1 Steiner e Kandinsky nella produzione di Lamberto Caffarelli. Una storia locale ed europea PREMESSA Quando mai l’artista si è curato degli eventi politici del giorno? Egli viveva soltanto nell’arte sua e in essa sola faceva la sua strada; oggi invece un tempo infausto e greve ha stretto l’uomo in un pugno di ferro, e il dolore lo costringe a dire cose che gli erano state sempre estranee. BÜCHNER, La morte di Danton1 Concretezza vuol dire libertà, serenità. FLAUBERT, Bouvard et Pécuchet2 Quando definisce i tedeschi «un popolo grande, orgoglioso e singolare» Dostoevskij sa ben dominarsi, giacché sappiamo che era assai lontano dall’amare la Germania; non perché avesse eccessiva simpatia per la Francia e l’Italia, ma perché ai suoi occhi la Germania, ad onta del suo protestantesimo, faceva parte di quella «volubile Europa» che disprezzava nel fondo dell’anima. C’è, dunque, nella sua maniera di parlare della Germania molto dominio di sé, la giusta moderazione che deriva da quella che Lamberto Caffarelli definì «la sua ampia e libera visione storica»3. Infatti, invece di «orgoglioso e singolare», Dostoevskij avrebbe potuto dire «riottoso, caparbio, malevolo», e sarebbero state ancora assai miti espressioni in confronto a quelle che l’Occidente ‘romano’, e specie l’Italia, con la sua sindrome di left behind, non ha mancato di far pervenire alla Germania dall’inizio del secolo scorso giù giù fino ai nostri giorni. Effettivamente la definizione data da Dostoevskij di ciò che da sempre è proprio e speciale dei tedeschi, dell’«eterno tedesco», contiene tutta la giustificazione e la spiegazione della solitudine tedesca fra Oriente e Occidente, motivo della ripugnanza di molti ‘latini’ per la Germania, ma anche dello straordinario fascino che quest’ultima ha sempre avuto agli occhi dei non prevenuti in Italia e in Francia. Tra questi ‘non prevenuti’ noi faentini siamo fieri di annoverare Lamberto Caffarelli, il cui amore per la goethiana «unità nella duplicità» si declinò in un assiduo studio della lingua e del patrimonio culturale tedesco, fino a una crociana fratellanza con quel mondo apparentemente distante e alieno4. Ma al tempo della sua formazione culturale, negli anni del suo ‘noviziato spirituale’, particolaremnte durante la Grande Guerra, quella che abbiamo chiamato la «solitudine tedesca tra Oriente ed Occidente» suscitava, in larga parte dell’opinione pubblica italiana, sentimenti di antipatia, d’incomprensione e di odio. Nella formula di Dostoevskij vi è anche la spiegazione e la giustificazione del grande coraggio che la Germania ha saputo farsi, negli ultimi cinque secoli, senza esitare, contro il mondo culturale che l’ha circondata, contro l’Occidente romano, che tra Settecento e Novecento attraverso la Francia è dilagato quasi dappertutto, e l’Oriente prima ortodosso, poi sovietico e post-sovietico (e post-ortodosso). Vediamo ora la celebre formula dostoevskiana nel suo contesto, per formulare un’essenziale ipotesi di ricognizione introduttiva. Con la levità morbosa e l’impressionante genialità che rammenta un po’ il consunto blaterare di certi personaggi religiosi dei suoi romanzi, Dostoevskij nel 1877 ragiona del problema tedesco, del problema mondiale della «Germania, l’impero che protesta». Da quando, egli dice, 2 esiste una Germania, il suo compito è stato quello di protestare. «Non si tratta soltanto di quella formula di protestantesimo che si sviluppò ai tempi di Lutero, bensì del suo protestantesimo eterno, della sua protesta perenne, così come cominciò con Arminio contro il mondo romano, contro tutto quello che era romano e missione romana, e, in seguito, contro tutto quello che dall’antica Roma passò nella nuova e poi in tutti quei popoli che da Roma avevano accolto la sua idea, la sua formula e il suo elemento, la protesta contro gli eredi di Roma e contro tutto quello che costituisce tale retaggio»5. Dostoevskij passa poi a tratteggiare a grandi linee la storia dell’idea romana rifacendosi all’antica Roma con la sua idea di un organismo universale dell’umanità, con la sua fede nella realizzazione pratica di questa idea sotto la formula di una monarchia universale. La formula – dice – è caduta, l’idea no, perché l’idea è quella dell’umanità europea, la cui civiltà si è formata su quell’idea vivendo solo di quella. Il pensiero della monarchia universale romana è stato poi sostituito da quello dell’ecumene in Cristo: donde la scissione di questo nuovo ideale in due, quello orientale, che Dostoevskij definisce l’ideale dell’unificazione prettamente spirituale delle creature, e quello euro-occidentale, cattolico-romano, papale, umanistico e italiano, nella cui conformazione l’idea non ha, invero, abbandonato il suo carattere cristiano e spirituale, ma ha conservato l’antica tradizione romana, politica e imperiale. Da allora, continua Dostoevskij, l’idea dell’unificazione universale ha fatto sempre nuovi progressi attraverso continui mutamenti; ma gli sviluppi di questo sforzo hanno finito col causare la perdita della parte essenziale dei princìpi cristiani. Gli eredi dell’antico mondo romano, giunti al punto di respingere spiritualmente il cristianesimo, respinsero con quello anche il papato; ciò accadde nella Rivoluzione francese, la quale altro in fondo non fu che l’ultima modificazione formale e organica di quella stessa formula antico-romana dell’unificazione universale. L’attuazione di tale idea – sempre secondo il corso dei pensieri di Dostoevskij – fu molto imperfetta. La più completa soddisfazione regnava, è vero, in quella parte della società che nel 1789 aveva assunto la supremazia politica, cioè nella borghesia; la quale celebrò il suo trionfo e ritenne che non fosse più necessario andare oltre. Ma quegli spiriti che, secondo le imperiture leggi della natura, sono destinati ad alimentare l’eterna irrequietudine del mondo e a ricercare – pensiamo anche a Caffarelli – «nuove formule dell’ideale» e del ‘nuovo verbo’ che sono «indispensabili per lo sviluppo organico dell’umanità»6, si misero dalla parte degli umiliati, degli offesi, ai quali la nuova formula rivoluzionaria dell’unificazione del genere umano non aveva dato niente o ben poco: il socialismo pronunciò allora il suo ‘nuovo verbo’. La religione rinacque sotto le mille forme di un rinnovato spiritualismo. Fin qui Dostoevskij. Giovanni Cattani, intellettuale faentino che tra l’altro ha il merito di essersi occupato assai per tempo di Caffarelli7, compie, nel Saggio Schizzo di una tradizione, una sintesi della storia europea anteriore al primo conflitto bellico assai simile a quella di Dostoevskij, ma da un altro punto di vista, italiano e laico. Cattani apre così l’argomentazione: «La tradizione cattolica non si presenta ovunque con gli stessi caratteri nel corso della sua lunga storia, sia per la differenza d’origine e di sviluppo dei vari popoli in essa via via confluiti, sia per la situazione geografico-storica di questi rispetto a Roma e alle sue esigenze di supremazia e di autonomia politica, rivendicate con la crisi dell’Impero in Occidente dal vescovo dell’urbe»8. E più oltre, legando indissolubilmente storia europea e storia locale, asserisce: «Nei secoli dell’età moderna la tradizione cattolica quasi ovunque in Europa, salvo che in Italia e in Ispagna dove si era arroccata, era stata costretta ad accettare la lotta con le nuove chiese cristiane, a volte in posizione di preminenza, ma a volte ad armi pari, senza privilegi e, in alcuni casi, stando i privilegi dall’opposta parte. Nella nostra città – invece – più ancora che in altre parti della penisola, si protraeva beatamente la pace al riparo dall’“errore” e anche quando questo fece una volta capolino in forma assai embrionalmente organizzata, fu spazzato via, nonostante il grande spavento provocato, con estrema facilità. Beninteso si provvide a disinfestare l’ambiente con ogni cura, si instaurò un ottimo servizio di informazione e delazione (una congregazione laica, la Compagnia della Santa Croce, ebbe nome dal popolo di spie dell’Inquisizione), si aggiunse un buon numero di altri ordini e congregazioni religiose a quelli già esistenti in città, si stabilì un più severo controllo sulla vita 3 famigliare e di gruppo, in specie dei ceti più abbienti»9. Questo fa parte – e vorremmo dire purtroppo – della nostra ben nota «miseria faentina», del localismo che respinge la storia europea. Ma a partire dal XIX secolo le cose non sono andate sempre così ‘miseramente’. Fondamentale, ancora una volta, è il nostro prendere coscienza del «problema tedesco» di cui si parlava prima. Già, il «problema tedesco». Fin qui gli autori – pur così diversi – cui ci appoggiamo, Dostoevskij e Cattani, non ne hanno ancora parlato diffusamente, ma solo in suggestive e documentate sintesi storiche. Tale problema desta il nostro più vivo e partecipe interesse in relazione alla vocazione europea della cultura caffarelliana, all’esplicito e continuo riferimento di quest’ultima alla patria d’elezione dei filosofi e degli idealisti tra Otto- e Novecento, la Germania. Eravamo rimasti alla progressiva estensione della cultura ‘latina’ all’occidente europeo, alla dimensione euro-occidentale. Ricordate? Eppure in chi scrive, e certo in chi legge, permane una forte perplessità. E la Germania? E i tedeschi? Richiamiamoci alle prime parole che abbiamo citato e vediamole nel loro più ampio contesto. Dostoeviskij dice: «L’aspetto caratteristico, essenziale di questo popolo grande, orgoglioso e singolare è consistito sempre, fin dal primo momento in cui fece la sua apparizione nel mondo della storia, nel fatto che mai, né nei suoi destini, né nei suoi princìpi, ha accettato di unificarsi con l’estremo mondo occidentale, cioè con tutti gli eredi dell’antico patrimonio romano. Contro quel mondo lo spirito tedesco ha protestato per tutto il corso degli ultimi duemila anni e, anche se non ha pronunciato il proprio verbo, se non ha ancora mai formulato in termini precisi il suo ideale che sostituisse positivamente l’antica idea romana da lui stesso distrutta, in cuor suo è stato, credo, pur sempre» - e questo è un punto poderoso della sua trattazione, ci si accorge d’un tratto con chi abbiamo a che fare: col primo psicologo della letteratura universale – «convinto che un bel giorno avrebbe saputo pronunciare questo nuovo verbo e guidare con quello l’umanità. Già con Arminio cominciò a combattere contro il mondo romano. Nell’èra del cristianesimo romano contrastò alla nuova Roma, più di ogni altro popolo, l’egemonia. Infine protestò nella maniera più vigorosa, traendo cioè la formula nuova della sua protesta dai precordi spirituali ed elementari del mondo germanico. La voce di Dio echeggiò in esso e annunciò la libertà dello spirito. La frattura fu tremenda e generale, la formula della protesta era stata trovata e trovò il suo compimento, anche se fu ancora una volta una formula negativa e la parola positiva ancora non fu pronunciata…»10. Si tratta di una sintesi, straordinariamente suggestiva, di tutto il lungo periodo di incubazione della Kultur germanica, sintesi che termina con l’annuncio del «nuovo verbo», cioè dell’epocale rivoluzione di «Goethe in Italia», che si sovrappone e in parte sostituisce la mortificante immagine di «Lutero in Italia», culmine della pars destruens e principio della pars construens dell’evoluzione spirituale europea. Ma, concentrandoci su Caffarelli, la cui formazione avvenne nel contesto di un milieu italo-francese, tutto impregnato di ‘civilizzazione’ e ancora in gran parte inconsapevole della centralità della Wissenschaft nella storia europea, ci chiediamo: come avvenne che il compositore faentino, il Maestro di Cappella che prestava servizio presso la nostra Cattedrale, sentisse non diremo il desiderio ma anche la possibilità di una così difficile mediazione culturale? Da dove gli vennero gli input, quali furono gli spunti da cui trasse sostanza il suo difficile cammino solitario e controcorrente? Cercheremo in primo luogo di informare il lettore sulla natura dell’opera di Caffarelli; ci addentreremo poi in una documentata ricerca delle più significative fonti europee che nutrirono e condizionarono il suo noviziato artistico. Quest’opera, che si svolge sincronicamente allo scorrere del XX secolo, è solitaria. Si è sistematicamente sottratta alla nostra storia musicale ‘accelerata’, piena di bruschi salti e di ‘strappi’, ne è stata distante persino nei momenti in cui sembrava fare proprie le sue aspirazioni, ad esempio le febbrili e incoerenti istanze di rinnovamento del Melodramma italiano. Ma non si è vincolata ad alcuna dottrina, né locale né universale, non ha preteso di fondare nessuna scuola. Non ha avuto alcun antecedente se non quelli che, libera e sovrana, ha voluto darsi o inventarsi di volta in volta; non ha nemmeno, ad oggi – né, in fondo, avrebbe potuto avere – una posterità; non ha avuto nemmeno epigoni. Opera solitaria, e provocatoria: a causa delle proprie successive rinunce11, ha finito per scontentare e talvolta sconcertare i suoi stessi sostenitori. Molteplice, mutevole, 4 ‘proteiforme’, s’è detto, non sfida anche colui che tenterà di coglierla nella sua profonda unità, come l’opera di un solo e medesimo artista e filosofo, nell’àmbito della tormentata traiettoria del secolo scorso? L’EPOCA DELLA PROVA E DEI «MAESTRI AVVERSI» E L’INCONTRO CON STEINER All’ossessione del procedere della storia, al determinismo dell’evoluzione musicale vissuto come necessario, Caffarelli ha opposto la propria concezione della storia come permanenza. Caffarelli non ha fatto della storia la propria coscienza o la propria legge, ma se n’è appropriato e ne ha fatto uno strumento. L’ha considerata disponibile come totalità e come continuità e l’ha percorsa con passione e diletto, talvolta a rischio di perderci in quanto a forza di convinzione. Perché? Per regredirvi? Per farne il puntello di un’immaginazione indebolitasi all’indomani del Galeotus? Certamente no: per ritrovarvi delle costanti attive, al di là ma anche nell’intima sostanza delle sue molteplici costellazioni culturali nel succedersi delle età. Per raggiungere, attraverso la totalità disponibile della storia, le radici della propria invenzione, e una tradizione concepita come viva e vissuta come inevitabile. Infine, per cercarvi la risposta, molteplice e riconfermata, alle sue esigenze personali, permanenti e indefettibili, che attingono al sacro, all’archetipo e allo stile. Ritorneremo su questi concetti nell’intero corso del nostro contributo. Vivere in un’epoca di crisi dei valori quale fu il periodo di inizio Novecento destinato a sfociare – a causa anche della decadenza dei forti ideali ottocenteschi quali dapprima quelli romantici e successivamente quelli positivistici – nel dolore e nella morte del primo conflitto mondiale e poi nelle degenerazioni che portarono all’affermarsi dei vari totalitarismi significò per alcuni uomini ‘eletti’ – quali Thomas Mann o Rudolf Steiner o, appunto, Caffarelli – il «dovere morale» di ergersi a protagonisti di un risveglio spirituale, un grande risveglio spirituale del quale anche l’uomo post-moderno – a distanza di un secolo – necessita davvero molto. E forse proprio per questo suscita ancor oggi sommo interesse la vivente esplorazione intellettuale e artistica di tali grandi persone, così come è emerso indiscutibilmente nel corso del recente convegno faentino sul Magister Lambertus. Il tema attorno al quale si sviluppa questa sezione, preparata da quell’incipitaria nostra ‘Premessa’ in cui risuonano le osservazioni di Dostoevskij, è la visione della musica e dell’arte nell’ambito del dibattito culturale primo-novecentesco ed essa trae la propria linfa vitale sia dalla disamina di alcuni frammenti tratti dalle poche conferenze dedicate specificamente al mondo dei suoni da parte di Rudolf Steiner, sia – e soprattutto – dalla riflessione sull’opera di Lamberto Caffarelli (1880-1963) al quale, oltre ad una copiosa produzione musicale di indubbia originalità artistica e coerenza speculativa, si devono vari contributi letterari tra i quali un corposo triplice saggio, L’arte nel mondo spirituale (pubblicato nel 1925 a Faenza a spese dell’autore), straordinario «Inno alla Gioia» della vivente bellezza dell’arte che potrà essere espressa in immagine solo dal vero artista, ovvero da una figura sacerdotale in grado di condurre l’uomo verso la luce vera e piena di vita, cioè tale da «maturare in sé la coscienza di quel che Essa [l’Arte] sia ed esprima nel mondo dello spirito umano e in quello cosmico delle forze spirituali» e quindi di «sbocciar la coscienza di quel ch’egli stesso [l’homo faber] è e diventa in quanto portatore delle Forze beatificanti della Bellezza. […] Il valore dell’Arte – prosegue Caffarelli nella Premessa programmatica del suo saggio – è nell’uomo: il valore dell’uomo nella sua particolare natura e cosmica posizione di ponte fra un mondo che è sotto di lui e uno che gli sta sopra»12. Il testo di Caffarelli si colloca a nostro parere a pieno titolo nell’inquieto ma autenticamente vibrante fremito di rinnovellata ricerca spirituale che, nei primi decenni del secolo ventesimo, attraversava tutte le arti – e i loro portagonisti, legandoli indissolubilmente al «giorno e all’ora»13 – e ne auspicava una solida unità in nome dei princìpi universali ad esse comuni. Da Franz Marc nei cui scritti emerge «la convinzione di vivere “in un’epoca di profondi mutamenti di tutte le cose, di tutte le idee”, in cui gli artisti hanno il compito di annunciare e predire una nuova realtà, il 5 “fermento del nuovo tempo”»14 a lo Spirituale nell’arte di Wassily Kandinsky in cui questa è vista come un movimento progressivo di conoscenza dotato di grande forza profetica ed è fondata sull’«efficace contatto dell’anima» e sul «principio della necessità interiore» che porterà di lì a poco all’epoca della composizione consapevole e razionale («Presto il pittore sarà orgoglioso di spiegare che le sue opere sono costruite. Già ora siamo vicini al tempo della creazione che ha uno scopo. Lo spirito della pittura, infine, ha un rapporto diretto con la costruzione, già avviata nel nuovo regno spirituale. Perché questo spirito è l’anima dell’epoca della grande spiritualità»15) e al di poco posteriore Punto, linea, superficie in cui «è codificata la nuova scienza dell’arte»16; da Paul Klee per il quale «l’arte gioca con le cose ultime un gioco inconsapevole e tuttavia le attinge»17 a Piet Mondrian il quale, dopo aver stabilito una sorta di equazione tra «verità e bellezza», dedica molte pagine dei suoi scritti alla musica, ad una nuova musica astratta (fino ad allora soltanto pre-figurata nelle fughe di Bach) nella quale sussiste una dualità di armonia naturale e armonia spirituale, una realtà vivente che si compone di suoni e di non-suoni, tale che l’uomo scopra «il suo sé più profondo e si sviluppi fino a divenire un essere completo, raggiungendo l’unità di fisico e spirito»18. Perché la nuova opera d’arte raggiunga questo obiettivo «la bellezza deve manifestarsi attraverso un’immagine esteticamente chiara»19 in cui ogni suono singolo viene ad acquistare la propria, pura, identità essenziale (come sarà nell’opera di Anton Webern)20. Lo «stupore che colpisce il lettore del saggio»21, purtroppo pressoché sconisciuto, di Caffarelli, anche se – o meglio, proprio se – messo a confronto con questi scritti di autori ben più celebri, deriva dalla presenza continua di una profondità e acutezza con cui, nelle quasi trecento pagine del testo, vibra intensamente una mistica tensione anelante verso il Mistero cosmico – illuminato dalla gioia della coscienza cristica – di cui «l’Arte deve essere immagine visibile, allo stesso tempo esposta attraverso la lucida e razionale analisi scientifica di uno storico cammino progressivo dello spirito dalle antiche civiltà orientali al mondo occidentale»22, arricchito dalla presenza di fondamentali figure di artisti da Dante a Michelangelo a Cervantes, da Goethe a Leopardi e Novalis, da Wagner a Nietzsche, da Mallarmé a Picasso e Segantini, per giungere alla nuova armonia dodecamorfa di Schönberg, un cammino che, «dalle Visioni primordiali della Vita, culmina nella Gioia ritrovata di Verbo-Bellezza in Cristo, Chiave dell’Universo e Chiave dell’Arte»23. Davvero stupisce Caffarelli per la propria originalità e per il grande contributo dato alla «lettura» della musica d’àpres la lezione antroposofica di Steiner i cui quattro Misteri costituiscono, per il compositore-filosofo faentino, la summa moderna della realizzazione artistica, «omniabbracciante Scienza-di-Vita» – dopo la Commedia di Dante e il Faust di Goethe – in cui l’unità delle arti si rivela attraverso «l’euritmia da lui fondata: arte del movimento, che le Forze e le forme psichiche, mentali e cosmiche dei piani più sottili porta per mezzo delle movenze del corpo umano a una complessivamente visibile concretezza sul piano fisico»24. Ma la ricchezza speculativa di Caffarelli e la sua sincera ansia di ricerca spirituale alla luce della figura cristica ben competono anche con il pensiero di vari filosofi e teologi a lui contemporanei, primo fra tutti Teilhard de Chardin. Questi, il 6 agosto 1923, festa della Trasfigurazione di Cristo, non potendo disporre del pane e del vino per la celebrazione della messa (si trovava infatti impegnato in una spedizione scientifica sugli altopiani della Mongolia) si abbandonò ad una preghiera eucaristica ‘cosmica’, poi tradotta nell’Inno all’universo che celebra Materia e Storia «nel loro incessante fremito evolutivo»25 (dando così anche un indirizzo di dimostrazione di compatibilità tra evoluzionismo e cristianesimo) quali componenti di un più elevato sacrificio cosmico: «Credo che l’universo sia un’evoluzione. Credo che l’evoluzione vada verso lo Spirito. Credo che lo Spirito si compia in qualcosa di Personale. Credo che il Personale supremo sia il Cristo universale»26. Il Cristo Cosmico di Teilhard e la partecipazione dell’esperienza e dell’essenza della bellezza all’esperienza e all’essenza della verità – posizioni assunte prime da Martin Heidegger e poi dal suo discepolo Hans-Georg Gadamer – corrono in singolare «concordanza parallela» con la ‘Chiave’ di lettura dell’arte di Lamberto Caffarelli, ‘Chiave’ culminante nel Cristo sulla croce, 6 suprema forma di bellezza nella quale il Tutto dimora nel frammento – e, anche secondo Hans Urs von Balthasar, secondo la lezione goethiana, il Bello consiste proprio nell’offrirsi del Tutto nel frammento («das Ganze im Fragment») –, «l’infinito irrompe nel finito: il Dio Crocifisso è la forma e lo splendore dell’eternità nel tempo. Sulla croce il “Verbum abbreviato” – ‘kenosi’ del Verbo eterno – rivela la bellezza come dono di amore e offerta di senso e di speranza per tutti»27. Caffarelli ribadisce a sua volta – quale perno del proprio pensiero e conseguentemente anche della propria arte musicale – la centralità dell’«Impulso Cristico», il quale «dà la Redenzione, che è portare al grado assoluto e totale ciò che è relativo e unilaterale; e crea le amorose creature di Gioia integrale, di moto armonico e musicale. […] Tale senso del vero vivente, nell’Arte, e in tutto, ha il cristico: e vivente non vuol dire, in questa posizione, soltanto genericamente (si potrebbe anche dire: fisicamente) il sentire e l’esprimere il sentire, l’astrarre l’Io dalla terra e l’esprimere l’astrazione. Vuol dire soprattutto, integralmente sentire l’uomo col Cosmo, l’uomo con Dio, la sensazione nell’Idea, l’Idea nella carne, il senso della Conoscenza, l’Io nel corpo. La trasformazione del mondo operabile dalla Forza Cristica, significata dalla formula: – La Carne diventa Verbo – deve aprirci gli occhi. Rimarremo concreti e cristici quando guardiamo la terra. Il Cristo è la santificazione della terra e del cielo»28. In questo modo l’arte, e in particolare la musica, non è un semplice fenomeno separato dall’idea, ma fenomeno e idea divengono in essa coincidenti, come aveva annunciato Kandinsky. E gli scritti di Caffarelli e di Steiner offrono ai musicisti folgoranti illuminazioni sul significato elevato, essenziale, della musica. OPERATIONES SPIRITUALES. SETTORE «OLTREMODO PROBLEMATICO»29 Dal particolare rilievo dato alla musica da Schopenhauer quale «diretta espressione della Volontà della natura»30 prendono spunto i primi interventi di Rudolf Steiner dedicati all’arte dei suoni da cui riportiamo i seguenti assunti: «Quando l’uomo vive nell’elemento musicale, vive in un’immagine della sua patria spirituale»31. «L’artista pensa fino in fondo le intenzioni della natura e le esprime nella sua opera»32. «Dalla patria d’origine, dal mondo spirituale, risuonano verso di noi i suoni musicali, e ci parlano, consolandoci ed elevandoci, in fluttuanti melodie e armonie»33. La musica è infatti autentica, cioè vivente, solo se «Conoscenza corporificata, realizzazione in Bellezza di una primordiale coscienza di vita»; compito dell’artista è quello di far risuonare in noi questo movimento che, dalla Natura, l’uomo nel corso della storia da Oriente a Occidente ha direzionato sempre più verso la Bellezza Cosmica 1 G. Büchner, Dantons Tod, atto II, scena I, in Sämtliche Werke und Briefe, a cura di Werner R. Lehmann, 4 (=2) voll., 1967-1971, Hamburg, Wegner, vol. I, p. 32. 2 G. Flaubert, Bouvard et Pécuchet, cap. IV, in Oeuvres, 2 voll., Paris, Gallimard, 1948, vol. II, p. 771. 3 L. Caffarelli, Il segreto spirituale di Boito, LIBRO PRIMO, in AA. VV., Lamberto Caffarelli. Poeta prosatore musicista faentino, a cura di Giuseppe Fagnocchi, Faenza, Mobydick, 2013, p. 127. 4 Per il rapporto di Caffarelli con il patrimonio culturale redesco v. G. Fagnocchi, L’itinerario musicale in Steiner e Caffarelli: dal suono sensibile alla conscia comunione dell’Io col Cosmo, in Atti del Convegno internazionale di studi “Il mondo riversato”: Arte e libertà della filosofia di Rudolf Steiner, Trieste, Studio Tommaseo, Sabato 25 giugno 2011, pp. 1-24. 5 F.M. Dostoevskij, Germanskij mirovoj vopros. Germanija – strana protestujuščaja, in Dnevnik pisatelja (maggiogiugno 1877). Cfr. anche la traduzione italiana, Il problema mondiale germanico. La Germania paese che protesta, in Diario di uno scrittore, a cura di Ettore Lo Gatto, Firenze, Sansoni, 1963, nuova ediz. 1981, p. 937. Per quanto riassunto nel capoverso che segue, cfr. ibid., pp. 938-39. 6 L. Caffarelli, L’arte come forza evolutiva del divenire naturale e umano, SAGGIO PRIMO, in L’arte nel mondo spirituale, Faenza, Montanari, 1925, p. 17. 7 L. Caffarelli, Prose e poesie inedite, a cura di Giovanni Cattani, Faenza, Lega, 1982. 8 G. Cattani, Schizzo di una tradizione, in Note faentine, Faenza, Lega, 1974, p. 9. 9 Ibidem, pp. 10-11. 10 Dostoevskij, ibid., p. 940. 7 11 Ricordiamo che, per Goethe, essenza del «tragico» è proprio la «rinuncia». L. Caffarelli, L’arte nel mondo spirituale, cit., p. 8. 13 Sono parole del sottotitolo – Ein Abriss für den Tag un die Stunde (Una traccia per il giorno e l’ora) – del celeberrimo saggio manniano Friedrich und die grosse Koalition, già pubblicato in «Der Neue Merkur» (gennaio-febbraio 1915), poi incluso nell’agile ‘libretto’ dal titolo omonimo, Berlin, S. Fischer, 1915; in Thomas Mann, Gesammelte Weke, Frankfurt/ M., S. Fischer, 1960, vol. X, pp. 76-134. 14 Maria Passaro, L’arte espressionista / Teoria e storia, Torino, Einaudi, 2009, p. 66. 15 Wassily Kandinsky, Lo spirituale nell’arte, Milano, SE, 1989, p. 13. Cfr. il nostro saggio Verso una rinascita del Galeotus, in L. Caffarelli, Canti dei Tre Misteri / Galeotus, a cura di G. Fagnocchi, Faenza, Lega, 2013, pp. 75-88 e G. Fagnocchi, L’itinerario musicale in Steiner e Caffarelli: dal suono sensibile alla conscia comunione dell’Io col Cosmo, cit., p. 2. 16 G. Fagnocchi, ibidem. 17 Paul Klee, Confessione creatrice, in Confessione creatrice e altri scritti, Milano, Abscondita, 2004, p. 21. 18 Piet Mondrian, Il neoplasticismo, la sua realizzazione nella musica e nel teatro del futuro, in Il neoplasticismo, Milano, Abscondita, 2008, p. 61. 19 Ibidem, p. 63. 20 G. Fagnocchi, ibidem, citando più ampiamente Mondrian, osserva: «Appare chiaro che per “non-suono” o “rumore” Mondrian intende modalità esecutive allora nuove, quali emissioni di suoni armonici, frullati per gli strumenti a fiato, effetti particolari ottenuti con l’arco, ecc.». 21 G. Fagnocchi, La missione spirituale, profetica e sacerdotale dell’Artista in Lamberto Caffarelli, in AA. VV., Lamberto Caffarelli. Poeta prosatore musicista faentino, cit., p. 407. 22 G. Fagnocchi, L’itinerario musicale in Steiner e Caffarelli, cit., p. 3. 23 Ibidem. 24 L. Caffarelli, L’arte nel mondo spirituale, cit., p. 257 [Corsivo nostro]. 25 G. Fagnocchi, La missione spirituale, profetica e sacerdotale dell’Artista in Lamberto Caffarelli, cit., p. 407. 26 Cfr. Gianfranco Ravasi, Breve storia dell’anima, Milano, Mondadori, 2003, p. 223. 27 Bruno Forte, Tra fede e arte dialogo riaperto, in «Sole 24 ore» del 03/07/2011, pp. 1 e 12. Cfr. G. Fagnocchi, ibidem, p. 408. 28 L. Caffarelli, L’arte nel mondo spirituale, cit., pp. 152-153 e p. 156. 29 Th. Mann, Der Zauberberg, Berlin, S. Fischer Verlag, 1924, trad. it. La montagna incantata, a cura di Ervinio Pocar, Milano, Corbaccio, 201111, pp. 410 e 616. 30 Cfr. Th. Mann, Schopenhauer, in Adel des Geistes, trad. it. Nobiltà dello spirito, a cura di Lavinia Mazzucchetti, Milano, Mondadori, 19733, pp. 733-798. Praesertim p. 789. 31 Rudolf Steiner, Conferenza tenuta a Colonia il 3 dicembre 1906, in L’essenza della musica, Milano, Editrice Antroposofica, 2003, p. 15. 32 R. Steiner, Conferenza tenuta a Berlino il 12 novembre 1906, in Ibidem, p. 19. 33 Ibidem, p. 27. 12