Università degli studi del Piemonte Orientale
Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze politiche, economiche e sociali
Prof. Jörg Luther
Anno accademico 2015/2016
Diritto pubblico
Introduzione
Parte prima: Diritto, Politica, Costituzione
I. Lo studio del diritto
1. L’Università ha il compito di promuovere la cultura e una comprensione del mondo che non può
essere opera di un solo docente. Si distingue dalla scuola sia per la particolare condizione di libertà
e maturità dello studente che sceglie la propria formazione ed è liberato dall’obbligo di frequenza
della scuola, trovandosi quindi più in una società di “massa” che non in una comunità di “classe”,
sia per la libertà accademica dei professori universitari che devono produrre e perfezionare
liberamente la “scienza” che è oggetto del proprio insegnamento (art. 33 co. 1 cost.).
2. La ricerca scientifica parte da domande (o ipotesi) che possono essere liberamente poste dai
professori e ricercatori (accademia) e dagli stessi studenti, per arrivare a risposte (tesi) che
pretendono di essere “verità” e devono essere argomentate in un procedimento che obbliga ad
accettare il dialogo con obiezioni e tesi divergenti. L’insegnamento universitario deve rendere lo
studente partecipe del progresso attuale delle scienze, cioè dello “stato dell’arte” delle ricerche nei
vari settori scientifici disciplinari (SSD). Lo studente universitario è artefice del proprio futuro,
potendo avvalersene per formare proprie competenze culturali e capacità di lavoro nel modo più
“professionalizzante” possibile.
3. A differenza della comunità scolastica, la società universitaria offre e pretende una maggiore
libertà culturale di studio individuale e uno scambio culturale spontaneo tra studenti ed insegnanti.
Questo implica una maggiore responsabilità anche nelle valutazioni dei risultati dello studio.
L’autonomia dell’università implica dei doveri culturali per tutte le sue componenti, in particolare i
cd. doveri accademici dei docenti che sono stati trascritti un apposito “codice etico”. L’esame di
laurea non è ancora “abilitazione all’esercizio professionale” (art. 22 co. 4 Cost.).
4. L’università si articola in dipartimenti, strutture di ricerca, che hanno assorbito le varie facoltà
delle varie scienze naturali e umanistiche e tra le quali mediano le scienze sociali. Nella storia delle
scienze sociali, l’economia (‘700), la sociologia (‘800) e la scienza della politica o politologia
(‘900) si erano emancipate gradualmente dalle facoltà di giurisprudenza con le quali condividono lo
studio dello “Stato” (scienze dello Stato). Le facoltà di Scienze Politiche sono nate come una
gemmazione dalle facoltà di Giurisprudenza alla fine dell’ottocento (Firenze 1875). Gaetano
Mosca, uno dei “padri” della scienza politica in Italia, passava dagli “studi ausiliari del diritto
costituzionale” (1887) a quello degli “elementi di scienza politica (1896). Il giurista Georg Jellinek,
maestro del sociologo Max Weber che definisce lo stato come detentore del monopolio di forza
legittima, aveva diviso le “dottrine generali” dello Stato in “dottrina giuridica” e “dottrina sociale”
(1900). In alcune università, si tentano riavvicinamenti e fusioni.
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5. I corsi di laurea in giurisprudenza uniscono allo studio delle materie giuridiche privatistiche e
pubblicistiche studi generali di storia del diritto (e diritto romano), economia politica, sociologia e
filosofia del diritto. I corsi laurea delle “scienze politiche” e dell’”amministrazione” rappresentano
un insieme misto di scienze umanistiche o sociali che si fonda essenzialmente su tre componenti. Le
discipline sociologiche studiano i “fatti sociali”, quelle economiche i beni o “interessi” e quelle
politiche in senso lato i “discorsi”. I discorsi sono al centro non solo della scienza della politica
intesa come analisi di politics (relazioni), policies (indirizzi) e polities (organizzazioni) nelle
discipline politologiche, storiche, filosofiche, linguistiche e giuridiche. La composizione mista
delle discipline pretende dare allo studente una pluralità di competenze chiave su un mercato del
lavoro molto variegato, ma richiede anche dal docente un dialogo interdisciplinare.
6. Il diritto è una disciplina obbligatoria delle scienze politiche, perché la capacità di agire sui
mercati e nelle istituzioni pubbliche presuppone delle conoscenze giuridiche che superano quelle
attese da tutti i cittadini, perché non in tutte le scuole si studia diritto. Il sapere delle scienze
politiche si aggiunge a quello dei giuristi che devono interrogarsi sui fattori sociali, economici e
politici del diritto e studiare diverse discipline speciali. La storia del diritto è una storia speciale
delle istituzioni e delle idee politiche. La filosofia del diritto e la sociologia del diritto sono
discipline speciali sia del diritto, sia della filosofia e della sociologia generale. Il diritto comparato
è impensabile senza l’antropologia giuridica e l’analisi economica del diritto (“law and
economics”), ma ha anche antiche radici nella statistica. Anche le singole discipline giuridiche
dialogano con alcune scienze politiche, sociali ed economiche specifiche. Ad es. il diritto privato
comunica con la sociologia della famiglia, il diritto del lavoro con la sociologia ed economia del
lavoro. Tra le discipline del diritto pubblico, il diritto costituzionale è collegato alla storia
costituzionale, alla scienza della politica, a sociologia ed economia politica, il diritto
amministrativo è affiancato dalle scienze dell’amministrazione, il diritto tributario alle scienze
delle finanze, il diritto internazionale alle relazioni internazionali, quello ecclesiastico alla teologia
e sociologia delle religioni ecc.
7. Il sapere giuridico non può essere dominio esclusivo dei giuristi e deve essere al servizio degli
operatori del mercato e dello Stato. I giuristi non devono governare, ma servire i cittadini. Chiunque
si pone al servizio di imprese private o amministrazioni pubbliche ed intende assumere posizioni di
responsabilità deve pertanto anche autonomamente saper osservare norme giuridiche, evitare
sanzioni e conseguire premi, negoziare i propri interessi, organizzare e procedere,
rappresentare e difendere propri diritti anche in situazioni di conflitto, chiedere con economia e
valutare con responsabilità consulenze e gli strumenti della giustizia e della politica.
L’insegnamento delle materie giuridiche fuori dalle facoltà di giurisprudenza deve formare cittadini
e professionisti capaci di contribuire attivamente alla cultura del diritto, utenti critici dei servizi dei
giuristi. Per non essere oggetto, ma soggetto di discorsi giuridici servono competenze minime delle
istituzioni e della terminologia giuridica di base (“giuridichese”).
8. Questo obbiettivo generale implica delle conoscenze teoriche, ma anche delle capacità pratiche:
1) saper trovare accesso alle fonti del diritto; 2) saper “leggere le leggi”, decodificando il
linguaggio dei giuristi e la loro interpretazione delle fonti; 3) saper istruire e relazionare fatti ed
interessi rilevanti per l’interpretazione dei testi giuridici; 4) saper argomentare e giudicare da
laico per rappresentare, difendere e negoziare interessi privati e pubblici e per motivare delle scelte;
5) saper organizzare e procedere per decidere ad es. contratti, provvedimenti o scelte collettive, 6)
saper relazionarsi con autorità ed istituzioni.
9. Sono strumenti per la formazione di tali capacità: 1) lo studio diretto delle fonti del diritto,
almeno di quelle principali a partire dal testo della Costituzione, 2) la lettura del manuale, l’ascolto
critico della lezione (non lettura del libro ma interpretazione del diritto), 3) la ricostruzione e
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relazione di casi, storici o di attualità giornalistica, evt. con interrogazione di fonti e consultazione
di esperti e verbalizzazione di fatti (appunti), 4) la discussione con studenti, docenti e giuristi di
professione e la proposta o critica motivata di decisioni (sentenze, provvedimenti, leggi), 5) lo
studio di organigrammi e strutture organizzative (assetti di competenze) e dell’agenda di
procedure legislative, amministrative e giudiziarie, 6) la navigazione quotidiana nel mondo degli
uffici e l’esame finale.
II. Il “diritto” come insieme di norme e come attesa e pretesa di giustizia
10. I discorsi dei giuristi usano concetti sia per scrivere una legge, sia per interpretarla con le parole
del loro linguaggio. Per comprendere i concetti, si elaborano in genere delle definizioni che
individuano il genere prossimo (genus proximus) e le caratteristiche particolari che distinguono la
cosa da definire dalle altre cose del suo genere (differentia specifica). Le definizioni sono talvolta
rinvenibili in testi legislativi, contratti o atti amministrativi, ma per lo più frutto di convenzioni
linguistiche tra scienziati. Essendo le parole del linguaggio comune e di quello giuridico sovente
ambigue e sempre solo in parte comprensibili, risultano variamente interpretabili e la loro
interpretazione condizionata da contesti e concezioni variabili.
11. Nel linguaggio comune dei cittadini e in quello tecnico dei giuristi, i significati del termine
“diritto” variano. Nel linguaggio comune si parla innanzitutto del diritto che un soggetto “ha” o che
pretende di avere o che attende di vedersi riconosciuto. Si percepisce e sente come giusta una attesa
implicita e un pretesa esplicita avanzata nei confronti di qualcun altro su qualcosa cui corrisponde
un proprio interesse. Nel linguaggio tecnico dei giuristi, si parla per lo più del diritto come qualcosa
che “è” oggetto e sostanza di discorsi accademici (scienza giuridica) e pratici (giurisprudenza),
soprattutto forensi ed amministrativi. In comune hanno entrambi di concepire il diritto nel suo
genere come un discorso, ma almeno il giurista deve sempre distinguere tra il diritto in senso
oggettivo e il diritto in senso soggettivo come due aspetti che si integrano reciprocamente. Il diritto
in senso oggettivo può essere definito come l’insieme delle norme che disciplinano le attese e
pretese soggettive di giustizia per ordinare in modo giusto una organizzazione sociale e politica
(c.d. “ordinamento giuridico”, cfr. art. 10 cost.). Il diritto in senso soggettivo invece può essere
definito come attesa o pretesa legittima, riconosciuta da una norma del diritto oggettivo, di una
condotta altrui, che può consistere in un fare, dare o dire (positivo) o nell’astenersi dallo stesso
(negativo), e che può essere fatta valere davanti a un giudice (art. 24). Ne deriva la domanda base di
ogni discorso giuridico: chi vuole che cosa da chi sulla base di quale norma ?
12. Il diritto in senso oggettivo è in un insieme ordinato di “norme” giuridiche. Norma è una
proposizione prescrittiva che si rivolge alla coscienza e alla volontà degli esseri umani per
ottenere o impedire un determinato comportamento. A differenza delle proposizioni descrittive che
intendono fare conoscere un dato vero o falso, e a differenza delle proposizioni espressive (o
esortative), che intendono fare sentire una cosa bella o brutta, le proposizioni prescrittive implicano
anche un giudizio sull’essere giusto o ingiusto di un comportamento. Le prescrizioni attengono al
mondo del “dover essere”, le descrizioni dei fatti invece al mondo del ”essere” delle cose, le
esclamazioni al semplice “essere” delle persone.
13. Analiticamente il mondo delle norme deve essere distinto da quello dei fatti. I comportamenti
non sono sempre come devono essere. Quello che normalmente (nel maggior numero dei casi) si fa
può essere lecito o doveroso dal punto delle norme giuridico, ma anche l’illecito e le violazioni del
dovere possono essere una “normalità” diffusa. Quello che normativamente (secondo le norme) si
è tenuti a fare può, ma non deve sempre essere anche la normalità. Le “leggi” delle scienze naturali
(ad es. relative alla gravitazione) attengono ai fatti naturali osservati, le leggi delle altre scienze
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culturali (ad es. la legge economica della tendenziale crescita dei compiti pubblici, la legge ferrea
dell’oligarchia, ecc.) ai fatti sociali osservati, solo quelle giuridiche contengono norme che sono da
osservare, sono fatte per essere osservate e sono fatte osservare.
14. Le proposizioni normative seguono una propria logica (deontica), utilizzando sempre uno di tre
operatori deontici: il comando (si devono a = pagare le tasse), il divieto (si deve non b = fumare)
e il permesso (ad alcuni è permesso non a = pagare le tasse o in alcuni luoghi è permesso b =
fumare). Un comportamento non prescritto, né vietato può essere anche considerato libero.
15. Le proposizioni normative sono generali e astratte, cioè prescrizioni riferite a soggetti non
ancora individuati e a situazioni non ancora determinate nel tempo. La generalità e l’astrattezza è
graduale. La generalità può essere ridotta in presenza di norme speciali. L’astrattezza può essere
ridotta in presenza di norme eccezionali. A differenza degli atti normativi generali ed astratti, il
provvedimento amministrativo e la sentenza del giudice contengono sempre proposizioni giuridiche
individuali e concrete. Una legge che contiene un “provvedimento” o che corregge una “sentenza”
abusa del potere di dettare norme per aggiustare singole pratiche amministrative o giurisdizionali e
può contraddire le caratteristiche necessarie del diritto in uno “stato di diritto”.
16. Le norme del massimo grado di generalità ed astrattezza sono norme di principio. Le norme di
principio, frequenti in costituzioni e in leggi di delega, hanno una struttura incondizionata e
finalistica (è doveroso realizzare al meglio l’obiettivo X). I principi sono da attuare gradualmente (è
lecito realizzare X di più o di meno), ma è fatto divieto sacrificare del tutto un principio,
rendendone impossibile l’attuazione. Le norme che hanno una struttura condizionale (se esiste la
fattispecie a, allora la conseguenza giuridica deve essere b), esprimono invece una regola e hanno
una struttura condizionale.
17. Il diritto moderno è in gran parte scritto in leggi (art. 70 cost.) ed in altri fonti scritte. I testi
giuridici sono strutturati in titoli, capi, sezioni, articoli e “disposizioni”, proposizioni dalle quali i
giuristi ricavano mediante l’interpretazione le “norme” che servono a decidere le questioni di ogni
singolo caso controverso. Le norme generali ed astratte diventano concrete ed attuali, traducendosi
in decisioni amministrative e giurisdizionali e scelte collettive ed individuali consigliate dai giuristi.
La componente logica del ragionamento dei giuristi consiste nel cd. sillogismo giuridico che si
articola in (1) una norma in forma di regola (se a allora b) come premessa maggiore, (2) un caso
(fatto) come premessa minore (Tizio ha realizzato la fattispecie a) e (3) una conclusione che
consiste in una proposizione giuridica concreta, cioè nell’applicazione della prescrizione e norma al
caso concreto (a Tizio va applicato b, ad es. una sanzione). La componente creativa del lavoro (o
l’arte) delle professioni giuridiche consiste sia nella formulazione della norma attraverso
l’interpretazione delle disposizioni, sia nella ricostruzione del caso attraverso l’istruttoria dei
fatti.
18. Le norme giuridiche sono prescrizioni che intendono motivare e influenzare scelte e condotte. A
differenza delle norme meramente morali derivano da deliberazioni collettive vincolanti e sono
sanzionate sulla base di norme sanzionatorie che organizzano procedure. Servono a stabilizzare
(aspettative di) aspettative sociali anche quando sono frustrate da comportamenti non conformi alla
norma (N. Luhmann). L’osservanza delle norme giuridiche può essere motivata dal timore di
misure di coercizione, ma anche dall’appetito di ottenere una premiazione. A differenza delle
regole e delle sanzioni meramente sociali, che non implicano l’uso della forza e sono erogabili da
ogni singolo e ogni formazione sociale ad es. tramite rimproveri e giudizi morali, le sanzioni
giuridiche presuppongono il divieto di farsi giustizia da sé, divieto garantito dal monopolio
pubblico della forza legittima riservata allo Stato (M. Weber).
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19. Le norme giuridiche possono essere oggetto di discorsi e giudizi sotto vari profili:
a) Sono valide se sono create secondo le norme sulla produzione e sull’interpretazione del diritto
“positivo” (posto da un’autorità legittima). Il giudizio sulla “validità” spetta ai giuristi e alla loro
giurisprudenza, quella pratica del foro (forense) e quella teorica dell’accademia (dottrinale). La
scienza relativa è quella del (relativo ramo del) diritto positivo.
b) Sono giuste se non contraddicono il senso comune dell’ingiustizia, traducibile ad es. nelle
categorie aristoteliche della giustizia distributiva (suum cuique tribuere: dare a ciascuno il suo
bene e il suo male) e della giustizia commutativa (fare equivalere prestazione e prezzo, danno e
risarcimento, colpa e pena ecc ). Il giudizio sulla “ingiustizia” delle norme spetta in parte ai giuristi,
ad es. a particolari giudici delle leggi, in parte ai politici legislatori, ma può essere anche condiviso,
in casi evidenti, dal “senso comune” dei cittadini (ad es. leggi razziali). La giustizia della norme può
essere studiata dalla filosofia del diritto.
c) Sono efficaci se sono effettivamente osservate o applicate, cioè se sono giuridicamente
sanzionate le violazioni. Il giudizio sull’efficacia può essere oggetto di giudici ed amministratori,
ma anche essere condiviso, in casi evidenti, dal “senso comune” dei cittadini. L’efficacia di una
norma può essere studiata dalla sociologia del diritto
20. I rapporti tra i tre giudizi sono controversi tra le diverse culture giuridiche. Per quella del
giuspositivismo, il giurista verifica la validità delle norme solo sulla base di altre norme giuridiche,
quelle che definiscono le competenze degli organi e le procedure idonee a produrre le “fonti” del
diritto. Un sentimento di “ingiustizia” o una percezione di “inefficacia” non sono motivo sufficiente
per giudicare la norma invalida. L’interpretazione deve risalire alla volontà del legislatore, perché è
impossibile trovare dei criteri di giustizia fuori dal diritto “positivo”. Per il giusnaturalismo invece
sono invalide le leggi “manifestamente ingiuste”. L’interpretazione di quelle valide deve tenere
conto delle idee di giustizia condivise dalla società, non piegarsi alla nuda forza dei fatti e della
volontà del più forte. Per il giusrealismo infine sono valide solo le norme dotate di effettività
sociale, non quelle resa “lettera morta” dalla prassi (desuetudine). L’interpretazione deve tenere
conto dei “fatti legislativi” sui quali la legge interviene, non potendo pretendere comportamenti
impossibili (impossibilium nemo tenetur).
21. Le tre culture sono ideologie che si mescolano nella prassi dei giuristi. Essendo i principi
fondamentali e i diritti fondamentali del giusnaturalismo classico diventate parti integrali delle
costituzioni, le leggi ingiuste possono essere dichiarate incostituzionali (art. 137 cost.). Il giudice
costituzionale, in sede di controllo di costituzionalità delle leggi, può controllarne la
ragionevolezza, censurando anche norme manifestamente ingiuste. L’interprete della legge deve
rispettare la volontà del legislatore, ma può presumere che il legislatore abbia voluto rispettare ed
attuare la Costituzione ed assicurare l’efficacia delle norme. La prudenza del giurista esige di non
sostenere interpretazioni che risultino insostenibili alla luce delle circostanze di fatto del caso. Se
una legge impone obblighi sentiti incompatibili con i dettami della coscienza, il legislatore può
risparmiare all’individuo un conflitto di coscienza predisponendo delle alternative meno gravose
per la stessa (cd. obiezioni di coscienza).
22. Il diritto è sempre un “insieme” ordinato di norme giuridiche. Una pluralità di norme può
configurare un singolo istituto giuridico (la disciplina di un’istituzione sociale oggettiva, ad es. il
possesso o la supplenza), un insieme di istituti un ordinamento giuridico (la disciplina di
un’organizzazione sociale pluri-soggettiva come l’università (art. 33 co. 5) o le Forze armate (art.
52 co. 3). Un ordinamento giuridico nazionale o internazionale può includere una pluralità di altri
ordinamenti parziali (che sono derivati da o costitutivi di quello complessivo) (art. 115, 117 Cost.).
23. Ogni ordinamento giuridico pretende idealmente coerenza e completezza delle norme che lo
compongono. Per essere coerente, deve costituire un sistema in grado di risolvere le antinomie tra
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le proprie norme. Per essere completo, deve dotarsi di strumenti che consentono di colmare le
lacune di norme in situazioni nuove non ancora prevedibili per il legislatore. Coerenza e
completezza dipendono dalla produzione sistematica (codici, testi unici) delle disposizioni e
dall’interpretazione sistematica delle norme da parte degli operatori. L’interpretazione può anche
estendere regole o principi in casi di lacune (cd. analogia).
24. Il numero delle norme di un ordinamento giuridico è indefinito e indefinibile, non infinito.
Quante norme giuridiche servono per dare un ordine alla società ? Sul punto variano le ideologie
della politica del diritto. Per il liberalismo ottimista, l’ordine sociale può essere il prodotto
dell’agire spontaneo razionale dell’individuo nella società, sia in ambito economico sia in ambito
culturale. Pertanto servono poche leggi sintetiche chiare e coerenti e tali da gravare di meno il
cittadino con obblighi, cioè la massima deregulation e semplificazione. Per il comunitarismo
pessimista, l’ordine sociale non può essere il prodotto dell’agire spontaneo perché l’uomo è
corrompibile e non sempre in grado di compiere scelte razionali. A una società complessa serve
disciplina con regole anche dettagliate e differenziazione nello spazio (autonomie) e nel tempo
(innovazione). Il numero giusto può essere trovato in una democrazia insieme liberale e pluralista e
può variare secondo le esigenze di sviluppo della società. Non è possibile né auspicabile ridurre le
norme ad una sola. Se tutto fosse permesso si avrebbe l’anarchia. Se tutto fosse vietato si avrebbe
una tirannide. Se tutto fosse comandato sarebbe il regime del totalitarismo in cui regna la
previdenza divina o governa l’intelligenza artificiale.
III. La Costituzione e il diritto pubblico
25. La Costituzione è nel suo genere un’acquisizione culturale (Haeberle), in ispecie la
differenziazione e l’integrazione di diritto e politica in un’organizzazione politica e ordinamento
giuridico (Luhmann). Il diritto costituzionale sono le norme base del diritto e della politica, la
disciplina della produzione del diritto contenuta nella costituzione formale, scritta e/o
consuetudinaria, interpretabile sia come la “legge della legislazione” (Kelsen), sia come la norma
costitutiva dei processi di integrazione politica (Heller, Smend). Attraverso la Costituzione, le
organizzazioni politiche limitano e legittimano il proprio potere (Grimm), stabilizzano attraverso
norme i rapporti tra governanti e governati, il cittadino singolo e l’insieme della cittadinanza. La
politica costituzionale invece sono le volontà e le ragioni politiche che rendono questa disciplina
particolare legittima (giusta) ed efficace, che producono le forze spirituali e materiali della
costituzione materiale che sorregge quella formale e la cultura delle riforme costituzionali.
26. La Costituzione, differenziando ed integrando diritto e politica, separa e unisce anche società e
Stato, privato e pubblico, economia e cultura, affari interni ed esterni ecc. Da un lato integra
l’ordinamento giuridico, organizzando il sistema delle fonti del diritto, separando i poteri politici
che producono le disposizioni da quelli tecnici che interpretano ed applicano le norme e fornendo i
principi fondamentali che garantiscono la coerenza e completezza dell’ordinamento giuridico.
Dall’altro lato, la Costituzione integra l’unita dell’organizzazione politica (polity), organizzando le
forme della lotta politica (politics), le procedure di determinazione dell’indirizzo politico e i principi
fondamentali che legittimano o limitano le scelte politiche (policies). Differenziano ed
organizzando entrambi, rende possibile sia un diritto della politica, sia una politica del diritto.
27. La Costituzione non è solo prodotto e norma dello Stato, ma anche prodotto e norma della
società civile. Art. 16 della dichiarazione francese dei diritti del 1789 prescrive il contenuto minimo
di costituzione nello spirito dell’allora costituzionalismo: “Ogni società (!) in cui non è assicurata la
garanzia dei diritti, né la separazione dei poteri, non ha costituzione.” La separazione di Stato e
società è garantita dalla separazione del diritto privato (del codice civile) da quello pubblico che
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ha origine nel diritto romano (Ulpiano): Publicum jus est quod ad statum rei Romanae spectat,
privatum quod ad singulorum utilitatem. (Digesto I 1, 1, § 2). Se si considera la Repubblica oggi un
insieme di soggetti pubblici, il criterio diventa anche soggettivo e riferibile a relazioni di
subordinazione: il diritto pubblico disciplina rapporti con soggetti pubblici.
28. Per distinguere il privato dal pubblico, occorre guardare ai soggetti e agli interessi coinvolti,
immaginando un triangolo della giustizia nel quale i soggetti privati (p1 e p2) sono disegnati in
una posizione inferiore a un soggetto pubblico (P). Essere “privati” significa potere stare senza
essere retto dalla comunità e perseguire interessi individuali, essere “pubblico” significa guardare
agli interessi comuni e generali. Il diritto privato disciplina i rapporti tra le persone che si trovano in
condizioni di eguaglianza e di pari libertà ed autonomia, pertanto è in genere derogabile dai
contratti dei privati. Il diritto pubblico disciplina l’azione dei soggetti pubblici che fanno prevalere
gli interessi pubblici su quelli privati. Attraverso la P.A. (pubblica amministrazione) ed il P.M.
(pubblico ministero), i soggetti pubblici (P) distribuiscono e garantiscono beni e servizi (diritto
amministrativo) ed erogano sanzioni penali (diritto penale) o provvedimenti giudiziari (procedura
civile e penale) ai cittadini. Di fronte a queste scelte, il privato si trova in un rapporto di soggezione
generale fondato sul dovere di obbedienza e fedeltà (art. 54).
29. La Costituzione distingue tra persone umane e cittadini e tra poteri interni e potere estero. Il
diritto costituzionale e quello pubblico hanno per oggetto una pluralità di organizzazioni politiche
nazionali (art. 115) ed internazionali (art. 11) e i rapporti che intercorrono tra tali organizzazioni e i
cittadini. Pertanto, il diritto costituzionale e pubblico è anche (non solo) “diritto politico”, nel
duplice senso di insieme di norme “per” un’organizzazione politica e un insieme di norme originato
“da”un’organizzazione politica. La politica oggetto delle norme di diritto pubblico non è soltanto
quella machiavellica della “lotta per il potere”, ma anche quella aristotelica dell’azione pubblica e
dell’esercizio del potere per il bene comune. La lotta per il potere si realizza esercitando i diritti
politici garantiti dalla Costituzione e si traduce soprattutto nella dialettica parlamentare. L’azione
per il bene comune si realizza esercitando i poteri, in particolare le funzioni di governo
(gubernaculum = dirigere la nave nel porto della felicità), in senso ampio determinazione
dell’indirizzo politico, funzioni distinte ma collegate a quelle di legislazione, il governo della legge,
di amministrazione, gestione delle risorse per l’attuazione degli indirizzi politici, e di
giurisdizione, intesa come amministrazione della giustizia per la pace e il bene di tutti.
30. Storicamente la principale tra le organizzazioni politiche è diventata lo Stato. Pertanto il diritto
pubblico è soprattutto “diritto dello Stato” e la Costituzione ha legittimato e limitato lo Stato. La
formazione storica dello Stato moderno presuppone a) la spersonalizzazione e secolarizzazione
del potere, dalla rinuncia all’investitura divina e dalla nascita delle burocrazie in seno alle corti
(1100) fino al trionfo della cd. “ragion di Stato (1500), b) l’accentramento politico e
l’allargamento territoriale del potere, dalla nascita di governi e parlamenti (1200) fino alla
trasformazione di signorie locali, corporazioni, nobiltà e clero in poteri intermediari tra società e
Stato (1600), c) la “giuridificazione” del potere, dallo Stato di polizia, dove il buon governo del
principe garantisce sicurezza e felicità ai cittadini (700), fino allo Stato di diritto, dove si deve
governare sulla base e nel rispetto di costituzioni e leggi (800).
31. Quel che distingue il potere dello Stato da quello di altre organizzazioni pubbliche, solo
autonome e derivate, è la pretesa di sovranità, in passato del monarca, oggi del popolo all’interno
(art. 1) e dello Stato all’esterno (art. 11). Il titolare della sovranità non può riconoscere poteri e
soggetti superiori né all’interno (art. 7), né all’esterno dello Stato (art. 11). La sovranità implica la
cd. originarietà dell’ordinamento e della politica che non derivano, né dipendono da altri
ordinamenti (stati fantocci), ma può essere maggiore o minore a seconda dei poteri che la
costruiscono. Non è più solo regola (si ha o no), ma principio (lo si è più o di meno o troppo poco).
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Lo Stato sovrano è in crisi da almeno un secolo (Santi Romano), ma non è morto. Nel diritto
internazionale odierno forse nessun Stato, neanche se dotato di armi nucleari e di un seggio
permanente nel Consiglio di sicurezza dell’ONU, può difendersi e reggersi da solo. Per effetto della
globalizzazione sono cresciute le interdipendenze, le organizzazioni sopranazionali e le
giurisdizioni internazionali e sembrano diminuire i poteri della politica. La sovranità non è più una
forza esclusiva (rispetto alle forze della società) e chiusa (rispetto alle altre nazioni), assume forme
più simboliche ed è costruita dalla Costituzione come potere costituente.
32. I poteri che caratterizzano e costruiscono la sovranità (Bodin) possono essere riassunti nei
seguenti simboli:
a) spada: il monopolio della forza legittima verso l’interno (forze delle autorità di pubblica
sicurezza) e verso l’esterno (forze armate),
b) bandiera: il potere di fare pace e garantirla sul territorio (poteri di garanzia dell’unità nazionale)
e di concludere patti con altri stati e di partecipare ad organizzazioni internazionali (potere estero),
c) toga: il potere di risolvere liti e garantire i diritti in modo pacifico (potere giudiziario),
d) moneta: il potere di battere moneta e garantire la fiducia nel suo valore (potere economicofinanziario).
33. Lo Stato si definisce tradizionalmente si definisce lo Stato attraverso i suoi elementi base:
popolo, territorio e potere sovrano dell’organizzazione politica. In base ai rapporti che si
stabiliscono tra i vari elementi si possono distinguere varie forme di Stato, intesi come tipi ideali e
scelte del potere costituente, indicatori di volontà politiche e principi fondamentali che ispirano
l’interpretazione della Costituzione.
(1) Stato democratico (legittimazione del potere dal basso: il potere conferito è “dal popolo”,
esercitato “per il popolo” e “con” la partecipazione del popolo) vs Stato autocratico (legittimazione
del potere dall’alto, ad es. dal cielo (monarca), dalla forza militare (dittatore), dalla nobiltà
(aristocrazia) e dal sapere tecnico (tecnocrazia) (art. 1). Lo Stato democratico non può che essere
repubblica, quello autocratico può che avere come tendenza monarchia o oligarchia. Tanto l’uno
quanto l’altra forma di stato possono avere diverse forme di governo (relazioni tra organi
nell’assetto dei poteri).
(2) Stato liberale (compito del potere è la garanzia delle libertà dei cittadini in un ordine sociale
spontaneo da conservare: “garantismo”, art. 2) vs Stato sociale (compito è la garanzia
dell’eguaglianza sociale dei cittadini in un ordine sociale da trasformare: “interventismo”) (art. 3).
Tale dicotomia si applica soprattutto ai rapporti tra Stato e mercato, mentre ai rapporti tra Stato e
cultura, religione si applica quella di Stato laico, garante di libertà di coscienza e religiosità
spontanea, e confessionale, garante di poteri di determinate organizzazioni religiose e del
mantenimento di una specifica cultura religiosa. A queste forme di stato possono corrispondere
diverse forme di società.
(3) Stato unitario (sovranità territorialmente indivisa) vs Stato federale (sovranità divisa, cioè non
monopolizzata né da un soggetto centrale (= stato unitario), né dai soggetti periferici regionali o
locali (art. 5). Lo Stato federale non va confuso con una Confederazione di Stati che non è Stato,
perché unione di più popoli organizzati in Stati che limitano ma non condividono una sovranità, né
con lo Stato regionale che è una forma intermedia, più unitaria che federale, con un accentuato
pluralismo di autonomie territoriali.
34. Nello Stato di diritto moderno, ogni potere è costruito e limitato da norme giuridiche di diritto
pubblico che preferiscono al “governo degli uomini” il “governo delle leggi” (rule of law). Nello
Stato costituzionale, lo Stato è costruito dal diritto costituzionale, non è nulla di anteriore e nulla di
superiore alla Costituzione, come il monarca assoluto lo rappresentava. Lo stesso potere
costituente del popolo, sul quale si fondano i fatti (consuetudini), gli atti o i patti della Costituzione
non può più considerarsi libero, perché è vincolato al rispetto dei diritti umani ed è legittimato da un
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“diritto alla costituzione”. Le costituzioni sono oramai scritte in un testo unico (con l’eccezione di
Regno Unito e Israele), più rigide delle leggi (art. 138: procedure di revisione aggravate) nonché
più lunghe (con norme per la trasformazione della società). La Costituzione repubblicana italiana si
distingue in questo dallo Statuto Albertino e dalle cd. leggi “costituzionali” del regime fascista. Gli
stati costituzionali nazionali contemporanei devono, le confederazioni di Stati come l’Unione
europea possono avere costituzioni interamente o parzialmente scritte in uno o più testi. Forse
perfino la comunità internazionale ha nei diritti umani, nello statuto dell’ONU, nelle consuetudini
e nel diritto comune delle costituzioni degli Stati già (elementi o frammenti di) costituzioni parziali.
36. La politica costituzionale “non si fa scrivendo leggi e costituzioni in un modo o nell’altro, ma
creando le condizioni materiali che rendono possibile – nel senso di storicamente auspicabile e
sopportabile - il prevalere di determinati caratteri dell’organizzazione della vita sociale.”
(Zagrebelsky) Per quella più liberale, la costituzione deve limitarsi a disciplinare con poche norme
lo Stato e il quadro delle sue azioni a garanzia della società, per quella più sociale anche le linee
guida della trasformazione della stessa. Le scelte della politica costituzionale possono farsi ispirare
da criteri razionali di ”economia costituzionale”, ma devono anche tenere conto delle esperienze
della “cultura costituzionale” che si alimenta non solo dalla cultura politica e da quella giuridica,
ma anche da quella generale dei cittadini nella società civile.
IV. Il costituzionalismo e il diritto costituzionale italiano e comparato
37. Le culture possono interagire, con conflitti, dialoghi, adattamenti. Quelle costituzionali si
confrontano sul costituzionalismo, cioè sugli ideali politici e sulle idee giuridiche delle
costituzioni. Il costituzionalismo storico sei-, sette- e ottocentesco, europeo ed americano, partiva
dalle idee dei diritti universali e delle separazioni dei poteri particolari. L’incivilimento delle
nazioni veniva osservata dalla scienza del diritto comparato, oggi diviso in diritto pubblico
comparato e diritto privato comparato, e dalla cd. “statistica”, lo studio delle notizie politiche dei
vari stati. La scienza del diritto costituzionale nazionale si avvale della comparazione (diritto
costituzionale comparato) per interpretare la propria costituzionale nel contesto delle altre
costituzioni, di paesi vicini e lontani. Nelle costituzioni circolano modelli e idee adattate a
problemi in parte comuni, in parte peculiari che possono ispirare la politica costituzionale e le
pratiche dei giudici costituzionali, ma anche la politica estera e la formazione di organizzazioni
internazionali (per l’Italia in particolare l’Unione europea).
38. La comparazione è un’attività di giudizio di ogni essere umano, ben definita da G. W. Leibniz:
“Comparare est considerare in quo duo conveniant et differant” (Comparare è considerare in che
cosa due cose convengono e differiscono.) Il giudizio comparativo stabilisce una relazione più o
meno complessa tra due o più oggetti, accertando uno o più aspetti di eguaglianza e di differenza
sulla base di uno o più criteri o parametri usati (cd. tertia comparationis). La comparazione
giuridica in generale e quella costituzionale in particolare può focalizzare singoli problemi e casi o
norme oppure complessi di norme che configurano singoli istituti o modelli giuridici (cd.
microcomparazione), ma può avere per oggetto anche interi ordinamenti giuridici (cd.
macrocomparazione). Può riguardare un numero variabile (bi-, tri-, multi-, globale) di ordinamenti
diversi o uguali per tempo (diacronica vs sincronica) e per territorio (micro, mesa-, macrostati,
continenti) e per livello (interlocale, -regionale, -nazionale, multilevel).
39. La comparazione giuridica può osservare le disposizioni dei testi legislativi, le proposizioni
dottrinali, la motivazione di sentenze che fungono da “precedenti” di una giurisprudenza
consolidata quali “formanti” del diritto (R. Sacco). La Le comunanze somiglianze accertate
possono essere spiegate con scelte di imitazione o recezione con adattamento, con legami di
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vicinanza (cd. “famiglie” di ordinamenti: paesi scandinavi) o rapporti di egemonia storica
(colonizzazione). Le differenze possono essere maggiori o minori per ragioni di lingua (senza o con
traduzioni), di religione (condizionamenti del canonico, islamico, ebraico, indu ecc.), di sviluppo
economico e di cultura giuridica e politica.
40. La comparazione costituzionale serve a mappare e a unire il mondo. Aiuta a misurare distanze e
vicinanze che rilevano per le relazioni internazionali. Il mondo si divide non più tanto in culture
giuridiche di civil law (centrata sulla legge) e common law (centrata sulle sentenze) e la soviet law
non esiste più. Semmai si distinguono la professional law (il diritto creato dai giuristi tecnici) e la
political law (il diritto plasmato da politici democratici) da forme meno sviluppate di “rule of
tradition” o forse, più precisamente, di particular law (il diritto guidato dalla religione o da
ideologie politiche o economiche forti). La globalizzazione del diritto privato sembra più rapida di
quella del diritto delle costituzioni, l’universalizzazione dei diritti più promettente di quella delle
forme di governo. L’uso delle esperienze comparate, sia nei parlamenti nazionali sia nei tribunali
internazionali, serve ad accertare i principi e le tradizioni costituzionali comuni dei paesi
dell’Unione europea, le alternative di soluzione di problemi comuni, le tendenze di sviluppo del
diritto e gli usi e standards buoni. La comparazione può implicare anche delle valutazioni, anche
nei tribunali internazionali. Si può farne un uso critico, ma anche un uso costruttivo. I giudici di
paesi in via di sviluppo spesso citano scelte legislative o interpretative di paesi con tradizioni di
costituzionalismo più lunghe. La comparazione costituzionale può aiutare il popolo ad imparare
sovranità.
Letture integrative e di approfondimento:
ad I. N. Bobbio, La scienza politica e la tradizione di studi politici in Italia (1985),
in: Saggi sulla scienza politica in Italia, Bari 1996
ad II. N. Bobbio, Teoria della norma giuridica, Torino 1958
N. Bobbio, Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino 1960
L. Ferrajoli, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia, Roma 2007
F. Modugno, Interpretazione giuridica, Padova 2009
ad III. G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino 1991
G. Zagrebelsky, Stato - Società - Costituzione, Torino 1988
G. Zagrebelsky – P. Portinaro – J. Luther, Il futuro della costituzione, Torino 1991
P. Häberle, Per una dottrina della costituzione come scienza della cultura, Roma 2001
G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia, Bologna 2008
ad IV P. Carrozza, A. Di Giovine, G. F. Ferrari, Diritto costituzionale comparato, vol. 2, Roma-Bari 2009
G. De Vergottini, Le transizioni costituzionali, Bologna 1998
P. Häberle, Europäische Verfassungslehre, 7a ed. 2011
U. Mattei, P.G. Monateri, Introduzione breve al diritto comparato, Padova 1997
R. Sacco, Antropologia giuridica, Bologna 2007
B. Markesinis, J. Fedtke, Giudici e diritto straniero, , Bologna 2009.
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Allegato: SETTORI SCIENTIFICO DISCIPLINARI DEL DIRITTO Area 12 - Scienze giuridiche
IUS/01 DIRITTO PRIVATO
Il settore comprende gli studi relativi al sistema del diritto privato quale emerge dalla normativa del codice
civile e dalle leggi ad esso complementari. Gli studi attengono, altresì, al diritto civile, ai diritti delle persone,
della famiglia, al diritto dell'informatica e al biodiritto.
IUS/02 DIRITTO PRIVATO COMPARATO
Il settore comprende gli studi relativi all'identificazione dei sistemi giuridici, alla loro classificazione e
all'inquadramento dei singoli ordinamenti nell'uno o nell'altro sistema. Gli studi attengono, altresì, alle analisi
comparative di istituti, regole e tecniche riconducibili al diritto privato ed appartenenti a ordinamenti
giuridici diversi, nonché le ricerche riguardanti l'unificazione del diritto ed il suo impatto sugli ordinamenti
interni.
IUS/03 DIRITTO AGRARIO
Il settore comprende gli studi relativi all'organizzazione ed allo svolgimento dell'attività produttiva agricola
nei suoi molteplici aspetti giuridici, quale individuata dalla disciplina del codice civile, dalla legislazione
speciale e dalla normativa comunitaria, con attenzione anche ai profili di diritto comparato. Gli studi
attengono, altresì, alle problematiche giuridiche relative alla tutela dell'ambiente ed alla commercializzazione
dei prodotti agricoli.
IUS/04 DIRITTO COMMERCIALE
Il settore comprende gli studi relativi alla disciplina di diritto privato dell'attività e degli atti di impresa, con
particolare riferimento agli statuti professionali dell'imprenditore e dell'imprenditore commerciale, alle
società, ai contratti di impresa, al diritto industriale, al diritto d'autore, agli aspetti privatistici delle procedure
concorsuali, ai settori bancario ed assicurativo.
IUS/05 DIRITTO DELL’ECONOMIA
Il settore comprende gli studi relativi alla regolamentazione delle attività economiche, volti ad approfondirne
i profili pubblicistici e privatistici secondo un metodo interdisciplinare. Gli studi attengono, in particolare,
agli ordinamenti settoriali dell'attività bancaria, finanziaria ed assicurativa.
IUS/06 DIRITTO DELLA NAVIGAZIONE
Il settore comprende gli studi relativi all'ordinamento speciale ed autonomo della navigazione marittima,
interna ed aerea, nei suoi aspetti di diritto pubblico e privato, comunitario ed internazionale, processuale e
penale, al diritto dei trasporti ed al diritto aerospaziale.
IUS/07 DIRITTO DEL LAVORO
Il settore comprende gli studi relativi alla disciplina dei rapporti individuali e collettivi di lavoro, al diritto
sindacale e delle relazioni industriali, al diritto previdenziale e della sicurezza sociale in genere, con
riferimento, altresì, all'organizzazione amministrativa. Gli studi attengono, altresì, alla legislazione delle pari
opportunità.
IUS/08 DIRITTO COSTITUZIONALE
Il settore comprende gli studi relativi all'organizzazione fondamentale dell’ordinamento, quale risulta dalla
Carta costituzionale, con specifico riferimento alla formazione, alla composizione, ai poteri ed alle
interazioni degli organi costituzionali. Gli studi attengono, altresì, al diritto parlamentare, alla giustizia
costituzionale, all'ordinamento regionale, nonché ai principi fondamentali che governano i diritti di libertà
individuali e collettivi.
IUS/09 ISTITUZIONI DI DIRITTO PUBBLICO
Il settore comprende gli studi relativi alla configurazione giuridica dello Stato, tanto nella prospettiva
diacronica che in quella sincronica. Gli studi mirano a fornire conoscenze di base relative al sistema delle
fonti normative, all'organizzazione costituzionale ed amministrativa dello Stato e degli enti pubblici, ai diritti
dei cittadini, nonché all'ordinamento giudiziario.
IUS/10 DIRITTO AMMINISTRATIVO
Il settore comprende gli studi relativi all'organizzazione della pubblica amministrazione ed alla disciplina
dell’attività amministrativa pubblica, con riferimento, in particolare, al procedimento, agli atti, al controllo
giurisdizionale ai profili finanziari. Gli studi attengono, altresì, al diritto regionale e degli enti locali, alla
contabilità dello Stato e degli enti pubblici, al diritto urbanistico, nonché ai profili pubblicistici del diritto
dell’ambiente e del diritto dell'informazione e della comunicazione.
IUS/11 DIRITTO CANONICO E DIRITTO ECCLESIASTICO
Il settore comprende gli studi relativi alla disciplina giuridica del fenomeno religioso, anche nella prospettiva
comparatistica, sia all'interno dell'ordinamento statuale, sia negli ordinamenti confessionali, con particolare
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riferimento a quello della Chiesa cattolica. Gli studi attengono, altresì, alla storia del diritto canonico, alla
storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa, e si estendono ai profili di rilevanza giuridica dei fenomeni di
pluralismo etico e religioso.
IUS/12 DIRITTO TRIBUTARIO
Il settore comprende gli studi relativi all'amministrazione finanziaria dello Stato, delle Regioni e degli enti
pubblici territoriali, con particolare riferimento al regime dell’imposizione tributaria, nonché quelli relativi
agli aspetti sanzionatori, processuali, comunitari, internazionali e comparatistici della materia.
IUS/13 DIRITTO INTERNAZIONALE
Il settore comprende gli studi relativi ai rapporti tra Stati, con riferimento ai caratteri strutturali
dell'ordinamento internazionale, agli ambiti normativi in cui esso si articola, all'adattamento del diritto
interno, alle organizzazioni internazionali, incluse le forme giuridiche della cooperazione europea, alla tutela
dei diritti umani. Gli studi attengono, altresì, al diritto internazionale privato e processuale con particolare
riferimento anche a profili istituzionali dell’Unione europea.
IUS/14 DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA
Il settore comprende gli studi relativi agli aspetti giuridici del processo di integrazione europea, con
riferimento alle competenze normative, amministrative e giurisdizionali degli organi comunitari, ai loro
rapporti con gli Stati membri ed i rispettivi ordinamenti. Gli studi attengono, altresì, alla disciplina delle
libertà fondamentali in ambito comunitario, alle politiche dell'Unione Europea ed agli strumenti normativi
comunitari che incidono sulle legislazioni nazionali.
IUS/15 DIRITTO PROCESSUALE CIVILE
Il settore comprende gli studi relativi alla disciplina del fenomeno processuale nell'ambito civilistico (dal
procedimento di cognizione al procedimento di esecuzione), al diritto processuale del lavoro, al diritto
dell'arbitrato ed al diritto fallimentare (con particolare riferimento agli aspetti processuali), nonché gli studi
relativi alle dottrine generali del processo per quanto attiene al versante civilistico.
IUS/16 DIRITTO PROCESSUALE PENALE
Il settore comprende gli studi relativi alla disciplina del fenomeno processuale nell'ambito penalistico (dal
procedimento di cognizione al procedimento di esecuzione), al diritto processuale penale militare, al diritto
penitenziario ed alla giustizia penale minorile, nonché gli studi relativi alle dottrine generali del processo per
quanto attiene al versante penalistico.
IUS/17 DIRITTO PENALE
Il settore comprende gli studi relativi alla potestà punitiva dello Stato, con particolare riferimento alla teoria
generale del reato e della pena, ai delitti ed alle contravvenzioni previsti dal codice penale e dalla
legislazione speciale. Gli studi attengono, altresì, al diritto penale militare, alle diverse articolazioni del
diritto penale concernente le attività economiche, alla legislazione penale minorile, nonché alla criminologia
per quanto riguarda gli aspetti di più immediata rilevanza giuridica.
IUS/18 DIRITTO ROMANO E DIRITTI DELL’ANTICHITÀ
Il settore comprende gli studi relativi ai diritti dell’antichità, con particolare riferimento all’esperienza
giuridica romana (privatistica e pubblicistica) nel suo svolgimento storico. Lo studio del diritto romano,
esegetico e sistematico, condotto con metodi storici e propri del giurista, è finalizzato alla comprensione del
patrimonio culturale costituito dalle fonti antiche, le giuridiche in particolare (quelle del Corpus iuris civilis
giustinianeo e più in generale giurisprudenziali, ma anche quelle epigrafiche e papirologiche), e dei
fondamenti del diritto europeo che discendono dall’esperienza romanistica e dalla sua tradizione culturale e
pratica.
IUS/19 STORIA DEL DIRITTO MEDIEVALE E MODERNO
Il settore comprende gli studi relativi alla storia del diritto pubblico, privato, penale, processuale ed
internazionale dalla fine del mondo antico all'età contemporanea, con particolare riferimento alle fonti
(legislative, dottrinali, documentarie, giurisdizionali), agli istituti, ai giuristi e al metodo giuridico, in un
quadro geografico che dall'Italia si estende all'Europa e agli altri continenti.
IUS/20 FILOSOFIA DEL DIRITTO
Il settore comprende gli studi relativi alla dimensione ontologica, assiologica, deontologica ed
epistemologica del diritto. Gli studi si riferiscono, altresì, alla teoria generale del diritto e dello Stato, nonché
alla sociologia giuridica, ai profili giuridici della bioetica ed all'informatica giuridica.
IUS/21 DIRITTO PUBBLICO COMPARATO
Il settore comprende gli studi relativi alla classificazione degli ordinamenti giuridici, con particolare
riferimento alle analisi comparative di istituti e regole riconducibili al diritto pubblico ed appartenenti a
ordinamenti giuridici diversi, sia nella prospettiva sincronica che in quella diacronica.
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