Verso una rinascita della spiritualità artistica

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Verso una rinascita del Galeotus
Scrivo queste pagine d’introduzione al testo letterario del Galeotus, “poema scenico-musicale in
quattro atti” di Lamberto Caffarelli, già edito nel 1920, in duecentocinquanta elegantissime copie
numerate, dalla stessa Casa Editice “Fratelli Lega” in Faenza che ora lo ripropone a un nuovo
pubblico, nella speranza che si arrivi in tempi non troppo lunghi, grazie al rinato interesse nei
confronti del Maestro, a una rappresentazione completa di testo e musica di questo opus
excruciatum, travagliatissimo nella genesi e ancora pressoché sconosciuto, nonostante recenti studi
specialisitici ne abbiano messo in luce, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’altissima qualità
poetica e musicale.
La realizzazione di una nuova stampa del testo letterario del Galeotus, resa possibile
dall’instancabile attività organizzativa e promotrice del M° Giuseppe Fagnocchi e dall’entusiastica
adesione dell’Editore Vittorio Lega, è motivata da molteplici evidenze che gradualmente stanno
emergendo: anzitutto per l’importanza che riveste nell’opera di Caffarelli, tenuto debitamente conto
del fatto che esso è il culmine della sua attività filosofica e musicale e che fu steso, nella prima e
originaria versione completa, esattamente un secolo fa (1913), poi perché tratta dei Manfredi, dei
quali ricorrono i settecento anni dall’inizio della Signoria (1313)1, infine – last but not least –
perché proprio in questi giorni stanno andando in porto due edizioni di rappresentazione teatrale
grazie alla collaborazione di Luigi Mazzoni: esse saranno proposte, sempre a cura del medesimo
Regista, l’una, in forma ridotta, nel contesto del laboratorio teatrale che si tiene presso la scuola
media “Strocchi”, l’altra, più ampia, attraverso la partecipazione della Filodrammatica Berton. Si
tratta di segnali molto positivi e di attività altamente significative, che non ci nascondono, però, che
ad oggi non è ancora stata possibile una esecuzione completa dell’opera, anche nella sua veste
musicale.
Il mio primo ricordo relativo all’esistenza di un grande lavoro scenico-musicale chiamato
Galeotus risale alla mia infanzia e, nella fattispecie, a un colloquio con la mia nonna Cosetta, che
aveva conosciuto il Maestro e ne serbava un vivido ricordo. Caffarelli era infatti solito frequentare il
caffè di proprietà del mio bisnonno Amedeo Collina, con cui aveva un rapporto d’amicizia, in
quella che allora si chiamava Piazza Fratti, appena fuori porta Montanara, all’inizio dello Stradone,
quotidianamente percorso dal Compositore in lunghe passeggiate: di esso una traversa, oggi, è stata
dedicata alla sua memoria. Mia nonna, prodiga di preziosi ricordi si storia faentina, mi parlava
spesso di Caffarelli; ma quella volta, mi è rimasta indelebilmente impressa nella memoria. Mi
raccontò che un giorno, nel dopoguerra, la radio all’interno del caffè trasmetteva il duetto O soave
fanciulla dal Primo Atto della Bohème. Caffarelli era presente. Lodò l’esecuzione (era Toscanini),
ma criticò aspramente la musica di Puccini: «sentimentalismo lacrimevole per tubercolotici: sfibra
l’anima, non la esalta, come fa invece la musica di Wagner». E raccomandò a mia nonna l’ascolto
del Lohengrin e del Parsifal; opere del resto, soprattutto la prima, che lei conosceva già benissimo:
tuttavia, per buon gusto, non ardì approfondire l’argomento col Maestro. L’episodio finiva qui. Ne è
nata, da parte mia, una lettura comparata del testo del Galeotus e dei libretti wagneriani nella
versione (1947-49), con testo a fronte, di Guido Manacorda, allora imprescindibile strumento di
conoscenza per i wagneriani, un opus magnum ancor oggi molto considerato, grazie anche al
puntuale e ponderoso commento, che getta luce per giunta su numerosi aspetti musicali. Per mia
fortuna, mio padre conservava nella sua biblioteca questa epocale versione e così, durante gli anni
della mia adolescenza, quando leggevo Wagner, pensavo sempre a Cafferelli, a quell’episodio, e
chiedevo a mia nonna di raccontarmelo ancora. Finalmente l’anno scorso, contattato dal M°
Ricorrono, quest’anno, anche i cinquecento anni dalla morte di Cassandra Pavoni (†1513), amante di Galeotto
Manfredi e, come vedremo, protagonista femminile del Galeotus.
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Giuseppe Fagnocchi, ho avuto modo di proporgli una mia ricerca in questo campo, lo svolgimento
della quale ha confermato pienamente l’intuizione d’entrata, che, cioè, il testo del Galeotus
presentasse numerosi e puntuali riecheggiamenti wagneriani, soprattutto dal Parsifal, che, come era
già stato notato da altri, era tra le partiture preferite dal Nostro. Proporrò in altra sede questo mio
lavoro, che nel frattempo si è arricchito di riferimenti, invero indispensabili, a Rudolf Steiner e
all’antroposofia, nonché al fondamentale trittico saggistico caffarelliano L’arte nel Mondo
Spirituale2, di cui mi aveva parlato entusiasticamente mia sorella, la pianista Tullia Melandri,
interprete di importanti pagine del Maestro e autrice del corposo studio Un compositore italiano del
1880: Lamberto Caffarelli3. Anche a lei, che ora vive in Olanda, didatta e concertista di fortepiano,
sento ora di dover rivolgere il più affettuoso ringraziamento, per avermi orientato e incoraggiato
nella complessa materia.
Ma la musica del Galeotus per ora esiste solo in potenza e non in atto. Infatti, come ci ricorda
Igor Stravinskij4, «della musica è importante distinguere due momenti o piuttosto due modi di
essere: la musica in potenza e la musica in atto. Scritta sulla carta o ricordata con la memoria, essa
preesiste alla sua esecuzione e si differenzia in questo da tutte le altre arti, e si distingue inoltre […]
per le modalità che presiedono alla sua percezione». L’entità musicale presenta quindi questa strana
singolarità di assumere due aspetti, di «esistere, di volta in volta e distintamente, sotto due forme,
separate dal silenzio del nulla»5. Questa particolare natura della musica ne determina le modalità di
esistenza e le risonanze d’ordine sociale, presupponendo due tipi di musicisti: il creatore e
l’esecutore. Il Galeotus appartiene, però, anche all’arte del teatro. Essa comprende, come nel nostro
caso (a prescindere dalla musica), la composizione di un testo e la sua traduzione verbale e visiva,
ponendo un problema analogo, se non simile, a quello dell’esecuzione musicale; ma è necessaria
una distinzione: il teatro non musicale, il teatro puro insomma, si rivolge al nostro intelletto
appellandosi allo stesso tempo alla vista e all’udito. È sperimentalmente noto che, fra tutti i nostri
sensi, la vista è quello più legato all’intelletto, e l’udito è sollecitato nella fattispecie dal linguaggio
articolato, veicolo di immagini e di concetti. In tal modo, il lettore di un’opera drammatica qual è il
testo letterario del Galeotus, che qui si ripropone, può immaginare quella che sarà la
rappresentazione più facilmente di quanto il competente lettore di uno spartito non possa
immaginare il risultato di una esecuzione, a prescindere dal fatto che si tratti di musica da camera,
sinfonica o teatrale. Nel caso della musica teatrale, per esempio del Parsifal di Wagner o dello
stesso Galeotus di Caffarelli, l’interazione tra i vari elementi raggiunge il massimo della
complessità. E questo spiega facilmente come i lettori di spartiti di orchestra siano meno numerosi
rispetto ai lettori di libri di musica. Procediamo dunque per gradi partendo dal testo letterario
dell’opera in questione, per spiegare la genesi del quale, ci occorre fornire al lettore un sintetico
ragguaglio circa il contesto storico in cui esso vide la luce.
Caffarelli partecipò al denso dibattito culturale romagnolo di inizio Novecento, in un contesto
filosofico-religioso caratterizzato da un forte desiderio di rinnovamento spirituale6, documentato per
Lamberto Caffarelli, L’arte nel Mondo Spirituale, Faenza (Montanari), 1925.
Accolto nel volume Saggi e studi musicali. Compositori, Pisa (ETS), 2010.
4
Igor Stravinskij, Poetica della musica, trad. a c. di Mirella Guerra, Pordendone (Edizioni Studio Tesi), 1987, p. 89.
5
Ibid.
6
Il clima spirituale di inizio Novecento presenta le caratteristiche proprie dei periodi storici immediatamente successivi
ad un’epoca di forte crisi (in questo caso la “Grande depressione” economica che dagli anni Settanta agli anni Novanta
del XIX sec. ivestì l’Europa) e manifesta forti analogie con l’atmosfera di attesa di rinnovamento e di novità
soteriologica propria dell’età di Augusto nei territorî soprattutto orientali dell’Impero Romano. Mi sembra opportuno
menzionare, a questo proposito, un testo di quest’epoca che, come presagio del mistero del parto virginale, ha fatto
riflettere la cristianità occidentale (si tratta di una poesia latina) fin dai primissimi tempi. Si tratta della quarta ecloga di
Virgilio che fa parte delle Bucoliche (poesie pastorali), composte all’incirca quarant’anni prima della data più
accreditata per la nascita di Gesù di Nazaret. In mezzo ai versi giocosi sulla vita di campagna, risuona lì all’improvviso
un tono molto diverso (Sicelides Musae, paulo maiora canamus): viene annunciato l’avvento di un nuovo grande ordine
del mondo (Ultima Cumaei venit iam carminis aetas, / magnus ab integro saeclorum nascitur ordo – “Giunge l’ultima
età della profezia cumana, riprende da capo il grande ciclo dei secoli”) ripartendo «da zero» (ab integro = ex novo,
nell’interpretazione corrente), oppure da ciò che è integro (ab integro = dalla Vergine Maria, nell’interpretazione
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3
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noi posteri dal fiorire, nei primi anni del secolo, di numerose riviste cui il Maestro aderì con varî e
vivaci articoli, spesso combattivi, sempre densissimi di spunti e di riferimenti7, e, legatosi alla
teosofia fin dal 1907 (è lui stesso a riferirlo in una lettera del 1916 all’amica Giuliana Anzillotti),
portò a termine, dopo anni di tentativi, nel 1913 il suo più ponderoso lavoro letterario-musicale:
appunto il Galeotus, dramma lirico in tre atti e lo presentò a un prestigioso concorso per un’opera
lirica indetto dalla Casa Sonzogno di Milano: esso, pur non risultando vincitore per incomprensione
da parte di alcuni membri della commissione (sia del linguaggio originale e moderatamente
innovativo, sia anche della stessa calligrafia che risulta, in certi passaggi, di difficile lettura),
interessò comunque l’editore il quale invitò però Caffarelli ad alleggerirlo in alcune sue parti8. Un
certo schivo ed imbarazzato temporeggiamento del Maestro dovuto alla riluttanza ad adeguarsi ai
canoni operistici in voga che egli, come vedremo, avversava, il profilarsi della grave crisi
internazionale che portò di lì a poco alla prima guerra mondiale e l’imprevista morte di Riccardo
Sonzogno, lasciarono il lavoro privo del coronamento della già programmata esecuzione che
avrebbe certamente conferito alla vita e alla carriera del musicista una svolta ben diversa da come
invece, purtroppo, avvenne. Nel frattempo, erano stati avviati contatti con Toscanini, che, letta la
partitura, se ne era dichiarato entusiasta e aveva dato la propria disponibilità a dirigerla quando i
necessari tagli fossero stati apportati. Si discusse anche di alcuni dettagli dell’orchestrazione e, in
particolare, di alcuni passaggi “troppo difficili” e inusuali, affidati all’oboe. Addirittura il Maestro si
documentò se effetivamente tali passaggi risulassero ineseguibili agli oboisti9. Ma poi Caffarelli,
nonostante ne avesse tutto il tempo (perché la guerra aveva dilazionato “a data da destinarsi”
l’esecuzione dell’opera), non effettuò le modifiche e i tagli richiesti, e ciò non per pigrizia, bensì per
cristiana). «Iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna – “già torna la Vergine, torna l’Età dell’Oro”». Una nuova
progenie discende dall’alto del cielo (iam nova progenies caelo demittitur alto). Nasce un bambino (nascenti puero) con
cui finisce la progenie «di ferro» (ferrea … desinet … gens). Che cosa viene annunciato, in quel tono tra solenne e
scherzoso? Chi è la Virgo? Chi è il puer di cui si parla? Anche qui – come nel caso di Isaia 7, 14 – che forse Virgilio
aveva letto, si ipotizza, dietro consiglio di un Ebreo della prima diaspora, in traduzione greca, nel clima fervoroso di
attesa messianica che è attestato relativamente alle comunità giudaiche nell’Impero Romano – gli studiosi hanno tentato
identificazioni storiche (il figlio di Asinio Pollione) che, però, sono finite altrettanto nell’àmbito dell’incertezza e
dell’ipotesi. Il quadro immaginativo dell’insieme proviene dall’antica raffigurazione del mondo: sullo sfondo sta la
dottrina del ciclo degli eoni e del potere del destino. Ma queste idee antiche acquisiscono in Virgilio un’attualità vivace
mediante l’attesa secondo cui sarebbe ormai arrivata l’ora di una grande svolta degli eoni. Ciò che fino a quel momento
era stato solo uno schema lontano, all’improvviso si rende presente. Qui è il segreto della straordinaria forza emotiva
della IV ecloga di Virgilio, ancora oggi in grado di commuovere (movēre). Nell’epoca di Augusto, dopo tutti gli
sconvolgimenti a causa di guerre e guerre civili, l’Impero Romano è attraversato da un’onda di speranza: ora dovrebbe
finalmente iniziare un grande periodo di pace, dovrebbe spuntare un nuovo ordine del mondo. Di questa atmosfera di
attesa di novità, di rinnovamento, fa parte anche la figura ancestrale della Vergine, immagine della purezza e del
prodigio, dell’integrità e, secondo l’interpretazione cristiana, della partenza «ab integro». E ne fa parte l’attesa del
bambino, del «germoglio divino» (deum suboles – “progenie degli dèi”). Per questo si può dire che la figura della
vergine e quella del bambino divino fanno, in qualche modo, parte delle immagini primordiali della speranza umana,
che emergono in momenti di crisi e di attesa (come, appunto, la cosiddetta Belle époque), senza che vi siano in
prospettiva figure concrete. Cfr. P. Vergilii Maronis, Bucolicon Liber, ed. Sabbadini-Geymonat, Torino (Paravia), 1973
e le interpretazioni che ne forniscono le Lecturae Vergilianae, a c. di M. Gigante: Le Bucoliche (Napoli 1981) e, in
chiave cristiana, J. Ratzinger, L’infanzia di Gesù, Milano (Rizzoli), 2012, pp. 66-67 (del quale riconosco l’onestà
intellettuale e la correttezza dei riferimenti storico-antropologici ma non condivido sempre il modo un po’ affrettato con
cui giunge a certe conclusioni che, a tratti, sanno chiaramente di forzatura, certamente peraltro preterintenzionale.
Quanto egli asserisce richiederebbe un maggiore approfondimento, e mi auguro che l’illustre teologo nonché venerato e
coscienzioso Pontefice, con la consueta profondità e franchezza, lo effettui in un saggio a parte).
7
Cfr. Alessandro Montevecchi, Ideologie, cultura e letteratura a Faenza nel Novecento, in La cultura nella città/Storia
e letteratura in Romagna nel Novecento, Faenza (Edit), 2006.
8
Cfr. Giuseppe Fagnocchi, L’itinerario musicale in Rudolf Steiner e in Lamberto Caffarelli: dal suono sensibile alla
conscia comunione dell’Io col Cosmo, in Atti del Convegno internazionale di studi “Il mondo riversato”: Arte e libertà
della filosofia di Rudolf Steiner, Trieste, Studio Tommaseo, Sabato 25 Giugno 2011, p. 10.
9
Chiedendo consiglio, per interposta persona, non ad un oboista qualsiasi, ma ad un oboista dell’Orchestra della Scala,
forse addirittura al primo oboista. In realtà i passaggi caffarelliani, ispirati alla tecnica sonora di Debussy, risultavano
facilmente eseguibili su un oboe francese e da parte di un oboista di tradizione francese, ma quasi ineseguibili nel tipico
fraseggio dell’oboe italiano all’interno della tradizione sinfonico-teatrale italiana.
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non venire meno ai suoi princìpi, alquanto distanti dalla realtà del melodramma italiano dell’epoca;
anzi in quegli anni continuò a lavorare assiduamente al Galeotus modificandone, drasticamente,
libretto e musica, in tre versioni consecutive per giungere ad una quarta versione che ebbe, come
abbiam visto, l’onore di una pubblicazione – nella parte del testo, nel frattempo divenuto “poema
scenico” in quattro azioni – da parte della Casa Editrice “Fratelli Lega” in Faenza nel 1920. Si tratta
di una edizione di straordinaria qualità tipografica, ornata da eleganti xilografie di Giannetto
Malmerendi, uscita in sole 250 copie numerate e firmate dall’autore. «Un’opera», dunque, «di ars
reservata»10, dedicata «al ricordo di Riccardo Sonzogno / all’amicizia di Gustavo Macchi / allo
spirito della Eletta che incarnò nella sua anima dolente la Gioia femminile»11 e con il motto
rivelatore «farò quanto pur spero», che la dice lunga sulle ambizioni, non sopite, del Compositore.
Dalla dedica risulta chiaro il riferimento a Giuliana Anzillotti, amica del Maestro prematuramente
scomparsa nel 1917, come pure al tema della sopravvivenza di una «Bellezza» che «non subirà
cipresso»12, divenuta speranza concreta, nella mistica Fassung del 1920, grazie alla dottrina della
metempsicosi13.
Nel 1939, nell’àmbito di un contesto culturale europeo affine a quello che ispirava Caffarelli
all’altezza della quarta versione del Galeotus, Stravinskij scriveva: «Viviamo in un’epoca in cui la
condizione umana subisce profondi cambiamenti. L’uomo moderno sta perdendo la nozione dei
valori e il senso dei rapporti. Questo disconoscimento delle realtà essenziali è molto garve, ci
porterà sicuramente alla trasgressione delle leggi fondamentali dell’equilibrio umano. Per quanto
riguarda la musica le conseguenze sono che da una parte si tende a sviare la mente da ciò che
chiamerò l’alta matematica musicale per degradare la musica ad applicazioni servili e a
volgarizzarla piegandola alle esigenze di un utilitarismo elementare, mentre dall’altra, siccome
l’animo umano è malato, anche la musica del nostro tempo, e più particolarmente quella che si
definisce e si crede “pura”, porta con sé i sintomi di una tara patologica e propaga i germi di un
nuovo peccato di conoscenza; il vecchio peccato originale, se così posso dire, è anzitutto e
soprattutto un peccato di disconoscimento: disconoscimento delle verità e delle leggi che ne
derivano, leggi […] fondamentali»14. Queste famose parole, che a suo tempo Caffarelli avrà molto
probabilmente sottoscritto15, appaiono ancor oggi attuali e ci portano a formulare domade essenziali
per meglio comprendere le ragioni del travaglio umano e intellettuale del Nostro. Qual è dunque
questa verità per quanto riguarda la musica? E quali sono le sue ripercussioni sull’attività creatrice?
Un breve esame dei momenti culminanti del Galeotus ci fornirà le prime importanti risposte.
L’azione scenica è collocata cronologicamente nell’ultimo scorcio del XV secolo e
topograficamente soprattutto a Faenza, ma con importanti riferimenti a Bologna (la cui realtà
politica serve come sfondo alla vicenda): essa vede come protagonisti Galeotto Manfredi, signore di
Faenza, la moglie Francesca Bentivoglio (figlia del signore di Bologna e madre di Astorgio, il figlio
e futuro erede di Galeotto), la quale sarà mandante dell’assassinio del marito, Cassandra Pavoni, già
amante di Galeotto ed ora votata alla via del convento (dapprima per ragioni di opportunità, ma poi
con intima adesione interiore, in una sempre più mistica elevazione spirituale) e destinata alla più
elevata purificazione d’anima attraverso la morte e la ri-nascita nel mondo venturo.
Le dramatis personae del Galeotus non sono trattate e sviluppate secondo la corrente
osservazine psicologica, «non sono creature da offrire alla nostra interiore visione sensibile, ma
attori e fatti sono contemplati nei rapporti occulti e profondi che affiorano dal supersensibile e li
10
G. Fagnocchi, op. cit., p. 11.
Lamberto Caffarelli, Galeotus, Poema scenico in quattro azioni, Faenza (F.lli Lega), 1920, Dedica.
12
L. Caffarelli, ibidem, Offerta del poema, v. 10.
13
Cfr. G. Fagnocchi, ibidem.
14
I. Stravinskij, Poetica musicale, cit., p. 35. I corsivi sono nostri.
15
Gli itinerari musicali dei due artisti, pur nelle appariscenti differenze, presentano numerose convergenze e si
sviluppano in singolare sincronia: non si dimentichi che la prima versione della Sacre du Printemps è del 1913, dunque
coeva alla prima stesura completa del Galeotus.
11
5
legano al cosmo»16. L’amore fra Cassandra e Galeotto non è dunque, nel dramma di Caffarelli, una
passione carnale, quale fu quella «che avvinse di fatto i due personaggi» storici17, né tantomeno
espressione di sentimentalsimo esteriore. Si tratta invece di una philìa dai connotati misticocosmici, di una coincidentia oppositorum che, sotto lo sguardo del poeta-filosofo, si risolve alfine in
una sublime reductio ad unum, in una sfera dove il divino e l’esperienza spirituale costituiscono il
comune denominatore e il vero e più importante messaggio.
La vicenda drammatica è dunque oggetto di riflessione filosofica; e il pensiero che permea ed
illumina la materia è appunto, per Caffarelli, la sola autentica possibilità di arte. Galeotto Manfredi,
dramatis persona in cui «Caffarelli si sarà senz’altro ritrovato»18, viene presentato non “ad
altorilievo”, come figura scultorea contemplabile da ogni sua parte e concretamente palpabile, o in
altre parole, come personaggio realistico, bensì come simbolo, ipostasi, allegoria del travaglio
spirituale ed intellettuale umano. A comprendere i sottili intenti dell’autore ci sono di guida
numerose frasi del signore di Faenza: «La ricerca è una dolente speranza che rinasce, e torna a
morire» (ove si noti il raffinato ossimoro «dolente speranza»19), «Tra le nebbie20 soltanto appresi,
poco dai libri, un poco dalla vita. Ancor chiaro non ci veggo», ecc. Se da una parte Galeotto vede
nella moglie Francesca colei che gli ha procurato la massima gioia e l’orgoglio di questo mondo
attraverso la nascita del figlio Astorgio («Potremo dimeticare se guardiamo a quella vita nostra che
fuori di noi si fece una, e chiude in membra così piccole tanto grande speranza»), Cassandra, che,
monacandosi, ha assunto il nome di Benedetta, appare dall’altro lato come «l’Eletta»21 che lo ha
indirizzato alla vera Vita («Mi cercavi perché in te non ti trovavi» - parole invero illuminanti, di
ascendenza agostiniana, di Benedetta) come, poco alla volta, comprende e riconosce lo stesso
Galeotto («Tu vedesti quel che non vidi, camminasti innanzi a me»). E Benedetta gradualmente
diviene, per il dantista Caffarelli22, la «novella Beatrice»23, la guida del suo “fedele d’amore” verso
le più alte sfere dello Spirito, dove il materico perde la greve densità e persino un generico
significato corporale, verso un assottigliamento mistico e pneumàtico (molto rivelatrice e suggestiva
la richiesta, da parte di Galeotto, di un estremo bacio «porgimi adunque la bocca per l’ultima
volta»24, accompagnata dalla didascalìa «Ella non repugna, ma chiusi gli occhi, offre la bocca
religiosa»), nella direzione di una trasformazione, di una ri-nascita spirituale25: «Dietro di me si
16
Piero Zama, Il Galeotus di Lamberto Caffarelli, in I Manfredi, Faenza (Lega), 19693, pp. 290-95. Il passo riportato è a
p. 290.
17
P. Zama, ibidem.
18
G. Fagnocchi, ibidem.
19
L’uso intensivo di tale figura retorica è proprio della corrente poetica del Simbolismo e, in ispecie, dello stile
neobarocco e allusivamente «dannunziano» del Nostro.
20
Si può qui cogliere, su un piano di connotatività inferiore rispetto al livello mistico-spirituale, una sintetica e
suggestiva evocazione del paesaggio invernale romagnolo. La forza quasi onirica dei versi caffarelliani è spesso
stupefacente: un riflesso dell’intensità di meditazione con cui è stato affrontato il lavoro e della vastissima cultura
dell’autore, le cui fonti spaziano in lungo e in largo per tutta la tradizione drammaturgica europea.
21
L. Caffarelli, Galeotus, cit., Dedica.
22
Si vedano l’analisi del Canto di Paolo e Francesca (V dell’Inferno) nel fondamentale trittico saggistico caffarelliano
L’arte nel Mondo spirituale, cui abbiamo accennato sopra, e, testimonianza ancora più significativa, il Preludio e
Postludio per violino, violoncello e pianoforte composto nel 1935 per incorniciare e incoronare il Canto X del Paradiso.
23
G. Fagnocchi, op. cit., p. 11.
24
Molto dannunziane, da Francesca da Rimini per intenderci, tanto la situazione quanto la scansione prosodica del
verso. Numerosi sono i riecheggiamenti dannunziani nel Galeotus. Circa la stima che Caffarelli nutriva per D’Annunzio
sono molto significative le parole d’encomio, quasi senza riserve, per il poeta abruzzese contenute (e spesso ripetute) ne
L’arte nel mondo spirituale.
25
Non vi è però alcuna prova documentabile che la palingenesi si debba intendere, nel Galeotus, nel senso della dottrina
pitagorica della metempsicosi. I riferimenti a un appagante ritrovamento nell’aldilà si spiegano altrettanto bene – se non
meglio – con l’ortodosso dogma della resurrezione dei corpi e della «vita del mondo che verrà», specie
nell’interpretazione che ne fornisce Sant’Agostino nel De civitate Dei (dottrina dei “corpi spirituali” dei risorti). Non vi
è dunque motivo di ipotizzare la presenza, anche in quest’opera, di una forte e spiccata tendenza al sincretismo religioso
(rintacciabile, invece, con certezza nel caffarelliano Ikhunaton, dramma in cinque atti, Faenza, Lega, 1933).
6
chiude il mondo come un’onda26 da cui son fuggita. Più in terra non sarò per precederti in cielo […]
Ma dopo, saremo in cielo così candidamente! Io tornerò a te col nodo prestabilito, nella via del
divenire non posso lungi da te errare! In nuovi corpi risentiremo questa dolcezza d’essere insieme.
Col sangue perduto perduta avrai la tua illusione, puro e lieve sarai, e molto sottile». Nella diafana,
opalescente, eterea musicalità di questi versi – musicalità così simile a quella, “assottigliata”,
dell’Orfeo stravinskijano – emerge la stessa idea della musica di Caffarelli per il Galeotus, e, più in
generale, della musica da lui amata e coltivata (in questa prospettiva Benedetta appare figura
dell’Arte stessa): immagine sensibile di Bellezza, ma proiettata nel supersensibile («Puro e lieve
sarai, e molto sottile»).
Durante la progressiva stesura delle quattro Fassungen del Galeotus, Caffarelli legge avidamente
Lo spirituale nell’arte di Wassily Kandinsky, opera terminata nell’agosto del 1909 ma pubblicata
soltanto qualche anno più tardi27. Lo spirituale nell’arte lascia profonde tracce nella concezione
estetico-musicale del Galeotus e dà al Maestro lo spunto iniziale per la stesura de L’arte nel Mondo
Spirituale28. Verso l’inizio del lavoro di Kandinsky29 il lettore s’imbatte in tre frasi riprese in vario
modo da Caffarelli: «Quando vengono scosse religione, scienza e morale (quest’ultima dalla
potente mano di Nietzsche), quando i sostegni eterni stanno per crollare, l’uomo distoglie lo
sguardo dall’esteriorità e lo rivolge a se stesso. La letteratura, la musica e l’arte sono i campi in cui
la svolta spirituale comincia a manifestarsi più sensibilmente. Questi campi rispecchiano la cupa
immagine del presente e preannunciano una grandezza che all’inizio è solo un piccolo punto
avvertito da pochi, e per la massa non esiste».
I nuovi artisti rispecchiano una grande oscurità, che all’inizio si percepisce appena, ma che
emerge poi prepotentemente. E si oscurano e si ammantano anche loro di misticismo. «Intanto si
allontanano dalle ottusità della vita contemporanea e si rivolgono a cose e a ambienti che meglio
corrispondono alle loro aspirazioni ideali»30.
Uno di questi poeti, in campo specificamente letterario, è Maeterlink, la conoscenza del quale è
indispensabile per comprendere la versificazione e la stessa tecnica teatrale del Galeotus31 (si tratta
infatti di una delle più attestate predilezioni del Maestro), l’estenuato, eletto artista che introduce gli
spettatori nel cosiddetto mondo della fantasia o, meglio, del sovrasensibile.
Il tema dell’onda come forza primordiale è sicuramente di ascendenza sckrjabiniana. Cfr. Alexandr Skrjabin, Appunti
e riflessioni, a c. di Maria Girardi, Pordenone (Edizioni Studio Tesi), 1992.
27
Nel 1911. Cfr. Wassily Kandinsky, Lo spirituale nell’arte, Milano (SE), 1989.
28
L. Caffarelli, L’arte nel mondo spirituale, op. cit.
29
W. Kandinsky, Lo spirituale nell’arte, cit., p. 32.
30
W. Kandinsky, ibidem.
31
È uno dei poeti prediletti dal Nostro, soprattutto per l’opera Pélléas et Mélisande, vera pietra miliare della cultura Art
Nouveau, anche grazie alla umbratile e suggestiva veste musicale conferitale da Debussy. Lo stesso Caffarelli, in una
frammentario articolo manoscritto, ha parole di ammirazione incondizionata e di profonda venerazione nei confronti del
Pélléas (lo preferisce addirittura al Parsifal di Wagner).
26