Music@ n.32 - L`Aquila - Conservatorio "Casella"

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Conservatorio “Casella” L’Aquila Bimestrale, anno VIII marzo - aprile 2013 Poste Italiane spa sped. abb. post. 70% L’Aquila aut. n. C/AQ/$”/2012
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NapolitaNo deNuNcia:
cultura trascurata e sottovalutata
Vent’anni dopo
L’eterna giovinezza di Nureyev
Archivio storico della Fenice
Verdi riscoperto
Nuova legislazione
Fondazioni liriche e Conservatori
Teatri nel mondo. I festeggiati del 2013
Verdi, Wagner, Britten e gli altri
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Marzo-Aprile
2013
SOMMARIO
DENUNCIA _____________________________4
FOGLI D’ALBUM ________________________33
Cultura dimenticata e sottovalutata in
Italia
Allevi non sostituisce Paganini
Lettera-smentita
di Giorgio Napolitano
di Roberto Iovino
FOGLI D’ALBUM ________________________8
Parole che Monti non conosce e non
pronuncia o pronuncia a sproposito
LETTO SULLA STAMPA___________________34
Articoli di Stefano Montefiori, Francesco Merlo
Lucio Villari e Sergio Romano
CELEBRAZIONI _________________________9
FOGLI D’ALBUM _______________________37
Tutti i festeggiati del 2013:
Verdi, Wagner, Britten e gli altri
Ieri concorsini, oggi concorsoni
di Valeria Blasetti
di Pietro Acquafredda
DOCUMENTI & COMMENTI ______________38
APPUNTMENTI_________________________11
Calendari dei maggiori teatri nel
mondo
a cura di Andrea De Santis
CORRISPONDENZE______________________16
Ancora su Wagner e Verdi
Napolitano scrive a Barenboim
e il direttore ringrazia
Legge n. 228.I diplomi dei
Conservatori
Intervento di Bruno Carioti
Nuovo regolamento per le
fondazioni liriche
Interventi di Giuseppe Pennisi, Pietro
Acquafredda, Elisabetta Guarnieri
a cura della redazione
OMNIBUS_____________________________48
Walter Tortoreto
NUREYEV, 20 ANNI DOPO _______________18
ARIA DEL CATALOGO ___________________50
L’eterna giovinezza di Rudy
di Vittoria Ottolenghi
Leone che cinguetta
di Leporello
Il podio per non uscire di scena
di Sergio Trombetta
SOFIA GUBAIDULINA ___________________ 23
Bentornata Sofia
FOGLI D’ALBUM ________________________24
Toccata troncata
Conservatorio "Alfredo Casella"
Direttore: Bruno Carioti
Via Francesco Savini 67100 L'Aquila
tel. 0862 22122
di Sofia Gubajdulina
SCOPERTE ____________________________ 27
Giuseppe Verdi nell’Archivio storico
della Fenice
di Franco Rossi
FOGLI D’ALBUM_________________________30
Melandri al MAXXI:
per Giovanna garantisce Lorenzo
NOVITA’ EDITORIALI ____________________31
Musicisti e Nazismo
Intervista a Nicola Montenz
a cura di Francolina del Gelso
Bimestrale di musica
Anno VIII N.32 Marzo - Aprile 2013
Direttore Responsabile: Pietro Acquafredda
Reg. Trib. dell’Aquila in corso
Progetto grafico
curato dagli studenti del corso di Grafica
dell'Accademia di Belle Arti dell'Aquila
Copertina: Marta Fornari, Alberto Massetti
Interno: Caterina Sebastiani
Illustrazioni: Eleonora Regi, Barbara
Santarelli, Alberto Massetti
Impaginazione: Barbara Pre
Consultabile sul sito: www.consaq.it
Versione online: Alessio Gabriele
Hanno collaborato a questo numero:
Valeria Blasetti, Bruno Carioti, Francolina del
Gelso, Andrea De Santis, Elisabetta Guarnieri,
Roberto Iovino, Giuseppe Pennisi, Franco
Rossi, Walter Tortoreto
Letto sulla stampa
Stefano Montefiori (Corriere), Francesco Merlo
(Repubblica), Lucio Villari e Sergio Romano (
Corriere)
Abbiamo ritrovato e ripubblicato scritti di:
Vittoria Ottolenghi, Sergio Trombetta
è una produzione del Laboratorio teorico-pratico di "Tecniche della Comunicazione" del
Conservatorio "Alfredo Casella"
Lettere al direttore. Indirizzare a:
[email protected]
Stampa: Fabiani Stampatori
Zona ind.le Loc. San Lorenzo
67020 Fossa (AQ)
tel. 0862 755005 / 755096 - fax 0862 755214
E-mail: [email protected]
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Il Presidente della Repubblica sulla condizione della cultura
TRASCuRATA e SOTTOVALuTATA
di Giorgio Napolitano
Mai un Presidente della Repubblica italiana si era espresso con tanta durezza contro
politici e governi che hanno, a suo dire, trascurato colpevolmente la cultura in Italia.
S
ono stato invitato e ho accettato di venire qui perché sono convinto - e non solo per quello che riguarda me stesso, ma per la responsabilità che
ricopro - che quando i padri costituenti hanno scritto
la nostra Carta fondamentale non hanno immaginato
per il Capo dello Stato un ruolo che si risolvesse
(come si dice per i re in altri Paesi) nel tagliare nastri
alle inaugurazioni. Ho ritenuto che il Presidente della
Repubblica dovesse, secondo la nostra concezione
costituzionale, prendersi delle responsabilità, senza
invadere campi che non sono suoi: le responsabilità
del Governo non sono quelle del Presidente della Repubblica, e viceversa. Ma credo di dovere sempre cercare di interpretare le esigenze, gli interessi generali
del Paese, anche in rapporto a scelte del Governo che rispetto, perché non posso assolutamente sostituirmi a chi ha la responsabilità del potere esecutivo attraverso un dialogo al quale intendo dare il mio
contributo.
Innanzitutto - se posso dire qualcosa a proposito del
titolo di questa assemblea - forse ‘emergenza dimenticata’ non è l'espressione più adatta. Perché non è
una questione di emergenza: quando parliamo di
cultura parliamo di una scelta di fondo trascurata in
un lungo arco di tempo. E le questioni che abbiamo
davanti oggi non sono nate un anno fa, con questo
governo; la scelta che auspichiamo per la cultura
resta da fare perché non è stata fatta in modo conseguente per anni, per non dire per decenni, nel nostro
Paese. Il Manifesto del Sole-24 Ore e il Rapporto 2012
di Federculture ci dicono molto a proposito della cultura come motore o moltiplicatore dello sviluppo questa espressione è ritornata anche nell'intervento
del ministro Fabrizio Barca - perché quello che ci
deve assillare è come rilanciare lo sviluppo nel nostro
Paese: sviluppo produttivo, sviluppo dell'occupazione e, soprattutto, prospettiva di valorizzazione
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delle personalità e dei talenti dei giovani, delle giovani generazioni. Questo deve essere il nostro assillo.
E dobbiamo sapere che la cultura può rappresentare
un volano fondamentale per avviare una nuova prospettiva di sviluppo non solo in Italia ma anche, più
in generale, in Europa.
Ho apprezzato anche il contributo che in questi documenti si dà ad un'analisi delle diverse componenti
della cultura, sotto il profilo delle ricadute sulla crescita dell'economia e concretamente sulla crescita
del PIL. Lo ha fatto, in modo particolare, in un suo
studio il professor Sacco, che ha individuato sette
componenti: da un cosiddetto "nucleo non-industriale" alle industrie culturali e alle industrie creative,
alla scienza e alla tecnologia, e ha misurato quale sia
il peso occupazionale di ciascuna di queste componenti della sfera complessiva della cultura, e anche
quale sia - cosa molto significativa - il grado di propensione all'export, e di successo nell'export, di queste componenti delle attività culturali.
Persiste in Italia - perché non è nata ieri - una sottovalutazione clamorosa di queste tematiche, di queste
analisi, di queste ricerche: una sottovalutazione clamorosa da parte delle istituzioni rappresentative del
mondo della politica, del governo nazionale, dei governi locali e anche di diversi settori della società civile. C'è una sottovalutazione clamorosa, quindi, delle
conseguenze che invece bisognerebbe trarne sul
piano delle politiche pubbliche; e non inganni la parola "pubbliche", perché ci sono politiche come
quella fiscale vanno rivolte a sollecitare e rendere sostenibili anche iniziative private, del settore privato e
del settore sociale: non si tratta di affidare tutto al
pubblico, tutto allo Stato. Comunque, a monte di
tutte le carenze che qui sono state denunciate, di
tutte le cecità di cui soffre la condizione riservata alla
cultura oggi in Italia, c'è la scarsa consapevolezza l'ho ripetuto anche qualche giorno fa - dell'importanza decisiva per il nostro Paese di uno straordinario
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patrimonio, "ben più largo - ha detto Giuliano Amato
- di quello costituito dalle opere d'arte e tuttavia nutrito dallo stesso patrimonio genetico". Ma non voglio
ritornare su questa accezione più larga, che il Presidente Amato ha assai bene prospettato ed esemplificato. Riprendo invece la sua difesa della scelta
dell'Assemblea Costituente. Difendo l'art. 9 come uno
dei principî fondamentali della Repubblica e della
Costituzione, come scelta meditata, lungimirante e di
sorprendente attualità; anche per come ha saputo
abbracciare in due righe tutti gli aspetti essenziali del
tema che ancor oggi dibattiamo (e voglio rendere
omaggio a quei signori che sapevano scrivere in due
righe una norma: sapevano scrivere in italiano le
leggi, e innanzitutto la Legge fondamentale).
Vogliamo rileggerle, quelle due righe? Cito anche il
primo comma, non solo il secondo: “La Repubblica
promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica” - e già questo è un accoppiamento
che non dovremmo mai
trascurare nei nostri discorsi: cultura e ricerca
scientifica e tecnica. L'articolo quindi continua:
“[La Repubblica] tutela il
patrimonio storico e artistico della Nazione”. Ebbene, quanto oggi le
istituzioni della Repubblica ‘promuovono’ e ‘tutelano’? Promuovono e
tutelano ancora pochissimo, in modo radicalmente insufficiente.
Quale peso - ci dobbiamo chiedere, al di là
delle proclamazioni - si
sta di fatto riconoscendo a quel dettato costituzionale, e dunque ad una corretta visione del rapporto
tra cultura e scienza, da una parte, e sviluppo dell'economia e dell'occupazione dall'altra? Non vorrei
ragionare soltanto in termini economici: quale peso
si sta riconoscendo al rapporto tra cultura e scienza,
ulteriore incivilimento del Paese, benessere dei cittadini misurato secondo nuovi indici qualitativi, valorizzazione dell'identità e del prestigio dell'Italia nel
mondo? Perché non c'è soltanto da valutare quale
aiuto diano alla crescita del prodotto lordo la cultura
e la scienza, ma come esse siano parte integrante del
nostro stare nel mondo, con il profilo e il prestigio
che le generazioni che ci hanno preceduto hanno assicurato all'Italia. In effetti, ripeto, si sta prestando a
tutti questi fattori un'attenzione assolutamente inadeguata. Ed io ho posto, e ancora oggi intendo porre,
questo problema in via prioritaria e di principio, cioè
per quel che di per sé esso significa, prima di venire a
considerazioni relative a temi di intervento legislativo
e di finanza pubblica. Ma non eludo questi temi, e
non esito a esprimermi con spirito critico anche nei
confronti dei comportamenti dell'attuale governo nel
suo complesso, pur conoscendo la sensibilità e l'impegno dei singoli ministri, e non perdendo di vista
quel che l'Italia deve al governo del Presidente Mario
Monti per un recupero incontestabile di credibilità e
di ruolo in Europa e nel mondo.
Sappiamo - anche se qui non si tratta di fare i ragionieri, ma di ragionare politicamente: fare i ragionieri e
ragionare sono due cose diverse - che è stato e resta
necessario fare i conti con un livello di indebitamento
pubblico raggiunto nel corso di decenni e con un
grado di esposizione ai rischi del mercato dei titoli
del debito sovrano nella Zona Euro, e quindi resta indispensabile perseguire obbiettivi rigorosi, in tempi
stretti, concertati in sede europea, di riduzione della
spesa pubblica e di contenimento della sua dinamica.
Se non facciamo questo, a quale livello schizzeranno
gli interessi dei nostri
titoli pubblici? Quanto
dovremo pagare? C'è
anche tanta gente
modesta che ha comprato buoni del tesoro: come facciamo a
non rendere loro gli
interessi che ci siamo
impegnati a pagare e
che rischiano di crescere? Oggi, dobbiamo pagare fino a
80 miliardi all'anno di
interessi sul debito
pubblico: che cosa potremmo fare anche
solo con una piccola
parte di questi 80 miliardi? Dobbiamo scrollarci dalle
spalle questo peso insopportabile. E dobbiamo farlo
perché altrimenti questi sono i casi e i modi in cui
uno Stato può fallire, e non credo che possiamo giocare con questo rischio oggi e nel prossimo futuro,
nel nostro Paese, chiunque governi e qualunque situazione politica e parlamentare esca dalle elezioni.
Però, io pongo una domanda, chiaramente molto
problematica, anzi critica: ma è fatale che per riuscire
in questo sforzo di risanamento della finanza pubblica si debba ancora procedere con tagli rilevanti a
impegni di finanziamento in ogni settore di spesa,
tagli più o meno uniformi o, come si dice - è diventato un termine abbastanza consueto - "lineari", senza
tentare di far emergere una nuova scala di priorità
nell'intervento pubblico, e quindi nella ripartizione
delle risorse? Non credo, onestamente - pur avendo
grande considerazione per chi deve far quadrare i
conti pubblici: badate che non è uno scherzo per
nessuno - che ciò sia fatale e che ci si debba arren5
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DENUNCIA
dere a fuorvianti automatismi. La logica della spending review dovrebbe essere di ottenere risparmi di
spesa, in qualsiasi settore, attraverso modifiche strutturali, modifiche di meccanismi generatori di spreco
e distorsioni pesanti, e attraverso l'avvio di processi
innovativi nella produzione di servizi pubblici e nella
costruzione di programmi di intervento pubblico.
Questa logica dovrebbe però far salva un'attribuzione di maggiori risorse e finanziamenti da considerare finora sacrificati, a impegni che sono invece
essenziali per una ripresa e una nuova qualificazione
dello sviluppo del Paese. Si deve salvaguardare una
quota accresciuta e consistente di risorse, pur nella
generale riduzione della spesa pubblica, per cultura e
ricerca, tutela del paesaggio e del patrimonio storico
e artistico. Perché il contenimento della spesa pubblica e soprattutto della sua dinamica, e innanzitutto
la riduzione della sua entità attuale, non comportano
che non ci debba essere e non ci possa essere selezione. È molto arduo scegliere e dire: "questo sì e
questo no", ma questa è la politica; la responsabilità
della politica sta nello scegliere, nel dire dei "no" e nel
dire dei "sì". E io credo che debbano essere detti più
"sì" a tutto quello che riguarda la cultura, la scienza, la
ricerca, la tutela e la valorizzazione del nostro patrimonio. Qualche spunto specifico. Ritorno innanzitutto sulla ricerca scientifica, di cui ho detto qualche
giorno fa in occasione della Giornata per la ricerca sul
cancro. L'Italia ha in campi fondamentali della ricerca
tradizioni ed energie vive, dei talenti e un prestigio di
cui molti, ad ogni livello, nella sfera istituzionale e
nell'opinione diffusa, non si rendono conto. Abbiamo
dei tesori ignorati, delle capacità, un dinamismo di
competenze e di passione per la scienza che vengono largamente ignorati. Io Parlo di talenti che operano anche fuori d'Italia: qualche giorno fa, in
Quirinale, alla Giornata per la ricerca sul cancro c'era,
fra gli altri, il professor Pier Paolo Pandolfi, un italiano
che vive in America da vent'anni e da cinque dirige il
Centro di Ricerca Oncologica di Harvard, uno dei più
importanti al mondo, ed è venuto a dirci: voi avete
tali istituti e tali talenti che dobbiamo lavorare insieme, io italiano dall'America e voi italiani in Italia.
Voglio parlare anche di quei tanti italiani che vivono
e operano servendo in istituzioni di ricerca europee.
Sono andato a Ginevra e ho incontrato centinaia di ricercatori italiani al CERN; sono andato a L'Aja, all'ESTEC, centro di ricerche e tecnologie spaziali: altre
centinaia di italiani che sono andati lì anche poco
dopo i vent'anni, dopo aver preso la laurea o il dottorato, e che sono chiusi tutti i giorni, dalla mattina alla
sera - in luoghi che non sono Roma, che non sono
belli come le nostre città - mossi non solo dalla passione per la ricerca e dall'impegno per onorare la tradizione scientifica del nostro del nostro Paese.
È qualcosa che deve far riflettere profondamente,
anche quando sentiamo dire: aiutateci, non solo con
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finanziamenti. Per esempio, i due centri che ho citato
sono naturalmente finanziati dalle istituzioni europee, e noi - non ce lo dimentichiamo - siamo tra i
maggiori contributori, e quindi contribuiamo a finanziare sia la ricerca spaziale, sia le ricerche del CERN;
però, è giustissimo dire: "non solo questo, non solo i
soldi, occorre dell'altro". Occorrono capacità operative, occorre liberarsi dal peso delle procedure burocratiche - lo ha detto bene e con forza Ilaria Capua - e
anche dal peso crescente di una oramai impraticabile
foresta legislativa e normativa che non fa che crescere da una settimana all'altra. Abbiamo talenti e
abbiamo istituzioni. E io mi domando - vi svelo un
particolare - come sia stato possibile qualche tempo
fa che un oscuro estensore di norme abbia preteso di
redigere un articolo di legge che prevedeva la immediata soppressione di 12 istituti di ricerca. Il lavoro di
questo signore è finito nel cestino, perché abbiamo
cercato - non è vero, ministro Profumo? - di tenere insieme gli occhi aperti. Ma è una spia di che cosa può
significare la peggiore mentalità burocratica quando
è chiamata a collaborare a scelte di governo, che devono invece essere libere da queste incrostazioni. Un
secondo spunto: tutela del paesaggio e del patrimonio. Tutela, cura e valorizzazione del territorio, perché
questo è qualcosa che spesso - ma la signora Ilaria
Buitoni lo sa benissimo, e lo sa benissimo il FAI sfugge: si pensa solo al costruito e non si pensa al
dove si costruisce, alla messa in sicurezza del territorio. Quello che stiamo vivendo in questi giorni con le
alluvioni, in tante parti del Paese, ci allarma. Sono
stato mesi fa, dopo le alluvioni nelle Cinque Terre, a
Vernazza, e - scusate se mi ripeto, ma certe volte è
inutile inventare qualcosa di diverso - ho detto lì: "Abbiamo alle spalle una lunga storia di piani per la difesa del suolo, l'ultimo del 2010, con cui si stanziava
credo un miliardo; ebbene, è una lunga storia di
piani, di stanziamenti via via disgregatisi, persisi per
strada, non portati a compimento. Questa è la dura
storia, questa è la realtà. Quante volte abbiamo
aperto questo capitolo, a partire dall'alluvione del
1966 a Firenze, e poi ce ne siamo dimenticati o lo abbiamo chiuso alla meglio, abbiamo rinviato ad un
successivo piano quello che non eravamo stati capaci
di fare, realizzando il piano precedente! E questo rischio antico si è fatto più acuto, ha assunto dimensioni diverse, forme più violente perché siamo piaccia o no - nell'epoca del cambiamento climatico".
Oggi le alluvioni non sono quelle di sempre, le frane
non sono quelle di sempre, e abbiamo bisogno di un
impegno ancora più forte, ancora più determinato e
soprattutto operativo. E non ci siamo: non ci siamo
né nella comprensione del problema né nell'azione
conseguente a tutti i livelli, innanzitutto - dico - a tutti
i livelli istituzionali.
Ora, se mi consentite, io vorrei fare anche qualche osservazione per così dire di carattere "trasversale", cioè
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DENUNCIA
che riguarda tutti i settori di attività culturale a cui ci
siamo riferiti. Le considerazioni da fare sono abbastanza semplici. Innanzitutto, dobbiamo assicurarci
che ci siano anche comportamenti individuali e collettivi nuovi (ecco in che senso "educare", "far crescere" il paese), perché ci sono - parliamoci chiaro comportamenti che recano ingiuria e danno al nostro patrimonio monumentale, che non solo non si
tutela ma spesso si lascia devastare, si lascia ferire,
vandalizzare. Abbiamo bisogno di comportamenti
responsabili in questo senso; e abbiamo bisogno di
comportamenti sensibili anche per quello che riguarda la spesa per i consumi, la spesa delle famiglie. Viviamo in un periodo difficile, perché si
restringono le entrate disponibili per moltissime famiglie, c'è mancanza di lavoro, c'è cassa-integrazione, ci sono giovani che vedono un'ombra pesante
sul loro futuro. Nello stesso tempo, proprio in questo
periodo di restrizioni dure e obbligate, vediamo
anche i segni di una evoluzione nuova nel costume,
nelle scelte dei consumi. E il fatto che diminuiscono
sì tanti consumi di beni durevoli o abituali beni di
consumo, ma invece non diminuisca la spesa per la
fruizione del patrimonio culturale, né la spesa per i
musei, né la spesa per quello che riguarda la partecipazione ad attività culturali, e di arricchimento morale e civile, questo è un segno molto incoraggiante
che noi dovremmo riuscire a generalizzare nella realtà del nostro Paese. Poi c'è qualche cosa che non
posso sottacere. Badate che in tutti i settori, anche in
quelli che fanno capo ad attività culturali, occorrono
scelte non conservative per quel che riguarda le
strutture e per quel che riguarda le realtà che si sono
venute accumulando e incrostando nel corso del
tempo. Guai se dovessero prevalere atteggiamenti
difensivi, di difesa e conservazione di tutto l'esistente; e anche, diciamo pure, guai se dovessero
prevalere atteggiamenti puramente difensivi di posizioni acquisite in termini di categoria, in termini
corporativi. Abbiamo bisogno di innovare soprattutto nel senso - come giustamente si è detto - della
sburocratizzazione e del miglior uso delle scarse o limitate risorse disponibili nel complessivo bilancio
dello Stato. Non dobbiamo, in questo modo, farci
imbrigliare: non tutto quel che c'è in ognuna delle
nostre istituzioni che si occupano di cultura e di
scienza è difendibile, non tutto è valido, non tutto è
produttivo. E dobbiamo avere il coraggio di innovare, se vogliamo salvaguardare l'essenziale, la funzione e il futuro di queste nostre attività. Infine - ma
non entro nel merito e spero che oggi pomeriggio si
sviluppi anche questa dimensione del dibattito - i
soggetti: quali sono i soggetti che debbono entrare
in campo per portare avanti una nuova politica, una
nuova visione del ruolo della cultura in tutte le sue
espressioni? Il ministro Barca ha detto provocatoriamente - però ha fatto bene - che non è questione di
soldi, o non è solo questione di soldi. Penso che se io
vi avessi detto: "non esiste nessuna questione di
soldi", non mi sareste stati a sentire, perché una questione di soldi esiste, per la cultura, per la scuola, per
l'università e per la ricerca; esiste, e l'ho già detto.
Però esiste anche una questione fondamentale che
si chiama capacità progettuale, realizzatrice e gestionale. Questo significa innanzitutto che abbiamo
bisogno in questo senso di una nuova qualificazione
delle istituzioni pubbliche. Per esempio le Regioni:
non getto l'anatema sulle Regioni - ci mancherebbe
altro - però dell'esperienza dei fondi europei per il
Mezzogiorno dobbiamo sentire tutto il peso - stavo
per dire la vergogna, ma non voglio esagerare - per
non avere utilizzate risorse preziose o per averle utilizzate male. Credo che l'impegno con cui il ministro
Barca si è messo all'opera per perseguire il recupero
e la riprogrammazione delle risorse dei fondi europei determinando delle scelte sapienti - che hanno
dato un posto di grande rilievo, per esempio, a progetti per la cultura, come per Pompei - sia uno dei
segni positivi venuti da questo governo, e dobbiamo incoraggiarlo. Soggetti istituzionali da riqualificare e soggetti del privato e del privato sociale da
chiamare a raccolta, da stimolare: lei lo sa presidente
Squinzi, io dico sempre che c'è un problema di più
forte impegno negli investimenti pubblici e privati
per la ricerca, e quindi anche da parte delle aziende,
soprattutto di quelle maggiori, ma delle stesse
medie aziende che oggi competono sul piano internazionale con successo in quanto hanno alle spalle
non solo un'eredità - quella di cui ci ha parlato Giuliano Amato, il grande background della creatività
italiana - ma perché hanno investito in ricerca e innovazione. Abbiamo bisogno di investimenti privati,
abbiamo bisogno di investimenti pubblici, abbiamo
bisogno di mobilitazione nuova di soggetti sociali e
cooperativi, anche adeguando - come ha detto la signora Buitoni - la legislazione italiana all'esigenza di
valorizzare questi apporti.
Io capisco - voglio dirlo francamente - tante impazienze. Naturalmente, io ho fatto nel passato il "comiziante", e quindi sono abituato anche ad
affrontare battibecchi in piazza, non soltanto cioè
parlando io e prendendo gli applausi di chi mi
ascolta. Ma oggi faccio un altro mestiere, e vorrei
dire con molta pacatezza e senso di responsabilità:
fate valere le vostre legittime preoccupazioni, esigenze, insofferenze, proteste, fatele valere con il
massimo sforzo di razionalità e di responsabilità perché solo così potremo portare la cultura più avanti e
il Paese fuori dalla crisi.@
Discorso pronunciato dal Presidente della Repubblica al Teatro Eliseo di Roma il 15.XI. 2012., a conclusione degli ‘Stati generali della cultura’ ,
organizzati dal ‘Il Sole 24 Ore’.
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Fogli d’Album
PAROLe CHe MONTI NON CONOSCe
e NON PRONuNCIA.
O PRONuNCIA A SPROPOSITO
C
i deve essere un buco nel dizionario di Mario
Monti. Solo un buco potrebbe giustificare l’assenza
di qualche termine dal suo vocabolario pubblico, e,
immaginiamo, anche privato. Che è successo alla
lettera ‘C’ del dizionario del prof. Monti? Perché, non
c’è occasione per il premier Monti - che in questo va
ad allungare la lista dei suoi predecessori e di tanti
leader politici italiani di ogni schieramento - di pronunciare la parola ‘CULTURA’? Non la conosce, per il
buco nel suo dizionario, o ha paura di mordersi la
lingua, pronunciandola, e perciò la evita accuratamente?
Ad onor del vero, Monti, ad un certo punto sembrò
voler riparare. Seduto, da Fazio, sulla poltrona di
‘Che tempo che fa’, provò a pronunciare quella parola; solo che, nel timore di mordersi la lingua, non
l’ha sputata fuori da sola, con la necessaria sottolineatura che il caso richiedeva. L’ha sibilata, spostando l’accento su altri due termini, molto
ricorrenti nel suo vocabolario pubblico e che egli ha
messo appresso: ‘cultura della politica, cultura dell’economia’; ambedue mancano in Italia, ha detto il
premier, allo stesso modo - diciamo noi - in cui il termine ‘cultura’, manca dal suo vocabolario. E si è battuto per convincere il pubblico televisivo che quelle
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due culture: politica ed economica, devono assolutamente crearsi in Italia; esattamente come noi ci
batteremo perchè il termine CULTURA faccia parte,
d’ora in avanti, del suo vocabolario, oltre che dei
suoi interessi, anche in previsione di un suo coinvolgimento nel prossimo governo del paese.
Altra falla nel suo vocabolario, alla lettera ‘S’. Mai
sentita nominare, neppure en passant, il termine
‘SCUOLA’ nei suoi discorsi. Sembrava voler mettere
una toppa , ancora nel salottino di Fazio, quando ha
pronunciato la parola SCUOLA, forse per la prima
volta, in pubblico. Il fatto è che l’ha pronunciata per
inveire ‘contro’ la scuola, contro gli insegnanti, che
della scuola sono le colonne portanti, come ha dimostrato - ironia della sorte! - proprio all’indomani
di quella sua inutile invettiva, un rapporto internazionale di Pearson-The Economist che ha chiarito
come le nazioni ai vertici della classifica mondiale
per qualità dell’istruzione, sono nazioni che degli insegnanti hanno una considerazione all’opposto di
quella manifestata dal premier Monti, già prof.
La parola SCUOLA è presente anche nella ben nota
‘agenda’ del prof., gli serve per dire che premierà il
merito. In parola povere: vuol dare più soldi ai bravi
insegnanti. Ma non l’aveva detto anche Mariastella
Gelmini?@
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Tutti gli anniversari . Anche quelli dimenticati
A Verdi e Wagner facciamogli
festa nel 2013
In occasione del bicentenario della nascita di Wagner e Verdi, Wagner è nato a maggio
e Verdi ad ottobre, s’è accesa una disputa intorno all’inaugurazione della stagione alla
Scala con Wagner; mentre in tutta Italia, salvo curiosi casi isolati, e nel resto del mondo
, con l’eccezione della Germania, Verdi, anniversario a parte, è senz’altro anche quest’anno più rappresentato di Wagner.
I
l 2013, per la vita musicale, è segnato da due anniversari eccellenti, in Italia più che altrove; il che ha
già scatenato una dura lotta fra le opposte fazioni di
sostenitori dei due festeggiati. Cade, infatti, nel 2013
il bicentenario della nascita di due dei più grandi autori drammatici di tutti i tempi: Giuseppe Verdi e Richard Wagner. Notizia polemica dei bicentenari, che
ha preceduto la pubblicazione dei cartelloni dei teatri d’opera, se ne è avuta dai giornali già nei mesi
passati, all’approssimarsi dell’inaugurazione della
stagione della Scala di Milano, contestatissima per
via della decisione di inaugurare il massimo teatro
italiano, ubicato nella città verdiana per antonomasia, Milano, con un ‘opera di Wagner, ‘Lohengrin’ diretta da Daniel Barenboim, con la programmazione
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Verdi -Wagner
‘riparatrice’ dell’inaugurazione milanese prossima (7
dicembre 2013), che si farà con ‘La traviata’ diretta da
Daniele Gatti. Se un Daniel sbaglia, un altro Daniele ripara l’errore!
E nella lotta tra fazioni è stato coinvolto anche il Quirinale. Scorrendo i cartelloni italiani ed esteri, si ha
modo di verificare come la polemica sia stata innescata dalla Scala e alla Scala soprattutto sia rimasta
circoscritta. I suoi dirigenti potevano non immaginare che la scelta di Wagner per l’inaugurazione del
2013 avrebbe suscitato polemiche? Non sarebbero
sorte polemiche analoghe se Bayreuth, tempio dell’opera wagneriana, avesse deciso di inaugurare la
prossima edizione del festival estivo , che so io, con
‘Falstaff’, od ‘Otello’, due delle opere verdiane fra le
più wagneriane, se così si può dire? Naturalmente
ogni ragione a difesa della scelta milanese, come
queste che tentiamo di esporre , non avrebbero
senso. A chi dice che Barenboim è più attendibile ed
anche più bravo in Wagner si può facilmente rispondere che non esiste solo Barenboim; qualcuno, autorevole, ha anche azzardato che Barenboim Verdi non
lo sa dirigere, e che, di conseguenza, onde evitare
una figuraccia, lo eviti. Anche a questo handicap si
poteva e doveva porre rimedio, nell’anno che è più
di Verdi che di Wagner per l’Italia tutta. Poteva e doveva studiarselo. Non è il direttore musicale del Teatro alla Scala? Si potrebbe osare ancora fino ad
affermare che se un direttore non dirige Verdi non
potrebbe essere il direttore musicale della Scala. Noi
non siamo di questo parere, anche se buone ragioni
a sostegno di tale posizione, non possiamo rigettarle completamente. Ma se non vi sono ragioni
teoriche ed ideologiche per dissentire dalla scelta
della Scala, ragioni di ‘opportunità’ ve ne sono; perché se non c’è da preferire l’uno all’altro, nell’anno
del bicentenario era opportuno inaugurare la stagione milanese con un’ opera di Verdi. Punto e basta.
Via da Milano, la tenzone fra i due, in Italia, assume
ancora qualche tono acceso, ma solo per scelte che
appaiono quantomeno eccentriche: a Palermo il
Massimo del sovrintendente Cognata ( avversato dal
sindaco Orlando, e commissariato dal ministro Ornaghi, senza che se ne comprendano le ragioni) ha
programmato nella stagione l’intera ‘Tetralogia’ wagneriana. Avrà avuto le sue ragioni, prima fra tutte
quella dei legami di Wagner con Palermo; però - per
semplice opportunità - era da tenersi presente
anche il fatto che un tale progetto in anni di crisi, voleva dire consegnare per parecchi mesi il teatro ad
artisti stranieri, con conseguenze economiche facili
da immaginare. Ed anche Reggio Emilia, dove fino a
qualche mese fa regnava Daniele Abbado, pur di
fare Wagner, s’è fatta la ‘Tetralogia’ in tre giorni invece di quattro, opportunamente ridotta da un compositore di oggi in cerca di notorietà, a spese di
Wagner. Per la cronaca, anni fa anche Lorin Maazel,
10
in veste di compositore, fece una riduzione addirittura tascabile della ‘Tetralogia’, riducendola ad un’ora
appena di musica sinfonica, senza canto perciò,
dalle iniziale quindici circa.
Poi, risulta chiaro che la partita fra Wagner e Verdi, se
giocata sui numeri di titoli in cartellone, è vinta da
Verdi, per 3 a 1. All’estero la partita seppure seguitissima, non agita le due tifoserie che non appaiono
scalmanate; in Germania , naturalmente, la vittoria è
di Wagner, ma in tutto il resto d’Europa, così come
nelle Americhe ed in ogni altra parte del mondo, la
partita per titoli, è vinta a man bassa da Verdi, in
questa stagione come anche nelle precedenti. E’ un
dato di fatto rilevato anche in recenti indagini che
hanno passato al setaccio i cartelloni di quasi tutti i
teatri d’opera del mondo. Anomalia tutta italiana: da
tali rilevazioni è emerso inoppugnabile il dato che
l’opera italiana, il grande melodramma dell’Ottocento, si fa più all’estero che in Italia. Ma nel 2013 ricorrono anche altri anniversari, innanzitutto quello
di Benjamin Britten, presente in diversi cartelloni. E’
il suo momento, come anni fa fu quello di Gustav
Mahler. Ma c’è ancora Hindemith e Poulenc e Mascagni. Anniversari in sordina. Ricorre, infine, nel 2013 il
quarto centenario della morte di Carlo Gesualdo
principe di Venosa, il grande compositore madrigalista, noto alla storia anche per il terribile fatto di sangue di cui si macchiò, ma soprattutto per la sua
singolare figura di compositore. Su di lui il silenzio
più totale. (P.A.)
IL MINISTeRO COMe uN COMMISSARIATO
Comincia male l’anno verdiano. Male per i teatri d’opera
commissariati, con mano lesta, dal Ministero, formalmente:
per mettere ordine. Dietro ogni commissariamento c’è Nastasi. Sempre lui. Alla fine di gennaio si incontra con il sindaco Renzi, di Firenze, per ‘ delineare il profilo del
commissario per il Maggio Fiorentino, nelle cui casse s’è scoperta una voragine. Che, certamente, non può aver fatto la
sovrintendente Francesca Colombo, con tutta la volontà di
delinquere. Dunque deve averla prodotta Giambrone ed
Arcà ai vertici del teatro, prima di Colombo, per quattro
anni, e dopo che la fondazione era stata commissariata e finita nelle mani di Nastasi, commissario. Ancora lui.
Il Nastasi che avrebbe sanato il buco per il quale aveva commissariato la fondazione fiorentina. Stesso discorso a Napoli, arriva lui e si compie il miracolo del risanamento. Con
quali soldi a Napoli e, prima, a Firenze? Se la storia serve ad
insegnarci qualcosa, dovremo aspettarci che a Napoli,
quando andrà definitivamente via Nastasi e l’attuale sovrintendente, Purchia, scopriremo anche lì qualche altra voragine? Anche a Palermo è stato inviato un commissario,
addirittura un prefetto, non di ferro, ‘di quadri’. Ma lì i conti
erano in ordine. Allora, perché? E a Bari?
A Bari le cose vanno a gonfie vele con Fuortes commissario
(candidato anche a Firenze!!!): ha aumentato le recite da 39
a 41 per un anno ed ha risanato il bilancio. E gli altri undici
mesi che fa il Petruzzelli? A Natale, un concerto/regalo: Requiem di Mozart.
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AMBURGO:
VERDI: Falstaff, Don Carlo, La traviata (n.a.
WAGNER: Tannhauser, Der fliegende Hollander, Rienzi, der letzte
der Tribunen, Die meistersinger von Nurnberg, Lohengrin, Tristan
und Isolde, Parsifal, Das Rehingold, Die Walkure, Siegfried, Gotterdammerung
BRUXELLES:
VERDI: La traviata (n.a.)
BUDAPEST:
VERDI: Messa da Requiem, Otello, Rigoletto, La traviata, Il trovatore, Stiffelio, Don Carlo, Aida, I vespri siciliani, Simon Boccanegra
WAGNER: Der fliegende Hollander, Parsifal
AMSTERDAM:
VERDI La traviata
WAGNER: Das Rehingold, Die Walkure, Die meistersinger von Nurnberg (n.a.)
CARDIFF:
WAGNER: Lohengrin
ANVERSA:
VERDI: Nabucco (n.a.), Messa da requiem
WAGNER: Parsifal (n.a.)
ATENE:
VERDI: I vespri siciliani (n.a.)
ATLANTA:
VERDI: La traviata
BARCELLONA:
CHEMNITZ:
VERDI: Nabucco
WAGNER: Tannhauser, Parsifal, Tristan und Isolde
CHICAGO:
VERDI: Simon Boccanegra, Rigoletto
WAGNER: Die meistersinger von Nurnberg (n.a.)
COBLENZA:
VERDI: Rigoletto (n.a.)
COLONIA:
VERDI: La forza del destino (n.a.), Attila (n.a.)
WAGNER: Parsifal (n.a.)
VERDI: La forza del destino (n.a.)
WAGNER: Der fliegende Hollander, Lohengrin, Tristan und Isolde,
Das Rehingold, Rienzi
COPENHAGEN:
WAGNER: Tannhauser
BASILEA:
VERDI: Un ballo in maschera (n.a.)
DALLAS:
VERDI: Aida (n.a.)
BERLINO:
VERDI: La traviata, Un ballo in maschera, Otello, Rigoletto (n.a.),
Messa da Requiem, Attila, Don Carlo, Aida
WAGNER: Parsifal (n.a.), Tannhauser, Rienzi, Lohengrin, Tristan und
Isolde, Die meistersinger von Nurnberg, Der fliegende Hollander,
Siegfried (n.a.), Die Walkure, Gotterdammerung (n.a.), Das Rehingold
DARMSTADT:
VERDI: La forza del destino (n.a.)
WAGNER: Das Rheingold, Die Walkure, Siegfried, Gotterdammerung
BERNA:
VERDI: Macbeth (n.a.)
BILBAO:
VERDI: La traviata, Un giorno di regno, I vespri siciliani
BONN:
VERDI: La traviata
WAGNER: Tristan und Isolde (n.a.)
BOSTON:
WAGNER: Der fliegende Hollander (n.a.)
BRATISLAVA:
WAGNER: Lohengrin (n.a.)
BRAUNSCHWEIG:
VERDI: Ernani
WAGNER: Tristan und Isolde
BREGENZ:
VERDI: La traviata (n.a.)
DESSAU:
VERDI: Aida (n.a.)
WAGNER: Siegfried (n.a)
DETROIT:
VERDI: Aida
DORTMUND:
VERDI: Il trovatore (n.a.)
DRESDA:
VERDI: Don Carlo, Un ballo in maschera, La traviata, Rigoletto
WAGNER: Lohengrin, Der fliegende Hollander (n.a.)
DUSSELDORF:
VERDI: Rigoletto, Falstaff, Un ballo in maschera
WAGNER: Die Walkure, Tannhauser (n.a.), Der fliegende Hollander
EDMONTON:
VERDI: Aida
ERFURT:
VERDI: Simon Boccanegra (n.a.)
WAGNER: Der Ring (n.a.)
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ESSEN:
VERDI: La forza del destino, La traviata, Aida, I masnadieri (n.a.)
WAGNER: Parsifal (n.a.), Tristan und Isolde
FRANCOFORTE:
VERDI: La traviata. Otello, Un ballo in maschera, I vespri siciliani
WAGNER: Das Rheingold, Die Walkure, Siegfried, Gotterdammerung, Lohengrin, Rienzi
FRIBURGO:
VERDI: Nabucco (n.a.)
WAGNER: Lohengrin, Parsifal (n.a.)
GENT:
VERDI: Nabucco (n.a.), Messa da Requiem
WAGNER: Parsifal
GINEVRA:
VERDI: La traviata
WAGNER: Das Rheingold (n.a.)
GLASGOW:
VERDI: La traviata (n.a.)
WAGNER: Der fliegende Hollander
GOTEBORG:
VERDI: Simon Boccanegra (n.a.)
WAGNER: Tristan und Isolde (n.a.)
GRAZ:
VERDI: La traviata, Falstaff (n.a.)
HAGEN:
VERDI: Don Carlo (n.a.)
HALLE:
VERDI: Nabucco (n.a.)
WAGNER: Die Walkure, Gotterdammerung (n.a.), Das Rheingold,
Siegfried
HANNOVER:
VERDI: Don Carlo, La traviata, Rigoletto
WAGNER: Die meistersinger von Nurnberg (n.a.)
HELSINKI:
VERDI: Aida, Don Carlo (n.a.), Rigoletto, Un ballo in maschera, La
traviata
WAGNER: Tristan und Isolde (n.a.)
HOUSTON:
VERDI Il trovatore, Macbeth (n.a.), Falstaff (n.a.)
WAGNER: Tristan und Isolde
KANSAS CITY:
VERDI Il trovatore
WAGNER: Der fliegende Hollander
KARLSRUHE:
VERDI: Rigoletto
WAGNER: Tannhauser (n.a.), Das Rheingold, Die Walkure, Siegfried, Gotterdammerung
LEEDS:
VERDI: Otello (n.a.)
LIEGI:
VERDI: La forza del destino, I due Foscari
LINZ:
VERDI: Rigoletto (n.a.)
LIONE:
VERDI: Macbeth (n.a.)
LIPSIA:
VERDI: Rigoletto (n.a.), Macbeth, Nabucco (n.a.)
WAGNER: Die meistersinger von Nurnberg, Der Ring (n.a.), Die
Feen (n.a.), Parsifal, Rienzi, Das Rheingold (n.a.), Der fliegende Hollander
LISBONA:
VERDI: Falstaff
LONDRA:
VERDI: Nabucco, Don Carlo, Simon Boccanegra, La traviata
WAGNER: Der Ring
LOS ANGELES:
VERDI: I due Foscari (n.a.)
WAGNER: Der fliegende Hollander (n.a.)
LUCERNA:
VERDI: La traviata (n.a.)
LUSSEMBURGO:
WAGNER: Parsifal
MADRID:
VERDI: Macbeth
WAGNER: Parsifal
MAGDEBURGO:
VERDI: Don Carlo (n.a.)
WAGNER: Tristan und Isolde (n.a.)
MALMO:
VERDI: Luisa Miller
MANNHEIM:
VERDI: Un ballo in maschera, Don Carlo (n.a.), Otello
WAGNER: Lohengrin, Siegfried (n.a.), Gotterdammerung (n.a.),
Parsifal
MARIBOR:
VERDI: Rigoletto (n.a.)
MARSIGLIA:
VERDI: Otello (n.a.)
MASSY:
VERDI: Nabucco, Messa da Requiem
MEININGER:
VERDI: Un ballo in maschera
WAGNER: Das Liebesverbot, Tristan und Isolde
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METZ:
VERDI: La traviata (n.a.)
MIAMI:
VERDI: La traviata
MINNEAPOLIS:
VERDI: Nabucco
MINSK:
VERDI: Il trovatore, La traviata, Nabucco, Un ballo in maschera,
Aida
MONACO:
VERDI: Rigoletto (n.a.), Aida, Otello, Macbeth, La traviata, Simon
Boccanegra (n.a.), Il trovatore (n.a.), Falstaff, Don Carlo
WAGNER: Tannhauser, Lohengrin, Das Rheingold, Die Walkure,
Siegfried, Gotterdammerung, Tristan und Isolde, Parsifal, Der fliegende Hollander
MONTECARLO:
VERDI: La traviata (n.a.), Stiffelio (n.a.)
MONTREAL:
VERDI: La traviata
WAGNER: Der fliegende Hollander
MOSCA:
VERDI: La traviata, La forza del destino
WAGNER: Das Liebesverbot
NANCY:
VERDI: Macbeth
NANTES:
VERDI: La traviata (n.a.)
NEW YORK:
VERDI: Il trovatore, Otello, Un ballo in maschera (n.a.), Aida, Rigoletto, Don Carlo, La traviata
WAGNER: Parsifal (n.a.), Das Rheingold, Die Walkure, Siegfried,
Gotterdammerung
NIZZA:
VERDI: Simon Boccanegra
NORIMBERGA:
VERDI: Il trovatore (n.a.), Aida
WAGNER: Tristan und Isolde (n.a.), Der fliegende Hollander, Die
meistersinger von Nurnberg
OVIEDO:
VERDI: Don Carlo (n.a.)
PALM BEACH:
VERDI: La traviata
PARIGI:
VERDI: Don Carlo, Messa da Requiem, Falstaff
WAGNER: Das Rheingold, Die Walkure, Siegfried, Gotterdammerung
PECHINO:
VERDI: Otello, Nabucco, Un ballo in maschera
WAGNER: Der fliegende Hollander
PRAGA:
VERDI: La traviata, Rigoletto, Otello, Il trovatore, Nabucco, Aida
REIMS:
VERDI: Rigoletto
SABADELL:
VERDI: Nabucco, La traviata
SAINT-ETIENNE:
VERDI: La traviata
SALISBURGO:
WAGNER: Tristan und Isolde
SAN FRANCISCO:
VERDI: Rigoletto
WAGNER: Lohengrin
SAN PIETROBURGO:
VERDI: Aida, La traviata, Rigoletto, Attila, La forza del destino,
Otello, Nabucco
WAGNER: Das Rheingold, Die Walkure, Siegfried, Gotterdammerung, Der fliegende Hollander
SIVIGLIA:
VERDI: Rigoletto
WAGNER: Siegfried
SOFIA:
VERDI: Don Carlo, Rigoletto, Attila
WAGNER: Siegfried, Gottedammerung, Das Rheingold, Die Walkure
ST. GALLEN:
VERDI: Rigoletto (n.a.), Un ballo in maschera, La forza del destino
STOCCARDA:
VERDI: Nabucco (n.a.)
WAGNER: Gotterdammerung, Parsifal, Der fliegende Hollander
STOCCOLMA:
VERDI: Un ballo in maschera, Otello
WAGNER: Die Walkure
STRASBURGO:
VERDI: Messa da Requiem
WAGNER: Tannhauser (n.a.)
TALLIN:
VERDI: Rigoletto, La traviata
TEL AVIV:
VERDI: Luisa Miller (n.a.), Otello (n.a.)
TOKYO:
VERDI: Aida, Nabucco (n.a.)
WAGNER: Tannhauser
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TOLONE:
VERDI: Aida
MALMO: Let's Make an Opera
MANNHEIM: The Turn of the Screw (n.a.)
MASSY: The Turn of the Screw
TOULOUSE:
VERDI: Don Carlo
WAGNER: Rienzi (n.a.)
MILWAUKEE: Albert Herring
MOSCA: A Midsummer Night's Dream
TORONTO:
VERDI: Il trovatore
WAGNER: Tristan und Isolde
NEW YORK: The Turn of the Screw
OSLO: The Rape of Lucretia
VARSAVIA:
VERDI: Nabucco, Don Carlo, La traviata, Rigoletto
WAGNER: Der fliegende Hollander
VIENNA:
VERDI: Attila (n.a.), La traviata, Rigoletto, Don Carlo, Simon Boccanegra, Otello, Nabucco, Un ballo in maschera
WAGNER: Parsifal, Der fliegende Hollander, Das Rheingold, Die
Walkure, Siegfried, Gotterdammerung, Tristan und Isolde (n.a.)
PALM BEACH: The Turn of the Screw
PHILADELPHIA: Owen Wingrave
RAVENNA: The Rape of Lucretia
REGGIO EMILIA: The Rape of Lucretia
ROMA: Curlew River
VILNIUS:
VERDI: La traviata, Otello
WAGNER: Die Walkure, Der fliegende Hollander
SAN PIETROBURGO: A Midsummer Night's Dream
WEIMAR:
VERDI: La traviata, Falstaff (n.a.), Rigoletto
STRASBURGO: Owen Wingrave (n.a.)
STOCCOLMA: Peter Grimes, The Golden Vanity
TEL AVIV: The Turn of the Screw (n.a.)
WIESBADEN:
VERDI: Aida (n.a.)
TOKYO: Peter Grimes (n.a.)
WUPPERTAL:
VERDI: Un ballo in maschera
TOULOUSE: Albert Herring
TRIESTE: The Rape of Lucretia
ZAGABRIA:
VERDI: Aida (n.a.)
WAGNER: Lohengrin (n.a.)
ZURIGO:
VERDI: Un ballo in maschera, Rigoletto (n.a.), Falstaff, La traviata
BRITTeN (1913 -1976)
VIENNA: Curlew River, The Prodigal Son
HINDeMITH ( 1895 -1963) e POuLeNC ( 1899 – 1963)
BONN:
HINDEMITH: Das Nusch-Nuschi (n.a.), Sancta Susanna (n.a.), Morder, Hoffung der Frauen (n.a.)
AMSTERDAM: Death in Venice
BASILEA: War Requiem
BERLINO: Peter Grimes (n.a.)
BORDEAUX:
POULENC: Les dialogues des Carmélites (n.a.)
CAEN:
POULENC: La Dame de Monte-Carlo, La voix humaine
BOLOGNA: The Turn of the Screw
COLONIA: The Turn of the Screw
FIRENZE: The Rape of Lucretia
COMPIEGNE:
POULENC: La voix humaine
DUSSELDORF:
POULENC: Les dialogues des Carmélites
GLASGOW: A Midsummer Night's Dream
KARLSRUHE: Peter Grimes (n.a.)
LONDRA: Gloriana, Death in Venice
MAGDEBURGO: A Midsummer Night's Dream (n.a.)
HONOLULU:
POULENC: Les dialogues des Carmélites
LEEDS:
POULENC: La voix humaine (n.a.)
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LUSSEMBURGO:
POULENC: La voix humaine (n.a.)
MONACO:
POULENC: Les dialogues des Carmélites
NEW YORK:
POULENC: Les dialogues des Carmélites
OSNABRUCK:
HINDEMITH: Das Nusch-Nuschi (n.a.), Sancta Susanna (n.a.), Morder, Hoffung der Frauen (n.a.)
PARIGI:
POULENC: La voix humaine
MILANO: Cuore di cane, di Alexander Raskatov
VENEZIA: Aspern (n.a.), di Salvatore Sciarrino e La porta della
legge, di Salvatore Sciarrino
PRIMe MONDIALI
BASILEA: Der Sandmann, di Andrea Lorenzo Scartazzini
BERLINO: American Lulu, di Olga Neuwirth
BOLZANO: Macbeth – Underground Opera, di Mauro Pawlowski
BORDEAUX: Slutchai, di Oscar Strasnoy
BRUXELLES: La Dispute, di Benoit Mernier
SEATTLE:
POULENCE: La voix humaine
TOLONE:
POULENC: Les dialogues des Carmélites
TORONTO:
POULENC: Les dialogues des Carmélites
COBURGO: Dorian Gray, di Roland Fister
DUSSELDORF: Sehnsuchtmeer, di Helmut Oering
EDMONTON: Shelter, di Juliet Kiri Palmer
ERFURT: Die Frauen der Toten, di Alois Broder
GINEVRA: JJR (Citoyen de Genevre), di Philippe Fénelon
VIENNA:
HINDEMITH: Mathis der Maler (n.a.)
POULENC: La voix humaine (n.a.)
MASCAGNI ( 1863 – 1945)
GLASGOW: The Elephant Angel, di Gareth Williams
LINZ: The Lost, di Philippe Glass e Opernmaschine, di Peter Androsch
Nel corso della stagione 2012-2013 Cavalleria rusticana verrà rappresentata a:
Bologna, Atene (n.a.), Budapest, Darmstadt, Dusseldorf, Liegi
(n.a.), Lubecca, Oslo (n.a.), Praga, Siviglia, Sofia, Zurigo; a Montecarlo, infine, Amica.
LIONE: Claude, di Thierry Escaich
OPeRA CONTeMPORANeA
Glass ( 1937) Sciarrino ( 1947) Neuwirth (1968), Raskatov (1953)
MONTPELLIER: Jetz, di Mathis Nitschke
MANNHEIM: Der Idiot, di Mieczyslaw Weinberg
MODENA: Oliver Twist, di Cristian Carrara
NANCY: The importance of being Earnest, di Gerald Barry
AMBURGO: Vanitas, di Salvatore Sciarrino
PISA: Falcone e Borsellino, di Antonio Fortunato
AMSTERDAM: Einstein on the Beach, di Philip Glass (n.a.)
PRAGA: Valka s Mloky, di Vladimir Franz
BERLINO: American Lulu, di Olga Neuwirth e Vanitas, di Salvatore
Sciarrino
SAN FRANCISCO: The Secret Garden, di Nolan Gasser e The Gospel
of Mary Magdalene, di Mark Adamo
BONN: Satyagraha, di Philip Glass
ST. GALLEN: Ja Schatz, di Erke Duit
CHICAGO: The Fall of the House of Usher, di Philip Glass
STRASBURGO: Blanche-Neige, di Marius Felix Lange
LINZ: The Lost, di Philip Glass
LONDRA: The Perfect American, di Philip Glass
WUPPERTAL: Vom guten Ton - Die Welt ist voll Geplapper, di Thomas Beimel
LONG BEACH: The Fall of the House of Usher, di Philip Glass
a cura di Andrea De Santis
MADRID: The Perfect American (n.a.), di Philip Glass
MAGONZA: Infinito nero (n.a.), di Salvatore Sciarrino
MANNHEIM: The Outcast, di Olga Neuwirth
MUSIC@MARZOdefinitivo_MUSIC@_ok 31/01/13 12:15 Pagina 14
Verdi -Wagner
WAGNeR O VeRDI?
uN AFFARe DI STATO
In occasione della apertura della stagione scaligera, il Presidente Napolitano ha scritto
una lettera a Barenboim per giustificare la sua assenza; il maestro gli ha prontamente
risposto. I due si sono dati appuntamento a Roma, pochi giorni dopo, per festeggiare
insieme i sessant’anni di carriera del pianista-direttore argentino.
C
aro Maestro Barenboim,
la Prima della Scala cade quest'anno in un momento cruciale, dal punto di vista degli impegni
istituzionali che mi trattengono a Roma, per l'avvicinarsi delle scadenze conclusive della legislatura parlamentare e del mio mandato presidenziale. Sono queste le sole motivazioni della rinuncia, da parte mia, ad assistere alla rappresentazione del ‘Lohengrin’ di Wagner da lei diretto. Nel
ringraziare lei, il Sovrintendente e il Sindaco di Milano per l'invito rivoltomi, e nel rivolgerle i più
sinceri auguri di successo, che la prego di estendere a tutta l'orchestra, agli interpreti, a quanti
hanno collaborato a ogni titolo all'allestimento dello spettacolo e al personale del Teatro, desidero aggiungere un breve commento, volto a fugare arbitrarie allusioni che sono circolate circa
16
MUSIC@MARZOdefinitivo_MUSIC@_ok 31/01/13 12:15 Pagina 15
Verdi -Wagner
mie presunte riserve sulla scelta dell'opera wagneriana per la inaugurazione della stagione. Il
programma della stagione della Scala, prevede, nella fase immediatamente successiva, la messa
in scena di numerose opere verdiane. Ma al di là di questo dato certamente significativo, considero del tutto futile qualsiasi polemica sull'ordine di priorità tra celebrazioni per gli anniversari
wagneriani e verdiani, e piuttosto patetico il riesumare (perfino, vagamente, in chiave di antagonismi nazionali) contrapposizioni che infiammarono nella seconda metà dell'Ottocento amatori
e sostenitori dell'arte di Wagner e dell'arte di Verdi. Quei due grandissimi della musica del XIX secolo appartengono entrambi alla storia della cultura e della creatività europea, e non possono
non avere entrambi un posto d'onore nei programmi delle stagioni d'opera dei maggiori teatri
italiani. Caro Maestro, ricordo ancora con emozione di aver assistito alla rappresentazione del Lohengrin la sera del 7 dicembre 1981, in un magnifico Teatro La Scala nel quale sedeva, in platea, il
Presidente della Repubblica Sandro Pertini. L'opera torna dunque a Milano per Sant'Ambrogio
dopo 30 anni: e allora, buon ritorno, buona prima! Cordialmente.
Giorgio Napolitano
Signor Presidente,
La ringrazio di cuore per la Sua gentilissima lettera. Mi rattrista apprendere che non potrà essere
con noi, come negli anni passati, in occasione della serata che inaugura la nuova Stagione il prossimo 7 dicembre. Nessuno meglio di Lei, Signor Presidente, avrebbe potuto trovare parole più
corrette per descrivere quello che definisce una ’futile polemica’, non solo per il Suo ruolo istituzionale, ma soprattutto per l’alto profilo etico che guida ogni Suo atto. L’Autorità morale non si
acquisisce, la si possiede oppure no. Sono felice e onorato di incontrarLa presto a Roma. Con i
miei più vivi sentimenti di stima e gratitudine.
Daniel Barenboim
INTeRPReTAzIONI ARBITRARIe ?
Il presidente Napolitano, che aveva partecipato alla serata inaugurale verdiana dell’Opera di Roma con Riccardo
Muti sul podio, e che ha deciso di non andare a Milano per la serata inaugurale wagneriana alla Scala, per ‘impegni
istituzionali legati alla scadenze conclusive della legislatura’, per fugare ogni dubbio su possibili arbitrarie interpretazioni, comparse sui giornali ( a Roma sì, perché c’era Muti e perché si rappresentava Verdi; a Milano no,
invece, perché si inaugura con Wagner), il Presidente della repubblica ha dovuto scrivere una lettera per giustificarsi, improvvisandosi musicologo, egli amante sincero della musica. Dalla Scala , dopo alcune nostre dichiarazioni in tv (Uno Mattina di Rai Uno), ci hanno fatto sapere che con Verdi, negli anni di Lissner contrariamente a quanto da noi affermato - si è inaugurato ben due volte, nel 2006 e 2008. Ed hanno precisato
che Muti, nei suoi 19 anni di permanenza a Milano, ha inaugurato con opere verdiane solo sei volte; e, dunque,
per tredici no. E perciò il Muti, direttore verdiano e difensore della tradizione dell’opera italiana, a fronte di questi dati, sarebbe una nostra invenzione. Ed è forse questa deduzione, inesatta, che potrebbe aver spinto Napolitano a scrivere quella lettera.
Resta comunque il fatto che, per ragioni di opportunità, La Scala avrebbe dovuto inaugurare con Verdi, in questo anno del bicentenario ( P.A.)
MUSIC@MARZOdefinitivo_MUSIC@_ok 31/01/13 12:15 Pagina 16
RUDOLF NUREYEV
un’intervista lunga venticinque anni
L’eterna giovinezza di
RuDOLF NuReYeV
di Vittoria Ottolenghi
Il presente profilo di Nureyev, uomo e ballerino, in forma di intervista, Vittoria Ottolenghi, di recente scomparsa, lo scrisse per il mensile ‘Piano Time’, dove uscì a giugno
del 1989. Riproponendolo ai lettori di Music@ , servirà a ricordare la ‘signora della
danza’, e a riportare l’attenzione sul più grande ballerino del secolo scorso, a vent’anni
esatti dalla sua morte.
C
onosco Nureyev dal 1964. La
nostra amicizia è nata e cresciuta
attraverso una sorta di lunga,
18
spregiudicata conversazione sulle
cose e sulle persone che più ci
stavano e ci stanno a cuore.
Un'intervista continuamente in-
terrotta - avrebbe detto Flajano tra un suo spettacolo e l'altro, da
me visti in Italia e all’estero.
Tuttavia, non ne ho mai smarrito il
MUSIC@MARZOdefinitivo_MUSIC@_ok 31/01/13 12:15 Pagina 17
20 anni dopo
filo conduttore in ciascuno dei
suoi segmenti, e lo tengo tuttora
saldo in mano. E’ stata anche
un'intervista ’con replica’ - talvolta
accesa - e con improvvisi ribaltamenti nei ruoli.
Spesso ne ho riferito nei giornali e
nelle riviste a cui collaboro regolarmente. Ma ho ancora da parte
una gran messe di
appunti su quanto ho chiesto a
Nureyev, nel corso della nostra
amicizia, e di quello che egli mi ha
risposto: notizie, opinioni, preoccupazioni, interrogativi, che forse
aiutano a costruire una sua immagine più complessa e sfaccettata
di quelle a cui siamo abituati e
che, anche, arricchiscono la nostra
cultura specifica nel campo della
danza.
Perchè per il tuo debutto come
coreografo, a Spoleto, oltre 20
anni fa, hai scelto il balletto ‘Raymonda’ di Glazunov?
Perchè la musica di “Raymonda” è
bellissima. So che una certa critica
‘occidentale’ è portata a sminuire
Glazunov e a considerarlo un
compositore ‘minore’. Ma non è
vero. Poche musiche sono cosi
struggenti e cosi danzabili come
quella del “Sogno di Raymonda” e cioè il tema del suo amore per il
fidanzato lontano, Jean de
Brienne.
Pensi che il direttore d’orchestra
debba cercare di adeguarsi ai
tempi dei danzatori, specie
quando la coreografia implichi
salti e giri? O debba rifiutare sdegnosamente ogni manipolazione
di un sacro testo?
So che la mia risposta non mi renderà popolare ai tuoi occhi e a
quelli degli addetti ai lavori della
danza. Ma io credo che sia il ballerino che deve adeguarsi ai tempi
della musica. E non viceversa. Un
ballerino che possieda una vera
tecnica - per esempio come quella
che ho imparato io, insieme con
tutti i miei compagni di studio e
di lavoro al Kirov di Leningrado dovrebbe poter seguire i ritmi e i
modi ideali, perfetti, stabiliti da un
buon direttore d’orchestra.
Hai studiato musica?
No. Ma la rispetto in maniera assoluta, e da solo, o con pochi consigli rubati ad amici musicisti, ho
cercato di imparare tutto quello
che ho potuto, in questo campo.
Oggi credo di essere in grado di
leggere e analizzare parecchie
partiture. E ti confesserò che, a
questo punto, dopo oltre trent'anni di professione, credo diconoscere bene i tempi giusti per
quasi tutti i grandi balletti del repertorio classico. Un mio sogno, o
piuttosto un mio traguardo
ideale, sarebbe quello di dirigere o almeno curarne I'edizione -tutte
le grandi partiture classiche e ottocentesche per una collana discografica. Forse è presunzione.
Forse è un'utopia. Ma io credo di
avere una visione molto lucida di
questo problema, che potrebbe
servire anche ad altri.
Suoni qualche strumento?
Non ho avuto modo di imparare
uno strumento da ragazzo, in Bashkiria. La mia famiglia era poverissima. C'era la guerra e a mala
pena riuscivamo a sopravvivere.
Poi, alla Scuola del Kirov, gli studi
di danza - tardivi, perché ho cominciato a quindici anni e quindi
ho dovuto fare in tre anni quello
che altri avevano
fatto in otto - non mi hanno mai
lasciato un briciolo di spazio per
studiare uno strumento. Soltanto
negli ultimi dieci anni ho avuto il
coraggio di fare quello che avevo
sempre, inutilmente sognato: imparare il pianoforte, la spinetta e
l’organo. Qualcuno mi prende per
matto, ma io passo ogni ora, ogni
minuto, ogni istante di libertà dal
lavoro suonando uno di questi tre
strumenti. A casa mia, a Parigi,
dove abito da quando dirigo la
compagnia di balletto dell'Opéra,
li possiedo tutti e tre. Suono un
po' di tutto, ma forse preferisco
Domenico Scarlatti. Quando viaggio, stare senza suonare è una tortura. E per non smettere di
esercitarmi e di studiare, porto
sempre con me una di quelle tastiere da viaggio, insaccate in una
fodera di plastica nera. Appena
entro in una delle innumerevoli
stanze d'albergo della mia vita,
per prima cosa sistemo la tastiera
sul tavolo e subito mi metto a studiare, prima ancora di aprire la valigia.
Chi è stata la tua partner prediletta?
Non c'è che una ballerina, radicata
nel mio cuore: Margot Fonteyn. E
non soltanto perché insieme facevamo una coppia così straordinariamente ben assortita,
complementare, eccetera, eccetera. Margot è una creatura
umana meravigliosa che mi è
stata ed è un’amica preziosa, indispensabile. Con Margot posso essere me stesso fino in fondo sempre sicuro della sua solidarietà
e della sua comprensione luminosa. Con Margot posso ridere ; ridere di me, anche, e di tutto,
senza paura di sembrarle irriverente o iconoclasta: Margot conosce il rispetto che ho per lei e per
la nostra professione. Margot è
elegante, rigorosa, sorridente, E’ la
sua serenità di esecuzione che la
fa sembrare una regina.
Quale ballerino ha maggiormente contribuito alla tua maturazione artistica?
Certamente Erik Bruhn. Mi ha insegnato molti segreti della tecnica
di August Bournonville - il famoso
‘stile danese’ - che mi ha permesso
di cimentarmi in capolavori come
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RUDOLF NUREYEV
‘La Silfide’ e ‘Napoli’. Mi è stato vicino, con il consiglio e con i frutti
della sua esperienza internazionale, subito dopo la mia ‘fuga’ in
Occidente.
Poi, non ci è capitato troppo
spesso di esibirci nello stesso
spettacolo. Un’occasione particolarmente prestigiosa fu quando ci
invitò Massimo Bogiankino al Teatro dell'Opera di Roma e Erik
Bruhn danzò la 'Infiorata di Genzano’ con Elisabetta Terabust, ed
io ‘La Silfide’ con Carla Fracci. Erik
ed io avevamo deciso che un
giorno - in vecchiaia - avremmo
fondato insieme una Scuola di
perfezionamento per ballerini, in
una vecchia casa di campagna in
America. Io ho comprato quella
casa e già pensavo a costruire le
strutture di base per questa
scuola, quando Erik è morto, a
poco più di cinquant'anni.
dov, direttore al Kirov, sia Grigorovich, direttore del Bolscioi, hanno
un immenso talento di coreografi.
Eppure, ci vorranno vari anni per
poter davvero colmare I'abisso
che ancora separa la Russia ballettistica dal resto d'Europa. D'altronde, non c’è dubbio che chi ha
studiato in Russia - parlo della mia
generazione e di quella immediatamente successiva - è partito privilegiato. Perché da un punto di
vista strettamente tecnico non si
poteva andare oltre. Poi ho capito
che non sempre la scuola sovietica, dominata dall'insegnamento
di Agrippina Vaganova, rispettava
fino in fondo lo stile e la cultura
ottocentesca, nella ricostruzione
dei grandi balletti del repertorio
classico. Oggi mi rendo conto che,
forse, I'ideale tecnico-solistico
verso cui tendere è una sorta di
respiro dialettico tra Io stile dell'Opéra e quello del Kirov.
Cosa pensi dei critici?
Non ci penso quasi mai, per la verità. Tuttavia devo dirti fuori
d’ogni ironia - che forse i miei più
cari amici, accanto a Margot, sono
stati due critici inglesi, marito e
moglie: Maud e Nigel Gosling. Insieme, scrivevano con lo pseudonimo di Alexander Bland. Sono
stati per me una specie di genitori
di elezione. Nigel mi è stato sempre prezioso: con la sua cultura
ricchissima e il suo giudizio lucido, mi ha molto aiutato nella costruzione di ogni mio nuovo
ruolo. Purtroppo lo abbiamo perduto qualche anno fa, ma Maud
continua ad essere una colonna
della mia vita ballettistica e della
mia vita privata. Anche altri critici
sono diventati amici miei: come
John Percival, e come te.
Che ne pensi dei grandi Russi di
oggi?
Penso che per troppo tempo
I'Unione Sovietica è rimasta
chiusa in se stessa. Sia Vinogra20
Ti interessa la ‘modern dance’ e
le varie esperienze post-moderne?
Naturalmente sì. Anche se troppo
tardi, rispetto ai miei desideri, ho
lavorato con Martha Graham moltissime volte. Sono stato, tra l'altro
il Predicatore in ‘Appalachian
Spring’ della Graham, il Moro nella
‘Pavana del Moro’ di Limòn, e ho
interpretato varie coreografie di
Murray Louis, Glen Tetley, Paul
Taylor. Eseguo sempre più frequentemente ‘Two Brothers’ di
David Parson e Daniel Ezralow. E
sono aperto alle esperienze anche
più avanguardistiche.
L’Italia, cosa rappresenta per te?
Italia per me è sinonimo di arte.
Appena arrivo in una città italiana,
anche se ci capito di passaggio,
corro a vedere chiese, musei,
piazze, palazzi. Non mi basta mai.
Non finisco mai. Confesso che anche se un po' me ne vergogno qualche volta uso la mia fama e la
mia popolarità per farmi aprire un
museo o un’esposizione, se - per
ragioni di lavoro - ho soltanto
un'ora di tempo fuori dell'orario ufficiale, per poter vedere quel
museo o quell'esposizione. Ma è la
mia gioia più piena – dopo la
danza -- quella di vedere cose belle
e bellissime. Leggo anche tutti i
libri italiani che mi capitano a tiro specie se tradotti in inglese, la lingua che conosco meglio, dopo il
russo. In questi ultimi anni ho immensamente goduto l'autobiografia di Carlo Goldoni - un uomo
straordinario, geniale, affascinante.
Italiani sono alcuni dei miei amici
più cari. E adesso che l’Isola dei
Galli sarà la mia ‘casa del cuore’ - e,
chissà, forse la mia vera ‘casa della
vita’ - I'Italia fa anche parte di me.
Spesso mi capita di pensare che gli
italiani siano i migliori - per esempio, Giorgio Strehler, che considero
il più grande regista vivente. Per di
più, in Italia mi sento amato e rispettato. So che anche adesso che
l'età avanza e le difficoltà fisiche
aumentano, il pubblico mi è vicino
e capisce la devozione e la passione che mi lega e mi legherà alla
danza fino alla fine.
Perché continui a danzare ancora
oggi negli stessi ruoli che hanno
visto la tua perfezione?
Questo non è del tutto vero. Il mio
repertorio attuale è andato modificandosi e riducendosi. Tuttavia,
continuo a cimentarmi almeno in
alcuni grandi ruoli classico-romantici, perché penso di avere ancora
qualcosa da dare e da dire. Eppoi a te e ad altri che non hanno mai
danzato - vorrei dire almeno una
cosa: non vi potete nemmeno immaginare che cosa voglia dire danzare, e danzare ad altissimo livello.
Non c'è gioia, soddisfazione, gusto
più grandi. E un'esperienza travolgente, unica, che tocca a pochi. Ma
quando si è uno tra questi pochi,
non si può rinunciare a questa
gioia. Preferisco essere fischiato ma
danzare, che non danzare più.@
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La star della danza che non voleva arrendersi alla malattia
Il podio per non uscire di scena
di Sergio Trombetta
Nureyev era gravemente ammalato quando decise di dare, nonostante tutto, un diverso segno della sua presenza sui palcoscenici mondiali. Provò con la direzione d’orchestra, incoraggiato da quella sorta di profezia che anni prima gli aveva fatto
Karajan. Il suo esordio sul podio avvenne a Vienna, con musiche di Haydn, Mozart,
Ciaikovskij.
L
a parola definitiva l'ha detta Maurice Béjart: “Dovrebbe arrivare da Marte un ballerino che volesse
superare Rudolf”.
Perché non basta la straordinarietà artistica di Nureyev a spiegarne la fama e il successo raccolti nei
trentadue anni passati in Occidente, dal 1961 sino
alla morte per Aids il 6 gennaio 1993.
L'unicità di Nureyev sta nella sua parabola umana,
nella eccezionalità della sua vita, nella sua dimensione, unica nel mondo della danza, di pop star.
Chiunque, anche chi Nureyev non I'ha mai visto, né
in teatro, né al cinema, né in televisione; un salto di
Nureyev, almeno uno, lo conosce.
E’ il salto che fece quel 17 giugno del 1961 all'aeroporto di Parigi quando scelse di restare in Occidente
e sfuggi al controllo degli agenti del Kgb che lo marcavano stretto per riportarlo in Urss.
Quel salto, che in realtà non c'è mai stato, perché
Nureyev semplicemente corse verso gli agenti della
polizia francese, è entrato nel nostro immaginario
collettivo.
Descritto mille volte sui giornali, ha fatto il suo in21
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RUDOLF NUREYEV
gresso nel cinema: lo ha rappresentato Lelouch in
‘Bolero’. E’ stato sfruttato addirittura per uno spot
pubblicitario.
Cosi come, complici gli anni '60 della liberazione
sessuale e dei Beatles, i suoi modi spregiudicati, le
sue mise stravaganti hanno fatto il giro dei rotocalchi di pettegolezzi di tutto il mondo. Ma al di là degli
scandali chi è stato il Nureyev ballerino? Prima di
tutto un danzatore che, negli anni d'oro, quelli a cavallo fra i suoi successi al Teatro Kirov di Leningrado
e la sua trionfale cavalcata per le scene occidentali,
sfuggiva ad ogni tentativo di classificazione.
Si è detto che Nureyev impersona la scuola di danza
russa. Nulla di più sbagliato.
All'inizio della sua folgorante carriera Nureyev era
soprattutto un ‘danseur noble’: fisico ideale, rara elasticità muscolare, grazia felina, portamento regale
che sembrava abbracciare l' intera scena.
Un volto bello e mobile, in grado di trasmettere rapidi cambiamenti d'umore, dal dolore alla rabbia,
dal languore amoroso alla passione, alla furia. Volto
e corpo erano in grado di esprimere l'essenza dei
sentimenti umani.
E tutto questo nella danza classica di una qualità
inestimabile. Ma sin dall'inizio c'era anche in Nureyev un modo di ballare enfatico, esuberante, tempestoso e sensuale, eccessivo anche per il gusto russo
che ama l'espressione esasperata.
Questa paradossale combinazione fra il suo aspetto
principesco e il suo stile esplosivo metteva in crisi la
classificazione accademica russa. Questa irripetibilità della danza di Nureyev è stata attribuita alla sua
origine tartara.
Alla terribile povertà dei primi anni di vita è invece
da attribuire la bulimica capacità di accumulare. In
ogni campo. In quello del lavoro come in quello privato. In trenta anni Nureyev ha ballato di tutto, si è
misurato con ogni stile di danza, ha percorso come
una stella filante tutti i teatri del mondo, si è esibito
con le più grandi danzatrici di questa seconda metà
del secolo, da Margot Fonteyn a Carla Fracci. Le sue
case di Parigi e di New York sono veri e propri musei
dove accatastava ogni genere di mobili, quadri, collezioni di stampe e stoffe scelti secondo il suo gusto
raffinato e stravagante. Questo bisogno continuo di
stare in palcoscenico, di gustare ogni sera l'applauso
del pubblico come una droga irrinunciabile, lo ha
spinto a mettersi alla prova con altre forme d'arte:
attore cinematografico, interprete di musical, direttore d'orchestra.
Proprio mentre abbandonava per sempre i ruoli
principeschi (per esempio il patetico Akakij Akakjevic in ‘Il capotto’ balletto di Flemming Flindt al Maggio Fiorentino nel '91, oppure il dolente Aschenbach
di ‘Morte a Venezia’ al Filarmonico di Verona nello
stesso anno) Nureyev, per festeggiare a Vienna i
trent'anni dalla fuga in Occidente, il 25 giugno del
22
1991 sale per la prima volta sul podio.
E’ nell'immenso e dorato Auersperg Palais che il neo
direttore si esibisce per la prima volta alla testa della
Wiener Residenz Orchester in un concerto (Mozart,
Haydn, Ciaikovskij) che sarà ripetuto di lì a pochi
giorni al Festival di Ravello, 9 luglio, e verso la fine
dello stesso mese, nei due concerti di Atene, con
programma leggermente modificato.
Una decisione, dichiarò in quella occasione Nureyev,
ispirata da Herbert von Karajan il quale gli aveva
detto un giorno: “Dovresti diventare direttore d'orchestra, vivono a lungo – aggiungendo poi - ti lascerò in eredità tutti i miei trucchi”.
La cosa risaliva a molti anni prima, ma quelle parole
avevano riattizzato l'antico amore per la musica e da
quel momento Nureyev aveva preteso per contratto
un pianoforte in tutte le camere d'albergo in cui gli
capitava di passare nei suoi vagabondaggi artistici.
Ma questo debutto come direttore d'orchestra, applauditissimo dai suoi fans, segna anche l'inizio della
corsa inarrestabile della vita di Nureyev verso I'incontro con la nera signora.
Una corsa affannosa, una lotta già persa con l'Aids,
un tentativo di fare tutte le infinite cose che vuole
portare a termine.
Nella primavera del '92 è a Pietroburgo, intende festeggiare il suo compleanno a Yalta dirigendo un
concerto.
Ma la sua salute è cosi compromessa che deve essere caricato su un aereo e trasportato a Parigi dove
gli riscontrano una pericardite di origine virale e lo
operano d'urgenza.
Proprio in quei giorni arriva da New York, da parte di
Jane Hermann, la amministratrice dell'American Ballet Theatre, la proposta di dirigere ‘Romeo e Giulietta’ al Metropolitan, il 6 maggio. Allora fra i medici
e gli infermieri scatta una gara di generosità, una
sfida contro l'impossibile: “Lo rimetteremo in piedi
per New York”. Ma da New York arrivano telefonate
preoccupate da parte di Jane Hermann: se Rudy non
si rimette in sesto vogliono annullare la serata. I medici insistono perché non lo facciano: è proprio la
voglia di ristabilirsi per il ‘Romeo e Giulietta’ di New
York che lo aiuterà a vincere ancora una volta il male.
E quel 6 maggio a New York, quando compare nella
fossa dell'orchestra, dritto, ingrassato di qualche
chilo, la commozione attanaglia la gola di tutti: il
pubblico che oramai conosce la verità, i danzatori
dell'A. B. T., Sylvie Guillem e Laurent Hilaire, che sono
i protagonisti. La morte sarebbe arrivata inesorabile
esattamente otto mesi dopo.@
( Il presente articolo è apparso su
APPLAUSI, mensile di musica, n. 11, Marzo 1994)
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Sofia Gubajdulina
BeNTORNATA SOFIA
S
ofia Gubajdulina, la nota compositrice sovietica, fatta conoscere in Occidente nei primi anni Ottanta, con l’esecuzione del suo Concerto per violino e orchestra, ‘Offertorium’, interpretato da Gidon Kremer. Insignita, in seguito,
di numerosi riconoscimenti internazionali ed ancor oggi apprezzatissima e molto eseguita, è l’unica donna nel panorama della musica internazionale. La Gubajdulina torna in Italia, a Roma, in aprile, per la prima italiana del suo
‘Cantico del Sole’, grande affresco dedicato a San Francesco.
Per festeggiare il suo ritorno pubblichiamo un suo ‘foglio d’album’ pianistico, dal titolo ‘Toccata troncata’, del quale
vi raccontiamo brevemente la storia. Alla fine degli anni Ottanta, con l’ausilio di Valerij Voskobojnikov, la intervistammo per ‘Piano Time’, in una delle sue rare apparizioni in Italia, in occasione degli Incontri di Musica contemporanea del Festival Pontino, a Sermoneta. Le chiedemmo anche il regalo di un foglio d’album da pubblicare sulla
rivista, per arricchire ulteriormente la collezione di brani pianistici che Piano Time aveva già pubblicato negli anni. Il
foglio d’album ci giunse, prezioso, alcuni mesi dopo, dall’Unione Sovietica. Noi, poco dopo, lasciammo la direzione
del mensile ma conservammo gelosamente quel regalo, che ora finalmente pubblichiamo, sicuri di far cosa gradita
anche alla grande compositrice (P.A.)
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Sofia Gubajdulina
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Foglio d’album
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Foglio d’album
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SCOPERTE VERDIANE
Oltre 200 documenti verdiani nell’archivio storico del Teatro La Fenice
BeNeDeTTI CARTeGGI
IMPReSARIALI
di Franco Rossi
I documenti verdiani, recentemente scoperti nell’archivio del teatro veneziano,
ci mostrano un compositore molto attento ad ogni fase di realizzazione di ciascuna
sua opera. E, in vecchiaia, ricambia l’affetto della Presidenza del teatro con foto
autografate.
F
in dai primi anni della propria storia, il Teatro La Fenice ha cercato di assicurarsi i migliori musicisti del
momento: interpreti e compositori si sono avvicendati sulle scene del massimo teatro veneziano contribuendo con la propria presenza e con la propria
attività a far grande la storia dell’opera. I contatti con
tutti queste artisti avveniva attraverso la figura dell’impresario, situazione comune a tanti altri teatri
dell’epoca, ma la competenza della Nobile Società
proprietaria e il reale interesse alla buona conduzione del teatro faceva sì che nei rapporti tradizionali tra impresario e interpreti spesso si inserisse,
talvolta come terzo incomodo, anche la presidenza
della Fenice. E il controllo sulle attività impresariali
era tale da costringere i singoli impresari a depositare nell’archivio del teatro i carteggi intercorsi tra i rappresentanti di questo
variegato mondo. E’ per questo motivo che ancor oggi sono molto numerosi i documenti conservati
nell’Archivio Storico del teatro: non solo
possiamo trovare al suo interno autografi preziosi dei maggiori musicisti,
ma ci è anche possibile ricostruire
puntualmente le vicende artistiche e persino amministrative della istituzione
stagione dopo stagione, anno
dopo anno.
Leggendo questi documenti abbiamo potuto ricostruire storie
note e meno note, e anche
correggere alcuni luoghi comuni quali, ad esempio, il presunto ‘fiasco’ della ‘Traviata’, alla
sua prima rappresentazione assoluta: gli studi di Marcello
Conati esperiti proprio nel nostro archivio storico
hanno potuto dimostrare ben nove recite complessive dell’opera (quando già tre recite rappresentavano un buon successo) e introiti e presenze serali
crescenti lungo tutti questi appuntamenti. Nonostante l’ampio lavoro svolto fino ad oggi, non passa
quasi giorno che nuovi documenti non vengano
letti e interpretati e nuove storie non tornino alla
luce: gli specialisti sanno bene che, contrariamente
alle biblioteche (dove tutti i libri vengono schedati),
negli archivi i documenti vanno ordinati ma non
possono per la loro stessa natura essere descritti lettera per lettera. E’ ovvio che l’attenzione maggiore
nel pubblico venga suscitata dalla riscoperta di
scritti appartenuti ai massimi compositori, a maggior ragione se autografi o se coincidenti con quelle
ricorrenze che spesso contribuiscono a stimolare la
ricerca.
La storia di Giuseppe Verdi si intreccia più
volte con quella della Fenice: sono ben
cinque le prime assolute che il ‘cigno di
Busseto’ riserva al teatro veneziano, da’Ernani ‘ad ’Attila’, da ‘Rigoletto’ a ‘La traviata’ a ‘Simon Boccanegra’, ultimo
prezioso gioiello di questa straordinaria
collaborazione. Non stupisce quindi
che i documenti stilati da Verdi o a
lui indirizzati superino le duecento unità, e che poco meno
della metà di questa importante
documentazione sia rappresentata proprio da documenti autografi. Per la estrema notorietà del
compositore, la maggior parte di
questi materiali è da tempo conosciuta ed è stata separata (fin dai primi
anni del Novecento, una scelta non condivisibile ma oramai storica) dal faldoni
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che ospitano i
carteggi impresariali. Negli ultimi tempi però
alcuni altri documenti, preziosi,
sono stati nuovamente evidenziati e descritti.
Tra questi un foglio privo di
firma (ma chiaramente di mano
del compositore); nella sua
apparente povertà marca invece tutta la
propria importanza: siamo nel
1851, nei primi
giorni di marzo e
a ridosso della
prima esecuzione assoluta
del ‘Rigoletto’, e
Verdi dedica la
propria attenzione ad ogni
particolare dell’allestimento
che si sta organizzando. Il documento stila
l’elenco delle
varie prove che si
reputano necessarie per il successo dell’opera e la
forma maniacale con la quale si insegue questo
obiettivo mostra come il grande compositore fosse
non solo un grande artista ma anche un evidente
uomo di teatro. Nessun particolare sfugge alla sua
descrizione, tutto deve essere perfettamente previsto perché il lavoro possa riuscire al meglio; e lo straordinario entusiasmo che lo spettacolo sollevò nel
pubblico veneziano solo qualche sera più tardi mostra come l’obiettivo venne perfettamente raggiunto. Ma è l’intero staff del teatro a lavorare perché
le condizioni di operosità e di serenità non vengano
mai meno: qualche anno prima, ad esempio, in occasione del primo allestimento di ‘Ernani’, a tutti i compositori, ai cantanti ed ai ballerini venne consegnato
il ‘Regolamento interno disciplinare’ della Fenice,
vera garanzia che tutti i rapporti siano rispettati pienamente e condivisi con successo; e la firma autografa di Verdi appare in testa all’elenco di tutti i
destinatari. E anche qui ‘Ernani’ venne registrato
come un successo travolgente.
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Ma i documenti
forse più teneri
sono quelli della
vecchiaia: il legame con Venezia e con La
Fenice ha evidentemente radici assai
profonde, dal
momento che
sono ben due le
fotografie autografate dallo
stesso compositore e inviate
alla Nobile Presidenza. In quella
recentemente
venuta alla luce
intenerisce il
graffio del pennino che autografa le
sembianze del
Grande Vecchio;
e d’altra parte la
lettera del 23
marzo 1891,
dieci anni precedente la scomparsa di un
compositore
oramai quasi ottantenne, mostra ancora una
volta una Presidenza astuta, forse persino spregiudicata nel tentativo di scippare alla Scala la prima assoluta del ‘Falstaff’: “Lusingatissimo dell’invito
fattomi da cotesta onorevole Presidenza, duolmi rispondere che non potrei assumere nissun impegno
per far rappresentare Falstaff. Ne scrivo, è vero, di
tratto in tratto qualche battuta, ma molto lentamente, per semplice divertimento […]”. Due anni
più tardi sarà comunque la stessa compagnia della
Scala a riprendere l’ultimo capolavoro verdiano alla
Fenice (a meno di tre mesi dalla prima assoluta), e la
figura di Victor Maurel rievocherà sulla scena l’arguzia di Falstaff ma anche l’inesorabile trascorrere
dell’età che accomuna sir John al più che ottantenne Giuseppe Verdi.
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SCOPERTE PUCCINIANE
LeTTeRA DI DONIzeTTI, TeLeGRAMMA DI PuCCINI
SUCCESSO DI BUTTERFLI, COMPLIMENTI A MAESTRO GUARNIERI E VALENTI ARTISTI
E’ meglio una lettera manoscritta oppure una battuta a macchina? I tempi cambiano: oggi si pongono problemi di conservazione di messaggi e di mail… Anche in Fenice i problemi non differiscono molto, quando
si comunica. Per questo possiamo accostare due testi di notevole valore eppure molto diversi tra loro, come
una lettera autografa di Gaetano Donizetti o un telegramma di Giacomo Puccini.
La prima, datata 22 novembre 1841, testimonia del valore giustamente attribuito anche al lato economico
della produzione artistica: cosa rappresentano le 10.000 lire austriache chieste alla dirigenza della Fenice (e
la proprietà dello spartito, meno insignificante di quanto non pensasse allora Donizetti) per un teatro così
importante? Ci si può comunque mettere d’accordo purché la compagnia di canto sia adeguata e il preavviso
ragionevole. Non possiamo però fare a meno di sottolineare che il compositore bergamasco era un pessimo
affarista… Anche in questo caso e pur reduce dello schietto successo ottenuto sulle scene fenicee con il ‘Belisario’, la trattativa non si perfeziona e la lettera è destinata a rimanere sola soletta e priva di seguito.
Di fronte a ben diversa situazione ci troviamo con il telegramma pucciniano, che risponde alle felicitazioni
per il buon esito di ‘Madama Butterfly’, ovviamente nella versione riveduta e corretta rappresentata a Brescia:
“ringrazio vivamente per gentile comunicazione successo Butterfli prego complimentare maestro Guarnieri
valenti artisti ossequi”. Attenzione però a fidarsi troppo e in maniera indiscriminata degli autori e di taluni documenti: l’esame degli incassi del teatro (questi sì affidabili, documenti amministrativi e anche molto delicati)
sminuisce il trionfalismo sia della dirigenza del teatro sia del commento di Puccini, raccontando di alcune incertezze e difficoltà che possono manifestarsi anche nelle stagioni meglio riuscite. Chi l’avrebbe mai detto?
Eppure negli stessi mesi incassa di più il faticoso ‘Tristano e Isotta’ della tenera ‘Butterfly’…
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Fogli d’Album
PeR GIOVANNA GARANTISCe
LOReNzO
E’
d’obbligo chiedersi, ogni volta che ci si trova di
fronte ad una nomina di responsabilità, quali competenze abbia dimostrato il nominato, per aspirare a
tale incarico. Nella maggior parte dei casi, quando a
fare dette nomine sono i politici, le competenze, per
quanto uno vada a spulciare anche nei registri delle
scuole serali o di quelle per corrispondenza, o nelle
università fasulle che, dietro pagamento, ti danno
anche una laurea, non spuntano fuori; contrariamente a ciò che, solitamente, accade nelle industrie
dove ci si affida a persone competenti, perché nessuno vuole che la propria impresa vada in malora.
La Melandri accampa per sé il merito di essere stato
un ministro competente e spiega che fu lei ad avviare il progetto per la costruzione del MAXXI,
quando era ministro della cultura; ma i tecnici per riconosciuta capacità si sono scagliati contro l’ex ministro per irridere la sua competenza ‘tecnica’. La
Regina, ex sovrintendente gliel’ha cantata a squarciagola, e i partiti politici, dell’intero arco costituzionale pure, perplessi di fronte a tale nomina; perfino
Monti che, solitamente, non si occupa della ‘cultura’,
ha richiamato per un colloquio il ministro Ornaghi. Il
quale ogni volta che fa qualcosa - quelle rare volte
che dà segni di presenza, mentre solitamente è assente - sbaglia (teniamo presente anche la brutta
storia recente della Biblioteca dei Girolamini di Napoli); al MAXXI è già al secondo errore ( l’ha prima
commissariato, mandando a casa un direttore competente, Pio Baldi; in tre mesi ha fatto miracolosamente risanare il bilancio dal commissario
ministeriale, addirittura c’è stato un attivo di 1.500
Euro - suvvia, siamo seri! - e ha raddoppiato il finanziamento al Museo della Melandri. Quei soldi non
poteva darli al MAXXI di Baldi, senza dover ricorrere
al commissariamento?). Il ministro, ha nominato la
Melandri accogliendo il suggerimento del suo direttore generale, Nastasi, che non voleva mandare in
pensione una parlamentare tanto competente?
Secondo certe voci - che noi non condividiamo assolutamente, sia chiaro - la nomina della Melandri
sarebbe da mettere in relazione proprio a Nastasi,
sempre lui, sposato Minoli Giulia, figlia di Giovanni, il
quale è cugino di primo grado della Melandri, per
parte di madre. Nastasi avrebbe accolto il grido di
dolore della Melandri, forse scaricata alle prossime
30
elezioni, e dunque a rischio disoccupazione (la pensione da parlamentare è ancora lontana). Del resto
Nastasi, che ha il senso della famiglia da buon meridionale, non ha forse sistemato in passato suo suocero al Museo di Rivoli e sua moglie al Museo del
San Carlo?
In tutte le polemiche sulla nomina della Melandri,
nessuno ha tirato fuori lo spiacevole episodio di
quando, da ministro, disertò l’inaugurazione della
Scala, per andare ad una cena all’Hilton, organizzata
dal ‘Gambero rosso’. Quando si dice competenza e
coscienza del ruolo. Adesso Lei assicura che lavorerà
sodo, addirittura gratis, e che porterà il MAXXI a
competere con la Tate Gallery di Londra. Dopo tale
impegno, c’è ancora qualcuno che, ragionevolmente, può non crederle, e perciò non volerla, pretestuosamente, a capo del MAXXI? Garantisco io per
Lei - parola di Ornaghi; il quale prima di partire per
meritate definitive vacanze ministeriali, ha messo al
fianco della Giovanna altre due signore, Monique
Veaute e Beatrice Trussardi, nel consiglio di amministrazione. (P.A.)
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musica e nazismo
Novità editoriale. Ne parliamo con l’autore Nicola Montenz
COLPeVOLI ANCHe MuSICOLOGI
e CRITICI
di Francolina del Gelso
Da tempo indagati i rapporti fra musica e nazismo, come il ruolo chiave di personaggi
assai in vista e la persecuzione verso altri.. Nello studio ‘ L’armonia delle tenebre’, edito
da Archinto, si studia, per la prima volta, il ruolo che altre categorie ebbero nella creazione del mito nazista.
B
enché l’Italia non abbia prodotto testi di riferimento sul problema dei rapporti tra musica e
politica in epoca nazista, il tema
non è ignoto, specie all’estero.
Perché ha deciso di tornare sull’argomento?
fenomeno?
È vero, il tema non è affatto terra
incognita. Germania, Canada e
Stati Uniti hanno prodotto, negli
ultimi trent’anni, volumi di
grande pregio sull’argomento. In
Italia – con l’eccezione di alcuni
preziosissimi articoli –, mi pare
mancasse uno strumento unitario
(una monografia, per intenderci),
che comprendesse virtualmente
l’intera esperienza musicale del
nazismo: dalle sinistre “prefigurazioni” di età weimariana, fino alla
tragica esperienza del sistema
concentrazionario. Uno strumento, mi preme sottolinearlo, in
cui fosse dato il giusto spazio alle
testimonianze lasciate dai protagonisti (diari, memorie, autobiografie), e il cui orizzonte
dossografico fosse precipuamente in lingua tedesca.
Perché l’escalation di intolleranza
e violenze che si verificò in quegli
anni, ai danni dei musicisti “non
ariani”, consente di comprendere
bene in quale clima intellettuale e
ideologico si sia preparata la
presa del potere di Hitler. Le impressionanti vicende dei teatri
dell’Assia, da poco riportate alla
luce, prefigurano in modo nettissimo le epurazioni che sarebbero
divenute sistematiche a partire
dal marzo 1933. È dal Landestheater di Darmstadt che furono allontanati, già negli anni ’20,
personaggi del calibro di Szell, di
Rosenstock e di Hartung. Per non
parlare del calderone antisemita
in cui fu trasformata la “Neue Zeitschrift für Musik”, la leggendaria
rivista fondata da Robert Schumann: negli anni ’20 essa divenne
un vero e proprio organo di
stampa del nazionalismo estremista e razzista. È dalle sue pagine
che partirono, in prima battuta, le
campagne di diffamazione contro
Schönberg, Weill, Křenek e Klemperer.
Gli anni precedenti il 1933 sono
davvero importanti – come lei
scrive - per comprendere il
Quali altre novità presenta il suo
libro, rispetto al resto della letteratura sull’argomento?
Più che di novità, trattandosi di
un’opera divulgativa, preferirei parlare di risistematizzazione e riorganizzazione degli argomenti e delle
fonti. Mi è parso di estrema importanza, per esempio, dedicare un
certo spazio al contributo offerto
dai musicologi e dai critici musicali
alla creazione del mito nazista. Il
ruolo di costoro fu molto più importante di quel che si pensa: non
soltanto essi finirono per essere i
veri arbitri del gusto del popolo,
che seppero orientare attraverso la
carta stampata, seguendo le direttive ministeriali; essi, in realtà fornirono una vera e propria base
intellettuale all’espansionismo hitleriano, sostenuto attraverso fumose – talora deliranti – teorie
circa le origini “germaniche” dell’una o dell’altra nazione destinata
a essere fagocitata dal Reich.
In tutt’altro senso, ho cercato di dedicare spazio anche ad alcuni compositori oggi dimenticati e
pressoché ignoti in Italia, in modo
da stimolare la curiosità e l’interesse del lettore. Non soltanto
Hans Pfitzner, le cui gravissime, imperdonabili derive politiche ne
hanno in parte offuscati i meriti artistici, ma anche Werner Egk (autore di un sublime Peer Gynt) e
Rudolf Wagner-Régeny, che con lo
scoppio della guerra cadde in di-
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MUSIC@MARZOdefinitivo_MUSIC@_ok 31/01/13 12:15 Pagina 30
musica e nazismo
sgrazia presso il regime.
Quali sono le personalità colluse
con il nazismo su cui lei ha focalizzato la propria attenzione?
Ho cercato, nei limiti del possibile,
di essere esaustivo, evitando però
di trasformare le mie pagine in
sterili elenchi, poiché non era
quello lo scopo del libro. I grandi
“noti” ci sono tutti – Strauss, Furtwängler, Karajan Schwarzkopf,
giusto per limitarmi a qualche
nome. In nessun caso ho voluto
offrire al lettore una condanna o
un’assoluzione del personaggio
analizzato – non mi pare fosse
quello il mio compito – e ho invece preferito lasciar parlare i
fatti: dichiarazioni o interviste dei
diretti interessati, pagine del dia32
rio di Goebbels, documenti a
stampa coevi. In tal modo, mi
pare di aver fornito al lettore gli
strumenti adeguati a costruirsi un
giudizio autonomo. Così ho fatto
anche nei due casi più sfuggenti e
discussi di tutto il Terzo Reich: Furtwängler e Strauss.
Il suo libro è strutturato in atti,
come una pièce teatrale. Perché?
Per chi oggi voglia affrontare in
modo esaustivo il tema dei rapporti tra musica e politica nella
Germania nazista, il problema più
spinoso è costituito certamente
dalla difficoltà di rendere un quadro coerente e leggibile di un intrico di vicende pressoché
sincrone. E in larga misura caotiche. Per evitare di confondere il
lettore, mi è quindi parso necessario affrontare separatamente – e in
modo chiaro – i diversi nuclei tematici dell’argomento. Durante la
pianificazione del testo, e più ancora durante la stesura, mi sono
reso conto che una simile organizzazione del materiale ne favoriva la
naturale disposizione in altrettanti
pannelli di una tragedia. Al termine
della quale, si poneva il punto di
non ritorno: l’esperienza della musica nei campi di concentramento.
Credo che una simile scansione,
oltre a rendere più comprensibile
un capitolo tanto complesso della
storia del ’900, contribuisca a mostrare come i rapporti tra musica e
politica durante il Terzo Reich tendano a configurarsi come una vera
e propria discesa agli inferi.@
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Fogli d’Album
RETTIFICA: ALLeVI NON
SOSTITuIRà PAGANINI
C
on lo stesso spazio dell’articolo contestato, dal titolo “Allevi. Alba o tramonto?” uscito sul precedente
numero di Music@, pubblichiamo la smentita giuntaci
da Roberto Iovino, ex direttore artistico del Premio ‘Paganini’ (ma la dizione esatta è ‘Concorso’ o ‘Premio’?
nella smentita ricorrono ambedue) di Genova. Desideriamo solo precisare che se la notizia di cui nella
smentita, notizia che noi abbiamo appreso da organi
di stampa specializzati, sui quali nessuna smentita è
mai apparsa prima dell’uscita del nostro articolo,
fosse stata vera, come eravamo convinti che fosse - e
del resto perché avremmo dovuto dubitarne, se crediamo ciecamente nella correttezza giornalistica che
abbiamo eletta a nostra morale professionale? - gli apprezzamenti nei confronti del comitato organizzativo,
come anche quelli relativi al presidente del Senato ed
al critico/consulente Canessa, non erano né gratuiti,
né ineleganti, anzi più che giustificati. Meravigliarsi?
No. Quante cose, e talune inimmaginabili, accadono
ogni giorno sotto il cielo!
egr. M.o
Pietro Acquafredda
Direttore responsabile Music@
Facendo seguito a una telefonata intercorsa con il
M.o Bruno Carioti, Le indirizzo queste righe con richiesta di pubblicare la seguente smentita sul Suo
giornale in relazione all’articolo intitolato “Allevi.
Alba o tramonto?”.
Tralasciando la gratuita, inelegante valutazione
espressa sugli “organizzatori genovesi” e limitandomi a invitarLa a leggere la composizione del Comitato artistico del Concorso Paganini, preciso
quanto segue:
1) sono stato direttore artistico del Premio Paganini
fino al maggio 2012, ovvero fino al cambio di Giunta
del Comune di Genova.
2) Fino a quella data, mai è stata presa in considerazione l’ipotesi di inserire nel programma del Concorso un brano musicale composto da Giovanni
Allevi. Ciò è facilmente verificabile richiedendo i verbali delle riunioni.
3) Nel maggio 2012 il vecchio Comitato organizzatore è decaduto e gli organi direttivi sono tuttora in
fase di nomina. Il Concorso è stato rinviato per que-
stioni economiche.
4) Nell’estate scorsa, quando sui giornali sono apparse notizie relative al concerto di Allevi ipoteticamente associato al Concorso, pur non essendo più
direttore artistico, nella mia veste di giornalista (sollecitato anche da telefonate di vari violinisti italiani,
preoccupati) ho chiesto ufficialmente, in sede di
conferenza stampa, al sindaco di Genova (ricordo
che il Premio è comunale) se nei mesi di “vacanza”
del comitato fossero stati avviati contatti con il M°
Allevi. Ciò è stato decisamente smentito.
5) Di tale smentita ho dato notizia sia sull’Ansa nazionale nell’agosto scorso (8 agosto) sia sul “Giornale
della musica” nel numero di novembre u.s. (pag. 6).
6) Chiunque conosca il meccanismo del Premio Paganini, del resto, sa che inserire il brano di Allevi
come pezzo d’obbligo sarebbe stato, comunque, impossibile. Trattandosi di un concerto per violino e
orchestra, essendo le finali articolate nella esecuzione da parte di ciascun candidato di un concerto a
scelta e di uno obbligatorio, ed essendo quest’ultimo rigorosamente di Paganini, Allevi avrebbe dovuto sostituire Paganini!
Mi permetto un’ultima osservazione. Dati gli ottimi
rapporti fra il Conservatorio dell’Aquila e quello genovese, sarebbe stato utile, prima di scrivere il suddetto articolo, telefonare qui al nostro direttore (che
è componente del Comitato) e chiedere informazioni certe, invece che affidarsi a voci incontrollate.
Purtroppo una notizia falsa circola sempre rapidamente, la sua smentita con molte più difficoltà.
Distinti saluti
Roberto Iovino
Ex direttore artistico Premio Paganini
Docente al Conservatorio Paganini
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LETTO SULLA STAMPA
Intervista alla Ministra della cultura
francese di origine italiana
Incontriamo la ministra Aurélie Filippetti, 39 anni, tra
gli stucchi del suo ufficio in rue de Valois, alla vigilia
della sua visita in Italia.
Signora Filippetti, suo nonno Tommaso lasciò l'Italia tra le due guerre mondiali per lavorare nelle miniere del Lussemburgo e poi della Lorena, lei torna
a Gualdo Tadino da ministra della Cultura della Repubblica francese. È orgogliosa del salto sociale?
«È una soddisfazione doppia, sia per le mie origini
sociali sia perché vengo dall'immigrazione. Mio
nonno era un minatore italiano ed è morto nei
campi di concentramento perché era entrato nella
Resistenza ai nazisti, si è battuto per la libertà in Europa. A Gualdo Tadino riceverò una medaglia in suo
onore. E il fatto stesso che io sia riuscita a diventare
ministro lo sento come un riconoscimento per lui».
Incontriamo la ministra Aurélie Filippetti, 39 anni, tra
gli stucchi del suo ufficio in rue de Valois, alla vigilia
della sua visita in Italia.
Lei è la prova che l'ascensore sociale in Francia funziona ancora?
«Anche qui ci lamentiamo molto della società bloccata, ma la scuola repubblicana ha grandi meriti. È
per questo che Hollande e il governo di cui faccio
parte hanno deciso di rilanciarla con 60 mila assunzioni in cinque anni. Solo la scuola pubblica può permettere l'integrazione e dare speranza a tutti».
I tagli hanno colpito anche il suo ministero. La politica culturale è un lusso in tempi di crisi economica?
«Al contrario, penso che se c'è una risorsa preziosa in
Europa è la cultura e sarebbe una follia non cercare
di svilupparla e sostenerla».
Anche per questo ha intrapreso la battaglia con
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Google?
«Non è un conflitto, però se gli editori francesi, italiani e tedeschi non troveranno un accordo con
Google entro la fine dell'anno, a gennaio la Francia
varerà la legge per obbligare la società di Mountain
View a remunerare i giornali dei quali elenca i contenuti. Vogliamo ribadire un principio: chi fa profitti distribuendo i contenuti deve contribuire a
finanziarne la creazione. Vale per le reti tv, gli operatori telefonici, i provider Internet, i siti, le piattaforme digitali».
Il modello è quello del cinema?
«In Francia i film da decenni sono finanziati dal
Cosip (Conto di sostegno all'industria dei programmi audiovisivi) che ridistribuisce parte degli incassi dei film di maggiore successo e anche i soldi
messi a disposizione dagli operatori che poi diffondono i film, per esempio le tv».
In Italia, quando si parla di sovvenzioni di Stato al
cinema e alla cultura in generale, vengono in
mente sprechi e film che poi nessuno va a vedere.
«Ma noi non finanziamo film di nicchia senza mercato. Il cinema francese è fatto di pellicole d'autore,
molti film di budget medio (sui 3 o 4 milioni di euro)
ma anche film di cassetta come Asterix o successi
mondiali come The Artist o Intouchables . E sono
questi ultimi a sostenere gli altri. I Paesi che hanno
fatto la scelta dell'austerità nella cultura, per esempio la Spagna, si trovano oggi in una pessima situazione. All'ultimo Festival di Cannes invece i cineasti
di tutto il mondo in competizione erano quasi sempre co-finanziati dalla Francia, siamo lo Stato al
mondo con il maggior numero di co-produzioni:
oggi siamo a quota 52 Paesi. E la gente non è mai
andata tanto al cinema, a vedere ogni tipo di opera:
dai kolossal americani ai nostri film».
È la riedizione dell'eccezione culturale francese,
della politica di intervento dello Stato nella cultura promossa da André Malraux in poi?
«L'eccezione culturale è ancora di attualità e sono
convinta che lo Stato debba intervenire per sostenere la creazione. Non è vero che i prodotti culturali
sono prodotti come gli altri. Le leggi del mercato
hanno difficoltà a funzionare in generale, come si
vede, figurarsi nella cultura. Non è una questione
morale, semplicemente a mio avviso solo così il sistema può funzionare, anche dal punto di vista economico».
Ma il vostro modello è esportabile? O semplicemente i francesi amano di più il cinema, leggono
più libri e frequentano di più i musei?
«Non penso affatto che i francesi siano diversi dagli
altri. È una politica volontaristica che fa sì che non ci
sia città francese senza un cinema, che le piccole librerie resistano e siano il polmone di ogni quartiere,
che migliaia di persone vadano alle mostre, come
quella di Edward Hopper in questi giorni al Grand
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LETTO SULLA STAMPA
Palais».
Quando ci sono le file alle mostre da noi c'è sempre
qualcuno che storce la bocca perché sarebbero fenomeni di massa o turismo, non cultura.
«I grandi numeri non sono tutto, d'accordo, ma è una
lamentela che non capisco. Bisogna aiutare le persone che ne hanno voglia ad avvicinarsi all'arte. Per
questo ho incoraggiato i musei a usare le nuove tecnologie per spiegare le opere, per accompagnare il
visitatore che vuole saperne di più».
Lei parla di librerie di quartiere, in Italia quasi del
tutto scomparse da tempo. In Francia librai ed editori anche grandi, come Gallimard, parlano di
Amazon come del nemico. È d'accordo?
«Sono molto preoccupata per come Amazon si comporta in Europa. Ha un peso tale che rischia di trovarsi ben presto in posizione ultradominante. Sono
andata a parlarne alla Commissione di Bruxelles, ma
trovo il loro atteggiamento deludente».
Che cosa rimprovera alla Commissione europea?
«Ha una visione un po' troppo unilaterale della libera
concorrenza. La Commissione preferisce fare le pulci
agli editori che si organizzano per sopravvivere alla
minaccia di Amazon, e non si allarma invece per il
fatto che un colosso basato in Lussemburgo fa vendita a distanza con strategie fiscali inaccettabili e facendo dumping sulle spese di distribuzione. Amazon
può permettersi di vendere a basso prezzo per mettere fuori mercato i suoi concorrenti, ma naturalmente rialzerà i prezzi appena avrà conquistato il
monopolio o quasi. Di questo dovrebbero preoccuparsi a Bruxelles. La Francia vigilerà affinché Amazon
pratichi una concorrenza leale».
La Francia è stata all'avanguardia nella lotta contro
lo scaricamento illegale di musica, film e poi libri,
con la legge Hadopi voluta dalla presidenza Sarkozy. Lei prende le distanze da Hadopi. Come mai?
«È un approccio diverso, io vorrei sviluppare l'offerta
legale. Se uno vuole scaricare un film non troppo recente, magari degli anni Cinquanta, nelle piattaforme legali non lo trova, mentre illegalmente sì.
Non considero i consumatori come dei teppisti che
vogliono rapinare gli artisti, ma persone che hanno
voglia di ascoltare, vedere, leggere. Credo che la
colpa sia anche dell'industria, che è in ritardo. Bisogna offrire un catalogo ampio e a prezzi ragionevoli.
Qualcosa si sta muovendo, soprattutto per la musica».
Allude ai siti di streaming Deezer e Spotify?
«Sì, anche se la parte versata agli artisti è ancora
troppo bassa. Bisogna riconsiderare la percentuale
versata agli autori, e lo stesso vale anche per il libro
digitale, che in genere affianca quello di carta e ha
costi di produzione molto inferiori».
Lei, ministra Filippetti, che cosa legge?
«Tra gli italiani Erri De Luca e Niccolò Ammaniti, tra i
francesi Jean Echenoz e Jérôme Ferrari che ha ap-
pena vinto un Goncourt molto meritato».
Gli ultimi giorni della classe operaia» ha raccontato
la storia della sua famiglia, in «un homme dans la
poche» una storia d'amore. Tornerà a scrivere?
«Non finché sono ministra»
Stefano Montefiori
(Corriere della Sera, 23 novembre 2012)
Troppa cultura fa male alla cultura
C’è troppa cultura. E’ diventato insopportabile il disagio dell’abbondanza, l’eccesso “di prosperità costruita sul debito”. Ci sono troppe mostre che non
hanno nulla di nuovo da mostrare, si pubblicano
troppi libri e sarebbe molto meglio per tutti se la
metà dei teatri e dei musei scomparisse, se alcuni archivi venissero raggruppati e i teatri per concerti privatizzati: “2500 anziché 5000 musei in Germania, 500
anziché 1000 in Svizzera, 400 anziché 800 in Austria…. 70 teatri pubblici e cittadini anziché140 in
Germania, 700 anziché 1300 biblioteche in Svizzera”.
Mai era stato sferrato un così duro attacco al cuore
del Kulturstaat, al famoso modello tedesco, e sarebbe molto meglio dire europeo, al Monopolio statale della cultura umanista e giacobina: molto
danaro pubblico e nessun mercato libero. Sarebbe
insomma vicinissimo al definitivo fallimento lo Stato
come educatore illuminista e come finanziatore della
celebre Zivilisation che i soldi pubblici rendono sempre meno Kultur e dunque sempre più pappa convenzionale, drammaticamente onerosa per il sistema
fiscale già stremato, ma anche banale, solo passato e
niente futuro, la nuova decadenza, ’ ultimo tramonto
dell’occidente. Dunque secondo i quattro autori di
questo Kulturinfarckt, un robusto pamphlet di
grande successo in Germania, la smisurata offerta e il
monopolio statale stanno portando le istituzioni culturali verso il crack non solo economico. Hanno infatti generato conformismo, depresso la creatività,
“addomesticato le avanguardie” messo sotto controllo la libertà e la modernità, disarmato la cattiveria
contro il potere che viene persino esibita “anche in
politica estera” con il compiacimento del potere
stesso. In sedici anni è quasi raddoppiato il numero
delle compagnie di prosa, di musica, dei centri di
studio e delle case editrici producendo molti più artisti che arte, più scrittori che libri … Ma il pubblico è
diminuito, sia pure di poco, passando da quasi 23
milioni a quasi ventuno milioni, spalmati però nelle
varie proposte. E poiché “ogni allestimento scenico
viene utilizzato una sola volta, la conclusione è che a
ogni singolo spettatore, sempre lo stesso, vanno
sempre più risorse di produzione”. Le cifre diventano
astronomiche “ma i prezzi rimangono convenienti
perché si vogliono mantenere basse le soglie di accesso”. Ogni biglietto per il teatro dell’Opera di Zu-
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LETTO SULLA STAMPA
rigo, se non ci fosse un finanziamento annuale di 55
milioni, “dovrebbe costare 150 euro in più”. E ci sono
gli sconti, i ‘biglietti famiglia’, “dal 2009 i giovani al di
sotto dei 26 anni entrano gratis nei musei della Francia e così pure nel Regno Unito, per non parlare dei
festival gratuiti in Svizzera e in Francia”. Eppure i
prezzi per i concerti pop sono aumentati di molto,
“ogni teenager sborsa almeno 50 euro” e gli spettacoli privati estivi all’aperto”così popolari in Germania,
Austria e in Svizzera costano fino a cento euro a persona e fanno il tutto esaurito mentre il museo accanto, il cui biglietto costa 5 euro, rimane vuoto”.
Insomma si fa demagogia, retorica sociale, circenseria, si getta fumo negli occhi e intanto si crea una
vera e propria ‘bolla letteraria’: “Nel 2011 ci sono stati
in Germania 778 premi letterari. Ne vanno aggiunti
881 nell’ambito dei media e della pubblicistica”.
Sono tre premi al giorno, anche di cucina, tutti sovvenzionati dallo Stato alla parola cultura “per sostenere la prestigiosa opera di scrittori ed editori di libri:
24mila novità editoriali all’anno di letteratura dilettantesca”. Ma le vendite non sono mai sufficienti e il
prodotto è mediocre perché è mediocre l’idea che
possano venire fuori i geni di stato, i menestrelli finanziati, i poeti ministeriali: un residuo di terzo internazionalismo e di fascismo, roba da stato platonico.
E chissà come si arrabbierebbero Leopardi o Rimbaud se sapessero che la loro eversione e il loro autismo, la loro rabbia contro il mondo è finita sugli
autobus, ad arredare il muro delle stazioni o è diventata tarantella di piazza.
L’aiuto statale espande e perpetua anche un falso
mercato delle arti. Il sostegno agli artisti è sussidio
sociale, assistenza, elemosina sotto le mentite spoglie della promozione: a Berlino il 6 per cento degli
artisti sopravvive senza percepire alcun reddito, il 31
% guadagna meno di 12mila euro all’anno, il 78 % di
coloro che si definiscono artisti di professione vive al
di sotto delle soglie di povertà. Solo il 7 % è inserito
in un circuito produttivo e il 10 % ha una galleria che
espone le sue opere. “Il genio artistico vuole recare
gioia- scriveva Nietzsche – ma quando si trova a un
livello molto alto gli manca facilmente chi ne goda:
offre cibi che nessuno vuole. Ciò attribuisce all’artista
un pathos talvolta ridicolo e commovente insieme;
perché in fondo non ha alcun diritto di costringere
gli uomini al godimento”. Poi ci sono gli artisti dilettanti. Il 70 % dei francesi si occupa di fotografia, il 27
% gira filmati. Il censimento ha contato in Francia più
artisti che agricoltori. Ma la grande assente da questa vendemmia d’arte è ovviamente l’arte. A Berlino
trovi il vino, il cibo, i libri e gli artisti stralunati, le cantate corali e la simpatia in strada, ma non l’arte che è
il contrario di tutto questo, un atto solitario, una cattiva azione contro qualcuno o contro tutti, una coltellata al mondo, il mezzo espressivo che porta fuori
la propria disperazione come scriveva Liu HsinWu,
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uno degli scrittori più amati del famoso sessantotto:
“Si fa poesia o arte quando si sta male”. Mentre, aggiungeva, “quando si sta bene si fa la rivoluzione di
piazza” o in subordine il corteo di protesta, il concerto, la cantata, la tarantella, la festa, il festival e la
pubblica pernacchia.
Le conseguenze, semplifica l’editore Cesare De Michelis (Marsilio) introducendo l’edizione italiana,
sono “i musei non visitati, i teatri vuoti, i libri non
letti …”. Anche il sottotitolo italiano, “Azzerare i
fondi pubblici per far rinascere la cultura”, è più radicale e sbrigativo di quello tedesco: “Troppo di tutto
e ovunque le stesse cose”. Purtroppo le parole in Italia non appartengono infatti allo stesso mondo. Il
Kulturstaat italiano significa irragionevole incuria del
patrimonio che l’Europa ci invidia, il degrado dei siti
archeologici, le clientele al posto delle competenze,
un’inefficienza che viene da lontano anche se, certo,
negli ultimi venti anni è diventata disprezzo governativo verso la cultura ridotta con faciloneria da
cummenda allo slogan delle tre ‘i’ (impresa, inglese,
internet), perché diceva Tremonti “con la cultura non
si imbottiscono i panini”, e dunque maltrattamento
sistematico nelle aule dove si costruisce il futuro e
nelle vestigia dove si conserva il passato.
E in Italia lo Stato finanzia la festa del pistacchio, il
premio zucca d’argento, il pittoresco delle sagre
paesane addottorate con cattedre universitarie. La
cultura assistita in Italia è la marchetta, che è più antieconomica del pizzo mafioso. E ‘marchette e zoccole’ è il binomio che ha affossato la Rai, che è
ancora la prima industria culturale italiana. Ecco
dunque che la cultura finanziata col danaro pubblico da noi significa un’altra cosa ancora perché il
modello del Kulturstaat all’italiana rimanda più alla
pirateria dell’isola della Tortuga che al disagio dell’abbondanza della Germania della Merkel: noi sovraproduciamo parassiti, loro cultura di massa.
Provate adesso a immaginare come diventerebbe la
Valle dei Templi se fosse affidata alla Humboldt-Universität di Berlino o il Maxxi di Roma se fosse gestito
dalla Staatsgalerie di Stoccarda che, disegnata da
James Stirling, è il paradigma di tutti i musei che
hanno l’ambizione di esser anche un centro civico,
una moderna piazza di attrazione urbana. E Pompei?
Quale meraviglia diventerebbe nella mani ricostruttrici della municipalità di Dresda, la città che subì tre
bombardamenti, un fuoco peggiore di quello del
Vesuvio? Finanziata dalle tasse, la bellezza di Dresda
è di nuovo ‘ superba’ al punto che se ne infischia dell’Unesco che nel 2007 le tolse il riconoscimento di
patrimonio dell’umanità per quel il ponte sull’Elba,
quattro corsie, approvato con due referendum popolari, una meraviglia di modernità e di paesaggio
futurista.
Francesco Merlo
( La Repubblica, 21 novembre 2012)
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LETTO SULLA STAMPA
Le tre patrie di Verdi
l’Italia, la Musica, il Teatro
Il ricordo del bicentenario di Verdi richiama certamente momenti importanti della nostra storia nazionale della quale egli fu testimone e partecipe.
Semplificare questa testimonianza e partecipazione
- che furono artistiche e politiche - a una quasi sua
involontaria presenza nelle vicende del Risorgimento penso che non risponda alla verità storica.
Verdi fu attratto dal mazzinianesimo (aveva 18 anni
quando Mazzini fondò la Giovine Italia) e anche
dalle barricate delle Cinque giornate di Milano. Fu
tenace difensore della sovranità nazionale italiana,
ammirò la strategia politica e la persona di Cavour
(dal quale fu convinto a candidarsi nel primo parlamento dell’Italia unita), riconobbe in Manzoni non
solo il grande scrittore ma l’intellettuale politicamente ‘impegnato’ che credette nell’unità d’Italia. E
così via. So che storici della musica e musicologi
hanno sempre minimizzato la consapevolezza politica di Verdi, ma la conoscenza dei documenti e dei
fatti dimostra il contrario e molte sue opere furono
pensate e scritte con librettisti patrioti e combattenti. Egli sapeva benissimo cosa era l’entusiasmo
patriottico che suscitavano le sue musiche sia nella
Roma repubblicana del 1849 sia alla Scala o alla Fenice. Il ‘W Verdi’, scritto sui muri non era un acrostico,
ma un omaggio popolare a un grande musicista che
seppe leggere, certo con lo stile e il carattere riservato che ben conosciamo, il tempo storico e gli
ideali politici degli italiani migliori: dai moderati ai
repubblicani, dai mazziniani ai garibaldini. Forse definirlo ‘conservatore risorgimentale’ riduce molto la
sua complessa personalità.
Lucio Villari, Roma
Caro Villari, In un libro recente, scritto in occasione
del 150˚ anniversario dell’Unità (Bella e perduta.
L’Italia del Risorgimento ed. Laterza) lei ha scritto
che Verdi appartiene alla generazione di Leopardi,
Manzoni, Hayez, Cavour, Mazzini, Garibaldi, De Sanctis, d’Azeglio, Nievo, Pisacane. Furono poeti, romanzieri, pittori, storici della letteratura, uomini politici,
teorici dello Stato, soldati e agitatori. Ma tutti reagirono al clima retrivo della Restaurazione ed ebbero
una stessa angoscia: «che l’Italia rischiasse di perdersi per sempre». Lei pensa quindi che il grande
coro del Nabucco (“Oh mia patria si bella e perduta!
Oh membranza si cara e fatal!”) appartenga a questo
clima morale e ci dica, sia pure indirettamente, quali
fossero i sentimenti politici dell’autore. È certamente
vero, ma io credo che il sentimento nazionale di
Verdi sia legato alla storia del teatro europeo nel secondo e nel terzo decennio dell’Ottocento. Nel
1828, in una prefazione al suo primo grande
dramma storico (‘Cromwell’), Victor Hugo lanciò il
manifesto del romanticismo teatrale e auspicò
drammi storici, dominati da grandi passioni umane,
liberi dai vincoli delle regole aristoteliche. Durante la
prima del suo ‘Hernani’ alla Comédie Française il 25
febbraio 1830, l’azione si spostò in platea dove scoppiò una tumultuosa battaglia fra romantici e neoclassici. Pochi mesi dopo, il 25 agosto, la
rappresentazione della ‘Muta di Portici’ al Théatre de
la Monnaie di Bruxelles fu la miccia che fece esplodere la rivoluzione belga. In ciascuno di questi
drammi e nell’Ernani di Verdi che andò in scena alla
Fenice il 9 marzo 1844, vi sono re, tiranni, congiurati
e fremiti di libertà, ma vi sono soprattutto grandi
amori, perfidi tradimenti e divoranti passioni. Nella
prima metà dell’Ottocento il teatro smette di essere
il salotto musicale delle aristocrazie e delle corti per
diventare un luogo ‘borghese’ in cui una nuova
classe sociale desidera assistere alla rappresentazione dei propri sentimenti. Verdi capì che la distanza fra la scena e la piazza si era fortemente
accorciata e seppe interpretare meglio di altri gli
umori di questa nuova società. Ma credo che la sua
vera patria fosse la musica e che nel suo patriottismo vi fosse anche il compiaciuto orgoglio di un
uomo che sapeva di essere divenuto un simbolo risorgimentale. Quanto alle sue posizioni politiche, gli
otto giorni passati nella Villa imperiale di Napoleone
III a Compiègne nell’autunno del 1856 e i due incontri con il generale Bava Beccaris dopo i moti milanesi
del 1898 dimostrano che era anche uomo d’ordine.
Sergio Romano
Corriere della Sera, domenica 20 gennaio 2013
5 DOMANDe AI CANDIDATI PReMIeR
1. Se vincerà le elezioni, intende aumentare le quote del PIL destinate alla cultura, alla ricerca, all’istruzione e alla valorizzazione del
patrimonio storico-culturale e paesaggistico portandole ai livelli
degli altri Paesi europei e dei Paesi economicamente più sviluppati?
Oppure non lo ritiene possibile o necessario?
2.Se sì: in che modo pensa di spendere quei soldi? Se no, in che
modo, da chi e con quali strumenti intende trovare le risorse necessarie per rilanciar e riqualificare cultura, ricerca e istruzione, nonché per promuovere la fruttuosità economica del patrimonio
storico-culturale e paesaggistico?
3.La pratica artistica e musicale non sono insegnate nelle scuole, e
questo fatto danneggia la nostra cultura e la nostra immagine nel
mondo. Sforniamo analfabeti funzionali, inconsapevoli del loro patrimonio circostante. Se andasse al governo cambierebbe i programmi scolastici introducendo queste materie fin dai primi anni
di scuola?
4. In vista dell’arrivo di ingenti fondi europei, che iniziative intende
intraprendere per incrementare l’impresa creativa italiana e per
esportare il valore della nostra cultura e del nostro patrimonio storico-artistico, storico-scientifico e paesaggistico nel mondo?
5. A fronte del fatto che secondo numerosi e accreditati studi non
c’è sviluppo economico e sociale costante in un Paese che spende
meno del 2% del PIL in ricerca e innovazione e che non valorizza
anche economicamente, il ruolo dei giovani ricercatori, che cosa intende fare per fermare il declino della ricerca italiana, l’emorragia di
giovani ricercatori ed il disinteresse dei ricercatori stranieri nei riguardi del sistema italiano della ricerca e dell’innovazione?
(Il Sole 24 Ore, domenica 20 gennaio 2013)
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Fogli d’Album
IeRI CONCORSINI, OGGI
CONCORSONI
I
tempi sono cambiati e gli orizzonti allargati. Un
tempo si facevano quasi sempre concorsini, per
mancanza di mezzi e di idee, oggi sempre e solo
concorsoni, con ricchezza di mezzi e di idee, con
giurie all’ altezza del compito. Anni fa, in fatto di giurati, ci si doveva accontentare di quello che passava
il convento, come si usa dire. Ad esempio, per il
Concorso ‘Fogli d’album’, bandito dalla rivista ‘Piano
Time’, per due anni consecutivi - un concorso di
composizione pianistica dalla forma singolare, riservato a giovani musicisti - i partecipanti dovettero
accettare, si suppone non di buon grado, due giurie
assolutamente caserecce, così composte: Elliott Carter ( presidente), Mario
Bortolotto, Sylvano Bussotti, Aldo Clementi,
Franco Donatoni, Ada
Gentile, Francesco Pennisi,
Salvatore Sciarrino, per il
concorso del 1985; e per
l’anno successivo: Aldo
Clementi ( presidente),
Mario Bortolotto, Sylvano
Bussotti, Pascal Dusapin,
Brian Ferneyhough, Francesco Pennisi, Salvatore
Sciarrino, Ivan Vandor. La
presenza, nel 1986, dei
due giurati stranieri, sconosciuti al mondo intero,
è da ricondurre alle insistenti suppliche dei diretti
interessati presso la direzione del concorso. E la
presidenza di Elliott Carter, nel concorso del 1985,
va letta come semplice omaggio alla veneranda età
del compositore americano, anziano già all’epoca e
da noi praticamente sconosciuto. Allora come ora
che ha superato il secolo di vita; recentemente
scomparso. Oggi le cose sono davvero cambiate,
ogni concorso ha la sua giuria, ed ogni giuria i più titolati giurati; i quali, una volta individuati, si vanno a
cercare fuori d’Italia e, se necessario, anche fuori dell’Europa, senza badare a spese. Per gli scettici incalliti gli esempi che seguono.
Cominciamo dal Concorso di composizione ‘Francesco Agnello’, bandito dal CIDIM, per onorare la me-
38
moria del suo fondatore che, per la musica del nostro tempo, molto si adoperò nei primi anni della
sua attività di operatore musicale, come testimoniano tuttora le Settimane internazionali di nuova
musica a Palermo, degli anni Sessanta. Il concorso si
articola in due sezioni: cameristica e sinfonica. Queste le formazioni internazionali delle due giurie. Cameristica: Maurizio Cocciolito, Piergiorgio
Meneghini, Piero Niro, Dario Oliveri e Giorgio Pugliaro. Sinfonica: Marzio Conti, Yoram David, Gustav
Kuhn, Ruben Jais e Marcello Panni: il gotha della direzione d’orchestra. Presidente-segretario senza diritto di voto, Piero Rattalino.
Un altro esempio? A Perugia, la Sagra musicale
umbra, per porre fine allo
scempio che della musica si
fa in chiesa, ha indetto un
Concorso internazionale di
musica sacra, intitolandolo a
Francesco Siciliani, per il
quale ha trovato un ascolto
interessato in ogni parte del
mondo. Ai partecipanti era richiesta una composizione
per coro, con o senza organo,
sul testo del Credo – ma un
Credo sintetizzato, non
quello di tutte le Messe del
passato. Dunque un Credo
non liturgico. I duecento e
passa compositori partecipanti sono stati giudicati da
Giya Kancheli (presidente),
Massimo Palombella, Filippo
Maria Bressan, Gary Graden
e Alberto Batisti. Marcello Filotei, segretario (nel
bando non si specifica se ‘con o senza diritto di voto’.
C’è una bella differenza!) Rovereto, infine, da alcuni
anni organizza il Concorso internazionale di composizione ‘Strumenti di Pace’, attorno alla famosa Campana dei caduti. La giuria dell’ultima edizione era
composta da: Ivan Fedele (presidente), Matthias
Osterwold, Tadeusz Wielecki, Mauricio Sotelo, Marcello Filotei. In tutti i casi recenti giurie prestigiosissime e di internazionale rinomanza, niente da
spartiRe con quelle giurie da concorsini di molti
anni fa, alle quali si faceva cenno al principio.
Valeria Blasetti
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DOCUMENTI E COMMENTI
LeGGe N. 228 DeL 24 DICeMBRe 2012.
102
Al fine di valorizzare il sistema dell'alta formazione artistica e musicale e favorire la crescita del Paese e al fine esclusivo dell'ammissione ai pubblici concorsi per l'accesso alle qualifiche funzionali del pubblico impiego per le quali ne è prescritto il possesso, i diplomi accademici di primo livello rilasciati dalle istituzioni facenti parte del sistema dell'alta formazione e specializzazione artistica e musicale di cui all'articolo 2, comma 1,
della legge 21 dicembre 1999, n. 508, sono equipollenti ai titoli di laurea rilasciati dalle università appartenenti alla classe L-3 dei corsi di laurea
nelle discipline delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda di cui al decreto ministeriale 16 marzo 2007, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 153 del 6 luglio 2007.
103
Al fine esclusivo dell'ammissione ai pubblici concorsi per l'accesso alle qualifiche funzionali del pubblico impiego per le quali ne è prescritto il
possesso, i diplomi accademici di secondo livello rilasciati dalle istituzioni di cui al comma 102 sono equipollenti ai titoli di laurea magistrale rilasciati dalle università appartenenti alle seguenti classi dei corsi di laurea magistrale di cui al decreto ministeriale 16 marzo 2007, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 155 del 9 luglio 2007:
a) Classe LM-12 (Design) per i diplomi rilasciati dagli Istituti superiori per le industrie artistiche, nonché dalle Accademie di belle arti nell'ambito
della scuola di «Progettazione artistica per l'impresa», di cui alla Tabella A del decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 212;
b) Classe LM-45 (Musicologia e beni musicali) per i diplomi rilasciati dai Conservatori di musica, dall'Accademia nazionale di danza e dagli Istituti
musicali pareggiati;
c) Classe LM-65 (Scienze dello spettacolo e produzione multimediale) per i diplomi rilasciati dall'Accademia nazionale di arte drammatica, nonché
dalle Accademie di belle arti nell'ambito delle scuole di «Scenografia» e di «Nuove tecnologie dell'arte», di cui alla Tabella A del decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 212;
d) Classe LM-89 (Storia dell'arte) per i diplomi rilasciati dalle Accademie di belle arti nell'ambito di tutte le altre scuole di cui alla Tabella A del decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 212, ad eccezione di quelle citate alle lettere a) e c).
104
I diplomi accademici di secondo livello rilasciati dalle istituzioni di cui all'articolo 2, comma 1, della legge 21 dicembre 1999, n. 508 costituiscono
titolo di accesso ai concorsi di ammissione ai corsi o scuole di dottorato di ricerca o di specializzazione in ambito artistico, musicale, storico artistico o storico-musicale istituiti dalle università.
105
Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le istituzioni di cui all'articolo 2, comma 1, della legge 21 dicembre 1999, n.
508 concludono la procedura di messa a ordinamento di tutti i corsi accademici di secondo livello.
106
I titoli sperimentali conseguiti al termine di percorsi validati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nelle istituzioni di cui al
comma 102, entro la data di cui al comma 105, sono equipollenti ai diplomi accademici di primo e di secondo livello, secondo una tabella di corrispondenza determinata con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sulla base dei medesimi principi di cui ai commi 102
e 103, da emanarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
107
I diplomi finali rilasciati dalle istituzioni di cui al comma 102, al termine dei percorsi formativi del previgente ordinamento, conseguiti prima dell'entrata in vigore della presente legge e congiuntamente al possesso di un diploma di scuola secondaria superiore, sono equipollenti ai diplomi
accademici di secondo livello secondo una tabella di corrispondenza determinata con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della
ricerca sulla base dei medesimi principi di cui ai commi 102 e 103, da emanarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
C’era proprio bisogno di tornare sui titoli
accademici?
La Legge n.228, ‘di stabilità’, approvata il 24 dicembre
2012, dai due rami del Parlamento, determina alcune
equipollenze tra i titoli di studio rilasciati dalle Istituzioni AFAM e alcune ‘Lauree Magistrali’, rilasciate
dalle università. Inoltre riconosce anche l’equipollenza del titolo conseguito secondo il cosiddetto ‘
Vecchio ordinamento’ (Diploma di Conservatorio/Accademia) al Diploma Accademico di II livello e, di
conseguenza, alle Lauree Magistrali collegate. (vedi
testo della Legge). La prima cosa da notare è che
l’equipollenza è valida solo ai fini dell’accesso ai pubblici concorsi e non ha quindi valore assoluto (per
maggiore chiarezza: i Diplomati nei Conservatori
non acquisiscono ope legis il titolo di Dottore); garantisce, perciò, la spendibilità in tutti quei concorsi
in cui è richiesta, come titolo di accesso, una generica Laurea Magistrale. Per tutti gli altri casi è facile
immaginare che, in un mondo come quello attuale
in cui è richiesta sempre e comunque una specializzazione, il titolo ha una ‘spendibilità’ assai limitata.
Inoltre alcune equipollenze (per esempio quello che
pone sullo stesso piano il Diploma di II livello in
Danza alla Laurea Magistrale in Musicologia) destano molte perplessità. Come si può infatti paragonare il percorso formativo di un ballerino con quello
di musicologo? Inoltre, questa Legge non introduce
nessuna novità (se si esclude l’equiparazione del Diploma secondo il Vecchio Ordinamento al II livello e
non più al I) ma va semplicemente a ribadire quanto
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DOCUMENTI E COMMENTI
già chiaramente indicato nella nostra legislazione fin
dal 2010, e cioè che il Diploma Accademico di II livello è equivalente ad una Laurea Magistrale. Basta
infatti leggere il ‘Quadro dei Titoli Italiani’(www.istruzione.it/web/universita/il-quadro-dei-titoli-italiani)
messo a punto dal Dipartimento dell’Università e
dell’Alta Formazione Artistica e Musicale dopo approfondita procedura sollecitata dalle autorità europee, che ha visto il coinvolgimento di molti Enti, per
capire come questa Legge sia assolutamente pleonastica. A proposito dell’equiparazione del vecchio
Diploma di Conservatorio, all’ultimo momento è
stato inserito, su richiesta
delle Conferenze dei Direttori e dei Presidenti dei
Conservatori, che riproduciamo, un emendamento
che ha limitato l’equiparazione dei titoli a quelli conseguiti prima dell’entrata in
vigore della stessa e solo
unitamente al possesso del
diploma di scuola secondaria superiore. Tale emendamento ci è parso necessario
per mitigare gli effetti di
una sentenza del TAR che
ha riaperto per i privatisti la
possibilità di sostenere gli
esami in Conservatorio. Ovviamente l’insieme delle
due norme - da un lato
l’equiparazione del vecchio
titolo ad una Laurea Magistrale e dall’altro la possibilità per i privatisti di
sostenere gli esami di diploma in Conservatorio avrebbe causato una vera e
propria diaspora degli allievi interni iscritti ai corsi del nuovo ordinamento
per presentarsi da privatisti e conseguire lo stesso titolo in pochi mesi, con le conseguenze che è facile
immaginare. E’ difficile dare un giudizio su questa
Legge che, come già detto, per un verso risulta inutile e per l’altro – per quanto condivisibile nel contenuto - quanto meno intempestiva. L’equiparazione
del vecchio diploma di Conservatorio al I livello del
nuovo ordinamento era un’ingiustizia che era stata
perpetrata dal 2002; ma rimediare ora a quell’ingiustizia rischia di creare più problemi di quanti ne risolva. Infatti molti studenti si sono reiscritti al II
livello con il Vecchio titolo ed hanno conseguito il Diploma Accademico di II livello e ora rischiano di
avere due titoli identici. Spiace infine constatare che
per giungere all’approvazione di questa norma siano
stati “usati” gli studenti ai quali è stato fatto credere
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che i loro titoli non erano riconosciuti nè a livello nazionale nè a livello europeo. Tale affermazione è palesemente falsa in tutti e due i casi per i seguenti
motivi:
a) Il Quadro dei Titoli Italiani ha definitivamente e
inoppugnabilmente asserito fin dal 2010 che i Diplomi Accademici rilasciati dalle Istituzioni AFAM
sono di pari livello delle Lauree rilasciate dalle università;
b) La paventata discriminazione nei confronti dei nostri studenti in Europa non ha ragione d’essere per il
semplice fatto che l’Italia è l’unico Paese europeo – e
uno dei pochi nel mondo
– che attribuisce valore legale al titolo di studio. Di
conseguenza, che il Diploma Accademico sia
equivalente alla Laurea
non ha nessun peso per
accedere al mondo del lavoro negli altri Paesi europei.
E allora perché è stata approvata questa Legge? E’
difficile comprenderne le
ragioni. Mentre non si può
non notare che si sia persa
ancora una volta l’occasione di risolvere problemi
ben più pressanti che affliggono ancora il sistema.
In particolare:
a) Il sistema di reclutamento dei docenti che
non è più adeguato alle
necessità del sistema;
b) Il problema del CNAM
che è scaduto il 31 dicembre del 2012 e che, non essendo stato prorogato,
rende il sistema ormai ingovernabile, mancando l’organismo che deve obbligatoriamente esprimere il
proprio parere sugli atti compiuti dal Ministro;
c) Il Regolamento per lo sviluppo del sistema che è
fermo da anni nella segreteria del ministro
d) Il problema del precariato.
Problemi che restano insoluti e che dovranno essere
affrontati dal nuovo Governo che, speriamo, abbia
maggiore attenzione nei confronti del sistema
AFAM, un sistema che potrebbe, e anzi dovrebbe, essere strategico nel nostro Paese riconosciuto, unanimemente, come la culla della Cultura.
Bruno Carioti
MUSIC@MARZOdefinitivo_MUSIC@_ok 31/01/13 12:15 Pagina 39
DOCUMENTI E COMMENTI
SCHeMA DI DeCReTO DeL PReSIDeNTe DeLLA RePuBBLICA CONCeRNeNTe ReGOLAMeNTO ReCANTe NuOVO ASSeTTO ORDINAMeNTALe e
ORGANIzzATIVO DeLLe FONDAzIONI LIRICO-SINFONICHe, A NORMA DeLL'ARTICOLO 1, COMMI 1 eD 1-BIS, DeL DeCReTO-LeGGe 30 APRILe
2010, N. 64, CONVeRTITO, CON MODIFICAzIONI, DALLA LeGGe 29 GIuGNO 2010, N. 100.
IL PReSIDeNTe DeLLA RePuBBLICA
VISTO l'articolo 87 della Costituzione;
VISTO l'articolo 117, primo comma, lettera g), della Costituzione;
VISTO l'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni;
VISTO il decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2010, n. 100, ed in particolare l'articolo 1;
VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 2011, n. 117, recante il regolamento concernente i criteri e le modalità di riconoscimento, a favore delle fondazioni lirico-sinfoniche, di forme organizzative speciali, adottato ai sensi dall’articolo, 1, comma 1, lettera f ), del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2010, n. 100;
SENTITI i rappresentanti dei Comuni, delle Province e delle Regioni in data 15 novembre 2012;
SENTITI i sindacati rappresentativi del settore in data 15 novembre 2012;
SENTITI i sovrintendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche in data 15 novembre 2012;
VISTA la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del;
ACQUISITO il parere della Conferenza Unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, nella seduta del;
UDITO il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nella adunanza del;
ACQUISITI i pareri delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
VISTA la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del;
SULLA PROPOSTA del Ministro per i beni e le attività culturali;
Emana
il seguente regolamento:
ART.1
(Oggetto)
1.Il presente regolamento reca disposizioni per la riforma, in coerenza con i principi di efficienza, corretta gestione, economicità, imprenditorialità di cui all’articolo 1 del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2010, n. 100, d’ora in avanti
‘decreto-legge’, dell’assetto ordinamentale e organizzativo delle fondazioni lirico-sinfoniche, già enti di prioritario interesse nazionale operanti
nel settore musicale, trasformati in fondazioni di diritto privato ai sensi del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, di seguito indicati:
a) Fondazione Teatro Comunale di Bologna;
b) Fondazione Teatro Maggio Musicale Fiorentino;
c) Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova;
d) Fondazione Teatro alla Scala di Milano;
e) Fondazione Teatro di San Carlo in Napoli;
f ) Fondazione Teatro Massimo di Palermo;
g) Fondazione Teatro dell’Opera di Roma;
h) Fondazione Teatro Regio di Torino;
i) Fondazione Teatro Lirico Comunale Giuseppe Verdi di Trieste;
l) Fondazione Teatro La Fenice di Venezia;
m) Fondazione Arena di Verona;
n) Fondazione Accademia Nazionale di S. Cecilia;
o) Fondazione Teatro Lirico di Cagliari;
p) Fondazione Petruzzelli e Teatri di Bari.
ART. 2
(Ordinamento delle Fondazioni lirico-sinfoniche)
.
1.Le fondazioni lirico-sinfoniche di cui all’articolo 1 sono escluse dalla disciplina del presente regolamento e sono sottoposte al regime giuridico
e alle forme di contribuzione statale proprie dei teatri di tradizione, di cui all'articolo 28 della legge 14 agosto 1967, n. 800, nel caso in cui le entrate derivanti dagli apporti alla gestione da parte degli enti territoriali diversi dallo Stato, degli enti pubblici e dei privati non ammontino, in base
a verifica annuale condotta sui dati di bilancio dell'anno precedente, almeno al cento per cento di tutti i contributi dello Stato per il medesimo
anno, eccettuati quelli concessi per rappresentazioni lirico-sinfoniche eseguite all’estero.
2.L’autorità vigilante, ove accerti, in sede di esame del bilancio consuntivo, sentito l’organo di controllo contabile, il mancato soddisfacimento del
requisito di cui al comma 1, lo dichiara con proprio decreto, previo contraddittorio con la fondazione, ai sensi del capo II della legge 7 agosto
1990, n. 241, e successive modificazioni. La fondazione, entro sessanta giorni dalla comunicazione del decreto, provvede alle conseguenti modifiche statutarie coerenti con la qualificazione di teatro di tradizione. La fondazione può successivamente domandare al Ministero per i beni e le attività culturali il riconoscimento della natura di fondazione lirico-sinfonica, agli effetti del presente regolamento, dimostrando il conseguimento
per almeno due esercizi consecutivi dell’equilibrio degli apporti di cui al comma 1. Il Ministro, con proprio decreto, provvede al riconoscimento
su proposta della Direzione generale competente. In tal caso l’attribuzione del contributo statale commisurato al riconosciuto stato di fondazione lirico-sinfonica interviene a partire dall'anno successivo al decreto di riconoscimento di cui al periodo precedente, fermo restando il presupposto di cui al comma 1.
ART.3
(Personalità giuridica delle fondazioni e norme applicabili)
1.Le fondazioni lirico-sinfoniche di cui all'articolo 1 hanno personalità giuridica di diritto privato e sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto dal presente regolamento, dal decreto-legge, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo.
41
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DOCUMENTI E COMMENTI
ART.4
(Finalità delle fondazioni lirico-sinfoniche)
1.Le fondazioni lirico-sinfoniche di cui all'articolo 1 perseguono, senza scopo di lucro, la diffusione dell'arte musicale e coreutica e, per quanto di
competenza, la formazione professionale dei quadri artistici e l'educazione musicale della collettività.
2.Per il perseguimento dei propri fini, le fondazioni lirico-sinfoniche provvedono direttamente alla gestione dei teatri loro affidati, conservandone
il patrimonio storico-culturale e realizzano, anche in sedi diverse, nel territorio nazionale o all'estero, spettacoli lirici, di balletto e concerti; possono altresì svolgere, in conformità degli scopi istituzionali, attività commerciali ed accessorie. Esse operano secondo criteri di imprenditorialità
ed efficienza e nel rispetto del vincolo di bilancio.
ART.5
(Statuto)
1.Lo statuto di ciascuna fondazione lirico-sinfonica è adeguato alle disposizioni del presente regolamento entro novanta giorni dalla sua entrata
in vigore.
2.Lo statuto della fondazione, deliberato dall'organo competente, prevede:
a).la presenza dei seguenti organi: il presidente individuato tra i componenti dell'organo di indirizzo designati dagli enti territoriali soci fondatori
di diritto, un organo di indirizzo, un organo di gestione, un organo di controllo ed eventualmente un organo assembleare, tutti di durata comunque non superiore a cinque anni;
b).la composizione dell’organo di indirizzo in un numero di membri da sette a nove, in cui siano comunque rappresentati i soci fondatori di diritto;
c).la partecipazione dei soci fondatori privati in proporzione agli apporti finanziari alla gestione o al patrimonio della fondazione;
d).la possibilità, per i soci fondatori privati, di nominare propri rappresentanti nell'organo di indirizzo in ragione di apporto annuo di misura adeguata al valore della produzione e comunque non inferiore al 3 per cento del totale dei finanziamenti statali erogati per la gestione della attività,
verificato con riferimento all'anno in cui avviene il loro ingresso nella fondazione;
e.)la non corresponsione, per i componenti dell’organo di indirizzo, di compensi, gettoni di presenza o altre indennità, fatto salvo il rimborso delle
spese ai sensi della normativa vigente;
f ).la nomina dell’organo di controllo, composto da tre membri di cui uno, con funzioni di presidente, in rappresentanza del Ministero dell'economia e delle finanze, uno in rappresentanza del Ministero per i beni e le attività culturali, ed un magistrato della Corte dei conti, con decreto del
Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali;
g).l’attribuzione all’organo di indirizzo dei compiti di approvazione del bilancio di esercizio, nomina e revoca dell'organo di gestione, deliberazione delle modifiche statutarie, approvazione dei programmi di attività artistica, decisione in merito agli indirizzi di gestione economica e finanziaria della fondazione;
h).la piena attribuzione all'organo di gestione di adeguata autonomia decisionale e responsabilità della gestione dell'attività di produzione artistica e delle attività connesse e strumentali, con la facoltà di tale organo di dotarsi di collaboratori, tra i quali il direttore artistico o musicale, che
decadono con esso, del compito della tenuta dei libri e le scritture contabili, della predisposizione del bilancio d'esercizio e dei programmi di attività artistica, della direzione e coordinamento in autonomia e nel rispetto dei programmi approvati e del vincolo di bilancio;
i).la condizione che la partecipazione dei privati finanziatori alla gestione o al patrimonio della fondazione sia in linea con le finalità culturali dell'ente e con quanto previsto dall’articolo 4, comma 2, del presente regolamento.
3.Lo statuto e le modificazioni dello stesso, deliberate in conformità delle previsioni statutarie, sono approvate dal Ministro per i beni e le attività
culturali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro il termine di novanta giorni dalla loro ricezione.
ART. 6
(Norme in tema di patrimonio e di gestione)
.
1.Lo statuto della fondazione prevede che il patrimonio sia articolato in un fondo di dotazione, indisponibile e vincolato al perseguimento delle
finalità statutarie, e in un fondo di gestione, destinato alle spese correnti di gestione dell’ente.
La fondazione può accettare donazioni o eredità e conseguire legati.
2.La fondazione ha il diritto esclusivo all’utilizzo del proprio nome, della denominazione storica e dell’immagine del teatro ad essa affidato, nonché delle denominazioni delle manifestazioni organizzate; può consentire o concederne l’uso per iniziative coerenti con
le finalità della fondazione stessa.
3.La gestione finanziaria delle fondazioni è soggetta al controllo della Corte dei conti, alle condizioni e
con le modalità di cui alla legge 21 marzo 1958, n. 259.
4.La fondazione è soggetta, in caso di insolvenza, alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, con esclusione del fallimento.
5.L'organo di indirizzo esercita le proprie funzioni con l’obbligo di assicurare il pareggio del bilancio. La violazione dell’obbligo comporta l’applicazione dell'articolo 11 del presente regolamento e la responsabilità personale ai sensi
dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni.
6.La fondazione è soggetta al rispetto della disciplina in tema di appalti di lavori, servizi e forniture prevista dal codice dei contratti pubblici.
ART.7
(Scritture contabili e bilancio)
1.La fondazione, anche quando non esercita attività commerciale, deve tenere i libri e le altre scritture contabili prescritti dall'articolo 2214 del
codice civile.
2.Il bilancio di esercizio della fondazione è redatto secondo le disposizioni degli articoli 2423 e seguenti del codice civile, in quanto compatibili.
3.Il Ministero dell’economia e delle finanze ed il Ministero per i beni e le attività culturali possono stabilire specifici schemi, anche aggiuntivi, di bilancio, che tengano conto della particolare attività delle fondazioni. Possono altresì motivatamente disporre, in rapporto al totale dell'attivo dello
stato patrimoniale o al totale del valore della produzione e dei proventi del conto economico, che il bilancio, prima dell'approvazione, sia sottoposto a certificazione da parte di una società di revisione.
4.Il bilancio è approvato dall’organo di indirizzo nei termini previsti per le società per azioni.
5.Entro dieci giorni dall'approvazione, una copia del bilancio deve essere, a cura degli amministratori, trasmessa al Ministero per i beni e le attività
culturali ed al Ministero dell’economia e delle finanze e depositata presso l'ufficio del registro delle imprese.
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DOCUMENTI E COMMENTI
6.Le spese per eventuali rappresentazioni lirico-sinfoniche eseguite all’estero sono da imputare in bilancio con copertura finanziaria specificamente deliberata.
ART.8
(Coordinamento e criteri di gestione efficiente)
.
1.Anche agli effetti di quanto previsto dal presente regolamento in materia di ripartizione del contributo, gli organi di gestione delle fondazioni
lirico-sinfoniche coordinano i programmi e la realizzazione delle attività, sia all’interno della gestione dell’ente sia rispetto alle altre fondazioni lirico-sinfoniche, assicurando il conseguimento di economie di scala nella gestione delle risorse di settore e una maggiore offerta di spettacoli, e
possono a tal fine essere riuniti in conferenza, presieduta dal Direttore generale competente, che la convoca, anche per gruppi individuati per
zone geografiche o specifici progetti comuni. La conferenza deve garantire la maggiore diffusione in ogni ambito territoriale degli spettacoli oltreché la maggiore offerta al pubblico giovanile, l'innovazione, la promozione di settore con ogni idoneo mezzo di comunicazione, il contenimento e la riduzione del costo dei fattori produttivi, anche mediante lo scambio di spettacoli o la realizzazione di coproduzioni, di singoli corpi
artistici e di materiale scenico, e la promozione dell'acquisto o la condivisione di beni e servizi comuni al settore, anche con riferimento alla nuova
produzione musicale.
ART.9
(Conservazione dei diritti)
.
1.Fermo restando quanto disposto dall’articolo 2 del presente regolamento, le fondazioni conservano i diritti, le attribuzioni e le situazioni giuridiche la cui titolarità era posseduta al momento della trasformazione in fondazioni di diritto privato ai sensi del decreto legislativo 29 giugno 1996,
n. 367. In particolare, le fondazioni conservano il diritto a percepire i contributi pubblici, ivi compresi quelli statali, regionali, provinciali o comunali, fatta salva ogni successiva determinazione della loro misura, e a condizione che siano rispettati i requisiti previsti per l'accesso alla ripartizione del contributo dello Stato. Il Comune in cui ha sede la fondazione è tenuto a mettere a disposizione della medesima, senza corrispettivo, i
teatri ed i locali occorrenti per lo svolgimento dell'attività. L’obbligo di cui al periodo precedente permane anche in caso di applicazione del disposto dell’articolo 2, comma 2, del presente regolamento.
2.La fondazione si avvale del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato.
ART.10
(Vigilanza)
1.Le fondazioni lirico-sinfoniche sono sottoposte alla vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali, nonché al suo potere ispettivo, anche
su proposta del Ministero dell’economia e delle finanze. La vigilanza si estrinseca:
a).nella verifica del perseguimento, da parte della fondazione, delle finalità di cui all'articolo 4 del presente regolamento;
b).nell'approvazione dello statuto e delle relative modifiche statutarie, deliberate dalla fondazione, di concerto con il Ministero dell'economia e
delle finanze;
c).nell'esame dei bilanci di previsione e dei bilanci consuntivi, trasmessi dalla fondazione entro dieci giorni dall'approvazione;
d.)nella verifica del rispetto dei principi, dei criteri di gestione e di coordinamento, dei requisiti previsti in materia di qualifica di fondazioni liricosinfoniche ed in tema di ripartizione dei contributi statali;
e).nella verifica dei presupposti e delle condizioni per l'applicazione delle misure di amministrazione straordinaria di cui all'articolo 11.
2.Il Ministro per i beni e le attività culturali adotta i provvedimenti di decadenza dai diritti e dalle prerogative riconosciuti dalla legge e dal presente regolamento, nonché gli atti conseguenti agli accertamenti di cui all’articolo 2 del presente regolamento.
3.La fondazione trasmette al Ministero per i beni e le attività culturali e al Ministero dell’economia e delle finanze le informazioni, anche periodiche, da essi richieste.
ART. 11
(Amministrazione straordinaria)
1.Il Ministro per i beni e le attività culturali, anche su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze:
a).può disporre lo scioglimento dell'organo di indirizzo della fondazione quando risultino gravi irregolarità nell'amministrazione, o gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l'attività della fondazione, ovvero non sia
assicurato il pareggio di bilancio;
b).dispone in ogni caso lo scioglimento dell'organo di indirizzo della fondazione quando i conti economici di due esercizi consecutivi chiudono
con una perdita del periodo complessivamente superiore al 30 per cento del patrimonio disponibile, ovvero sono previste perdite del patrimonio
disponibile di analoga gravità.
2.Con il decreto di scioglimento, che comporta altresì la decadenza dell'organo di gestione, sono nominati uno o più commissari straordinari,
viene determinata la durata del loro incarico, nonché il compenso loro spettante. I commissari straordinari esercitano tutti i poteri dell'organo di
indirizzo e dell'organo di gestione, ivi inclusa la facoltà di nominare un consulente musicale.
3.I commissari straordinari provvedono alla gestione della fondazione, ad accertare e rimuovere le irregolarità, a promuovere le soluzioni utili al
perseguimento dei fini istituzionali. Possono motivatamente proporre la liquidazione coatta amministrativa, con esclusione del fallimento.
4.I commissari straordinari, ricorrendone i presupposti, promuovono la dichiarazione di decadenza dai diritti e dalle prerogative riconosciuti dalla
legge, nonché gli atti conseguenti agli accertamenti di cui all’articolo 2 del presente regolamento.
5.Spetta ai commissari straordinari l'esercizio dell'azione di responsabilità contro i componenti dell'organo di indirizzo e dell'organo di gestione,
previa autorizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali.
ART. 12
(Personale e contrattazione collettiva)
1.I rapporti di lavoro dei dipendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti
di lavoro subordinato nell'impresa, nonché dal decreto-legge, e sono costituiti e regolati contrattualmente. Il contratto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato è instaurato esclusivamente a mezzo di apposite procedure selettive pubbliche. Resta riservato alla fondazione ogni diritto
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DOCUMENTI E COMMENTI
di sfruttamento economico degli spettacoli prodotti, organizzati o comunque rappresentati, e in generale delle esecuzioni musicali svolte nell'ambito del rapporto di lavoro. Per la certificazione, le conseguenti verifiche e le relative riduzioni del trattamento economico delle assenze per
malattia o per infortunio non sul lavoro si applicano le disposizioni vigenti per il pubblico impiego.
2.Il Contratto collettivo nazionale di lavoro vigente alla data di entrata in vigore del presente regolamento avrà applicazione sino alla sua naturale
scadenza purché perfezionato ai sensi e nei termini di cui all'articolo 2 del decreto-legge. A decorrere dalla entrata in vigore del presente regolamento, ciascuna fondazione contratta con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative un autonomo contratto di lavoro che regola
all'unico livello aziendale tutte le materie già regolate dal Contratto collettivo nazionale di lavoro (C.C.N.L.) di settore e dagli accordi integrativi
aziendali. La definizione di tale autonomo contratto di lavoro è demandata all’autonomia negoziale delle parti sociali, previa dimostrazione alle
autorità vigilanti della compatibilità economico-finanziaria degli istituti previsti e degli impegni assunti. In caso di applicazione del disposto dell’articolo 2, comma 2, del presente regolamento, alla fondazione continua ad applicare il vigente contratto di lavoro sino alla sua naturale scadenza; successivamente si applica il contratto collettivo riferito ai dipendenti dei Teatri di tradizione.
3.Alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine, di proroga o di rinnovo dei medesimi contratti.
4.Ogni fondazione procede a rideterminare autonomamente l'organico necessario all'attività con apposita delibera dell'organo di indirizzo, previo parere dell'organo di controllo di cui all'articolo 5, comma 2, lettera f ). La delibera deve garantire l’equilibrio economico-finanziario e tiene
conto dell'attività effettivamente realizzata.
ART.13
(Criteri generali e percentuali di ripartizione del contributo)
1.La quota del Fondo unico per lo spettacolo destinata alle fondazioni lirico-sinfoniche, come annualmente determinata, sentita la Consulta per
lo spettacolo, con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, è attribuita a ciascuna fondazione con decreto del Direttore generale competente, sentita la competente Commissione consultiva, sulla base dei seguenti criteri:
a).il 65 per cento della quota di cui al periodo precedente è ripartita in considerazione dei costi di produzione derivanti dai programmi di attività
realizzati da ciascuna fondazione nell’anno precedente quello cui si riferisce la ripartizione, sulla base di indicatori di rilevazione della produzione;
b).il 25 per cento della quota di cui al primo periodo è ripartita in considerazione del miglioramento dei risultati della gestione attraverso la capacità di reperire risorse;
c).il 10 per cento della quota di cui al primo periodo è ripartita in considerazione della qualità artistica dei programmi.
2.Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentita la competente Commissione consultiva, sono predeterminati gli indicatori di rilevazione della produzione, i parametri per la rilevazione del miglioramento dei risultati della gestione, i parametri per la rilevazione della qualità
artistica dei programmi, il procedimento di erogazione.
ART. 14
(Disposizioni finali e abrogazioni)
1.La prima verifica dei dati di bilancio da parte della autorità vigilante ai fini di cui all'articolo 2, decorre dall'anno 2015 sui bilanci consuntivi dell'esercizio 2014.
2.Le disposizioni di previgenti norme contenenti riferimenti ai soggetti già disciplinati ai sensi del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, devono intendersi riferite ai soggetti disciplinati dal presente regolamento, qualora conservino la qualifica di fondazioni lirico-sinfoniche.
3.Dalla data di entrata in vigore del presente regolamento sono abrogate le seguenti disposizioni:
a).il titolo II della legge 14 agosto 1967, n. 800, ad eccezione degli articoli 16 e 19;
b).la legge 22 luglio 1977, n. 426, ad eccezione del quarto e quinto comma dell’articolo 3;
c).gli articoli 3 e 6, primo comma, della legge 13 luglio 1984, n. 312;
d).gli articoli 1, comma 5, e 3, comma 1, del decreto-legge 11 settembre 1987, n. 374, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987,
n. 450;
e).il decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, ad eccezione degli articoli 22, commi 2 e 3, 23 e 25;
f ).il decreto-legge 24 novembre 2000, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 gennaio 2001, n. 6, ad eccezione degli articoli 3, commi
2, 3 e 4, e 4, comma 2;
g).l'articolo 1 della legge 11 novembre 2003, n. 310, ad eccezione del comma 1;
h).il comma 87 dell'articolo 145 della legge 23 dicembre 2000, n. 388; conseguentemente, a decorrere dall'anno 2013, il fondo di cui alla legge 30
aprile 1985, n. 163, è incrementato, in favore dei soggetti disciplinati dal presente regolamento, della somma di 5.164.569,00 euro, nonché della
somma di 7.746.854,00 euro da assegnare in parti uguali alla Fondazione Teatro alla Scala di Milano, in quanto di particolare interesse nazionale
nel campo musicale e testimone della cultura musicale italiana all’estero, e alla Fondazione Teatro dell’Opera di Roma per la funzione di rappresentanza svolta nella capitale dello Stato;
i).il decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 2011, n. 117; sono fatti salvi gli atti e i provvedimenti adottati, gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 2011, n. 117. Nei confronti delle fondazioni lirico-sinfoniche
che avevano già ottenuto il riconoscimento della forma organizzativa speciale ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio
2011, n. 117, in sede di prima applicazione delle presenti disposizioni, è assegnato un contributo a valere sul Fondo unico per lo spettacolo di cui
alla legge 30 aprile 1985, n. 163, destinato al settore delle fondazioni lirico-sinfoniche, almeno pari alla percentuale conseguita dalla medesime
fondazioni in occasione dell'ultima assegnazione precedente al riconoscimento della forma organizzativa speciale. Al termine del primo triennio,
verificate le attività svolte ed esaminati i programmi svolti, il Direttore generale competente per materia, sentita la Commissione consultiva per la
musica, tenuto conto dei criteri vigenti nel settore lirico-sinfonico, conferma o aumenta la percentuale di contributo assegnata. Il triennio di cui al
presente comma decorre dal primo contributo assegnato sulla base delle disposizioni contenute nel presente regolamento. È fatta, comunque,
salva la facoltà della Direzione generale competente di concedere anticipazioni fino all'80 per cento dell'ultimo contributo assegnato, secondo i
criteri e le modalità previsti dai decreti ministeriali vigenti in tale ambito.
ART. 15
(Entrata in vigore)
1.Il presente regolamento entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo
a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
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DOCUMENTI E COMMENTI
COSA CAMBIeRA’ NeLL’ASSeTTO DeLLA
LIRICA ITALIANA
Circa un anno fa scrissi che in Italia sarebbero rimaste in vita da tre a cinque fondazioni liriche e che il
resto del teatro in musica sarebbe stato affidato ai
‘teatri di tradizione’ od alle ‘dirette’ dei cinema in HD
(già operanti in 250 sale, al ritmo di due spettacoli la
settimana). Venni accusato di essere una Cassandra.
Risposi che secondo Omero e Virgilio, la Principessa
troiana aveva ragione.
Il fato era segnato. La responsabilità è un po’ di tutti:
la scarsa cultura musicale degli italiani (che da almeno sessant’anni non chiedono alla politica di sostenere ‘la musa bizzarra e altera’ , come il
musicologo Herbert Lindenberger , ha definito la lirica), l’inesistente coordinamento tra Sovrintendenti
(ricordo una ‘stagione’ con sei ‘nuovi allestimenti’ di
Un Ballo in Maschera) , la poca produttività dei teatri
(mediamente 70 recite l’anno rispetto ad una media
di 160 nell’UE a 15 e di 200 nell’UE a 27), gli alti costi
(il 140% della media dell’UE a 15 e circa il 230% della
media dell’UE a 27), il corporativismo sfrenato, le
regie vetuste (rispetto a ciò che si vede all’estero), tali
da non attirare il pubblico giovane, la trasformazione
delle ‘stagioni’ in festival con pochi titoli, trascurando
il repertorio. Cosa dire di una fondazione che, con
circa 400 dipendenti, nel 2009 ha alzato il sipario
solo 25 volte? Un chiaro invito a destinare i finanziamenti pubblici ad altre attività.
Al pari della Marescialla nel terzetto del ‘Der Rosankavalier’ , “Sapevo che sarebbe successo, ma non
pensavo che succedesse così presto”. Il Decreto del
Presidente della Repubblica sul ‘nuovo assetto ordinamentale ed organizzativo’ delle Fondazioni , approvato nell’ultimo Consiglio dei Ministri prima dello
scioglimento delle Camere, prevede , implicitamente, un drastico ridimensionamento del numero
delle fondazioni.
Occorre ammettere che la definizione dell’articolato,
ha comportato un lavoro immane, iniziato dal ministro Bondi e terminato alla fine del 2012. Si è trattato
di dare un senso a molteplici norme (spesso contraddittorie) ed armonizzarle, guardando al futuro ed al
resto d’Europa non al passato o ad un presente ancora pieno d’incrostazioni particolaristiche. In effetti,
il DPR (che dovrà andare al vaglio del nuovo Parlamento) è un ‘testo unico’ che come tutti i testi unici
ha comunque il vantaggio di semplificare normative
di settore accavallatesi negli anni, spesso per rispondere a questa od a quella esigenza (anche più che legittima) ma senza tener conto del sistema nel suo
complesso. Quello per la lirica è un documento complesso, sul quale si sono divisi i sovrintendenti dei
maggiori teatri e che ha incontrato l’opposizione dei
5.000 dipendenti delle fondazioni lirico- sinfoniche, i
quali perderebbero alcune posizioni di vantaggio ri-
spetto ai colleghi dei ‘teatri di tradizione’.
Il suo punto forte, ma anche il più controverso, è
l’art. 2 è con il quale si pone un vincolo al finanziamento dello Stato: per essere tale una ‘fondazione’
dovrà procurarsi con entrate proprie (biglietteria,
sponsorizzazioni) e contributi da enti locali (Regioni,
Province, Comuni) , nonché apporto di soci privati,
almeno l’equivalente del finanziamento statale. Molti
protestano che in questo modo si uccide la lirica. La
norma, però, porta la legislazione italiana in linea
con quella di Stati europei come la Germania, l’Austria e la Francia dove la lirica non è la sorella povera
dello spettacolo dal vivo ma una realtà viva e vivace.
Gli enti locali affermano di essere già troppo
oberati: ciò, però, li costringerà a decidere se utilizzare gli stanziamenti per la cultura a pioggia, se finanziare la fiera del carciofone o della patata rossa o
se contribuire al ‘loro’ teatro, spesso un gioiello architettonico, ricevuto in eredità dalle generazioni precedenti. Ciò li costringerà anche a ‘mettere bocca’
nella programmazione del teatro, a cercare sinergie,
ad attivare circuiti con istituzioni simili in Italia ed
all’estero. Chi non può o non vuole sostenere la propria ‘fondazione lirica’, chi non la sente radicata
nella propria comunità, subirà un declassamento: la
fondazione (con finanziamenti statali triennali) diventerà un ‘teatro di tradizione’ (con finanziamenti
statali basati sul numero delle rappresentazioni effettive).
Quando nel 1945 la commissione del Piano Marshall
rise in faccia al Borgomastro di Vienna che aveva
posto in cima alle priorità la ricostruzione della Staatsoper , i viennesi che amavano tanto il loro teatro
da non volerlo relegato nella (allora) periferica Volksoper, non si persero d’animo: votarono all’unanimità una ’imposta di scopo’ per riportare il ‘ loro ‘
teatro all’antico splendore. E, dopo la ricostruzione,
lo inaugurarono con nove recite (ciascuna con un titolo differente) in cui tutti (direttori, cantanti, orchestra , maestranze) lavorarono gratis; i prezzi dei
biglietti erano stracciati e venduti a lotteria (tale era
la domanda). Di recente, a Baltimora si è polemizzato
per la sospensione delle rappresentazioni del Lyric
Theatre in seguito alla crisi finanziaria che ha travolto i finanziatori. Si sono organizzati autobus per
portare gli appassionati nella vicina Washington
(un’ora e mezza circa di percorso) dove ci sono oltre
alla National Opera (il 25% dei cui costi è sovvenzionato dal National Endowment for Arts) altre sei compagnie d’opera, tutte private ed aiutate solo a livello
locale (per di più dalla Contee, l’equivalente della nostra Regione). Il 26 dicembre di quest’anno è stato
inaugurato a Erl, nel Tirolo (a 80 km da Monaco a
Nord e da Innsbruck a Sud, ed a 75 da Salisburgo) un
nuovo teatro per opere e concerti, finanziato in
parte dal Governo del Tirolo (non da quello federale)
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DOCUMENTI E COMMENTI
ed in parte da privati; nel primo festival di due settimane (tre opere, sinfonica e cameristica), il 98,5%
degli spettatori erano pubblico pagante. In Cina
sono in costruzione un centinaio di teatri per l’opera
e la concertistica occidentale; tutti a carico delle Province e dei privati. Non c’è nulla di male a diventare
‘teatro di tradizione’, se a livello locale non si vuole
mostrare il supporto in maniera concreto: aprendo,
cioè, la borsa e dando priorità al teatro. Oltre tutto
negli ultimi anni alcuni circuiti di ‘teatro di tradizione’
(ad esempio quello toscano, estesosi alla Romagna,
e quello lombardo estesosi alle Marche) hanno mostrato innovazione drammaturgica ed utilizzato giovani talenti. Il punto debole è che non si prevedono
incentivi ‘europei’ per la deduzione dei contributi privati dall’imponibile - nel resto d’Europa si aggirano
sul 30% dell’elargizione filantropica, mentre in Italia
si è al 19%. Altro punto discutibile è la valutazione
della qualità della programmazione, elemento che
entra nelle decisioni sull’entità dei finanziamenti. Si
può pensare di affidarla alla Consulta per la Musica
del Ministero, ma sono essenziali criteri trasparenti
quali il numero di Premi Abbiati ricevuti, le coproduzioni con grandi teatri stranieri, le ‘prime’ mondiali.
Infine, il testo unico prevede la sostituzione della
contrattazione collettiva nazionale con contrattazioni dei singoli cori ed orchestre . Questo è l’aspetto
che più irrita le maestranze. Però è anche un aspetto
che ci avvicina all’Europa dove in molti casi cori ed
orchestre hanno personalità giuridica autonoma che
negozia con i teatri. Ci sono, senza dubbio, miglioramenti da fare. Speriamo che non finiscano con lo
snaturare il disegno complessivo.
Giuseppe Pennisi
RAzIONALIzzARe Sì. DISTRuGGeRe NO
A coloro che hanno salutato il decreto del CdM
come benvenuto, noi non ci uniamo. Lo faremmo se
tale decreto contenesse direttive per razionalizzare
la spesa e cancellare sprechi. Non ci uniamo perchè
questo decreto sembra l’ultimo atto della totale dismissione dello Stato nei confronti della cultura, avviata dalla riforma di Wolter (Veltroni), l’americano.
Condividiamo parola per parola l’accusa circostanziata del presidente Napolitano - che pubblichiamo
in apertura di giornale - contro lo politica che ha trascurato colpevolmente la cultura. La stessa politica
che oggi pretende dai suoi organi periferici, nei confronti della cultura, l’attenzione che esso Stato non
ha e non ha mai avuto. Perciò, pur prendendo atto
delle attente riflessioni dell’economista Pennisi, dissentiamo profondamente da lui, per queste ragioni.
Se esistono ancora margini per razionalizzare la
spesa delle fondazioni liriche in Italia, senza esagerare sulla loro consistenza in un settore che ha subito
drastici tagli, e che infliggendogliene altri lo si di46
struggerebbe definitivamente, si razionalizzi pure.
Però si abbia anche il coraggio di dire che sembra
impossibile che uno Stato moderno non riesca a pescare nel suo bilancio 200 milioni di Euro circa all’anno per i suoi teatri storici. Quella somma è assai
vicina a quella che in altre nazioni lo Stato destina al
suo teatro ‘nazionale’, non ad una complessa ed articolata rete di teatri come quella italiana. E, poi, perché i teatri dovrebbero fare ancora sacrifici , richiesti
dallo stesso governo che non è riuscito a tagliare
sprechi e privilegi del palazzo e della politica che ridurrebbero altro che di 200 milioni le uscite dalle
sue casse? Quei quattro farabutti, di cui le cronache
hanno raccontato le malefatte in questi mesi, e due
dei consigli regionali italiani hanno buttato al vento
ben più di quei 200 milioni. E come mai quello
stesso Stato che vuole ridurre il numero dei teatri
per risparmiare quattro soldi, non è riuscito a ridurre
numero e costo dei parlamentari? E neanche gli stipendi dei magistrati, in difesa dei quali si è alzata la
voce della Consulta che ne ha motivato l’intoccabilità con l’indipendenza della magistratura?
Noi siamo contro gli sprechi, i privilegi, la scarsa produttività. Ma siamo a favore della cultura, per la
quale l’Italia continua a spendere una percentuale
vergognosa del suo PIL( 0,19% contro l’1% di molti
paesi europei),al quale nell’ultimo anno ha contribuito per il 4%, tanto da far gridare allo scandalo
perfino il FAI che ha indetto le ‘primarie della cultura’,
con le quali ha chiesto ai cittadini di far sentire la
loro voce in settori oggi più che mai strategici per lo
sviluppo del Paese e dallo Stato colpevolmente negletti. Il legislatore deve rendersi conto che l’entrare
ed uscire dalle fondazioni non è un giochetto da ragazzi, bensì una operazione suicida che porterebbe
a chiudere ed aprire orchestre, come fossero bar o
night o semplici esercizi commerciali, a distruggere
professionalità aquisite e tramandate gelosamente
nei nostri teatri. E deve anche considerare che, una
volta usciti, rientrare sarà difficile anzi impossibile,
perché, uscendo, i teatri dovranno drasticamente ridurre le proprie piante organiche, a causa dei ridotti
finanziamenti; e, per rientrare eventuialmente, dove
andrebbero a ripescare quelle stesse professionalità
che con il giochetto infame proposto dal decreto
hanno disperso? Questo modo di pensare alla riforma è catastrofico. Non s’è fatto così già con le orchestre Rai, portandole da quattro a una? Se si
voleva imprimere una svolta vera e radicale perchè
non si è parlato di deduzione dal reddito per i finanziamenti destinati alla cultura? Teme, forse, il nostro
Stato che quella stessa gente che fa la fila per vedere
una mostra, o andare a teatro, o che sostiene, con il
FAI, l’ambiente italiano, si mostri più solerte di
quanto avrebbe dovuto essere lo Stato e così lo svergogni agli occhi di tutti? Perché non si è proposto
di garantire triennalità di finanziamenti, per incorag-
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DOCUMENTI E COMMENTI
giare programmazioni a lungo termine, piuttosto
che tenere in vita un FUS ballerino, munifico con gli
amici, strozzino con i nemici (politici)?
Perché non ha deciso una volta per tutte di non
mettere più bocca nelle scelte dei dirigenti, spessissimo suoi emissari o servitori incapaci? E perché ha
voluto avocare a sé il giudizio sulla qualità delle programmazioni dei teatri, magari affidandosi alla Commissione centrale musica, nella quale da sempre come abbiamo tante volte, inutilmente denunciato il Ministero medesimo ha messo persone incapaci
ed incompetenti e taluni responsabili dei bilanci passivi di prestigiose istituzioni culturali italiane ?
In questi settori uno Stato che vuole veramente e
concretamente modernizzarsi avrebbe dovuto dare
un segnale al paese. Ma questo segnale anche questa volta non è arrivato.
Dopo il day after della cultura italiana che questo decreto nei fatti produrrà, pensa forse il governo Monti
che d’ora in avanti quando dovremo mandare all’estero una nostra rappresentanza, non manderemo
più i nostri teatri, la nostra musica, la nostra arte, e
potremo, invece, cavarcela spedendo fuori lui, i suoi
ministri o qualche gran commis? Non pensa che i
nuovi ambasciatori non avrebbero il permesso di ingresso in molte nazioni che si aspettavano l’arrivo
dei nostri tesori, irrimediabilmente distrutti?
Pietro Acquafredda
SuI NuMeRI DeL FuS 2012
In tempo di crisi, si sa, i numeri sono fondamentali.
Da un po’ di tempo a questa parte, ormai, la vita di
un cittadino medio è costretta a misurarsi con spese
extra, tasse, tagli, accise… e da ogni parte, si alza
unanime lo stesso imperativo: risparmiare. E nell’ era
in cui con l’ arte non si mangia, anche la programmazione artistica delle istituzioni musicali italiane è obbligata a fare continuamente i conti con
stanziamenti insufficienti e ridimensionamenti devastanti , e qualche volta comunicati quasi a fine esercizio. Negli ultimi tempi, la drammatica situazione in
cui versano in particolare i nostri maggiori enti lirici è
emersa chiaramente anche attraverso i frequenti appelli-protesta sottoscritti da notissime personalità.
Ma di fatto, i fondi alla Musica (circa il 50% del totale
del FUS) rimangono un terreno fertile dove lesinare
“qualche sommetta”, senza dare particolarmente nell’
occhio e senza scuotere più di tanto l’ opinione pubblica. Quel che più amareggia è vedere come, parlando degli stanziamenti 2012, si sia gridato alla
ripresa, alla risalita; e che, di conseguenza, direttori,
sovrintendenti, impresari che lamentano una situazione insostenibile non sarebbero che “frignoni”, allarmisti. A mettere vicini i numeri 2011 e 2012 si nota
una qualche minima differenza positiva: se alle orchestre, alle società concertistiche, ai festival e all’ or-
ganizzazione di corsi spetta una percentuale praticamente invariata rispetto agli anni passati - 58 milioni
di Euro circa - ad alcune fondazioni liriche, quest’
anno, è stato dato qualcosa in più, qualche centinaio
di migliaia di euro, facendo segnare al totale dei
fondi una crescita dello 0,7% (tot. 193 milioni). Senz’
altro, in un annata nera come quella da poco salutata, ogni benchè minimo segnale di crescita, andrebbe valorizzato e apprezzato. Ma, prima di
tessere lodi del governo di turno, siamo sicuri che le
cose potrebbero andare anche “peggio”? Volendo
essere catastrofisti sì: è risaputo che al peggio non
c’è mai fine. Ma ad essere oggettivi, con i dati di trequattro anni fa alla mano, ci rendiamo conto di come
questa piccola crescita del 2012 non bilanci neanche
lontanamente, la falciata del 2009, ‘annus orribilis’,
durante il quale i finanziamenti alle fondazioni liriche
vennero decurtati del 20%: tagli di 6,5 milioni di Euro
a Milano e Roma ( si aggiungano anche i 3,5 milioni
all’ Accademia di Santa Cecilia), di 4 milioni a Firenze,
Genova e Palermo, di 3,5 milioni a Venezia, Napoli,
Trieste e Bologna e di 2,5 a Torino e Cagliari. Non
compensati dagli “spiccioli” che sarebbero stati tanto
generosamente elargiti nell’ ultimo anno:
- 20% contro + 0,7… i conti tornano? Dietro i tristi
numeri, ci sono tante, annose e irrisolte questioni:
dalla caccia agli sprechi alla non ‘commestibilità’
della Musica, dall’ ancora indefinito statuto giuridico
e fiscale delle fondazioni alle proposte di liberalizzazione e privatizzazione di queste ultime… Comunque la si voglia considerare, a farne le spese è la
programmazione di stagioni liriche di qualità, ridotte
(anche quantitativamente parlando) ai minimi storici
e perennemente in sofferenza. Tanto indicative
quanto sintetiche, appaiono le parole di Napolitano
in occasione della relazione annuale sul FUS del
2011: “Se è vero che l’intervento statale è servito ad
alimentare forme di assistenzialismo e a provocare la
lievitazione irresponsabile delle spese, è altrettanto
veritiero che il finanziamento pubblico è indispensabile per garantire la libertà, il pluralismo e la più
ampia diffusione della cultura attraverso la produzione artistica”; e ancora “La promozione della cultura si colloca tra gli obblighi costituzionali della
Repubblica, anche alla luce del principio costituzionale di sussidiarietà dell’intervento pubblico rispetto
a quello dei privati”. Che dire? Speriamo nel meglio… e prepariamoci al “peggio”!@
Elisabetta Guarnieri
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OMNIBUS
COMPAGNIA VIRTuOSA PeR LA MuSICA IN
ABRuzzO
Con la sigla ‘Abruzzo Musica Antica’, l’associazione
culturale Compagnia Virtuosa ha aperto, e presentato recentemente al pubblico, un sito web che propone come punto d’approdo dei musicologi
un’Antologia online di musiche abruzzesi scritte tra il
‘400 e il ‘600. L’ideatore dell’iniziativa e i primi collaboratori sono Andrea De Carlo, Enrico Ruggeri,
Marco Della Sciucca e Walter Pili, presidente di Compagnia Virtuosa. In questa fase di presentazione e
sperimentazione, il sito internet (wwww.abruzzomusicaantica.org.) presenta alcune partiture di Cesare
Tudino e Ippolito Sabino, ma i campi annunciati (archivio, partiture, compositori, studiosi, esecutori, discografia, edizioni moderne) fanno presagire uno
sviluppo di ampie dimensioni poiché la musicologia
abruzzese ha camminato in fretta negli ultimi decenni, soprattutto dopo l’apertura delle cattedre di
Storia della musica nelle due Università dell’Aquila e
di Chieti; e un contributo vitale hanno già cominciato a offrirlo i due Dipartimenti di musica antica
istituiti nei Conservatori di Pescara e dell’Aquila.
Dalle istituzioni pubbliche è lecito aspettarsi una collaborazione decisiva e, in ogni caso, più efficace di
quella che finora hanno potuto offrire, generosamente ma non sistematicamente, singoli docenti di
buona volontà e di qualità non comuni, sia nei
campi di ricerca sia nel settore organizzativo ed esecutivo.
Oggi il panorama abruzzese della musica antica
(considerando il periodo che va dal Medioevo al periodo barocco) è ampio ed effervescente. Esistono
associazioni e istituti di ricerca abbastanza attivi,
malgrado le difficoltà ciclopiche legate alla diffusa
ignoranza delle autorità politiche, studiosi di ottimo
nome, ricercatori che si sono dedicati con passione a
singoli autori (Zacara, Marco dell’Aquila, Lupacchino,
Tudino, Sabino, Crisci, Capece, Aglione, Graziani, Mascitti…), pubblicazioni metodologicamente serie,
esecutori attrezzati culturalmente e tecnicamente
nel settore delle voci (soprattutto corali) e degli strumenti, occasioni d’incontro (rare ma di qualità)… insomma il panorama è assai promettente. C’è perfino
qualche organologo specializzato nella (ri)costruzione di flauti storici. Altre vecchie glorie (Cremonese, Orso da Celano, Scaramella…) aspettano
pazienti il loro devoto cultore, che non tarderanno a
entusiasmarsi. Ora, la possibilità di un sito dove la
folla eterogenea degli esecutori possa ritrovare una
letteratura spesso quasi irraggiungibile, e trascritta
in notazione moderna (per i molti ignari di paleografia musicale), di sicuro favorirà un ulteriore, vorticoso
sviluppo degli studi e, soprattutto, della divulgazione mediante esecuzione di una letteratura musicale nata in Abruzzo, la quale a suo tempo risuonò
non soltanto in Abruzzo ma in sedi prestigiose come
Roma, Napoli, Firenze, Mantova, Venezia ecc. e fuori
d’Italia. Nella ricerca, la solitudine non è di per sé un
male, come ci ha insegnato il medico/ricercatore
Corrado Marciani e tanti altri generosi pionieri. Ma il
gruppo moltiplica senza alcun dubbio risorse e risultati. Perciò Abruzzo Musica Antica può rappresentare
un punto di svolta nella direzione giusta. (W.T.)
MuSIC-IN LAB PeR I 40 ANNI DeLL’uNLA
Quando al ‘Casella’ fu consegnata la nuova struttura
scolastica, e dopo una normalizzazione delle lezioni,
la direzione del Conservatorio si rese conto che gli
spazi aggregativi per i giovani erano ridottissimi
nella città post terremoto; e che, in compenso, le
iscrizioni ai corsi di propedeutica musicale, dedicati
ai bambini dai 3 ai 10 anni, già attivi fin dal 2006,
avevano avuto un forte incremento.
Avendo saputo di un bando regionale dedicato al
sostegno della coesione sociale nell’area del cratere,
ci si rivolge al dirigente dell’UNLA, prof. Lattanzi. Con
l’UNLA( Unione Nazionale per la Lotta all’Analfabetismo) il Conservatorio stipula un a convenzione; il Direttore del Conservatorio, Carioti, dà incarico formale
a Rosalinda Di Marco, vicedirettrice del Conservatorio, di svolgere la funzione di coordinamento didattico, artistico, tecnico-comunicativo ed
amministrativo per tutte le attività riguardanti il progetto dei Music-inLab
Si elabora il progetto, nel quale vengono coinvolti le
amministrazioni dei Comuni di Ocre, San Demetrio e
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Fossa, che mettono a disposizione le strutture scolastiche, e le persone di riferimento e nello stesso
tempo il Conservatorio avvia le procedure per il reperimento dei docenti dei Music-inLab tra i giovani
diplomati al di sotto dei 35 anni, riservando particolare attenzione sia al settore della Musicoterapia,
poco conosciuto e di particolare delicatezza, sia agli
strumenti ed al repertorio di musiche popolari quali
l’organetto e le percussioni etniche.
Docenti dei corsi: Rita Alloggia, propedeutica della
teoria musicale e coro, Monia Esposito e Federico
Cardilli propedeutica della teoria musicale; pianoforte: Paola Salvatore, Marcella Coletti, quest’ultima
sostituita da Massimiliano Scatena dopo il 31 gennaio 2012; violino: Federico Cardilli; flauto: Matteo
Grimaldi; organetto: Marco Pomanti; tromba: Marco
Mangola; percussioni: Pierluigi Tomassetti e Valentina Lauri; musicoterapia: Marzia Zingarelli; ed inoltre
il personale di sorveglianza nelle varie sedi scolastiche nelle persone di Lucia Santarelli, Cristina Trolla e
Simonetta Toni.
I corsi hanno inizio a gennaio 2012, con cadenza settimanale di una lezione di strumento ed una di teoria; successivamente partono i laboratori di Musica
d’insieme. La Cavea del Conservatorio, stracolma,
ospita il concerto finale.
Music-inLab ha avvicinato alla musica strumentale e
corale circa 100 alunni, divisi tra materna e primaria,
residenti nei comuni del territorio del cratere non
dotati di scuole specifiche, sfruttando un repertorio
di musiche adatte all’età dei ragazzi, scelte tra filastrocche, canoni, canti popolari, arrangiati vocalmente e strumentalmente da Roberta Vacca.
PeRCORSI/PATHS 2013
A metà dicembre, rispettivamente presso la Sala
“Bellisario” del Conservatorio “D’Annunzio” di Pescara
e presso l’Aula Magna del Conservatorio “Casella” di
L’Aquila si è tenuto il concerto inaugurale
“Percorsi/Paths 2013”, nell’ambito del contenitore
progettuale “Abruzzo Beni Musicali”.“Abruzzo Beni
Musicali” è il frutto del primo passo di una politica
regionale dei Conservatori di Musica per lo studio, la
valorizzazione e la divulgazione del patrimonio musicale abruzzese: patrimonio vastissimo (oltre sette
secoli di musiche e compositori, dal XIV al XX secolo)
ma in buona parte, per certe caratteristiche di frammentarietà, poco conosciuto se non sottovalutato. Il
Team “Abruzzo Beni Musicali”, a cui hanno aderito
per il presente Anno Accademico 11 Docenti dei due
Conservatori, aquilano e pescarese, punta ad un rinnovato approccio delle discipline legate all’ambito
della cosiddetta Musica Antica, volendo prediligere
l’originalità della ricerca (legata al territorio), l’approccio multidisciplinare e la collaborazione sinergica. Fondamentale è il momento della
valorizzazione degli Studenti più meritevoli, intesi
non solo come principali fruitori di un progetto didattico, artistico e di ricerca ma anche come futuri
professionisti e promotori a loro volta di questa strategia. L’esibizione delle due compagini, Pescara e
L’Aquila, in entrambe le sedi dei Conservatori, ha permesso un utile confronto, sia didattico che artistico,
certamente utile per lo sviluppo di nuove iniziative. I
“Percorsi/Paths 2013” prevedono lo studio e l’interpretazione di brani tratti da tre compositori abruzzesi: Cesare Tudino da Atri (XVI sec.), Bernardo
Lupacchino Dal Vasto (XVI sec.), Fedele Fenaroli
(1730-1818). Nel concerto d’inaugurazione sono
state presentate le prime opere oggetto di studio:
“Canzon Napolitane a 3” e il Canone “In Manus Tuas”
del Tudino, “Duo” editi da Lupacchino e Ioan Maria
Tasso, ed infine Sonate per Tastiera del Fenaroli.@
CONGRATuLAzIONI!
A Francesca Graziani
Produzione Musica per Roma
Paris, 10.XII.2012
Madame,
comme vous le savez, nous avons eu le plaisir d'accueillir au
cours des semaines passées M. Andrea De Carlo au ‘Centre
de musique baroque de Versailles’, pour deux opérations qui
ont été, en tous points, un très grand succès :
* tout d'abord, nous avons accueilli le Département de musique ancienne du Conservatoire de L'Aquila, dans le cadre
de nos auditions hebdomadaires des "Jeudis musicaux", à la
‘Chapelle royale’ du Château de Versailles, le 29 novembre
2012.
Devant un public enthousiaste de plus de 350 personnes,
les étudiants et professeurs du Conservatoire, sous la direction d'Andrea De Carlo, ont présenté un superbe programme principalement consacré à l'oratorio d'Antonio
Stradella, "La forza delle stelle".
* enfin, du 3 au 7 décembre, M. Andrea De Carlo a mis en
oeuvre, pour nos 17 étudiants en formation professionnelle
supérieure de chant baroque, une masterclasse consacrée à
l'interprétation du répertoire italien. Sa compétence irremplaçable et son extrême sens pédagogique ont permis à nos
jeunes chanteurs de réaliser des progrès considérables au
cours de cette semaine, dans leur maîtrise du répertoire et
de la déclamation italienne.
C'est pourquoi je me permets de vous transmettre notre très
grande reconnaissance, pour avoir permis la mise en oeuvre
de tels projets, grâce au programme "Suona italiano".
La réussite de ces deux projets et la qualité de la rencontre,
tant humaine que musicale, entre nos professeurs, nos étudiants, Andrea De Carlo et son équipe du Conservatoire de
L'Aquila, nous fait espérer la possibilité de nouvelles collaborations, dès l'année prochaine, afin de soutenir et d'encourager la diffusion et l'enseignement de nos répertoires
baroques respectifs, tant en France qu'en Italie.
Denis Skrobala
Administrateur des Pages et des Chantres
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ARIA DEL CATALOGO
TWITTeR. LeONe CHe CINGueTTA
I
I l giorno stesso in cui è andato in onda, in diretta, su
Rai Uno, in Eurovisione, il Concerto di Capodanno
dal Teatro La Fenice, nel nido del ‘Corriere’ sono tornati i passeri che cinguettano, da un decennio, la
solita canzoncina, che ha come ritornello: ‘aridatece
Vienna!’
Il ‘Corriere del Veneto’, e il relativo foglio nazionale,
hanno raccolto i cinguettii dei passeri che dileggiavano la Fenice, cioè a dire la‘passera’ – come, familiarmente, la chiamano i veneziani - che è sempre
risorta dalle sue ceneri, e li hanno amplificati, anche
perché al solito ritornello dei non numerosi nostalgici di Vienna, si è unito quest’anno il cinguettio di
un leone di razza, anzi di Giancarlo Leone, il neo direttore di Rai Uno, da poche ore insediato nel suo
incarico. Il quale, sentiti i cinguettii dei passeri del
Corriere, ha immediatamente duettato con
loro : ‘ Oc-or-re-re/ conto te-ne-re-re/ del loro pa-rere/e sono in tan-ti-ti-ti-ti’.
Ai passeri del Corriere non è parso vero. Ma allora se
anche un leone cinguetta con noi possiamo farcela.
Forza , tutti a cinguettare.
Senonchè, il giorno dopo, il 2 gennaio, alle 10 in
punto, dalla Rai sono arrivati i dati di ascolto che,
come da dieci anni a questa parte, fanno strage di
passeri e, probabilmente anche di leoni che cinguettano. Il Concerto di Capodanno dalla Fenice ha
avuto quasi 4.400.000 telespettatori ( share del
26.64; circa 60.000 in più della passata edizione) e il
Concerto da Vienna 2.960.000 circa ( trasmesso in
due parti, il dato di ascolto è il risultato di una
media), oltre 200.000 in meno rispetto allo scorso
anno. Duecentomila circa in meno che saranno stati
quelli che – tanti, secondo il leone - cinguettavano
con lui; incuranti del fatto che, così distratti, abbassavano gli ascolti del loro concerto preferito, quello
stesso che ha fatto cinguettare perfino la parla50
mentare PD Paola Concia - che non ha mai messo
piede in una sala da concerto – ma alla quale Vienna
‘ricorda l’infanzia’, lei che è cresciutella.
I dati di ascolto non cinguettano, cantano a squarciagola. Venezia ha sempre fatto ascolti altissimi, anche
superiori a quelli che faceva Vienna un tempo; rivelandosi da subito come il più seguito concerto della
storia della televisione, ed il programma in assoluto
più visto di tutta la televisione italiana a Capodanno.
In queste feste, numerosi i concerti televisivi, trasmessi da Rai Uno nella medesima fascia oraria del
Concerto di Capodanno. Il catalogo è questo: ’Concerto di Natale dal Senato diretto da Muti ( share
13.94; telespettatori 2.289.000); Concerto di Natale
da Assisi diretto da Morricone ( share 22.98; telespettatori 2.483.000); Concerto di Natale dalla Scala diretto da Ticciati ( share 9.29- telespettatori 685.000).
Infine, ‘Lohengrin’ dalla Scala diretto da Barenboim,
in diretta su Rai 5: share 1.02 – telespettatori
202.000.
I passeri del Corriere e il leone non hanno più cinguettato; sono caduti in letargo; attendono il prossimo capodanno.
Leporello
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