) e Vodafone (“tutto intorno a te”).
Per questi motivi, oggi più che mai, la comunicazione aziendale non può essere
unilaterale: deve essere un dialogo vero e proprio tra azienda e consumatori in
cui il feedback da parte di questi ultimi non si esprime solo in termini d’acquisto
di prodotti e servizi, ma anche in commenti su pagine Facebook, creazione e
condivisione di contenuti, utilizzo di hashtag, partecipazione attiva alla creazione
di brand identity e brand awareness.
Il consumatore social (Fig. 5), infatti, è molto più esigente e avveduto
del consumatore del passato: è informato, comunica con le persone che
condividono i suoi stessi interessi attraverso molteplici canali, vuole sentirsi
parte attiva del processo produttivo e comunicativo, e soprattutto vuole potersi
esprimere liberamente ed essere ascoltato, al fine di ottenere un servizio ancora
più conforme alle sue aspettative. Più che un consumer, insomma, è uno user.
Per questo motivo, l’azienda deve imparare a utilizzare strategicamente tutto ciò
che concerne la comunicazione negli ambienti digitali (Fig. 6). Si va dalle nozioni
base di web design alla capacità di saper raccogliere e analizzare dati relativi alle
query dei motori di ricerca (search listing) e ai comportamenti dei consumatori
mentre fruiscono i contenuti offerti e veicolati dai canali comunicativi aziendali.
Quanti accessi ha un determinato contenuto al giorno, quanto a lungo stazionano
gli utenti su una pagina internet, cosa leggono, dove cliccano, quali tipi di
contenuto suscitano maggior interesse: sono tutte informazioni che un’azienda
può estrapolare grazie a strumenti come Facebook Insights e Google Analytics,
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la brand communication tra media tradizionali e social media
e saperle interpretare correttamente è la chiave per una comunicazione quanto
più efficace possibile. Chiaramente, affinché questi strumenti riportino dati
incoraggianti, è importante innanzitutto ottimizzare i siti internet in modo da
renderli user friendly, ottimizzati dal punto di vista dei motori di ricerca (SEO) e
soprattutto, anche in virtù di quanto detto poc’anzi sulla migrazione dal desktop
al mobile, facilmente navigabili da tablet e cellulari (Prunesti, 2013; Di Fraia,
2012).
L’azienda deve imparare tutto questo e deve farlo in fretta. Ma non solo: deve
essere pronta a dimenticare tutto ciò che sa, riadattare le proprie conoscenze
alle nuove direzioni in cui la tecnologia virerà. Investire oggi nella formazione di
responsabili di marketing e PR al corretto uso di piattaforme come Facebook e
Twitter potrebbe rivelarsi un investimento oculato, ma ovviamente non ci sono
garanzie sul futuro.
Certo, viene da pensare che i social network siano destinati a rimanere così
come li conosciamo. Sembra impossibile immaginare che possano diventare
obsoleti, soppiantati da tecnologie migliori, più attuali, più adatte a soddisfare
le esigenze della gente. Ma lo si pensava anche degli SMS.
VAI ALL'INDICE
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la brand communication tra media tradizionali e social media
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Aghaei, S., Nematbakhsh, M. A., Khosravi Farsani, H., 2012, “Evolution of the World
Wide Web: From Web 1.0 to Web 4.0”, «International Journal of Web & Semantic
Technology» (vol. 3, n. 1).
Bauerlein, M., 2011, The Digital Divide. Arguments for and Against Facebook, Google,
Texting, and the Age of Social Networking, Los Angeles: Tarcher Books.
Cormode, G., Krishnamurthy, B., 2008, “Key differences between Web 1.0 and Web
2.0”, «First Monday» (vol. 13, n. 6).
Di Fraia, G. (a cura di), 2012, Social Media Marketing. Manuale di comunicazione
aziendale 2.0, Milano: Hoepli.
Foggetti, L., 2014, “Lo scenario social, digital e mobile in Europa e in Italia”, «Wired.
it» (17/02).
Grivet Foiaia, L., 2007, Web 2.0. Guida al nuovo fenomeno della rete, Milano: Hoepli.
Kern, S., 2007, Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento,
Bologna: Il Mulino.
Lafuente, L. A., Righi M., 2011, Internet e Web 2.0, Torino: UTET Università.
Latouche, S., 2015, Usa e getta. Le follie dell’obsolescenza programmata, Torino:
Bollati Boringhieri.
Massaro, F., Sideri, M., 2015, “Governo, pronto il piano «Ring»: un decreto per la rete
veloce Telecom”, «Corriere.it» (28/02).
O’Reilly, T., 2005, “What Is Web 2.0. Design Patterns and Business Models for the Next
Generation of Software”, «O’Reilly Network» (30/09).
Parlangeli, D., 2015, “Il 31% del traffico sui siti arriva dai social network”, «Wired.it»
(16/02).
Prunesti, A., 2013, Social media e comunicazione di marketing. Presidiare la Rete,
costruire relazioni e acquisire clienti con gli strumenti del web 2.0, Milano: Franco
Angeli.
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comunicare l’azienda nella network society | INTRODUZIONE
Self and society in the networked era
Tratto dalla lezione di Fausto Colombo | di Rosa Cucchiararo
Indagare la rete e i fenomeni a essa correlati presuppone il chiarimento della natura
sociale e tecnologica che caratterizza l’oggetto di studio. Siamo circondati e utilizziamo
dispositivi che rispondono alla definizione di digitale e ci fanno vivere in un continuum
tra online e offline in cui le due dimensioni non sono contrapposte ma si integrano a
vicenda1. Internet, grande spazio senza confini in cui si sviluppano quotidianamente
scambi tra individui, ha posto le basi per un modo alternativo di comunicare e
interconnettersi rispetto alle tradizionali forme di interazione. In questo grande reticolo,
fatto di scambi e di intrecci, si generano fenomeni sociali nuovi a partire dalla costruzione
del sé e dal rapporto con l’altro.
Michael Foucault, negli anni
Settanta, definisce il potere e
le gerarchie sociali a partire dal
termine dispositivo utilizzando
come metafora visiva il
Panopticon, sistema penitenziario
immaginato dal filosofo e
sociologo del XXVIII secolo Jeremy
Bentham. Si tratta di un edificio
carcerario di forma circolare in
cui i custodi hanno la possibilità
di osservare potenzialmente
tutti i prigionieri anche quando
sono chiusi nelle loro celle ma Fig. 1 Michael Ulrich, “Panopticon”
non viceversa. Si crea, quindi, Fonte: http://catalystgallery.com/2013/12/go-home-town-to-shop/
un’asimmetria fondamentale tra
il vedere e l’essere visti, in cui la trasparenza diventa un elemento quasi obbligatorio,
ma nello stesso tempo l’esercizio del potere tende a minare la libertà dell’individuo2.
L’architettura del Panopticon delinea una concezione di potere molto diversa rispetto
al passato: un potere non più calato dall’alto in una verticalità fatta di gerarchie e strati
sociali ma interno alla società stessa, in grado di essere pervasivo a tutti i livelli e di
generare relazioni di potere a volte difficili da individuare in uno scenario da Big Brother
1
2
Cfr. C. GIACCARDI, La comunicazione interculturale nell’era digitale, Il Mulino, Bologna, 2012.
Cfr. M. FOUCAULT, Sorvegliare e punire: la nascita della prigione, Einaudi, Torino, 1975.
18
Self and society in the networked era
orwelliano senza possibilità di sapere quando gli schermi di controllo sono accesi
o spenti3. A partire dal concetto di dispositivo foucaltiano viene quindi da chiedersi
se, effettivamente, ci si possa sentire oggi tutti convolti in questo processo. E ancora:
che grado di lungimiranza si possa avere sulle conseguenze sociali dell’avanzamento
tecnologico analizzando l’evoluzione dei dispositivi.
Guardando al concetto di digitale da un punto di vista sincronico, si può affermare
che attualmente, a livello globale, esiste una sostanziale disuguaglianza nell’accesso e
nell’utilizzo delle tecnologie nella Società dell’Informazione, il cosiddetto Digital Divide.
Si tratta del “divario”, della “divisione” digitale, che ha come conseguenza la difficoltà
di alcune categorie sociali o di interi Paesi di usufruire di tecnologie digitali, in primo
luogo per la mancanza di infrastrutture fisiche in fibra di rame o ottica necessarie al
trasporto dei dati. Ciò genera complesse problematiche che coinvolgono tutti gli aspetti
della vita di una comunità: economici, culturali e sociali, escludendo una copiosa fetta
della popolazione mondiale dalla vita online e dai suddetti vantaggi che il digitale ha
di fatto creato.
Da un punto di vista diacronico, il concetto di digitale si è evoluto nelle tappe della
cosiddetta rivoluzione tecnologica, un processo lungo e non lineare che racchiude
dimensioni di natura tecnologica, economica, culturale e sociale. La tecnologia si evolve
in maniera discontinua e ha come conseguenza il cambiamento di abitudini sociali che
non sempre sono prevedibili.
Società e tecnologia si influenzano e si plasmano a vicenda in un’evoluzione in cui
diventa fondamentale distinguere le novità passeggere dai cambiamenti permanenti
tramite un atteggiamento di fiducia critico e costruttivo. Per mettere a fuoco i punti
salienti della rivoluzione tecnologica, si può affermare che essa abbia attraversato tre
grandi macroperiodi:
• L’età del computer, i cui padri fondatori sono considerati gli studiosi Alan Turing,
creatore del modello teorico alla base del concetto moderno di software4, e Von
Neumann, che traduce il modello del primo in un’architettura hardware realizzabile.
Nel 1965 nasce il primo computer prodotto dalla Olivetti, una vera e propria rivoluzione
in quanto fino ad allora i computer occupavano intere stanze mentre l’Olivetti
Programma 101 era compatto e programmabile e occupava una semplice scrivania.
Circa dieci anni dopo, nel 1977, sulla scia dello sviluppo di un linguaggio di
3
4
Cfr. G. ORWELL, 1984, Mondadori, Milano, 2002.
Cfr. A. TURING, On Computable Numbers, 1936.
19
Self and society in the networked era
programmazione più moderno nasce, a opera di Steve Jobs e Steve Wozniac, il primo
Personal Computer domestico, l’Apple II, che concentra tutta la tecnologia elettronica in
una scatola comprensiva di tastiera, rendendo accessibile a tutti una tecnologia fino a
quel momento riservata ai laboratori di informatica.
• L’età della rete, in cui grazie ad Arpanet, ideata nel 1969 dal Dipartimento della
Difesa degli Stati Uniti, si rivoluziona il concetto di spazio e tempo tramite il supporto
di infrastrutture adeguate. Arpanet fu pensata con finalità difensive durante la Guerra
Fredda ma diede origine a uno dei più importanti progetti civili dei giorni nostri: una
rete globale capace di collegare tutta la Terra. La connessione a lungo raggio produce
delle conseguenze sia al livello economico, giovando alle attività commerciali5 che
vivono nuove prospettive economiche, sia ai privati che assistono e si approcciano
a nuove realtà Social come MSN, Amazon, Ebay, Google, Myspace, Napster, ecc.
• L’età dei media ibridi, in cui si verifica un’appropriazione dei mezzi di produzione
e creazione di contenuti da parte degli utenti e che ha nel Web 2.0 e nella nascita dei
Social Network la sua conseguenza sociologica più rilevante.
Il fenomeno dell’ibridazione dei media, da un punto di vista tecnologico, è stato definito
Convergenza Digitale, con riferimento all’unione di una serie di formati diversi che
erogano informazione tramite l’utilizzo di un’unica interfaccia. Nicholas Negroponte,
negli anni Novanta6, individuava nella convergenza il motore per la libera circolazione
dell’informazione sempre meno connessa con un territorio e sempre più ritagliata sulle
esigenze dei suoi fruitori. Se questo da un lato avviene grazie alla diffusione su larga
scala della banda larga, dall’altro avvicina settori storicamente separati come quello
dell’informatica, della stampa, dell’editoria e della televisione e crea uno spazio per la
nascita e l’evoluzione di un fruitore di contenuti diverso dal passato la cui cifra distintiva
è la partecipazione o, meglio, la possibilità di partecipare alla creazione di contenuti.
Come sostiene Jenkins:
“la convergenza non avviene tra le attrezzature dei media […] ma nei cervelli dei singoli
consumatori nonché nelle loro reciproche interazioni sociali. Ognuno di noi si crea una sua
personale mitologia delle unità e dei frammenti di informazione estratti dal flusso mediatico e
trasformati in risorse da cui trovare il senso della propria vita quotidiana” 7.
Jenkins guarda al fenomeno nell’ottica dell’“intelligenza collettiva” teorizzata dal cyber
Si confronti sul tema l’High Performance Computing Act.
N. NEGROPONTE, Essere digitali, Sperlinkg & Kupfer, 2009.
7
Cfr. H. JENKINS, Cultura convergente, APOGEO, 2007. Ivi, p. XXVI.
5
6
20
Self and society in the networked era
teorico Pierre Levy8 per cui, avendo molte più informazioni a disposizione su qualsiasi
tema rispetto al passato, siamo maggiormente incentivati a parlare tra noi dei media
che fruiamo in un’ottica più aperta alla condivisione di contenuti e informazioni. Il
pubblico, immerso in un flusso di temi sganciati dalla rigidità spazio-temporale che
scorrono in un continuum mobile, in contesti differenti e temporalità sovrapposte, si
ridefinisce in un’accezione sempre più distante dalla teorizzazione passiva della teoria
ipodermica9. Secondo la letteratura che ha concettualizzato l’attività delle audience, si
possono quindi individuare cinque caratteristiche principali dell’audience stesse:
• La selettività nell’orientare i propri gusti;
• L’utilitarismo che media le esigenze specifiche del fruitore;
• L’intenzionalità nell’elaborazione diretta e dinamica delle informazioni;
• La refrattarietà all’influenza e quindi la resistenza alle informazioni considerate indesiderate;
• Il coinvolgimento dato dall’immersione in un’esperienza mediale ed emotiva.
Oltre a questi elementi riguardanti prevalentemente la ricezione, l’elaborazione e
l’approccio con i contenuti, si delineano i margini per la nascita di un nuovo fenomeno:
la creazione di contenuti da parte dell’utente. Gli user-generated-content (UGC),
materiali disponibili sul web creati o condivisi dagli utenti grazie alle potenzialità del
Web 2.0, contribuiscono a espandere le libertà e il livello di autonomia del fruitore.
Da un punto di vista culturale, si assiste, dunque, a un cambiamento sostanziale in
cui lettura e scrittura diventano processi multimediali dove ognuno può portare il
proprio contributo in un processo dinamico e collettivo. I blog, versione online dei diari
personali, danno la possibilità all’utente di poter pubblicare qualcosa in autonomia
e incoraggiano i seguaci a partecipare tramite l’espressione di opinioni mediante
commenti. Come le antenate Comunità Virtuali, stimolano le relazioni sociali generando
discussioni pubbliche con un certo livello di emozioni umane fino a formare reticoli di
relazioni sociali e personali. Relazioni sociali che non solo arricchiscono il lettore alla
ricerca di informazioni ma che generano nuclei di persone, tribù di appassionati attorno
a temi di interesse comune sempre più interessanti anche per le aziende. Queste ultime
hanno dovuto rivedere la propria comunicazione con consumatori e fan alla ricerca di
influencer per supportare i propri contenuti e i propri valori d’impresa ma soprattutto
per essere più vicini ai propri mercati di riferimento. Si pensi alle fashion blogger che
tramite il meccanismo del word of mouth sono in grado di attirare l’attenzione degli
appassionati di moda e delle fashion victism10.
Cfr. PIERRE LEVY, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano, 2002.
Cfr. D. MCQUAIL, Sociologia dei media, Il Mulino, Bologna, 2007.
10
Il neologismo coniato dallo stilista Oscar de la Renta, indica chi segue i dettami della moda senza senso
critico.
8
9
21
Self and society in the networked era
Si assiste da un lato al ribaltamento del concetto di trickle-down11 – teorizzato da
George Simmel alla fine dell’Ottocento per cui la moda ”sgocciola” dall’alto verso il
basso, dalle classi agiate alle masse e si estende poi orizzontalmente secondo il
principio dell’imitazione. Le fashion blogger, tramite la loro influenza, sono infatti in
grado di generare flussi opposti – dal basso verso l’alto – trasformando la loro passione
in un’attività professionale; dall’altro lato le aziende trovano in queste figure l’anello
mancante tra esse e i propri mercati in quanto in grado di catalizzare i gusti e gli interessi
delle loro comunità di followers.
Non è raro, a tal proposito, che le aziende propongano partnership per essere sui canali
di comunicazione di queste preziose opinion leader che creano tendenze e seguito sulla
base delle proprie abitudini personali.
Le aziende coinvolgono gli utenti e gli appassionati della rete anche in contest creativi
basati sul fenomeno del crowdsourcing, considerato un vero e proprio modello di
business in cui si delega agli abitanti della rete la realizzazione e lo sviluppo di progetti
anche a persone non precedentemente organizzate tra di loro. Nato come forma di
partecipazione spontanea di volontari che dedicavano il proprio tempo alla creazione
di contenuti e alla risoluzione di problemi, oggi il crowdsourcing viene visto come
possibilità di visibilità e notorietà per i freelance e una possibilità di ampliare su
larghissima scala i contenuti di valore per le corporation.
In realtà il fenomeno nasconde delle ombre e, nonostante la nascita dal basso,
sembra che i vantaggi di questo scambio pendano dalla parte delle aziende che hanno
la possibilità di utilizzare un gran numero di idee a basso costo o addirittura a costo
zero, puntando sulla soddisfazione intellettuale dell’utente “sempre più desideroso di
condividere le proprie idee su scala globale”12.
Il fenomeno del crowdsourcing mette in luce la dimensione economica della rivoluzione
tecnologica che ha un funzionamento non lontano dal modello capitalistico, come
evidenza McChesney13, in cui il confine tra la libertà d’espressione e lo sfruttamento
della creatività è molto sottile. Il biologo Barabasi nella sua teoria della Power Law
ci spiega come nel web in realtà si formino degli oligopoli che presidiano il controllo
dei flussi informativi. La Power Law, che trova le sue radici nella teoria cellulare
del DNA e viene applicata alla rete in maniera originale dallo studioso, mette in
evidenza come pochi Hub, dispositivi che consentono di connettere più reti tra loro,
G. SIMMEL, La moda, Feltrinelli, Milano, 1985.
Cit. M. EVANS, The power of crowdsourcing, Wikipedia, visionato 9-03-2015.
13
McCHENESEY, Digital disconnect: How Capitalism is Turning the Internet Against Democracy, New York, NY:
New Press, 2013.
11
12
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Self and society in the networked era
abbiano molti link e dunque
generino flussi di traffico molto
alti mentre molti hub generino
poco traffico in un meccanismo
per cui più si è accessibili e più si
guadagna traffico, più si ha una
reputation alta e più si guadagna
potere e viceversa. In questa
prospettiva è possibile intravedere il
cambiamento dei contenuti generati
che vengono definiti playbor, in
quanto è divenuto sottile il confine
tra “play” e “labor”. In maniera
complementare si delinea il profilo
di un consumatore di contenuti
più attivo, che in maniera più o
meno costante diventa anche
produttore di contenuti con
2 Albert Laszlo Barabasi, Teoria della Power Law distribution in the World
particolare attenzione alla propria Fig.
Wide Web. Fonte: http://eaves.ca/tag/collaborative-networks/
rappresentazione del sé in rete.
La produzione di contenuti e la
condivisione con l’altro può rientrare in un processo di autorealizzazione ed espressione
del sé. Come afferma lo studioso di Media Julian Kücklich, “like other forms of affective or
immaterial labour, playbor is not productive in the sense of resulting in a product, but it
is the process itself that generates value. [...]. Playbor is suffused with an ideology of play,
which effectively masks labour as play, and disguises the process of self-expropriation as
self-expression”14. In un contesto in cui la produzione di contenuti diventa sempre più
massiva, in cui i Social Network si popolano di notizie più o meno leggere, in cui chiunque
può contribuire alla produzione e diffusione delle informazioni, avviene, inevitabilmente,
una svalutazione del lavoro culturale, in quanto si punta maggiormente sulla quantità
di contenuti prodotti e non sulla qualità. Ciò delinea uno scenario differente a livello
lavorativo: la digitalizzazione crea maggiore precarietà e flessibilità ma nello stesso tempo
disegna scenari e prospettive politiche dalle nuove suggestioni e crea le basi per una nuova
visione della democrazia.
«In today’s media landscape, being able to put various communicative skills to new uses for civic
participation takes on extra significant [...]. As new affordances appear with increasing rapidity,
new practices are generated.
14
http://schott.blogs.nytimes.com/2010/03/12/playbor/.
23
Self and society in the networked era
Skills can develop through practices, and in this process foster a sense of empowerment. Civic
practices and skills help forge personal and social meaning to the ideals of democracy, and not least
help in coalescing forms of civic identities15».
I media digitali hanno reso lo scenario politico più partecipativo rispetto al passato
sfruttando l’opportunità di un confronto diretto tra politici ed elettorato all’interno di
uno spazio proprio in rete. Alcuni studiosi ritengono che ciò accorcerà le distanze e le
gerarchie tra classe politica e cittadini creando un effetto virtuoso per una libertà sempre
maggiore; altri ritengono che il web possa diventare uno strumento di controllo con rischi
connessi alla manipolazione delle opinioni e dei comportamenti16. In una società in cui
la progressiva smaterializzazione dei limiti spazio-temporali rende tutto più trasparente,
c’è chi indaga la qualità della trasparenza. Il filosofo contemporaneo sud coreano ByungChul Han definisce la società dell’informazione “trasparente” nel senso di scevra di ogni
negatività (in senso etimologico), quindi positiva. La trasparenza coinvolge tutti i processi
sociali e li sottopone a una profonda mutazione che porta a una sorta di standardizzazione e
accelerazione dei processi, un’omologazione sociale per cui la comunicazione raggiunge la
sua massima velocità laddove l’Uguale risponde all’Uguale. Nella società della trasparenza
è più comune il like che il dislike, e quest’ultimo rallenta il processo comunicativo e non
può essere valorizzato economicamente17. A livello filosofico, il concetto di trasparenza
non coincide con quello di verità, anzi in quest’ottica l’accumulo di informazione, l’iperinformazione, non produce di per sé una verità. Al contrario, proprio a causa della mancanza
di negatività del vero si arriva alla massificazione del positivo che nega l’essere accrescendo
paradossalmente l’idea di un’opacità del tutto. Cosa dobbiamo conservare di queste
suggestioni nello studio dei Media nella delicata ottica dell’inquadramento del Sé e della
Società nella networked era? Siamo effettivamente immersi in un moderno Panopticon?
Per quanto si tratti di una materia viva e in continua evoluzione non deve mancare allo
studio del quadro digitale il distacco critico, lo sguardo di insieme, la comprensione della
natura storica della sua evoluzione e della complessità che lo caratterizza. La rivoluzione
digitale è un fenomeno che interagisce con aspetti economici, politici, normativi, sociali e
culturali che coinvolge “corpi e idee” in un’evoluzione storica non lineare e “imprevedibile”.
Il futuro ha le sue radici nel presente e solo un approccio plurivoco – “cinico”, nel senso
che i media sono esterni a noi e vanno guardati con occhio critico, e al contempo “tenero”,
in quanto nei media ci siamo noi, con la nostra identità, la nostra privacy e la nostra
visibilità18– potrà consentirci di “unire i puntini”, farci studiosi della materia e al tempo
stesso attivi partecipanti.
P. DAHLGREN, Reinventing Participation: Civic Agency and the Web Environment, Lund University, 2011
Cfr. S. BENTIVEGNA, Disuguaglianza digitale. Le nuove forme di esclusione dalla società dell’informazione,
Laterza, Bari, 2009.
17
Cfr. BYUNG-CHUL HAN, La società della trasparenza, nottetempo edizioni.
18
Cit. intervista F. COLOMBO, UPA Academy, 2015.
15
16
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Self and society in the networked era
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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società dell’informazione, Laterza, Bari.
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Sperling & Kupfer.
Simmel G., 1985, La moda, Feltrinelli, Milano.
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25
comunicare l’azienda nella network society | INTRODUZIONE
la brand communication tra media
tradizionali e social media
Tratto dalla lezione di Roberto Grandi | di Jessica Vaghi
Per comprendere cosa sia la comunicazione di impresa occorre anzitutto considerare
l’etimologia della parola “comunicare”. Il termine deriva dal latino communicare, a
sua volta derivante dal latino communis, che significa “mettere in comune”. Parlare di
comunicazione significa quindi presupporre l’esistenza di una relazione bidirezionale o
di un insieme di relazioni volte alla condivisione di contenuti specifici. Comunicare non
è, però, solo un mero passaggio di informazioni, ma piuttosto un dialogo, una raccolta
di stimoli reciproca e soprattutto la costruzione di un terreno comune di comprensione.
Nel caso del sistema “impresa” la comunicazione può essere dunque definita come
attività di pianificazione e gestione di sistemi di relazioni che utilizza un insieme di
tecniche e strumenti per attivare un processo di interazione con una serie di pubblici di
riferimento. Tre sono le tipologie di comunicazione che si possono distinguere:
• Comunicazione di marketing
• Comunicazione istituzionale (o relazioni pubbliche)
• Comunicazione interna
La comunicazione di marketing è rivolta
prevalentemente ai clienti finali e
intermedi, nonché agli influenzatori
di mercato. L’obiettivo perseguito è
quello di attivare, gestire e migliorare
le relazioni con tali pubblici e sostenere
lo sviluppo dell’attività commerciale
rendendo esplicito al mercato il
valore della propria offerta (Pastore,
Vernuccio; 2008).
Essendo un tipo di comunicazione
legata alle leve del marketing mix e
Figura 1: Esempio di comunicazione di marketing
finalizzata alla vendita, gli strumenti
di cui si avvale sono quelli tipici
del marketing e possono essere sia offline (editoria commerciale, packaging del
prodotto, comunicazione in punto vendita, cartellonistica…) che online (newsletter,
26
la brand communication tra media tradizionali e social media
banner, contenuti multimediali pubblicitari…). Caratteristica peculiare di questo tipo
di comunicazione è di essere un processo che interessa tutti i sistemi economici con
modalità tra loro non molto dissimili.
La comunicazione istituzionale non ha lo scopo di collocare sul mercato i prodotti o servizi
aziendali, bensì di creare un clima di opinione favorevole attorno all’azienda. Si tratta
perciò di un’attività di comunicazione verso l’esterno, volta a influenzare l’opinione
pubblica e i pubblici influenti (politici, associazioni, sindacati, ecc.) al fine di creare
il cosiddetto goodwill1 e promuovere un atteggiamento favorevole verso l’impresa.
L’oggetto della comunicazione diventa quindi l’impresa stessa (più che un suo prodotto
o servizio) e gli strumenti utilizzati sono le relazioni con i media e l’organizzazione di eventi.
Altre attività tipiche della comunicazione istituzionale sono:
•
•
•
•
•
•
•
sponsorizzazioni;
comunicazione in situazione di crisi;
comunicazione finanziaria;
comunicazione ambientale;
comunicazione pubblica;
comunicazione per le PMI;
comunicazione interculturale.
Le attività di cui si compone la comunicazione istituzionale possono essere svolte
internamente oppure esternalizzate e variano a seconda del Paese in cui viene messa in
atto. I fattori di contingenza sono:
• il ruolo dello Stato (interventista o assente);
• il ruolo degli organi legislativi e di governo (es. formalizzazione dell’attività di lobbying);
• maggiore o minore libertà di stampa e ruolo dei mass media;
• presenza o assenza di influenti gruppi di opinione correlati all’attività dell’impresa;
• importanza delle tematiche di CSR;
• grado di sviluppo delle nuove tecnologie.
La comunicazione interna ha invece lo scopo di creare un’identità comune e quindi
un senso di appartenenza all’organizzazione. Si qualifica come l’insieme di attività di
1
Benevolenza verso l’impresa da parte dell’opinione pubblica.
27
la brand communication tra media tradizionali e social media
comunicazione rivolte ai pubblici interni dell’impresa, intendendo con questo sia i
dipendenti che il resto degli stakeholder2, ed è atta anche a supportare il flusso del
lavoro.
Le iniziative tipiche di questo tipo di comunicazione sono svariate; tra esse si annoverano
le porte aperte, l’asilo interno per i figli dei dipendenti e le reti intranet. Come la
comunicazione istituzionale, anche quella interna è fortemente influenzata dal contesto
paese in cui l’azienda opera.
Le variabili da considerare sono:
•
•
•
•
organizzazione del lavoro e ruolo delle relazioni umane;
libertà sindacale ed emergere di nuovi diritti;
livello di sviluppo del sistema industriale;
variabile competitiva (là dove si basa su bassi salari e scarsa tutela del lavoro).
Compresi i diversi tipi di comunicazione d’impresa, occorre analizzarne l’oggetto.
Le imprese, infatti, comunicano innanzitutto la loro identità, cioè l’insieme dei valori
aziendali base (da definire a monte di ogni processo comunicativo). L’identità è il vero
COMUNICAZIONE E VALORI DI BASE, L’ESEMPIO DI EATALY
Per spiegare la relazione tra valori di base di un’impresa e la comunicazione, il
noto imprenditore Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, usa l’esempio di una pesca.
Il nocciolo rappresenta i valori di base, la parte più interna non manipolabile, la
polpa i contenuti e/o esperienze, la buccia (la parte più esterna) la comunicazione.
Nel caso di Eataly, il nocciolo è assicurare un lavoro, sorprendere con il punto vendita, garantire qualità del cibo
a un prezzo accettabile; la polpa è rappresentata dalle pareti bianche dello store che invitano i clienti a scrivere la
loro esperienza; la buccia il tabellone rotante che aiuta i clienti nella scelta di frutta e verdura di stagione.
Con stakeholder si intendono tutti i portatori di interesse dell’impresa, quindi i fornitori,
investitori,dipendenti, partner, ecc.
2
28
la brand communication tra media tradizionali e social media
e proprio sistema filosofico dell’impresa e, in quanto tale, è una costante; ciò che varia
è il modo in cui questi valori sono comunicati.
Obiettivo fondamentale dei responsabili d’impresa è assicurarsi che comunicazione e
valori siano allineati e soprattutto che l’identità dell’impresa coincida con l’immagine
che essa ha presso i vari pubblici.
L’immagine è l’insieme delle impressioni e opinioni che gli individui si formano in
maniera diretta o indiretta, coscientemente o meno, in relazione a una data impresa;
è quindi una costruzione. Se responsabile dell’identità è l’impresa stessa, responsabili
della sua immagine sono i vari pubblici.
L’immagine dipende, infatti, da come i diversi pubblici percepiscono l’identità che
l’impresa comunica e ciò fa sì che un’impresa possa avere più immagini a seconda
del pubblico preso in considerazione. È dunque fondamentale, per i responsabili
aziendali, comprendere con precisione l’immagine formatasi, poiché essa si tradurrà
in comportamento favorevole o contrario all’impresa da parte dei consumatori. Per
accertarsi che immagine e identità coincidano, è possibile procedere con ricerche
mirate e ricorrenti e, nel caso in cui il riscontro fosse negativo, capire le ragioni
sottostanti e le azioni da intraprendere (tenuto conto che la mancata coincidenza può
essere determinata sia da un prodotto che non funziona come dovrebbe sia dall’utilizzo di
una comunicazione errata).
La percezione dell’impresa presso il pubblico crea un frame (una cornice di riferimento in
cui il comportamento dell’impresa è situato e in base alla quale viene percepito) e delle
aspettative (attorno ai suoi prodotti/servizi e al suo operato). È consigliabile supportare
la creazione di un’immagine che susciti aspettative leggermente inferiori rispetto a
quelle che l’offerta dell’impresa è in grado di supportare realmente, altrimenti in caso di
disattesa il pubblico sarà deluso e questo comporterà non solo un danno all’immagine,
ma anche un calo della fiducia nei suoi confronti.
Oggetto della comunicazione sul quale diventa naturale soffermarsi è sicuramente il
brand, una delle più rilevanti risorse dell’impresa, fonte di vantaggio competitivo e di
valore per il consumatore. Il brand è definito in economia aziendale come il nome, segno
o simbolo che identifica i prodotti di un’impresa distinguendoli da quelli delle altre; una
tale definizione sarebbe, tuttavia, limitativa in ambito comunicativo. Perché un segno
identificativo e distintivo (marchio) diventi effettivamente brand, occorre, infatti, che
evolva in concetto astratto, frutto della combinazione soggettiva di aspetti materiali e
immateriali, in grado di rendere l’offerta distinta nella mente del consumatore (Pastore,
Vernuccio; 2008). Attorno al segno si crea perciò un’aggregazione di significati, che si
formano e si consolidano nella mente dell’individuo attraverso l’esperienza della marca
nell’ambito del processo di consumo.
29
la brand communication tra media tradizionali e social media
Affinché questo “costrutto percettivo” si formi nella mente del cliente, l’azienda deve
progettare la struttura della marca e, successivamente, governarla e gestirla nel tempo,
in particolar modo mediante lo sviluppo della comunicazione di marketing, così da
generare valore per l’acquirente-consumatore.
Quel che conta nella progettazione del brand è che questo venga costruito a partire dai
valori dell’impresa e che sia immediatamente riconoscibile. Da questi due imperativi
di base nascono due terminologie specifiche in ambito comunicativo: brand essence
e brand awareness. La brand essence è l’anima del brand e rappresenta il patrimonio
valoriale aziendale (ad es. “dove c’è Barilla c’è casa”). Si parla invece di brand awareness
quando si fa riferimento alla capacità di un potenziale acquirente di identificare una
marca in modo sufficientemente dettagliato per proporla, sceglierla o utilizzarla (Lambin,
2000). Tra le funzioni attribuite a un brand si possono sottolineare:
•
•
•
•
•
identitaria e valoriale;
orientativa e anticipatoria;
di garanzia;
affettiva-emotiva;
di estensione (all’interno di settori diversi).
Oltre ai canali tradizionali (già evidenziati nell’ambito della comunicazione di marketing),
da sempre usati per pubblicizzare il brand, uno strumento che le imprese odierne
hanno a disposizione ormai da diversi anni è quello dei social media. Il loro utilizzo ha
portato enormi cambiamenti nelle variabili della comunicazione, rivoluzionando il modo
d’interazione tra impresa e utenti e stravolgendo le regole di un gioco che sembrava
ormai ben conosciuto.
L’avvento dei social media, e in particolar modo dei social network, ha costretto le imprese
a ripensare le proprie strategie e il proprio approccio alla comunicazione, cercando nuovi
modi di trasmettere i propri valori e il brand. Cambia quindi il modo di fare pubblicità
e di conseguenza il modo in cui la pubblicità è percepita. Se prima, infatti, era di tipo
intrusivo, “one-way” e non finemente targetizzata (basti pensare alla pubblicità televisiva,
che interrompe il programma di interesse dando informazioni indistinte a qualsiasi
soggetto si trovi di fronte allo schermo), oggi, anche grazie ai social media, essa diventa
molto più profilata ed è possibile raggiungere direttamente il soggetto d’interesse
evitando di creare disturbo agli altri. Si passa perciò da una preponderante logica di
interruption marketing, in cui ogni consumatore riceve il messaggio indistintamente dagli
altri, a una di relational makerting, in cui il consumatore viene avvicinato singolarmente
ed è visto come soggetto a sé, portatore di una serie di interessi e valori che devono
essere intercettati dall’impresa per instaurare una relazione personalizzata a tu per tu.
30
la brand communication tra media tradizionali e social media
Il passaggio da una logica
di pubblicità intrusiva a
una più profilata comporta
necessariamente la perdita
di una fetta di consumatori,
che possono tuttavia essere
raggiunti qualora il contenuto
comunicativo
dell’azienda
diventasse virale. Grazie ai nuovi
canali social, infatti, contenuti
interessanti e innovativi possono
essere volontariamente diffusi
in rete dal pubblico stesso
(viral marketing), supportando in modo indiretto l’attività comunicativa dell’impresa.
Beneficiando dell’attività di social networking dei consumatori, diventa possibile
per l’azienda raggiungere anche tutti i soggetti che sarebbero stati altrimenti esclusi
dal processo di targetizzazione. Esempi celebri di viral marketing campaign degli
ultimi anni sono quelli di Evian Baby Dance, TNT Add Drama e Dove Real Beauty Sketches.
L’avvento dei social media, e più in particolare dei social network, ha modificato non solo
il modo in cui l’impresa deve comunicare, ma anche il modo in cui gli utenti comunicano
tra loro. Uno dei cambiamenti più evidenti degli ultimi 10 anni è stata, ad esempio, la
progressiva riduzione dei contenuti web, che sono passati da lunghi testi (scritti da una
minima parte delle persone attive in rete) a testi brevi, parole o anche solo immagini,
prodotti dalla maggior parte degli utenti della rete. Se per partecipare, infatti, è richiesto
uno sforzo minore diventa più probabile che un maggior numero di persone decida di
far sentire la propria voce. Con un semplice click è possibile indicare apprezzamento per
un contenuto prodotto da altri, condividerlo (FB, YouTube, Google+), ritwittarlo (Twitter),
postare una foto o video, dire la propria su un determinato argomento o collezionare (in
logica di digital curation3) quanto messo a disposizione da altri; il tutto con una veloce
ed efficace logica di “push button” (vedi Figura 3)4. All’interno dei social media, si parla
(spesso) in silenzio, e si parla sempre più attraverso immagini e video. La social curation,
di cui Pinterest è un esempio efficace in ambito visuale, diventa una parte preponderante
di questo dialogo silenzioso che vede come protagonisti gli utenti e forza le imprese a
ripensare la logica con cui i contenuti comunicativi vengono proposti. Fondamentale
per l’azienda diventa, perciò, entrare in questo processo di discussione e condivisione,
Con digital curation si intendono le operazione di selezione, conservazione e archivio, su un proprio
dispositivo o spazio dedicato, di contenuti digitali presenti in rete.
3
4
http://blog.eladgil.com/2011/12/how-pinterest-will-transform-web-in.html.
31
la brand communication tra media tradizionali e social media
proponendo contenuti di
elevato interesse per gli
utenti e tentando di restare
in linea con quello che è il
mood della rete. Analizzare
cosa è di valore per i
destinatari digital e cosa
no è un’operazione vitale,
richiesta a chiunque desideri
mantenere il proprio
vantaggio competitivo ma,
soprattutto, è un’operazione
che, se ben strutturata, può
portare riscontri positivi
enormi. Ma mentre il “nuovo”
si struttura e prende forma,
il “vecchio” si reinventa e riscopre le sue potenzialità. L’efficacia dei mezzi tradizionali
viene, infatti, integrata, modificata e potenziata dai new media e dall’interattività che
questi offrono. La distanza tra comunicazione di marketing e istituzionale si assottiglia,
trasformando l’azienda e i suoi organi comunicativi in un modo che prima non poteva
neppure essere immaginato. Come in ogni gioco che si rispetti, anche in quello della
new era della comunicazione i partecipanti che desiderano restare nel mercato devono
seguire le regole. Ci saranno imprevisti e probabilità e, verosimilmente, si passerà una
fase di assestamento contornata da errori più o meno gravi, ma non mutare le proprie
strategie e i propri comportamenti significa perdere e perdere vuol dire assistere alla
scomparsa del brand e di tutto ciò in cui si è creduto e per cui si è lavorato. Le alternative
sono solo due: adeguarsi o rompere i nuovi fragili schemi di questo vecchio gioco e
dettare nuove regole.
Nel primo caso si sopravvive, nel secondo si vince. Alle imprese la scelta.
32
la brand communication tra media tradizionali e social media
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