I LIGARI pittori del ‘700 lombardo
Milano e Sondrio, 11 aprile – 19 luglio 2008
Nota Informativa
Cesare Ligari. Profilo biografico
Figlio terzogenito di Pietro Ligari e Nunziata Steininger, Cesare nasce
a Milano il 28 aprile 1716. La prima formazione avviene sotto la
guida e in qualità di aiuto del padre. Nel 1736 lascia la casa paterna
per recarsi a studiare la pittura a Venezia, dove stando alla
testimonianza dello storico Quadrio e dell’ottocentesco Anonimo II
svolse il proprio alunnato presso Giovan Battista Pittoni e
Giambattista Piazzetta. L’influenza di quest’ultimo è per altro ben
leggibile in due pale eseguite a Venezia e inviate in patria, la
Crocifissione con cinque Santi di Gallivaggio e il Transito di S.
Giuseppe di Albosaggia, entrambe del 1739, mentre all’anno
seguente risale Mosè e il serpente di bronzo dell’Ambrosiana,
riduzione del fregio tiepolesco nella chiesa veneziana dei Ss. Cosma e
Damiano. Rientrato dalla laguna, diviene collaboratore attivo di
Pietro, dividendosi tra Milano e Sondrio, alla ricerca di committenti
ben disposti nei suoi confronti. A questa fase risalgono alcuni dipinti
non identificati per casa Visconti a Milano e la Cena in Emmaus per la
chiesa di S. Filippo Neri a Torino. Intorno al 1745-1746 decora a
fresco, entro quadrature di Francesco Palazzi Riva, la volta della
scomparsa chiesa della Trinità a Como, opera che gli valse una buona
accoglienza presso l’ambiente comasco. Nel 1746 dipinge la cappella
di S. Carlo nella parrocchiale di Castione e, su commissione di
Antonio Francesco Paravicini, la Consegna della chiavi a Pietro
(Collezione Credito Valtellinese). Nello stesso anno affianca il
bellunese Mattia Bortoloni, attivo in Lombardia «press’a poco come
alter ego del Tiepolo» (Bossaglia, 1971, p. 143), nella decorazione
della villa Casnedi a Birago di Lentate. Nel 1748 Cesare, che nel
frattempo aveva sposato a Morbegno Lucrezia Brisa, cerca
l’emancipazione economica e professionale dal padre. Nel 1749 la
pala
consegnata
alla
chiesa
di
Polaggia,
originariamente
commissionata
a
Pietro,
richiese
un
arbitrato
a
causa
dell’insoddisfazione della committenza. In cerca di un mercato al di
fuori dalla Valtellina, dipinge due medaglie a fresco nelle ville
Paravicini a Rebbio e Caimi a Turate, grazie ai buoni uffici dell’abata
Giovan Simone Paravicini, canonico del Duomo di Como. Nelle opere
murali, come la Gloria di S. Ignazio nella chiesa dei Gesuiti a Ponte,
Cesare mette a frutto la sua formazione veneziana e si dimostra
pittore più felice che nelle pale d’altare, dalla composizione a volte
debole. I dipinti di medio formato, come la tela di S. Pietro che risana
S. Agata, del 1752, e l’ovale con l’Arcangelo Gabriele della collegiata
di Morbegno (purtroppo trafugati nel 1995), sono di contro valorizzati
da un sapiente uso del colore. Nel 1753 consegna la pala raffigurante
l’Apparizione della Vergine a S. Gerolamo Emiliani per la chiesa del
Collegio Gallio a Como, commissione prestigiosa in cui Cesare si
trova a competere con Magatti, cui subentra nell’incarico, e con
Petrini. Negli anni a seguire si succedono alcune pale d’altare e
quadri per le chiese di Cedrasco e Montagna e per il monastero di S.
Lorenzo a Sondrio. Nella decorazione del coro della chiesa di
Domaso, entro quadrature di Felice Biella, del 1758, Cesare
ripropone il suo gusto coloristico e dettagliato di stampo veneto. Nel
1762 gli viene offerta l’occasione di dipingere ancora a fresco e su
vasta scala, settore che gli è certo più congeniale, nel Palazzo
Malacrida di Morbegno, dove, tra le architetture dipinte di Giuseppe
Coduri detto Vignoli, Cesare raffigura due grandi medaglie di chiara
ispirazione tiepolesca. Nonostante queste prove, le difficoltà
incontrate con l’ambiente dei committenti valtellinesi lo inducono a
trasferirsi nel 1764 a Como, ma anche nella città lariana le
opportunità di lavoro sono scarse. Cesare si trova costretto a
ricercare commissioni in patria. La Morte di S. Andrea Avellino per un
oratorio privato di Ponchiera e le tre medaglie nella chiesa di S. Carlo
a Chiuro, di nuovo a fianco di Coduri, sono le ultime opere di rilievo
del pittore, che muore a Como il 12 aprile 1770.
Gianpaolo Angelini