I LIGARI pittori del `700 lombardo

I LIGARI pittori del ‘700 lombardo
Milano e Sondrio, 11 aprile – 19 luglio 2008
Ponte in Valtellina, chiesa di S. Ignazio
Cesare Ligari
La fondazione di una comunità gesuitica a Ponte risale all’iniziativa del nobile
Antonio Quadrio, medico alla corte imperiale di Ferdinando I d’Asburgo, sul
principio della seconda metà del Cinquecento. I padri si stabilirono dapprima in
case di antica proprietà Quadrio, ma è solo dopo la lunga e tormentata parentesi
bellica conclusasi con il capitolato di Milano del 1639 che la residenza venne
convertita in collegio (Moretti, 1998, con bibl. precedente). Gli acquisti di
proprietà attigue consentirono la progettazione di un nuovo e funzionale
complesso di chiesa e collegio, realizzato solo in minima parte, di cui si
conservano due planimetrie alla Bibliothèque Nationale di Parigi (Moretti, 2001,
pp. 209-218).
Il cantiere della chiesa venne aperto nel 1639 allorchè ebbe luogo la posa della
prima pietra. Nell’estate 1642 con la realizzazione della copertura del presbiterio
fu possibile celebrare la festa di S. Ignazio «con messa cantata, musica e
panegirico». Infine nel 1653 l’edificio, giunto quasi a compimento, venne
solennemente officiato. La pianta della chiesa, ad aula unica con spaziose
cappelle laterali e ampio presbiterio, riprende una tipologia diffusa in ambito
locale da capimastri ticinesi quali Gaspare Aprile, a cui si uniscono in forma
semplificata le caratteristiche peculiari dell’architettura gesuitica come l’uso dei
coretti, i corridoi laterali ricavati tra le mura e i disimpegni delle sacrestie e i
confessionali a muro accessibili sul retro (Rovetta, 1998, p. 58; Moretti, 2001, p.
214). I primi interventi decorativi riguardarono le pareti laterali affrescate, sul
finire del Seicento, da Giovan Battista Muttoni coadiuvato da un altro maestro
negli ovali a monocromo sulle lesene. La volta del presbiterio, sempre del
Muttoni, raffigura la Gloria di S. Ignazio, mentre a Giacomo Parravicini detto il
Gianolo spettano le due tele laterali con Episodi della vita del santo (Noè, 1994a).
Alla glorificazione trionfalistica della memoria di Ignazio di Loyola è legato il tema
trattato nella grande medaglia che, entro voluminose e massicce quadrature,
occupa il campo mediano della volta della navata: S. Ignazio che irradia la fede
sul mondo, dipinto da Cesare Ligari nel 1749. La cronologia è confermata
dall’artista stesso nella minuta di risposta ad una lettera di Nicolò Parravicini di
Como datata 30 agosto 1749 (NIL 1016). Egli riferisce di essere impegnato «in
un vasto campo a fresco nel volto» della chiesa dei Gesuiti di Ponte, che contava
di terminare solo nell’ottobre seguente.
Gli anni in prossimità della metà del secolo sono segnati infatti da commissioni di
prestigio, soprattutto nel campo della pittura murale, che comprendono la volta
della chiesa della Trinità a Como, entro quadrature di Francesco Palazzi Riva
(ante 1746), la cappella di S. Carlo nella parrocchiale di Castione e la
collaborazione con Mattia Bortoloni nella villa Casnedi a Birago (entrambe 1746),
i lavori per Ponte e Villa di Tirano (1749-1750) e, a concludere, due medaglie per
le ville Paravicini a Rebbio e Caimi a Turate (1750). Numerosi sono inoltre i
disegni ligariani di quadrature, destinate sia a incorniciare altari sia a scandire
pareti e volte (Pietro Ligari, 1998, pp. 177-179). Dal confronto con questi
materiali grafici è possibile indicare in Cesare, se non l’esecutore, almeno
l’ideatore delle architetture dipinte della volta dei Gesuiti di Ponte. È peraltro
documentato che il pittore, qualora non fosse affiancato da quadraturisti di solida
e sperimentata professionalità come Palazzi Riva e il Vignoli, preferisse un
ornatista «docile e solo esecutore della mia idea», come scrive in merito ad un
allievo dell’Agrati raccomandato alla sua attenzione dall’abate Giovan Simone
Paravicini nel 1752 (NIL 1013, c. 17v).
Nella medaglia il santo, da cui promana la luce della fede, poggia su un grande
orbe terraqueo intorno al quale si dispongo le quattro personificazioni dei
continenti. che alludono alla vocazione missionaria della compagnia del Gesù. In
primo piano a sinistra compare l’Europa, in sontuose vesti, ai cui piedi piedi
giacciono i simboli del potere temporale e spirituale – la corona e il triregno – e
della arti – la tavolozza con un fascio di pennelli e uno spartito musicale, sul cui
angolo risvoltato il pittore pose la sua firma, «Ces. Lig.» –. A destra l’Asia,
anch’essa riccamente abbigliata, con un serto di fiori a cingerle il capo e ai piedi
l’incensiere fumante e dei frutti esotici. In secondo piano figurano l’Africa, mora e
a seno scoperto, con la proboscide a guisa di cimiero e in mano una zanna di
elefante, e al capo opposto del globo l’America, rappresentata da un pellerossa,
con copricapo piumato, arco e frecce.
Esse derivano, in un gioco di rimandi e variazioni, dalle raffigurazioni delle parti
del mondo nell’Iconologia di Cesare Ripa.
È noto infatti che già Pietro Ligari possedeva una copia del Ripa (Inventario,
1735, NIL 1008, c. 59), la quale ormai logora dal continuo utilizzo era passata
nella mani di Cesare (Inventario, 1770, NIL 1000, c. 5r). Alla sinistra di S.
Ignazio un putto reca un cartiglio la cui scritta COELO AFFIXUS / SED TERRIS
OMNIBUS / SPARSUS, siglata FEL. IN OCT., allude al capitolo XXXII dell’Octavius
di Minucio Felice (per l’identificazione della fonte, Meli Bassi, 1998b, p. 168).
Il paragone solare sottolinea il concetto raffigurato della diffusione della fede
presso i popoli della terra e trova corrispondenza figurativa nell’accentuato
luminismo dell’insieme e nella ricchezza descrittiva delle quattro personificazioni,
caratteristiche propri della formazione veneziana di Cesare cui egli si mantenne
fedele sino ai più avanzati dipinti di Domaso (Colombo, 1995, p. 293).
Gianpaolo Angelini
Chiuro, chiesa della Madonna della Neve e di S. Carlo
Cesare Ligari
Il primitivo edificio cinquecentesco, registrato dalle visite pastorali sino al 1589,
venne progressivamente ristrutturato ed ampliato a partire dal 1621 e consacrata
nel 1629 dal vescovo Lazzaro Carafino sotto il doppio titolo della Madonna della
Neve e di S. Carlo (Carnovali, s.d., pp. 26-30; Carugo, 1989, pp. 207-213;
Bombardieri-Della Ferrera 1990, pp. 16-17; Noè, 1994b). I lavori di costruzione e
di decorazione proseguirono con continuità almeno sino al 1670, caratterizzando
tanto la fronte esterna quanto l’aula ecclesiale con un ricco corredo plastico
attribuito allo stuccatore ticinese Alessandro Casella (Coppa, 1998a, p. 184).
Nella navata la nota dominante è affidata alla decorazione pittorica settecentesca
della volta, realizzata da Cesare Ligari per le parti di figura e da Giuseppe Coduri
detto il Vignoli per le incorniciature architettoniche.
Nelle tre campate di cui si compone la copertura del vano sono ordinatamente
distribuite tre medaglie, raffiguranti dall’ingresso verso l’altare l’Allegoria della
Purezza, l’Assunzione o Patrocinio della Vergine, l’Allegoria della Verità. Le
quadrature definiscono un’architettura complessa e fantasiosa: nei pennacchi
morbidi mensoloni sorreggono grandi archi che risalgono a delimitare gli sfondati
di cielo in cui si dispongono le figure del Ligari. Il partito decorativo dipinto dal
Coduri si amplia a comprendere le lunette laterali, dove su basamenti curvilinei
sono appoggiati putti con fiori, libri e attributi diversi, e la controfacciata, sulla
quale Davide e Salomone siedono su podi ai lati del finestrone. I due artisti
firmarono l’opera nella seconda lunetta di sinistra. «CESAR LIGARIVS PIN. / 1767
/ IOSEPH CODVRVS DIC[t]VS VIGNOLIS / COM[ens]IS PIN[geb]AT».
Gli affreschi nella chiesa della Madonna della Neve di Chiuro sono tra le ultime
opere di grande impegno della carriera di Cesare, il quale aveva voluto al proprio
fianco il comasco Coduri forse sperando in uno scambio virtuoso di commissioni.
Dal 1764 Cesare Ligari si era infatti trasferito a Como con l’intera famiglia alla
ricerca di più ricche commissioni, aspettative presto deluse dagli eventi che
indussero il pittore a ricercare incarichi nella valle di origine.
Come Cesare stesso riferisce in una lettera a Cristoforo Valli datata 20 maggio
1767 (NIL 1014 [202], c. 24r), il promotore della campagna decorativa
settecentesca era il rettore della chiesa Giacomo Giacomoni di Chiuro, a cui si
devono numerosi lavori di abbellimento anche nei decenni successivi (Carnovali,
s.d., p. 28).
Cesare venne contattato per le parti figurate, mentre sembrava che esistesse un
accordo preliminare con Ferdinando Crivelli per le quadrature.
Il Crivelli, a volte coadiuvato dal figlio Giuseppe, si era affermato come
realizzatore di decorazioni architettoniche a partire dal 1746-1748 quando lavorò
in S. Maria di Borgonuovo a Chiavenna, mentre agli anni sessanta del secolo
risalgono le sue presenze nella chiesa di S. Antonio di Combo a Bormio e nel
santuario delle Grazie a Grosotto. Secondo una proposta di Simonetta Coppa
(Noè, 1994c, p. 288), nel Crivelli è riconoscibile il quadraturista che affiancò
Giuseppe Antonio Cucchi nel soffitto del salone d’onore di Palazzo Salis a Tirano,
incarico che Cesare Ligari sperò invano di ottenere (in questo catalogo, Regesto
di Cesare, s.a. 1762).
Il committente chiurasco conosceva il Crivelli per il suo intervento nella chiesa
della Madonna del Buon Consiglio nella vicina Ponte, in cui le quadrature
incorniciano dipinti su tela. Nella lettera sopra citata Cesare affermava a chiare
lettere il suo disappunto: «[...] però stupisco non abbiano maggior confidenza
con un patriotto non solo incapace di tradirli ma di procurare tutto il migliore per
decoro del opera».
La scelta ricadde infine sul Coduri probabilmente per la ferma insistenza di
Cesare.
I pagamenti per le opere di Chiuro si succedettero dal giugno al novembre 1767
«in comunione con il Sig. Vignoli» (Quinternetto H, NIL 1009, c. 20), cioè in parti
uguali.
Interessi personali più che orientamenti teorici animano quindi lo scritto di Cesare
posto in calce alla sopra citata lettera, dal titolo Obiezioni alle Chiese dipinte
Tutto in archittettura (Bossaglia, 1966, p. 87), dove non si tarda a riconoscere
una polemica all’indirizzo del Crivelli: «essendo la chiesa Tempio di Dio dedicato
alla Vergine, e a Santi, richiedesi ben sì di ornare lo stesso Tempio con buona e
lodeuole archittettura a seconda della struttura di detto Tempio, ma questo
ornare altro non deue seruire se non a disponere sittuazioni, per appoggiare
Figure, religare ed adornare sfori per cui si profondi l’occhio ad amirare lontane
glorie celestiali» (NIL 1014 [202], c. 24v).
È inoltre da sottolineare il riferimento, poche frasi più avanti, al carattere
antireligioso della decorazione puramente architettonica e d’ornato, priva cioè di
scene istoriate con episodi biblici: «le Chiese ornate di sola archittettura si
assomigliano a Teatri profani, a Chiese de gentili, ed eresiarchi, non incittano
adorazione nè a Dio, nè a Santi, onde non anno il loro giusto fine».
Per quanto concerne la subordinazione o, per meglio dire, il coordinamento degli
ornati alle parti di figura, il Coduri, che aveva già lavorato a fianco di Cesare in
palazzo Malacrida a Morbegno nel 1761, dava al pittore valtellinese maggiori
garanzie nei termini di una felice collaborazione. Le quadrature del Coduri, che a
Chiuro toccò uno dei vertici del suo «libero decorativismo rococò» (Coppa, 1995c,
p. 305), circondano le medaglie di Cesare amplificandone l’effetto di
slontanamento e sottolineandone con accortezza gli effetti luministici.
I caratteri tipici del venetismo di Cesare si risolvono, in questi anni estremi della
sua carriera, in figure di maggiore gravosità e incombenza rispetto agli ariosi
soffitti di palazzo Malacrida e in un avvicinamento ai modi del Carloni, come già
suggeriva la Bossaglia (Bossaglia, 1959, p. 236; Meli Bassi, 1978, p. 78)
Gianpaolo Angelini