E in caso di pubblicazione, su chi grava il relativo costo?

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Sommario
Diritto
5
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche della disciplina dell’Imposta
sul valore aggiunto
Massimo Barbiero, Nevio Nardo
27
L’obiezione di coscienza tra diritti del medico e tutela del paziente. Aspetti applicativi
nel panorama sanitario emergente dalla riforma Balduzzi
Serena Boscherini
34
Gli avvisi dei bandi di gara vanno ancora pubblicati per estratto sui quotidiani?
E in caso di pubblicazione, su chi grava il relativo costo?
Mario Zoppellari, Viviana Tripodi
Economia e Management
38
La gestione del percorso riabilitativo attraverso l’utilizzo della Rete: il Dipartimento
Interaziendale Metropolitano di Riabilitazione
Maria Antonietta Banchero
48
Analisi di Hospital-Based HTA sull’implementazione della coro TC presso l’Azienda Ospedaliera
di Lodi
Davide Archi, Antonio Piccichè
60
65
Il codice degli appalti pubblici: stato di avanzamento nell’applicazione degli istituti innovativi
Vittorio Miniero
Management Pills
La leadership diffusa in Sanità
a cura del CREMS
Esperienze in vetrina
69
Sistemi Dinamici di Acquisizione: esperienze svolte e valori di risparmio
Mario Pucci
Giurisprudenza commentata
75
Libera concorrenza nel mercato sanitario siciliano (Consiglio di Giustizia Amministrativa
per la Regione Siciliana, sez. giurisd., 11 marzo 2013, n. 326)
Commento a cura di Ennio La Placa
Uno sguardo ai numeri
81
Stima del numero di persone HIV positive viventi in Italia
Umberto Restelli, Marzia Bonfanti, Elisabetta Garagiola, Fabio Vecchio, Francesco Bamfi, Paolo Rizzini, Maurizio Amato,
Mauro Quartaroli, Davide Croce
87 Recensioni a cura del CREMS
3
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amministrativo nell’Università San Pio V di Roma
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di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università di Torino
Giuseppe Morbidelli – Professore ordinario di Diritto
amministrativo nell’Università di Roma “La Sapienza”
Antonio Romano Tassone – Professore ordinario
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amministrativo nell’Università di Roma “La Sapienza”
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Hanno collaborato
a questo numero
Maurizio Amato
Vittorio Miniero
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Avvocato specializzato in appalti pubblici
Davide Archi
Nevio Nardo
Referente medico per l’informatizzazione dei processi
clinici, U.S.C. Area di Supporto Direzionale
per l’Organizzazione e lo Sviluppo, Azienda Ospedaliera
della Provincia di Lodi
Funzionario Amministrativo dell’Agenzia Regionale
per la Prevenzione e la Protezione Ambientale
del Veneto
Maria Antonietta Banchero
Dirigente Medico, Direzione Medica di Presidio,
Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII
di Bergamo
Direzione Generale Salute, Regione Lombardia
Francesco Bamfi
ViiV Healthcare Srl, Verona
Massimo Barbiero
Direttore della Ragioneria Territoriale dello Stato di Vicenza
Marzia Bonfanti
Centro di Ricerca in Economia e Management in Sanità
e nel Sociale (CREMS), LIUC – Università Cattaneo,
Castellanza (VA)
Serena Boscherini
Dottore in Giurisprudenza – Università degli Studi
di Bologna
Davide Croce
Centro di Ricerca in Economia e Management in Sanità
e nel Sociale (CREMS), LIUC – Università Cattaneo,
Castellanza (VA)
School of Public Health, Faculty of Health Sciences,
University of the Witwatersrand, Johannesburg
Elisabetta Garagiola
Centro di Ricerca in Economia e Management in Sanità
e nel Sociale (CREMS), LIUC – Università Cattaneo,
Castellanza (VA)
Ennio La Placa
Funzionario della Giustizia Amministrativa, Specialista
in Studi sull’Amministrazione Pubblica e Dottorando
di ricerca, Università degli Studi di Bologna
ERRATA CORRIGE
Nel n. 3-4 del 2013, è stato erroneamente indicato il nome di un coautore dell’articolo “L’ integrazione ADI-SAD nell’ASL di Varese: evidenze empiriche”.
Il nome corretto è Silvia Mocchetti
4
Ci scusiamo con i lettori e con la diretta interessata.
Antonio Piccichè
Mario Pucci
Amministratore Unico HELDIS SrL
Mauro Quartaroli
ViiV Healthcare Srl, Verona
Umberto Restelli
Centro di Ricerca in Economia e Management in Sanità
e nel Sociale (CREMS), LIUC – Università Cattaneo,
Castellanza (VA)
School of Public Health, Faculty of Health Sciences,
University of the Witwatersrand, Johannesburg
Paolo Rizzini
ViiV Healthcare Srl, Verona
Viviana Tripodi
Studio Legale Zoppellari
Fabio Vecchio
ViiV Healthcare Srl, Verona
Mario Zoppellari
Studio Legale Zoppellari
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende
Sanitarie pubbliche della disciplina
dell’Imposta sul valore aggiunto
Massimo Barbiero *, Nevio Nardo **
La soggettività passiva ai fini Iva
La soggettività passiva ai fini Iva si basa su un concetto fondamentale, tanto semplice nell’esposizione e altrettanto complesso nell’applicazione.
Infatti, l’art. 1 del d.P.R. 633/1972 stabilisce che per
operazioni imponibili (ai fini Iva) si considerano le
cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese, arti e professioni, definizione nella quale risultano evidenti i tre requisiti fondamentali per l’applicazione del tributo de quo: oggettivo, soggettivo e
territoriale.
In merito al secondo requisito, per quanto riguarda la categoria degli enti pubblici (nella quale rientrano le aziende sanitarie pubbliche) la normativa in
parola dedica alcune regole ad hoc. In particolare,
si fa in questa sede rilevare quanto disposto dal secondo comma dell’art. 4 del d.P.R. 633 per il quale
sono da considerare effettuate nell’esercizio di imprese “le cessioni di beni e le prestazioni di servizi
fatte da altri enti pubblici e privati, …, che abbiano
per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole”. Pertanto gli enti (pubblici e privati) che hanno come oggetto principale
l’esercizio di attività commerciale (i cosiddetti “enti
commerciali”) pongono in essere sempre attività rilevante ai fini Iva, a condizione che vengano rispettati altresì il requisito oggettivo e quello territoriale.
L’analisi degli aspetti peculiari del regime
Iva delle aziende sanitarie pubbliche
consente di portare alla luce uno
scenario di notevole complessità che
vede gli operatori del settore stretti tra le
pretese dell’Amministrazione finanziaria
e le azioni della Corte dei conti. Sulla
scorta di un animus volto a cogliere
le opportunità disponibili per ottenere
un risparmio d’imposta nel rigoroso
rispetto degli adempimenti e dei limiti
posti dalla normativa e dalla prassi del
settore, si rende pertanto necessario
porre in essere alcuni importanti
interventi sul piano organizzativo. Un
ruolo fondamentale viene svolto, in
questo senso, dall’attuazione dell’istituto
della contabilità separata delle attività
commerciali con le conseguenti criticità
nella gestione dei diversi “pro rata”
provenienti dall’applicazione delle
regole dell’Iva, in un contesto in cui
viene a mancare il parallelismo, tipico
delle imprese del settore privato, tra
operazioni rilevanti ai fini Iva e operazioni
rilevanti ai fini delle imposte sui redditi.
Tuttavia anche agli enti “non commerciali” il d.P.R.
633/1972 dedica un’attenzione particolare. Infatti,
ai sensi del quarto comma del citato articolo, “per
gli enti indicati al n. 2) del secondo comma, che non
abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole, si considerano
effettuate nell’esercizio di imprese soltanto le ces-
(*) Direttore della Ragioneria Territoriale dello Stato di Vicenza.
(**) Funzionario Amministrativo dell’Agenzia Regionale per la
Prevenzione e la Protezione Ambientale del Veneto.
5
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
sioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell’esercizio di attività commerciali o agricole”.
Da ciò consegue che per detti organismi la soggettività Iva ricorre allorquando nell’esercizio delle loro funzioni svolgano un’attività di tipo commerciale o agricola, cioè una di quelle rubricate rispettivamente nell’art. 2195 e 2135 del codice civile.
Per completezza si evidenzia che nel comma 5 del
già citato art. 4 viene stabilita una presunzione assoluta di attività d’impresa: quando un soggetto
(pubblico o privato, con o senza fine di lucro), pone
in essere una delle attività ivi menzionate, esercita
sempre, senza possibilità di prova contraria, un’impresa e, come tale, i corrispettivi sono da assoggettare ad Iva.
In questa sede preme, inoltre, sottolineare che, sia
nel caso del comma 4, sia in quello del comma 5, il
perseguimento o meno di un fine di lucro o il fatto
che le attività poste in essere siano rese nel quadro di finalità istituzionali in forza di disposizioni legislative1, è irrilevante. Pertanto le aziende sanitarie pubbliche assumono la veste di soggetti passivi
ai fini Iva in virtù dell’esercizio per professione abituale di attività commerciali, non rilevando né la natura sanitaria delle prestazioni svolte né le finalità
di interesse pubblico perseguite2 .
L’evidente similitudine tra l’art. 4 della normativa Iva
e quella dell’art. 55 del Tuir nel definire il concetto di
“esercizio di impresa” non deve indurre a pensare
che esista un perfetto parallelismo tra i due sistemi
impositivi. In particolare, non è rinvenibile nell’ambito della normativa Iva una disposizione che operi
una decommercializzazione generalizzata sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 74 del Tuir 3 .
Sussiste, in realtà, una sorta di ulteriore e diversa
decommercializzazione laddove, al comma 5 del più
(1) In questo senso si veda la risoluzione del Ministero delle Finanze n. 362538 del 21 luglio 1987.
6
volte menzionato articolo 4, si stabilisce che non
sono considerate commerciali “le prestazioni sanitarie soggette al pagamento di quote di partecipazione alla spesa sanitaria erogate dalle unità sanitarie locali e dalle aziende ospedaliere del Servizio
sanitario nazionale”4 . Si tratta di una decommercializzazione più limitata rispetto a quella prevista
dall’art. 74 del Tuir in quanto si riferisce alle sole
prestazioni sanitarie per le quali è previsto il pagamento di un ticket, a dimostrazione della divergenza tra le due tipologie di decommercializzazione e
dell’accennata mancanza di simmetria tra i due sistemi impositivi5-6 . Tuttavia, non si può negare che
il rinvio al codice civile, effettuato sia dall’art. 4 del
d.P.R. 633/1972 sia dall’art. 55 del Tuir, rappresenti un punto in comune di una certa importanza nella
definizione dei confini delle due discipline, e ciò anche in ragione del fatto che anche in materia Iva è
stata riconosciuta, da parte dell’Amministrazione
Finanziaria, la natura delle aziende sanitarie pubbliche quali “enti non commerciali” 7 e “come tali, in
base a quanto previsto dall’articolo 4, quarto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, le Aziende sanitarie
locali devono assoggettare ad Iva solo le cessioni
di beni e le prestazioni di servizi effettuate nell’esercizio di attività commerciali, secondarie ed accessorie rispetto ai loro fini istituzionali ”8 . Ancora
più incidente, sebbene sintetica, risulta, in questo
senso, la Risoluzione del 5 febbraio 2003 della Direzione Regionale delle Entrate dell’Emilia-Romagna laddove chiarisce che “la normativa Iva non
contiene una disposizione analoga a quella dell’art.
88 (ora 74, n.d.a.), comma 2, lettera b) del Tuir, cioè
(4) Si tratta dei cosiddetti tickets a carico degli assistiti sulle prestazioni sanitarie. Per una disamina ancora attuale dell’argomento si veda G. Lorenzon, La natura giuridica dei “tickets sanitari”
in Aa.Vv., Il regime tributario delle Unità Sanitarie Locali, a cura di L.
Tosi, Maggioli, 1992, pp. 233 e ss.
(5) Cfr. S. Lizzani e G. L. Cezza, La fiscalità d’impresa delle aziende
sanitarie pubbliche, Il Sole 24 Ore, 2011, p. 135.
(6) Una giustificazione di tale mancanza di simmetria può essere rinvenuta nella circostanza per cui la disciplina Iva risente in
modo determinante della normativa comunitaria.
(2) Per un’analisi approfondita del punto si rinvia a M. Fiorese,
La soggezione delle unità sanitarie locali all’imposta sul valore aggiunto, in A a.Vv., Il regime tributario delle Unità Sanitarie Locali, a
cura di L. Tosi, Maggioli, 1992, pp. 125 e ss.
(7) Ex pluribus risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 86/E del
13 marzo 2002.
(3) Sul punto si rinvia a M. Barbiero, Il regime fiscale delle
aziende sanitarie pubbliche, Franco Angeli, 2013, pp. 24 e ss.
(8) Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 135/E del 25 settembre 2001.
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
non prevede la “decommercializzazione” di tutte le
attività sanitarie poste in essere dalle Aziende sanitarie locali; ai fini Iva, sarebbero pertanto da considerare “non commerciali” le sole prestazioni sanitarie soggette al pagamento di quote di partecipazione alla spesa sanitaria (ticket) … Per tutte le
altre attività per le quali non sussiste la predetta
presunzione assoluta di non commercialità, occorrerebbe verificare, caso per caso, la ricorrenza del
presupposto soggettivo di cui all’art. 4, commi 1 e 4,
del d.P.R. 633/1972, essendo le Aziende sanitarie locali enti non commerciali ”.
Conseguentemente, potranno rinvenirsi nell’ambito
del complesso delle operazioni attive poste in essere dalle aziende sanitarie pubbliche sia attività rilevanti Ires, che rilevanti Iva, che non rilevanti per la
prima e/o per la seconda, secondo il seguente schema di seguito esposto a fini esemplificativi ed espositivi in relazione al ragionamento che si vuole in
questa sede sviluppare9 :
Rilevante
Ires
Non rilevante
Ires
Rilevante Iva
Mensa aziendale
Attività libero
professionale
intramoenia
Non rilevante
Iva
Attività svolte in
veste di “pubblica
autorità”
Trasferimenti
correnti da FSR
Stabilito che non sussiste perfetto parallelismo tra
la disciplina Ires e quella Iva, ancorché tale concomitanza si verifichi nella maggioranza delle operazioni poste in essere dalle aziende sanitarie pubbliche, occorre anche precisare che il valore delle operazioni rilevanti ai fini Iva (e, pertanto, quelle
commerciali in generale) rappresenta una percentuale molto bassa del totale delle attività. Infatti, le
aziende del SSN operano più come “consumatori
(9) Per gli aspetti inerenti l’imposizione diretta si rinvia a M.
Barbiero e R. Caselli, IRES sull’attività istituzionale, in Il Sole 24 Ore
Sanità del 14 aprile 2009, p. 20.
finali” che come “imprenditori”10 ; tuttavia, pur essendo una minoranza limitata, le operazioni svolte
in qualità di soggetto passivo d’imposta rappresentano, in valore assoluto, degli importi rilevanti che
sicuramente assumono rilievo in termini di responsabilità erariale come pure nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria, anche in ragione delle oggettive difficoltà che gli operatori del settore si trovano spesso a fronteggiare per le ragioni che si andranno ad esaminare.
Le operazioni poste in essere nella veste
di “pubblica autorità”
La soggettività Iva, esaminata nelle righe che precedono, si basa essenzialmente sulla normativa italiana. Infatti, si è più volte citato l’art. 4 del d.P.R.
633/1972 in base al quale dall’esercizio per professione abituale di attività commerciali deriva l’assoggettamento al tributo delle operazioni poste in
essere, senza che assumano rilievo l’oggetto sanitario delle prestazioni o le finalità di interesse pubblico perseguito.
Quanto sopra va però integrato con la disciplina comunitaria, (cfr. l’art. 4, paragrafo 5, della VI Direttiva Cee n. 77/388 del 17 maggio 197711) che, coerentemente con la normativa locale, stabilisce che “Gli
Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in
relazione a tali attività od operazioni, percepiscono
diritti, canoni, contributi o retribuzioni. Se però tali enti esercitano attività od operazioni di questo genere, essi devono essere considerati soggetti passivi per dette attività od operazioni quando il loro non
assoggettamento provocherebbe distorsioni di concorrenza di una certa importanza”12 .
(10) In questo senso si parla di “doppia veste”.
(11) Ora trasfuso nell’art. 13, paragrafo 1, della Direttiva Ce del
28 novembre 2006, n. 112.
(12) Con riferimento alla nozione di “attività esercitata in veste
di pubblica autorità” la giurisprudenza comunitaria ha stabilito il
seguente criterio:“le attività esercitate in quanto pubbliche autorità, ai sensi dell’art. 4, n. 5, primo comma della sesta direttiva, sono
quelle svolte dagli enti pubblici nell’ambito del regime giuridico loro
7
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
Quindi, riassumendo quanto previsto dalla Ue, qualora un ente pubblico (come l’azienda sanitaria) agisca in veste di pubblica autorità le relative operazioni e, quindi, i relativi incassi sono da considerarsi fuori dal campo di applicazione dell’Iva per mancanza del requisito soggettivo.
Le conseguenze della norma non sono certamente
di poco conto sul lato pratico in quanto viene esclusa dall’assoggettamento ad Iva (ma ciò non implica,
come già sottolineato precedentemente, che ne discenda sic et simpliciter l’esclusione da tassazione
Ires) una mole considerevole di attività svolta dalle aziende sanitarie pubbliche, soprattutto con riferimento alle funzioni svolte dal dipartimento di sanità pubblica presente presso ogni azienda sanitaria territoriale. Si sta facendo riferimento alle attività di certificazione e di autorizzazione13 effettuate in regime di esclusività ancorché erogate verso il
pagamento di un corrispettivo specifico.
Tuttavia non risulta facile la distinzione tra i due
ambiti, ovvero il campo delle attività svolte in veste di pubbliche autorità e quello relativo alle altre
attività, classificazione che è di fondamentale importanza per l’applicazione o meno del tributo oggetto di analisi.
La Corte di Giustizia CE14 ha da tempo precisato che
il concetto di “pubblica autorità” non può essere
fondato “sull’oggetto o sul fine dell’attività dell’Ente pubblico ma occorre individuare il regime giuridico applicato in base al diritto nazionale”.
In questo senso risulta utile il contenuto della risoluzione n. 220/E dell’8 luglio 2002 con cui l’Agenzia delle Entrate risponde ad un’istanza di interpello presentata dalla Regione Veneto.
L’interpellante, nella richiesta, aveva proposto la
proprio, escluse le attività da essi svolte in base allo stesso regime
cui sono sottoposti gli operatori economici privati ”. (Sentenza della
Corte di Giustizia della Comunità Europea del 17 ottobre 1989, cause riunite nn. 231/87 e 129/88).
(13) Certificazione, ad esempio, dello stato degli edifici, delle caratteristiche degli alimenti, dello stato di salute degli animali,
ecc. e autorizzazione, ad esempio, allo svolgimento di determinate
attività, all’utilizzo di determinate apparecchiature, ecc.
8
(14) Corte di Giustizia della Comunità Europea (sentenza del 17
ottobre 1989, cause riunite nn. 231/87-129/88).
sua interpretazione sostenendo che le prestazioni
sanitarie rese dal dipartimento di prevenzione della ASL15 fossero da considerare fuori campo di applicazione dell’Iva per carenza del requisito soggettivo in quanto rese in qualità di pubblica autorità.
In particolare, secondo l’interpellante, devono ritenersi svolte in tale veste:
• le prestazioni rese d’ufficio (per esempio in materia di vigilanza e controlli sanitari);
• quelle svolte su richiesta di un altro ente o di un
privato qualora tale richiesta sia prevista obbligatoriamente dalla legge;
poiché in siffatte fattispecie le aziende sanitarie
territoriali esercitano una funzione istituzionale di
cui hanno l’esclusivo esercizio in base alla legge (ad
esempio: i pareri finalizzati al rilascio del permesso
di costruire nonché dell’agibilità sugli immobili o i
pareri finalizzati al rilascio di autorizzazioni alla detenzione ed utilizzo di apparecchiature radiogene e
sostanze radioattive).
L’Amministrazione, dopo aver confermato che le
ASL rientrano nella categoria degli “enti non commerciali”, ha chiarito che “occorre esaminare di volta in volta le modalità di svolgimento delle medesime, escludendo dal campo di applicazione del tributo quelle che, conformemente alla citata normativa
comunitaria, vengono rese da detti enti pubblici nella veste di pubblica autorità… ossia… quelle che
costituiscono cura effettiva di interessi pubblici, poste in essere nell’esercizio di poteri amministrativi ”,
fermo restando il principio che non rileva l’oggetto o il fine delle medesime attività, bensì la relativa
modalità di svolgimento.
Inoltre, qualora le attività, anche se rese in ambito pubblicistico, possano essere rese anche da altri soggetti, le stesse dovranno essere assoggettate ad Iva nell’eventualità in cui il loro non assoggettamento possa determinare una distorsione di concorrenza di una certa importanza.
In ogni caso sono soggette al tributo le attività che
vengono poste in essere dalle aziende sanitarie me-
(15) Per le prestazioni in argomento la Regione è tenuta ad approvare il tariffario relativo alle prestazioni rese dai dipartimenti di sanità pubblica delle aziende sanitarie territoriali (le c.d. ASL).
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
diante strumenti giuridici tipici del diritto privato,
alla stregua di quelli utilizzati da altri operatori economici privati. Ciò si verifica ogniqualvolta l’azienda
agisce con strumenti di diritto comune e non attraverso l’esercizio di poteri amministrativi16 .
Le difficoltà nel distinguere tra l’una e l’altra fattispecie indubbiamente esistono e non sono sem-
(16) La problematica non è certamente nuova ed è sempre stata affrontata dall’Amministrazione finanziaria secondo i medesimi
criteri. Si veda, ad esempio, la circolare del Ministero delle Finanze n. 12 del 29 febbraio 1992 in materia di prestazioni di medicina
veterinaria rese dalle aziende sanitarie territoriali e il cui contenuto si ritiene esemplare ai fini di un immediato inquadramento della fattispecie in esame: “Sono stati sottoposti all’esame della scrivente quesiti concernenti il trattamento, ai fini Iva, da applicare alle
seguenti prestazioni rese dalle Unita Sanitarie Locali nell’ambito del
servizio di medicina veterinaria:
a) prestazioni di igiene pubblica veterinaria, nelle quali rientrano le certificazioni, attestazioni, accertamenti tecnico sanitari e altre prestazioni di igiene pubblica veterinaria espletate d’ufficio a favore di enti e privati;
b) prestazioni di assistenza zooiatrica, nelle quali rientrano
le prestazioni cliniche e sanitarie rese a richiesta di privati o enti
nell’ambito dell’assistenza zooiatrica;
c) prestazioni di laboratorio attinenti alla patologie e profilassi
veterinarie ed al controllo degli alimenti di origine animale e degli
alimenti per gli animali.
Al riguardo si premette che la richiamata modifica legislativa ha
ricompreso nel campo di applicazione del tributo le prestazioni rese dai veterinari in conformità alle specifiche competenze rientranti
nelle previsioni della legge che disciplina l’esercizio dell’attività professionale di cui trattasi. Conseguentemente le prestazioni veterinarie sono soggette all’Iva in base all’aliquota ordinaria del 19%, non
essendo più comprese nella riportata disposizione esentativa, sia
che, nell’esercizio della peculiare attività professionale, vengano rese direttamente dai professionisti, sia che vengano rese dalle Unità Sanitarie Locali nell’espletamento delle proprie funzioni. Tuttavia
le prestazioni di medicina veterinaria svolte dalle Unità Sanitarie Locali nell’ambito delle finalità generali di tutela della salute pubblica
esulano dal campo di applicazione dell’Iva in quanto le stesse, rese
in veste di pubblica autorità, non realizzano esercizio di attività commerciale, requisito espressamente contemplato dall’art. 4, comma
1, del citato d.P.R. n. 633, del 1972 per l’assoggettamento al tributo.
In relazione ai suddetti principi interpretativi, si ritiene, pertanto, che
le prestazioni indicate ai punti sub b) e c) svolte dalle Unità Sanitarie
Locali nell’ambito della propria attività statutaria, ma non nell’esercizio di attività pubblicistica, sono da assoggettare al tributo, come
del resto già riconosciuto dalla scrivente con risoluzione n. 430588
del 24.9.1991, relativamente ad analoghe prestazioni rese ai citati
Enti nell’espletamento di attività di natura privatistica. Le prestazioni
di igiene pubblica veterinaria indicate al punto sub a) rese dalle Unità Sanitarie Locali sono, invece, escluse dall’Iva, atteso che le stesse sono effettuate in veste di pubblica autorità”.
pre di facile soluzione. A tal fine, può altresì giovare quanto sinteticamente stabilito dalla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 206 del 13 dicembre
2001 n. 206 secondo la quale “sono ricondotte, quindi, alle attività di natura istituzionale quelle basate
su un rapporto di diritto pubblico, fondate sul cosiddetto “ iure imperii”, mentre sono ricomprese nelle attività di natura commerciale quelle di carattere privatistico, espressione dello “ iure gestionis””.
Pertanto, ai fini della formalizzazione delle operazioni attive effettuate dall’azienda sanitaria, si può
ragionare in questi termini:
– le prestazioni svolte in conseguenza dell’applicazione del diritto amministrativo generano operazioni irrilevanti ai fini Iva (operazioni fuori campo Iva ex artt. 1 e 4 del d.P.R. 633/1972 per mancanza del presupposto soggettivo) per le quali
deve essere emessa una nota interamente “fuori campo Iva”;
– le prestazioni svolte in conseguenza dell’applicazione del diritto privato generano operazioni
rilevanti ai fini Iva (operazioni imponibili, non imponibili o esenti) per le quali deve essere emessa una fattura in quanto trattasi di attività commerciale.
In questo senso, anche la risoluzione dell’Agenzia
delle Entrate n. 112/E del 9 aprile 2002 ha precisato
che l’ente deve ricondurre nell’ambito delle attività svolte in veste di pubblica autorità quelle che costituiscono cura effettiva di interessi pubblici poste in essere nell’esercizio di poteri amministrativi. Tale risoluzione riassume le posizioni dell’Amministrazione finanziaria sull’argomento, facendo
anch’essa rinvio alla normativa comunitaria in materia di Iva negli enti pubblici e ribadendo che le attività svolte nella veste di pubblica autorità sono
quelle svolte dagli enti di diritto pubblico nell’ambito del regime giuridico loro proprio, escluse le attività da essi svolte in forza dello stesso regime cui
sono sottoposti gli operatori economici privati17.
(17) La risoluzione 112/E citata così recita: “La direttiva, infatti, sottrae all’applicazione dell’Iva solo le operazioni effettuate da
soggetti pubblici nell’esercizio di funzioni di tipo autoritativo, non
imprenditoriale”. Inoltre, qualora le attività svolte dall’ente pubblico possano essere svolte anche da privati in concorrenza con l’en-
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Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
Quindi, alla luce della prassi, è possibile a questo
punto aggiungere altri elementi utili allo scopo di distinguere tra le due categorie, quali:
– il concetto della “cura effettiva di interessi pubblici”: se l’azienda persegue in modo inequivocabile tale fine si rientra nella fattispecie di operazioni rese in ambito di diritto pubblico;
– la circostanza per cui non è possibile che l’attività istituzionale dell’Ente, se espressione di funzioni amministrative, sia attività commerciale;
– il concetto della distorsione della concorrenza
“di una certa importanza”.
Su quest’ultimo punto si possono trovare indicazioni nella giurisprudenza della Corte Giustizia Ue18,
laddove ha stabilito che la concorrenza può essere
anche potenziale e non solo reale e che deve essere
valutato un mercato a livello nazionale e non esclusivamente locale, oltre ad affermare che la concorrenza deve essere di “entità non trascurabile”.
Anche i principi affermati dalla Corte di Cassazione
offrono ulteriori spunti per discriminare fra attività
di diritto pubblico e di diritto privato. In particolare,
questi principi individuano gli indicatori dell’attività
pubblico-amministrativa svolta “iure imperii ”:
– nel carattere autoritativo e obbligatorio della
prestazione che non consente margini negoziali;
– nell’impossibilità per il cittadino di poter rinunciare a domandare il servizio.
La rilevanza Iva dei contributi percepiti
Una problematica simile, che però attiene al requisito
oggettivo anziché soggettivo, riguarda particolari situazione nelle quali le ASL si possono venire a trovare nello svolgimento della loro funzioni. Accade, infatti, sovente che l’azienda, a fronte di un’attività svolta a contenuto sanitario o sociale, percepisca finan-
te pubblico stesso “si dovrà tener conto che il mancato assoggettamento non provochi distorsioni di concorrenza di una certa importanza. Invece sono da ricomprendere nelle attività commerciali quelle svolte mediante attività giuridica di diritto privato. Ciò si verifica
ogniqualvolta l’ente agisce con strumenti di diritto comune e non attraverso l’esercizio di poteri amministrativi ”.
10
(18) Causa C-288/07 del 16 settembre 2008.
ziamenti, contributi ed altre somme diversamente denominate da parte di altri soggetti, pubblici o privati.
Le fattispecie in esame, apparentemente riconducibili nell’ambito dei “contributi e finanziamenti” e,
come tali, avulsi dal campo Iva, rappresentano invece una problematica da non sottovalutare poiché
può accadere che essi rappresentino in realtà, corrispettivi per prestazioni e, il loro non assoggettamento ad Iva (e/o ad Ires) comporterebbe senz’altro l’applicazione di sanzioni (di natura tributaria ed
anche erariale).
Occorre, infatti, accertare se i finanziamenti percepiti costituiscono, nella sostanza, corrispettivi
per prestazioni di servizi o si configurino come contributi erogati per consentire il perseguimento di
obiettivi di carattere generale e non afferenti a specifiche prestazioni. In particolare, in questi casi, è
necessario fare riferimento al concreto assetto degli interessi delle parti, situazione desumibile nella
relativa convenzione. In riferimento a quest’ultimo
problema la risoluzione del Ministero delle Finanze del 3 maggio 1999, n. 72 individua, quali elementi rilevatori dell’esistenza di un obbligo contrattuale
(nesso sinallagmatico) nei confronti dell’ente erogante con il conseguente assoggettamento ad Iva
delle somme percepite, i seguenti:
– la titolarità del diritto di proprietà dei risultati
dell’attività svolta (se tali risultati sono destinati
a divenire esclusiva proprietà del soggetto erogante e l’attività è quindi diretta a fornire un servizio alla controparte contrattuale e non alla realizzazione di un interesse generale per la collettività, si è di fronte a un corrispettivo);
– la presenza nella convenzione della clausola risolutiva espressa (tale condizione rileva poiché
la risoluzione rappresenta lo strumento tipico di
fattispecie a prestazioni corrispettive).
L’analisi della rilevanza o meno del finanziamento
agli effetti Iva, a volte non adeguatamente rispettata, deve necessariamente essere svolta ab origine, vale a dire nel momento in cui si effettua la stesura della bozza di convenzione e ciò al fine di disciplinare correttamente il trattamento fiscale del corrispettivo contrattuale sin dall’inizio evitando in tal
modo successivi problemi e “malintesi” col soggetto erogatore.
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
In questo senso un ulteriore importante elemento
ai fini dell’analisi della problematica in argomento è
rappresentato dal contenuto di un’altra risoluzione
dell’Agenzia delle Entrate (prot. n. 907 del 14 maggio 2003) con la quale l’Amministrazione finanziaria, in risposta a un interpello formulato dall’Agenzia Regionale per l’Ambiente del Veneto, individua
quale indice di attività posta in essere in base al regime giuridico del diritto amministrativo (e quindi al
di fuori del campo di applicazione dell’Iva) “il rilascio, a fronte dell’attività prestata, di atti e provvedimenti formali tipici degli enti pubblici, ovvero la potestà sanzionatoria attribuita agli enti stessi ”. Con
la risposta al medesimo interpello, inoltre, era stato, tra l’altro, chiarito che le prestazioni in materia
di sicurezza impiantistica, che per legge sono delegate in modo esclusivo all’ente interpellante, esulano dal campo di applicazione dell’Iva in quanto trattasi di attività istituzionale svolta in veste di pubblica autorità. Alla data attuale, a seguito dell’avvenuta liberalizzazione della citata tipologia di controlli (che possono essere svolti su inerzia del soggetto titolare della funzione, anche da altri soggetti
debitamente abilitati), il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con circolare n. 5/2013, ha chiaramente stabilito che le prestazioni de quibus sono soggette ad Iva, sia che siano svolte dal soggetto titolare della (ex) funzione pubblica, sia dai soggetti abilitati, riprendendo il concetto della normativa comunitaria laddove stabilisce che, quando vi
è concorrenza, i corrispettivi sono soggetti ad Iva.
Si fa, infine, cenno al fatto che, ai fini strettamente contabili, le operazioni istituzionali “fuori campo
Iva” sono da registrarsi su conti di ricavo diversi da
quelli specifici per le operazioni attive a contenuto
commerciale.
Si è finora appositamente approfondito il peculiare argomento, rappresentato dalle operazioni attive poste in essere in veste di pubblica autorità nonché dai contributi percepiti a fronte di specifici programmi o progetti, quale necessaria premessa ai
successivi approcci tematici in quanto si è spesso
riscontrato tra gli operatori del settore la tendenza
a (erroneamente) “attrarre” in ambito Iva, magari in
regime di esenzione, tutte le entrate caratterizzate
da specifiche tariffe, diritti, canoni, contributi o retribuzioni, la qual cosa, come si è avuto modo di ve-
dere, non risulta conforme alle disposizioni in materia e comporta sicuramente delle distorsioni, talora
rilevanti, a tutta la corretta contabilizzazione delle
operazioni e alla conseguente esatta determinazione dell’imposta.
La detrazione sugli acquisti promiscui
Uno degli aspetti cruciali per la corretta gestione
degli aspetti fiscali di un’azienda sanitaria pubblica
è rappresentato dalla tenuta della contabilità separata delle attività commerciali la quale rappresenta, al pari di quanto avviene in campo reddituale, il
necessario presupposto per conseguire un risparmio fiscale.
Al fine di comprendere compiutamente la problematica in esame occorre partire dall’analisi dell’art.
19, secondo comma, del d.P.R. 633/1972 secondo
il quale è precluso il diritto alla detrazione dell’Iva sostenuta sull’acquisto di beni e servizi utilizzati esclusivamente per la realizzazione di operazioni estranee al campo di applicazione dell’Iva, vale a
dire operazioni afferenti la sfera istituzionale e, come abbiamo visto, operazioni svolte in veste di pubblica autorità.
Per quanto concerne, invece, il trattamento applicabile ai beni ed ai servizi destinati ad essere impiegati sia in operazioni soggette al tributo che in operazioni escluse (i cosiddetti acquisti “promiscui”),
il successivo comma 4, del citato art. 19, stabilisce
un diritto di detrazione parziale dell’Iva; tale parte
detraibile secondo la normativa de qua deve essere commisurata alla percentuale in cui l’acquisto è
dedicato ad essere impiegato in operazioni soggette al tributo. In proposito viene precisato (art. 19,
comma 4, d.P.R. 633/1972) che la percentuale di imposta detraibile deve essere determinata secondo
criteri oggettivi.
Condizione essenziale per avvalersi della detraibilità dell’Iva (sia essa parziale che totale) è che venga
attuata una contabilità separata da quella istituzionale. La risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 86
del 13 marzo 2002 dispone, infatti, che “gli enti interessati possono esercitare il diritto alla detrazione dell’ imposta, previsto dall’articolo 19 del d.P.R.
n. 633 del 1972, a condizione che le attività rilevanti
agli effetti dell’Iva siano gestite con contabilità se-
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Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
parata da quella relativa all’attività esclusa dal tributo e tenuta in conformità alle disposizioni di cui
all’articolo 20 del d.P.R. n. 600 del 1973 ”.
Al pari di quanto affermava alcuni anni prima la circolare del Ministero delle Finanze n. 328 del 24 dicembre 1997 la norma non detta alcuna regola specifica in proposito lasciando al contribuente la scelta del criterio più appropriato alle diverse situazioni
che si possono verificare. Tuttavia con la suddetta
circolare si è anche precisato che, “il contribuente
dovrà effettuare una valutazione prospettica, in sede di acquisto, del futuro utilizzo dei beni e dei servizi, al fine di determinare in quale misura l’ impiego
stesso si collegherà ad operazioni soggette al tributo (o ad esse assimilate ai fini della detrazione) e in
quale misura, invece, in operazioni escluse dal campo di applicazione dell’ imposta, in modo da calcolare in definitiva, la quota d’ imposta detraibile”.
La normativa in argomento prevede, in sintesi, che
il soggetto acquirente possa detrarre l’Iva sostenuta sugli acquisti se e nella misura in cui questi sono
relativi ad attività commerciali.
Sul lato attivo, vale a dire per i documenti emessi a fronte di prestazioni svolte, la problematica di
discernere tra attività istituzionale o commerciale non risulta particolarmente complessa in quanto le attività commerciali svolte sono puntualmente
individuabili laddove a fronte della prestazione effettuata viene emessa una fattura soggetta al regime Iva (imponibile, non imponibile o esente); conseguentemente, in termini pratici, non rientrano nel
novero indicato le attività per le quali viene emessa
una nota “fuori campo Iva”.
Sul lato passivo, vale a dire in relazione alle fatture
di acquisto, invece, si tratta in definitiva di verificare se i documenti di acquisto siano inerenti in tutto
o in parte ad attività per le quali viene emessa fattura rilevante ai fini Iva.
Sul piano pratico, quindi, i documenti di acquisto
possono essere suddivisi in tre categorie:
1) acquisti di beni e servizi inerenti esclusivamente
ad attività commerciali;
2) acquisti di beni e servizi inerenti esclusivamente
ad attività istituzionali;
12
3) acquisti di beni e servizi utilizzati promiscuamen-
te ed inerenti sia ad attività istituzionali sia ad attività commerciali.
Sulla base di tale valutazione i documenti di acquisto dovrebbero essere registrati identificando sin
dall’ingresso nel sistema informativo aziendale la
natura degli stessi, ad esempio, apponendo direttamente sul documento, un segno identificativo che
permetta di catalogarlo in una delle 3 categorie sopra indicate19 . Il sistema informativo dovrebbe, pertanto, trattare correttamente i dati inseriti e opportunamente identificati ab origine ai fini Iva20 .
A questo punto viene alla luce un problema organizzativo e operativo di assoluto rilievo: l’individuazione del soggetto deputato a stabilire in quale delle
tre categorie sopra citate annoverare la fattura/nota di acquisto mediante annotazione sul documento
contabile stesso della dicitura “costo commerciale”, “costo istituzionale” o “costo promiscuo”. A parere di chi scrive tale soggetto è individuabile nella stessa figura sulla quale grava il compito di effettuare la liquidazione del documento di spesa de
quo, figura usualmente identificata nel responsabile del servizio o del centro di costo (o soggetto da
questi all’uopo designato) al quale la fornitura risulta afferente. È evidente che l’individuazione della
natura (istituzionale, commerciale o promiscua) del
documento di spesa non può non avvenire che nel
momento in cui il documento viene annotato nel sistema informativo contabile, ovvero registrato nel
programma di contabilità aziendale. Conseguentemente risulta indispensabile che gli operatori amministrativi che procedono materialmente alla registrazione dei documenti nel software di contabilità,
(19) Ad esempio, potrebbe essere indicata, a seconda dei casi,
la lettera “C” (per i costi commerciali), “I” (per i costi istituzionali)
o “P” (per i costi promiscui).
(20) “Il programma di contabilità dovrebbe pertanto prevedere
la possibilità di “battezzare” le singole fatture registrate, mediante apposito flag, che individui la natura solo Istituzionale, solo Commerciale ovvero Promiscua del costo. In tal modo la registrazione
solo Istituzionale alimenterà esclusivamente il sezionale Istituzionale; quello solo Commerciale esclusivamente il sezionale Commerciale e infine la registrazione con flag sulla categoria “costo promiscuo” comporterà una registrazione pro quota sia sul registro Istituzionale che in quello Commerciale…” in S. Lizzani e G. L. Cezza, La
fiscalità d’impresa delle aziende sanitarie pubbliche, Il Sole 24 Ore,
2011, p. 197.
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
oltre ad essere adeguatamente istruiti su tale triplice ripartizione, debbano necessariamente raccordarsi con i soggetti incaricati ai fini dell’esatta identificazione delle fatture/note come sopra delineato.
In questo senso occorre che gli atti di organizzazione delle aziende sanitarie pubbliche identifichino con precisione i responsabili dei servizi deputati
alla liquidazione e alla qualificazione dei costi al fine di ridurre i margini di errore in un processo complesso che vede da un lato la possibilità di errore
qualora si porti, senza averne titolo, in detrazione
dell’Iva relativa ad un costo promiscuo (ma anche
commerciale) con la conseguente possibilità di subire sanzioni da parte dell’Amministrazione finanziaria e, dall’altro, la possibilità di errore nel caso in
cui, viceversa, non si porti in detrazione dell’Iva sostenuta su costi che astrattamente sarebbero stati validi ai fini fiscali, con la conseguente possibilità
di subire sanzioni da parte della Corte dei conti per
il pagamento di imposte non dovute21-22 .
Nella consapevolezza delle difficoltà organizzative
e operative che si possono trovare nell’applicazione della procedura sopradescritta non si può non
rilevare come la procedura proposta sia un modus
operandi che contempera diverse esigenze della
struttura organizzativa (massimizzare i possibili risparmi d’imposta e l’efficiente utilizzo delle risorse
disponibili) e, nel contempo, consente di garantire il
rispetto delle disposizioni in materia.
Tuttavia, nel difficile compito di determinare la pro-
(21) Questa singolare circostanza che vede gli operatori del
settore in una sorta di situazione “tra l’incudine e il martello” rappresenta la complessità della materia e la necessità di conseguentemente operare applicando la massima attenzione.
(22) Ex pluribus si rinvia alla deliberazione della sezione di Controllo della Corte dei conti del Lazio n. 31-g-2007 del 26 febbraio 2007 nella quale con riferimento alle risultanze dell’attività di
controllo nell’ambito della gestione delle aziende sanitarie pubbliche, tra l’altro, si afferma: “Non sembra sussistere una contabilità separata, tenuta in conformità agli obblighi previsti dall’art. 144
del d.P.R. 917/1986 (Testo unico sulle imposte dei redditi), così come
manca una contabilità separata ai fini Iva che permetta la detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti inerenti le attività commerciali, ai sensi dell’art. 19-ter del d.P.R. n. 633/1972 (Imposta sul valore
aggiunto). Tale inadempimento comporta la mancata possibilità di
compensare il probabile credito Iva con il debito verso l’Erario o verso istituti previdenziali …”.
miscuità dei fattori produttivi impiegati, una facilitazione esiste e, di fatto, finisce per essere applicata per la maggioranza delle fatture di acquisto “promiscue” ed è rappresentata dal fatto che, all’atto
della registrazione del documento, non occorre individuare la percentuale di promiscuità dell’acquisto specifico. Infatti, tale riparto numerico avverrà in sede di liquidazione mensile e annuale dell’Iva sulla base del pro rata calcolato dal servizio economico finanziario, residuando per gli operatori del
servizio o del centro di costo che effettua la spesa
esclusivamente l’onere di individuare la promiscuità della spesa senza preoccuparsi di quale sia la relativa composizione23 .
Si è parlato di maggioranza e non di totalità di documenti rappresentativi di costi promiscui perché, in
effetti, la normativa Iva sul punto diverge da quanto previsto dalle disposizioni Ires sul medesimo argomento.
Vi sono, infatti, diversi criteri per la ripartizione dei
costi promiscui ma, ai fini fiscali, le fattispecie sono
riconducibili alle seguenti:
– criterio di ripartizione proporzionale (sulla base di un quoziente denominato pro rata come, ad
esempio, nel caso previsto dal comma 4 dell’art.
144 del Tuir);
– criterio di ripartizione specifica, cioè in base a
criteri oggettivi (sistema richiesto dalla legge
Iva)24 .
L’analisi dell’argomento non può che iniziare dall’art.
19-ter del d.P.R. 633/1972 rubricato “Detrazione per gli
(23) Si avrà modo di verificare che, ancorché il criterio guida
stabilito dalla disciplina Iva preveda che la “scissione” della componente commerciale rispetto a quella istituzionale avvenga secondo criteri obbiettivi e specifici, la stragrande maggioranza delle imputazioni dei costi promiscui alle due diverse sfere avviene in
modo forfettario.
(24) “Dal raffronto delle norme (quella ai fini Iva e quella ai fini
delle imposte sui redditi), si evince come potrebbe non esservi simmetria tra la quota del costo promiscuo deducibile ai fini reddituali
(determinata mediante l’applicazione della regola di cui all’art. 144,
comma 4) e la quota del costo promiscuo con Iva detraibile (determinata invece sulla base di un criterio oggettivo di valutazione della
sua imputabilità all’esercizio dell’attività commerciale…” in S. Lizzani e G. L. Cezza , La fiscalità d’impresa delle aziende sanitarie pubbliche, Il Sole 24 Ore, 2011, p. 171.
13
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
enti non commerciali ” nel quale, al secondo periodo
del secondo comma, si dispone che “l’imposta relativa
ai beni e ai servizi utilizzati promiscuamente nell’esercizio dell’attività commerciale o agricola e dell’attività
principale è ammessa in detrazione per la parte imputabile all’esercizio dell’attività commerciale o agricola”. Tale disposizione inoltre va integrata col principio
generale contenuto nel quarto comma dell’art. 19 del
d.P.R. 633/1972 laddove si prevede che “per i beni ed
i servizi in parte utilizzati per operazioni non soggette
all’imposta la detrazione non è ammessa per la quota
imputabile a tali utilizzazioni e l’ammontare indetraibile è determinato secondo criteri oggettivi, coerenti con
la natura dei beni e servizi acquistati. Gli stessi criteri
si applicano per determinare la quota di imposta indetraibile relativa ai beni e servizi in parte utilizzati per fini privati o comunque estranei all’esercizio dell’impresa, arte e professione”.
14
Pertanto, volendo ricercare un criterio indicato dal
Legislatore, appare evidente come la normativa Iva
non detti alcuna regola specifica circa la concreta individuazione della quota di costo oggettivamente attribuibile alla sfera commerciale, lasciando al soggetto passivo l’onere di individuare il metodo più corretto. Tale “libertà di scelta” è, d’altra
parte, confermato dall’Amministrazione finanziaria con la già citata circolare del Ministero delle Finanze n. 328 del 24 dicembre 1997 in cui si sostiene
che, per gli acquisti di beni e servizi utilizzati promiscuamente, “spetta una detrazione parziale… ai fini della ripartizione dell’ imposta tra la quota detraibile e quella indetraibile, la predetta norma non detta alcuna regola specifica, demandando al contribuente la scelta del criterio più appropriato alle diverse e variegate situazioni che possono verificarsi. Al contribuente viene imposto soltanto, per l’eventuale controllo da parte degli organi competenti,
che i criteri adottati siano oggettivi e coerenti con la
natura dei beni e dei servizi acquistati ”. La circolare, inoltre, fornisce un unico ma indicativo esempio
di criterio “oggettivo” per la ripartizione dei costi
promiscui: “a titolo di esempio può affermarsi che
ai fini della ripartizione delle spese di riscaldamento di un fabbricato utilizzato sia per l’attività imponibile sia per un’attività esclusa, un criterio oggettivo
e coerente può essere costituito dalla cubatura dei
rispettivi locali ”.
A questo punto appare evidente come il criterio suggerito dalla prassi (criterio “oggettivo”) non sempre
possa trovare applicazione e si pone il quesito di quale sia il comportamento da assumere in tale circostanza, ovvero qualora sussista l’impossibilità di adottare
criteri specifici di imputazione degli acquisti destinati
promiscuamente alla attività commerciale ed alla attività non commerciale. Situazione, peraltro, tutt’altro
che infrequente nella realtà delle aziende sanitarie: si
pensi, ad esempio, agli acquisti di presidi medico chirurgici destinati indistintamente all’attività istituzionale e all’attività intramoenia25, oppure si pensi agli acquisti di farmaci per il servizio veterinario, ecc. Le casistiche non sono certamente poche mentre di assoluto rilievo sono i relativi importi.
A questo proposito la risoluzione del Ministero delle Finanze n. 137 dell’8 settembre 1998 ha fornito
delle indicazioni per superare le difficoltà di adottare dei criteri specifici d’imputazione degli acquisti
destinati promiscuamente all’attività commerciale
e non commerciale, riconoscendo, in tali circostanze, la possibilità di stabilire la promiscuità dei beni e
servizi acquistati nella misura pari alla percentuale
rappresentata dall’attività commerciale nell’ambito
di tutta l’attività26, secondo il rapporto:
ricavi commerciali
ricavi complessivi
riproponendo la logica del pro rata.
(25) Si ricorda che l’Amministrazione finanziaria ha ricondotto l’attività libero professionale intramoenia nell’ambito dell’attività istituzionale ma ne ha nel contempo riconosciuto la rilevanza agli effetti dell’Iva.
(26) Vedi la risoluzione del Ministero delle Finanze n. 137 dell’8
settembre 1998 concernente i criteri per determinare l’indetraibilità dell’Iva assolta sugli acquisti di beni e servizi utilizzati per le
attività non commerciali di cui all’art. 4, quinto comma, del d.P.R.
633/1972 laddove recita: “poiché nel caso in esame, secondo quanto affermano i professionisti istanti, per la eterogeneità e la peculiarità dei servizi resi nei porti turistici, sussiste l’impossibilità di adottare criteri specifici di imputazione degli acquisti destinati promiscuamente alla attività commerciale ed alla attività non commerciale, si ritiene che, al fine di stabilire la misura della detrazione
spettante in relazione all’Iva pagata per detti acquisti, possa farsi riferimento alla percentuale rappresentata dall’attività commerciale
nell’ambito di tutta l’attività svolta”. Si noti, e la cosa è certamente
di rilievo, che tale risoluzione è stata richiamata dall’importantissima risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 86 del 13 marzo 2002.
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
Tale metodologia, come precisato dalla citata Risoluzione deve trovare applicazione in via residuale
laddove non risulti possibile scindere le componenti di costo mediante procedure logiche e oggettive
di imputazione dei costi27.
Inoltre, con la successiva circolare del Ministero
delle Finanze n. 108 del 24 maggio 2000 è stato, altresì, precisato che la percentuale di indetraibilità sugli acquisti, determinata in un periodo d’imposta come indicato dalla risoluzione n. 137/1998,
può essere applicata provvisoriamente alle liquidazioni periodiche del periodo successivo, salvo
conguaglio in sede di dichiarazione annuale in relazione all’effettivo rapporto verificatosi a consuntivo tra operazioni soggette ed operazioni escluse
dall’Iva.
A conferma delle argomentazioni esposte, oltre alla recente risoluzione del Ministero dell’Economia
e delle Finanze – Dipartimento delle Finanze n. 7 del
5 giugno 2013 in materia di Imu per gli enti no profit che, benché non strettamente inerente la materia in argomento, offre un’indicazione utilizzabile in
via analogica sulla possibilità offerta di applicare
percentuali di promiscuità provvisoria all’esercizio
in corso, è intervenuta l’importantissima risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 86 del 13 marzo 2002
concernente un interpello di un’azienda ospedaliera sull’argomento nella quale “si ritiene che l’Azienda ospedaliera deve calcolare la quota degli acquisti promiscui imputabile all’attività commerciale applicando la percentuale determinata nel periodo
d’ imposta precedente, fatti salvi gli eventuali conguagli in sede di dichiarazione annuale… una volta quantificata l’ imposta afferente gli acquisti attinenti l’attività commerciale, la quota detraibile deve
essere calcolata tenendo conto dell’ammontare delle operazioni che danno diritto alla detrazione, effettuate nell’anno, rispetto allo stesso importo aumentato delle operazioni esenti (articolo 19-bis del
d.P.R. n. 633 del 1972)”.
(27) I programmi di contabilità dovrebbero essere in grado di
trattare la “promiscuità” delle fatture di acquisto sia attraverso
il criterio logico (in forma, pertanto, libera e non standardizzata)
sia attraverso il criterio del pro rata (in forma, pertanto, standardizzata).
Quest’ultimo rinvio all’art. 19-bis riveste una certa valenza nel prosieguo del ragionamento in quanto introduce il successivo stadio dell’analisi rappresentato dalla complicazione dovuta alla presenza di
un pro rata diverso da quelli visti finora, vale a dire il pro rata derivante dalla presenza di operazioni esenti.
La determinazione dei pro rata e le
scritture nella contabilità aziendale
Nelle righe precedenti si sono viste le condizioni
affinché l’azienda sanitaria pubblica possa detrarre l’Iva sugli acquisti afferenti l’attività commerciale: la tenuta di una contabilità separata secondo i
criteri stabiliti dalla normativa fiscale.
Inoltre, nel paragrafo precedente si è anche evidenziato che la detrazione dell’Iva non è possibile per tutti gli acquisti, ma solo per quelli afferenti totalmente o parzialmente la sfera commerciale stessa.
Tuttavia, anche per i costi che sono relativi a beni e servizi ritenuti totalmente o parzialmente (per
la quota ammissibile) utilizzati per lo svolgimento di
attività commerciale accade che l’Iva gravante su
di essi non sia interamente detraibile. Tale fattispecie si manifesta allorquando tra le operazioni attive
vi siano anche attività esenti ai sensi dell’art. 10 del
d.P.R 633/1972.
Infatti, la presenza di operazioni esenti nella gestione delle aziende sanitarie pubbliche è da considerarsi un fatto praticamente scontato in ragione della rilevanza delle prestazioni sanitarie di diagnosi,
cura e riabilitazione e delle prestazioni di ricovero rese dalle aziende del SSN28, operazioni definite
esenti dall’imposta dai punti 18) e 19) del citato art.
10 del d.P.R 633/1972.
Conseguentemente, il diritto alla detrazione sugli
acquisti totalmente o parzialmente imputabili ad attività commerciali risulta ulteriormente limitato dal-
(28) Ci si riferisce, ovviamente, alle prestazioni effettuate verso un corrispettivo, come nel caso delle prestazioni effettuate in
regime di intramoenia, e non alle prestazioni effettuate in ambito
istituzionale normalmente gratuite.
15
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
la presenza di un rapporto, che viene definito semplicemente “pro rata”29, regolato dagli artt. 19, quinto comma, e 19-bis ed il cui valore è determinato secondo la seguente frazione:
OI + OA
pro rata % =
OI + OA + OE
dove
OI = Operazioni Imponibili
OA =Operazioni Assimilate alle imponibili (art. 19,
c. 3)
OE = Operazioni Esenti (art. 10).
Ora, prima di proseguire con l’analisi della detraibilità, ci si deve porre un quesito: nel determinare l’Iva detraibile in sede di liquidazione periodica o annuale, una volta determinata l’Iva a debito derivante dalle operazioni attive e l’Iva detraibile sugli acquisti totalmente commerciali, ai fini della determinazione dell’Iva detraibile sugli acquisti promiscui,
si applica, nell’ordine, prima il pro rata relativo alla
“promiscuità” dei costi e poi il pro rata da operazioni esenti o viceversa?
A prescindere dagli aspetti di carattere numerico,
la questione è altresì rilevante in sede di predisposizione della documentazione riepilogativa (fra tutte la dichiarazione annuale) nella quale deve essere indicato il corretto valore imponibile delle operazioni.
Nel tentativo di fornire una risposta non si può non
partire dalla considerazione per cui la ratio dell’applicazione del “pro rata commerciale” consiste nella necessità di addivenire all’effettivo e “complessivo” costo per acquisizioni di fattori produttivi impiegati nei processi aventi rilevanza commerciale agli effetti Iva, ragion per cui occorre dapprima
applicare il “pro rata commerciale” (laddove, ovviamente, non risulti possibile utilizzare un criterio
oggettivo di imputazione) e, in un secondo momento, applicare il pro rata da operazioni esenti al totale dell’Iva relativa all’ammontare delle operazioni
passive così determinato.
Il seguente esempio numerico permetterà di esplicitare quanto sopra esposto e di portare ad alcune conclusioni che saranno oggetto di sviluppo nel
prossimo paragrafo.
Si ipotizzi un’azienda sanitaria con la struttura dei
costi30 riportata nella tabella 1.
Si ipotizzi inoltre che l’azienda sia riuscita a scindere, mediante criteri oggettivi, una parte dei costi promiscui pari a 2.500.000 (tutti soggetti ad Iva al 21%)31
nelle due componenti: una quota ritenuta direttamente afferente alla sfera istituzionale il cui valore imponibile risulta pari a 2.000.000 e una quota imputabile direttamente alla sfera commerciale per un valore imponibile pari ai restanti 500.000, entrambe con relativa Iva, come da prospetto che segue (v. tabella 2):.
La struttura dei ricavi della stessa azienda è riportata nella tabella 3.
Tabella 1
Costi istituzionali
Costi commerciali
Costi promiscui
Totale costi
16
Imponibile
Iva
Totale
375.000.000
65.000.000
440.000.000
250.000
(A) 52.500
302.500
62.500.000
11.750.000
74.250.000
437.750.000
76.802.500
514.552.500
(29) Si tratta di una limitazione presente, in via generale, anche nelle imprese private (se e nella misura in cui effettuano anche
operazioni attive esenti da Iva) e non tipica degli enti non commerciali come quella che è stata definita, nel presente lavoro, “pro rata commerciale”.
(30) Costi soggetti a Iva con applicazione di varie aliquote.
(31) Le esemplificazioni che seguono considerano l’aliquota
Iva ordinaria in vigore fino al 30 settembre 2013. La bontà del ragionamento non viene meno, ovviamente, laddove si applichino aliquote Iva diverse, come quella attuale.
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
Tabella 2
Imponibile
Quota di costi promiscui oggettivamente determinati (parte istituzionale)
Iva
2.000.000
420.000
500.000
(B) 105.000
Costi promiscui indistinti
60.000.000
11.225.000
Totali
62.500.000
11.750.000
Quota di costi promiscui oggettivamente determinati (parte commerciale)
Tabella 3
Ricavi commerciali da operazioni imponibili
250.000
Ricavi commerciali da operazioni esenti
3.500.000
Totale ricavi commerciali
3.750.000
Totale ricavi istituzionali
625.000.000
Ricavi complessivi
Sulla base di tale struttura dei ricavi si è in grado di
determinare il pro-rata di imputazione commerciale
(c.d. “pro rata commerciale”) e il pro rata da operazioni esenti secondo i seguenti rapporti:
628.750.000
Tabella 4
Costi promiscui indistinti
Imponibile
Iva
60.000.000
11.225.000
357.840
(C) 66.946
Pro rata commerciale 0,5964%
pro rata commerciale =
=
3.750.000
628.750.000
ricavi commerciali
ricavi complessivi
= 0,5964%
pro rata da operazioni esenti =
=
250.000
3.750.000
Costi commerciali (da pro rata)
=
ricavi imponibili
ricavi commerciali
=
= 6,6667%
Per procedere alla determinazione dell’Iva detraibile, è necessario, a questo punto, determinare quale
sia la parte riferibile ad operazioni commerciali dei
costi promiscui indistinti per i quali non si può che
applicare il criterio forfettario del pro rata, cioè dei
restanti 60.000.000 rispetto al totale di 62.500.000.
Si consideri a questo proposito la tabella 4.
Dopo tale operazione si può così determinare l’ammontare complessivo dell’Iva sulle fatture passive considerate afferenti la sfera commerciale con
l’avvertenza che l’Iva finora definita, per comodità, “detraibile” in realtà tale non è, in quanto non è
stato ancora applicato il pro rata ex art. 19-bis del
d.P.R. 633/1972.
Si riassumono di seguito, pertanto, le risultanze di
quanto sopra calcolato in relazione all’Iva sulle fatture passive e afferenti la sfera commerciale e sopra identificati mediante le indicazioni (A), (B) e (C)
(tabella 5):
Tabella 5
Iva
Iva su costi commerciali “puri”
52.500
(A)
Iva su costi promiscui “oggettivamente”
commerciali
105.000
(B)
Iva su costi commerciali da pro rata
66.946
(C)
Totale Iva “commerciale”
224.446
17
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
Come sopra accennato, al fine di calcolare l’Iva che
l’azienda sanitaria ha diritto di portare in detrazione, occorre, infine, applicare all’ultimo totale appena determinato, l’ulteriore limitazione dovuta alla
presenza di operazioni esenti tra le fatture attive: il
pro rata da operazioni esenti. Il risultato dell’operazione viene illustrato nella seguente tabella 6:
Tabella 6
Totale Iva “commerciale”
Pro rata ex art. 19-bis
224.446
6,6667%
Iva detraibile
14.963
Appare evidente l’esiguità del risultato ottenuto
(14.963), limitatezza che può essere ulteriormente
resa palese se i risultati vengono confrontati in termini relativi anziché assoluti (tabella 7):
Tabella 7
Iva istituzionale
65.000.000
84,63%
420.000
0,55%
Iva promiscua indistinta indetraibile
11.158.054
14,53%
Iva indetraibile da pro rata
ex art. 19-bis
209.483
0,27%
Iva commerciale detraibile
14.963
0,02%
76.802.500
100,00%
Iva istituzionale oggettivamente determinata
Totale Iva su fatture passive
Alla fine di questo tortuoso percorso e sulla base
delle relative risultanze ottenute è lecito chiedersi se “il gioco valga la candela”, ovvero se valga effettivamente la pena di attuare una laboriosa e articolata organizzazione finalizzata alla tenuta della
contabilità separata qualora il risultato finale consista nella possibilità di detrarre lo 0,02% del totale
dell’Iva su fatture passive 32 .
18
(32) Si fa rilevare che i numeri del modello sopra esposto rispecchiano, in proporzione, le effettive cifre che si possono riscon-
Tralasciando quanto si esporrà nel successivo paragrafo in ordine alla necessità di attuare un ulteriore livello di separazione delle attività ai fini fiscali, non si può non far rilevare la natura “obbligata”
delle scelte che riguardano le opzioni offerte dalla
normativa e giustificate oltre che dallo scopo di ottenere un, seppur minimo, risparmio fiscale, soprattutto dalla preoccupazione di poter causare, con il
proprio comportamento, responsabilità erariale alla quale sono soggetti gli operatori del settore.
Un ulteriore punto che merita di essere affrontato è
costituito dal trattamento contabile con cui rilevare in sede di contabilità generale aziendale i risultati dei calcoli e dei ragionamenti svolti nel processo di determinazione dell’Iva commerciale e dell’Iva
detraibile, ovvero quali siano le scritture contabili
in partita doppia da effettuare a questo proposito.
Preliminarmente si deve rilevare, come precedentemente accennato, che per quanto riguarda le modalità di tenuta della contabilità separata ai fini Iva
l’Amministrazione finanziaria ritiene che, per effettuare la “separazione contabile” tra sfera commerciale e sfera istituzionale non è necessaria l’adozione di due distinti sistemi contabili (uno per l’attività commerciale e uno per l’attività istituzionale),
essendo sufficiente, a livello di piano dei conti, l’individuazione di appositi conti o sottoconti evidenzianti la natura dei costi (commerciali, istituzionali
o promiscui) e dei ricavi (commerciali o istituziona-
trare nelle realtà delle aziende sanitarie pubbliche. Ovviamente tali realtà possono essere molto diverse; ad esempio la struttura dei
costi e dei ricavi di un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico può differire sensibilmente da quella di un’azienda USL. Tuttavia, è stato riscontrato un comune denominatore rappresentato dalla presenza di pro rata molto bassi (il pro rata di imputazione commerciale raramente raggiunge l’uno per cento), ragion per
cui il modello sopra rappresentato è da considerarsi significativo.
Conclusioni completamente diverse, invece, possono essere tratte
qualora si applichi la metodologia descritta ad altri tipi di organizzazione, come avviene, ad esempio, in relazione alle agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (le cosiddette ARPA) le quali,
non svolgendo attività sanitaria in senso stretto (con conseguente
minor presenza di operazioni esenti dall’Iva e conseguenti benefici in termini di detraibilità dell’imposta) e avendo un volume delle
attività commerciali decisamente superiore a quello delle aziende
sanitarie, portano a delle risultanze diverse e a dei risparmi d’imposta sicuramente più elevati.
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
li) al fine di rendere sempre distinguibili (e, in questo
senso, separate) le voci di ricavo e di costo attinenti
alle due diverse sfere realizzando, come si avrà modo di vedere nel seguito del lavoro, una “contabilizzazione separata” dei fatti amministrativi33-34 .
fin da ora che, al fine di effettuare correttamente le
operazioni previste dalla normativa fiscale e dalla
normativa contabile, occorre predisporre in modo
del tutto contestuale il bilancio d’esercizio e la dichiarazione Iva35-36 .
Dato atto, pertanto, che tutte le operazioni trovano
la propria manifestazione definitiva a livello di piano dei conti di contabilità generale, ne conseguono alcune problematiche di valenza non solo pratica che vale la pena di segnalare.
A titolo esemplificativo supponiamo che nel corso
dell’esercizio sia stato effettuato un acquisto “promiscuo” di presidi medico chirurgici del valore di
100.000 oltre 21.000 per Iva al 21% per un importo
fatturato complessivo di 121.000.
Innanzitutto l’Iva detraibile sulla parte promiscua
deve essere stornata dai relativi costi che, al pari
della parte istituzionale, sono inevitabilmente stati registrati nel corso dell’esercizio comprendendovi l’intero importo addebitato dal fornitore a titolo
di Iva.
Al termine dell’esercizio, successivamente alla determinazione dei pro rata e alla liquidazione annuale dell’imposta Iva, viene stabilito in via definitiva
l’ammontare dell’Iva detraibile che, nell’esempio
considerato, si ipotizzi essere pari a 10.
La determinazione in via definitiva della quota di Iva
detraibile, invero, per i costi promiscui, potrà essere effettuata con dati certi solo ad esercizio chiuso e successivamente, pertanto, alla quantificazione dei vari coefficienti di pro rata che incidono nel
calcolo in argomento. Ragion per cui appare palese
È evidente che l’importo dell’Iva detraibile deve
senz’altro essere stornato dal costo provvisoriamente registrato al momento dell’acquisto, momento in cui era stata effettuata la seguente scrittura
contabile in partita doppia:
Presidi medico chirurgici
(promiscuo)37
a
Debiti verso
fornitore X
121.000
37
(33) Ex pluribus si veda la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 86/E del 13 marzo 2002 con la quale l’Amministrazione Finanziaria ha stabilito l’importante principio secondo cui “la tenuta di
un unico impianto contabile e di un unico piano dei conti, strutturato in modo da poter individuare in ogni momento le voci destinate all’attività istituzionale e quelle destinate all’attività commerciale, non è di ostacolo all’eventuale attività di controllo esercitata dagli organi competenti ”.
(34) È interessante notare come la contabilità separata rappresenti il presupposto per la detrazione dell’Iva anche relativamente alle acquisizioni dei beni strumentali utilizzati per l’esercizio dell’attività commerciale. In questo senso si veda la Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 222 del 10 agosto 2007 laddove così
dispone: “… in conclusione, deve ritenersi che il comune interpellante, qualora intenda destinare (e di fatto andrà a destinare) il costruendo immobile ad attività commerciale (quale risulta essere, in
ogni caso, la gestione della mensa scolastica), lo stesso può esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta assolta per rivalsa sulle prestazioni di servizi relative alla costruzione dell’immobile. Tale diritto, in ogni caso, può essere esercitato al più tardi nei due anni successivi a quello in cui lo stesso è sorto, ai sensi dell’articolo
19, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972. La soluzione prospettata presuppone che l’immobile sia strumentale all’attività commerciale esercitata e che, inoltre, la medesima attività venga gestita, da
parte dell’ente locale, con contabilità separata come previsto dal citato articolo 19-ter del d.P.R. n. 633 ”.
Così facendo nel conto di costo viene rilevato l’intero ammontare dell’Iva, valore che non risulta più
corretto poiché in parte questa è considerata detraibile.
Per rilevare il costo esatto al netto dell’Iva portata in detrazione si effettua, in sede di scritture di
(35) Il ragionamento, ovviamente, va esteso anche con riferimento al Modello Unico per quanto riguarda l’Ires e alla Dichiarazione Irap.
(36) Si richiamano le precedenti osservazioni effettuate in merito alla necessità di un notevole sforzo organizzativo da parte di
tutta la struttura, in generale, e da parte degli operatori del settore, in particolare, i quali si trovano in questa sede costretti ad anticipare gli adempimenti di natura fiscale al fine di armonizzare tutte le operazioni previste e applicare, pertanto, in modo corretto gli
istituti previsti dalla norma tributaria.
(37) Si è utilizzato nell’esempio una delle possibilità offerte
dalla prassi per la tenuta della contabilità separata e della quale si è fatto cenno in precedenza, vale a dire della metodologia
che prevede una sorta di “triplicazione” dei conti di costo a seconda che siano afferenti la sfera istituzionale, quella commerciale o entrambe.
19
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
assestamento e rettifica di fine anno, la seguente
scrittura contabile:
Crediti per IVA38
a
Presidi medico chirurgici
(promiscuo)
10
38
In tal modo il saldo del conto “Presidi medici chirurgici (promiscuo)” risulta pari a 120.990, importo che
rileva la misura corretta del costo subito per l’acquisizione di tale fattore produttivo.
Giunti quasi al termine dell’analisi, sorge un ulteriore quesito: le voci di costo promiscuo, come nell’esempio precedente il conto “Presidi medico chirurgici (promiscuo)”, dovranno essere chiusi direttamente a Conto Economico oppure si dovrà effettuare una qualche altra operazione ai fini della corretta tenuta della contabilità separata?
La posizione della dottrina è giunta alla conclusione che la ratio della contabilità separata è quella
di pervenire, mediante una metodologia razionale, a dei bilanci distinti tra la sfera istituzionale e
quella commerciale anche mediante l’utilizzo di un
unico piano dei conti: infatti, è “possibile utilizzare… scritture cronologiche omnicomprensive (il libro giornale), purché da esse sia possibile pervenire, con appositi accorgimenti pratici (colonne speciali, colori distinti) a scritture sistematiche distinte
anche formalmente (bilancio e conto economico in
particolare, nonché inventario e libro dei cespiti ammortizzabili, ecc.)”39 .
Inoltre, per quanto riguarda le modalità di contabilizzazione dei costi risulta fondamentale quanto
chiarito dall’importantissima risoluzione n. 86/E del
13 marzo 2002 la quale, dopo aver ribadito le disposizioni contenute nell’art. 3 del d.lgs. 460/1997 che
prevedono che gli enti non commerciali debbano tenere una contabilità separata per l’attività commerciale eventualmente esercitata al fine di rendere
più trasparente la contabilità ed evitare ogni commistione con l’attività istituzionale, stabilisce l’importante principio secondo cui “la tenuta di un unico impianto contabile e di un unico piano dei conti, strutturato in modo da poter individuare in ogni
momento le voci destinate all’attività istituzionale
e quelle destinate all’attività commerciale, non è di
ostacolo all’eventuale attività di controllo esercitata dagli organi competenti ”. Ne consegue la circostanza per cui l’Amministrazione Finanziaria non ritiene necessaria l’istituzione di un ulteriore sistema
di scritture contabili secondo i canoni previsti dal
titolo II del d.P.R. 600/1973 (libro giornale, partitario,
libro degli inventari, registri Iva, ecc.) col quale rilevare tutti i fatti amministrativi inerenti esclusivamente o parzialmente all’esercizio di impresa40-41. Si
tratta, in sostanza, di attuare una “contabilizzazione separata” dei fatti amministrativi in questa sede rilevanti42-43 .
(40) “La tenuta di una contabilità separata non prevede, infatti,
l’istituzione di un libro giornale e un piano dei conti separato per ogni
attività, essendo sufficiente un piano dei conti, dettagliato nelle singole voci, che permetta di distinguere le diverse movimentazioni relative ad ogni attività” (risoluzione n. 86/E del 13 marzo 2002).
(41) “L’attuale contabilità obbligatoria delle aziende sanitarie
fonda il suo principio sulla competenza economica, compatibile con
le norme previste dal legislatore fiscale. Pertanto il problema, particolarmente sentito dagli operatori del settore, può essere affrontato
impostando una tecnica di rendicontazione differente, tramite conti e sottoconti, in grado di evidenziare i risultati derivanti dalle attività commerciali. In questo modo è possibile rispettare la condizione
per la deducibilità analitica dei costi commerciali ”. D. Maggi, Aziende sanitarie pubbliche: aspetti fiscali, in E. A nessi Pessina, E. Cantù
(a cura di), L’Aziendalizzazione della Sanità in Italia, Rapporto Oasi
2001, Egea, 2002, p. 316.
(42) In questo senso vedi R. Caselli, La fiscalità delle aziende
del SSN, Il Sole 24 Ore, 2008, p. 456.
(38) Tale conto di credito è stato utilizzato al fine di semplificare l’esposizione del ragionamento. In realtà l’Iva viene portata correttamente in detrazione nel periodo (mese) in cui si riceve la relativa fattura sulla base della liquidazione periodica risultante dall’applicazione provvisoria dei pro rata dell’anno precedente, mentre a fine anno si effettuano esclusivamente i soli conguagli derivanti dalla determinazione in via definitiva dei vari pro rata.
20
(39) M. L eo, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Giuffrè, Milano, 2010, Tomo II, p. 1469.
(43) È appena il caso di far rilevare che le aziende sanitarie
pubbliche sono sottoposte all’obbligo di istituire specifiche contabilità separate da varie disposizioni normative. Oltre alle varie disposizioni normative in materia fiscale che prevedono l’istituzione
della contabilità separata si segnala:
– la contabilità separata dei presidi ospedalieri delle aziende USL
ai sensi dell’art. 4, comma 9, del d.lgs. n. 502/1992;
– la contabilità separata dei distretti delle aziende USL ai sensi
dell’art. 3-quater, comma 2, del d.lgs. n. 502/1992;
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
Se lo scopo è quello di redigere un “bilancio a parte” solo per la parte commerciale è chiaro che, procedendo con rilevazioni extracontabili, è possibile
non operare ulteriori applicazioni sul sopra citato
conto di costo promiscuo raggiungendo ugualmente l’obiettivo.
Qualora, invece, si ritenga opportuno raggiungere
una suddivisione netta delle due sfere anche a livello di scritture di contabilità generale, risulta necessario “svuotare” tutti i conti accesi ai costi promiscui e “riversarne” il contenuto, secondo le percentuali di cui si è discusso precedentemente, nei corrispondenti conti istituzionali o commerciali. È ovvio che tale soluzione risulta senz’altro più laboriosa rendendosi necessaria l’effettuazione di una notevole quantità di scritture di integrazione e rettifica che permetta di raggiungere il risultato anzidetto, ma è altrettanto vero che siffatto modus operandi permette di ottenere una contabilità economica
dicotomicamente suddivisa tra la parte istituzionale e quella commerciale.
Sotto il profilo operativo, ipotizzando un pro rata di
imputazione commerciale pari all’1%, la scissione
del sopra citato costo promiscuo (pari a 120.990) risulta così determinata:
Parte commerciale (1%)
1.210
Parte istituzionale (99%)
119.780
Totale120.990
A livello contabile le scritture in partita doppia da
effettuare sono le seguenti:
Presidi medico
chirurgici
(commerciale)
a
Presidi medico
chirurgici
(promiscuo)
1.210
– la contabilità separata per la gestione delle camere a pagamento ai sensi dell’art. 3, comma 6, della legge 23 dicembre
1994 n. 724;
– la contabilità separata dell’attività della libera professione intramuraria ai sensi dell’art. 7, comma 5, del d.P.C.M. 27 marzo
2000.
Queste tipologie di contabilità, tuttavia, rispondono a logiche
diverse da quella propria della normativa fiscale e possono essere
tenute anche attraverso gli strumenti propri della contabilità analitica.
Presidi medico
chirurgici
(istituzionale)
a
Presidi medico
chirurgici
(promiscuo)
119.780
Procedendo in questo modo in sede di scritture finali del bilancio di esercizio, con l’“azzeramento”
di tutti i conti accesi ai costi promiscui, si ottiene
lo scopo di rendere immediatamente identificabile il sottoinsieme del conto economico relativo alle attività commerciali ed identificato in via immediata dai conti di ricavo e di costo commerciali che,
in tal modo, includono la quota parte di competenza derivanti dai costi promiscui. Inoltre, un ulteriore
e non trascurabile risultato della metodologia sopra
esposta consiste nell’incorporare a livello di contabilità generale (che, giova ricordarlo, è la contabilità “ufficiale” delle aziende sanitarie pubbliche dopo
la riforma bis del Servizio Sanitario Nazionale attuata, come riportato all’inizio del presente lavoro,
col d.lgs. n. 502/1992) le risultanze del computo effettuato in via extracontabile in applicazione della
disciplina dell’Iva e, in particolare, dei vari pro rata precedentemente esaminati, ad ulteriore garanzia della correttezza delle operazioni e della bontà
dei ragionamenti svolti.
Dopo aver esaminato le rettifiche da apportare a livello di contabilità generale conseguenti all’applicazione dei pro rata stabiliti dalla disciplina Iva, un
quesito sorge spontaneo: perché non rettificare i
valori contabili sul pro rata calcolato sulla base dei
criteri stabiliti dalla normativa relativa all’Ires? Oppure: perché non utilizzare il pro rata Irap per rettificare i valori della contabilità? Qual è la procedura
più corretta? Si possono applicare tutte e tre indifferentemente 44?
Invero, electa una via, non datur recursus ad alteram (anzi: ad alteras, in questo caso), nel senso che
uno e uno soltanto dei criteri può essere utilizzato
e ciò in ragione dell’univocità dei valori di bilancio
stabilita dai principi contabili.
(44) Sulla presenza, nelle aziende sanitarie pubbliche, di diversi pro rata di imputazione commerciale derivanti dai differenti criteri previsti in proposito dall’applicazione delle normative inerenti
ai tributi citati, si rinvia a M. Barbiero, Il regime fiscale delle aziende sanitarie pubbliche, Franco Angeli, 2013.
21
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
In effetti qualche breve riflessione condurrà ad apprezzare la correttezza della metodologia esposta
nell’esempio numerico sopra riportato.
Innanzitutto la sottrazione dell’Iva detraibile al valore del costo con cui valutare il bene acquisito rappresenta la normale prassi di rilevazione dei costi in essere presso le aziende (private) tenute alla contabilità generale sia nel caso queste possano
detrarre l’Iva per l’intero ammontare, sia nel caso
queste siano soggette a limiti nell’esercizio del diritto alla detrazione a causa della presenza di operazioni esenti.
Inoltre, occorre tenere presente che sia ai fini Ires
che ai fini Irap45 i valori imponibili sono determinati
apportando ai valori contabili di bilancio (già sterilizzati dagli effetti dell’Iva) 46 le variazioni in aumento e
in diminuzione derivanti dall’applicazione delle specifiche norme fiscali, con la conseguente necessità
di operare in tale sede le rettifiche e le integrazioni
ai valori di bilancio derivanti dall’applicazione dello
specifico pro rata di imputazione commerciale47.
La separazione delle attività ex art. 36 del
d.P.R. 633/1972
Gli effetti limitativi del pro rata derivante da operazioni esenti rappresentano un problema comune
al settore privato per tutte quelle attività produttive nelle quali una parte non irrilevante del fatturato è costituito da operazioni esenti ex art. 10 del
d.P.R. 633/1972. La presenza di quest’ultime, infatti, fa sì che una parte degli acquisti sia tout court ri-
(45) Ci si riferisce, ovviamente, in questo caso esclusivamente alla determinazione dell’imposta mediante il metodo del valore
della produzione netta e non anche al metodo retributivo.
(46) Si fa solamente cenno in questa sede, senza la pretesa di
addentrarsi in un campo senz’altro complesso, al fatto che la quota
di Iva indetraibile da pro rata da operazioni esenti costituisce costo deducibile ai fine Ires e Irap.
22
(47) In particolare occorre produrre un prospetto di calcolo
che illustri i passaggi matematici e le conseguenti rettifiche e integrazioni dei valori di ciascuna voce di costo, ivi compresi i costi pluriennali per i quali si pone il problema non irrilevante delle
scritture da effettuare nel registro dei beni ammortizzabili ai fini della corretta determinazione degli ammortamenti fiscalmente deducibili.
ferita ad esse con la conseguente indetraibilità della relativa Iva.
L’art. 36 del d.P.R. 633/1972, tuttavia, permette di
superare, almeno in parte, questa limitazione in
quanto consente al contribuente che esercita contemporaneamente più attività commerciali di operare un ulteriore livello di separazione della contabilità Iva48 . Così procedendo il contribuente che gestisce diverse attività può realizzare la cosiddetta “separazione delle attività” con la tenuta di serie distinte di fatture emesse (una per ogni attività
esercitata) e, per converso, serie distinte di fatture di acquisto le quali affluiranno in distinti registri
Iva senza, quindi, essere “mescolate” con le fatture
attive e passive delle altre attività. Ovviamente ciò
presuppone che in sede di acquisto ogni documento sia valutato singolarmente ed annotato nel registro Iva afferente l’attività. Il risultato finale consiste nel fatto che la liquidazione periodica e annuale dell’Iva avviene separatamente per ogni codice
di attività (leggasi: per ogni coppia di registri acquisti-vendite). Pertanto, nei casi in cui l’attività presenta numerose (o, al limite, esclusivamente) fatture attive esenti da Iva, l’imposta sostenuta sugli acquisti diverrà in gran parte (se non tutta) indetraibile per effetto del pro rata che, però, viene determi-
(48) Si riporta per comodità e per rilevanza dei contenuti il
testo del terzo comma dell’art. 36 del d.P.R. 633/1972 (rubricato
“Esercizio di più attività”): “I soggetti che esercitano più imprese o
più attività nell’ambito della stessa impresa, ovvero più arti o professioni, hanno facoltà di optare per l’applicazione separata dell’imposta relativamente ad alcune delle attività esercitate, dandone comunicazione all’ufficio nella dichiarazione relativa all’anno precedente
o nella dichiarazione di inizio dell’attività. In tal caso la detrazione di
cui all’art. 19 spetta a condizione che l’attività sia gestita con contabilità separata ed è esclusa, in deroga a quanto stabilito nell’ultimo comma, per l’imposta relativa ai beni non ammortizzabili utilizzati promiscuamente. L’opzione ha effetto fino a quando non sia revocata e in ogni caso per almeno un triennio. Se nel corso di un anno
sono acquistati beni ammortizzabili la revoca non è ammessa fino al
termine del periodo di rettifica della detrazione di cui all’art. 19-bis.
La revoca deve essere comunicata all’ufficio nella dichiarazione annuale ed ha effetto dall’anno in corso. Le disposizioni del presente
comma si applicano anche ai soggetti che effettuano sia locazioni,
o cessioni, esenti da imposta, di fabbricati o porzioni di fabbricato a
destinazione abitativa che comportano la riduzione della percentuale di detrazione a norma dell’articolo 19, comma 5, e dell’articolo 19bis, sia locazioni o cessioni di altri fabbricati o di altri immobili, con
riferimento a ciascuno di tali settori di attività”.
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
nato e applicato limitatamente alla specifica coppia di registri Iva senza, pertanto, esercitare i noti effetti negativi in relazione alle altre attività esercitate. Parimenti, infatti, le altre coppie di registri
disporranno della propria liquidazione Iva separata
che, conseguentemente, non risulterà limitata dal
pro rata derivante dalle operazioni esenti riferibili alle altre attività, con la conseguenza che qualora
in una determinata attività non si riscontrino operazioni attive esenti, l’intero ammontare dell’Iva relativa agli acquisti risulta detraibile.
L’opportunità non è affatto trascurabile qualora si
considerino le numerose attività (mensa aziendale, sperimentazioni cliniche, attività veterinarie,
esercizio di bar o spacci aziendali, gestione diretta di farmacie aperte al pubblico, ecc.) che esulano
dall’attività stricto sensu sanitaria.
In proposito, si sottolinea che la separazione ex art.
36 può essere effettuata solo per quelle attività che
dispongono di un “codice attività” proprio secondo
la classificazione delle attività economiche adottata dall’Istat e denominata “ATECO”49 .
Occorre, pertanto, dopo aver individuato tutte le attività le cui operazioni attive imponibili ai fini Iva e, pertanto, non soggette alle limitazioni dovute alla presenza di operazioni esenti, verificare se le stesse siano
classificabili in modo autonomo secondo i codici ATECO al fine di esercitare l’opzione facoltativa per separazione ai fini Iva ex art. 36 del d.P.R. 633/1972 con la
non trascurabile conseguente possibilità di poter portare in detrazione l’intero ammontare dell’Iva assolta
sugli acquisti delle attività separate.
Sotto il profilo operativo la separazione delle attività comporta che:
– la partita Iva sia unica come pure è unica la dichiarazione;
– tutte le attività debbano essere sommate e il volume d’affari sia complessivo50 ;
– sussista l’obbligo della separazione contabile.
La normativa in argomento prevede, infatti, oltre all’obbligatorietà della separazione in caso di esercizio delle attività elencate al comma 4
dell’art. 36 per le quali l’imposta viene determinata
secondo le rispettive disposizioni e con riferimento al volume d’affari di ciascuna di esse, la possibile scelta volontaria di applicazione della medesima anche “relativamente ad alcune delle attività esercitate” da parte dei “soggetti che esercitano più imprese”.
Tale opzione, esercitata in sede di dichiarazione annuale, ha durata per almeno un triennio trascorso il
quale può essere revocata51 e, come sopra accennato, può essere esercitata dalle aziende sanitarie
pubbliche al fine di consentire la detrazione integrale dell’Iva sostenuta sugli acquisti relativamente alle attività che, se poste in relazione con altre
sottoposte a dei vincoli di indetraibilità, vedono limitato tale esercizio.
Tuttavia, da questo punto di vista, va distinto il caso in cui la separazione è svolta per obbligo ovvero per opzione52 .
(50) In questo senso si veda la circolare del Ministero delle Finanze n. 113 del 31 maggio 2000.
(49) Ad esempio l’Amministrazione finanziaria, con la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 20 agosto 2010 n. 87, ha negato
la possibilità di separare le attività di ricovero e cura dalle attività ambulatoriali di una clinica privata polispecialistica non convenzionata in quanto “… deve concludersi che l’attività consistente nel rendere prestazioni di ricovero e cura non può essere separata
dall’attività avente ad oggetto le prestazioni sanitarie rese ambulatorialmente in quanto le due predette attività, sebbene siano assoggettate ad un diverso regime Iva, sono riconducibili ad un unico codice della classificazione ATECO ”. In pratica la separazione può essere effettuata per le attività individuate e numerate nelle diverse categorie economiche secondo la classificazione ATECO. In altri
termini, se per le attività sono previsti codici diversi queste sono
separabili, diversamente la separazione non è possibile.
(51) Anche tale istituto soggiace al cosiddetto concetto di
“comportamento concludente” stabilito dall’art. 1 del d.P.R. n.
442/1997.
(52) Per gli aspetti più prettamente operativi si rinvia a C. R anM. Savi, L’Iva nei Comuni, Maggioli, 2007, laddove, a pag. 77, si
specifica, in modo sintetico, che “l’applicazione separata dell’Iva
(obbligatoria o per opzione) comporta:
1. la tenuta per l’attività separata, di registri vendite, acquisti, corrispettivi, distinti da quelli delle altre attività;
2. l’utilizzo di una distinta serie numerica per le fatture che vanno
annotate sui propri registri;
3. la distinta applicazione delle norme relative alla detrazione,
comprese quelle sul pro rata (art. 19-bis d.P.R. n. 633/1972);
4. l’effettuazione della liquidazione periodica in modo distinto. Il
rapporto d’imposta rimane unico: i versamenti periodici vanno
di,
23
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
Nella prima ipotesi, infatti, il quinto comma dell’articolo 36 precisa che “la detrazione… è ammessa per
l’ imposta relativa ai beni e ai servizi utilizzati promiscuamente, nei limiti della parte imputabile all’esercizio dell’attività stessa”.
Viceversa, in caso di opzione, dovrà tenersi conto
che:
– la detrazione è esclusa relativamente agli acquisti di beni non ammortizzabili oggetto di un uso
promiscuo. Infatti, in caso di esercizio dell’opzione per la separazione delle attività ai sensi del terzo comma dell’art. 36 “la detrazione di
cui all’art. 19 spetta a condizione che l’attività sia
gestita con contabilità separata ed è esclusa, in
deroga a quanto stabilito nell’ultimo comma, per
l’ imposta relativa ai beni non ammortizzabili utilizzati promiscuamente”53 ;
– se vengono acquistati dei beni ammortizzabili la revoca dell’opzione per l’esercizio separato
può essere esercitata solo ad avvenuto decorso
del termine della rettifica della detrazione di cui
all’art. 19-bis 2 del d.P.R. 633/1972.
L’esclusione della detraibilità dell’Iva sugli acquisti
5.
6.
7.
8.
24
effettuati in modo cumulativo, compensando attività a credito
e a debito;
la dichiarazione annuale Iva unica, con tanti intercalari per ogni
attività;
la partita Iva unica;
la fatturazione dei passaggi interni di beni tra attività gestite separatamente (secondo le modalità stabilite dal quinto comma
dell’art. 36), esclusi i passaggi di beni ad attività di commercio
al minuto con ventilazione e passaggi da questa ad altre attività;
la fatturazione dei passaggi interni di servizi (secondo le modalità stabilite dal quinto comma dell’art. 36), solo se gli stessi sono diretti ad attività soggette a detrazione forfetizzata (agricoltura, intrattenimenti) o ridotta (attività esenti)”.
(53) La norma così dispone anche dopo le recenti modifiche
effettuate dall’art. 57 del d.l. 24 gennaio 2012. Tale disposizione,
infatti, è sostanzialmente sempre stata presente. Vedi in questo
senso la Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 445015 del 20
maggio 1991 laddove si stabilisce che “a norma del citato art. 36,
comma 3, qualora venga esercitata la suddetta opzione, la detrazione dell’imposta relativa agli acquisti è esclusa per i beni non ammortizzabili utilizzati promiscuamente nell’esercizio delle attività separate. Relativamente agli acquisti di beni ammortizzabili e di servizi, utilizzati promiscuamente, la detrazione dell’imposta – in presenza di attività soggetta a detrazione ridotta – è invece ammessa nei
limiti della parte imputabile a ciascuna attività separata”.
promiscui di beni di consumo (beni non ammortizzabili utilizzati promiscuamente) risulta senz’altro
penalizzante per la realtà delle aziende sanitarie
pubbliche in considerazione della rilevanza dei volumi degli acquisti di questa natura effettuati. Tale circostanza comporta la necessità di effettuare propedeuticamente un calcolo di convenienza economica al fine di stabilire in modo inequivocabile se l’esercizio dell’opzione ex art. 36 del
d.P.R. 633/1972 consenta (o meno) un incremento
dell’ammontare dell’Iva detraibile, vale a dire un risparmio d’imposta.
Pertanto qualora, nonostante l’impossibilità di detrarre l’Iva sugli acquisti di beni di consumo promiscui (ipotizzando l’assenza di limitazioni alla detrazione derivanti dalla presenza di operazioni esenti),
l’ammontare dell’Iva detraibile con l’applicazione
dell’opzione ex art. 36 risultasse superiore rispetto a quella detraibile secondo le normali regole esaminate nel precedente paragrafo, l’operatore del
settore si troverebbe, come già visto in precedenza, nella condizione di effettuare una sorta di “scelta obbligata” al fine di non incorrere in responsabilità di natura erariale.
Il prospetto contabile contenente il suddetto calcolo di convenienza deve essere redatto ogni anno e per ogni attività separabile. In assenza di prospetti contabili di questo tipo nessuna valutazione
in ordine all’economicità e al corretto utilizzo delle risorse pubbliche può, ovviamente, essere effettuata54 .
Conclusioni
Si è cercato nel presente lavoro di focalizzare l’analisi degli aspetti peculiari della disciplina Iva applicata alle aziende del SSN nell’ottica della minimizzazione del carico fiscale in un contesto sicuramente complesso per gli operatori del settore i qua-
(54) È facilmente prevedibile che per taluni servizi, quali la
mensa aziendale e l’esercizio di bar o spacci aziendali, la separazione ex art. 36 risulti senz’altro più conveniente, mentre per altri,
come le attività veterinarie e le farmacie aperte al pubblico a gestione diretta, la rilevanza dei beni di consumo promiscui rende la
situazione senz’altro più incerta.
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
li molto spesso si trovano in una condizione che li
vede posizionati “tra l’ incudine e il martello”: l’incudine, rappresentata dall’Amministrazione finanziaria, che avanza le proprie pretese nei confronti
delle aziende sanitarie pubbliche al pari degli altri
contribuenti in esecuzione di norme e circolari talvolta di difficile applicazione55, e il martello, rappresentato dalla Corte dei conti56, che può agire direttamente e personalmente nei confronti degli operatori del settore applicando loro sanzioni in caso
di accertamento di un danno erariale derivante dal
pagamento di interessi e sanzioni di natura tributaria o dal pagamento di imposte in misura superiore
a quella dovuta.
Si è, pertanto, cercato di evidenziare alcuni importanti e necessari interventi organizzativi, in realtà spesso di fatto trascurati nella prassi di molte
aziende del SSN, volti a realizzare i presupposti richiesti dalla normativa fiscale al fine di poter legittimamente cogliere le opportunità di conseguire dei
risparmi d’imposta che, talvolta, possono raggiungere importi considerevoli. In questo senso, si è insistito sull’istituto della contabilità separata e sulle conseguenti implicazioni, di natura sicuramente
complessa, nella gestione dei diversi pro rata derivanti dall’applicazione delle regole dell’Iva (e validi,
in alcuni casi, anche ai fini Ires e Irap).
Come si è avuto modo di vedere, se l’attivazione
della contabilità separata ai fini fiscali riveste per
le aziende sanitarie pubbliche carattere sostanzial-
(55) Le norme specifiche per il settore sono, infatti, indubbiamente poche e spesso suffragate da una scarsa dotazione di prassi la quale, a volte, presenta indicazioni, se non in contrasto tra loro, quantomeno differenti. Un esempio per tutti è quello relativo al
codice tributo da utilizzare per il versamento periodico dell’Iva determinata su acquisizioni dall’estero di beni e servizi in ambito istituzionale: solo dopo alcuni mesi dall’introduzione dell’obbligo per
gli EE.PP. di provvedere al calcolo ed al versamento diretto dell’Iva sugli acquisti de quibus (che attualmente avvengono senza l’applicazione del tributo “straniero”), l’Amministrazione finanziaria ha
indicato il codice da indicare nel Modello F24 Enti Pubblici, lasciando tuttavia ancora aperta un’incognita per gli altri enti pubblici che
non sono tenuti al regime della tesoreria unica e che non sono, pertanto, obbligati all’utilizzo del modello specifico “F24 EP”.
(56) Si rinvia, a titolo esemplificativo, alla citata deliberazione della sezione di Controllo della Corte dei conti del Lazio n. 31-g2007 del 26 febbraio 2007.
mente obbligatorio come peraltro sostenuto dalla
dottrina nonché dalla stessa Corte dei conti, i medesimi principi e considerazioni possono senz’altro
essere estesi alla generalità degli enti pubblici nei
quali troppo spesso la commistione della sfera istituzionale con quella commerciale conduce al proliferarsi di un contenzioso difficilmente apprezzabile,
in un’ottica complessiva di sistema di finanza pubblica, sia sotto il profilo dei canoni della razionalità sia sotto quello relativo all’eventuale recupero
di nuove e ulteriori risorse da mettere a disposizione della collettività57. In questo senso una corretta
modulazione della struttura organizzativa dell’ente
secondo canoni che permettano un’ordinata rilevazione dei fatti di gestione attinenti alla sfera commerciale separatamente da quelli relativi alla sfera
istituzionale rappresenta il necessario presupposto
logico e giuridico affinché si individui in modo corretto la materia imponibile in un quadro di completa
trasparenza della gestione complessiva dell’ente e
nell’obiettivo comune di immediatamente e correttamente quantificare i costi inerenti alla sfera commerciale.
(57) Gli stessi giudici tributari evidenziano talvolta una certa
difficoltà qualora si trovino ad affrontare contenziosi in cui si trovano coinvolti gli enti e le aziende del Servizio Sanitario Nazionale a conferma di un disagio che evidentemente non investe soltanto gli operatori del settore. Esemplare a questo proposito risulta
quanto ribadito dalla Commissione Tributaria Regionale di Venezia con la sentenza n. 16/1/08 del 4 aprile 2008 depositata il 22
maggio 2008 che, benché sia relativa al campo delle imposte dirette, si spinge nel formulare alcune interessanti considerazioni
di carattere generale che, in questa sede, vale la pena di riportare: “… Esiste comunque, ed anche in questa sede è utile segnalarlo, una situazione per le Aziende Sanitarie e Ospedaliere tale che
vede presente nel sistema tributario una norma di esonero da IRPEG (art. 5 d.P.R. 601/1973) per tutti gli immobili destinati ad usi e
servizi di pubblico interesse di proprietà dello Stato, delle Regioni,
delle Province, dei Comuni e relativi consorzi che stride con le norme oggi in esame e con l’interpretazione ministeriale che ne regola l’applicazione, ma non la rende illegittima perché le Aziende non
sono specificatamente previste. … Se avvenisse, per pura ipotesi, da parte del Legislatore l’inserimento delle Aziende Sanitarie ed
Ospedaliere nell’ambito del comma 1 dell’art. 88 del T.U.I.R. al fine di riconoscere un esonero di tipo “soggettivo” al pari di altri enti pubblici per quanto concerne l’IRPEG (oggi IRES) si eviterebbero
tutte le difficoltà applicative delle diverse norme fiscali nonché tutti gli oneri connessi a tali adempimenti notevolmente superiori al
gettito dell’imposta”.
25
Diritto
Peculiarità nell’applicazione alle Aziende Sanitarie pubbliche
della disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto
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Diritto
L’obiezione di coscienza tra diritti del medico
e tutela del paziente. Aspetti applicativi
nel panorama sanitario emergente
dalla riforma Balduzzi
Serena Boscherini *
1. Principi cardine e linee guida della
legge n. 189/2012
Con la conversione in legge del c.d. decreto Balduzzi (d.l. 13 settembre 2012, n. 158, conv. in l. 8 novembre 2012, n. 189), il panorama medico-sanitario
italiano ha conosciuto un nuovo e significativo momento di riforma, con implicazioni e ricadute di non
poco conto anche sulla disciplina di un fenomeno
tanto radicato quanto discusso come quello dell’obiezione di coscienza.
Rispetto alle normative di riordino che l’avevano preceduta, la riforma promossa dall’ex ministro
Balduzzi si distingue in special modo per la tendenza marcatamente garantista, evocativa di una politica del welfare decisa e vigorosa, incentrata, pur
nell’ottica di un necessario contenimento della spesa, sulla massima tutela possibile della salute del
cittadino.
1. Principi cardine e linee guida
della legge n. 189/2012
2. Criticità e problemi applicativi
dell’obiezione di coscienza nel settore
dell’IVG alla luce della riforma Balduzzi
3. La contraccezione di emergenza
e le peculiarità applicative della
clausola di coscienza
È il cittadino, infatti, ad essere posto al centro del
sistema, assurgendo ad un ruolo di primo piano e
calzando le vesti di un vero e proprio protagonista
attivo, coinvolto, da un lato, nelle politiche di prevenzione degli stati patologici, mediante un penetrante intervento di educazione sanitaria; dall’altro lato, nell’effettuazione di scelte medico-cliniche consapevoli ed efficaci, tramite la promozione
del coordinamento tra il sociale e l’assistenza ospedaliera ed attraverso un offerta continuativa, integrata e qualitativamente omogenea delle prestazioni di medicina generale e specialistica garantite dai LEA.
Alle Regioni viene demandato il compito di disciplinare la costituzione di nuovi centri ambulatoriali, le
unità complesse di cure primarie, le quali, operando
(*) Dottore in Giurisprudenza – Università degli Studi di Bologna.
27
Diritto
L’obiezione di coscienza tra diritti del medico e tutela del paziente.
Aspetti applicativi nel panorama sanitario emergente dalla riforma Balduzzi
in rete tra loro ed in collegamento con le strutture
ospedaliere, garantiscano una presenza medica costante, in grado di accogliere e rispondere alle esigenze dell’assistito durante l’intero arco della giornata, nonché nei giorni festivi e prefestivi, e garantendo un’offerta integrata di prestazioni sanitarie,
mediante un’opportuna collaborazione con la medicina specialistica, pediatrica e di guardia medica.
Si dispone inoltre la previsione di standard qualitativi e quantitativi di erogazione delle prestazioni assistenziali, volti a garantire l’efficienza del sistema
sanitario sull’intero territorio nazionale, con caratteri di uniformità, e prevedendosi altresì a tal fine la
creazione di appositi sistemi di monitoraggio delle
attività di prevenzione, cura e riabilitazione svolte
dai singoli nuclei assistenziali e dalle strutture pubbliche e private accreditate.
2. Criticità e problemi applicativi
dell’obiezione di coscienza nel settore
dell’IVG alla luce della riforma Balduzzi
Un’affermazione di tutela tanto decisa a favore della salute del cittadino, racchiusa in previsioni di tale incisività, trova, com’è ovvio, il suo terreno elettivo d’intervento specialmente in quei settori ed in
quelle situazioni applicative che maggiormente si
caratterizzano per aspetti di criticità ed inefficienza. Laddove, cioè, si riscontra con reale e concreta pregnanza l’esigenza di un riordino strutturale
profondo, che consenta di adempiere nel modo più
adeguato alla piena tutela del singolo.
Una simile, endemica lacunosità nell’offerta di prestazioni garantite dai LEA, in violazione di quei canoni di continuità, diffusione ed efficacia enucleati e perseguiti dalla riforma sanitaria, si riscontra
con crescente evidenza nel settore degli interventi
di Interruzione Volontaria della Gravidanza (IVG), a
fronte di un ricorso sempre più capillare del personale medico-sanitario all’obiezione di coscienza e
dell’assenza di un valido contraltare normativo concretamente idoneo ad arginare gli effetti negativi di
tale fenomeno.
28
Secondo i dati ufficiale raccolti nell’ultima Relazione ministeriale sulla legge n. 194 del 1978, l’incremento esponenziale delle dichiarazioni di obiezione ha condotto all’attuale prospettazione di un pa-
norama sanitario dominato dagli obiettori: agli inizi
del 2011, ben il 69,3% dei ginecologi italiani si proclamava obiettore di coscienza, con picchi particolarmente elevati nelle Regioni meridionali, dove le
percentuali arrivano in alcune zone all’85%. Analogamente ampia emerge essere anche la diffusione dell’obiezione tra il personale anestesista, attestandosi nel 47,5% a livello nazionale, e del personale non medico, con valori aumentati negli anni sino all’attuale 43,1%, con punte dell’81,4% in Sicilia
e del 85,3% in Molise.
In simili condizioni, intere strutture ospedaliere sono lasciate sguarnite di reparti di interruzione di
gravidanza, mentre i medici non obiettori finiscono per risultare penalizzati, in quanto costretti a focalizzare larga parte della loro attività nel sobbarcarsi l’intero carico di lavoro connesso alle pratiche abortive.
Le ripercussioni di questa situazione sui diritti delle
gestanti sono d’immediata evidenza.
Come spiega chiaramente il dott. Carlo Flamigni,
in una recente critica dell’art. 9, legge n. 194 del
1978, quando il personale medico e paramedico non
obiettore scende al di sotto di certi livelli, si creano inevitabilmente condizioni che mettono a rischio
la salute di un certo numero di donne. Il primo sfavorevole evento che si registra è l’allungamento dei
tempi di attesa che, con la rarefazione dei giorni di
intervento, sposta in avanti il momento in cui la gravidanza viene interrotta. Questo comporta un incremento della pericolosità dell’aborto, in quanto il
rischio che si verifichino complicazioni o insorgano
altri effetti collaterali, immediati o a distanza, è tanto maggiore quanto più avanzato è lo stadio di gestazione.
Nei casi più gravi, inoltre, la donna che intenda valersi del diritto riconosciutole dalla legge n. 194, trovandosi di fronte a una struttura ospedaliera in cui
la totalità dei medici ha sollevato obiezione, sarà
costretta a spostarsi alla ricerca di un istituto che
risponda alle sue necessità. Il che, peraltro, comporterà un dispiego di tempo e risorse economiche
che la stessa potrebbe non avere, venendosi così a
creare una intollerabile discriminazione a discapito
delle donne meno abbienti.
Orbene, se le carenze di tutela nei confronti della
Diritto
L’obiezione di coscienza tra diritti del medico e tutela del paziente.
Aspetti applicativi nel panorama sanitario emergente dalla riforma Balduzzi
gestante che intenda procedere ad IVG entro i primi 90 giorni, ad oggi, si rivelano già gravi e foriere
di serie conseguenze per il benessere psico-fisico
ed emotivo della stessa, ancora più problematica è
la situazione relativa agli aborti selettivi o terapeutici, eseguiti dopo il terzo mese di gravidanza: mentre per la prima tipologia di interventi è possibile il
ricorso, da parte della struttura sanitaria, a medici
convenzionati esterni o a medici a gettone, per gli
aborti del secondo tipo questi strumenti organizzativi non sono risolutivi, date le peculiari modalità di
esecuzioni degli stessi.
Gli aborti entro la dodicesima settimana, infatti, sono eseguiti in regime di day hospital, si tratta di interventi programmati la cui durata è nota e per i
quali è ben possibile ricorrere ad un singolo professionista esterno. Dopo il primo trimestre, invece, il
feto è troppo grande per potersi procedere ad un
semplice raschiamento: occorre indurre un vero e
proprio travaglio, mediante l’introduzione nell’utero
di candelette di prostaglandine idonee a stimolarne le contrazioni. Questi agenti farmacologici devono essere somministrati a più riprese, con un’operazione che nel suo complesso richiede tempistiche
eccedenti il turno di servizio di un unico medico.
La criticità della situazione, che inevitabilmente finisce con il tradursi in una disapplicazione de facto della legge sull’interruzione di gravidanza, ha ormai raggiunto livelli tali da provocare l’allarme e la
mobilitazione di associazioni impegnate nella tutela
dei diritti della persona.
Si osservi, a titolo esemplificativo, il caso della Regione Lazio, ove l’Associazione Luca Coscioni e l’AIED (Associazione Italiana per l’Educazione Demografica) hanno depositato nell’ottobre 2012 presso la Procura della Repubblica di Roma un esposto
per interruzione di pubblico servizio (art. 340 c.p.),
in quanto in 12 ospedali su 31 risulterebbe completamente inattivo il servizio di interruzione di gravidanza.
Inoltre, l’associazione che raccoglie i ginecologi
italiani non obiettori (LAIGA – Libera Associazione Italiana dei Ginecologi per l’Applicazione della legge 194), congiuntamente all’IPPF (International Planned Parenthood Federation), ha presentato
un ricorso al Consiglio d’Europa, ed in specie al suo
Comitato Europeo per i Diritti Sociali, contro lo Stato italiano, accusato di non garantire a sufficienza
il diritto alla salute ed all’autodeterminazione delle donne.
È degno di nota e significativo il fatto che, nonostante il governo italiano avesse chiesto una declaratoria d’inammissibilità, il ricorso è stato dichiarato accoglibile dal Comitato.
Posto che il diritto all’obiezione di coscienza rappresenta, nella società contemporanea e multietnica, un importante presidio della libertà di pensiero, di religione e di coscienza dell’individuo, al quale un ordinamento democratico e pluralista, rispettoso delle differenti convinzioni etiche e morali dei
suoi cittadini, difficilmente potrebbe rinunciare, appare chiaro che la soluzione alla grave crisi di tutela ora descritta debba ricercarsi non in un annullamento del predetto diritto, bensì in un adeguato bilanciamento dello stesso con i diritti e gli interessi
del paziente.
Secondo la linea dettata con vigore dalla riforma
Balduzzi, dunque, le Regioni dovranno attivarsi per
prevedere ed attuare controlli più penetranti sull’operato delle strutture sanitarie, predisponendo altresì strumenti organizzativi idonei a garantire sempre e comunque, in condizioni uniformi di qualità e
tempestività e pur a fronte della massiccia presenza di personale obiettore, i livelli essenziali di assistenza medica.
Dovranno pertanto ricercarsi strumenti idonei a
sopperire all’insufficiente tutela offerta dall’art. 9,
comma 4 della legge n. 194 del 1978, il quale si limita a prevedere, quale mezzo di neutralizzazione
degli effetti negativi legati all’esercizio dell’obiezione, il ricorso allo strumento della mobilità del personale: per ovviare alle carenze di servizio derivanti dalla presenza di medici obiettori dovrebbe essere sufficiente, nella visione del legislatore, condurre una razionale ed efficiente gestione delle risorse
facenti capo ai presidi sanitari, sostituendo gli operatori che rifiutino di eseguire interruzioni di gravidanza con altri che invece accettino di procedervi.
Come si è visto, questa soluzione, seppur valida
e condivisibile in linea teorica, non è risultata alla prova dei fatti altrettanto funzionale: l’elevatissima percentuale degli obiettori ne ha ostacolato,
29
Diritto
L’obiezione di coscienza tra diritti del medico e tutela del paziente.
Aspetti applicativi nel panorama sanitario emergente dalla riforma Balduzzi
soprattutto in certe zone del Paese, la piena operatività.
Si è, dunque, cominciato a ricercare metodi alternativi per assicurare il servizio, il più efficace dei
quali può sicuramente individuarsi nell’inserimento nei bandi di concorso, o nelle altre procedure
per l’assunzione di personale sanitario, di apposite clausole che riservino un certo numero di posti
ai non obiettori.
b)la seconda (Levonelle) consistente in due compresse da 0,75 mg di principio attivo, da assumere a distanza di 12 ore l’una dall’altra.
Questo espediente, pur essendo tuttora oggetto di
forti discussioni, in quanto accusato di fondare indebite discriminazioni ai danni degli obiettori, ha ricevuto l’avallo di diverse pronunce giurisprudenziali. Si è, ad esempio, stabilito che un medico assunto in via provvisoria da un istituto ospedaliero sulla
base di un avviso contenente una clausola che condizionava l’assunzione al non esercizio dell’obiezione di coscienza, qualora successivamente presenti la dichiarazione di volersi avvalere di tale diritto, può legittimamente essere dichiarato decaduto dall’incarico. Questa, pertanto, potrebbe essere
una delle strade percorribili dall’organizzazione sanitaria per risolvere i molti disservizi che caratterizzano negativamente la situazione attuale ed uniformarsi con maggior pienezza alle nuove disposizioni legislative.
Entrambe, comunque, dispiegano la loro massima
efficacia se assunte nelle prime 24 ore (comportando una riduzione del rischio del 95%), mentre la probabilità di successo diminuisce progressivamente
con il passare del tempo (85% tra 25 e 48 ore, 58%
tra 49 e 72 ore), per annullarsi dopo il decorso di 3
giorni dal rapporto presunto fecondante. Per queste ragioni sono considerate prescrizioni d’urgenza, in quanto eventuali ritardi nell’assunzione del
farmaco porterebbero inevitabilmente ad un incremento del rischio di una gravidanza indesiderata.
3. La contraccezione di emergenza
e le peculiarità applicative della clausola
di coscienza
Seguendo queste indicazioni, nella maggior parte
dei Paesi europei (oltre che in numerosi Paesi extraeuropei) la c.d. pillola del giorno dopo è acquistabile senza necessità di prescrizione medica; in
alcuni sistemi viene addirittura distribuita gratuitamente, in un’ottica di prevenzione del ricorso alle
ben più traumatiche vie abortive: è ciò che avviene,
ad esempio, in Francia, in Spagna e in alcune zone
del Regno Unito.
Questioni applicative analoghe a quelle sinora descritte e concernenti l’iter dell’IVG si riscontrano,
con simili conseguenze seriamente depauperanti la
garanzia della salute femminile, con riguardo al settore della contraccezione d’emergenza, ed in specie alla prescrizione del levonorgestrel: la c.d. pillola del giorno dopo.
30
a)la prima contenente un’unica compressa da 1,5
mg che viene assunta per intero, una sola volta, ed è commercializzata con il nome di Norlevo (si tratta attualmente della formula più diffusa, anche perché specificamente raccomandata
dall’OMS);
I prodotti farmacologici che fondano la loro azione
sul solo principio attivo del levonorgestrel sono gli
unici ad essere approvati dall’AIFA per l’utilizzo come contraccettivi d’emergenza. Sono stati immessi
al commercio in Italia con un provvedimento emesso il 26 settembre 2000 dall’allora ministro della salute Umberto Veronesi e vengono proposti in due
diverse tipologie di confezioni:
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha valutato positivamente, in termini di efficacia e sicurezza, i preparati a base di solo levonorgestrel, includendoli nella sua lista di farmaci essenziali e collocandoli per la contraccezione in classe 1, vale a dire in quella categoria che non richiede restrizioni
d’uso del metodo.
In Italia, tuttavia, le iniziative volte ad allinearci alla
tendenza europea maggioritaria, nonché a dare più
incisiva applicazione alla Risoluzione del Parlamento Europeo che impone agli Stati membri di agevolare, per quanto possibile, l’accesso alla contraccezione d’emergenza a prezzi accessibili, non sono
andate a buon fine, cosicché la somministrazione
di compresse di levonorgestrel è tuttora subordinata alla presentazione di una ricetta medica non ripetibile.
Diritto
L’obiezione di coscienza tra diritti del medico e tutela del paziente.
Aspetti applicativi nel panorama sanitario emergente dalla riforma Balduzzi
La donna che intenda ricorrere a questo preparato farmaceutico, perciò, dovrà rivolgersi al suo medico di fiducia, al ginecologo, ad un pronto soccorso ospedaliero, ad un presidio di guardia medica o
a una struttura consultoriale al fine di ottenere tale
ricetta. I consultori, in particolar modo, sono le sedi che istituzionalmente vengono deputate a questo
scopo dalla loro disciplina istitutiva: la legge n. 405
del 1975, infatti, tra i vari obiettivi prefissi all’esercizio delle loro attività, inserisce all’art. 1 “la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le
finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo
in ordine alla procreazione responsabile”.
Al fine poi di consentire nel miglior modo possibile il raggiungimento di questi risultati, il documento d’Intesa Stato-Regioni per l’applicazione della
legge n. 194, approvato il 15 febbraio 2008, sottolinea la necessità di garantire congrui orari d’apertura dei consultori “anche prevedendo l’accoglienza
senza appuntamento e con carattere di precedenza
per alcune richieste come: contraccezione d’emergenza, inserimento di IUD [...]”, nonché di prevedere
la prescrizione della c.d. pillola del giorno dopo altresì nei servizi di continuità assistenziale (o guardia medica) e nelle postazioni di pronto soccorso.
Ben definito è, quindi, il diritto della donna alla prescrizione dei metodi post-coitali di prevenzione della gravidanza.
Questo diritto, tuttavia, si scontra sovente, nella realtà concreta, con il rifiuto espresso dalla componente medica obiettrice di collaborare alla somministrazione del levonorgestrel, in quanto ritenuto un
gesto portatore dello stesso disvalore morale proprio di un intervento abortivo.
In questi casi, in realtà, non può parlarsi di vera e
propria obiezione, bensì di “clausola di coscienza”.
Nel nostro ordinamento sanitario, infatti, l’obiezione di coscienza secundum legem è prevista e disciplinata solo in tre casi tipici: il processo di interruzione volontaria di gravidanza come descritto dalla legge n. 194 del 1978; l’applicazione di tecniche di
procreazione medicalmente assistita ex art. 16, legge n. 40 del 2004; l’effetuazione di pratiche di sperimentazione animale (legge n. 413 del 1993).
In ogni altro caso nel quale il professionista sanitario reputi una determinata prestazione medica, ri-
entrante nelle sue competenze ed a lui legittimamente richiesta, come portatrice di grave disvalore morale ed inaccettabile secondo le sue personali ed intime convinzioni etiche, filosofiche o religiose, ed intenda pertanto rifiutarsi di adempierla,
egli dovrà rivolgersi all’art. 22 del Codice di Deontologia Medica.
Questa norma introduce nel nostro sistema la c.d.
clausola di coscienza, prevedendo la libertà del medico di rifiutare un certo servizio, qualora contrasti
con le proprie convinzioni etico-religiose o cliniche.
Essa, tuttavia, data la particolare ampiezza della facoltà che attribuisce al professionista ed onde prevenire indebiti nocumenti ai diritti del paziente, impone come limite invalicabile la necessità di
non recare, con tale omissione, un grave ed immediato danno alla salute della persona che al medico
si rivolge, preoccupandosi poi di sottolineare come
permanga in ogni caso il dovere, indipendentemente dalle opinioni personali del sanitario, di fornire al
cittadino ogni utile informazione o chiarimento.
Tali esigenze sono state ribadite anche dal Comitato Nazionale di Bioetica, il quale, nella “Postilla” alla sua nota del 28 maggio 2004 (in tema di contraccezione di emergenza), riconoscendo come l’ampliamento della libertà riconosciuta al medico rechi con sé conseguenze di rilievo per la possibilità del paziente di accedere alle terapie chirurgiche
o farmacologiche appropriate senza incorrere in disagi aggiuntivi, invita espressamente le Autorità e
le Istituzioni competenti a vigilare ed eventualmente ad adottare concreti provvedimenti affinché l’esercizio della clausola di coscienza da parte degli
operatori del Sistema Sanitario Nazionale non implichi “difficoltà rilevanti e una restrizione di fatto
delle libertà e dei diritti civili e sociali” a carico dei
pazienti.
Alla luce della nuova normativa, e segnatamente dei principi di continuità assistenziale e di coinvolgimento del paziente nell’effettuazione di scelte consapevoli, deve ritenersi che tale vigilanza dovrà necessariamente acuirsi e tradursi in concreti interventi a tutela dell’effettivo diritto della donna a ricevere, con la prontezza e tempestività che
la somministrazione del levonorgestrel imprescindibilmente richiede, la prescrizione del contraccettivo d’emergenza.
31
Diritto
L’obiezione di coscienza tra diritti del medico e tutela del paziente.
Aspetti applicativi nel panorama sanitario emergente dalla riforma Balduzzi
Infine, per completezza espositiva, non può non accennarsi al fatto che la stessa validità dell’esercizio
della clausola di coscienza in relazione alla prescrizione di farmaci a base di solo levonorgestrel debba
in realtà, alla luce delle più recenti scoperte scientifiche, ritentersi assai dubbia.
nello stadio pre-ovulatorio interferisce con il processo di rilascio dell’ovulo, arrestandolo o dilazionandolo, e previene quindi la fertilizzazione; qualora invece l’assunzione del principio attivo avvenga
ad ovulazione già avvenuta, il levonorgestrel non è
in grado di provocare alcun effetto.
Fino a pochi anni fa, infatti, si riteneva che il suddetto principio attivo agisse essenzialmente secondo due meccanismi alternativi: se assunto nella fase pre-ovulatoria, esso avrebbe provocato un semplice blocco o ritardo dell’ovulazione, dispiegando
un’efficacia analoga a quella propria degli ordinari strumenti contraccettivi su base ormonale, i quali, appunto, inibiscono il rilascio dell’ovulo da parte
delle ovaie; in caso invece di assunzione del farmaco nella fase post-fertilizzazione, la sua azione sarebbe stata ricollegabile ad una modificazione della mucosa uterina o della motilità tubarica, frapponendosi così al trasporto dell’ovulo fecondato o
all’annidamento dello stesso nell’endometrio.
Queste precisazioni scientifiche sono suffragate anche dalle affermazioni più aggiornate dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la quale ha dichiarato come la c.d. pillola del giorno dopo non sia
in grado di impedire né l’ingresso dello spermatozoo nell’ovulo, né l’impianto dell’embrione nell’endometrio; una volta avvenuto tale impianto, inoltre,
la contraccezione d’emergenza non produce alcun
effetto abortivo, né pregiudica in alcun modo il sano e regolare sviluppo del concepito.
Questo possibile meccanismo di azione antinidatorio era ciò che fondava le critiche del panorama medico obiettore. Nonostante, infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità riconoscesse, come tuttora riconosce, l’inizio della gravidanza solo nel momento dell’impianto dell’embrione in utero, taluni
ritenevano che sin dal momento della fecondazione si affacciasse alla vita un nuovo essere umano
in fieri, dotato di un proprio originale corredo cromosomico, unico e irripetibile: un soggetto vivente
potenzialmente dotato di una propria individualità,
che attraverso un processo ininterrotto e graduale giunge al completamento della sua formazione.
La soppressione della vita in via di sviluppo dopo
l’avvenuta fecondazione avrebbe dunque configurato una vera e propria fattispecie abortiva, contro
la quale ricorrere alla clausola di coscienza o persino, in via estensiva, al diritto di obiezione.
Le considerazioni finora illustrate, tuttavia, sono
state recentemente sconfessate dalle ultime scoperte scientifiche in ordine alla concreta efficacia
preventiva del levonorgestrel.
32
La sua presunta azione intercettiva o antinidatoria, in particolare, è stata smentita dagli studi clinici condotti negli ultimi anni: è stato ampiamente
dimostrato come la somministrazione del farmaco
Poiché, tuttavia, l’effetto antinidatorio è ancora citato in molti foglietti illustrativi dei preparati a base di levonorgestrel, la Federazione Internazionale di Ostetricia e Ginecologia (FIOG) e il Consorzio
Internazionale per la Contraccezione d’Emergenza (CICE) hanno diramato un documento descrittivo dello stato della materia sui meccanismi d’azione del principio attivo. In questo comunicato, inoltre, si chiede la modifica dei fogli illustrativi non ancora corretti.
Il farmaco, dunque, non impedisce lo sviluppo
dell’embrione ove sia già iniziato, perciò non può
mai essere considerato abortivo, qualunque sia la
definizione di gravidanza che si ritiene valida.
Alla luce di queste nuove conoscenze, risulta, dunque, molto difficile continuare a sostenere la validità del fondamento di un rifiuto di prescrivere le specialità farmacologiche commercializzate con i nomi di Norlevo e Levonelle: se è dimostrato che entrambe agiscono unicamente come anti-ovulatori in
una fase nella quale lo zigote non si è ancora potuto formare, non essendo avvenuta nemmeno la fecondazione, viene meno quell’esigenza di difendere
la vita dell’embrione che è posta alla base del diritto
stesso dell’obiezione di coscienza (o, in quest’ambito, del ricorso alla clausola di coscienza). L’embrione, infatti, ancora non esiste e pertanto, con riguardo ai profili di valore o disvalore morale, si dovrebbe considerare la contraccezione d’emergenza alla
stregua di un qualunque contraccettivo ormonale.
Diritto
L’obiezione di coscienza tra diritti del medico e tutela del paziente.
Aspetti applicativi nel panorama sanitario emergente dalla riforma Balduzzi
***
Il panorama sanitario attuale, alla luce di quanto testé osservato, appare dunque percorso da profondi mutamenti, riconducibili non solo al costante e fisiologico progredire della scienza medica, la quale, nel suo incessante evolversi, plasma da sempre
l’azione stessa degli operatori medico-sanitari ed il
loro lavoro, ma, altresì, ad istanze di matrice legislativa, promotrici di un intenso rinnovamento del
settore, volto ad offrire, pur ponendo la necessaria attenzione alla spesa, la massima e più completa tutela possibile della salute umana e dei diritti del
cittadino, con un importante coinvolgimento dello
stesso quale parte attiva, fautrice in prima persona
della garanzia del proprio benessere.
In un tale scenario, pertanto, occorrerà attendere per poter osservare come il sistema sanitario nel
suo complesso reagirà per adattarsi a tali mutamenti, ovverosia come le singole Regioni provvederanno
ad aderire ai principi espressi dalla recente riforma,
e, in special modo, quali strumenti sceglieranno di
adottare onde arginare, nella suddetta ottica di garanzia per l’individuo e di offerta di un’assistenza sanitaria adeguata, efficace e continuativa, i danni che
la diffusa carenza di medici non obiettori da anni cagiona con intollerabile ingravescenza.
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Diritto
Gli avvisi dei bandi di gara vanno ancora
pubblicati per estratto sui quotidiani?
E in caso di pubblicazione,
su chi grava il relativo costo?
Mario Zoppellari *, Viviana Tripodi **
Una serie di interventi legislativi succedutisi negli
ultimi anni, non senza talune intrinseche contraddittorietà, hanno finito per creare dubbi interpretativi sulla persistenza dell’obbligo per la stazione
appaltante di pubblicare per estratto gli avvisi dei
bandi di gara anche sui quotidiani.
Dal 1° gennaio 2013, poi, si pone l’ulteriore problematica dell’individuazione del soggetto sul quale
debbano eventualmente gravare i relativi costi.
Occorre in primo luogo procedere ad una disamina
dei recenti interventi normativi che hanno posto in
dubbio la perdurante sussistenza dell’obbligo per le
stazioni appaltanti di pubblicare gli avvisi ed i bandi
di gara per estratto sui quotidiani.
Come noto, la disposizione di riferimento in materia di pubblicazione di atti di gara è l’art. 66 del Codice dei Contratti Pubblici, che disciplina nel dettaglio le modalità di pubblicazione di bandi di gara ed
avvisi e ne individua, altresì, le tempistiche e gli effetti giuridici.
L’art. 66, al comma 7, prescrive come la pubblicazione degli avvisi e dei bandi debba avvenire “per
estratto su almeno due dei principali quotidiani a
diffusione nazionale e su almeno due a maggiore
diffusione locale nel luogo ove si eseguono i contratti ”.
Parimenti, per i contratti di lavori pubblici sotto soglia, l’art. 122, comma 5, d.lgs. n. 163 del 2006, prevede che l’avviso sui risultati della procedura di affidamento ed i bandi relativi a contratti di importo
pari o superiore a cinquecentomila euro siano pubblicati “per estratto, a scelta della stazione appaltante, su almeno uno dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno uno dei quotidiani a
34
(*) Prof. avv., Studio Legale Zoppellari.
(**) Avv., Studio Legale Zoppellari.
Una serie di interventi legislativi negli
ultimi anni hanno finito per creare dubbi
interpretativi sulla persistenza dell’obbligo
per la stazione appaltante di pubblicare
gli avvisi dei bandi sui quotidiani.
Inoltre, sorge anche la problematica
dell’individuazione del soggetto
sul quale gravano i costi.
L’articolo presenta una disamina
dei recenti interventi normativi,
corredata da una illustrazione delle
varie opzioni interpretative.
A conclusione, si afferma che la
pubblicazione per estratto sui quotidiani
dei bandi e degli avvisi di gara, a partire
dall’1 gennaio 2013, può ritenersi
facoltativa e non più obbligatoria.
Diritto
Gli avvisi dei bandi di gara vanno ancora pubblicati per estratto sui quotidiani?
E in caso di pubblicazione, su chi grava il relativo costo?
maggiore diffusione locale nel luogo ove si eseguono i lavori ”.
Tuttavia, tale disciplina, a partire dal 2009, è stata
oggetto di numerose modifiche.
In particolare, occorre rilevare come l’art. 32 della legge n. 69 del 2009 abbia previsto, in via generale, che le pubbliche amministrazioni debbano adempiere agli obblighi di pubblicazioni di atti e provvedimenti posti dalla legge mediante pubblicazione sul
proprio sito istituzionale.
Ulteriormente, ai sensi del comma 5 della disposizione richiamata, resta ferma “la possibilità per le
amministrazioni e gli enti pubblici, in via integrativa,
di effettuare la pubblicità sui quotidiani a scopo di
maggiore diffusione, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio”, potendosi desumere dalla norma
in parola come, per le procedure ad evidenza pubblica, la pubblicità sui quotidiani sia facoltativa e
non più doverosa.
La citata disposizione normativa è, quindi, incompatibile con quella posta dal comma 7, secondo periodo, dell’articolo 66 del d.lgs. n. 163 del 2006, che,
al contrario, prevede come doverosa la pubblicità
sui quotidiani.
In ragione di ciò, essendo lo stesso congegno qualificato come doveroso e facoltativo da due disposizioni di pari rango, l’antinomia va risolta alla luce del principio della successione cronologica tra
norme, con abrogazione implicita della disposizione
cronologicamente anteriore, dovendosi quindi ritenere come dall’1 gennaio 2013 la pubblicazione per
estratto sui quotidiani dei bandi e degli avvisi di gara sia facoltativa.
Successivamente, sull’assetto ora delineato è intervenuta, sia la legge n. 190 del 2012, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’ illegalità nella pubblica amministrazione”, sia il decreto legge n. 179 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 221 del 2012,
recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del
Paese”.
In particolare, la legge n. 190 citata, nel prevedere,
ai fini di una maggiore trasparenza dell’azione dei
pubblici poteri, la doverosa pubblicazione sui siti
delle pubbliche amministrazioni, tra l’altro, di nume-
rose informazioni relative all’affidamento di pubblici contratti, in gran parte già oggetto degli obblighi
di pubblicazione recati dalla normativa sugli appalti pubblici, ha stabilito che “restano ferme le disposizioni in materia di pubblicità previste dal codice di
cui al Decreto Legislativo n. 163 del 2006 ”.
Tale disposizione non può essere ritenuta quale
norma abrogativa della legge n. 69 del 2009, con
conseguente reviviscenza della disciplina originaria contenuta nell’articolo 66, comma 7, del d.lgs. n.
163 del 2006, in merito all’obbligatorietà della pubblicazione sui giornali degli estratti di bandi e avvisi
di gara, in quanto difettano i presupposti logico normativi per poter parlare di abrogazione dell’art. 32,
comma 5, della legge n. 69 del 2009.
In particolare, l’articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale prevede, infatti, l’abrogazione
della norma cronologicamente anteriore incompatibile con la disposizione normativa successiva.
Nel caso in questione non si ravvisa, tuttavia, alcuna incompatibilità logica tra la disposizione di cui
all’articolo 1, comma 31 della legge 190 del 2012 ed
il comma 5 dell’art. 32 della legge n. 69 del 2009, che
prevede la facoltatività della pubblicazione su quotidiani e giornali degli estratti dei bandi e degli avvisi di gara.
La legge anti corruzione fa salva la disciplina sulla pubblicazione dei bandi e degli avvisi nella sua
attuale configurazione, che non contempla più una
pubblicità obbligatoria sui giornali per estratto.
Pare, allo stesso modo, potersi escludere che incida sulla disciplina relativa alla pubblicazione sui
quotidiani degli atti di gara il decreto legge n. 179
del 2012.
L’articolo 34, comma 35, del citato decreto ha introdotto l’obbligo per l’aggiudicatario di rimborsare alla stazione appaltante le spese sostenute per
la pubblicazione sui quotidiani degli estratti di bandi
di gara e avvisi pubblici entro il termine di sessanta
giorni dall’aggiudicazione.
Precisamente la disposizione citata dispone che, “a
partire dai bandi e dagli avvisi pubblicati successivamente al 1° gennaio 2013, le spese per la pubblicazione di cui al secondo periodo del comma 7 dell’articolo 66 e al secondo periodo del comma 5 dell’arti-
35
Diritto
Gli avvisi dei bandi di gara vanno ancora pubblicati per estratto sui quotidiani?
E in caso di pubblicazione, su chi grava il relativo costo?
colo 122 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,
sono rimborsate alla stazione appaltante dall’aggiudicatario entro il termine di sessanta giorni dall’aggiudicazione”.
La disposizione richiamata non pare innovare il regime sostanziale relativo degli obblighi di pubblicazione di bandi e avvisi, incidendo solo sull’allocazione dei relativi costi.
La scelta di pubblicare gli estratti dei bandi e degli avvisi a fini di maggiore diffusione della notizia
dell’avvio e degli esiti della procedura di affidamento dei lavori, servizi o forniture è, quindi, oggetto del
potere discrezionale della stazione appaltante; i costi di questa scelta graveranno sull’aggiudicatario.
Infine, anche a voler considerare la clausola di rinforzo di cui all’art. 255 del d.lgs. n. 163 del 2006, ai
sensi del quale “ogni intervento normativo incidente sul codice, o sulle materie dallo stesso disciplinate, va attuato mediante esplicita modifica, integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in esso contenute”, non può non rilevarsi come, sotto il profilo delle fonti del diritto, nessuna norma di legge, senza apposita copertura costituzionale, sia provvista di una capacità di resistenza all’effetto abrogativo spiegato dalla norma di pari rango cronologicamente successiva, come si desume dagli articoli 70, 75 e 77 della Costituzione e
dall’articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale.
36
Si rileva, poi, che in data 5 aprile 2013 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana,
n. 80, il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, recante il “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni ”, il
cui art. 37 rubricato “Obblighi di pubblicazione concernenti i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”, ha stabilito che “Fermi restando gli altri obblighi di pubblicità legale e, in particolare, quelli previsti dall’articolo 1, comma 32, della legge 6 novembre 2012, n. 190, ciascuna amministrazione pubblica, secondo quanto previsto dal decreto legislativo
12 aprile 2006, n. 163, e, in particolare, dagli articoli
63, 65, 66, 122, 124, 206 e 223, le informazioni relative alle procedure per l’affidamento e l’esecuzione di
opere e lavori pubblici, servizi e forniture”.
Tale norma, a ben vedere, pur richiamando la disciplina sulla pubblicazione dei bandi e degli avvisi come prevista dal Codice dei Contratti pubblici, non
innova il regime sostanziale relativo agli obblighi di
pubblicazione dei bandi, regime, questo, che come
già affermato in precedenza, a seguito della legge
n. 69 del 2009 non contempla più la pubblicità obbligatoria sui giornali per estratto.
A ciò peraltro si aggiunga come le superiori argomentazioni risultino pienamente confermate dalla
stessa Autorità per la Vigilanza sui Contratti pubblici, la quale, di recente, con proprio atto di segnalazione n. 1 del 27 marzo 2013, ha rilevato come in
relazione al complesso delle disposizioni in precedenza illustrate, introdotte a seguito dei recenti interventi normativi, siano prospettabili due differenti tesi.
Secondo una prima opzione interpretativa, la clausola di salvezza delle disposizioni del Codice contenuta nel citato art. 1, comma 31, della l. n. 190 del
2012 ed il richiamo al comma 7 dell’articolo 66 e al
comma 5 dell’art. 122 del Codice, operato dall’art.
34, comma 35, del d.l. n. 179 del 2012, sarebbero
espressivi di una voluntas legis abrogativa dell’art.
32, comma 5, con conseguente piena reviviscenza
delle disposizioni in tema di obbligatoria pubblicazione sui giornali degli estratti di bandi e avvisi di
gara sancita dai richiamati articoli.
Secondo una seconda opzione interpretativa, maggiormente condivisa dalla suindicata Autorità, l’antinomia tra l’art. 66, comma 7 del Codice ed il più
volte richiamato art. 32 andrebbe risolta facendo
applicazione degli ordinari canoni ermeneutici in
tema di successione delle leggi nel tempo, con conseguente abrogazione implicita della disposizione
anteriore da parte della legge speciale successiva (cfr. art. 15, disposizioni sulla legge in generale).
Conseguentemente, l’art. 32, comma 5, della l. n. 69
del 2009, sarebbe valso a rendere meramente integrativa la pubblicità sui quotidiani di bandi ed avvisi
a decorrere dal 1° gennaio 2013.
Una tale interpretazione sarebbe, inoltre, coerente
con la ratio sottesa alla norma, tesa al progressivo
superamento della pubblicazione in forma cartacea
degli atti e dei provvedimenti concernenti procedure ad evidenza pubblica.
Diritto
Gli avvisi dei bandi di gara vanno ancora pubblicati per estratto sui quotidiani?
E in caso di pubblicazione, su chi grava il relativo costo?
In effetti, ha sottolineato l’Autorità, “dalla lettura congiunta delle norme in esame, non sembrano
emergere profili di incompatibilità logico-giuridica
tra la facoltatività della pubblicazione sui quotidiani,
da un lato, e le successive disposizioni della legge
anticorruzione ed in tema di spese di pubblicazione,
dall’altro. Ciò in quanto la l. n. 190 del 2012 non effettua alcun riferimento esplicito alla pubblicazione
sui quotidiani, limitandosi dunque a fare salva la disciplina generale sulla pubblicazione dei bandi e degli avvisi dettata dal Codice; parimenti, potrebbe sostenersi che l’obbligo per l’aggiudicatario di rimborsare alla stazione appaltante le spese sostenute per
la pubblicazione sui quotidiani operi esclusivamente nel caso in cui la stazione appaltante abbia scelto di ricorrere a detta forma di pubblicità in via integrativa, al fine di assicurare una maggiore diffusione della notizia dell’avvio e della conclusione della
procedura di gara”.
Al riguardo, sostiene ancora l’Autorità, occorre
sottolineare che “nel caso di contratti complessi,
eventualmente articolati in più lotti, che richiedano
la pubblicazione di una pluralità di elementi, la stessa, quand’anche per estratto sui quotidiani, comporta una spesa di non modesta entità, soprattutto se comparata con i costi di pubblicazione in GURI. Inoltre, non può non considerarsi che la previsione normativa che pone a carico dell’aggiudicatario
le spese di pubblicazione, soprattutto avuto riguardo
ad appalti di importo non particolarmente rilevante,
potrebbe influire anche sui ribassi d’asta offerti in
gara da parte dei concorrenti, in quanto tutti possi-
bili aggiudicatari e, quindi, potenzialmente tenuti al
rimborso delle spese in caso di effettiva aggiudicazione”.
In relazione a quanto precede, non assume valore
dirimente la clausola di resistenza disposta dall’art.
255 del Codice, secondo cui “ogni intervento normativo incidente sul codice, o sulle materie dallo stesso disciplinate, va attuato mediante esplicita modifica, integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in esso contenute”.
Come osservato dall’Autorità (cfr. determinazione
n. 4 del 29 marzo 2007), infatti, sia la dottrina che la
giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost. sentenza 13 gennaio 1972, n. 4) hanno precisato che il
fatto stesso che tali clausole di resistenza siano disposte da fonti subordinate alla Costituzione porta ad escludere che le norme cui si riferiscono possano resistere agli effetti abrogativi determinati da
leggi incompatibili.
La giurisprudenza amministrativa, inoltre, ha avuto modo di osservare in merito che “per considerare
esplicita una norma abrogante non è indispensabile
che essa individui la norma abrogata menzionandone
la data e gli estremi numerici, essendo sufficiente la
chiara indicazione del contenuto della norma abrogata” (cfr. T.A.R. Umbria, 31 gennaio 2008, n. 46).
Alla luce delle superiori considerazioni, quindi, può
pacificamente ritenersi che la pubblicazione per
estratto sui quotidiani dei bandi e degli avvisi di gara, a partire dall’1 gennaio 2013 si debba considerare facoltativa e non più obbligatoria.
37
Economia
e Management
La gestione del percorso riabilitativo
attraverso l’utilizzo della Rete:
il Dipartimento Interaziendale
Metropolitano di Riabilitazione
Maria Antonietta Banchero *
Quali sono i fattori critici di successo e i meccanismi
operativi di un modello organizzativo dipartimentale
interaziendale, di integrazione ospedale-territorio,
che consenta di realizzare un percorso continuativo
di presa in carico del paziente con disabilità al fine di
aumentare l’efficacia, l’efficienza e l’appropriatezza
dell’intero processo, minimizzando gli attuali difetti? È possibile individuare dei Percorsi Diagnostico
Terapeutici Assistenziali, basati sulle evidenze della
letteratura e condivisi tra le Unità Operative coinvolte, al fine di garantire al paziente un percorso riabilitativo nel setting più appropriato nelle diverse fasi
di cura? A queste domande l’ASL Milano ha cercato
di rispondere tramite la progettazione di un Modello
Metropolitano di Dipartimento Interaziendale di Riabilitazione.
La riabilitazione
La riabilitazione (come definizione) è un processo
per la soluzione dei problemi e/o per l’educazione
nel corso del quale si porta una persona a raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale, con la minor
restrizione possibile delle sue scelte operative.
Il processo riabilitativo coinvolge quindi anche la
famiglia del soggetto e quanti sono a lui vicini, e di
conseguenza il processo riabilitativo riguarda, oltre
che aspetti strettamente clinici, anche aspetti psicologici e sociali. Per raggiungere un buon livello
di efficacia qualsiasi progetto di riabilitazione, per
qualsiasi individuo, deve quindi essere mirato su
obiettivi plurimi, programmati in maniera ordinata,
perché l’autonomia raggiungibile nei diversi ambiti possa tradursi in autonomia della persona nel suo
complesso e comunque in una migliore qualità, della vita della persona.
38
(*) Direzione Generale Salute, Regione Lombardia.
What are the critical success factors
and operational mechanisms of an interdepartmental organisational model,
aimed to integrate hospitals with the
territory, that allow for the provision
of a continuous path to take charge of
a patient with disabilities, in order to
increase the effectiveness, efficiency and
appropriateness of the entire process,
and minimise current weaknesses? Is
it possible to locate Clinical Pathways,
based on evidence from the literature
and shared among the operating units
involved, in order to ensure the patient
a rehabilitation programme in the
setting most appropriate at different
stages of care? To these questions,
ASL Milan has sought to respond by
designing a model: the metropolitan interdepartmental model of rehabilitation.
Parole chiave
Riabilitazione, reti ospedaliere, PDT/PDTA
Key words
Rehabilitation, hospital network,
clinical and care pathways
Economia
e Management
La gestione del percorso riabilitativo attraverso l’utilizzo della Rete:
il Dipartimento Interaziendale Metropolitano di Riabilitazione
La riabilitazione in caso di episodio acuto ha inizio dal momento dell’intervento terapeutico in fase
acuta e per questo occorre da subito prevedere le
condizioni che possono facilitare il successivo passaggio alla fase più propriamente riabilitativa.
Sul piano operativo è utile distinguere fra interventi riabilitativi prevalentemente di tipo sanitario e interventi riabilitativi prevalentemente di tipo sociosanitario o sociale, facenti capo a specifiche reti integrate di servizi e di presidi riabilitativi, a loro volta necessariamente intimamente connesse. Si definiscono quali “attività sanitarie di riabilitazione” gli
interventi valutativi, diagnostici terapeutici e le altre procedure finalizzate a portare il soggetto affetto da menomazioni a contenere o minimizzare la sua
disabilità, e il soggetto disabile a muoversi, camminare, parlare, vestirsi, mangiare, comunicare e relazionarsi efficacemente nel proprio ambiente familiare lavorativo, scolastico e sociale. Si definiscono
“attività di riabilitazione sociale” le azioni e gli interventi finalizzati a garantire al disabile la massima partecipazione possibile alla vita sociale con la
minor restrizione possibile delle sue scelte operative indipendentemente dalla gravità delle menomazioni e delle disabilità irreversibili al fine di contenere la condizione di handicap.
Le attività sanitarie di riabilitazione, ad eccezione
di quelle di semplice terapia fisica strumentale per
disabilità minimali, segmentarie e/o transitorie, richiedono obbligatoriamente la presa in carico clinica globale della persona mediante la predisposizione di un progetto riabilitativo individuale e la sua
realizzazione mediante uno o più programmi riabilitativi.
La tematica della riabilitazione viene trattata già
nel PSN 2003-2005 dove, in un paragrafo dedicato,
si fa riferimento ai servizi di riabilitazione non solo
in termini di strutture territoriali nelle quali i servizi vengono erogati ma anche alla riabilitazione a domicilio. Gli obiettivi da perseguire sono l’unitarietà
dell’intervento mediante un approccio multidisciplinare e la predisposizione di un progetto riabilitativo
personalizzato a seconda dei bisogni.
novative di erogazione dei servizi sanitari, finalizzati a sviluppare collegamento tra il livello ospedaliero e quello territoriale è una delle sfide più importanti per i sistemi sanitari moderni (Cotter et al.,
2002; Coleman e Berenson, 2004; Hofmarcher et al.,
2007), con particolare riferimento allo spostamento
dell’asse di cura come necessità per un Paese che
invecchia rapidamente come il nostro (Croce, 2013).
In Italia l’integrazione fra ambito ospedaliero e territoriale è certamente un tema caldo nei documenti di programmazione sanitaria nazionale sin dai primi anni 2000, sebbene con una focalizzazione diversa: si passa dall’esplicitazione di aree specialistiche di intervento (il PSN 2003-2005 accordava
maggiore rilevanza alla riabilitazione e già dal 2001
si sottolineava l’urgenza di risposta per le cure palliative) alla prefigurazione di modelli di ospedalizzazione domiciliare e di ospedale di comunità (PSN
2006-2008).
In questo percorso di cambiamento del Sistema Sanitario Nazionale, la struttura organizzativa costituisce il primo elemento sul quale risulta necessario intervenire. Il proliferare di diverse modalità organizzative rappresenta attualmente una base importante per accendere un dibattito sulla sostenibilità di tali modelli e sui cambiamenti organizzativi
che devono essere ancora apportati per incrementare la loro efficacia ed efficienza in modo coerente
con le dimensioni sociologiche e culturali dei professionisti, dell’organizzazione e del contesto socio-sanitario.
L’organizzazione delle reti ospedaliere è uno dei temi centrali nell’agenda degli studiosi di management, delle direzioni strategiche aziendali e dei policy maker, a seguito dei rilevanti cambiamenti sociali, epidemiologici, ambientali e tecnologici che
stanno investendo la Sanità con estrema dinamicità e velocità.
L’organizzazione in rete
La struttura dipartimentale nasce dalla necessità di
risolvere i problemi relativi all’efficienza e alla qualità clinico-assistenziale che rappresentano i principali limiti dell’organizzazione ospedaliera di tipo
funzionale basata cioè sulla creazione di Unità Operative e servizi diagnostici che fanno riferimento a
singole discipline (Capasso e Pascarella, 2005).
L’identificazione e l’attuazione delle modalità in-
Dal punto di vista dell’offerta, i sistemi sanitari so-
39
Economia
e Management
La gestione del percorso riabilitativo attraverso l’utilizzo della Rete:
il Dipartimento Interaziendale Metropolitano di Riabilitazione
no sempre più caratterizzati da una scarsità di risorse economiche e finanziarie, mentre i progressi delle tecnologie e delle tecniche mediche offrono enormi possibilità di rispondere in modo sempre
più efficace alle malattie nel loro stadio di acutizzazione. Perciò è fondamentale concentrare le tecnologie più costose e la casistica più complessa presso poche sedi ospedaliere (Bensa et al., 2008) e, allo
stesso tempo, trasferire presso gli ospedali di prossimità alcune tecnologie e determinati tipi di interventi e procedure sanitarie che sono diventati di
routine ed eseguibili anche con un numero basso di
casi trattati.
In linea con queste necessità emergenti, il dipartimento risulta una soluzione efficace per amministrare e gestire in modo diverso il servizio sanitario, in particolare nelle strutture ospedaliere, dato
che consente di ridisegnare l’assetto organizzativo in modo tale da accorpare le UU.OO. con specializzazioni complementari o strettamente interrelate
favorendo così la collaborazione, l’integrazione delle competenze e delle responsabilità, un uso comune delle risorse economiche, strumentali e umane e
infine un maggior coinvolgimento e la valorizzazione delle professionalità (Pesaresi, 2000).
Il presupposto di base della riprogettazione delle
reti ospedaliere è che sia indispensabile la ricerca dell’integrazione tra strutture di ricovero, nonché la routinizzazione di procedure difficili in modo da soddisfare i seguenti importanti fabbisogni
(Edwards et al., 2004):
1. la garanzia della sicurezza e della qualità delle
prestazioni, attraverso la concentrazione della
casistica in modo da favorire la specializzazione
delle équipe mediche;
2. il mantenimento dell’accessibilità ai servizi ospedalieri per le collettività più distanti dai centri di
alta specializzazione, mantenendo negli ospedali di prossimità alcune importanti funzioni, come
ad esempio un punto di primo soccorso, ambulatori specialistici, Day Hospital, servizi diagnostici e riabilitazione;
40
3. il recupero di efficienza, da un lato con investimenti mirati in relazione alla riorganizzazione
delle specialità e dell’assistenza all’interno della
rete ospedaliera, dall’altro attraverso la preven-
zione del ricovero ospedaliero, una migliore organizzazione delle degenze e lo sviluppo dell’assistenza post-ospedaliera;
4. il raggiungimento di una flessibilità organizzativa e produttiva adeguata, in modo da rispondere
proattivamente ai cambiamenti dei bisogni sanitari e dell’offerta.
A ciò si aggiunge la crescente importanza delle tematica della continuità delle cure, da decenni al
centro degli studi di management sanitario. In questo quadro, risulta evidente come la ricerca di soluzioni organizzative che garantiscano integrazione
tra ospedale e territorio abbia un’importanza strategica in termini di programmazione sanitaria.
La riabilitazione in rete
Lo svolgimento delle attività riabilitative deve essere costantemente aggiornato, al fine di garantire gli
interventi sanitari appropriati, la continuità dei percorsi delle cure e la razionalità nell’uso delle risorse con interventi integrati.
Come abbiamo visto, la programmazione secondo il
concetto di rete è una logica di organizzazione che
pone prioritariamente in rilievo le relazioni funzionali rispetto all’organizzazione interna della singola realtà organizzativa.
Per l’area della riabilitazione l’attuazione di un
modello di rete Hub & Spoke prevede una configurazione organizzativa delle strutture assistenziali e un sistema di governo dei processi in grado di offrire continuità di cura. Con la riorganizzazione della rete ospedaliera secondo tale modello, in particolare nel passaggio dalla fase riabilitativa a quella degli esiti, si possono realizzare specifici sistemi di coordinamento e integrazione tra i
servizi di riabilitazione e i servizi territoriali in grado di garantire la continuità assistenziale nella fase degli esiti.
In quest’ottica diventa elemento centrale la definizione delle relazioni funzionali sia tra le diverse realtà organizzative sia all’interno di ciascuna, al fine
di combinare le esigenze di qualità e di efficienza
operativa di ciascuna struttura operativa con le ragioni dell’efficienza allocativa del sistema.
Analogamente si può garantire l’equità di accesso
Economia
e Management
La gestione del percorso riabilitativo attraverso l’utilizzo della Rete:
il Dipartimento Interaziendale Metropolitano di Riabilitazione
della popolazione a un intervento sanitario di qualità e appropriato e diventa indispensabile delineare
le caratteristiche che devono possedere i vari punti della rete al fine di garantire le funzioni assegnate nell’ambito della rete attraverso la collaborazione tra i servizi che costituiscono la rete, secondo i
diversi livelli di complessità dell’intervento attribui­
ti ai medesimi.
gabili in altra forma, con la possibilità di interazioni con altre discipline specialistiche. Questo modello diventa garanzia di continuità terapeutica con il
momento acuto della patologia disabilitante, specie
per le persone con alto rischio di sviluppo di complicanze e riduzione o perdita del potenziale di recupero attraverso una presa in carico multiprofessionale e interdisciplinare.
Pertanto, si può fornire una risposta differenziata in
relazione alle diverse caratteristiche e complessità
delle disabilità attraverso la disponibilità di un setting riabilitativo completo di tutte le fasi ospedaliere e territoriali per la realizzazione del Progetto Riabilitativo Individuale (PRI).
Nell’ambito dell’organizzazione della rete Hub &
Spoke viene individuata una serie di nodi distinti
per la fase del percorso in cui si collocano e per le
caratteristiche dell’intervento che sono chiamati a
portare. Questa organizzazione capillare con particolare riferimento alla fase territoriale consente
alla persona di avere un riferimento certo che segue tutto il suo percorso post-ricovero mantenendo un’osservazione e un monitoraggio dell’evoluzione del quadro clinico. Inoltre, tale modello costituisce un riferimento per tutti gli operatori del settore
sociale che possono intervenire nel percorso di cura integrando le azioni di recupero e assumendo la
responsabilità della gestione della persona al termine del percorso riabilitativo.
Quanto sopra esposto permette la realizzazione di un
modello organizzativo-funzionale focalizzato sui bisogni del paziente, per la realizzazione del quale deve essere necessariamente fornito un sistema di garanzia
sull’intero percorso. Infatti, l’integrazione delle risorse e delle competenze disponibili nell’ambito dell’offerta di servizi sia da parte delle strutture pubbliche
sia da parte di quelle private può essere realizzata attraverso un governo clinico complessivo del sistema
di rete con l’adozione di Linee guida condivise, la definizione e condivisione dei percorsi clinico-assistenziali, lo sviluppo delle attività di audit clinico, la raccolta sistematica di indicatori di performance.
Il modello Hub & Spoke si configura come un sistema di relazioni fra unità produttive in cui i pazienti sono trasferiti verso una o più unità centrali di riferimento (gli Hub) quando la soglia di complessità degli interventi previsti nelle sedi periferiche
(gli Spoke) viene superata (Ministero della Salute,
2011). In tale concezione si può anche parlare di una
razionalizzazione del sistema produttivo con la produzione di attività complesse in centri di riferimento e l’attenzione si sposta sulle relazioni funzionali rispetto all’organizzazione interna delle unità produttive. Nell’ambito della rete le Strutture Degenziali di Riabilitazione Intensiva vedono concentrata
la produzione dell’attività assistenziale e riabilitativa con la competenza del medico specialista in riabilitazione dirette al recupero funzionale di persone con disabilità complesse emendabili di natura e
gravità tali da rendere necessaria la tutela medica
e interventi di nursing a elevata specificità, nonché
interventi valutativi e terapeutici intensivi non ero-
Le best practice di riferimento
A livello regionale, si segnala la recente esperienza di Regione Puglia, che nel marzo di 2013, ha
emanato un Regolamento Regionale sul Dipartimento di Medicina Fisica e Riabilitazione, sottolineando l’importanza di attuare un coordinamento dipartimentale, quindi sovra-distrettuale e sovra-ospedaliero delle attività di Medicina Riabilitativa. Secondo quanto stabilito dal suddetto Regolamento Regionale, il Dipartimento Funzionale
di Medicina Fisica e Riabilitazione di Regione Puglia si pone l’obiettivo di rappresentare lo snodo
reale della clinical governance in quanto assume
la funzione di coordinamento del sistema riabilitativo in modo da assicurare i Livelli Essenziali di Assistenza previsti all’interno dell’Area Distrettuale. Il Dipartimento Funzionale di Medicina Fisica e
Ria­bilitazione “negozia le risorse attraverso le Direzioni dei Distretti Socio-Sanitari, nonché le Direzioni Mediche di Presidio Ospedaliero al cui interno siano presenti le unità operative di medicina fisica e riabilitazione. Il Dipartimento assicura, altre-
41
Economia
e Management
La gestione del percorso riabilitativo attraverso l’utilizzo della Rete:
il Dipartimento Interaziendale Metropolitano di Riabilitazione
sì, le prestazioni nell’ambito del budget assegnato
a seguito della suddetta procedura di negoziazione
e rendiconta annualmente sugli obiettivi assegnati” (Regione Puglia, Regolamento Regionale, 4 marzo 2013, n. 6).
Un’ulteriore best practice regionale si individua nella Regione Piemonte che, con l’intento di riorganizzare le attività riabilitative al fine di garantire equità di accesso alle prestazioni, copertura della rete
dei servizi, appropriatezza clinica e continuità assistenziale, ha attivato in rete una serie di percorsi
predefiniti di continuità assistenziale da realizzarsi
attraverso una gestione interdisciplinare e una particolare integrazione tra la fase ospedaliera e quella territoriale (Regione Piemonte, Bollettino Ufficiale, n. 17 del 26 aprile 2007).
Per quanto riguarda la Regione Veneto, segnaliamo invece l’esperienza dell’Ospedale riabilitativo di
Motta di Livenza e dell’ULSS 9 di Treviso che hanno implementato un Dipartimento Interaziendale e
di Coordinamento Clinico, che ha l’obiettivo di svolgere funzioni di integrazione fra le attività clinico riabilitative effettuate dalla struttura e quelle della
rete dei servizi riabilitativi svolti dall’azienda ULSS
9 in un ambito di collaborazione interaziendale. Il dipartimento intende inoltre promuovere e sviluppare
collaborazioni in ambito clinico, formativo di ricerca
fra l’Ospedale Riabilitativo di Alta Specializzazione
e altre strutture sanitarie e socio sanitarie a livello
locale, regionale e nazionale.
42
Anche l’Azienda USL 8 di Arezzo si è attivata in
questa direzione, concorrendo attraverso le varie strutture organizzative coinvolte, allo sviluppo
a rete del Sistema Sanitario Regionale attraverso
la partecipazione ai DICT – Dipartimenti Interaziendali di Coordinamento Tecnico di Area Vasta. I Dipartimenti sono macrostrutture, dotati di autonomia operativa e gestionale e con l’intento di favorire la gestione unitaria delle risorse economiche,
umane e strumentali, una gestione coerente e sinergica degli aspetti diagnostici, terapeutici e riabilitativi, il perseguimento del livello più elevato di
appropriatezza delle cure e la tempestività e coerenza nell’erogazione delle prestazioni. Tra gli ambiti tecnico professionali viene individuata l’Agenzia della Riabilitazione.
Il contesto di riferimento
Grazie all’attività avviata da Regione Lombardia
attraverso il Gruppo di Approfondimento Tecnico
(GAT) per il coordinamento e l’integrazione delle
politiche regionali a favore delle persone con disabilità, è possibile delineare un quadro generale del
settore.
In Lombardia la Riabilitazione è una delle specialità
con più alto volume di prestazioni e che vanta ben
11.552 Posti Letto (di seguito PL), tra Assessorato
Sanità e Famiglia, come riportato in figura 1.
Figura 1 – Posti Letto della Riabilitazione per
Assessorato competente e tipologia
8000
7000
7018
Sanità
Famiglia
6000
5000
4000
3000
1670
2000
1000
0
1056
454
Specialistica
973
118
Generale e
geriatrica
Mantenimento
stabilizzazione
reinserimento
118 145
Day hospital
Fonte: Dati GAT, 2011
In particolare, dei 8.310 PL dell’Assessorato Sanità,
1.511 rientrano nell’ASL Milano, con tasso di 0,7%
PL per 1.000 abitanti (vedi tabella 1).
Nella tabella 2 viene invece offerto un dettaglio rispetto alle tipologie di strutture riabilitative presenti nell’ASL Milano.
All’interno di questo contesto si trovano a operare le quattro Aziende Ospedaliere del territorio della città di Milano – A.O. Niguarda Ca’ Granda, A.O.
Istituto Gaetano Pini, A.O. Sacco, A.O. Istituti Clinici di Perfezionamento – cha fanno parte del progetto di seguito illustrato.
La tabella 3 offre alcune specifiche rispetto alle sopracitate strutture.
Economia
e Management
La gestione del percorso riabilitativo attraverso l’utilizzo della Rete:
il Dipartimento Interaziendale Metropolitano di Riabilitazione
Tabella 1 – Posti Letto Riabilitazione dell’Assessorato
Sanità per ASL di appartenenza
n. PL
PL per 1.000
abitanti
n. PL Day
Hospital
Bergamo
773
0,64
27
Brescia
1.140
0,94
56
Como
659
1,1
0
Cremona
270
0,7
50
Lecco
254
0,74
0
Lodi
113
0,49
12
Mantova
329
0,79
10
Provincia
Milano città
88
1.511
Milano 1
411
0,7
30
Milano 2
300
Monza Brianza
495
0,6
30
Pavia
911
1,6
63
Sondrio
206
0,11
17
Varese
769
0,86
21
Val Camonica
41
0,34
8
10
Fonte: Dati GAT, 2011
Obiettivi del progetto
Alla luce di quanto esposto finora, ci si è posti l’obiettivo di individuare i fattori critici di successo e
i meccanismi operativi di un modello organizzativo
dipartimentale interaziendale, di integrazione ospedale-territorio, che consenta di realizzare un percorso continuativo di presa in carico del paziente
con disabilità al fine di aumentare l’efficacia, l’effi-
cienza e l’appropriatezza dell’intero processo, minimizzando gli attuali difetti.
Obiettivo secondario è stato poi quello di individuare dei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali, basati sulle evidenze della letteratura e condivisi tra le UU.OO. coinvolte, al fine di garantire al
paziente un percorso riabilitativo nel setting più appropriato nelle diverse fasi di cura.
Proponiamo quindi di seguito gli sviluppi operativi
del modello del Dipartimento Interaziendale di Riabilitazione (DIR) della Città di Milano, modello implementato con lo scopo primario di garantire la governance complessiva del sistema riabilitativo attraverso l’appropriatezza (del ricovero e della dimissione) e l’efficienza delle prestazioni di riabilitazione ospedaliera, nonché garantire continuità di cura attraverso un approccio integrato con il territorio. Si specifica, infatti, che a monte il modello prevede l’integrazione con l’Azienda Sanitaria Locale –
ASL di Milano.
Progettazione del modello organizzativo
interaziendale metropolitano della
Città di Milano
Gli attori coinvolti. Il Dipartimento Interaziendale
Metropolitano di Riabilitazione (di seguito DIR), proposto nel 2012 e accolto da quattro Aziende Ospedaliere del territorio della città di Milano – A.O. Niguarda Ca’ Granda, A.O. Istituto Gaetano Pini, A.O.
Sacco, A.O. Istituti Clinici di Perfezionamento – nel
loro Piano di Organizzazione (POA) nello stesso anno, rappresenta uno sviluppo necessario nella riabilitazione moderna al fine di garantire appropriatezza delle cure e per sistematizzare il binomio accreditamento/prestazioni.
Tabella 2 – Strutture riabilitative accreditate ASL Milano
ASL MILANO CITTÀ
Residenze
Sanitario-Assistenziali
per Disabili *
Centri Diurni
Integrati **
Comunità
Socio-Sanitarie
per Disabili **
Centro Diurno
per Disabili **
6
30
20
46
327
782
166
1.198
N. strutture
N. posti
* dati aggiornati a dicembre 2011
** dati aggiornati ad aprile 2012
Fonte: Dati GAT, 2011
43
Economia
e Management
La gestione del percorso riabilitativo attraverso l’utilizzo della Rete:
il Dipartimento Interaziendale Metropolitano di Riabilitazione
Tabella 3 – Dati attività delle AA.OO. coinvolte nel progetto nell’area della riabilitazione
A.O. Sacco
Posti Letto accreditati
A.O. ICP – Bassini
A.O. Niguarda
Istituto Ortopedico
G. Pini
RO
DH
RO
DH
RO
DH
RO
DH
11,6
0
28
1
36
0
124
0
MAC (Macroattività
Ambulatoriale
Complessa)
0
11
È in previsione la
conversione di 4 PL
in 4 MAC
0
N. Pazienti dimessi
148
-
282
16
236
-
2.166
-
Durata degenza media
(gg)
27,3
-
30
-
30,45
-
18,27
-
Personale medico
n.d.
1 Direttore
5 Medici
1 Direttore
5 Medici
1 Direttore
13 Medici
Personale
infermieristico
n.d.
10 (di cui 1
coordinatore)
12 (di cui 1
coordinatore)
26 (di cui 2
coordinatori)
9 OSS
6 OSS
1 ausiliario
3 terapisti
occupazionali
1 logopedista
2 neuropsicologi
n.d.
Altro personale
In una fase successiva (tabella 4) verrà coinvolto il
produttore Privato Accreditato con un ruolo di coordinamento a livello clinico. Infine, il modello verrà esteso a tutte le AA.OO. pubbliche della Città di
Milano (S. Carlo, S. Paolo e Fatebenefratelli) e ai 3
IRCCS pubblici (Policlinico, Besta e Istituto nazionale dei Tumori).
4 OSS
3 ausiliari e OTA
L’Assessorato competente sarà quello alla Sanità
per attività di Degenza, di specialistica Ambulatorio e di MAC (Macro attività complesse).
L’Atto Costitutivo Aziendale. Dal punto di vista formale, il DIR viene istituito con singoli atti deliberativi dei Direttori Generali delle Aziende Ospedaliere
che lo compongono. Gli atti deliberativi individua-
Tabella 4 – Fasi di implementazione del modello e attori coinvolti
Fase
Attori coinvolti
Avvio/sperimentatale
A.O. Niguarda Ca’ Granda
A.O. Istituto Gaetano Pini
A.O. Sacco
A.O. Istituti Clinici di Perfezionamento
II
Coinvolgimento AA.OO./IRRCS
ASL Milano Città
A.O. Fatebenefratelli
A.O. San Carlo Borromeo
A.O. San Paolo
Istituto Nazionale Neurologico Besta
IRCCS Policlinico
IRCCS Tumori
III
Apertura al territorio
ASL di Milano
IV
Coordinamento tecnico complessivo
Privato Accreditato
I
44
Scopo
Economia
e Management
La gestione del percorso riabilitativo attraverso l’utilizzo della Rete:
il Dipartimento Interaziendale Metropolitano di Riabilitazione
no le strutture afferenti e gli obiettivi da perseguire
nel rispetto della programmazione dell’azienda. Devono inoltre essere (i) esplicitate le modalità di elezione dei componenti del comitato di gestione del
Dipartimento Interaziendale, (ii) previste le modalità di assegnazione delle risorse necessarie al funzionamento ed al raggiungimento degli obiettivi posti; (iii) concordate le modalità adottate per una rilevazione dei dati univoca.
Le funzioni di coordinamento sono svolte dal Direttore. Tale figura, nominata tra i Direttori di Strutture Complesse delle AA.OO. che lo compongono, ha
le seguenti funzioni:
– promuovere attività per il raggiungimento degli
obiettivi prefissati;
– coordinare le strutture (ferma restando l’autonomia professionale dei Direttori di struttura);
– monitorare il rispetto dell’efficacia e dell’appropriatezza delle cure;
– decidere in accordo con le strutture i programmi
di formazione;
– gestire le relazioni con i sistemi organizzati di offerta socio-sanitaria e sanitaria privata e con il
Settore socio sanitario.
L’attività di coordinamento verrà svolta in coerenza
con l’autonomia professionale clinica ed organizzativa dei Dirigenti delle singole strutture (Semplici o
Complesse) di Medicina Fisica e Riabilitazione.
Il Direttore è coadiuvato dal Coordinatore delle professioni infermieristiche/riabilitative nella gestione
delle attività quotidiane. Occorre inoltre prevedere
anche altre figure incaricate delle attività al fine di
integrare l’operatività del DIR. Un coordinatore incaricato della qualità delle prestazioni (outcome attraverso un utilizzo estensivo delle evidenze e quindi
delle Linee guida), un coordinatore per la valutazione delle prestazioni complessive (output o efficienza per assicurare l’equità dei carichi di lavoro), ed un
coordinatore della ricerca (intesa come clinical governance nello sperimentare le conoscenze che derivano dalla ricerca clinica in modo da assicurare lo
sviluppo di prestazioni qualitativamente eccellenti).
Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali. I PDTA
hanno l’obiettivo di ridurre la variabilità nella pratica
clinica (in quanto prevedono l’utilizzo delle eviden-
ze scientifiche) attraverso il perseguimento delle evidenze cliniche e quindi dell’appropriatezza delle prestazioni e garantire omogeneità delle cure tra le strutture coinvolte nel DIR; quest’ultimo prevede quindi la
strutturazione di un percorso riabilitativo individuale, secondo le Linee guida a livello ministeriale. Tale
percorso rappresenta lo strumento con il quale il medico specialista della riabilitazione – il fisiatra – attiva il percorso riabilitativo. Il percorso, redatto esclusivamente dal fisiatra, vincola l’ingresso del paziente
nel percorso ed è requisito indispensabile per l’attivazione del percorso riabilitativo post-dimissione e avviene con valutazione fisiatrica effettuata nel reparto per acuti.
Risulta quindi evidente l’importanza di una corretta
individuazione di percorsi assistenziali riabilitativi appropriati (condivisi tra le UU.OO. convolte) che comprendano la gestione della complessità del paziente
fragile (stratificazione del paziente in base alla complessità assistenziale e comorbidità) al fine di garantire sia appropriatezza clinica sia organizzativa.
Sistema informativo (SI) integrato per la raccolta,
l’elaborazione e il trasferimento tempestivo delle
informazioni necessarie per le decisioni assistenziali ed organizzative. La raccolta univoca delle informazioni e dei dati verrà garantita da una cartella
clinica unica e condivisa da tutte le AA.OO. coinvolte nel DIR. Tale cartella, opportunamente strutturata secondo una metodologia Evidence Based Medicine, verrà compilata in tutti i suoi campi dal fisiatra responsabile del percorso riabilitativo. Il SI permette di assegnare il paziente alla U.O. più opportuna per specializzazione, allargando il numero di posti letto e di specialisti a disposizione.
Un secondo obiettivo del sistema informativo è
quello del monitoraggio: vengono individuati dei sistemi di monitoraggio organizzativo nelle diverse
fasi del processo riabilitativo. Tale tipologia di controllo viene esercitata sulle modalità organizzative di erogazione delle prestazioni al fine di verificare che le stesse siano erogate con le giuste risorse
(competenze, setting riabilitativo, ecc.).
La continuità assistenziale viene garantita attraverso l’integrazione, a valle, con il settore socio-sanitario (ASL Milano, RSA, ADI, ecc. – canali preferenziali per le AA.OO. coinvolte nel DIR) e l’appropriatezza della dimissione (dall’acuto al post-acuto).
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Economia
e Management
La gestione del percorso riabilitativo attraverso l’utilizzo della Rete:
il Dipartimento Interaziendale Metropolitano di Riabilitazione
I sistemi di integrazione con il settore socio-sanitario garantiscono gestione unitaria del percorso
di presa in carico dal momento dell’individuazione
della situazione disabilitante fino alla fase di reintegrazione nella comunità.
Al fine di garantire tempestività di risposta al bisogno e di presa in carico del cittadino sul territorio
sarà necessario individuare precisi criteri di uscita
per il DIR e in entrata per l’ASL. Tali criteri dipendono (i) dalla programmazione dell’attività riabilitativa
a livello ospedaliero, (ii) dall’autonomia del paziente
e (iii) dalla presenza del caregiver.
Ai fini della buon esito del percorso in uscita è fondamentale che gli attori coinvolti nel DIR, e in particolare i fisiatri, comunichino con il Medico di Medicina Generale (MMG), quale interlocutore fondamentale del sistema.
Fattori critici di successo
Informazione. Fondamentale ai fini della buona riuscita dell’implementazione del DIR è l’attività di
“informazione” della mission dello stesso a tutti i
professionisti che a vario titolo collaborano ed entrano in contatto con il sistema del Dipartimento.
L’esigenza informativa, infatti, non è soltanto una
necessità del personale direttamente coinvolto
nell’attività riabilitativa, ma anche di tutti i professionisti che si interfacciano anche indirettamente
con tale ambito così complesso.
Risulta fondamentale, pertanto, rendere evidente, chiaro e riconoscibile il complesso dell’attività,
i flussi informativi (verticali e orizzontali) delle comunicazioni, delle informazioni e degli output, al fine di garantire la diffusione del “senso” del lavoro
e della squadra, fermo restando l’autonomia e la responsabilità personali, imprescindibili per garantire
la qualità del servizio offerto.
La piena comprensione e consapevolezza della
“ragion d’essere” del DIR e del ruolo delle singole
UU.OO. coinvolte viene considerato un fattore critico per il successo del modello organizzativo.
46
Formazione. La formazione del personale, ivi compresa non solo formazione di tipo tecnico, ma anche
relazionale e gestionale, a tutti i livelli è condizione
essenziale per la buona riuscita del DIR.
Le attività formative sono volte a garantire e stimolare l’aggiornamento professionale e la diffusione e
condivisione di know-how, anche ad esempio con
percorsi formativi sul campo, tramite temporanee
esperienze di lavoro nelle diverse UU.OO. coinvolte,
al fine di diffondere le best practice. Sarà necessario, pertanto, attivare percorsi formativi continui di:
• perfezionamento e aggiornamento professionale degli operatori della riabilitazione al fine di assicurare lo sviluppo di competenze adeguate rispetto alle responsabilità assegnate e modalità
di lavoro che pongano sempre al centro la Persona in cura garantiscano la interdisciplinarietà
e multiprofessionalità;
• informazione di tutti gli interlocutori (medici e
non) che hanno a che fare, indirettamente, con
l’area riabilitativa, al fine di assicurare la comprensione dello scopo primario della riabilitazione ossia l’individuazione di una modalità appropriata di intervento nei diversi e specifici setting
e in relazione alla multimorbidità, indipendentemente dalla causa che ha generato la condizione
di disabilità.
Team multidisciplinari e multiprofessionali. L’integrazione professionale tra le figure convolte nel
percorso riabilitativo prevede il coinvolgimento e il
confronto tra gli operatori coinvolti. La costruzione
dei team e la continua integrazione verso la clinical
governance (assicurare servizi di qualità in un ambiente di eccellenza professionale) permette di tenere “incollati” tra di loro i team. In pratica il continuo richiamo verso l’evidenza clinica e gli outcome
stimola la componente professionale degli operatori, garantendo la qualità del servizio offerto.
Trasparenza e sistema di valutazione del personale. Nel momento di passaggio da U.O. di Azienda
Ospedaliera a U.O. di Dipartimento interaziendale, per aggregare i professionisti occorre attivare
meccanismi di qualità dei servizi resi (miglioramento dell’outcome) in un clima di trasparenza delle decisioni, con particolare riferimento all’arruolamento e invio dei pazienti alle differenti UU.OO. Gli stessi criteri di trasparenza devono essere adottati nei
confronti delle UU.OO. di dimissione, al fine di evidenziare i vantaggi del nuovo DIR anche per i nosocomi di appartenenza. Inoltre il modello di valutazione del personale e del team (valutazione indi-
Economia
e Management
La gestione del percorso riabilitativo attraverso l’utilizzo della Rete:
il Dipartimento Interaziendale Metropolitano di Riabilitazione
viduale e collettiva) deve essere collegato a un sistema di valutazione delle performance (entrambe,
organizzative e individuali), semplice negli indicatori, equo nel livello degli obiettivi da raggiungere e
nel loro numero, efficace nella scelta degli indicatori stessi. Questi semplici accorgimenti aiuteranno
la percezione di equità e imposteranno il sistema di
monitoraggio delle prestazioni tra le UU.OO.
Sistemi di integrazione con il settore socio-sanitario. Integrazione con il territorio (Aziende Sanitarie
Locali e Strutture socio-sanitarie) al fine di una gestione unitaria del percorso di presa in carico dal
momento dell’individuazione della situazione disabilitante fino alla fase di reintegrazione nella comunità. Tale aspetto distintivo del Dipartimento dovrà
essere garantito attraverso un’interfaccia tra il livello ospedaliero e quello territoriale, coinvolgendo
l’ASL di Milano con i suoi sistemi organizzati dell’offerta socio-sanitaria e con le altre agenzie istituzionali e del terzo settore.
Conclusioni
L’ASL di Milano può vantare un’offerta specialistica di grande qualità, con punte di eccellenza riconosciute a livello nazionale e non solo. La sfida di oggi in cui l’ASL è fortemente impegnata è di indirizzare il sistema verso la capacità di garantire continuità
assistenziale, risposte integrate e di completa presa in carico del paziente e non solo interventi ultra–
specialistici, ma settoriali. Le strutture e gli operatori tutti devono lavorare in rete, condividere protocolli, comunicare tra loro, adattarsi al continuo evolvere
dei bisogni, sviluppando strategie di cura e reinserimento del paziente nel suo ambiente di vita.
Il Dipartimento Interaziendale di Riabilitazione della
Città di Milano, si propone quale soluzione organizzativa in grado di svolgere funzioni di coordinamento dell’attività riabilitativa delle AA.OO. pubbliche
coinvolte al fine di garantire l’appropriatezza delle
cure al paziente e la necessaria integrazione con i
servizi sociali.
Il DIR rappresenta pertanto una modalità organizzativa attraverso la quale le AA.OO. che lo compongono rispondono ai bisogni della popolazione, condividendo i percorsi clinico-assistenziali, i percorsi diagnostico/terapeutici, gli standard di appro-
priatezza delle prestazioni, le best practice e i modelli organizzativi, nel rispetto degli attuali indirizzi di programmazione nazionale e regionale. Il modello persegue la specializzazione, logica di attività
in un’organizzazione professionale-burocratica che
raggiunge efficienza (con particolare riferimento
agli output) e efficacia (outcome).
Il DIR, progettato nella città di Milano secondo l’impostazione di tipo “metropolitano”, potrebbe poi essere esteso facilmente alle altre province di Regione
Lombardia in ottica di crescita di efficienza del servizio sanitario nel suo complesso attraverso l’implementazione di un coordinamento operativo zonale.
Bibliografia
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challenges and opportunities for improving the
quality of transitional care, in Ann Intern Med.,
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the next major quality improvement challenge, in
British Journal of Clinical Governance, 2002, 7(3):
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e Privata, 2013, 2, Maggioli.
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hospital in the 21° century, in Policy Brief n. 4, European Observatory on Health Systems and Policies, 2004, Copenhagen.
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• Ministero della Salute, La centralità della Persona in riabilitazione: nuovi modelli organizzativi e
gestionali, in Quaderni, n. 8, marzo-aprile 2011.
• Pesaresi F., I dipartimenti ospedalieri. La storia, i
modelli regionali e i regolamenti, 2000, Asi-Agenzia Sanitaria Italiana.
47
Economia
e Management
Analisi di Hospital-Based HTA
sull’implementazione della coro TC presso
l’Azienda Ospedaliera di Lodi
Davide Archi *, Antonio Piccichè **
Negli ultimi dieci anni, con l’evoluzione degli apparecchi TAC multistrato, la coroTC ha affiancato, come strumento diagnostico della malattia coronarica
(CAD), la tradizionale angiografia coronarica, che
rimane il gold standard.
La direzione strategica dell’A.O. della Provincia di Lodi
ha deciso di rinnovare, nel corso del 2013, buona parte delle apparecchiature radiologiche, e di offrire una
nuova prestazione, lo studio delle coronarie con l’ausilio della TAC a 64 strati (coroTC): pertanto ha deciso
di condurre uno studio di Health Technology Assessment (HTA) facendo riferimento al modello HospitalBased HTA sviluppato dal Centro di Ricerca in Economia e Management in Sanità e nel Sociale (CREMS),
dell’Università Carlo Cattaneo – LIUC di Castellanza,
volto a valutare multidimensionalmente l’impatto derivante dall’adozione delle nuove tecnologie.
I risultati dello studio dimostrano che, complessivamente, la coroTC ha una valutazione migliore rispetto alla coronarografia tradizionale laddove le indicazioni di esecuzione dell’esame sono corrette. Infatti
la coroTC rispetto alla coronarografia tradizionale,
garantisce una maggiore sicurezza al paziente, ha
un impatto economico-finanziario nettamente favorevole e ha un impatto etico, sociale e organizzativo
migliore. L’adozione della nuova tecnologia è tuttavia
caratterizzata anche da una minore qualità del dato
e tempestività di risposta, e ha una previsione di impatto organizzativo rilevante sul percorso formativo
dei medici radiologi che saranno dedicati.
Introduzione
Negli ultimi dieci anni, con l’evoluzione degli apparecchi TAC multistrato e, in particolare, con la com-
48
(*) Referente medico per l’informatizzazione dei processi clinici, U.S.C. Area di Supporto Direzionale per l’Organizzazione e lo
Sviluppo, Azienda Ospedaliera della Provincia di Lodi.
(**) Dirigente Medico, Direzione Medica di Presidio, Azienda
Ospedaliera Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
Over the past decade, with the evolution
of multi-layer computed axial tomography
(CAT), the CT Coronary Angiography
(CTCA) has joined, as a diagnostic tool
for coronary artery disease (CAD),
the traditional coronary angiography,
considered to be the gold standard. The
strategic management of the hospital
authority for Lodi Province decided to
renew, in the course of 2013, most of its
radiological equipment, and offer a new
benefit, the study of coronary arteries
with the help of this new technology:
therefore it decided to conduct a
Health Technology Assessment (HTA)
study, designed to assess the multidimensional impact resulting from the
adoption of new technologies. The
results of the study show that, overall,
the CTCA has a better rating than the
traditional coronary angiography.
Parole chiave
Hospital-Based HTA, CoroTC,
Coronarografia
Key words
Hospital-Based HTA, CT
Coronary Angiography (CTCA),
Coronary Angiography
Economia
e Management
Analisi di Hospital-Based HTA sull’implementazione
della coro TC presso l’Azienda Ospedaliera di Lodi
mercializzazione dal 2004 delle TAC a 64 che richiede minor quantità di radiazioni, minor tempo di esecuzione e garantisce una migliore risoluzione spaziale, la coroTC ha affiancato, come strumento diagnostico della malattia coronarica (CAD), la tradizionale angiografia coronarica, che rimane il gold
standard.
L’area di beneficio fondamentale è rappresentata dalla possibilità, per alcuni pazienti, di evitare
un esame decisamente più invasivo e con maggiori complicanze, quale la coronarografia, se presentano le corrette indicazioni per la coroTC. Le indicazioni all’utilizzo della tecnologia devono tenere conto delle caratteristiche di accuratezza della metodica. L’indicazione principale dell’esame è quella di
escludere la presenza di malattia coronarica in pazienti con probabilità di malattia bassa-intermedia
e con indagini non invasive (in particolare la prova
da sforzo) non conclusive e con sintomatologia atipica-tipica. L’esame riesce a quantificare il livello
di ostruzione arteriosa e ha un alto valore predittivo negativo, ovvero riesce a evidenziare nella quasi
totalità dei casi i pazienti con albero coronarico indenne (Mollet et al., 2005).
L’esame coroTC a 64 strati consiste nell’acquisizione di immagini con fette di 64×0,6mm in una unica
rotazione del tubo radiologico. Dopo l’acquisizione
dei dati, le immagini sono ricostruite in 2/3 D con
uno spessore di 0,75 mm e una matrice di pixel 512 ×
512 (Mowatt et al., 2008a).
La qualità delle immagini TAC dipende sia dalla capacità del paziente di sospendere la respirazione
sia dalla frequenza cardiaca che condiziona, anche
in modo significativo, la presenza di artefatti da movimento: gli ultimi software dedicati utilizzano tecniche di gating ECG per catturare i dati nei punti del
ciclo cardiaco in cui il movimento cardiaco è ridotto
al minimo (di solito a metà e alla fine della fase diastolica); tuttavia, malgrado questi strumenti di correzione, risulta problematico l’esecuzione dell’esame con frequenze cardiache superiori a 70 bpm: in
tal caso sono impiegati di routine i beta-bloccanti (Schroeder et al., 2008). La qualità dell’immagine dipende anche dalla quantità di mezzo di contrasto presente all’interno dell’albero coronarico: infatti lo studio TAC si basa sulla somministrazione di
mezzo di contrasto iodato (in media 80 – 100 ml) per
via endovenosa, contrariamente alla coronarografia tradizionale che prevede l’infusione del mezzo di
contrasto direttamente nelle coronarie.
La coroTC offre informazioni molto dettagliate oltre che su l’albero coronarico anche sull’aorta,
sull’arteria polmonare, sui polmoni e sul mediastino che possono, nella pratica clinica, rivelarsi utili per escludere altre cause di dolore toracico come
la tromboembolia-polmonare e la dissezione dell’aorta toracica.
La coronarografia è una tecnica di imaging invasiva che utilizza un mezzo di contrasto e raggi X per
fornire informazioni anatomiche sul grado di stenosi delle arterie coronarie.
La tecnica prevede il posizionamento della parte terminale di un catetere, generalmente inserito
in aorta attraverso l’arteria radiale o, in alcuni casi, l’arteria femorale, a livello delle arterie coronarie. Una volta in posizione, viene iniettato un mezzo di contrasto attraverso il catetere e viene acquisita una rapida serie di immagini radiografiche volte a visualizzate come il liquido di contrasto si muove attraverso i rami delle arterie coronarie, visualizzando le stenosi (http://guidance.nice.org.uk/DT/3,
2011).
La coronarografia è considerato il gold standard
per fornire informazioni anatomiche e quantificare
la gravità delle lesioni coronariche: tuttavia fornisce solo immagini 2D, al contrario di altre tecniche
di imaging cardiaco che offrono immagini 3D. Durante la procedura coronarografica l’operatore può
intervenire direttamente e in modo risolutivo sulle
stenosi che dovessero essere riscontrate nel corso dell’esame, mentre la coroTC è un esame solo
diagnostico e quindi, in caso di evidenza di stenosi critiche alle arterie coronarie o anche di semplice dubbio il paziente dovrà essere comunque sottoposto a esame coronarografico.
Contesto di riferimento
L’Azienda Ospedaliera della Provincia di Lodi è articolata in 4 presidi ospedalieri (Lodi, Codogno, Casalpusterlengo e Sant’Angelo Lodigiano), per un totale di circa 800 posti letto accreditati e offre servizi sanitari a un bacino di circa 220.000 abitanti.
49
Economia
e Management
Analisi di Hospital-Based HTA sull’implementazione
della coro TC presso l’Azienda Ospedaliera di Lodi
Tabella 1 – Tassi di incidenza per 10.000 abitanti/anno della malattia coronarica in Italia, Lombardia e Lodi
Incidenza
Mortalità malattie cardiovascolari
Infarto miocardico acuto
Angina pectoris
Dimissione ospedaliera per malattie ischemiche
Italia
Lombardia
Lodi
37,52 (2008)
32,33 (2008)
36,85 (2001)
17,3 (2005)
18,9 (2005)
6,7 (2005)
8,3 (2005)
52,68 (2009)
49,88 (2009)
Note: tra parentesi l’anno degli ultimi dati disponibili
Fonte: ISTAT
La malattia coronarica (CAD) è caratterizzata dal
restringimento delle arterie coronarie, solitamente come risultato dei depositi aterosclerotici di tessuto fibroso e adiposo, con conseguente riduzione
del flusso sanguigno al muscolo cardiaco con insorgenza di angina e infarto del miocardio (http://guidance.nice.org.uk/DT/3, 2011). Nella tabella 1 sono riportati e stratificati i tassi di incidenza in Italia,
Lombardia e Lodi (dove disponibile).
L’esecuzione della coroTC trova indicazione nel
dolore toracico atipico, nel dolore toracico tipico ma con enzimi cardiaci ed ECG negativi, in caso di stress-test dubbio, nei pazienti con diagnosi
di cardiopatia dilatativa non ischemica (CMD) o in
pazienti candidati a cardiochirurgia non coronarica
sempre con probabilità bassa-intermedia di CAD
(Schroeder et al., 2008). I medici dell’Unità Operativa Complessa di Cardiologia del presidio di Lodi già
da qualche anno indirizzano alcuni pazienti selezionati verso esami coroTC disponibile presso presidi ospedalieri limitrofi: l’implementazione della tecnologia all’interno dell’Ospedale permetterebbe di
allargare i criteri di selezione dei pazienti allineandoli a quelli indicati nelle Linee guida (Schroeder et
al., 2008).
Presso l’A.O. della Provincia di Lodi, nel 2011, sono
state eseguite 794 coronarografie, di cui 330 diagnostiche. Stratificando i pazienti per diagnosi, otteniamo che 66 coronarografie diagnostiche sono
state effettuate in pazienti con CMD, 25 in pazienti
candidati a cardiochirurgia non coronarica.
50
Risulta difficile stimare, con i dati in possesso, i pazienti/anno a basso-medio rischio della Provincia di
Lodi che potrebbero beneficiare della nuova metodica. In accordo con i cardiologi, per lo studio in oggetto si sono presi in considerazione i dati relativi ai pazienti attualmente indirizzati all’esecuzione
di scintigrafia cardiaca presso altri centri, che potrebbero essere dirottati verso la cardioTC una volta introdotta la nuova metodica.
Ciò premesso, nell’anno 2011, dai dati dell’ASL di
Lodi, emerge che 97 pazienti sono stati sottoposti a
scintigrafia cardiaca in regime ambulatoriale e 11 in
regime di ricovero.
Non è possibile quantificare, invece, il numero di
pazienti sottoposti a coroTC poiché l’esame non è
ancora stato codificato in maniera specifica, ma
viene rendicontato genericamente come TAC torace con mezzo di contrasto.
Riassumendo, si può ragionevolmente ipotizzare
che il bacino potenziale della Provincia di Lodi sia di
circa 200 pazienti/anno.
Obiettivi del progetto
La direzione strategica dell’A.O. della Provincia di
Lodi ha deciso di rinnovare, nel corso del 2013, buona parte delle apparecchiature radiologiche e ha
programmato, per il Presidio Ospedaliero di Lodi,
la sostituzione dell’unico apparecchio per la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) a 8 strati con
due nuovi apparecchi: ne verrà installato uno a 16
strati nel nuovo Pronto Soccorso e uno a 64 strati in Radiologia.
All’interno della stessa struttura è altresì attivo da
Economia
e Management
Analisi di Hospital-Based HTA sull’implementazione
della coro TC presso l’Azienda Ospedaliera di Lodi
anni il servizio di cardiologia diagnostico/interventista, garantito h24/365 giorni all’anno.
assoluto, sia paragonandola alla tecnologia comparator.
Su sollecitazione dei cardiologi, la direzione strategica sta pensando di offrire una nuova prestazione, lo studio delle coronarie con l’ausilio della TAC
a 64 strati (coroTC), ma vuole capirne l’efficacia, i
costi e l’impatto organizzativo: scopo del progetto
illustrato nel presente articolo è quello di condurre
uno studio di Health Technology Assessment (HTA)
volto a valutare la nuova tecnologia, utilizzando come comparator la coronarografia angiografica tradizionale e come punto di vista la Direzione Strategica aziendale.
In particolare si può fare riferimento all’articolo
pubblicato nel 2008 sull’European Heart Journal da
Schroeder e collaboratori che ha lo scopo, da parte
della Società Europea di Cardiologia, di esplicitare
indicazioni, raccomandazioni e limiti dell’esame coroTC: l’obiettivo viene raggiunto con un’analisi puntuale della letteratura, stratificando la popolazione
di riferimento. Il risultato è una presentazione molto precisa e che fornisce chiare indicazioni sull’utilizzo pratico e quotidiano della tecnologia.
L’analisi di Hospital-Based HTA
sull’implementazione della coroTC
Per sviluppare lo studio si è fatto riferimento al modello Hospital-Based HTA sviluppato nel Corso di
Perfezionamento Universitario in Health Technology Assessment (CopHTA) erogato dal CREMS
Centro di Ricerca in Economia e Management in Sanità e nel Sociale, dell’Università Carlo Cattaneo –
LIUC di Castellanza (Bonfanti et al., 2013). Lo studio
proposto ha partecipato alla fase di studio e test del
modello stesso.
Review della letteratura
Effettuando una ricerca in PubMed, utilizzando come chiave di ricerca “Coronary computed tomography” AND “angiography”, vengono elencati più
di 11.000 articoli, di cui 102 trial controllati e randomizzati negli ultimi 5 anni.
Ricercando attraverso il medesimo motore di ricerca “coronary tomography”, limitando la ricerca agli ultimi 5 anni e a una limitata tipologia di articoli (meta-analisi, review e linee guida) vengono
presentati 187 articoli: tra questi sono reperibili anche alcune linee guida internazionali, tra cui quella della Società Europea di Cardiologia, pubblicate nel 2008.
Ricercando su Embase solo le review degli ultimi
due anni vengono proposti 8 lavori.
La qualità della letteratura sulla nuova tecnologia
è elevata e numerosissimi sono gli articoli a riguardo che, in modo coerente e convincente, analizzano
sia le potenzialità della nuova tecnologia in senso
Un altro articolo di notevole interesse è quello pubblicato da Mowatt e collaboratori sul Journal Heart
nel 2008 che, attraverso una attenta meta-analisi
degli articoli pubblicati tra il 2002 e il maggio 2006,
raggiunge lo scopo che si prefigge: una selezione
attenta della letteratura, un’analisi statistica approfondita volta a valutare in modo credibile e definitivo l’efficacia della tecnologia esaminata rispetto alla coronarografia tradizionale.
Sono inoltre stati già condotti diversi studi HTA sulla
coroTC e il più recente risulta essere quello del NICE del 20111, uno studio di alto spessore, che prende come intervallo di riferimento, per la letteratura,
il periodo 2000-2011 e stratifica il lavoro per i diversi
modelli di apparecchiature TAC in commercio.
Prioritizzazione
L’analisi della tecnologia prevede la valutazione di
diverse dimensioni (rilevanza generale della tecnologia, sicurezza per il paziente, efficacia nel contesto della ricerca clinica e della ricerca pratica, impatto economico e finanziario, equità, impatto sociale e etico, impatto organizzativo), tutte importanti per poter trarre un giudizio che sia il più completo e corretto possibile. Risulta tuttavia necessario definire, tra le dimensioni, quali sono prioritarie
e quali lo sono meno.
Ciascun valutatore ha espresso un suo giudizio
di priorità ed è stato calcolato il punteggio medio
(PM) ottenuto da ciascuna dimensione: dall’analisi è emerso che le dimensione ritenute di massima
(1) Disponibile al link: http://guidance.nice.org.uk/DT/3
51
Economia
e Management
Analisi di Hospital-Based HTA sull’implementazione
della coro TC presso l’Azienda Ospedaliera di Lodi
importanza sono quelle relative alla rilevanza generale della tecnologia, alla sicurezza della stessa (livello di rischiosità in termini di complicanze e
mortalità) e all’efficacia nella pratica clinica. Subito dopo merita di essere considerata l’efficacia
nella ricerca clinica. Meno importanti, ma comunque da considerare, risultano gli impatti della tecnologia stessa: economico e finanziario, organizzativo, sociale ed etico e, da ultimo, l’equità nell’utilizzo.
Sicurezza per il paziente – morbilità/mortalità
Per entrambe le tecnologie a confronto, l’analisi
della sicurezza per il paziente deve prendere in considerazione due aspetti: il rischio immediato legato
all’esecuzione dell’esame e quello demandato all’utilizzo di radiazioni ionizzanti.
Sia per la cardio TAC sia per la coronarografia tradizionale è presente un rischio comune che è legato all’utilizzo del mezzo di contrasto (mdc): le complicanze sono sostanzialmente legate a reazioni allergiche che possono essere minori (5% non richiedono terapia medica-ospedalizzazione) o severe
(0,15-0,7% insufficienza respiratoria, shock) fino alla morte (1/55.000 esami) (Linee guida Società Italiana di Radiologia Medica, 2009).
Risultando un rischio comune alle due metodiche,
non si avrebbero differenze in termini di incidenza
di complicanze legate al mezzo di contrasto: considerando le coronarografie diagnostiche, è ipotizzabile un’incidenza di 16,5 eventi minori anno, 0,5 –
2,31 eventi severi/anno.
Da segnalare anche la possibile nefrotossicità legata all’utilizzo del mezzo di contrasto, la cui incidenza può raggiungere anche il 50% in pazienti ad
alto rischio, come nefropatici e diabetici; sono già
stati implementati, presso l’A.O. della Provincia di
Lodi, protocolli specifici per limitare al minimo tale complicanza.
Specifico è invece il rischio legato all’invasività della
coronarografia tradizionale: si spazia da complicanze minori legati alla puntura del vaso fino complicanze anche gravi come infarti del miocardio, ictus ed
exitus (0,1-0,2%) (Mowatt et al., 2008b).
52
Riferendo il dato alla realtà dell’A.O., in base allo
storico 2011, il dirottare 81 pazienti/anno dall’esa-
me coronarografico alla coroTC consentirebbe di
prevenire 0,8-1,6 complicanze gravi ogni 10 anni.
In tema di radioprotezione, se fino a qualche anno
fa la dose di radiazioni richieste per un esame coroTC variava tra 5 e 20 mSv (Shroeder et al., 2007),
l’introduzione della tecnica di gating cardiaco associato all’evoluzione dei software di ricostruzione ha portato le dosi necessarie a scendere fino a
1 mSV. Per quanto concerne la coronarografia tradizionale, la dose di radiazioni richieste varia tra 7
e 22 mSv in funzione della complessità dell’esame
(Kaufmann e Knuuti, 2011; Einstein et al., 2007).
Da questi dati si deduce che l’esecuzione delle due
procedure comportano una dose di radiazioni assorbita sovrapponibile, anche se emerge un trend
positivo di miglioramento per quanto riguarda la coroTC.
Efficacia nel contesto di ricerca clinica
La coroTC è un esame diagnostico e la misura della sua efficacia è misurata con quattro parametri:
sensibilità, specificità, valore predittivo nei positivi
(PPV – positive predictive value) e il valore predittivo nei negativi (NPV – negative predictive value).
Un review della letteratura pubblicata su Heart nel
2008 (Mowatt et al., 2008) ha analizzato più di 18
studi, ampliando il numero di quelli già presi in considerazione nel redigere le indicazioni della Società
Europea di Cardiologia (Shroeder et al., 2007), con
1.286 pazienti arruolati. Dall’analisi effettuata risulta che la coroTC ha una sensibilità del 99% (95% CI
97%-99%), una specificità del 89% (95% CI 83%94%), una PPV 93% (range 64-100%) e un NPV 100%
(range 86-100%).
Da sottolineare il circa 10% di falsi positivi che
emergono da questo studio, dato spiegabile dalla
sovrastima delle calcificazioni arteriose.
Efficacia nel contesto di ricerca pratica
Ragionando sulle caratteristiche intrinseche dello specifico test, si possono fare alcune considerazioni prospettiche di quello che potrebbe essere l’efficacia nel contesto dell’A.O. della Provincia
di Lodi.
In accordo con gli esperti interpellati, si ritiene utile
a tal fine utilizzare, come parametri di riferimento,
il PPV, ovvero la probabilità reale che emerge dalla
Economia
e Management
Analisi di Hospital-Based HTA sull’implementazione
della coro TC presso l’Azienda Ospedaliera di Lodi
pratica che un paziente valutato positivo al test sia
davvero malato, e il NPV, ovvero la probabilità reale che emerge dalla pratica che un paziente valutato negativo al test sia davvero sano.
que sottoposti, in seconda battuta, a coronarografia diagnostica senza avere una malattia coronarica.
Partendo dalla previsione di eseguire 200 esami/anno la probabilità di valutare come sano un paziente
che in realtà ha stenosi coronarica critica sono praticamente nulle (NPV = 100%).
Nell’affrontare questa dimensione è opportuno svolgere un’analisi di costo/efficacia (CEV) e
di Budget Impact Analysis (BIA), adottando come
punto di vista l’A.O. di Lodi (budget holder).
Allo stesso modo, considerato che il PPV è del
93%, otteniamo che, su 200 test eseguiti, il 7% risultino erroneamente positivi e quindi è da ipotizzare che circa 14 pazienti/anno sarebbero comun-
Per la quantificazione dei costi si è scelto il metodo Activity Based Costing (ABC) rilevando l’impiego di risorse umane e materiali presso l’A.O. di Lodi per la coronarografia tradizionale e presso l’A.O.
Impatto economico e finanziario
Tabella 2 – Analisi ABC coroTC
CoroTC
Costo
minuto
Procedura
Quantità
Tempo
(min)
Totale
€
€
Risorse Umane
Medici
0,94
1
90
84,60
Infermieri
0,31
1
30
9,30
Tecnico radiologia
0,37
1
30
11,10
3
150
105,00
Totale Risorse Umane
105,00
Apparecchiature e attrezzature
Amm.to TC (costo a prestazione)
8,5
Totale apparecchiature e attrezzature
1
8,5
1
8,5
100
23,00
100
23,00
8,5
Materiali di consumo
Mezzi di contrasto
0,23
Totale Materiali di consumo
23,00
Altro
Farmaci
2,00
Costi vari (siringhe, garze, ago cannula, ecc.)
20,00
Totale Altro
0
0
22,00
22,00
Totale per Processo
0
0
150,00
158,50
Costi Comuni (20%)
31,70
Totale Costi
190,20
53
Economia
e Management
Analisi di Hospital-Based HTA sull’implementazione
della coro TC presso l’Azienda Ospedaliera di Lodi
Ospedali Riuniti di Bergamo per la coroTC, e applicando a entrambi le analisi i costi dell’A.O. di Lodi.
Le tabelle 2 e 3 illustrano l’analisi ABC dei costi della coroTC (tabella 2) e della coronarografia tradizio-
nale (tabella 3). Sulla scorta dei valori ottenuti sono
poi stati calcolati i valori di costo/efficacia (CEV) e
il rapporto di efficacia incrementale (ICER), come illustrato nella tabella 4.
Tabella 3 – Analisi ABC coronarografia tradizionale
Coronografia tradizionale
Costo
minuto
Procedura
Quantità
Tempo
(min)
Totale
€
€
Risorse Umane
Medici
0,75
2
54,75
82,13
Infermieri
0,44
3
54,75
72,27
Personale ausiliario
0,23
2
20
9,20
7
129,5
163,60
0
88,10
Totale Risorse Umane
163,60
Apparecchiature e attrezzature
Amm.to Angiografo (costo a prestazione)
88,10
Totale apparecchiature e attrezzature
1
1
88,10
88,10
Materiali di consumo
Guanti sterili
0,27
Kit coronarografia (telo tavolo e varie)
6
1,62
43,93
1
43,93
Camici sterili
5,08
2
10,16
Introduttore
60,50
1
60,50
Filo guida
7,74
1
7,74
Catetere JJ per coronaria sx
9,68
1
9,68
Catetere JJ per coronaria dx
9,68
1
9,68
Mezzi di contrasto (costo ml)
0,23
100
23,00
43,56
1
43,56
Kit pneumatico sistema angiografo
Kit monitoraggio pressione invasiva
18,59
1
18,59
Sistema compressione arteria
18,15
1
18,15
116
246,61
Totale Materiali di consumo
246,61
Altro
Farmaci
2,00
Costi vari (siringhe, garze, ago cannula, ecc.)
Costo ricovero per 2 gg.
54
20,00
308,79
2
617,58
Totale Altro
0
0
639,58
639,58
Totale per Processo
2
0
1.137,89
1.137,89
Costi Comuni
(20%)
227,58
Totale Costi
1.365,46
Economia
e Management
Analisi di Hospital-Based HTA sull’implementazione
della coro TC presso l’Azienda Ospedaliera di Lodi
Tabella 4 – Risultati della valutazione economica
Coronarografia
tradizionale
CoroTC
€ 190,20
€ 1.365,46
PPV
0,93
1
CEV
€ 204,52
€ 1.365,46
Costo
ICER
Coronarografia
tradizionale
CoroTC
€190,20
€ 1.365,46
NPV
1
1
CEV
€ 190,20
Costo
€ 16.789,43
€ 1.365,46
∞
ICER
Tabella 5 – Budget Impact Analysis (BIA)
Spesa A.O. per esami interni
2011
Coronarografia tradizionale*
CoroTC**
2012
Differenza
€ 450.601,80
€ 335.042,92
- € 115.558,88
Non presente
€ 17.308,20
€ 17.308,20
Totale impatto
annuale sul budget
- € 98.250,68
* 330 diagnostiche per 2011 (dato reale), 245,67 per 2012 (dato previsto su storico 2011 aggiustato per PPV nuova tecnologia)
** 91 esami per il 2012 (dato previsto in base allo storico 2011)
I singoli valori risultanti del CEV sono quindi riportati in tabella 4.
Dall’analisi emerge che entrambi i CEV della CoroTC
sono migliori rispetto ai CEV della coronarografia
tradizionale: l’implementazione della nuova tecnologia è sicuramente vantaggiosa da un punto di vista economico.
Per calcolare il BIA si è preso come punto di vista
l’A.O. poiché le due tecnologie saranno ad appannaggio di due UU.OO. differenti: dalla lettura della tabella 5 se ne deduce che l’impatto sul budget
aziendale, derivante dall’introduzione della nuova
tecnologia, sarebbe nettamente positivo.
Equità
È stato compilato da esperti qualificati interni
all’A.O., un questionario che ha lo scopo di valutare
l’impatto sull’equità2 della metodica oggetto di studio nella struttura in confronto con la metodica tradizionale (coroTC vs coronarografia). Dalla media delle risposte si evince che con la nuova tecnologia si
avrebbe un miglioramento in termine di comfort, in-
(2) L’OMS definisce l’equità come accessibilità, qualità e accettabilità delle cure sull’intera popolazione (OMS, 1996).
vasività della procedura, eventi avversi ed esposizione a effetti biologici deterministici, ma con un peggioramento sui tempi di risposta e qualità del dato.
Impatto etico
La cardiologia sta vivendo una vera e propria rivoluzione delle tecniche diagnostiche, un “Rinascimento tecnologico” dove molte tecniche di immagine coesistono e virtuosamente competono in un’incessante corsa alla diagnosi perfetta, senza rischi
e senza errori. Le nuove metodiche diagnostiche si
accompagnano anche a ulteriori costi economici.
Oggi a disposizione del cardiologo c’è un armamentario di strumenti diagnostici sempre più sofisticato e diversificato, che deve però essere accompagnato da un’altrettanto importante crescita culturale da parte dei professionisti sanitari nell’utilizzo
appropriato e razionale delle tecnologie a disposizione. Etica in medicina significa anche far fare al
paziente quello che serve ottenendone il massimo
beneficio, minimizzando i rischi e tenendo anche in
considerazione i costi di ogni prestazione che poi
divengono costi complessivi per la collettività. L’utilizzazione impropria, senza adeguata percezione
di limiti e controindicazioni rischia di portare a incrementi di spesa senza contestuali incrementi di
qualità delle cure. L’impiego “permissivo” delle tec-
55
Economia
e Management
Analisi di Hospital-Based HTA sull’implementazione
della coro TC presso l’Azienda Ospedaliera di Lodi
niche diagnostiche rischia di comportare benefici
sempre più marginali per il paziente a fronte di costi
sempre più esorbitanti. Appare in definitiva scontato che, se le nuove tecnologie vengono adoperate
indiscriminatamente l’impatto può essere marginale per molti pazienti, deleterio per altri e inaccettabilmente costoso per la società.
Impatto sociale
Riallacciandosi a quanto sopra descritto è importante che i professionisti della Sanità siano sempre
più consapevoli del ruolo che rivestono nel contesto sociale al fine di non determinare prescrizioni
di esami inutili (o dannosi). L’introduzione di nuove
metodiche diagnostiche, infatti, se non accompagnata da un’altrettanto contestuale formazione da
parte degli operatori circa le potenzialità, i limiti, i
rischi e i costi reali delle nuove tecnologie, rischia
di determinare spreco di risorse pubbliche, allungamento dei tempi di attesa, moltiplicando l’esecuzione di esami inutili e, nel caso specifico della cardio-TC, l’indebita irradiazione di pazienti e l’incremento della dose media collettiva della popolazione
(con i conseguenti rischi a lungo termine). Fondamentale appare quindi lavorare seguendo le indicazioni di appropriatezza prescrittiva e adottando idonee strategie comunicative con i malati che, sempre più “bombardati” da informazioni offerte dai sistemi di comunicazione, talvolta “esigono” prescrizioni di esami di cui hanno sentito parlare senza però avere le necessarie cognizioni valutative proprie
del medico, che ha e deve continuare ad avere anche il ruolo di “regolatore” della domanda.
Bisogna considerare inoltre l’impatto in termini di
giornate lavoro perse: la coronarografia diagnostica richiede l’ospedalizzazione di 2 giorni, al contrario della coroTC che richiede la perdita di ½ giornata lavorativa. Nella realtà di Lodi è quindi ipotizzabile una perdita di 40,5 giornate lavorative con l’introduzione della coroTC che, se paragonate alle attuali
162 giornate lavorative perse per la coronarografia
tradizionale, si traduce in un risparmio di 122,5 giornate lavorative perse/anno.
56
Infine, al termine della coroTC il paziente può tornare alla sua normale attività quotidiana, mentre il paziente sottoposto a coronarografia tradizionale deve evitare di svolgere per altri 2-3 giorni lavori pe-
santi (come il salire una rampa di scale), che si possono tradurre in ulteriore perdita di giornate lavorative (non quantizzabili perché dipendenti da lavoro
svolto dal paziente).
Impatto organizzativo dal punto di vista quantitativo
L’introduzione della nuova tecnologia si accompagna a
una serie di accorgimenti organizzativi che ne dovranno permettere l’utilizzo ottimale, sia in termini di capacità diagnostiche sia di integrazione all’interno della
normale attività diagnostico-terapeutica dell’A.O.
È stato compilato da esperti qualificati, interni all’A.O.,
un questionario che ha lo scopo di valutare quantitativamente l’impatto organizzativo della metodica oggetto di studio nella struttura, in confronto con la metodica tradizionale (coroTC vs coronarografia).
In primo luogo dovrà prevedersi un’adeguata fase
formativa per il personale coinvolto, ovvero medici specialisti in radiologia (prevedendo di formarne
inizialmente almeno 1-2). Il percorso formativo per
il personale medico non è di breve durata e prevede un tutoraggio da parte di un radiologo esperto di
150 esami (Schroeder et al., 2008).
All’interno dell’A.O. è già presente un medico radiologo che ha seguito un Master di formazione con
relativa certificazione di 150 esami di coroTC. È altresì presente in staff un secondo radiologo che ha
esperienza di coroTC legata al suo percorso formativo specialistico.
La formazione di un medico radiologo richiede un
investimento che può essere stimato in 11.430 euro, così composti:
– 5.000,00 euro: costo medio di un corso
– 6.430,00 euro: costo medio orario di medico radiologo per tre settimane di formazione (38 ore/
settimana x 56,40 euro/ora x 3 settimane).
È ipotizzabile l’attivazione di una convenzione con
un’A.O. di riferimento per il completamento della formazione degli operatori on-site e il supporto post-avviamento come second-opinion. È evidente che durante la fase di formazione del personale il restante sarà impegnato per coprire i turni dei formandi, in
modo da non creare disservizio all’interno dell’A.O.
Essendo la nuova tecnologia un’importante miglioria per quel che concerne la diagnostica cardiolo-
Economia
e Management
Analisi di Hospital-Based HTA sull’implementazione
della coro TC presso l’Azienda Ospedaliera di Lodi
Figura 1 – Radar dell’ impatto organizzativo qualitativo
Coronarografia
tradizionale
Sicurezza degli operatori
Sicurezza degli operatori e
che utilizzano la
del personale nell’ambiente
tecnologia
in cui viene utilizzata
la tecnologia
Alto
Medio
Tempi di apprendimento
della nuova metodica
Positivo
Nuovi macchinari
necessari per
l’introduzione della
nuova metodica
Introduzione
CoroTC
Basso
Impatto sui processi
PDT/PDTA
Basso
Riunioni necessarie
a seguito dell’introduzione
della nuova tecnologia
Medio
Alto
Negativo
Nullo
Formazione degli
operatori di supporto
coinvolti nei processi
interessati…
Impatto sui processi
interni all’unità Operativa
di riferimento
Personale aggiuntivo
Nuovi spazi necessari per
l'introduzione della nuova
metodica
Formazione del personale
direttamente coinvolto
nell'utilizzo della
tecnologia
Acquisto
attrezzature
Aggiornamento dei
macchinari attualmente
in uso
gica, sarà necessaria, inoltre, un’integrazione maggiore rispetto all’attuale tra i medici specialisti radiologi che si occuperanno dell’effettuazione della coroTC e i medici cardiologi, che fungono da prescrittori dell’esame. A tal proposito sono da prevedere delle riunioni periodiche (cadenza quindicinale)
di discussione dei casi e delle indicazioni all’esame.
L’A.O., come già detto, ha intenzione di acquisire
due nuove apparecchiature TAC rispetto all’unica
presente: sono già stati previsti, quindi, spazi adeguati per le nuove apparecchiature, così come sono
già stati presi in considerazione tutti gli aspetti relativi all’impiantistica e alla radioprotezione.
Nuovi arredi necessari per
l'introduzione della nuova
metodica
ti graficamente in figura 1 (il posizionarsi della riga
che rappresenta la coroTC all’interno dell’area rosa
centrale indica che, per quelle specifiche voci, l’introduzione della stessa avrebbe un impatto negativo in confronto all’utilizzo del gold standard; viceversa il posizionarsi della riga nelle aree più esterne indica una preferibilità della nuova tecnologia rispetto alla coronarografia tradizionale).
Dall’analisi dei questionari non emergono particolari criticità, ma risulta evidente l’impatto positivo
sui processi di collegamento tra UU.OO. e sicurezza degli operatori.
Impatto qualitativo
Conclusioni e discussioni
È stato somministrato anche il questionario di valutazione qualitativa dell’impatto organizzativo, scegliendo, in accordo con gli esperti intervistati, di
non distinguere tra breve e lungo termine, ma dando un giudizio complessivo: i risultati sono riassun-
Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte nei Paesi occidentali. Prioritario è quindi rinforzare l’impegno nel campo della prevenzione. In quest’ottica si inserisce l’azione
della coroTC, metodica emergente che permette di
57
Economia
e Management
Analisi di Hospital-Based HTA sull’implementazione
della coro TC presso l’Azienda Ospedaliera di Lodi
ottenere un’accurata valutazione dell’albero coronarico in modo non invasivo.
la coroTC rispetto alla coronarografia tradizionale,
così come l’impatto sul budget.
Considerando la rapida evoluzione delle tecniche
diagnostico-terapeutiche e l’iperspecializzazione verso cui tutti i campi della medicina tendono,
nonché il progressivo invecchiamento della popolazione, appare oggi difficile rinunciare a metodiche diagnostiche non invasive utilizzate per patologie largamente diffuse quali sono quelle cardiovascolari, soprattutto in un’A.O. come quella della
Provincia di Lodi che ha un bacino di 220.000 abitanti.
L’adozione della nuova tecnologia appare molto più
equa rispetto all’attuale, anche se caratterizzata da
una minore qualità del dato e tempestività di risposta, e ha una previsione di impatto organizzativo rilevante sul percorso formativo dei medici radiologi
che saranno dedicati.
L’analisi economica effettuata dimostra che il calcolo di costo/efficacia (CEV) risulta favorevole al-
La tabella 6 esprime una valutazione sintetica delle otto dimensioni esaminate per ciascuna delle due
tecnologie prese in considerazione. In particolare è
stato attribuito a ogni dimensione il punteggio 1 per
la tecnologia per la quale quella dimensione è ritenuta più importante e il punteggio due per la tecno-
Tabella 6 – Valutazione sintetica delle dimensioni esaminate per le tecnologie considerate
Macro dimensioni
Tecnologia (coroTC)
Comparator
(coronarografia
tradizionale)
Rilevanza Generale (Peso 1)
– Descrizione della tecnologia
– Qualità della documentazione scientifica
– Bacino reale e potenziale
– Accordo con strategia regionale/aziendale
– Potenziale aree di beneficio
Punteggio medio
2
2
1
2
1
1,6
1
1
2
1
2
1,4
Punteggio medio
1
1
1
2
2
2
Punteggio medio
2
2
2
1
1
1
2
1
1
1
1
2
2
2
1
2
1
2
1
1,3
2
1
2
1,7
1
2
1,35
1,73
Sicurezza per il paziente (Peso 2)
–Mortalità
–Radioprotezione
Efficacia nella ricerca (Peso 4)
–Sensibilità
–Specificità
Efficacia nella pratica (Peso 3)
Impatto economico-finanziario (Peso 5)
–ICER
–BIA
Punteggio medio
Equità (Peso 8)
Impatto etico e sociale (Peso 7)
– Etico (costi)
– Etico (domanda indotta)
–Sociale
Punteggio medio
Impatto organizzativo (Peso 6)
58
Media generale pesata
Economia
e Management
Analisi di Hospital-Based HTA sull’implementazione
della coro TC presso l’Azienda Ospedaliera di Lodi
logia per la quale quella dimensione è ritenuta meno importante. È stata quindi calcolata la media generale pesata, pesando il punteggio medio attribuito a ciascuna dimensione con il punteggio della prioritizzazione. La media generale pesata indica
che complessivamente la coroTC ha una valutazione migliore rispetto alla coronarografia tradizionale, comparator nella nostra analisi di HTA (ha ottenuto un punteggio più prossimo a 1), il che significa
che può e deve essere presa seriamente in considerazione l’ipotesi dell’introduzione di questa nuova tecnologia nell’offerta di prestazione dell’A.O. di
Lodi. La coroTC rispetto alla coronarografia tradizionale, infatti, garantisce una maggiore sicurezza
al paziente, ha un impatto economico-finanziario
nettamente favorevole e ha un impatto etico, sociale e organizzativo migliore. A questo aggiungiamo
tutte le considerazioni circa la necessità di dotarsi di una metodica emergente e non invasiva per ottenere accurate valutazioni dell’albero coronarico
selezionando i pazienti che hanno realmente bisogno di sottoporsi a un esame invasivo e più rischioso quale la coronarografia tradizionale.
Le considerazioni fatte finora hanno analizzato dimensioni che sono misurabili e discretamente oggettivabili. Tuttavia, in conclusione, non si può non
tenere conto di un fattore che può avere un peso
determinante nell’introduzione della nuova tecnologia: la coroTC è un esame diagnostico fortemente
operatore dipendente. Questo aspetto può decisamente condizionare, a livello locale, la qualità interpretativa dell’esame in caso di presenza di stenosi
il cui grado di severità è borderline: l’appropriatezza dell’indicazione a proseguire o meno l’iter diagnostico con la coronarografia tradizionale dipende proprio dalla capacità interpretativa dell’operatore. La collegialità delle decisioni nei casi più critici e la revisione periodica dei casi più significativi può minimizzare, a nostro parere, tale variabilità.
Infine è importante sottolineare che durante la procedura coranografica invasiva, l’operatore può intervenire direttamente e in modo risolutivo sulle
stenosi mentre la coroTC è un esame solo diagnostico: in caso di evidenza di stenosi critiche alle arterie coronariche, o anche di semplice dubbio, il paziente deve essere sottoposto comunque a coronarografia tradizionale.
Bibliografia
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Cardiac CT, European Society of Cardiology, European Council of Nuclear Cardiology, Cardiac computed tomography: indications, applications, limitations, and training requirements: report of a Writing Group deployed by the Working Group Nuclear
Cardiology and Cardiac CT of the European Society
of Cardiology and the European Council of Nuclear
Cardiology, in Eur Heart J., 2008 Feb;29(4):531-56.
59
Economia
e Management
Il codice degli appalti pubblici:
stato di avanzamento nell’applicazione
degli istituti innovativi
Vittorio Miniero *
Il Codice degli Appalti, entrato in vigore nel luglio del
2006, ha avuto il pregio di raccogliere in modo organico la disciplina vigente dei contratti e degli appalti
pubblici nel nostro Paese; esso costituisce un’opera
notevole, che nel suo insieme offre un aiuto all’operatore giuridico ed economico certamente superiore
a quello derivante da singole leggi separate e non
formalmente connesse. Ma per alcuni istituti l’applicazione è ancora legata a sporadiche determinazioni
di alcune stazioni appaltanti; obiettivo del presente
contributo è quindi quello di dare breve descrizione
di tre tra gli istituti innovativi introdotti dal Codice degli appalti: l’accordo quadro, il dialogo competitivo e
il sistema dinamico di acquisizione.
Premessa
Sono trascorsi già più di sette anni dall’entrata in vigore del Codice e ora si tende quasi a dare per scontato
la possibilità di applicare e approfondire gli istituti che
contiene, ma si ritiene opportuno ancora una volta ricordare la rivoluzione intervenuta con l’entrata in vigore del primo codice nazionale in materia di appalti.
Prima dell’esistenza di un codice unico, coloro che
lavorano nell’ambito degli appalti pubblici (a partire dai funzionari pubblici, le imprese private, i professionisti, i magistrati) erano costretti a lavorare
con un corpus normativo estremamente frastagliato e lacunoso.
Ciò era vero in particolare per il mondo degli appalti di servizi e forniture, privi di una disciplina organica per quegli acquisti rientranti nel cosiddetto “sottosoglia”.
Oggi la situazione è drasticamente cambiata.
La disciplina degli appalti è raggruppata all’interno di due pilastri normativi: il Codice degli Appalti,
d.lgs. 163/2006, e il Regolamento attuativo del Codice degli Appalti, d.P.R. 207/2010.
60
(*) Avvocato specializzato in appalti pubblici.
The Procurement Code, which came
into force in July 2006, had the merit of
bringing together in a systematic way
the current disciplines for contracts and
procurement in Italy. It is a remarkable
work, one which helps legal and economic
operators more, certainly, than individual
separate laws that are not formally linked.
But its application for some institutions is
still linked to sporadic decisions of some
contracting authorities. The aim of this
present paper is to give a brief description
of three innovations, now established, that
were introduced by the Procurement Code:
the framework agreement, competitive
dialogue, and dynamic purchasing system.
Parole chiave
Codice degli appalti, accordo
quadro, dialogo competitivo, sistema
dinamico di acquisizione
Key words
Procurement Code, framework
agreement, competitive dialogue,
dynamic purchasing system
Economia
e Management
Il codice degli appalti pubblici: stato di avanzamento
nell’applicazione degli istituti innovativi
L’importanza, di conseguenza, di questa struttura
normativa è legata, in futuro, anche al fatto che il
legislatore rispetti queste disposizioni e si impegni
a introdurre qualunque modifica in materia di appalti all’interno del Codice e del Regolamento.
È evidente, infatti, che per gli operatori diviene ancor più difficoltosa la preparazione e la competenza se la disciplina normativa dipende nuovamente
da una pluralità di norme e di disposizioni sparpagliate nell’ordinamento giuridico1.
Gli istituti innovativi inseriti all’interno del
Codice degli Appalti
Tanti sono gli istituti che il Codice ha introdotto nel
nostro ordinamento giuridico per la prima volta nel
2006 e la loro conoscenza, approfondimento e applicazione deve ritenersi ancora in corso.
Per molti di questi, infatti, l’applicazione è ancora
legata a sporadiche determinazioni di alcune stazioni appaltanti, quali il dialogo competitivo o il sistema dinamico di acquisizione, mentre per altri
l’applicazione sta diventando di uso più comune,
come per l’accordo quadro o il mercato elettronico.
I. L’accordo quadro
L’accordo quadro2 sta trovando un particolare suc-
(1) Il suggerimento qui riportato è da considerarsi una
speranza di miglioramento della tecnica legislativa per il futuro.
Infatti dal 2006 ad oggi già numerose sono le disposizioni imposte
dal legislatore in materia di appalti al di fuori delle due principali
norme (codice e regolamento).
Un esempio su tutti. L’art. 6 del d.P.R. 207/2010 dispone che
le amministrazioni debbano richiedere il DURC telematicamente
preliminarmente a ogni stipula contrattuale e per ogni importo.
Il legislatore ha previsto una deroga a questa norma, disponendo
che per appalti di beni e servizi fino ad € 20.000 possa ritenersi
sufficiente anche solo una autocertificazione. La disposizione che
legittima l’autocertificazione, tuttavia, non si trova all’interno
dell’articolo 6 del d.P.R. 207/2010, ma in una norma speciale (art.
4, comma 14-bis del d.l. 70/2011). Inevitabile che questa tecnica
legislativa finisca per rendere la materia complessa e odiosa.
(2) L’accordo quadro è disciplinato dall’art. 59 del d.lgs. 163/2006
che dispone: “1. Le stazioni appaltanti possono concludere accordi
quadro. Per i lavori, gli accordi quadro sono ammessi esclusivamente
in relazione ai lavori di manutenzione. Gli accordi quadro non sono
ammessi per la progettazione e per gli altri servizi di natura intellettuale.
cesso in ambito sanitario, poiché è l’unico strumento
contrattuale che consente di premiare, al termine di
una unica procedura di gara, più operatori economici
contestualmente, che diventano tutti aggiudicatari e
stipulano il contratto di accordo quadro.
2. Ai fini della conclusione di un accordo quadro, le stazioni appaltanti
seguono le regole di procedura previste dalla presente parte in tutte
le fasi fino all’aggiudicazione degli appalti basati su tale accordo
quadro. Le parti dell’accordo quadro sono scelte applicando i criteri
di aggiudicazione definiti ai sensi degli articoli 81 e seguenti. 3. Gli
appalti basati su un accordo quadro sono aggiudicati secondo le
procedure previste ai commi 4 e 5. Tali procedure sono applicabili solo
tra le stazioni appaltanti e gli operatori economici inizialmente parti
dell’accordo quadro. In sede di aggiudicazione degli appalti pubblici
basati su un accordo quadro le parti non possono in nessun caso
apportare modifiche sostanziali alle condizioni fissate in tale accordo
quadro, in particolare nel caso di cui al comma 4. 4. Quando un accordo
quadro è concluso con un solo operatore economico, gli appalti basati
su tale accordo quadro sono aggiudicati entro i limiti delle condizioni
fissate nell’accordo quadro. Per l’aggiudicazione di tali appalti, le
stazioni appaltanti possono consultare per iscritto l’operatore parte
dell’accordo quadro, chiedendogli di completare, se necessario, la
sua offerta. 5. Quando un accordo quadro è concluso con più operatori
economici, il numero di questi deve essere almeno pari a tre, purché
vi sia un numero sufficiente di operatori economici che soddisfano i
criteri di selezione, ovvero di offerte accettabili corrispondenti ai criteri
di aggiudicazione. 6. Gli appalti basati su accordi quadro conclusi
con più operatori economici possono essere aggiudicati mediante
applicazione delle condizioni stabilite nell’accordo quadro senza nuovo
confronto competitivo. 7. Per il caso di cui al comma 6, l’aggiudicazione
dell’accordo quadro contiene l’ordine di priorità, privilegiando il criterio
della rotazione, per la scelta dell’operatore economico cui affidare il
singolo appalto. 8. Gli appalti basati su accordi quadro conclusi con
più operatori economici, qualora l’accordo quadro non fissi tutte le
condizioni, possono essere affidati solo dopo aver rilanciato il confronto
competitivo fra le parti in base alle medesime condizioni, se necessario
precisandole, e, se del caso, ad altre condizioni indicate nel capitolato
d’oneri dell’accordo quadro, secondo la seguente procedura: a) per ogni
appalto da aggiudicare le stazioni appaltanti consultano per iscritto gli
operatori economici che sono in grado di realizzare l’oggetto dell’appalto;
b) le stazioni appaltanti fissano un termine sufficiente per presentare le
offerte relative a ciascun appalto specifico tenendo conto di elementi
quali la complessità dell’oggetto dell’appalto e il tempo necessario per
la trasmissione delle offerte; c) le offerte sono presentate per iscritto e
il loro contenuto deve rimanere segreto fino alla scadenza del termine
previsto per la loro presentazione; d) le stazioni appaltanti aggiudicano
ogni appalto all’offerente che ha presentato l’offerta migliore sulla base
dei criteri di aggiudicazione fissati nel capitolato d’oneri dell’accordo
quadro. 9. La durata di un accordo quadro non può superare i quattro
anni, salvo in casi eccezionali debitamente motivati, in particolare,
dall’oggetto dell’accordo quadro. 10. Le stazioni appaltanti non possono
ricorrere agli accordi quadro in modo abusivo o in modo da ostacolare,
limitare o distorcere la concorrenza”.
61
Economia
e Management
Il codice degli appalti pubblici: stato di avanzamento
nell’applicazione degli istituti innovativi
Questo contratto consente ai sanitari, di conseguenza, di usufruire per il lasso temporale della sua
durata, non solo di una unica capacità imprenditoriale (quella dell’operatore aggiudicatario), ma contestualmente di più capacità imprenditoriali, potendo dare soddisfazione così anche a diverse esigenze terapeutiche.
le conoscenze tecniche per poter soddisfare il bisogno pubblico. L’amministrazione deve poter andare
in gara con un progetto che identifichi, più o meno
dettagliatamente, con specifiche tecniche, le modalità predilette ed individuate per soddisfare i bisogni rilevati in fase di programmazione con le risorse economiche di cui si ha disponibilità.
La scelta dell’amministrazione aggiudicatrice di stipulare un contratto di accordo quadro, in alternativa al contratto di appalto, non incide di per sé sulla
tipologia di procedura di gara da realizzare, che resta assoggettata alle regole ordinarie del Codice.
Quest’attività di progettazione non può essere fatta
senza conoscere adeguatamente cosa offre il mercato e quali alternative questo proponga. L’amministrazione appaltante ha, dunque, la possibilità di effettuare, prima della gara, un “dialogo tecnico” con
gli operatori economici del settore. La scelta degli
operatori con i quali avviare questo dialogo può avvenire anche senza particolari criteri di pubblicità.
La scelta di stipulare un contratto di accordo quadro, invece, incide sulla attività progettuale.
L’amministrazione deve, infatti, descrivere nel capitolato speciale iniziale secondo quali regole riterrà
di distribuire, in corso di esecuzione del contratto,
le singole prestazioni agli operatori economici che
lo hanno sottoscritto.
La ripartizione delle singole prestazioni successiva
potrà avvenire con ulteriore competizione tra i firmatari dell’accordo quadro (e quindi verrà effettuata dall’amministrazione, di volta in volta, una sorta
di gara informale ristretta ai soli operatori firmatari dell’accordo quadro) oppure potrà avvenire mediante regole distributive indicate negli atti progettuali dall’amministrazione.
In fase di esecuzione del contratto di accordo quadro ogni singola prestazione esecutiva dovrà essere oggetto di nuova pattuizione con l’operatore
economico, formalizzata mediante la stipula di un
contratto di appalto.
II. Il dialogo competitivo
Le ulteriori novità nel Codice riguardano, invece,
due procedure di gara introdotte dal legislatore comunitario: il dialogo competitivo e il sistema dinamico di acquisizione.
Mentre del secondo si rileva già qualche esperienza nel nostro Paese, ad oggi mancano praticamente del tutto esperienze pratiche di utilizzo del dialogo competitivo.
62
Per comprendere il dialogo competitivo occorre
partire da un assunto: in fase di progettazione l’amministrazione appaltante deve rilevare dal mercato
Il dialogo tecnico è un istituto per ora disciplinato
da un considerando della direttiva 2004/18 3 e non
ancora riportato nel diritto positivo nazionale in fase di recepimento. Ma la bozza della nuova direttiva comunitaria in materia di appalti, che dovrebbe
trovare approvazione definitiva e pubblicazione entro la fine di quest’anno, porterà l’istituto del dialogo tecnico all’interno della articolazione della norma e ben presto, di conseguenza, potremo avere la
disposizione anche all’interno della normativa di recepimento nazionale.
Il dialogo competitivo, riservato dall’art. 58 del
Codice, ai soli appalti definiti “particolarmente
complessi”4, prevede che l’amministrazione effettui
(3) Il Considerando n. 8 della Direttiva Comunitaria 2004/18 offre la definizione di “dialogo tecnico” quale: “Prima dell’avvio di una
procedura di aggiudicazione di un appalto, le amministrazioni aggiudicatrici possono, avvalendosi di un “dialogo tecnico”, sollecitare o
accettare consulenze che possono essere utilizzate nella preparazione del capitolato d’oneri a condizione che tali consulenze non abbiano l’effetto di ostacolare la concorrenza”.
(4) I primi commi dell’art. 58 del d.lgs. 163/2006 dispongono
infatti: “1. Nel caso di appalti particolarmente complessi, qualora
ritengano che il ricorso alla procedura aperta o ristretta non
permetta l’aggiudicazione dell’appalto, le stazioni appaltanti
possono avvalersi del dialogo competitivo conformemente al
presente articolo. Il ricorso al dialogo competitivo per lavori è
consentito previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici,
e comunque ad esclusione dei lavori di cui alla parte II, titolo III,
capo IV. Per i lavori di cui alla parte II, titolo IV, capo II, è altresì
richiesto il parere del Consiglio Superiore dei beni culturali. I
citati pareri sono resi entro 30 giorni dalla richiesta. Decorso tale
Economia
e Management
Il codice degli appalti pubblici: stato di avanzamento
nell’applicazione degli istituti innovativi
una pubblicazione del bando esternando esclusivamente la descrizione del proprio bisogno e un importo che ha a disposizione per soddisfare lo stesso.
Il bando identifica, altresì, delle capacità minime
che i concorrenti devono possedere per qualificarsi positivamente e meritare il diritto al dialogo con
l’amministrazione. Gli operatori interessati e qualificati effettuano questo dialogo, in seduta riservata, con l’amministrazione, descrivendo quella che
potrebbe essere una idea progettuale di massima.
L’amministrazione, dopo aver dialogato con tutti i
soggetti interessati ed aver individuato la miglior
idea di massima, invia a tutti gli operatori che hanno “dialogato” la lettera di invito a presentare una
offerta tecnica ed economica, rispetto al progetto
ritenuto migliore durante la fase del dialogo.
Questa procedura, dunque, consente all’amministrazione di sondare tutto il mercato interessato e
valutarlo in un momento antecedente alla richiesta
di presentazione delle offerte di valutare, dialogando, tutte le possibili soluzioni per soddisfare il bisogno rilevato, finendo poi per premiare, scegliendola, quella che ha ritenuto essere la idea progettuale
di massima migliore.
III. Il sistema dinamico di acquisizione
Il sistema dinamico di acquisizione è, invece, una
procedura di gara integralmente telematica che po-
termine, l’amministrazione può comunque procedere. 2. Ai fini del
ricorso al dialogo competitivo un appalto pubblico è considerato
«particolarmente complesso» quando la stazione appaltante: – non
è oggettivamente in grado di definire, conformemente all’articolo
68, comma 3, lettere b), c) o d), i mezzi tecnici atti a soddisfare le
sue necessità o i suoi obiettivi, – non è oggettivamente in grado
di specificare l’impostazione giuridica o finanziaria di un progetto.
Possono, secondo le circostanze concrete, essere considerati
particolarmente complessi gli appalti per i quali la stazione
appaltante non dispone, a causa di fattori oggettivi ad essa non
imputabili, di studi in merito alla identificazione e quantificazione
dei propri bisogni o all’individuazione dei mezzi strumentali al
soddisfacimento dei predetti bisogni, alle caratteristiche funzionali,
tecniche, gestionali ed economico-finanziarie degli stessi e all’analisi
dello stato di fatto e di diritto di ogni intervento nelle sue eventuali
componenti storico-artistiche, architettoniche, paesaggistiche,
nonché sulle componenti di sostenibilità ambientale, socioeconomiche, amministrative e tecniche.”.
trà rappresentare una modalità di semplificazione
futura degli acquisti, per quelle amministrazioni di
grandi dimensioni che acquistino frequentemente
beni e servizi tipizzati e standardizzati5 .
L’uso oggi frequente da parte di tutte le amministrazioni pubbliche del MEPA (il mercato elettronico
costituito da Consip) rende più facile descrivere il
sistema dinamico.
Infatti questo consiste in una sorta di mercato elettronico e si differenzia da quello per una importante caratteristica: la somma degli acquisti che una
singola amministrazione può effettuare con il sistema dinamico può superare il valore economico della
soglia comunitaria, senza per questo violare il principio di artificioso frazionamento.
Mentre, infatti, il mercato elettronico è utilizzabile
solo per acquisti di importo inferiore alla soglia comunitaria, perché dello stesso non viene data alcuna pubblicità sulla Gazzetta Comunitaria, il sistema
dinamico di acquisizione si avvia con un bando iniziale pubblicato sulla GUCE.
Il bando iniziale ha lo scopo di avvisare gli operatori
interessati e in possesso di certe capacità tecniche
di potersi iscrivere in un portale telematico che diverrà l’unico strumento che l’amministrazione, per
tutta la durata del Sistema, utilizzerà per acquistare i beni e servizi oggetto di gara.
Una volta costituito il portale, tutti i soggetti interessati saranno chiamati ad arricchirlo caricando il proprio catalogo con i prezzi indicativi dei prodotti offerti.
L’amministrazione procedente potrà, infine, dopo
una ulteriore forma di pubblicazione semplificata,
procedere a singoli confronti concorrenziali (sorta
di gara informale telematica) tra tutti gli operatori
iscritti nel portale ed avente ad oggetto i beni che
gli stessi hanno inserito nel catalogo.
(5) L’art. 60 del d.lgs. 163/2006 limita in tal modo l’ambito
oggettivo di applicazione del sistema dinamico di acquisizione:
“1. Le stazioni appaltanti possono ricorrere a sistemi dinamici di
acquisizione. Tali sistemi sono utilizzati esclusivamente nel caso di
forniture di beni e servizi tipizzati e standardizzati, di uso corrente,
esclusi gli appalti di forniture o servizi da realizzare in base a
specifiche tecniche del committente che, per la loro complessità,
non possano essere valutate tramite il sistema dinamico di
acquisizione”.
63
Economia
e Management
Il codice degli appalti pubblici: stato di avanzamento
nell’applicazione degli istituti innovativi
Il vantaggio del sistema dinamico è che i singoli
confronti concorrenziali possono avere la frequenza desiderata (si potrebbero lanciare confronti tutti i giorni) e possono avere l’ambito oggettivo desiderato (l’oggetto della gara, infatti, potrebbe essere una quantità minima come una quantità molto elevata).
In questo modo si consente alle amministrazioni
che hanno frequente bisogno di approvvigionarsi
di evitare il rischio di stipulare contratti di fornitura
pluriennali con quantità elevate senza poter avere
la concreta certezza che il fabbisogno nel trascorrere degli anni per quel prodotto non muterà e non
costringerà a comprare quantità differenti.
E ancora la possibilità di lanciare confronti concorrenziali frequenti senza dover effettuare una gara
d’appalto (che comporta sempre un lasso temporale lungo) consente alla amministrazione procedente
di inserire nella competizione anche eventuali nuovi operatori economici che si fossero inseriti tardivamente nel mercato (l’esempio tipico è il farmaco
generico che entra nel mercato e diventa competi-
64
tivo rispetto all’originario farmaco venduto esclusivamente dal produttore originario).
Anche questo istituto, che per ora ha trovato particolare applicazione nell’ambito della fornitura di
farmaci, potrà, in futuro, applicarsi ancora a numerosi altri ambiti oggettivi di applicazione, che consentiranno alle amministrazioni un alleggerimento nella effettuazione delle procedure ed un minore rischio di programmazione errata in ambiti dove,
oggettivamente, diviene difficile poter prevedere le
quantità di acquisto in un lasso temporale lungo.
Conclusioni
La Comunità Europea dovrebbe entro quest’anno
concludere l’iter per l’approvazione della nuova direttiva comunitaria in materia di appalti.
Nuove ed interessanti novità normative stanno,
dunque, per sopraggiungere ed è necessario completare la comprensione e il recepimento degli istituti della direttiva precedente per farsi trovare
pronti ad ulteriori nuovi aggiornamenti.
Economia
e Management
MANAGEMENT PILLS
La leadership diffusa in Sanità
a cura del CREMS*
1. Premessa
L’aziendalizzazione introdotta nel servizio sanitario
del nostro Paese dal d.lgs. 502/1992 ha portato un
modello di management in un contesto di amministrazione pubblica caratterizzata dalla cultura professionale dell’attività (forma organizzativa professionale, Rebora, 2001). Questo innesto ha generato risultati complessivamente positivi (come la spesa pro capite più bassa tra i Paesi industrializzati) e
contemporaneamente buoni risultati di output/outcome, riconosciuti anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha classificato il nostro servizio sanitario come secondo al mondo alle spalle di
quello francese.
Recentemente tuttavia si osservano nel Servizio
Sanitario Nazionale aspetti di demotivazione del
personale e burocratizzazione delle azioni amministrative, con una azione di governo da parte dello
Stato e delle Regioni che è legata al blocco della
spesa, più che al suo contenimento.
Il fenomeno è tuttavia esteso anche ad altre Nazioni, e la Gran Bretagna ha affrontato i delicati temi
con la struttura nazionale del NHS, che si occupa di
formazione, costituendo la Leadership Academy 1.
Il concetto di fondo della proposta inglese riguarda la prospettiva organizzativa della Sanità: anche senza ancorarsi al modello del medico manager (adottato in Italia), le tecniche gestionali non riescono a cogliere l’essenza della complessità gestionale del servizio sanitario e l’unico aspetto che
aiuta efficacemente l’organizzazione è la leadership del singolo. Quindi ben vengano le tecniche gestionali, ma l’essenza della formazione (per i gestori) deve essere indirizzata verso il singolo operatore come persona fisica che indirizza e motiva i collaboratori.
(*) CREMS Centro di Ricerca in Economia e Management in
Sanità e nel Sociale, LIUC – Università Cattaneo, Castellanza (VA).
(1) http://www.leadershipacademy.nhs.uk/.
Il Servizio Sanitario Nazionale è andato
incontro negli ultimi due decenni a
molti cambiamenti, e si trova oggi a
fronteggiare uno degli ostacoli più difficili:
il contenimento della spesa (ai limiti del
blocco). In questo contesto anche le
più innovative tecniche di management
faticano a fronteggiare la complessità
gestionale che caratterizza l’ambito
sanitario e socio-sanitario. La Gran
Bretagna ha cercato di dare risposta
a queste nuove esigenze costituendo
una Leadership Academy, ad opera
del National Health Service (NHS), che
ha proposto un modello di leadership
diffusa. Vediamo di che cosa si tratta.
65
Economia
e Management
La leadership
diffusa in Sanità
Figura 1 – Andamento della spesa totale pro capite annua in Sanità dal 1995 al 2011 per i Paesi con la spesa
più elevata (USA, Norvegia e Svizzera), i G8 con aggiunta di Svezia e Spagna e i Paesi emergenti BRICS
(Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica)
$10.000,00
$9.000,00
USA
$8.000,00
$7.000,00
$6.000,00
$5.000,00
$4.000,00
$3.000,00
$2.000,00
$1.000,00
$0,00
Norvegia
Svizzera
Canada
Germania
Francia
Svezia
Australia
Regno Unito
Giappone
Italia
Spagna
Russia
Brasile
Sudafrica
Cina
India
Fonte: WHO, National Health Accounts 2013
Tradotto nella realtà italiana del 2013, il concetto
si esplicita attraverso la necessità di individuare e
promuovere non manager burocrati (ben remunerati ma lontani dall’agire come reali dirigenti) ma motivatori, nella convinzione che in un’azienda sanitaria l’alta dirigenza (capi dipartimento, direttori del
personale, responsabili del controllo di gestione,
direttori del provveditorato, responsabili dell’ingegneria clinica, ecc.) rappresenti il fattore che produce la differenza tra aziende efficienti e aziende
non efficienti. Anche in presenza di una mediocre
direzione strategica, se i dirigenti sono di elevata
capacità e motivano adeguatamente i professionisti, l’azienda ha un’organizzazione efficace e produce buoni outcome.
66
Quindi non un solo leader nell’azienda sanitaria (a
volte il ruolo del Direttore Generale è stato mitizzato: come è possibile attribuire ad una sola persona le efficienze o le inefficienze di un’intera azien-
da composta da migliaia di dipendenti?) ma una leadership diffusa, formata da molti dirigenti, capaci di
dare indicazioni di direzione strategica ai dipendenti per motivarli professionalmente.
Per seguire queste indicazioni osserviamo inizialmente il modello di leadership proposto dalla leadership academy inglese.
2. Le tre basi per leadership diffusa
Secondo il modello proposto nel testo Towards a
New Model of Leadership for the NHS del 2013 2 , tre
sono gli elementi base della leadership diffusa, così come mostrato dalle evidenze della letteratura:
(2) Disponibile al sito http://www.leadershipacademy.nhs.uk/
wp-content/uploads/2013/05/Towards-a-New-Model-of-Leadership-2013.pdf.
Economia
e Management
La leadership
diffusa in Sanità
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rib ar s
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Figura 2 – Le tre basi teoriche della leadership
diffusa per il NHS del Regno Unito
3 Focus on improving
system performance
Fonte: Towards a New Model of Leadership for the NHS, 2013
1. fornire un chiaro senso di indirizzo e diffondere il
contributo individuale;
2. motivare le squadre e gli individui a lavorare efficacemente;
3. focus sul miglioramento del sistema delle performance generali.
Nel primo punto le più importanti evidenze riguardano la necessità/opportunità di concentrarsi esplicitamente sui bisogni e sulle esperienze del servizio
da parte degli utenti, rafforzando continuamente il
contributo sociale dell’organizzazione o anche della singola Unità Operativa o servizio, contributo che
può essere espresso anche in termini di qualità del
servizio offerto (collegato alla clinical governance).
Inoltre è importante interpretare l’ambiente di riferimento dell’organizzazione, portando le richieste dell’ambiente nella pratica attraverso i sistemi
di responsabilità (come ad esempio il performance
management), compresa la necessità di lavorare in
più stretta collaborazione con altre organizzazioni
(si pensi al collegamento con il sociosanitario e il
sociale, ma anche con ASL o altri provider privati).
Nel secondo caso è essenziale definire gli obiettivi del gruppo, costruendo l’impegno della squadra
con clima e toni emotivi positivi, ricordando che si
è valutati sia tra gli utenti sia tra il personale, prestando attenzione al benessere del gruppo. Occor-
re inoltre perseguire il coinvolgimento e l’impegno
del personale, incoraggiando l’autonomia all’interno di un quadro di valori e obiettivi incentrati sui bisogni degli utenti. La progettazione organizzativa di
tutte le unità e singole posizioni di lavoro è opportuna per motivare le squadre e gli individui a lavorare
efficacemente, utilizzando correttamente i sistemi
di gestione delle Risorse Umane affinché diano sviluppo al personale garantendo le ricompense. Altro
elemento indicato è la gestione per il miglioramento delle prestazioni, invece che la sola amministrazione, con attenzione alle prospettive sulla performance e sulla cosiddetta “intelligenza soft”, piuttosto che concentrarsi su una serie ristretta di obiettivi/indicatori imposti gerarchicamente. Infine, come ultima indicazione, attivare la funzione di ascolto del personale e di risposta alle loro esigenze ed
emozioni – anche negative – evocate dall’esperienza di presa in carico, piuttosto che negare le difficoltà.
Nella terza dimensione si dichiara che è opportuno adottare e incoraggiare la pratica del miglioramento servizio, con i casi modello e con piani di cura (PDT) per un cambiamento basato sulle evidenze. Si richiede inoltre di affrontare i problemi del sistema-azienda e inseguire l’innovazione, avviando nuovi processi e trovando il modo di intervenire informalmente negli schemi di pensiero e di azione. Infine, per il focus sul miglioramento del sistema
delle performance generali, importante è il modello
di apprendimento di nuovi comportamenti (learning
organization): individuare nuove modalità di lavoro
adeguato per le mutevoli circostanze dell’ambiente,
insieme alla volontà di riconoscere gli errori e mettersi in discussione.
3. Il modello di formazione alla leadership
diffusa
Sulle premesse sopra indicate, l’Academy inglese
ha tradotto un modello di formazione che prevede
7 dimensioni, che sono:
1. dimostra le tue qualità personali (migliora la consapevolezza di te stesso, sviluppa la tua persona, agisci con integrità, gestisci te stesso e le tue
emozioni);
67
Economia
e Management
La leadership
diffusa in Sanità
2. lavora con gli altri (impara a lavorare in team, incoraggia i contributi, sviluppa le relazioni e il network);
3. gestisci i servizi (gestisci le performance, le persone, le risorse e pianifica le attività);
68
sion, prova a influenzare il servizio sanitario e
sviluppa la vision dell’organizzazione);
7. sviluppa la strategia (costruisci la strategia, implementala e sviluppala).
4.migliora i servizi (facilita il cambiamento, incoraggia l’innovazione, valuta criticamente e persegui la sicurezza del paziente);
Questa è la struttura dei corsi di formazione proposti per le differenti figure professionali del servizio sanitario, e quindi con diversi gradi di approfondimento.
5. indica la direzione (valuta l’impatto, prendi decisioni, applica conoscenze ed evidenze, identifica
il contesto del cambiamento);
La differenza con il modello italiano sviluppato negli anni 2000 è ormai notevole: dalla tecnica (il management), alle persone (la leadership).
6.struttura la vision (costruisci e comunica la vi-
Qualche riflessione è opportuna.
Esperienze
in vetrina
Sistemi Dinamici di Acquisizione:
esperienze svolte e valori di risparmio
Dinamicità nell’esecuzione, dinamicità
nel risparmio, dinamicità nella
competitività
Mario Pucci *
Premessa
L’art. 60 del decreto legislativo n. 163 del 12 aprile 2006 “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce” ha subito un ritardo di
applicazione rispetto la generalità della legge sugli
Appalti. Da subito i responsabili acquisti hanno rivolto la loro attenzione nell’applicare le nuove norme in tema di appalti riscrivendo i rispettivi Capitolati e disciplinari nella nuova forma e con le nuove regole articolate nel d.lgs. 163. Numerosi interventi di chiarimenti hanno determinato dubbi e riflessioni: il d.lgs. 163 è stato infatti frettolosamente approvato rapportando tutto lo schema originale
di Nuovo Codice degli Appalti disegnato sui “Lavori” ed esteso con poche sostanziali varianti a “Beni
e Servizi”. Molte interpretazioni hanno determinato
meno semplificazioni e forti appesantimenti in gran
parte delle diverse procedure (si veda ad esempio
la norma che vincola la presentazione del Deposito Cauzionale Provvisorio, di scarso significato per
Beni e Servizi e di irrilevante utilizzo da parte delle
Stazioni Appaltanti).
Gli artt. 59 e 60 del d.lgs. 163 del 12
aprile 2006, riguardanti rispettivamente
l’Accordo Quadro e il Sistema Dinamico
di Acquisizione, hanno subito un
ritardo di applicazione rispetto alle
generalità della legge sugli Appalti,
nonostante ne costituiscano la parte
forse più moderna e originale, e questo
principalmente a causa di una generale
disattenzione. Il presente contributo si
propone quindi di analizzare gli elementi
innovativi dal punto di vista giuridico
del Sistema Dinamico di Acquisizione,
mettendone in luce i vantaggi e i limiti.
Proprio la parte più originale e innovativa del d.lgs.
163, rilevabile negli artt. 59 (Accordo Quadro) e 60
(Sistema Dinamico di Acquisizione, di seguito SDA),
è stata oggetto di tardiva attuazione, e gli istituti
più innovativi sono rimasti per lungo tempo pressoché inapplicati a causa di una generalizzata disattenzione.
Heldis, società di servizi rivolti alle Aziende Sanitarie che promuove l’ottimizzazione dei tempi e dei
costi di gestione delle pratiche di gara relative ai
(*) Amministratore Unico HELDIS SrL.
69
Esperienze
in vetrina
Sistemi Dinamici di Acquisizione:
esperienze svolte e valori di risparmio
prodotti farmaceutici e ai dispositivi medici, ha progettato, realizzato e sperimentato il SDA per prima
sul territorio nazionale, mettendo a punto ogni passaggio che, nel rispetto della norma, ha segnato la
complessità dell’iter procedurale. La prima applicazione è stata commissionata da So.Re.Sa. (Società Regionale per la Sanità, è una società strumentale costituita dalla Regione Campania per la
realizzazione di azioni strategiche finalizzate alla
razionalizzazione della spesa sanitaria regionale)
per il fabbisogno quadriennale di Protesi Ortopediche nella Regione Campania i cui vantaggi e risparmi sono ben evidenziati nella delibere e dalle relazioni del RUP (Responsabile Unico del Procedimento). A queste ne sono seguite numerose altre.
Sistemi Dinamici di Acquisizione
Cercheremo di evidenziare gli elementi innovativi che hanno contrassegnato le esperienze consolidate nelle prime sette procedure adottate per
ambiti caratteristici (farmaci in particolare) e dalle
quali si rilevano potenzialità di risparmi elevati sia
come semplificazioni nella procedura adottata, sia
nelle evidenze di efficacia rappresentate dai diversi Confronti Competitivi che si succedono consentendo maggiore e più rapida risposta al variare delle
condizioni di mercato: ciò è tanto più rilevante se si
osservano le repentine e rilevanti innovazioni tecnologiche che caratterizzano gran parte degli ambiti di fabbisogno ospedaliero. Possiamo analizzare tali potenzialità partendo dalle stesse definizioni
imposte dall’art. 60.
70
• Procedura con Bandi Semplificati – più Bandi e
diversi Confronti Competitivi per valori anche superiori al valore soglia (200.000 euro) pubblicati
sul sito delle Stazioni Appaltanti (SA).
• Operatori Economici (OE) – possono in ogni momento segnalare nuovi prodotti, variare qualità
e prezzi di quelli esistenti, aggiornare le proprie
caratteristiche anagrafiche.
• Paper Less – l’adozione vincolante di PEC (Posta
Elettronica Certificata) e l’auto compilazione di
ogni dichiarazione, di documenti sia amministrativi sia tecnici e del Contratto per ciascun aggiudicatario in forma personalizzabile e adattata a
ogni tipologia di Capitolato/Disciplinare, rappresentano la più marcata semplificazione, con notevoli agevolazioni per gli uffici gare sia delle SA
che degli OE.
• Offerte Criptate e Sicure – l’adozione della Firma
Digitale e della Marcatura Temporale assicurano
certezza di segretezza e rapidità di disponibilità
per le SA dei report di aggiudicazione e dei Contratti.
• Inapplicabilità dello “Stand Still ” – in applicazione dell’art. 10, comma 11-bis si agevola il procedimento di aggiudicazione consegnando immediatamente l’esito all’esecuzione del contratto.
La misura di tali efficienze è così valutata dalle procedure in modalità SDA, già adottate con la piattaforma di Heldis e sintetizzate nelle tabelle 1 e 2.
Innanzi tutto la procedura deve essere interamente telematica, come imposto dal comma 5 che pone
il vincolo, da parte delle Stazioni Appaltanti, di dotarsi di avanzate piattaforme adeguate, flessibili e
di facile impiego. La progettazione di tale piattaforma da parte di Heldis ha voluto tener conto di specifiche esigenze che obbedissero a tali obiettivi, ottenendo in particolare i risultati di seguito elencati.
Il confronto di tali indicatori con quelli di analoghe gare a Procedura Aperta o Negoziata segnala la riduzione di almeno il 40% nei tempi di espletamento dell’aggiudicazione, con punte particolarmente elevate in riferimento a gare centralizzate come in Regione Sicilia
o in Regione Veneto dove, la forte “desertificazione”
dei lotti nelle gare Farmaci, ha provocato ulteriori procedure con allungamento dei tempi e con minore incidenza sull’aggiornamento di nuovi prodotti e relativa
mancanza di riduzione dei costi sanitari.
• Procedura con Bandi Indicativi – che consentono
la programmazione quadriennale di Ambiti Oggettivi anche disomogenei: una sorta di previsione rivolta a tutti gli Operatori Economici che intendono
iscriversi, abilitarsi e rilasciare i propri listini per
la costruzione ottimizzata del fabbisogno.
Per quanto riguarda l’abbattimento dei lotti deserti,
in particolare nelle gare con molti lotti (farmaci soprattutto) il sistema dell’Offerta Indicativa corredata dei listini delle ditte offerenti contribuisce a preparare il vero fabbisogno dei futuri Confronti, ottimizzando così la definizione dei lotti. Il risultato è
Esperienze
in vetrina
Sistemi Dinamici di Acquisizione:
esperienze svolte e valori di risparmio
Tabella 1 – Procedure analizzate e rispettivi Confronti Competitivi (CC) dopo l’espletamento dell’Offerta Indicativa
Ente
Confronti Competitivi
Aziende Ospedaliere Como–Legnano
N.6 CC per Farmaci in 3 anni
SCR Regione Piemonte
N.5 CC per Farmaci in 2 anni
SO.RE.SA. Regione Campania
N.2 CC per Protesi Ortopediche in 3 anni
SO.RE.SA. Regione Campania
N.7 CC per Farmaci-Emoderivati in 2 anni
ASREM Regione Molise
N.3 CC per Farmaci in un anno
ASREM Regione Molise
N.1 CC per Dispositivi Medici in sei mesi
AU Regione Umbria
N.1 CC per Farmaci – in corso
ESTAV Regione Toscana
N.1 CC per Farmaci – in corso
ULS Thiene VI
in corso per Pace Maker Defibrillatori
Tabella 2 – Riduzione dei tempi medi di espletamento
con SDA
Voce
Riduzione
Pubblicazione del Bando Indicativo
40 gg
Pubblicazione del Bando Semplificato
20 gg
Indizione del primo CC
31 gg
Stipula del Contratto
12 gg
Altri CC nell’ambito di stesso Bando
Semplificato
3 gg
gno ospedaliero (sopra soglia) e che, perdendo la
brevettabilità, vengono messi in competitività con
i seguenti tempi di legge e a seconda della procedura adottata:
1. in SDA, senza pubblicazione: 15 gg per eventuale
Bando Indicativo con aggiudicazione immediata;
2. in Procedura Aperta, con pubblicazione: aggiudicazione dopo non meno di 90 gg.
stato sorprendente pressoché in tutti i Confronti,
relegando a Lotti Deserti solo quelli di aziende che
non intendono partecipare alle gare. Nelle tradizionali Procedure Aperte espletate la percentuale dei
lotti deserti è mediamente pari al 30%, obbligando
le SA ad attivare ulteriori Procedure Aperte e Negoziate con conseguente allungamento dei tempi,
aumento dei costi, ma soprattutto senza beneficiare di tempestività nelle aggiudicazioni.
Appare subito evidente che il risparmio, oltre al
minor onere di pubblicazione, deriva soprattutto
dall’immediatezza di aggiudicazione e quindi di immediata competitività, che nel caso di alcuni rilevanti Principi Attivi (nel caso dei farmaci) può arrivare a non meno di 4 milioni di euro/mese su base nazionale. Esiste a tale proposito uno studio del
20111 su gare espletate e relative rinegoziazioni a
seguito di scadenza di brevetto del prodotto Docetaxel: il risultato ha messo in evidenza che per un
fabbisogno annuo pari a 262.000 fiale nelle due confezioni disponibili, la differenza di prezzo tra quello
medio aggiudicato e quello teorico se si fosse pro-
Si è potuto sperimentare inoltre un miglioramento
dei livelli di competitività dallo SDA rispetto le procedure tradizionali. La sequenzialità dei CC (se ne
ipotizzano non meno di 15 in quattro anni, ma potrebbero essere di numero maggiore) costituisce
un potente serbatoio di competitività al servizio
delle SA. Valga per tutti il seguente esempio misurato su Principi Attivi di rilevante valore di fabbiso-
(1) Lo studio, effettuato da Mario Pucci di Heldis nel giugno
2011, ha preso in esame tutte le gare aggiudicate in corso,
rispettivamente al dicembre 2010 e giugno 2011, rilevando dalle
delibere le quantità di fabbisogno e i prezzi aggiudicati. Da tale
analisi, disponibile per eventuali richieste tramite richiesta e-mail
all’autore del presente contributo, emergono i dati riportati in
sintesi nell’articolo.
71
Esperienze
in vetrina
Sistemi Dinamici di Acquisizione:
esperienze svolte e valori di risparmio
ceduto a immediata rinegoziazione, è pari a all’82%,
con un risparmio potenziale pari ad oltre 51 milioni di euro.
Il SDA è in grado, quindi, di superare il maggiore limite rilevabile in capo al Mercato Elettronico delle
Pubbliche Amministrazioni (MEPA).
L’adozione di una piattaforma telematica, necessaria per l’applicazione dello SDA, induce numerosi
ulteriori vantaggi che si riflettono sull’attività amministrativa, che ottiene sicurezza e standardizzazioni rappresentati dai seguenti elementi:
Il MEPA è infatti uno strumento attraverso il quale
le amministrazioni possono acquistare beni e servizi per un importo non maggiore complessivamente
alla soglia comunitaria (attualmente 200.000 euro).
1. dotazione aggiornata dei listini di ciascun OE abilitato (attualmente Heldis dispone di 20.000 prodotti definiti da 300 OE e relativi agli ambiti di gare in svolgimento);
2.aggiornamento delle anagrafiche dei Fornitori
abilitati con tutti i dati richiesti dalle diverse procedure (da quelli di Persone Fisiche e Giuridiche,
alla codifica Inps, Inail, numeri CC per la l. 136,
all’elenco dei conviventi familiari, ecc.);
3.tracciatura e storicizzazione dei dati immessi
con possibili estrazioni e personalizzazioni per
qualsiasi esigenza; in particolare tale tracciatura è resa disponibile per tutte le richieste, e relative risposte, dei chiarimenti svolti sia da OE che
dalle SA.
Analisi giuridica dei vantaggi del SDA
Il Sistema Dinamico di Acquisizione consente di effettuare una procedura di gara comunitaria per acquistare, con modalità frazionata secondo le esigenze delle amministrazioni committenti, beni o
servizi “standardizzati e tipizzati di uso corrente”.
Per tramite di questa procedura di gara, dunque, è
possibile costituire un elenco di fornitori costantemente aperto all’accesso di nuovi soggetti interessati.
Gli operatori economici positivamente prequalificati ed inseriti nel Sistema devono inserire nel portale
telematico predisposto il proprio catalogo disponibile che possono costantemente provvedere ad aggiornare.
72
Una volta costituito l’elenco l’amministrazione
committente può procedere con confronti concorrenziali per acquistare qualunque prodotto sia inserito nel catalogo e per le quantità ritenute di volta in
volta più opportune.
Un’amministrazione che, nel medesimo anno finanziario, acquistasse per la medesima voce di spesa
beni o servizi di importo maggiore a 200.000 euro
incapperebbe nella violazione del temuto principio
dell’artificioso frazionamento.
Il Sistema Dinamico di Acquisizione elimina questo
pericolo.
Per tramite del SDA, infatti, l’acquisto frazionato nel quadriennio di beni e servizi per un importo
complessivo anche maggiore alla soglia comunitaria non costituisce frazionamento artificioso, dacché il sistema dinamico rientra tra le procedure comunitarie.
Si tratta, in sostanza, di una gara comunitaria, che
rispetta tutti i principi comunitari, ma che può avere
singoli confronti concorrenziali di qualunque valore
determinato dall’amministraizone (da un euro in su).
È evidente quale vantaggio possa offrire questo Sistema per acquisti di determinate tipologie oggettive, in particolare per quelle tipologie oggettive per
le quali sia complesso per le amministrazioni committenti realizzare una programmazione degli acquisti.
Si pensi all’ambito oggettivo dei farmaci: le amministrazioni sanitarie per molti anni hanno realizzato
gare accentrate in ambito regionale; la gara farmaci è una gara molto complessa per la quale si è sempre scelto un periodo di durata contrattuale minimo
di tre o quattro anni.
Non è possibile, tuttavia, programmare con dettaglio, quale quantità di farmaci potrà essere acquistata in una periodicità così lunga. Inoltre la nascita
di nuovi farmaci (si pensi alla scadenza dei brevetti e alla commercializzazione dei prodotti farmaceutici cosiddetti generici) costringe le amministrazioni a rinegoziazioni costanti nel quadriennio di durata dei contratti di fornitura dei farmaci.
L’esistenza di un portale telematico che consenta la
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Sistemi Dinamici di Acquisizione:
esperienze svolte e valori di risparmio
realizzazione di negoziazioni per un singolo prodotto richiedendo un impegno lavorativo e temporale
minimo diventa inevitabilmente la chiave del successo del sistema dinamico.
Il successo non è solo rilevabile in chiave organizzativa e temporale, ma anche economica.
Infatti la rinegoziazione in tempi brevi consente alle
amministrazioni di acquistare, in brevissimo tempo,
il nuovo prodotto, a valle di un confronto concorrenziale con il nuovo prezzo ottenuto. Le amministrazioni possono, di conseguenza, realizzare procedure di acquisto, per tramite del portale telematico, con singoli confronti concorrenziali per periodicità più brevi.
La possibilità di effettuare acquisti per periodicità
più brevi consente di realizzare una programmazione più precisa. È inevitabile, infatti, che sia più facile avvicinare la quantità di beni da acquistare per
un periodo di 6 mesi o un anno, piuttosto che programmare con esattezza la quantità di beni da acquistare in un quadriennio.
La questione della necessaria correttezza della programmazione si è fatta ancora più importante con l’entrata in vigore del d.P.R. 207/2010 che,
all’art. 311, ha normato la disciplina sulle varianti. Le
amministrazioni, a fronte di determinate fattispecie
di fatto, possono ampliare, con decisione unilaterale, le quantità di beni o servizi pattuiti con i fornitori del 20%, ma qualunque riduzione o ampliamento
della quantità pattuita per percentuali maggiori deve essere concordata con l’operatore economico.
In caso di mancato accordo l’amministrazione potrebbe trovarsi costretta a pagare danni da responsabilità contrattuale nel caso, avendo programmato una certa quantità di beni nel quadriennio, si trovasse, a fronte di mutate condizioni, a dover comprare una quantità decisamente inferiore.
Questi rischi vengono del tutto arginati dal SDA.
Limiti
Il sistema, peraltro, trova anche dei limiti che devono essere ben conosciuti dalle amministrazioni per
decidere la opportunità di applicare lo strumento
giuridico al singolo ambito oggettivo in decisione.
La condizione sfavorevole maggiore consiste nel
fatto che l’acquisto di beni e servizi in più confronti
concorrenziali, inevitabilmente, rischia di far perdere al committente un margine di economia di scala
che avrebbe ottenuto se avesse realizzato un confronto concorrenziale unico per una unica quantità
complessiva.
L’operatore economico deve determinare il prezzo
di vendita anche sulla base della quantità oggetto
di negoziazione. Se la quantità aumenta, per molti
ambiti oggettivi, il prezzo può diminuire.
Se l’amministrazione, invece di comprare tutti i beni
con una unica tranche di acquisto e una unica quantità elevata, acquista con più confronti concorrenziali che hanno alla base di negoziazione una quantità inferiore, inevitabilmente finisce per approcciare un’economia di scala differente che può avere
conseguenze sul prezzo offerto.
È importante che le amministrazioni si abituino,
quindi, preliminarmente alla scelta della procedura
di gara da realizzare, a cercare di conoscere quale sia l’economia di scala che i concorrenti possono offrire.
L’altro rilevante svantaggio del SDA è dato dall’ambito oggettivo limitato che può essere dedicato a
questa procedura di gara.
L’art. 60 dispone che possono essere acquistati “forniture di beni e servizi tipizzati e standardizzati, di uso corrente, esclusi gli appalti di forniture
o servizi da realizzare in base a specifiche tecniche
del committente che, per la loro complessità, non
possano essere valutate tramite il sistema dinamico
di acquisizione”. Non tutti i beni e servizi, dunque,
possono essere acquistati per tramite del sistema
dinamico, ma esclusivamente quei beni e servizi tipizzati e standardizzati, di uso corrente.
La giustificazione è facile da intuire: una volta costituito il portale telematico e ottenuto l’accesso, i
singoli operatori economici sono chiamati ad arricchire il portale con il proprio catalogo.
È evidente che i beni e servizi oggetto di acquisto
devono poter essere inseriti nel catalogo, e per ottenere questo si deve trattare di forniture che possono essere descritte nel capitolato speciale con
dettaglio di specifiche tecniche.
73
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esperienze svolte e valori di risparmio
Considerazioni conclusive
74
Le applicazioni del SDA sin qui adottate consentono di riaffermarne la validità nei particolari vantaggi evidenziati nel corso dell’articolo. In particolare va riaffermato che tali vantaggi costituiscono un
potente “traino” per le altre tipologie di gara e per
l’intero sistema degli acquisti di Beni e Servizi.
ta mediamente per 1.200 lotti, le successive nuove
“offertine” richieste nel triennio di validità della gara sono state pari ad oltre 2.700 casi inoltrati a diversi Operatori Economici e dovuti a casi di offerte extra gara o per variazione di prezzi. Tutta questa mole di attività aggiuntiva viene completamente annullata e recuperata nell’attività di una procedura in SDA nella successione dei rispettivi CC.
Un vantaggio sicuramente tangibile e rilevante
emerge dalla enorme quantità di “offertine” richieste a seguito di ogni singola aggiudicazione delle procedure tradizionali, oppure per piccoli acquisti di prodotti non aggiudicati; tale comportamento, molto diffuso, è quantificabile in questo dato
più volte misurato: a seguito di una gara aggiudica-
È per tale motivo, nella convinzione che le positività del sistema qui elencate e dimostrate possano contribuire a una maggiore efficacia del sistema
degli acquisti di Beni e Servizi che Heldis continuerà a diffondere la propria piattaforma contribuendo
alla cultura della miglior efficacia e del maggior risparmio.
Giurisprudenza
commentata
Libera concorrenza nel mercato sanitario
siciliano
Consiglio di Giustizia Amministrativa
per la Regione Siciliana, sez. giurisd.,
11 marzo 2013, n. 326
Con riguardo alla riforma sanitaria siciliana del 2009,
la sentenza riconosce la violazione del principio della libera concorrenza fissato dal diritto europeo e riabilita le strutture sanitarie accreditate, ma non convenzionate, alla titolarità di un rapporto contrattuale
con le Aziende sanitarie provinciali. La decisione del
giudice ha un evidente carattere di concretezza confermativa, giacché stabilisce il primato di una norma
europea rispetto all’ordinamento interno (nella fattispecie regionale) e, nel caso esaminato, si fa carico
di trovare un punto di equilibrio tra il libero mercato e
il modello sanitario individuato in ambito regionale.
Sentenza
(Omissis)
Il thema decidendum della controversia è dato dalla possibilità delle strutture appellanti di avere il diritto, in ragione del loro accreditamento, alla contrattazione indetta dall’Azienda e da questa limitata
solo alle strutture specialistiche ambulatoriali accreditate e titolari di accordi contrattuali alla data
di entrata in vigore della l.r. n. 5 del 14 aprile 2009.
7) – Nel merito, l’appello è fondato.
8) – Va osservato, in primo luogo, che, contrariamente, a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, non
v’è posizione di conflitto tra le società appellanti.
In particolare, la PA.MA.FI.R. è stata contrattualizzata solo per “medicina di laboratorio” e ha proposto ricorso per essere contrattualizzata anche nelle specialità di “cardiologia, radiologia, endoscopia
e chirurgia ambulatoriale”.
Quanto al Centro clinico diagnostico S. Martino, tale struttura è stata accreditata, ma non è mai stata
contrattualizzata.
9) – Quanto alla seconda questione, è errata l’affermazione del giudice di prime cure in ordine al mutamento del quadro normativo.
Con sentenza n. 874/2011, lo stesso T.A.R. aveva sostenuto che l’art. 25, comma 2, della l.r. n. 5/2009, nella parte in cui limitava l’erogazione delle prestazioni
sanitarie ai soli titolari di accordi contrattuali alla data di entrata in vigore della stessa legge, era illegittima e andava disapplicata poiché “osta all’applicazione dell’art. 3, comma 3, Trattato sull’Unione europea
e degli artt. 3 (paragrafo 1, lett. b), 116, 117 (paragrafo
1) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea,
relative alla tutela della libertà di concorrenza”.
Ebbene, la suddetta limitazione è rimasta in vigore, mentre il mutamento del quadro normativo (art.
2-bis, come introdotto dall’art. 1 della l.r. n. 14 del
2011), si riferisce alle prestazioni relative a particolari infermità (rete di residenzialità per soggetti fragili, centri residenziali di cure palliative ecc.)
per le quali è consentito che siano erogate anche
da strutture private.
In definitiva, il giudice di prime cure avrebbe dovuto decidere la controversia sulla base dell’orientamento assunto nella precedente sentenza n.
874/2011.
10) – In conclusione, per le suesposte considerazioni, l’appello va accolto e, previo annullamento della
sentenza appellata, va dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di convocare le strutture appellanti ai
fini del riconoscimento a effettuare prestazioni per
conto del Servizio sanitario regionale.
Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od
75
Giurisprudenza
commentata
eccezione di rito e di merito possa essere assorbito
in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.
Le spese e gli altri oneri dei due gradi di giudizio sono compensate con l’Assessorato regionale per la
salute, mentre sono poste a carico dell’Azienda sanitaria provinciale in ragione di € 1.000 (euro mille).
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in appello
e, per l’effetto, annulla la sentenza appellata e dichiara l’obbligo dell’Azienda sanitaria provinciale
di Palermo di convocare le società appellanti per
l’effettuazione di prestazioni sanitarie specialistiche ambulatoriali per conto del servizio sanitario
regionale.
Condanna l’Azienda sanitaria provinciale di Palermo al pagamento a favore delle appellanti delle spese, competenze e onorari dei due gradi di giudizio, in
ragione di € 1.000,00; compensa i restanti oneri processuali tra le appellanti e l’Assessorato regionale
per la sanità.
Commento
sanitario “scelto” dalla Sicilia con la riforma del
2009 2 , ma soprattutto per le rilevanti conseguenze
che la stessa pronuncia, probabilmente, produrrà
nel “mercato sanitario siciliano”3 .
Il tema sul quale occorre fare un’attenta riflessione, seppur preliminare, è quello del ruolo del principio di tutela della concorrenza, come regolata dalle
norme europee, nella erogazione delle prestazioni
sanitarie. In particolare, è bene anche chiarire se,
in materia sanitaria, è consentita l’applicazione delle regole europee sul libero mercato e della concorrenza.
Nel caso di specie, il CGA è stato adito da alcune
strutture sanitarie private che, ricorrendo avverso
una sentenza del T.A.R. Palermo 4 , lamentano il loro
diritto ad essere convocate, in quanto regolarmente accreditate, dall’Azienda sanitaria provinciale5
(d’ora in poi ASP) “per la contrattazione delle prestazioni sanitarie ambulatoriali da erogare per conto del Servizio sanitario regionale”6 .
I ricorrenti ritengono ingiusto il limite previsto
dall’art. 25, comma 2, della legge regionale siciliana n. 5 del 2009 (recante “ Norme per il riordino del
Servizio sanitario regionale”), concernente il possesso, da parte dei privati accreditati, di accordi
contrattuali con l’ASP anteriori all’entrata in vigore della predetta legge e ne domandano, pertanto,
al giudice la disapplicazione richiamandosi a quanto stabilito, per un caso analogo precedente, dal
T.A.R. Palermo7.
a cura di Ennio La Placa
Tale limite costituisce, dunque, la causa del contenzioso poiché, nella tesi che si intravede a so-
1. Una “barriera temporale” introdotta
dal legislatore regionale e disapplicata
dal giudice amministrativo
(sentenze nn. 874/2011 e 875/2011) e dal T.A.R. Sicilia, Catania
(sentenza n. 2768/2012).
La sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (in seguito CGA) n. 326
del 2013 appare di grande interesse, non solo perché con essa viene cristallizzato, dal giudice di ultima istanza, un orientamento1 relativo al sistema
(2) Legge regionale siciliana 14 aprile 2009, n. 5 concernente
“Norme per il riordino del Servizio sanitario regionale”.
(3) Anche la stampa ne ha dato ampio risalto: La Repubblica,
sez. Palermo, del 14 marzo 2013.
(4) T.A.R. Sicilia, Palermo, sentenza 10 febbraio 2012, n. 337.
(5) L’art. 10 della l.r. n. 5/2009 recita: “Nell’ambito di ogni
provincia opera un’Azienda sanitaria provinciale che assicura
l’assistenza sanitaria attraverso le attività ospedaliere e le attività
territoriali”.
(6) Sentenza in esame.
76
(1) Già assunto in primo grado dal T.A.R. Sicilia, Palermo
(7) T.A.R. Sicilia, Palermo, sent. n. 874/2011.
Giurisprudenza
commentata
stegno dei ricorrenti, configura un’arbitraria disparità di trattamento tra i soggetti privati comunque idonei (ovvero accreditati) ad erogare il servizio.
L’amministrazione, sulla base della norma che introduce il “limite alle nuove convenzioni”, non avrebbe
risposto all’istanza di convocazione presentata dalle strutture sanitarie private ricorrenti, le quali, pur
essendo accreditate, erano prive di accordi contrattuali8 con l’amministrazione sanitaria provinciale prima dell’entrata in vigore della riforma del 2009
e, per questo motivo, venivano escluse dal riparto
del budget destinato all’erogazione delle prestazioni sanitarie nell’Isola.
L’art. 25, comma 2, della l.r. n. 5 del 2009 stabilisce,
infatti, che “le prestazioni di ricovero sia in regime
ordinario che in regime giornaliero, quelle specialistiche, ambulatoriali, domiciliari e residenziali, ivi
compresa la diagnostica strumentale e di laboratorio e la medicina fisica e riabilitativa, sono erogate, in conformità alle vigenti disposizioni normative,
oltreché dalle strutture pubbliche, anche da quelle private accreditate titolari di accordi contrattuali
alla data di entrata in vigore della presente legge”.
I giudici del CGA, però, disapprovano la scelta operata dal legislatore regionale, responsabile di porre una “evidente barriera (temporale) di ingresso
al singolo mercato provinciale”9 e di aver violato le
norme sulla concorrenza previste dai Trattati europei; i giudici d’appello confermano, quindi, l’orientamento giurisprudenziale assunto in casi analoghi dal giudice di primo grado e disapplicano la norma regionale contestata (art. 25, comma 2, l.r. n.
5/2009) perché in chiaro contrasto con il principio
della libera concorrenza sancito dalle norme europee (art. 3, comma 3, Tue, e art. 3, paragrafo 1, lett.
b, 116 e 117, paragrafo 1 del Tfue)10 .
Viene così annullata la sentenza appellata e dichiarato “l’obbligo dell’Amministrazione di convocare le
strutture appellanti ai fini del riconoscimento a effettuare prestazioni per conto del Servizio sanitario regionale”11.
2. L’attenzione per la finanza pubblica
e la scelta del modello sanitario.
Regole europee e diritto interno
Ci si domanda se la disposizione adottata dal legislatore regionale possa essere giustificata dal problema, più generale e diffuso, legato alla crisi di risorse economiche e ai limiti alla spesa sanitaria, la
quale è cresciuta negli anni sempre più per fattori
tecnologici, demografici e sociali12 .
È vero che – come ha ben affermato qualche studioso13 – con riferimento all’attuale sistema di accreditamento, quest’ultimo “è retto da un duplice
ordine di provvedimenti: quello di rilascio dell’accreditamento e quello di determinazione, nell’ambito della programmazione annuale, dei tetti delle
prestazioni da erogarsi in regime di accreditamento e dei massimali di spesa”. Tuttavia, la doverosa
attenzione per la finanza pubblica non può determinare, in seguito alla scelta del modello sanitario pubblico-privato, una iniqua “chiusura temporale” del mercato sanitario ai soggetti privati parimenti in grado di poter erogare il servizio alla collettività.
Il giudice amministrativo ha ritenuto quindi, giustamente, non rispettati i vincoli derivanti dal diritto
europeo, “una volta scelto il modello organizzativo
d’assistenza sanitaria”14 .
esclusiva dell’Unione Europea nella “definizione delle regole di
concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno”.
(11) Sentenza in esame.
(8) Gli accordi contrattuali rappresentano “il momento
conclusivo del processo di individuazione dei soggetti erogatori
dei servizi a carico del SSN”, G. Cilione, Diritto sanitario, Maggioli,
2012, p. 254.
(9) Come ha ben detto il T.A.R. Sicilia, Palermo, con le sentenze
n. 874 e n. 875 del 2011.
(10) L’art. 3, paragrafo, 1 lett. b), del Trattato sul funzionamento
dell’Unione Europea (TFUE), in particolare, sancisce la competenza
(12) Sul punto e per approfondimenti si veda M. D’angelosante,
Strumenti di controllo della spesa e concorrenza nell’organizzazione
del servizio sanitario in Italia, Maggioli, 2012, 13 ss.
(13) M.M. Consito, Accreditamento e terzo settore, Jovene,
2009, pp. 62 e 63.
(14) “La diversità dei modelli organizzativi dei servizi sanitari
nazionali non viene del resto, messa in discussione dalla giurisprudenza
della Corte di Giustizia la cui giurisprudenza, al contrario, afferma che
gli Stati possono opzionare come meglio credono il proprio modello
77
Giurisprudenza
commentata
Siamo di fronte, nella fattispecie, ad un caso tipico di disapplicazione di una norma interna (legge regionale) che contrasta con il diritto europeo.
Il primato di quest’ultimo sul diritto interno regola,
com’è noto, il contrasto tra fonti e obbliga il giudice a disapplicare la disposizione ritenuta anticomunitaria15 .
ma e del 2012 poi18, comporta l’obbligo di disapplicazione – da parte del giudice nazionale – della norma interna contrastante con quella europea dotata
di effetto diretto o, in alternativa, il rinvio alla Corte costituzionale, laddove ci sia un “contrasto tra la
norma interna e la norma comunitaria sprovvista di
effetto diretto”19 .
Bisogna però verificare se le norme europee che si
intendono violate siano dotate del c.d. effetto diretto, ossia della “idoneità della norma comunitaria a
creare diritti ed obblighi direttamente ed utilmente in capo ai singoli, persone fisiche o giuridiche,
senza che lo Stato eserciti quella funzione di diaframma che consiste nel porre in essere una qualche procedura formale per riversare sui singoli gli
obblighi o i diritti prefigurati da norme esterne al sistema giuridico nazionale”16 .
Nel caso in esame è possibile dire che le norme europee che si assumono violate hanno effetto diretto, in quanto esse sono chiare, precise e non condizionate. In particolare, il comma 3 dell’art. 3 del Tue
afferma che “l’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su
un elevato livello di tutela e di miglioramento della
qualità dell’ambiente”; l’art. 3, comma 1, lett. b), del
Tfue attribuisce la “definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato
interno” alla competenza esclusiva dell’Unione; gli
artt. 116 e 117 del Tfue riguardano i poteri conferiti
alla Commissione nel caso in cui siano state falsate le condizioni di concorrenza sul mercato interno
o sia stata provocata una distorsione ad opera dello Stato membro.
È stata la giurisprudenza comunitaria, con la famosa sentenza 5 febbraio 1963 Van Gend en Loos, a
chiarire la nozione di effetto diretto elencando i requisiti che la norma europea deve possedere; è necessario che tale norma sia chiara, precisa e non
condizionata17.
Il primato del diritto dell’Unione Europea sul diritto
interno e il generale obbligo di interpretazione conforme delle norme interne al diritto europeo, anche
alla luce delle modifiche costituzionali del 2001 pri-
organizzativo di assistenza e sicurezza sociale” (T.A.R. Lombardia,
Milano, sez. III, sentenza 16 giugno 2010, n. 1891).
(15) “La disapplicazione è stata concepita per rendere
concretamente operante la primautè del diritto comunitario a livello
del rapporto tra fonti; secondo le chiare linee direttrici tracciate dalla
Corte europea con la sentenza Simmenthal, il giudice nazionale,
incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le
disposizioni di diritto comunitario, ha l’obbligo di garantire la piena
efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria
iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione
nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere
la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro
procedimento costituzionale” (Corte di giustizia, sentenza 9 marzo
1978, causa 106/77, Amministrazione delle Finanze dello Stato c.
Simmenthal Spa), Sticchi Damiani, Violazioni del diritto comunitario
e processo amministrativo. Dal principio di supremazia ai principi di
effettività ed equivalenza, Giappichelli, 2012, 71.
(16) G. Tesauro, Diritto dell’Unione Europea, Cedam, 2012, p.
165.
78
(17) G. Tesauro, op. cit., p. 169.
Forse non è molto appropriato parlare di “libero
mercato” in materia sanitaria, in quanto la Costituzione, all’art. 32, dichiarando che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, attribuisce alle
pubbliche istituzioni il compito di tutelarla, secondo sistemi (pubblici, privati o misti) che sono loro
più idonei.
Come ricordano alcuni studiosi, “l’art. 32 Cost., infatti, non sembra individuare il modello di intervento nel settore: nel fare riferimento al risultato
dell’attività, la disposizione lascerebbe aperte diverse possibilità, dall’istituzione di un sistema sa-
(18) Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (c.d. Riforma
del Titolo V) e legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, la quale ha
introdotto un nuovo primo comma all’art. 97 Cost., in materia di
“equilibrio dei bilanci e di sostenibilità del debito pubblico”.
(19) G. Tesauro, op. cit., p. 186.
Giurisprudenza
commentata
nitario pubblico, alla promozione di un sistema misto pubblico e privato, al finanziamento di soggetti privati”20 .
In dottrina è stato osservato, inoltre, che “nell’ordinamento europeo, la materia sanitaria è in prevalenza gestita dagli Stati nazionali, potendo le istituzioni sovranazionali solo procedere a completamento ed integrazione delle politiche nazionali. Ai
sensi dell’art. 168 Tfue, l’intervento dell’Unione si
indirizza al miglioramento della sanità pubblica, alla
prevenzione delle malattie e affezioni e all’eliminazione delle fonti di pericolo per la salute fisica e mentale. Tale azione comprende la lotta contro i grandi
flagelli, favorendo la ricerca sulle loro cause, la loro propagazione e la loro prevenzione, nonché l’ informazione e l’educazione in materia sanitaria, nonché la sorveglianza, l’allarme e la lotta contro gravi
minacce per la salute a carattere transfrontaliero”21.
Ciò non vuol dire, però, che Stato e Regioni possano
intraprendere scelte irragionevoli22 ma, individuato
il modello, questo deve necessariamente ricondursi
alle regole che consentono di realizzarlo e, nel nostro caso, in primo luogo rispettando le regole europee.
3. Tutela della salute nella Costituzione
e assistenza sanitaria nello Statuto
della Regione Siciliana
La legge regionale siciliana n. 5 del 2009 è informata “ai principi contenuti nel decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502”23 (e s.m.i.) sul riordino della disciplina in materia sanitaria e, nell’ambito dello spazio di autonomia riconosciuto alla Regione, ha adottato la disciplina del sistema sanitario regionale.
La Sicilia, com’è noto, è dotata di uno Statuto speciale che, all’art. 17, elenca l’“assistenza sanitaria”
tra le materie di competenza concorrente (o ripar-
tita) Stato-Regione24 , materia che in Costituzione –
dopo la riforma del Titolo V – ha assunto la denominazione di “tutela della salute” (sempre nell’ambito della competenza concorrente, ex art. 117, terzo comma), con tutte le implicazioni di significato
conseguenti.
Tale disciplina regionale ha stabilito il richiamato limite temporale concernente l’erogazione delle prestazioni sanitarie da parte delle strutture private
accreditate.
L’art. 8-bis del d.lgs. n. 502/1992, tuttavia, prevede che le regioni, nel rispetto del procedimento di
accreditamento istituzionale (art. 8-quater) “assicurano i livelli essenziali ed uniformi di assistenza..., avvalendosi dei presidi direttamente gestiti dalle aziende Usl, delle aziende ospedaliere, delle aziende universitarie e degli istituti di ricovero
e cura a carattere scientifico, nonché di soggetti
accreditati”25 .
Di conseguenza, il sistema dell’accreditamento26
è già previsto nelle norme nazionali e, anche dopo l’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione, esso resta confermato tra i principi fondamentali che lo Stato ha il compito di dettare in materia di “tutela della salute”.
Come ha ricordato l’Adunanza Plenaria, n. 3 del
2012, del Consiglio di Stato, a proposito della programmazione dell’offerta sanitaria nazionale e dei
corrispondenti tetti di spesa, “il nuovo modello di
servizio sanitario nazionale, che si è andato delineando a partire dal d. lgs. 30 dicembre 1992, n.
502, è ispirato alla coniugazione del principio di libertà dell’utente con il principio di programmazio-
(24) Ai sensi dell’art. 17, lett. c), dello Statuto speciale della
Regione Siciliana approvato con r.d.l. 15 maggio 1946, n. 455,
convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.
(25) G. Grasso, in Manuale di diritto sanitario, a cura di R.
Balduzzi e G. Carpani, Il Mulino, 2013, pp. 352-353.
(20) M. Conticelli, Privato e pubblico nel servizio sanitario,
Giuffrè, 2012, p. 249.
(21) M. Conticelli, op. cit., pp. 10 e 11.
(22) P. De angelis, in Terzo settore e servizi socio-sanitari: tra
gare pubbliche e accreditamento, a cura di C. Bottari, Giappichelli,
2013, p. 81.
(23) Art. 1, l. r. 14 aprile 2009, n. 5.
(26) “Il sistema dell’accreditamento non genera un conflitto
con i principi comunitari, in quanto è pur sempre presente un
quasi-mercato, attraverso il quale i privati vengono coinvolti
nell’erogazione di particolari prestazioni, come quelle sanitarie e
sociali, rese per conto dell’Amministrazione pubblica di riferimento”.
Così G. Piperata, sulla compatibilità dell’accreditamento con
l’ordinamento europeo, in Terzo settore e servizi socio-sanitari: tra
gare pubbliche e accreditamento, op. cit., p. 100.
79
Giurisprudenza
commentata
ne delle prestazioni a carico del servizio pubblico.
Quanto al primo profilo, la legislazione cristallizza
il diritto dell’utente alla scelta della struttura di fiducia per la fruizione dell’assistenza sanitaria, riconoscendo la qualità di erogatori delle prestazioni sanitarie a tutti i soggetti, pubblici e privati, titolari di rapporti fondati sul criterio dell’accreditamento delle istituzioni, sulla modalità di pagamento a prestazione e sull’adozione del sistema di verifica e revisione della qualità delle attività svolte e
delle prestazioni erogate (art. 8, comma 7, del d.lgs.
n. 502 del 1992)”.
pendentemente dal possesso effettivo di tali requisiti (sentenza n. 361 del 2008)”28 .
Le Regioni, pertanto, possono scegliere quale modello di organizzazione adottare, quale ad esempio
quello misto pubblico-privato, ma a tale preferenza
deve far seguito il pieno rispetto delle regole disciplinanti il modello.
Le Regioni sono comunque libere di scegliere se
coinvolgere i privati nell’erogazione delle prestazioni sanitarie, in quanto tale scelta, concernente il
modello di organizzazione, rientra nella potestà legislativa (concorrente) loro riconosciuta ex art. 117,
terzo comma, Cost.
Considerato, inoltre, che in generale “lo status
di soggetto accreditato non costituisce di per sé
vincolo per le aziende e gli enti del servizio di riferimento a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, ma presupposto per la definizione dei programmi di attività delle strutture accreditate come definiti in appositi accordi o
contratti”29 , non si capisce secondo quale ragione il legislatore regionale abbia previsto un limite
di ordine temporale per l’erogazione di un servizio
alla collettività.
Per essere accreditate, le strutture sanitarie autorizzate devono essere in possesso dei c.d. requisiti
ulteriori di qualificazione, devono rispettare gli indirizzi di programmazione regionale e, inoltre, devono essere subordinate alla verifica, da parte della Regione, dell’attività svolta e dei risultati raggiunti27.
Nella vicenda in esame, il giudice amministrativo trova pertanto illegittimo il limite temporale per
la conclusione di nuovi accordi contrattuali con le
aziende sanitarie provinciali; detto limite, in particolare, viola le regole europee sulla concorrenza,
che il giudice fa “riemergere” attraverso il ben noto
strumento della disapplicazione.
La Corte costituzionale ha recentemente ricordato come anche “i requisiti ulteriori, necessari per
l’accreditamento, hanno natura di principi fondamentali, che le regioni sono tenute a rispettare, non
potendosi attribuire l’accreditamento ope legis a
strutture di cui viene presunta la regolarità, indi-
Un esito, quello a cui è giunto il giudice di ultima
istanza, ampiamente condivisibile, che il legislatore
regionale dovrebbe, come si auspica, tenere in considerazione nei suoi prossimi, necessari, interventi
in materia sanitaria.
(28) Corte cost., sent. 19 dicembre 2012, n. 292.
(27) Art. 8-quater, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502.
80
(29) M.M. Consito, op. cit., pp. 63 e 64.
Uno sguardo
ai numeri
Stima del numero di persone HIV positive
viventi in Italia
Umberto Restelli *, **, Marzia Bonfanti *, Elisabetta Garagiola *, Fabio Vecchio ***, Francesco Bamfi ***,
Paolo Rizzini ***, Maurizio Amato ***, Mauro Quartaroli ***, Davide Croce *, **
Introduzione
Quello della prevalenza della patologia da HIV in
Italia è un tema fortemente dibattuto, fino a poco
tempo fa con grandi contrasti nelle valutazioni. Le
uniche stime sul numero di persone HIV positive
presenti nel Paese sono state pubblicate dal Centro Operativo AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità
(ISS) e dal Joint United Nations Programme on HIV/
AIDS (UNAIDS).
A fronte della recente pubblicazione dell’ISS,
UNAIDS stima il numero di persone viventi con HIV/
AIDS nel 2011 in Italia in 150.000 (120.000-200.000)
(AIDS info database, ultimo accesso: Settembre
2013).
In tempi recenti il gruppo di autori ha sviluppato due
metodologie di calcolo del numero di persone viventi con il virus dell’HIV, che, a differenza di quanto ad oggi pubblicato, si basano su un approccio di
tipo numerico/costi: le quantità di confezioni di antiretrovirali venduti in Italia (cat. J05A), i singoli farmaci consegnati dalle Unità Operative di Malattie
Infettive e altri centri curanti in Lombardia, le stime sui pazienti in carico ma ancora non trattati nelle UU.OO., il modello di separazione tra trattamenti
identici nella cura dell’HBV e dell’HIV, i meccanismi
intrinseci di inefficienza nella prescrizione/distribuzione/immagazzinamento a casa ed uso da parte
del paziente della terapia antiretrovirale.
Si vuole pertanto in questa sede dare un contributo al dibattito, fornendo stime che possano essere
(*) Centro di Ricerca in Economia e Management in Sanità e
nel Sociale (CREMS), LIUC – Università Cattaneo, Castellanza (VA).
(**) School of Public Health, Faculty of Health Sciences, University of the Witwatersrand, Johannesburg.
(***) ViiV Healthcare Srl, Verona.
complementari a quanto già sviluppato, basate su
approcci differenti, ripetibili ad intervalli anche brevi e rapidi nell’esecuzione.
Metodologia
Il numero di persone viventi con HIV/AIDS in Italia
può essere scomposto nelle seguenti categorie:
1. persone in carico a UU.OO. di Malattie Infettive,
in trattamento antiretrovirale;
2. persone in carico a UU.OO. di Malattie Infettive,
naïve, non in trattamento antiretrovirale;
3. persone non in carico a UU.OO. di Malattie Infettive, HIV positive, inconsapevoli del loro stato di
salute.
Metodo di stima basato su dati economici
1. Numero di persone in carico a UU.OO. di Malattie Infettive, in trattamento antiretrovirale
Punto di partenza della metodologia proposta (che
si avvale della tecnica delle percentuali a catena per ottenere il numero totale di persone viventi con HIV/AIDS) è il dato di spesa per Farmaci Antiretrovirali da parte del Servizio Sanitario Nazionale. Tale dato viene fornito annualmente dall’Agenzia
Italiana del Farmaco (AIFA) in collaborazione con
l’ISS, all’interno del report annuale sull’uso dei farmaci in Italia, sviluppato dall’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OsMed). I dati più recenti si riferiscono all’anno 2011.
Per quanto concerne i dati relativi ai farmaci per il
trattamento dell’HIV, nel rapporto OsMed vengono presi in considerazione i valori economici degli
acquisti di farmaci effettuati dalle strutture pubbli-
81
Uno sguardo
ai numeri
che, considerando sia i medicinali destinati all’utilizzo interno alle strutture, sia destinati alla distribuzione diretta e per conto (OsMed, 2012).
Il dato finale di spesa per farmaci antiretrovirali da
parte del SSN è stato modificato, eliminando parte
della spesa dedicata al farmaco Viread (Tenofovir),
in quanto se somministrato in monoterapia viene utilizzato esclusivamente per il trattamento di epatite
B (HBV) e non per l’infezione da HIV. Per isolare tale
costo, dedicato al trattamento di una patologia non
oggetto di indagine, si sono utilizzati i dati rielaborati dal Gruppo di Approfondimento Tecnico HIV/AIDS
(GAT HIV) di Regione Lombardia. È stato stimato che
l’impatto percentuale del valore di Viread destinato
al trattamento dell’HBV (in pazienti HIV negativi) fosse pari al 60,7% del valore totale delle vendite.
Box 1 – Dettaglio metodologico
Il rapporto OsMed non mette a disposizione del lettore
un livello di dettaglio sufficiente per la valutazione della
spesa relativa al farmaco Viread. Per poter stimare il
consumo di tale farmaco sul totale della spesa del SSN
per antiretrovirali, sono stati presi in considerazione i
dati rielaborati da IMS Health, relativi all’anno 2012. Tali
dati prendono in considerazione sia i flussi dei farmaci
distribuiti dalle farmacie ospedaliere alle UU.OO. di degenza e ambulatoriali, sia i flussi dei farmaci distribuiti
dalle farmacie ospedaliere in modalità “diretta”. Il dato
globale italiano è stimato partendo da un campione pari
al 76,4% dei posti letto degli ospedali pubblici italiani. Il
dato rielaborato da parte di IMS Health è valorizzato al
50% del prezzo al pubblico del farmaco, IVA esclusa.
Tale percentuale è stata applicata al dato OsMed,
per ottenere il dato di spesa del SSN per farmaci
antiretrovirali per il trattamento dell’HIV, al netto
della spesa dei farmaci antiretrovirali utilizzati per
il trattamento di altre patologie.
La stessa tecnica è stata utilizzata per valutare lo
scorporo del valore di Lamivudina, farmaco destinato ai pazienti HBV non co-infetti con HIV. Tale valore è tuttavia irrilevante essendo pari allo 0,005%
del valore totale dei farmaci antiretrovirali distribuiti dal SSR Lombardo nell’anno 2011.
82
I dati di spesa per farmaci antiretrovirali per il solo
trattamento della patologia da HIV da parte del SSN
sono riportati nella seguente tabella 1.
Tabella 1 – Spesa per farmaci antiretrovirali per il
trattamento della patologia da HIV da parte del SSN
Fonte
Importo anno 2011
OsMed
€ 640.720.845
Fonte: rielaborazione su dati OsMed
Il valore complessivo riportato in Tabella 1 è stato
diviso per il costo medio pro capite del trattamento antiretrovirale dei pazienti HIV positivi al fine di
valutare il numero di pazienti HIV positivi in trattamento presso il SSN.
Il costo medio è stato calcolato dal GAT HIV di Regione Lombardia, rielaborando i dati del File F della Regione, basandosi sui consumi pro capite relativi a tutti i pazienti trattati dalle UU.OO. di Malattie Infettive della Regione (24.920 utenti) (GAT HIV/
AIDS Regione Lombardia, 2012). Il dato più recente, riferito all’anno 2011, viene riportato nella tabella 2 seguente.
Tabella 2 – Spesa media pro capite per farmaci
antiretrovirali per il trattamento dei pazienti HIV positivi
Fonte
Importo anno 2011
GAT HIV Regione Lombardia, 2012
€ 7.782
Fonte: GAT HIV Regione Lombardia, 2012
Dividendo il dato di spesa per farmaci antiretrovirali per il trattamento di pazienti HIV positivi (Tabella
1) per il dato medio di spesa calcolato dal GAT HIV
Regione Lombardia (Tabella 2), è stato possibile stimare il numero di pazienti HIV positivi in trattamento in Italia.
2. Numero di persone in carico a UU.OO. di Malattie
Infettive, naïve, non in trattamento antiretrovirale
Secondo step dell’analisi ha riguardato la stima del
numero di persone HIV positive naïve in carico alle UU.OO. di Malattie Infettive, non ancora in trattamento antiretrovirale. In assenza di dati ricavati da indagini di qualsiasi natura metodologica relativi all’Italia, tale numero è stato stimato a segui-
Uno sguardo
ai numeri
to di una indagine empirica su alcune strutture pubbliche lombarde1; il dato emerso, pari al 5% del totale di pazienti HIV positivi in carico all’U.O., è risultato rappresentativo della realtà lombarda. Secondo
i primari si può stimare che in particolari situazioni (scelte di avvio del trattamento e altri fattori) la
percentuale di persone HIV positive naïve non ancora in trattamento farmacologico, possa raggiungere una percentuale del 10%.
Pertanto il numero di pazienti HIV positivi naïve, in
carico, non ancora trattati con antiretrovirali, è stato considerato essere compreso tra il 5% e il 10%
del numero totale di pazienti HIV positivi presi in carico dalle UU.OO. di Malattie Infettive.
3. Numero di persone non in carico a UU.OO. di Malattie Infettive, HIV positive, inconsapevoli
Ultimo step dell’analisi è rappresentato dalla stima
del numero di persone HIV positive inconsapevoli.
A tal riguardo sono stati presi in considerazione i
contributi di Hamers e Philips (2008) e Mammone
e colleghi (2012), in quanto riportano stime relative
alla realtà italiana. Le analisi svolte hanno stimato
percentuali del 25% e 13% di persone inconsapevoli
di essere HIV positive, sul totale delle persone HIV
positive viventi. Osservando i dati delle notifiche di
HIV raccolte dall’ISS, aventi andamento costante,
pare logico poter stimare una percentuale compresa tra il 25 e il 30%, considerando la somma dei pazienti in carico alle UU.OO. ma non ancora in trattamento farmacologico in un arco temporale di 5-7
anni (periodo oltre il quale la quasi totalità dei pazienti diventa consapevole della patologia con conseguente presa in carico).
Metodo di stima basato sulle quantità di farmaci
antiretrovirali distribuite
1. Numero di persone in carico a UU.OO. di Malattie Infettive, in trattamento antiretrovirale
Anche per quanto riguarda questo secondo metodo, il punto di partenza sono i dati rielaborati da
(1) A.O. di Busto Arsizio, A.O. di Lecco e A.O. Sacco di Milano,
pari al 27%.
parte del Gruppo di Approfondimento Tecnico HIV/
AIDS di Regione Lombardia in riferimento all’anno 2011. Questo metodo si distingue dal precedente solo per quanto concerne la stima del numero di
persone in trattamento antiretrovirale.
Nel dettaglio, sono state prese in considerazione
le unità di farmaco distribuite in Regione Lombardia per i seguenti backbone, o single tablet regimen
(STR) contenenti backbone: Atripla, Combivir, Kivexa, Truvada, Trizivir, Viread.
L’ipotesi di base è che la maggior parte degli utenti HIV positivi in trattamento antiretrovirale siano in un regime di trattamento farmacologico con
backbone.
Il consumo di ognuno di tali farmaci è stato diviso per il numero di pazienti che hanno ricevuto gli stessi, in modo da poter calcolare il numero di unità di farmaco distribuite annualmente per
paziente.
– unità RL a: numero di unità di farmaco distribuite in
Regione Lombardia per il farmaco a
– pazienti RL a: numero di pazienti in Regione Lombardia che ha ricevuto il farmaco a
– unità x pz RL a: numero di unità di farmaco distribuite per paziente in Regione Lombardia
– unità x pz RL a = unità RL a / pazienti RL a
Si è quindi proceduto a stimare il numero di pazienti che hanno ricevuto tali backbone + STR in Italia
(per quanto concerne i farmaci elencati in precedenza), dividendo il numero totale di unità distribuite in Italia (IMS Health anno 2011) per il numero di
unità distribuite per paziente in Regione Lombardia.
– unità ITA a: numero di unità di farmaco distribuite in
Italia per il farmaco a
– pazienti ITA a: numero di pazienti in Italia che ha
ricevuto il farmaco a
– pazienti ITA a = unità ITA a / unità x pz RL a
È stato quindi possibile calcolare il numero di pazienti che hanno ricevuto almeno uno dei backbone
o dei STR elencati in precedenza in Regione Lombardia, 22.268, e in Italia, 80.499.
83
Uno sguardo
ai numeri
Conoscendo il numero di pazienti HIV positivi trattati in Regione Lombardia, 24.920 (GAT HIV/AIDS
Regione Lombardia, 2012), è stato possibile calcolare il numero di pazienti HIV positivi in trattamento in Italia (x) risolvendo la seguente proporzione:
x : 80.499 = 24.920 : 22.268
Risultati
1. Numero di persone in carico a UU.OO. di Malattie Infettive, in trattamento antiretrovirale
La stima del numero di persone HIV positive in trattamento antiretrovirale è presentata nella tabella 3.
Tabella 3 – Stima del numero di pazienti HIV positivi
in trattamento in Italia
Metodo di stima
Stima del numero di
pazienti HIV positivi in
trattamento
Stima basata su dati di
costo
82.332
Stima basata su quantità
consegnate
82.583
Fonte: rielaborazione CREMS
2. Numero di persone in carico a UU.OO. di Malattie
Infettive, naïve, non in trattamento antiretrovirale
Applicando ai valori presentati nella tabella precedente i dati percentuali ricavati dall’analisi empirica
e dalle interviste svolte, è stato possibile ottenere i
seguenti risultati (tabella 4).
3. Numero di persone non in carico a UU.OO. di Malattie Infettive, HIV positive, inconsapevoli
Considerando i due scenari presi in considerazione
nel paragrafo precedente, è stato possibile stimare
il numero di pazienti HIV positivi inconsapevoli, utilizzando i valori percentuali presentati nella sezione metodologica.
La stima del numero di pazienti HIV positivi inconsapevoli viene presentato nella tabella 5.
Numero di persone HIV positive in Italia
A fronte degli scenari mostrati nei paragrafi precedenti, si riporta la tabella 6 riassuntiva relativa alla
stima del numero totale di persone HIV positive viventi in Italia, considerando i diversi scenari creati.
Il numero di persone HIV positive in Italia nel 2011,
secondo le stime sopra riportate, era compreso in
un intervallo tra 99.500 e 122.400.
La stima più recente sulla prevalenza da HIV in Italia è stata pubblicata dall’ISS, si riferisce all’anno
2012 (Centro Operativo AIDS, 2013) ed è basata su
una raccolta dati (misurazione) svolta all’interno
delle 173 strutture italiane che hanno in cura persone HIV positive e che somministrano terapie antiretrovirali, ottenendo risposta dal 98,3% delle stesse.
I risultati hanno mostrato un numero di persone viventi con infezione da HIV prese in carico dalle strutture pari a 94.146. Il numero di persone HIV positive
in trattamento antiretrovirale è risultato essere pari
a 82.472, l’87,6% dei pazienti presi in carico.
Considerando le stime relative alla percentuale di
pazienti HIV positivi inconsapevoli rispetto al to-
Tabella 4 – Stima del numero di persone in carico a UU.OO. di Malattie Infettive, naïve, non in trattamento
antiretrovirale
84
Persone HIV positive
in trattamento
antiretrovirale (a)
Persone naïve, in carico a UU.OO.
di Malattie Infettive, non in trattamento
antiretrovirale (percentuale del 5%) (b)
Persone naïve, in carico a UU.OO.
di Malattie Infettive, non in trattamento
antiretrovirale (percentuale del 10%) (c)
82.332
4.333*
9.148**
82.583
4.346*
9.176**
* b / 0,05 = a / 0,95
** c / 0,1 = a / 0,9
Fonte: rielaborazione CREMS
Uno sguardo
ai numeri
Tabella 5 – Stima del numero di persone HIV positive inconsapevoli
Persone HIV positive
in trattamento antiretrovirale (a)
Persone naïve, in carico a UU.OO.
di Malattie Infettive, non in trattamento
antiretrovirale (b)
Persone HIV positive inconsapevoli
(13% - 25%) (c)
12.950 *
4.333
28.888**
82.332
13.669 *
9.148
30.493**
12.989 *
4.346
28.976**
82.583
13.711 *
9.176
30.586**
* (a+b) / 0,87 = c / 0,13
** (a+b) / 0,75 = c / 0,25
Fonte: rielaborazione CREMS
Tabella 6 – Numero di persone HIV positive in Italia suddivise per categoria
Persone HIV
positive in trattamento
antiretrovirale
Naïve, in carico a
UU.OO. di Malattie
Infettive, non in
trattamento
antiretrovirale
Persone
HIV positive
inconsapevoli
Totale persone
HIV positive
naïve = 5%,
inconsapevoli 13%
82.332
4.333
12.950
99.615
naïve = 5%,
inconsapevoli 25%
82.332
4.333
28.888
115.554
naïve = 10%,
inconsapevoli 13%
82.332
9.148
13.669
105.149
naïve = 10%,
inconsapevoli 25%
82.332
9.148
30.493
121.973
naïve = 5%,
inconsapevoli 13%
82.583
4.346
12.989
99.919
naïve = 5%,
inconsapevoli 25%
82.583
9.176
28.976
115.906
naïve = 10%,
inconsapevoli 13%
82.583
4.346
13.711
105.470
naïve = 10%,
inconsapevoli 25%
82.583
9.176
30.586
122.345
Quantità
Dati economici
Metodologia
Fonte: rielaborazione CREMS
tale delle persone HIV positive viventi, variabili tra
13% (Mammone et al., 2012), 25% (Hamers e Philips, 2008) e 40% (van Veen et al., 2011), il numero
totale di persone HIV positive in Italia stimate da
parte dell’ISS risulta essere compreso tra 98.966 e
156.910 (Centro Operativo AIDS, 2013).
85
Uno sguardo
ai numeri
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Recensioni
a cura del CREMS
Diritto della sanità e dell’assistenza sociale
Autore
Ettore Jorio
Editore
Maggiolo Editore
Anno di pubblicazione
Lunghezza
Prezzo
2013
345 pagine
32,00 €
L’assistenza sanitaria e l’assistenza sociale
sono due pilastri del nostro ordinamento accumunati nella pratica in molti aspetti tramite un continuum, che presenta come discontinuità la regolazione e il soggetto finanziatore/esecutore.
Recensione
Il testo affronta in modo organico questi servizi alla persona, offerti nel nostro Paese in
forma separata nell’esercizio, creando i parallelismi che molti operatori faticano a vedere realizzati nella pratica, data la natura
regionale della Sanità (e del sociosanitario)
e comunale del sociale. Il federalismo fiscale porta all’accentuazione delle responsabilità reciproche, di conseguenza l’autore fa ricorso sia alla regolazione sia alla giurisprudenza per offrire al lettore le corrette direttive per rileggere i doveri delle istituzioni.
La prossima introduzione dei costi standard e dei LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni), obbligatoriamente accompagnati dall’equilibrio di bilancio inserito in Costituzione, comporta molti problemi di ordine pratico anche per la
determinazione del riparto delle risorse destinate ai due campi di intervento.
L’autore nell’affrontare gli istituti che intervengo tra i due sistemi e gli erogatori privati (MMG, PLS, farmacie convenzionate, servizi sociosanitari) vuole offrire agli studenti una chiave di lettura organica del sistema di welfare, ma anche agli operatori dei due succitati pilastri del nostro sistema una visione d’insieme che pochi possiedono, e la cui comprensione permette di guidare al meglio l’utente nel suo percorso assistenziale.
Per completezza della trattazione e per semplicità di linguaggio il testo diventa
un volume indispensabile nella personale biblioteca professionale del lettore.
87
Recensioni
Leadership e organizzazione
Autori
Editore
Anno di pubblicazione
Lunghezza
Prezzo
Renato Boniardi, Chiara Lupi, Gianfranco Rebora
LIBRI ESTE, Milano
2012
260 pagine
20,00 €
Il testo nella prima parte è basato su lezioni
(la leadership a cura di Boniardi e l’organizzazione a cura di Rebora) e su interviste
guidate (ben 14), arricchito da commenti
nella seconda parte (a opinion leader scelti
per professione e carriera). La formula è
quindi basata su un approccio pratico/operativo al fine di abbinare alla teoria quanto
l’esperienza può aggiungere, e infatti anche la prima parte riprende gli aspetti affrontati nelle interviste.
Recensione
Questo approccio non tradizionale può all’inizio destabilizzare il lettore, che poi viene
trascinato in una lettura coinvolgente che
ha al centro la persona, con la sua cultura, i suoi valori, aspirazioni e le due facce della stessa struttura (organizzazione e leadership).
L’arte del guidare le persone verso obiettivi stimolanti è quindi il sottofondo di
questo testo, adatto sia alla lettura sia allo studio. Ed è così pienamente soddisfatto l’obiettivo che gli autori si ponevano, data la loro provenienza (consulenza e ambito universitario) ed esperienza, che si fa notare anche nella scelta
degli opinion leader: un abate Benedettino, un banchiere, uno chef – per citarne tre – che leggono la leadership come passione, valorizzazione della persona, equità, servizio, impegno. E l’organizzazione diventa unicità, resilienza, istituzione ma anche qualità e professionalità.
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Riflettere su aspetti soft di queste due facce della medaglia delle strutture organizzative era un ulteriore obiettivo, perfettamente raggiunto, proponendo al
lettore innumerevoli spunti che lo possano aiutare nella difficile lettura delle
organizzazioni del lavoro che lo coinvolgono.
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