ANTICHI SISTEMI DIFENSIVI
I primi sistemi di difesa furono quelli costruiti dai Romani, agli inizi dell’età imperiale, quando Roma incominciò ad
affrontare le turbolente invasioni barbariche.
Erano i cosiddetti limes romani, una sorta di barriera difensiva, posta
lungo il confine per frenare l’avanzata di eventuali invasori, ma anche per distinguere un territorio conquistato dalle
nuove terre, infide e sconosciute .
I resti di limes romani sono molto numerosi; il più importante, per notorietà e
consistenza, è il Vallo di Adriano, che divideva l’isola britannica in due parti: una meridionale, occupata stabilmente, e
una settentrionale, corrispondente all’attuale Scozia, lasciata ai pochi, ma insidiosi abitanti del luogo.
La struttura del Vallo aveva una indubbia imponenza: un muro lungo 117 km, alto da 3 a 6 metri, con spessore
variabile alla base da 2 a 3 metri; molte torri, distanti circa 150-200 metri l’una dall’altra; fortini quadrati con i lati da
10 a 18 metri, scaglionati in modo più raro.
Altri sbarramenti difensivi meno consistenti, si trovavano lungo il
corso del Reno e del Danubio ove, essendo maggiore il fronte da proteggere, venne di fatto costruita una strada,
protetta verso il fiume da scarpate e fossati, mentre sulla strada stessa erano distribuite delle torri in legno, necessarie
per l’avvistamento, intervallate da veri e propri fortini.
Il castrum romano, aveva una tipica struttura rettangolare
attorno alla quale vi era un’opera difensiva, costituita generalmente da palizzate di legno, mentre nei casi più evoluti
da muri di cinta.
I limes lungo il Reno e il Danubio avevano all’inizio un’intenzione offensiva, come base di
appoggio per spedizioni di ritorsione o speranze di ampliamento del territorio imperiale verso la terra occupata dalle
temute popolazioni germaniche. Tuttavia nel periodo d’oro dell’impero romano, i popoli germani erano contenuti
all’interno dei loro territori grazie alle legioni stanziate lungo il confine.
Roma antica non aveva mai costruito
delle mura intorno a sé in quanto considerava sufficiente la barriera costituita dalle legioni schierate al limite dei
territori.
Si cercò di sfruttare il più possibile in tutti i sistemi offensivi, ma anche difensivi, le barriere naturali, vale
a dire i corsi d’acqua, ma più massicciamente le zone paludose, un tempo molto più diffuse dal momento che i fiumi
non erano regolati.
Quando a poco a poco si affacciarono sul territorio dell’impero le prime invasioni barbariche,
i Romani capirono come le loro linee di difesa fossero inutili.
Infatti il limes romano lungo il Danubio fu
attraversato dalle orde barbariche che dilagarono così in tutto il territorio dell’impero, in un primo momento solo come
spedizioni fulminee, alle quali seguivano rapide ritirate, con l’unico scopo di guadagnare un certo bottino.
Solo
allora la città di Roma sentì il bisogno di munirsi di mura, così come tutte le altre città più importanti cercarono di
proteggersi con sistemi difensivi.
Nacquero in questo modo un gran numero di castelli periferici, posti soprattutto
nei luoghi più minacciati, cioè in difesa dei passi alpini più agevoli da valicare. Un esempio significativo è Castel
Seprio, dotato già alla fine dell’impero di una propria struttura muraria e di alcune torri.
Da poco si è avuta la
conferma dell’esistenza di molti siti fortificati anche lungo le strade laterali di penetrazione delle Alpi; queste
testimonianze risalgono alla fine dell’impero romano d’occidente, quando ad oriente vi era invece la dominazione gota
e in parte bizantina.
Esemplari di questa trasformazione sono i castelli sorti sul Montorfano, un’altura, come dice il
nome stesso, isolata, affaccia quasi completamente sul Lago Maggiore, situata tra il fiume Toce e il piccolo lago di
Mergozzo.
In cima a questa altura vi sono anche i resti di un’antica chiesa romanica e da scavi eseguiti si è scoperto
come probabilmente in origine vi fosse anche una basilica del V secolo circa; i castelli medievali infatti erano quasi
sempre affiancati da una chiesa e, in epoca più avanzata, da un battistero. Recenti scoperte sono state fatte anche
nella Val Sesia, a Quarona, dove sono stati ritrovati i resti di un battistero, forse paleocristiano o di poco post-cristiano,
compreso all’interno di una struttura fortificata. Altre testimonianze esistono anche in pianura, a Cureggio, nell’Alto
Novarese, o in Brianza, sul monte Baro. Nel periodo del tardo impero si sviluppò un nuovo tipo di fortificazione
privata, di proprietà per lo più di ricchi signori, come la villa romana; un sistema che fu poi adottato per tutto il
Medioevo.
La villa romana era una grande azienda agricola che sovrintendeva un ampio territorio e nella quale
risiedevano i fattori o, in alcuni casi, gli stessi proprietari; essa iniziò a munirsi di mura lungo tutto il perimetro,
cercando così di difendersi nel miglior modo.
Anche questa volta però tutte le protezioni non servirono a nulla
Verso la metà del VI secolo, infatti, i Longobardi invasero massicciamente l’Italia, occupando dapprima la parte
settentrionale, lasciando quella meridionale nelle mani dei Bizantini; poi via via arrivarono fino a Benevento, creando
diversi ducati, raggruppati in un regno, privo tuttavia di continuità territoriale. I Longobardi si trovarono ben presto
minacciati dai Franchi, i quali dalle Alpi continuavano ad insidiarli, fino a quando riuscirono a sopraffarli all’epoca
dei predecessori di Carlo Magno. In età longobarda quindi non vi era un sistema difensivo ben organizzato e le città
dovettero tutelarsi ognuna per conto proprio, costruendosi mura di protezione. Vi erano però le cosiddette “chiuse”,
passaggi alpini obbligatori, da cui potevano passare anche eserciti massicci. Essendo queste chiuse molto pericolose
per la sicurezza delle città, venivano quasi sempre sbarrate da legioni fisse, impedendo così l’accesso alla valle.
Un esempio importantissimo di chiusa fu Bellinzona, attuale capitale del Canton Ticino, situata nell’Alta Valle del
Ticino, in una posizione che permetteva un relativo sbarramento della Valle, proprio attraverso i passi alpini.
Allora il principale passo alpino era il Lucomagno, seguito poi dal San Bernardino e dal San Gottardo, passi dai quali
si temeva una possibile invasione alemanna.
Questa in effetti si verificò nel 590, quando una spedizione franca
attaccò il castello di Bellinzona, il quale tuttavia resistette, lasciando così i Longobardi in una situazione di
momentanea tranquillità.
Nell’età del tardo impero, in epoca bizantina e anche in età longobarda, si sfruttarono
notevolmente le isole. In particolare i siti accertati sono due: l’isola Comacina, sul lago di Como, e l’isola di San
Giulio, sul lago d’Orta.
L’isola Comacina fu sede dell’ultima resistenza bizantina contro i Longobardi. Sul lago
d’Orta invece si stabilì un duca longobardo, il quale pose la propria residenza sull’isola di San Giulio che durante il X
secolo sarà assediata dall’imperatore Ottone I. In epoca franca si tornò ad una situazione di maggiore stabilità, con il
Sacro Romano Impero di Carlo Magno, tanto che non si sentì più il bisogno di costruire apparati difensivi; molti tratti
di mura di protezione della città furono venduti ed integrati all’interno di altre nuove strutture. Frequenti furono in
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questo contesto le donazioni degli imperatori, in particolare ai monasteri, nuovi protagonisti del periodo, molto diffusi
già durante l’Alto Medioevo.
Con lo sgretolamento dell’impero carolingio, nei secoli IX-X, si andò
progressivamente verso una privatizzazione delle fortificazioni. Perse consistenza il governo centrale; il diritto di
costruire dei sistemi difensivi, appartenuto fino ad allora soltanto al publicum, vale a dire allo Stato, passò ad altri. Gli
stessi imperatori e re italici, si preoccuparono di vendere i propri possedimenti a nobili, vescovi o enti religiosi, i quali
assunsero una funzione "vicaria" rispetto al potere del publicum. Durante i secoli X, XI, XII si assistette perciò ad
una grande fioritura di castelli; dapprima nacquero come protezione del villaggio, essi stessi costituivano il villaggio,
con caratteristiche abbastanza rudimentali, come i fossati lungo tutto il perimetro (esempi di fossati sono documentati
per Varese) e le porte, costituite anche da pregevoli archi e protette con grande cura.
Si iniziò così a parlare di
“villaggio castellato” per indicare l’unione del castello al villaggio, un legame spesso separato se l’insediamento era
situato nei pressi di un’altura dal quale sarebbe stato facile bersaglio; in questo caso il castello era costruito in cima
all’altura e di conseguenza anche le mura da protezione diretta erano un po’ più discostate.
Si passò poi al
dominatus lociis, vale a dire quando i castelli divennero luoghi pubblici, residenze delle signorie che ivi esercitavano il
proprio potere. Il dominus di questi loci poteva essere un ente religioso, un arcivescovo, un privato, ma anche un
miles, inteso come nobile, il quale, grazie alla propria esperienza militare, si era guadagnato un diffuso prestigio e il
diritto di esercitare un certo potere su un villaggio. Dopo l’anno 1000, tra l’XI e il XII secolo, i castelli divennero
veri e propri magazzini.
In un primo momento il dominus permetteva ai villici di deporre il proprio raccolto
all’interno del castello, al fine di salvarlo da eventuali razzie o improvvise scorrerie.
Nel X secolo si distinsero
soprattutto due popoli autori di scorrerie: gli Ungari, provenienti da est, abili cavalieri, e i Saraceni, da ovest, temuti
pirati, debellati soltanto verso la fine del secolo X. Ma se prima era facoltativo, con il passare del tempo, la raccolta
dei prodotti della terra all’interno dei castelli-deposito divenne un obbligo; in questo modo infatti risultava più facile
calcolare le decime, il censo per il padrone e quindi organizzare, con la parte in eccedenza, una sorta di asta pubblica.
Nella nostra zona un esempio significativo di questo primo mercato fu Caravate, il cui castello era proprietà di un
abate di Pavia.
Interessanti furono anche le conseguenze militari del fenomeno dell'incastellamento: gli assedi
aumentarono tanto che vi fu un forte sviluppo delle macchine da guerra, tra cui le imponenti torri di assedio di legno,
alte anche più delle stesse mura, e l'utilizzo di nuovi sistemi di attacco, come il fuoco greco (in un recipiente si metteva
della pece che con un innesto a miccia veniva fatta esplodere). Durante questi assedi uno degli obiettivi principali era
quello di incutere paura; per questo qualche volta venivano scagliati addirittura contro i nemici degli animali morti o
dei corpi infetti, anche con funzione intimidatoria.
Con l’avvento delle armi da fuoco, verso il 1300-1400, il
castello, proprietà dello stato, o di signori privati, dimostrò di avere una struttura inadatta: l’alta torre al centro, gli
spigoli squadrati, costituivano bersagli troppo facili. Per questo le torre divennero più arrotondate e basse; anche le
forme stesse delle mura o degli edifici interni furono in genere arrotondate.
CASTELLUM – CASTRUM- CASTELLO
Si chiamava Castellum, presso i romani, un'opera di fortificazione la cui differenza dal Castrum non è ben chiara.
Generalmente si identificava con questo nome fortificazioni di minore entità lungo i confini dell'impero, disposte ad
intervalli regolari a sorveglianza di ponti e strade, al di qua e al di la delle frontiere. I castelli erano temporanei o
permanenti: i primi erano semplici ridotte, di forma circolare o quadrata, spesso senza baraccamenti per le truppe; gli
altri erano invece recinti rettangolari saldamente fortificati, con argini e terrapieni dapprima, poi ( dopo Adriano ) cinti
di mura merlate, con torri per le macchine di lancio e quattro porte. Le loro dimensioni variavano da 24 m. x 15 m. a
150 m. x 150 m. Nel Medioevo il nome di Castello passò ad identificare una residenza fortificata che costituì la
dimora del signore feudale. Dapprima fu un fortilizio isolato nel quale l'abitazione del feudatario si riduceva a pochi
vasti ambienti ricavati all'interno delle torri e delle muraglie. Poi, quando la vita delle piccole corti feudali si volse ad
una maggiore ricerca di agi e di benessere, il castello divenne un organismo complesso, del quale fecero parte
l'apparato difensivo, costituito dalla cinta muraria per la difesa esterna e dal mastio per la sorveglianza dell'intero
edificio e l'eventuale estrema difesa, il nucleo abitato, costituito dal palazzo del signore, le abitazioni dei famigli e
dei soldati, la cappella, magazzini e servizi comuni. Nel sistema fortificato, le caratteristiche strutturali e tecniche
delle varie parti seguirono i progressi dell'arte militare : si passò così dalle nude muraglie merlate dei primi fortilizi
feudali, alle ben studiate disposizioni difensive dei castelli dal '200 al '400, dominati dall'alta mole del mastio, coronati
dalla serie delle merlature su caditoie del cammino di ronda aggettante, protetti dalle robuste torri distribuite nei punti
più salienti. In questi già complessi e vasti organismi il palazzo del signore con i fabbricati annessi prese importanza e
aspetto di dimora principesca e , pur conservando all'esterno le disposizioni necessarie per la difesa e la sicurezza degli
abitanti, si arricchì, nell'interno, di cortili e di sale dalle amene architetture e leggiadre decorazioni. Nel XVI° secolo il
castello perde il duplice carattere di fortezza e di dimora signorile. Il nome castello rimane tuttavia in uso per indicare
le grandi dimore di campagna che, specialmente in Francia e nei paesi germanici, si sostituirono alle antiche residenze
feudali, sotto forma di fastosi palazzi circondati di vasti parchi.
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EVOLUZIONE TIPOLOGICA DEL CASTELLO MEDIEVALE
Il dottor Marco Tamborini, rappresentante nella provincia di Varese dell’"Istituto Italiano sui castelli" ed autore di
molti studi, ha così esordito:”
Mi interesso di castelli da molto tempo ed inoltre faccio parte del Consiglio
Scientifico Nazionale dei Castelli; essendo varesino mi occupo delle presenze fortificate nel nostro territorio; definirei
il castello uno degli elementi caratteristici del panorama edilizio del Medioevo.” Nella storia del recente passato il
castello non viene particolarmente considerato, nonostante sia uno dei principali edifici medievali. Tuttavia negli
ultimi vent'anni vi è stato un avvicinamento importante al periodo storico medievale, ove il castello rappresentava la
vita laica. Il castello assume un’importanza rilevante, quando l’Italia viene invasa dai barbari; infatti ci fu la
necessità di costruire fortificazioni per garantire rifugi alla popolazione. In seguito (verso il X secolo) si verifica il
passaggio da uno scopo militare a uno strettamente politico-signorile del castello, ove il principe ora vive con una
maggior tranquillità economica, sociale e politica. La tecnica costruttiva del castello militare subisce una grande e
significativa svolta nel Cinquecento, mentre la fortezza signorile perde sempre più gli aspetti difensivi per diventare un
palazzo signorile e quindi una vera e propria villa. Per quanto concerne le fortificazioni nella provincia di Varese,
zona di passaggio fra le Alpi e la Pianura Padana, va ricordato innanzitutto che molti definivano Bellinzona “la Porta
d’Italia” e ciò ha fatto sì che il territorio varesino avesse fin dall’epoca tardo antica una vasta esemplificazione di
strutture fortificate, alla maggior parte delle quali viene attribuito un uso difensivo o di attacco.
Oggi, di una grandissima quantità di castelli rimangono solo ruderi, a causa di abbandono, distruzione o modifica
d’uso. Al secondo motivo può essere ricondotto. ad esempio, l’attuale stato di conservazione della Rocca di Orino:
essa ha mantenuto gli elementi originali di una fortezza, ma in seguito, per cause belliche, è stata ridotta a un rudere.
Diversa è la tipologia del castello di Masnago, che ha subito molte trasformazioni; infatti nel ‘400 era una residenza
signorile, nel ‘500 ha subito una ristrutturazione ed infine nel ‘600-‘800 è diventata una villa.
Tuttavia vi sono
anche alcuni castelli che ancora oggi si possono definire tali: è il caso della Rocca di Angera. Noi abbiamo l’ idea ha sostenuto il dott.Tamborini - che la provincia di Varese sia caratterizzato da ville, giardini, sacri monti: tutto questo
ha una ragione di evoluzione sociale del nostro territorio più legata al Cinquecento-Seicento; ma l’evoluzione storica
precedente ha lasciato sul territorio molteplici esemplificazioni di castelli.
Il castello ha subito delle variazioni così
diverse da creare dei problemi nello studio della loro evoluzione. Le fortificazioni varesine hanno uno spettro di
tipologie che ci ricordano il periodo tardo romano, fino all’evoluzione di castelli di difesa attorno al 1000,
all’evoluzione signorile quando il territorio viene gestito da signori feudali fino a giungere al Trecento-Quattrocento
con la nascita delle residenze nobiliari delle importati famiglie dei Visconti, dei Castiglioni, dei Bossi, dei Besozzi…
Nella seconda parte della sua relazione il dottor Tamborini si è soffermato soprattutto sulle metodologie inerenti allo
studio dei castelli. Ha descritto le diverse fasi storiche ed architettoniche, assieme alle modalità per risalire alla
datazione e all’accostamento di riferimenti cronologici ad elementi architettonici del castello. Questo lavoro è
maggiormente complicato dal fatto che nel Medioevo i castelli, abitati da enti religiosi, non tenevano in considerazione
l’archivio familiare.
Lo studio del castello è uno dei casi dove è necessaria la ricerca interdisciplinare:
la topografia che permette di ricavare informazioni attraverso le mappe;
l'iconografia che aiuta a scoprire come era in origine l’aspetto di un castello;
le tradizioni orali;
la toponomastica che aiuta a creare un mosaico attraverso lo studio dei nomi;
l'archeologia che aiuta a datare il castello attraverso il ritrovamento di resti (Castel Seprio);
le analisi di laboratorio, che sono divenute utilissime in molti casi, per esempio per la datazione del castello di Velate
(XII sec.).le analisi di laboratorio, che sono divenute utilissime in molti casi, per esempio per la datazione del castello
di Velate ( XII sec.).
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GLI ABITANTI DEL CASTELLO
Chi viveva nel castello? Un signore feudale con la sua famiglia e solitamente un nobile in visita. Ognuno di essi aveva
un certo numero di giovani gentiluomini a loro servizio personale che li seguivano ovunque andassero e formavano
una forza armata di protezione fidata e sicura.
Poi vi erano i paggi, figli di vassalli o di altri nobili alleati: di età
dai 9 ai 14 anni erano addetti alla persona del signore e compivano piccoli servizi di fiducia. A 15 anni divenivano
scudieri, erano addestrati al combattimento ed accompagnavano il signore in battaglia, curando i suoi bisogni e le sue
armi.
Avevano il corrispettivo femminile nelle damigelle che svolgevano il ruolo di accompagnatrici della
castellana. Al contrario di quel che si pensa, queste damigelle erano giovanissime perché, essendo la normale età del
matrimonio stabilita a 14 anni per la donna, esse, una volta sposate, se ne andavano nella nuova casa (se a 18 anni non
erano riuscite a trovare marito entravano in convento come monache per non interferire nelle questioni ereditarie).
Il buon andamento di un castello era affidato a un servo anziano di fiducia detto "castellano", che faceva da vicario del
signore quando questi era lontano. Sotto al castellano vi era il tesoriere, che spesso era un chierico, ovvero un
ecclesiastico che non poteva dire messa, ed il maggiordomo addetto al controllo dei servi ed alla distribuzione degli
incarichi, oltre che al rifornimento di cibo e bevande; un diacono o un monaco fungeva da cappellano e si occupava
dei riti religiosi; essendo spesso i soli letterati del castello, venivano utilizzati anche come scrivani. La servitù
comprendeva un cuoco, i suoi sguatteri, servi e serve che formavano la forza lavoro per le faccende di tutti i giorni.
Inoltre il castello disponeva di manovalanza specializzata: il maresciallo di scuderia, il fabbroferraio e gli stallieri per i
cavalli, un fabbro coi suoi assistenti per costruire e riparare attrezzi, lavandaie e sarto, falegname e muratori per le
riparazioni, un mastro d'armi per fabbricare armi e riparare armature, mastri di caccia per curare ed addestrare i cani e
stanare la selvaggina ed un nugolo di ragazzi e ragazze, generalmente orfani, da utilizzare per i lavori più umili.
Ultimi, ma più importanti, i soldati in servizio permanente che formavano il corpo di guardia.
LE SIGNORE
La posizione della donna nel medioevo, in un mondo soprattutto maschile, non era invidiabile: se nobile veniva
utilizzata come “merce di scambio” tra famiglie in matrimoni combinati (a volte quando i futuri sposi erano ancora in
fasce), per accrescere la potenza del casato; se povera era considerata poco più di un animale da procreazione.
Nel castello il numero delle donne era inferiore a quello degli uomini: la moglie del signore (castellana) aveva ai suoi
ordini dame e damigelle di estrazione nobiliare dedite ai servizi e alla tessitura; serve, balie e lavandaie erano invece di
origine popolare.
La castellana aveva un ruolo importante nell'amministrazione del castello: organizzava il lavoro
della servitù, provvedeva a calcolare le scorte di cibo e vestiario, pensava alla manutenzione della rocca.
Ella ogni mattina si recava nelle cucine per sorvegliare che cuochi, sguatteri e camerieri svolgessero bene il loro
lavoro. Quindi si recava ad ispezionare le lavanderie e per ultimo controllava la fabbricazione del burro e dei
formaggi, la salatura delle carni e la preparazione del vino e della birra, lavorando spesso con le sue dame insieme ai
servi.
Un compito importante della castellana era la direzione dell'industria più importante del castello: i lavori di
filatura, tessitura, maglia, cucito e ricamo che garantivano vesti e biancheria a tutti gli abitanti del castello.
Nell’XI secolo l'ideale cavalleresco ed il culto della Vergine contribuirono a migliorare la condizione della donna
nobile poiché nel codice cavalleresco si insisteva sull'importanza per il cavaliere di proteggere le donne, sopratutte le
vedove
COME SI SVOLGEVA LA VITA NEL CASTELLO
Ricostruire la vita quotidiana del nobile signore nel suo castello non è cosa facile, sia per la grande varietà di forme e
caratteri che essa presenta nelle diverse zone d’Europa in cui il sistema feudale si diffonde, sia perché, nell'ambito di
uno stessa regione, le consuetudini di vita sono andate necessariamente evolvendosi attraverso il tempo.
Pertanto
prenderemo come esempio la vita feudale quale si svolgeva in Francia nel corso dei secoli XII e XIII.
La giornata degli abitanti del castello incomincia, almeno nella buona stagione, assai presto: verso le sei, un domestico
entra nella camera dove riposano il signore e la castellana e dà loro la sveglia con un sistema molto semplice: scrolla
leggermente il guanciale del letto.
La stanza è arredata con pochi mobili: di fronte al caminetto c'è un grande letto,
sormontato da una specie di baldacchino che poggia su quattro colonne, intorno alle quali scorrono le cortine; le
lenzuola sono di lino o di seta, la coperta di ermellino o di martora. Un paio di sgabelli o di seggiole talvolta ricoperte
da cuscini, un forziere contenente il cofanetto dei gioielli della castellana ed altri oggetti di valore, una cassapanca
nella quale sono deposti gli abiti accuratamente piegati completano il semplice arredamento. Tappezzerie in seta, in
tinta unita o a vivaci colori, talvolta con splendidi ricami in oro, abbelliscono le pareti e rendono luminosa la stanza.
Alla sera, prima di coricarsi, il signore e la sua consorte hanno deposto le vesti di uso quotidiano su di una pertica,
collocata orizzontalmente non lontano dal letto: in tal modo gli abiti non rischiano di finire sul pavimento o di essere
insudiciati dai cani che spesso dormono nella camera dei padroni.
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ABBIGLIAMENTO MASCHILE
Nel XIII secolo, gli elementi base dell’abbigliamento del nobile signore erano quelli già in uso nell’alto Medioevo.
Egli indossava una camicia ed un paio di mutande di lino; su di esse poneva una tunica orlata di seta e delle brache;
portava fasce strette intorno alle gambe e stivali ai piedi. D’inverno una pelliccia di lontra gli proteggeva le spalle e il
petto. Rispetto all’abbigliamento in uso nel mondo romano, l’elemento veramente nuovo è costituito dalle “brache”,
dei calzoni che sostituirono la toga.
ABBIGLIAMENTO FEMMINILE
Gli elementi principali dell’abbigliamento femminile erano la veste, aderente in vita, lunga fino ai piedi e la
sopravveste che, per forma, lunghezza e tessuto, si prestava a molte varianti. Generalmente la sopravveste aveva un
bordo di pelliccia ed era abbellita da preziosi ricami; alcune erano senza maniche, altre avevano maniche staccabili, in
tinta contrastante con quella dell’abito. Quando usciva, la dama si avvolgeva in un manto molto ampio, di lana, di
velluto o di seta; alcuni erano ornati di pelliccia e si chiudevano sul petto mediante splendidi gioielli lavorati.
I DIVERTIMENTI
La vita nel medioevo non era solo chiesa, politica e guerra, vi erano anche feste e passatempi. Durante il giorno i
nobili andavano a caccia di cervi o cinghiali coi cani, mentre col falcone cacciavano uccelli e lepri. Questa era il
divertimento preferito dei nobili, uomini e donne, e solo a loro era concesso. La sera a cena a volte ci si divertiva con
musici e trovatori itineranti oppure giocando a scacchi o a dadi. Se vi era nei paraggi una compagnia di teatro, essa
poteva essere invitata a recitare nel cortile del castello, più per divertire la servitù che per i signori, dato che la Chiesa
condannava il teatro come disdicevole, a meno che non rappresentasse episodi del Vangelo o della Bibbia. Però la
professione dell'attore era considerata infamante ed equiparata alla prostituzione. Nelle belle giornate festive popolo e
nobili si divertivano anche a giocare con palla e bastoni, una specie di hockey sul prato antistante le mura.
Nelle grandi festività il signore concedeva la chiesa del castello ai suoi dipendenti come locale per danzare e far
musica, pratica questa che la gerarchia ecclesiastica non vedeva di buon occhio. Ma la grande passione del medioevo
era il torneo! Era nella Giostra o Torneo che i cavalieri provavano la loro abilità e coraggio sotto gli occhi di
languide fanciulle e gente eccitata che scommetteva su di loro. Nati come addestramento militare, i tornei si
trasformarono in breve in un modo legale di dirimere dispute o sfogare odi e rancori. Prima del XIII secolo lo scontro
tra cavalieri era libero e si giungeva a vere battaglie in campo aperto che coinvolgevano decine di contendenti in una
zuffa sanguinosa; vi erano molti morti (anche 60 in una sola competizione!) e questo spinse il papa a disapprovare la
violenza di tali gare e a proibire l'estrema unzione e il seppellimento in terra consacrata a chi fosse stato ucciso in un
torneo. I cavalieri disarmati dall'avversario nei tornei dovevano pagare un riscatto per essere lasciati liberi. Ci fu chi
fece di questo, che doveva essere un gioco, un modo per arricchirsi rapidamente. Nel XIII secolo si sostituì questo
tipo di torneo, considerato ora volgare passatempo da soldatacci, con "i nobili giochi cavallereschi detti della Tavola
Rotonda", regolamentati da rigide leggi di lealtà e riguardanti lo scontro di due soli cavalieri per volta che si
affrontavano separati da una lunga staccionata. Il perdente doveva cedere al vincitore una somma di denaro, armi e
cavallo. Ci si allenava per il torneo, cercando di colpire in velocità con la lancia alcuni scudi infissi a terra, oppure
colpendo uno scudo fissato ad un'asta rotante intorno ad un palo posto in verticale, evitando di essere colpiti dal
pesante sacco o palla di legno posto all'altro capo dell'asta. Questo esercizio poteva essere svolto in pubblico come
gara ed allora si chiamava "Quintana".
Lo spazio recintato in cui si teneva il torneo era chiamato "Lizza"; il
cavaliere che si comportava in modo poco valoroso o sleale cadeva in disgrazia. Si vinceva il torneo disarcionando il
nemico, o si guadagnava punteggio spezzando la punta della lancia sullo scudo avversario, a volte si proseguiva il
combattimento a piedi con spada o mazza cercando di disarmare o far cadere all'indietro il rivale. Nonostante regole,
armature e imbottiture, i morti ed i feriti continuarono ad essere numerosi.
UNA GIORNATA AL CASTELLO
OCCUPAZIONI DELLA MATTINA
Il signore, alzatosi, compie la sua toeletta mattutina, che generalmente non richiede molto tempo; indossata la
camicia, i calzoni e le scarpe, egli procede ad una sommaria pulizia personale: si lava la faccia e le mani.
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Tuttavia, qualche volta, soprattutto quando ritorna dalla caccia, il signore fa un bagno completo, immergendosi
in una tinozza di legno che un servo ha riempito d’acqua mista ad essenze profumate.
Dopo essersi lavato, il signore si pettina i capelli che porta lunghi fin sul collo, arricciati in fondo oppure
raccolti in un nodo sulla nuca; sulla fronte sono disposti a frangia, liscia o arricciata.
Terminata la toeletta e recitate le preghiere del mattino, il nobile con la consorte ed i figli assiste alla Messa
nella cappella del castello. È questa una consuetudine largamente diffusa presso tutte le grandi famiglie feudali;
i nobili che non dispongono di una cappella privata, si recano al monastero più vicino, oppure si accontentano
di una breve sosta nell'oratorio annesso alla camera da letto. Consumata la prima colazione, il signore si
dedica ai suoi molteplici impegni quotidiani.
Nella grande sala, detta anche di soggiorno, generalmente si
esercita anche la giustizia; lì il
feudatario riceve la piccola folla dei suoi dipendenti.
Il " soggiorno" di
un castello medioevale non è molto confortevole, tuttavia ha una sua semplice, austera bellezza. Trofei di
caccia, armi, affreschi rappresentanti scene di guerra o di caccia, preziosi arazzi in cui sono raffigurati episodi
tratti dalla storia o dalla leggenda, ornano le pareti e ravvivano il vasto ambiente, reso ancor più luminoso dalla
luce che filtra attraverso i vetri delle finestre che hanno tinte vivacissime: blu, rosso, verde.
Sul pavimento, viene steso lungo le pareti uno strato di erbe e fiori che mantengono fresco e odoroso
l'ambiente; in inverno, ai fiori si sostituisce uno strato di paglia frequentemente rinnovata.
In questa sala, nel corso della mattinata, il signore riceve il personale che, con diverse funzioni, sovraintende
all'amministrazione della casa e delle sue terre.
Ognuno viene a rendere conto del suo lavoro ed a prendere gli ordini per la giornata. Vi è anzitutto il
"siniscalco", cioè il diretto rappresentante del signore in tutta l'estensione del suo dominio feudale; il
palafreniere, vale a dire colui che sovraintende alle scuderie; il capo del personale che presta servizio nel
castello; il capo cuoco che dirige la cucina; il celliere che regna sulle cantine; il dispensiere e via via tutti
coloro a cui sono affidati compiti di sorveglianza o amministrazione nei possedimenti del feudatario.
Sbrigate le varie incombenze, prima dell'ora di pranzo, il signore ha ancora un po' di tempo a sua disposizione;
con i figli e gli scudieri va ad armeggiare nella sala delle armi, scende nella corte fare una visita alle scuderie o
al canile, finché, dall'alto di un bastione, il suono di un corno da caccia annuncia che il pranzo è pronto.
IL PRANZO
Nella vasta sala di soggiorno i servi hanno portato dei cavalletti sui quali vengono poste delle assi, cosa che
permette di avere tanti tavoli quanti ne richiede il numero dei convitati; naturalmente vi sono anche tavoli veri
e propri, in legno di quercia o di noce, talvolta elegantemente scolpiti.
Prima di sedersi sugli sgabelli o sui
banchi accostati ai tavoli, i convitati si lavano le mani in bacinelle che i domestici porgono loro; la stessa cosa
faranno durante e dopo il pranzo, dal momento che i cibi si prendono in gran parte con le mani.
Ogni
convitato ha dinanzi a sé un piatto di terraglia o di peltro, una scodella, un cucchiaio, un coltello, un bicchiere.
Non si usano forchette e neppure tovaglioli; durante il pasto, ognuno si pulisce le mani e la bocca con un lembo
dell'ampia tovaglia che copre il tavolo. Le vivande sono presentate su grandi piatti di servizio che i servi via via
depongono sui tavoli.
Quando ci sono ospiti, l'uso vuole che a fianco di ogni dama sieda un cavaliere che sarà prodigo di gentilezze
e premure verso la sua compagna: le offrirà le porzioni migliori, la intratterrà con piacevoli conversazioni e le
farà anche, discretamente, un po' di corte.
Se si vuole onorare un ospite di particolare riguardo, si mangia nello stesso piatto con lui e si beve dalla stessa
coppa.
La base dell'alimentazione nell'età feudale è costituita dai prodotti che il signore ricava dalle sue terre e dalla
caccia.
Ogni grande azienda agricola è organizzata in modo da provvedere al fabbisogno alimentare di tutti coloro che
in essa vivono: liberi e servi. Ne deriva, necessariamente, un'alimentazione poco varia, dal momento che non
si può produrre tutto in qualsiasi fondo.
Questo tipo di economia autosufficiente va però trasformandosi lentamente attraverso il tempo; via via che il
commercio rinasce e riprendono a funzionare regolarmente fiere e mercati nelle città e lungo le strade di
grande transito, anche la vita economica del feudo si evolve grazie alla più ampia circolazione delle merci, e
l'alimentazione degli uomini si fa più varia.
In ogni tempo, però, la base dell'alimentazione delle classi signorili rimane la carne, in particolar modo quella
di maiale, di cinghiale, di cervo, di selvaggina in genere. Assai apprezzato è anche il pesce: in molti castelli vi
sono vivai in cui si allevano pesci di mare e di fiume. Oltre alla carne, si mangiano legumi (soprattutto fave e
piselli che, in un certo senso, occupano il posto che poi sarà della patata, ancora sconosciuta), latticini, uova e
pane (quello dei signori è bianco, quello del popolo è di segale, perciò scuro).
Le bevande più diffuse sono il vino, la birra e il sidro, ricavato dalle mele.
Un posto importantissimo occupano nell'alimentazione le spezie, di cui fanno largo uso le classi signorili. Le
spezie sono un genere di importazione, vengono dall'Oriente e incominciano a riapparire in Europa a partire
dal XII secolo, allorché, in seguito alle prime crociate, il Mediterraneo riallaccia relazioni commerciali con i
porti del Levante. Da allora e per molto tempo, esse costituiscono uno dei pochissimi prodotti che alimentano
il commercio internazionale.
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La cosa è facilmente comprensibile se si pensa che si tratta di una merce di facile trasporto e di costo molto
elevato: in un'epoca in cui i mezzi di trasporto erano troppo poco sviluppati per adattarsi alla circolazione su
vasta scala di prodotti a buon mercato, il primo posto nel grande commercio doveva necessariamente essere
occupato da merci di alto valore e dal peso relativamente modesto.
Oltre al pranzo vi era anche il “dessert”: torte, focacce, pasticcini dolcificati con il miele, e poi frutta fresca e
secca, come pere, mele, noci, fichi, ecc.
Alla fine del pranzo, i nobili signori bevono del vino mielato, in
cui sono rimasti a lungo in infusione chiodi di garofano, zenzero e noce moscata. Per placare l'arsura che un
simile liquore procura, si vuota ancora un ultimo calice di vino.
Durante il pranzo, il signore offre ai suoi
ospiti distrazioni e svaghi di vario genere. L'imperatore Carlo Magno, a detta del suo biografo, si faceva
leggere tra una portata e l'altra le opere di Sant'Agostino; i cavalieri e le dame del XII e del XIII secolo
preferiscono ascoltare giullari e menestrelli che cantano, accompagnandosi con l’arpa o con la viola, poesie
che essi stessi o altri hanno composto. In genere sono canti che celebrano eroiche imprese di guerra,
avventure, vicende d'amore.
Questi "cantautori" girano di castello in castello: i signori li accolgono
volentieri, di solito li ricompensano generosamente, talvolta li ospitano a lungo nella loro dimora.
Fra i
giullari non vi sono soltanto poeti girovaghi, ma anche danzatori, giocolieri, saltimbanchi e buffoni.
Quando al castello si celebra qualche avvenimento importante, come per esempio un matrimonio, essi
arrivano in gran numero da tutte le contrade ed animano la festa con i loro spettacoli di arte varia:
«Quando la corte fu riunita, tutti i menestrelli della contrada, tutti coloro che sapevano far qualcosa di
gradevole, si trovarono raccolti a corte. Vi era gran gioia nella sala. Ognuno dava mostra di quel che sapeva
fare: questo salta, quello fa capriole, quest'altro fa incantesimi. Uno fischia, l'altro canta, uno suona il flauto,
l'altro la zampogna, uno la giga, l'altro la viola; le donzelle formano carole e danzano; tutti si abbandonano
alla gioia. Tutto quel che può far nascere la gioia e mettere in allegrezza un cuore d'uomo, fu messo in opera
alle nozze quel giorno. Suonano timpani e tamburi, suonano le cornamuse, le ciaramelle, i flauti, le buccine e
le zampogne».
LE OCCUPAZIONI POMERIDIANE
Le occupazioni pomeridiane del nobile signore sono, di solito, meno impegnative di quelle del
mattino.Terminato il pranzo, egli riposa, oppure indugia con i famigliari e gli ospiti nel giardino annesso al
castello, gioca a carte, a dama, a scacchi, va a fare un giro nel villaggio, oppure va a caccia.
In determinati giorni il signore si dedica all'amministrazione della giustizia. Già sappiamo che i feudatari hanno il
diritto di giudicare i loro vassalli ed i loro servi; alcuni hanno competenza soltanto nelle cause di minor gravità, altri
hanno il cosiddetto diritto di "alta giustizia", possono cioè infliggere anche la pena capitale.
Quando deve giudicare degli uomini liberi, generalmente il signore non agisce da solo, ma si fa assistere da una
"corte" o assemblea formata da uomini liberi; se invece si tratta di un servo, decide lui stesso, oppure si fa
rappresentare dal suo "siniscalco".
Per svolgere il suo compito di giudice, il signore si basa su leggi scritte,
oppure si affida alla consuetudine, alla tradizione orale.
Decidere della innocenza o della colpevolezza di una
persona, si fa spesso ricorso al duello ; a tale prova, però, possono sottoporsi solo gli uomini liberi, ai quali è
concesso anche di farsi sostituire da "campioni" o spadaccini di mestiere; i servi, invece, vengono generalmente
sottoposti all'ordalia, un'usanza di origine barbarica, che consiste nell’affrontare pericolose prove di resistenza fisica:
chi rimane leso, ha torto.
Le pene sono di solito molto severe, specie nei casi di violazione del diritto di proprietà.
La fustigazione con le verghe, la mutilazione di parti del corpo sono di uso comune.
La giornata al castello si
conclude con la cena, molto simile al pranzo, ma di proporzioni assai più modeste; tutta la famiglia si riunisce intorno
al camino, dove ardono grossi ceppi.
I bagliori della fiamma si riflettono danzando sulle pareti, la luce delle
candele crea nella vasta sala un’atmosfera intima, raccolta: è l’ora in cui i pellegrini ed i viandanti, che l’ospitale
dimora del signore ha raccolto durante il giorno, si mettono a raccontare le vicende avventurose dei loro viaggi.
Con loro un po’ del vasto mondo entra nella sala del castello; poi, ancora una volta, il menestrello arpeggia una soave
melodia. Il silenzio scende sugli uomini e sulle cose.
Il signore si è fatto consegnare il mazzo delle chiavi, ha
controllato che il ponte levatoio sia stato alzato, che tutte le candele e le torce siano spente. Nell’oscurità solo la
vedetta vigila, insonne, sulla torre più alta del castello.
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GLOSSARIO
Aggetto: elemento architettonico sporgente dal muro di un edificio.
Androne: atrio, ambiente che si sviluppa in profondità tra il portone d'ingresso e il cortile interno.
Antemurale: opera leggera distaccata di prima difesa contro il nemico, costituita variamente (muro, terra, palizzata,
ecc.).
BALUARDO
il termine, per taluni studiosi, distingueva opere in muro da quelle in terra, dette più comunemente bastioni. La
distinzione si è dileguata nel tempo e con l'uso esclusivo delle opere in muro.
Mura di Lucca: baluardo
Significato Elemento difensivo introdotto negli angoli più esposti delle fortificazioni bastionate con il duplice scopo
di irrobustire punti altrimenti deboli della cinta muraria e di attaccare il nemico dai fianchi piuttosto che frontalmente.
Origini ed evoluzione storica Il baluardo costituisce una soluzione difensiva innovativa tutta italiana, frutto del
lavoro degli architetti militari del Quattrocento e Cinquecento, tra i quali emergono Francesco di Giorgio Martini,
Giuliano Giamberti da Sangallo, Baccio Pontelli, Michele Sanmicheli da Verona e Michelangelo Buonarroti.
Elemento caratteristico della cosiddetta “epoca di transizione” dell’architettura militare, viene preceduto da tutta una
serie di tentativi identificabili con le rocche, per trovare compimento nelle costruzioni difensive sorte o potenziate nel
corso della dominazione aragonese dell’Italia meridionale.
Caratteristiche costruttive Dotato di spessore murario variabile in funzione delle esigenze difensive, ma sempre
dimensionalmente notevole, il baluardo presenta pianta triangolare, pentagonale o circolare, a seconda dell’impiego
cui è destinato. Infatti le prime due soluzioni, solitamente utilizzate in fortezze sul mare, oppongono, con la loro
forma, lati sfuggenti all’impeto delle onde; il secondo, invece, riconducibile al periodo di transizione tra la
dominazione aragonese ed il viceregno spagnolo (fine XV - prima metà del XVI secolo), lascia maggior spazio libero
per la sistemazione dell’artiglieria a difesa del lato interno della costruzione.
Come suggerisce Galileo Galilei nel
Trattato di fortificazione, affinché il baluardo risulti efficace è necessario che la lunghezza della cortina muraria
interposta tra due di essi non sia eccessiva e che in ciascun fianco aggettante del baluardo stesso siano ricavate almeno
due cannoniere, orientate in maniera diversa e posizionate, preferibilmente, su due livelli. Un’altra soluzione per
rinforzare la difesa consiste nell’inserire, sempre tra due baluardi consecutivi, un terzo elemento più o meno simile ad
essi (la forma non ne pregiudica la funzione), ma di dimensioni ridotte, detto “cavaliere”, con il quale è possibile
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battere l’area circostante la fortezza, difendere la ritirata ed allontanare il nemico. Il baluardo può avere una terrazza,
destinata ad azioni sia di controllo che di offesa e per questo dotata di artiglierie in postazione stabile nelle cosiddette
“troniere”. Può, infine, esserci anche una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, sufficiente a soddisfare le
necessità dei soldati presenti della costruzione e a raffreddare i cannoni dopo l’uso.
Esempi Varie sono le tipologie di baluardo. Esempi di pianta “a mandorla” si osservano nei castelli di Carovigno
(Brindisi) (fig. 14) e, in provincia di Foggia, in quelli di Rocchetta S. Antonio (fig. 13) e Monte S. Angelo. Nel
castello di Vasto particolari sono i tre baluardi riconducibili all’intervento cinquecentesco di rafforzamento strutturale,
i quali, anch’essi lanceolati, appaiono realizzati in laterizi piuttosto che in materiale lapideo e caratterizzati da un basso
corpo privo di aperture e scarpato e da una parte sommitale culminante con una struttura in aggetto per la difesa
piombante. Baluardi cilindrici casamattati sono presenti negli angoli Nord e Sud del castello di Acaja (Lecce), ma
anche a Venafro, dove sono inseriti nella cinta urbana con funzione di rinforzo, oltre che a Somma Vesuviana, in
Campania, a Colle di Val d'Elsa (Siena) (fig. 5), a Montescaglioso, Reggio Calabria, Ostuni (Brindisi) (fig. 12), Trani
(Bari) ed Isernia. Un solo baluardo circolare (il cosiddetto “bastione di S. Filippo”) basta, invece, a proteggere il
castello Alfonsino di Brindisi in direzione del porto. Di forma trapezoidale è, ancora, il baluardo di S. Giorgio
(1552) a Firenze, costruito in occasione di un massiccio intervento di potenziamento militare della città (insieme con
altri baluardi di cui non restano tracce), nel quale sono visibili alcune cannoniere aperte nelle antiche mura
medioevali. Di impressionante spessore sono i due baluardi del cosiddetto “Castello Rosso” di Taranto, progettati
da Francesco di Giorgio Martini, Ciro Ciri e Francesco Acquaviva, con pianta uno triangolare e l’altro circolare, ma
altrettanto imponenti sono quelli che, insieme con altri elementi antemurali, proteggono il castello di Otranto (Lecce).
Particolarmente interessanti, infine, la cerchia urbana di Ferrara (figg. 4-5), con i suoi numerosi baluardi, e quella di
Lucca (fig. 1 e figg. 8-11), il cui ultimo baluardo (di “S. Paolino”), risale al 1642.
BASTIONE
Elemento pentagonale (due facce, due fianchi, una gola) innestato all'incrocio di due cortine angolate in asse alla
bisettrice del loro angolo (capitale) al fine di realizzarvi il fiancheggiamento irrobustendo contemporaneamente lo
spigolo. Sinonimo di baluardo
Uno dei bastioni della fortezza di Sansepolcro (Arezzo).
Significato Elemento architettonico angolare applicato, agli inizi del XVI secolo, alle costruzioni fortificate con lo
scopo di consentirne una difesa ottimale e di agevolare l’uso delle artiglierie proprie racchiuse al loro interno.
Origini ed evoluzione storica Il bastione, in quanto sorta di “puntone” sporgente dal profilo murario esterno, non
costituisce un precedente storico decisivo e determinante, poiché estremamente legato alle mura che difende, ma
rappresenta la messa in atto di un’idea vagante nell’aria già molto tempo prima sotto forma di pentagono aggettante.
Assume espressione inconfondibile e geometricamente prevedibile già negli ultimi decenni del Quattrocento, ma è
solo nella prima metà del XVII secolo che viene definitivamente codificato e perfezionato con l’aggiunta di opere
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difensive tecnologicamente più avanzate, mirate a moltiplicare gli ostacoli opposti all’aggressore. Infatti si parte dal
presupposto che il bastione rappresenti il primo elemento di una fortezza da definire sul terreno e che la linea di difesa,
cioè la distanza tra il fianco di un bastione ed il “saliente” del bastione opposto, non debba mai superare la portata
utile dei fucili utilizzati nel fiancheggiamento vicino (e quindi i 350 metri) ed, inoltre, sia perpendicolare ai fianchi
della cortina muraria. Proprio nei fianchi di questa costruzione si apriranno, inoltre, in epoca successiva, le bocche
delle batterie destinate a spazzare il fosso a cielo libero. I circuiti difensivi diventano, in tal modo, un complicato
sistema di trincee, terrapieni e fossati che, aumentando la profondità delle difese, contribuisce a garantire la protezione
anche contro eventuali cannoneggiamenti indiscriminati rivolti a colpire l’interno del perimetro fortificato.
Caratteristiche costruttive
La fortificazione bastionata si articola simmetricamente intorno ad un asse, bisettore
dell’angolo che protegge e per questo detto “capitale”; i due lati confluenti al vertice sporgente sono le “facce” e quelli
che ne collegano gli altri estremi alla cortina sono i “fianchi”. Si chiama “gola”, invece, il quinto lato interno del
pentagono (generalmente aperto) così formato verso la piazza interna al recinto fortificato, lato che congiunge gli
incroci dei fianchi con le cortine. La struttura, caratterizzata da una forma a foglia d’edera (due facce, due fianchi,
una gola) innestata all’incontro di due cortine angolate in asse alla bisettrice dell’angolo da esse formato, viene
concepita per avere un ottimo profilo balistico e, nello stesso tempo, per non lasciare punti nascosti al tiro dei
difensori, capaci di raggiungere con il proprio tiro sia la cortina muraria che la faccia del bastione vicino. Da ciò
emerge che la difesa reciproca e la distribuzione delle torri lungo il perimetro del circuito murario rispondono al
rapporto proporzionale bastione-mura-bastione, la cui unità di misura è data dalla gittata delle nuove armi da fuoco.
A sua volta questo modulo compositivo diventa componibile in poligoni con un sempre maggior numero di lati, a
seconda delle dimensioni dell’area che si vuole racchiudere e della morfologia del terreno. Infatti gli angoli interni
compresi tra le facce ed i fianchi - chiamati anche “angoli di spalla” - vengono determinati in vario modo e per più di
un secolo dotati di tracciati sempre più perfetti o accidentati, con risultati più o meno utili. Nella configurazione
strutturale definitiva del bastione la congiungente i vertici di due baluardi contigui, parallela alle mura, determina la
linea avviluppante della base, mentre la congiungente il vertice di un bastione con il vertice del fianco contiguo
costituisce la linea di difesa. Tuttavia gli alti "costi di costruzione" fanno sì che molte volte si cerchino di adeguare, in
qualche modo, le difese già esistenti, piuttosto che realizzarne di nuove, tanto che, in alcuni casi, si ricorre soltanto ad
opere aggiuntive all’esterno delle vecchie mura medievali, solitamente rappresentate da semplici accumuli di terra.
Esempi La rocca di Ostia (Roma) rappresenta una delle prime realizzazioni bastionate, ma notevoli esempi sono
osservabili anche nelle fortezze di Lucca, Nettuno e Civitavecchia (Roma), Sansepolcro (Arezzo) (figg. 1 e 2-3),
Palmanova (Udine) (figg. 4-5), nel Forte di San Giovanni (meglio noto come “da Basso”) ed in quello Belvedere a
Firenze (figg. 6-11), nel Forte Filippo sul Monte Argentario (Grosseto), nel castello de L’Aquila ed in quello dei
Sanvitale a Fontanellato (Parma) (figg. 12-14). Bastioni angolari a lancia, tipicamente rinascimentali, costituiscono
le strutture più appariscenti del castello di Vieste (Foggia) ed ospitano, al loro interno, cannoniere rivolte verso il mare
e coperte da cupole forate al centro, per consentire l’evacuazione del fumo delle armi. La fortezza di Mola di Bari,
invece, è stata a lungo considerata inespugnabile per la sua saldezza architettonica ed i tanti espedienti difensivi:
feritoie, piombatoie, sotterranei ed andìti tortuosi di varia natura. Bastioni di dimensioni monumentali sono, infine,
quelli angolari, rinascimentali, del castello di Copertino (Lecce), nei quali cordoni marcapiano sottolineano i due
ordini di casamatte.
Beccatelli: mensole in pietra (di forma triangolare, od anche a triplice sbalzo successivo) oppure in mattoni che
sostenevano l'apparato a sporgere verso l'esterno di torri e cortine medioevali. I beccatelli venivano alternati alle botole
(caditoie) per mezzo delle quali veniva esercitata la difesa piombante.
CADITOIA – PIMBATOIA
Apertura orizzontale praticata nell'apparato a sporgere tra i beccatelli per gettare sull'assediante pietre o liquidi bollenti
o materia infiammata
Significato Nota anche con il termine piombatoia, indica una botola, aperta in successione lungo il cammino di ronda
di una costruzione difensiva, per mezzo della quale è possibile rovesciare sul nemico sottostante ogni tipo di proiettile
o di oggetto contundente.
Origini ed evoluzione storica Le caditoie compaiono per la prima volta nel secolo XII, dopo l’esperienza delle
Crociate, e trovano ampia applicazione nel corso di tutto il Medioevo, giustificate dalle esigenze di difesa piombante
delle opere che proteggono. Nel corso del Quattrocento, tuttavia, la sempre maggiore diffusione dell’artiglieria (e
quindi della difesa radente, ossia quella definibile, per semplicità, “in linea d’aria”) rende eccessivamente pericolose le
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strutture in legno nelle quali sono ricavate le caditoie, per cui si assiste alla loro graduale eliminazione e alla
sostituzione, in luogo dei beccatelli che le sorreggono, con mensole decorate in pietra aventi funzione qua
siesclusivamente ornamentale. In alcune località secondarie, invece, in luogo delle archeggiature a sostegno dello
spessore murario aggettante nel quale le caditoie sono ricavate si introduce un motivo lineare architravato continuo al
di sotto della merlatura. Nonostante questi adeguamenti l’avvento delle nuove bocche da fuoco fa sì che le
piombatoie, nel XVI secolo, risultino inutili e pericolose, quindi da eliminare, ma per compiacimento estetico, per
lusso o per la carica simbolica che trasmettono, se ne interrompe la realizzazione solo molto più tardi, in quanto
numerose costruzioni fortificate ne sfruttano l’effetto chiaroscurale, con voltine ed angoli di arretramento problematici
non più efficaci se utilizzati come difesa.
Caratteristiche costruttive Le prime tipologie di caditoie, risalenti al XII secolo, sono costituite da gallerie in legno
aggettanti rispetto al cammino di ronda e munite di fori quadrati per difendere dall’alto il piede delle cortine murarie
che cingono il complesso fortificato (fiancheggiamento verticale), ma l’ampio ricorso a proiettili incendiari – il
cosiddetto “fuoco greco” - costringe ben presto a costruirle in pietra e a farle diventare parte integrante del
coronamento murario.
In tal caso la merlatura viene ricavata a sbalzo sopra le piombatoie e sporgente dalle
mura, ma questa modifica risulta molto costosa e viene quindi applicata soltanto sino alla fine del secolo. In seguito
le caditoie realizzate lungo il perimetro esterno della fortezza si presentano sempre più lunghe e sottili, ravvicinate,
quasi filiformi in quanto realizzate con mensole di cotto, e talvolta secondo un doppio ordine sovrapposto, a vantaggio
sia delle operazioni di difesa che di quelle di mira contro il nemico. Anche nel caso delle torri le piombatoie si
aprono lungo un apposito camminamento aggettante realizzato in corrispondenza del coronamento della costruzione e
sorretto da un’archeggiatura sostenuta da apposite mensole di pietra, sbalzate, chiamate “beccatelli”.
Esempi Fornire un elenco completo delle costruzioni munite con caditoie, analogamente a quanto accade per
numerose altre opere di fortificazione non è possibile, in quanto l’ampissima diffusione ed il costante utilizzo
attraverso i secoli di tale soluzione architettonica non consentirebbero la formulazione di un quadro sufficientemente
chiaro e completo della situazione reale.
Si preferisce, pertanto, limitare l’elencazione ad alcuni esempi
selezionati sulla base di criteri come la particolarità e bellezza di tale apparato difensivo, la frequenza con cui è stato
utilizzato nell’ambito di uno stesso complesso edilizio e, non ultimo per importanza, il suo stato di conservazione.
Degne di nota sono, quindi, le caditoie del castello di Nozzano in provincia di Lucca (figg. 2-3), di Pandino (Cremona)
e della Rocca Estense di Ferrara (figg. 4-5), ma anche la doppia serie di caditoie in laterizio del torrione angolare del
castello sforzesco di Soncino (Cremona), ricostruito nel ‘400 (fig. 6), la distribuzione a stella delle caditoie della Porta
Alfonsina ad Otranto (Lecce) e le dieci piombatoie a coppa - al di sotto di alcune delle quali si aprono strette feritoie distribuite lungo tutto il perimetro del torrione di Salignano (Lecce). Nel Castellaccio di Lentini (Siracusa), invece
(fig. 7), si osservano tre caditoie a cielo aperto che, poste a difesa del fossato in luogo della cortina muraria, si
allargano a formare un imbuto rovescio e si appiattiscono dall’alto verso il basso, consentendo così a soli tre gruppi di
soldati di attaccare validamente l’avversario. Originali sono le tre piombatoie di epoca angioina realizzate come
arricchimento difensivo del cosiddetto “Torrione del Pennello”, la torre difensiva posta all’ingresso dell’abbazia
fortificata dell’isola di San Nicola, nell’arcipelago delle Tremiti in provincia di Foggia (figg. 8-10), ma molto curate
sono anche quelle della torre quadrata del castello di Cigognola (Pavia) (anche fig. 1). In merito all’articolazione
degli apparati delle caditoie, frutto di un’evoluzione formale effettuata gradualmente nel corso del tempo, risultano
molto interessanti: la torre cosiddetta “della Regina”, appartenente alla fortezza di Lucera (Foggia), che conserva, sulla
sommità, mensole di pietra per il sostegno degli apprestamenti lignei di difesa piombante; la torre del castello di S.
Stefano di Sessanio (figg. 11-12), in provincia di L'Aquila, che presenta un apparato sommatale aggettante sorretto da
beccatelli a triplice mensola alternati a caditoie e la torre cilindrica del castello di Fondi (figg. 13-14) (Latina), nella
quale risultano praticamente inalterati tanto i beccatelli quanto gli archi con le caditoie per la difesa piombante,
scomparsi, invece, nella torre “del Cavaliere” di Oria (Brindisi). Infine importanti casi di esemplificazione
dell’archeggiatura di coronamento sono il torrione cilindrico del castello di Avetrana (Taranto) e quello angolare del
castello di Ceglie Messapica (Brindisi).
Capitale: asse di simmetria nel tracciato del fronte bastionato, congiungente il centro della piazza col vertice del
bastione.
Capriata: struttura architettonica lignea di forma triangolare posta a sostenere il tetto a doppio spiovente. Nella sua
forma più semplice è costituita da una trave di base (catena), da due oblique (puntoni) e da una collocata
verticalmente, al centro della catena (monaco).
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CASAMATTA
vano coperto, ricavato dietro e dentro le mura, aperto verso l'esterno per consentire la difesa radente.
La poderosa torre-casamatta di Salignano (Castrignano del Capo, Lecce)
Significato Vano coperto ricavato dietro (o dentro) un muro, caratterizzato da una maggiore apertura verso l’esterno
ed utilizzato come difesa contro l’artiglieria, specie quella rasoterra.
Origini ed evoluzione storica La casamatta diviene elemento munito caratteristico delle costruzioni difensive a
partire dalla fine del XV secolo, quando la sua presenza risulta indispensabile per proteggere efficacemente le "bocche
da fuoco" della fortezza e consentire una più duratura resistenza agli attacchi delle bombarde nemiche. Utilizzata
infatti per ospitare, in un ambiente chiuso e riparato, l'artiglieria impiegata a scopo difensivo, viene talvolta introdotta
anche per rendere nuovamente possibile il tiro radente, l'unico possibile fino ai secoli precedenti la nascita delle armi
da fuoco. In tal caso la casamatta viene abbassata e le torri della cinta muraria nella quale è ricavata vengono
cimate, ma non mancano esempi realizzati fuori dalla base delle stesse torri che difendono e, per meglio superare
l'ampiezza dell'antistante fossato, adagiati direttamente sul suo fondo, all'interno di speciali costruzioni avanzate note
come "capannati". Utilizzato continuativamente per tutto il XVI secolo, la casamatta diviene l'espediente difensivo
più utilizzato dai grandi architetti militari rinascimentali, tra i quali il senese Francesco di Giorgio Martini, grazie al
quale vive il momento di massimo perfezionamento.
Caratteristiche costruttive Realizzata preferibilmente in corrispondenza dei bastioni ed in sequenza (il cosiddetto
ordine casamattato), la casamatta compare, in alcuni castelli quattrocenteschi, al di sopra dell'archeggiatura di
coronamento, rendendo tali costruzioni simili alle rocche realizzate nel periodo di transizione dell'architettura militare
(fine XV-inizio XVI secolo).
Nei primi decenni del Cinquecento compaiono invece, a protezione di baluardi triangolari o circolari, ordini doppi,
sovrapposti, di casamatte che, per ragioni statiche legate al pericolo di crollo sotto il fuoco nemico, non superano in
altezza le cortine del castello. In tal caso l'ordine inferiore permette di difendere il fossato e quello superiore la
campagna antistante la fortezza, mentre la volta intermedia presenta un foro centrale.
Esempi Uno dei primi esempi di ordine casamattato si riscontra nel complesso fortificato di Tirinto, nel quale corre
internamente alle mura. In Italia, invece, non sono molte le fortezze nelle quali sia possibile osservare casamatte
integre o in uno stato di conservazione tale da consentirne una lettura morfologica sufficientemente chiara. Tra queste
il forte di Civitavecchia, la cui casamatta centrale serviva al fiancheggiamento della cortina, alcune strutture fortificate
centro-settentrionali (tra cui Pizzighettone in provincia di nei castelli di: Avetrana (Taranto), con cornicione aggettante
e "beccatelli" e cornice marcapiano a metà altezza; Corigliano d'Otranto (Lecce), cilindrici e posti ai vertici
dell'impianto rettangolare della fortezza; Monte S. Angelo (Foggia), anch'essi cilindrici. Particolare è, infine, la torre
di Salignano (Lecce), casamatta micidiale e poderosa a pianta circolare e con muratura lievemente scarpata (fig.
1).Cremona e Terra del Sole presso Forlì: figg. 2 e 3), ed alcune costruzioni difensive pugliesi, come il castello di
Taranto (dove casamatte vengono realizzate alla fine del '400 per adeguare la preesistente struttura alle nuove esigenze
belliche), quello di Bari (con bastioni casamattati), quello di Otranto (Lecce), con duplice ordine di casamatte, ed il
castello di Copertino (Lecce), anch'esso con due ordini di casamatte accessibili mediante due corridoi voltati che
girano intorno ai quattro lati della fortezza e comunicano anche con i bastioni.
Esempi superstiti di torrioni
casamattati si osservano
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IL CASTELLO DEL X SECOLO
Spesso costruito su preesistenti fortificazioni, è costituito da un recinto in pietra con il versante più esposto protetto da
un fossato asciutto o riempito d'acqua. All'interno del recinto, provvisto di torre scudata, si trovano le abitazioni degli
armigeri e la torre maestra che svolge una duplice funzione, difensiva e di residenza per il signore.
Significato Le fonti documentarie del X secolo, analogamente ad altre relative a complesse strutture difensive,
presentano il castello come un organismo architettonico dalla configurazione spesso poco chiara ed attribuiscono ad
esso una valenza semantica diversa a seconda dell’area geografica nella quale la costruzione sorge e soprattutto della
situazione contingente che porta alla sua realizzazione. Nella maggior parte dei casi, quindi, il termine indica
genericamente un villaggio fortificato ricavato dalla semplice recinzione di un insediamento rurale preesistente o
costruito ex novo in un’area limitrofa più adatta alla difesa, ma non mancano esempi più specifici che identificano il
castello non solo con l’edificio di norma costruito in virtù di una concessione regia, ed inserito in una rete di rapporti
vassallatici, nel quale la popolazione rurale può rifugiarsi in caso di pericolo, ma anche la residenza munita stessa del
feudatario o, ancora, il recinto fortificato di un villaggio, il “castello-deposito” dove i contadini raccolgono il raccolto,
l’edificio preposto esclusivamente alla difesa di un territorio.
Origini ed evoluzione storica Due sono le condizioni alla base dello sviluppo e dell’affermazione del castello del X
secolo: il duraturo clima di insicurezza dell’epoca e l’incapacità manifestata dal potere centrale nell’affrontare
efficacemente le minacce sia esterne che interne. Di conseguenza, a partire dai primi decenni del secolo, proprio
perché non nati come tipologia edilizia predefinita, i castelli si sviluppano senza uno schema prestabilito e, nello stesso
tempo, in virtù delle potenzialità difensive manifestate, con ritmo gradualmente crescente, ma tale crescita va intesa
non come una fioritura improvvisa e generale, bensì come un fenomeno eccezionale ed imponente rispetto ai secoli
precedenti, caratterizzato da regressioni e riprese dall’andamento mutevole e molto complesso. Inoltre il numero dei
castelli “riparati” o costruiti ex novo come organismi unitari muniti risulta inferiore rispetto a quello ritenuto
necessario (secondo un progetto generale e spesso solo ipotetico) per difendere ogni punto vulnerabile del territorio
governato, per cui in molti casi la loro distribuzione appare non rispondente ad un disegno strategico chiaro ed unitario
e subordinata all’esistenza di possenti fortificazioni regie.
Caratteristiche costruttive Nella maggioranza dei casi si tratta di fortificazioni alquanto primitive, per lo più costruite
impiegando soltanto legname e terra battuta, anche nel caso di fortezze elevate o rafforzate con il consenso
dell’autorità regia, così che l’assenza di una regolare manutenzione può essere già sufficiente a deteriorarne
l’efficienza difensiva nel giro di qualche decennio. Tuttavia non mancano, sin dai primi del secolo, castelli in muratura
che, per la maggiore garanzia di sicurezza manifestata in caso di attacco, vanno aumentando progressivamente di
numero e sviluppando, all’interno del loro circuito murario, la presenza di torri, anch’esse inizialmente molto rare.
Il castello del X secolo, quando si configura come centro abitato fortificato, possiede tutte le caratteristiche di una
piccola città: è sede di una popolazione, di un’autorità politica ed anche di un’organizzazione ecclesiastica che
esprimono poteri autonomi e si pongono spesso in posizione antagonistica rispetto alle città dell’epoca fortemente
degradate e impoverite. Soltanto i castelli sedi di potenti signori contano, al contrario, residenze architettonicamente
complesse ed adeguate al rango dei loro proprietari.
In entrambi i casi l’apparato difensivo
più diffuso è costituito da ampi e profondi fossati pieni d’acqua e da grandi spalti di terra battuta rinforzati con
numerose opere esterne, che condizionano più di ogni altro elemento la tipologia e l’estensione degli spazi fortificati,
per cui in territori collinari e montani le superfici - di ampiezza variabile dal mezzo ettaro all’ettaro e mezzo e solo
raramente di due ettari o meno di cento metri quadrati - appaiono influenzate dalle forme e dalla disposizione dei
rilievi, mentre in pianura è la posizione della costruzione rispetto ai corsi d’acqua e al rischio di allagamento del
terreno circostante a presentare, solitamente, un peso analogo.
Esempi Gli esempi di castelli attribuibili con certezza al X secolo e, soprattutto, ammirabili nel loro aspetto
originario costituiscono oggi una rarità per due ragioni fondamentali: i materiali usati per la costruzione, spesso
soggetti ad un rapido deterioramento, e la tendenza, comune alla maggior parte delle antiche costruzioni e strettamente
connessa agli eventi storici che le hanno viste protagoniste, alla graduale trasformazione, alla demolizione totale o
parziale, alla ricostruzione oppure, più semplicemente, all’abbandono, come Castel Pagano presso Apricena, in
Capitanata (figg. 1 e 2).
In quest’ottica vanno dunque considerate le numerose tracce di castelli del X secolo di cui
è ricca l’Italia padana, spesso integrati in organismi più complessi di epoca successiva, ma più note sono le
fortificazioni dei territori settentrionali della Puglia, edificate in epoca classica e successivamente riorganizzate e
rafforzate dai Bizantini contro i loro avversari tradizionali, i Longobardi beneventani - agli inizi del secolo XI, ad
esempio, Fiorentino (figg. 3-7) e Dragonara (fig. 8) - e nuovi, i Normanni, come il castello di Caldoli, della seconda
metà del X secolo.
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IL CASTELLO DELL’ XI SECOLO
Significato Organismo munito compatto tipologicamente discendente da fortificazioni del secolo precedente e
caratterizzato da pianta solitamente quadrata, opere difensive accessorie ed assenza di torri lungo il perimetro delle sue
mura.
Origini ed evoluzione storica Nei primi decenni dell'XI secolo, in aree considerate da tempo politicamente ed
economicamente strategiche, si assiste alla progressiva realizzazione di catene di insediamenti destinati ad organizzare
militarmente del territorio. In questo contesto la presenza di una costruzione difensiva in grado sia di garantire la
sicurezza della zona che di fungere, nello stesso tempo, da simbolo del potere centrale diventa necessaria ed
inevitabile.
I castelli dell'XI secolo, infatti, come riferiscono gli stessi cronisti del tempo, rispondono alla doppia
funzione di difesa («vel defendendis») e di dominio («vel pro cohercendis») degli abitanti di gran parte delle città e
degli insediamenti fortificati, specie dell'Italia meridionale.
Le conseguenze sul territorio sono due: il
miglioramento dell'attrezzatura bellica e dell'apparato difensivo all'interno delle aree protette e l'aumento delle
potenzialità di sfruttamento agrario ed insediativo.
Tuttavia l'edificazione di un castello feudale non dipende
esclusivamente dall'arbitrio del singolo signore, ma è subordinata al consenso "comitale" e, in alcuni casi, al rilascio di
un'apposita "licenza", per cui molto spesso si assiste soltanto ad un rafforzamento di una costruzione analoga già
realizzata.
Sul finire del secolo la struttura dei centri fortificati subisce consistenti innovazioni destinate a mutare,
nel tempo, il concetto stesso di castello. Infatti la popolazione civile che vi abita viene gradualmente estromessa ed un
unico signore entra in possesso dell'intera area apportandovi radicali trasformazioni: essa diviene dimora e centro di un
potere esclusivo che si concretizza nella residenza fortificata e nel "torrione", raggiungendo, così, la forma che
conserverà per tutta l'età medievale.
Caratteristiche costruttive All'inizio del I millennio il castello si presenta come un organismo sostanzialmente
massiccio e dall'impianto semplice, ma già dopo pochi decenni diventa più complesso, si dota di cortine murarie più
alte, di torri merlate e di lievi scarti di quota tra i vari ambienti. Inoltre i contrafforti poco sporgenti sembrano utilizzati
soltanto per irrigidire il muro che li collega per resistere allo scalzamento ed il fossato risulta molto spesso assente.
Nel corso del tempo il complesso si circonda di siepi e palizzate e si arricchisce di una torre principale, per sopperire
alle iniziali carenze tecnico-difensive.
Per realizzare tali opere, nel caso di una operazione di incastellamento, la
tecnica fortificatoria prevede dapprima lo scavo di un fossato anulare, quindi, con la terra di riporto, la formazione,
lungo i bordi interni, di un terrapieno arricchito da una palizzata di legno con "garitte" sopraelevate.
Esempi Pochi sono gli esempi rimasti inalterati nel tempo, per la natura e la funzione di questa particolare opera
fortificatoria. Tra essi i castelli canossiani dell'area emiliana (Canossa, figg. 5-8; Bianello, figg. 9-10; Carpineti, figg.
11-13; Rossena con Torre Rossenella, figg. 14-17; Sarzano, figg. 18-21), il castello di Ripafratta (Pisa), di Santa
Severa (Santa Marinella, Roma), di Asti, Genova ed Oria (Brindisi) (figg. 1 e 2-4), centro, quest'ultimo, dapprima
bizantino, poi longobardo, normanno ed infine svevo.
IL CASTELLO DELL’ XII SECOLO
Con il tempo il castello viene ampliato. Vicino alla torre maestra viene edificato il mastio, residenza promiscua del
feudatario e del personale di servizio. Alla prima cinta di mura sovente ne viene affiancata una seconda per garantire
una maggiore difesa. Le porte d'ingresso alle varie cinte murarie sono ( quasi sempre ) ubicate molto distanti fra loro
per obbligare gli assedianti a percorrere un maggiore percorso allo scoperto e quindi essere esposti maggiormente al
tiro degli arcieri
Significato Con il termine castello si comincia ad intendere, specie nei centri urbani principali, non più un’area nella
quale coabitano numerose persone di diversa estrazione sociale, ma un edificio omogeneo configurato come palazzo
fortificato e sede del solo signore feudale.
Origini ed evoluzione storica Il carattere piuttosto rudimentale delle tecniche d’assedio degli eserciti feudali fa sì che
le caratteristiche tipologiche del castello rimangano sostanzialmente le stesse del secolo precedente e si conservino a
lungo immutate, in quanto un esercito costituito da cavalieri armati pesantemente e da fanti male armati può
impadronirsi di una simile fortificazione solo in due modi: o con la sorpresa o per fame.
Di conseguenza, nel XII
secolo i castelli si diversificano quasi esclusivamente a seconda delle guarnigioni addette alla propria difesa:
permanenti e non permanenti. Le prime sono formate da cavalieri titolari di piccoli feudi; le seconde da uomini armati
messi a servizio del re da signori feudali locali e da milites pagati con gli introiti provenienti da apposite tasse versate
dagli abitanti dei territori difesi dai castelli stessi.
Caratteristiche costruttive Sino al XII secolo circa, contrariamente agli stereotipi più consolidati dell’immaginario
collettivo, la dimora signorile (salvo rare eccezioni riguardanti personaggi molto ricchi) si presenta abbastanza
modesta e, posta vicino al mastio e distribuita al massimo su due piani, prevede una organizzazione di spazi e funzioni
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mirata a sfruttare al massimo la compattezza e semplicità delle sue strutture.
Il piano superiore, occupato
solitamente da un ambiente unico ben riscaldato da un grande camino, viene utilizzato di giorno come cucina, sala da
pranzo e sala riunioni, di sera come camera da letto del signore e dell’intera sua famiglia; il piano inferiore, invece,
ospita le stalle e l’alloggio per gli armigeri.
Le finestre sono scarse e piccole, sia per ragioni difensive che per
limitare gli effetti del freddo, essendo sprovviste di vetri. Anche l’approvvigionamento idrico è molto precario: nel
migliore dei casi può avvenire da un pozzo, nel peggiore da una cisterna appositamente realizzata in fondo ad una
vicina torre e quindi stagnante.
Nel corso dei decenni, tuttavia, per consentire al castello di espletare appieno la sua
doppia funzione di fortezza e dimora signorile, si provvede gradualmente all’introduzione di edifici di servizio, quali
scuderie, cantine e cucine, e all’ampliamento dell’appartamento privato con una sala di rappresentanza, una o più
cappelle per il culto e gli alloggiamenti per i cavalieri al seguito del signore, i chierici e i domestici.
Di pari passo, inoltre, si diffonde la prassi di realizzare i principali elementi fortificatori costituenti, ormai, il
“complesso castellare”, secondo tre ordini di ostacoli disposti concentricamente: castello, dongione e torre.
L’assalitore dunque, per impossessarsi della fortezza, deve superare la cinta muraria esterna, raggiungere il dongione
ed infine, all’interno di questo, espugnare il complesso centrale costituito dalla “torre maestra” e dall’adiacente
palazzo residenziale, il cassero. A questo triplice sistema di sicurezza si somma ancora la presenza di altrettante porte
chiuse con chiavi diverse, che, al passaggio della consegna, vengono affidate ai subentranti anche come segno di
sottomissione al potere centrale.
All’esterno, invece, come è ormai prassi da diversi secoli, le difese sono costituite
dal fossato, da uno steccato e da un muro a secco di altezza inferiore alla profondità del fossato, sul quale si realizzano
bertesche e piccole torri di legno in corrispondenza dei versanti non protetti naturalmente da strapiombi e ripidi
pendii. Tuttavia castelli di notevole importanza sono edificati interamente in muratura e dotati di doppia cerchia
muraria, almeno due torri, una chiesa ed una capiente cisterna.
Esempi Per quanto il castello sorgesse in genere isolato, vi sono numerosi esempi realizzati all’interno della città,
come a Lucca, ad Isola della Scala (Verona) (figg. 13-14), ad Acqui Terme (Alessandria) (fig. 7), a Gorfigliano a
Minucciano (Lucca) (figg. 11-12), a Cisterna d’Asti (Asti) (fig. 8).
In provincia di Cuneo si trovano il castello di
Manta, ampliato dai Marchesi di Saluzzo, e quello chiamato “La Volta”, nel territorio di Alba (fig. 6).
Interessanti sono anche il Palazzo dei Normanni a Palermo (figg. 17-19), sorto su un edificio munito arabo, il castello
di Bari, innalzato ad opera del normanno Ruggero II, Castel Belforte, nel territorio di Ripoli (Firenze) (fig. 10), il
Castello Orsini di Vasanello (Viterbo) (figg. 15-16), il castello di Serravalle Pistoiese (Pistoia) (fig. 9), con la
suggestiva fisionomia creata dagli imponenti fortilizi che lo racchiudono, i castelli di Romena e Bibbiena, nel
Casentino, di proprietà dei Conti Guidi, e quelli dell’Oltrepo pavese.
All’estero si distinguono, per mole e bellezza,
i castelli di Dover in Inghilterra (figg. 4-5) e di Quéribus in Francia (fig. 1 e figg. 2-3).
IL CASTELLO DEL XIII SECOLO
Significato A causa delle numerose e diffuse guerre avvenute in quasi tutta la Penisola, il castello del XIII secolo, pur
rivestendo un ruolo amministrativo, si presenta quasi sempre come una fortezza pronta a resistere ad attacchi ed assedi,
oltre che a custodire prigionieri, tesori ed armi.
Origini ed evoluzione storica Nelle città il castello rappresenta materialmente il potere centrale, ma spesso viene
valorizzato con la funzione di residenza temporanea del sovrano o della sua Corte, alla quale si sovrappongono, senza
soluzione di continuità, la destinazione a sede carceraria, presidio militare o deposito di armi e merci da immettere sui
mercati. Il cosiddetto castello "comunale" (corrispondente, nel Meridione, al castello svevo-angioino) è, invece, il
risultato di due generazioni di strutture castellari: una prima anteriore o contemporanea alla conquista longobarda del
VI-VII secolo ed una seconda sorta come difesa dal pericolo delle incursioni dei Saraceni e degli Ungheri nei secoli IX
e X.
Caratteristiche costruttive Dal XIII secolo in poi (a parte l'eccezione federiciana) il castello feudale assume una
fisionomia caratteristica destinata a perpetuarsi e basata sul vario, ma costante, rapporto di tre elementi fondamentali:
1) la cortina muraria semplice, doppia o addirittura, in qualche caso, tripla, scandita da torri tradizionali o pensili,
arricchita da strutture di punta come il barbacane, circondata da un fossato e dotata di ponte levatoio e di vari
espedienti difensivi;
2) il mastio in posizione quanto più possibile difesa;
3) il palatium separato dal resto della struttura castellare da una cortina muraria interna e costituente la sempre più
ampia e comoda residenza signorile, inizialmente inglobata nel mastio e successivamente collegata a questo mediante
opere fisse o ponti mobili.
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I castelli costruiti entro la prima metà del secolo mostrano diversità di impianto, di materiali e di tecniche costruttive,
frutto evidente di una prevalenza delle particolarità dei siti e delle tradizioni locali sulle direttive conseguenti ad
impostazioni di carattere più unitario. Quelli edificati nella seconda metà del secolo, invece, risentono delle vigorose
esperienze acquisite sui campi di battaglia e nei cantieri, per cui presentano un minore interesse verso la specificità del
luogo in cui sorgono ed una prevalenza di riferimenti espliciti a modelli e regole riconducibili all'autorità centrale con
funzione di omogeneizzazione dell'arte costruttiva militare e, non secondario per importanza, di controllo.
Esempi La diversità di fondo che caratterizza sin dall'antichità la storia dell'Italia settentrionale, centrale e
meridionale si concretizza, nel Medioevo, in un panorama costruttivo estremamente vario e legato alle scelte politiche
messe in atto nelle diverse Regioni. Pertanto, nelle aree in cui la feudalità locale non si presenta frammentaria e non
viene assorbita negli impieghi di Corte si possono ammirare esempi quasi intatti di strutture castellari pregevoli,
mentre nelle aree soggette al continuo assalto nemico e alla incessante lotta per la conquista del potere centrale, tranne
alcuni casi mirabili di architettura militare, resta poco delle originarie costruzioni duecentesche, distrutte da guerre,
cause naturali o spesso trasformate completamente per adeguare le preesistenti difese alle nuove tecniche di assalto.
Al primo gruppo appartengono, dunque, il castello visconteo di Pandino (Cremona), il castello dei conti Guidi a Poppi
(Arezzo), quello di Padova, di Casale Monferrato, di Fénis (Aosta), di Sirmione (sul lago di Garda, costruito nel 1259
su resti romani) e la fortezza del Volterraio (vedi anche fig. 1) sull'Isola d'Elba, alla quale spetta il primato della
inespugnabilità in quanto, costruita a forma di tartaruga avvinghiata alle rocce di un dirupo alto 400 metri, non risulta
caduta mai in mano nemica.
Esempi noti e rilevanti rientranti nel secondo gruppo sono, invece, i castelli angioini
di Castellamare di Stabia (Napoli) e di Prata Sannita, oltre al castello Orsino di Albe, ma affascinanti sono anche quelli
svevi di Castel del Monte (presso Andria, provincia di Bari), Monte Sant'Angelo (Foggia), Lucera (Foggia) e Trani
(Bari), tutti con destinazione carceraria. Infatti nell'Italia Meridionale si assiste ad una rara presenza di castelliresidenza, in quanto i nobili non possiedono grandi feudi e spesso il gran numero di terre e città loro attribuite è
solamente nominale. lli-residenza, in quanto i nobili non possiedono grandi feudi e spesso il gran numero di terre e
città loro attribuite è solamente nominale.
IL CASTELLO DEL XIV SECOLO
Significato Complesso architettonico variamente articolato, sorge preferibilmente all’interno di un centro abitato per
testimoniare in maniera evidente l’esistenza di un dominio sovracittadino ed assolve alla duplice funzione di difesa del
potere costituito dai nemici esterni e di salvaguardia della famiglia signorile da eventuali pericoli interni.
Origini ed evoluzione storica Nell’Italia trecentesca l’architettura castellana imbocca una strada originale sia nei
confronti di altri Paesi europei, sia all’interno dello stesso territorio nazionale, come conseguenza diretta delle sue
diverse ed originali forme di governo. Per questo, mentre nel Nord e Centro Italia lo sviluppo dei Comuni consente
di estendere soluzioni tecniche tipiche delle costruzioni castellari anche agli edifici pubblici civili e l’affermarsi delle
signorie modella l’architettura pubblica civile su esempi di costruzioni munite in grado tanto di dare prestigio e
sicurezza alle singole famiglie nobiliari quanto di agevolare (sia pure formalmente) il passaggio dal castello (inteso
come residenza fortificata) alla reggia-palazzo, nel Mezzogiorno il susseguirsi delle dinastie normanna-sveva-angiona
consolida la situazione esistente e consente una sua modifica solo entro margini limitati e fortemente controllati dal
potere centrale.
Caratteristiche costruttive Prendendo in considerazione complessi castellari “tipici” del XIV secolo (vale a dire non
fortemente influenzati dalla specificità delle diverse committenze, dei luoghi e delle circostanze storiche, politiche e
sociali contingenti) si riscontra accanto ad una diffusa conservazione delle soluzioni difensive messe in atto
dall’architettura militare medievale, l’introduzione di peculiarità come l’omogeneità volumetrica e di impianto,
derivante dalla progettazione ex novo dell’opera e dalla sua realizzazione entro tempi brevi. A funzioni più
specificatamente militari di presidio, arsenale ed acquartieramento viene quindi associata la destinazione residenziale
per il signore e la sua corte, esplicitata da una serie di elementi formali tipici delle costruzioni civili: ampi cortili,
loggiati, finestrature ampie ed eleganti (generalmente bifore), sale affrescate, ricche biblioteche. Tuttavia la maggior
parte dei castelli continua a presentare caratteri prevalentemente defensionali, in quanto avamposti militari con
secolare funzione di controllo approntati in modo da ospitare ciascuno una guarnigione agli ordini di un castellano (a
sua volta subordinato all’autorità centrale). Per questo non mancano elementi formali comuni quali la lenta evoluzione
del tracciato del circuito murario, una moltiplicazione continua delle torri lungo tutto il suo perimetro - dal quale
possono anche arrivare a staccarsi -, e l’irrobustimento delle scarpature.
I castelli trecenteschi realizzati ex novo
tengono conto tanto del contemporaneo sviluppo delle armi quanto delle esperienze negative subite dalle costruzioni
difensive delle epoche precedenti, per cui se da un lato mostrano una maggiore robustezza, ottenuta sia aumentando lo
spessore murario sia selezionando i materiali e curando la loro posa in opera, dall’altro introducono gradualmente
espedienti costruttivi atti a prevenire ed attenuare gli assalti nemici. Elementi distintivi di questa nuova fase
dell’architettura munita sono: l’introduzione di torri circolari in luogo di quelle quadrangolari (per ridurre l’effetto
distruttivo dell’impatto dei colpi di artiglieria); l’uso di pietre e mattoni e non di legname negli elementi accessori
posti a coronamento delle mura; la scarpatura di torri e cortine murarie; la duplicazione di fossati e l’allestimento di
barbacani ed altri ostacoli periferici per ovviare ai danni provocati dalle macchine da guerra; l’innalzamento di una
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cerchia muraria interna (il dongione), più ristretta di quella principale, a protezione degli ambienti residenziali dalla
violenza dei proiettili sempre più grandi e scagliati da lontano. Oltre a ciò si assiste alla sostituzione di precedenti
apprestamenti di legno con nuove opere in muratura ed all’innalzamento di torri già esistenti, delle quali si chiudono le
aperture verso la gola e si proteggono gli ingressi moltiplicando gli ostacoli dinanzi ad essi con accorgimenti sempre
più sofisticati. Al contrario delle residenze munite, il più tradizionale palazzo-castello, situato a stretto contatto con
il centro abitato, presenta spesso una bivalenza connessa alla sua ubicazione: se rivolto verso l’abitato assume l’aspetto
di residenza urbana caratterizzata da elementi tipicamente signorili; se rivolto verso la campagna appare, invece,
ancora modulato secondo la tipologia castellana “classica", caratterizzata da mura piuttosto basse e di ridotto spessore,
da una cura formale della merlatura, da una sempre maggiore importanza del fossato (naturale o meno), fino a rendere
la fortezza una sorta di isola e da una tendenza al livellamento del mastio con l’altezza delle altre torri, spesso
simmetricamente disposte agli angoli della costruzione.
Esempi Famosi esempi di castelli sorti grazie allo sviluppo comunale sono i fiorentini palazzo del Podestà (o Bargello)
e palazzo della Signoria, ma altrettanto note ed affascinanti sono le residenze munite volute da importanti famiglie
signorili, quali i Gonzaga a Mantova, gli Este a Ferrara, gli Sforza a Milano, oltre alla rocca scaligera di Sirmione
(figg. 5-6) e al castello visconteo di Pavia, con le sue quattro torri (di cui due cadute nel ‘500). Castelli sorti quasi
esclusivamente con funzione di rappresentanza si trovano, invece, a Verona e a Fenis, in Val d’Aosta, mentre quelli di
Ivrea, caratterizzato da quattro torri rosse, e di Gradara, ricostruito da Pandolfo Malatesta raddoppiando e arricchendo
una cinta esterna merlata e turrita precedentemente fortificata, conservano inalterato il loro fascino di strutture a
prevalente funzione difensiva, oltre che residenziale. Particolari sono anche il castello di Castiglione della Pescaia
(Grosseto) (figg. 3-4), in origine triangolare, con mura interrotte da 11 torri e 3 porte d’accesso, ed il castello dei Balbi
a Piovera (Alessandria) (fig. 2), mentre nell’Italia meridionale si distinguono il castello Alfonsino di Brindisi, edificato
sulle rovine di un’abbazia benedettina, il castello di Casarano (Lecce) (fig. 7) e quello di Carovigno (Brindisi) (figg. 89), integrato alla preesistente cerchia muraria urbana, tutti sorti come strumento di difesa dalle aggressioni dei pirati.
All’estero magnifici esempi sono il castello di Karlštein, in Boemia, fondato da Carlo IV di Boemia, e l’Alcázar di
Segovia (figg. 1 e 10-12), nel quale i dettami dell’architettura militare arabo-ispanica si fondono con il gotico
castellano francese.
IL CASTELLO DEL XV SECOLO
Significato Complesso architettonico variamente articolato, sorge preferibilmente all’interno di un centro abitato per
testimoniare in maniera evidente l’esistenza di un dominio sovracittadino ed assolve alla duplice funzione di difesa del
potere costituito dai nemici esterni e di salvaguardia della famiglia signorile da eventuali pericoli interni.
Origini ed evoluzione storica Nell’Italia trecentesca l’architettura castellana imbocca una strada originale sia nei
confronti di altri Paesi europei, sia all’interno dello stesso territorio nazionale, come conseguenza diretta delle sue
diverse ed originali forme di governo. Per questo, mentre nel Nord e Centro Italia lo sviluppo dei Comuni consente
di estendere soluzioni tecniche tipiche delle costruzioni castellari anche agli edifici pubblici civili e l’affermarsi delle
signorie modella l’architettura pubblica civile su esempi di costruzioni munite in grado tanto di dare prestigio e
sicurezza alle singole famiglie nobiliari quanto di agevolare (sia pure formalmente) il passaggio dal castello (inteso
come residenza fortificata) alla reggia-palazzo, nel Mezzogiorno il susseguirsi delle dinastie normanna-sveva-angiona
consolida la situazione esistente e consente una sua modifica solo entro margini limitati e fortemente controllati dal
potere centrale.
Caratteristiche costruttive Prendendo in considerazione complessi castellari “tipici” del XIV secolo (vale a dire non
fortemente influenzati dalla specificità delle diverse committenze, dei luoghi e delle circostanze storiche, politiche e
sociali contingenti) si riscontra accanto ad una diffusa conservazione delle soluzioni difensive messe in atto
dall’architettura militare medievale, l’introduzione di peculiarità come l’omogeneità volumetrica e di impianto,
derivante dalla progettazione ex novo dell’opera e dalla sua realizzazione entro tempi brevi. A funzioni più
specificatamente militari di presidio, arsenale ed acquartieramento viene quindi associata la destinazione residenziale
per il signore e la sua corte, esplicitata da una serie di elementi formali tipici delle costruzioni civili: ampi cortili,
loggiati, finestrature ampie ed eleganti (generalmente bifore), sale affrescate, ricche biblioteche. Tuttavia la maggior
parte dei castelli continua a presentare caratteri prevalentemente defensionali, in quanto avamposti militari con
secolare funzione di controllo approntati in modo da ospitare ciascuno una guarnigione agli ordini di un castellano (a
sua volta subordinato all’autorità centrale). Per questo non mancano elementi formali comuni quali la lenta evoluzione
del tracciato del circuito murario, una moltiplicazione continua delle torri lungo tutto il suo perimetro - dal quale
possono anche arrivare a staccarsi -, e l’irrobustimento delle scarpature. I castelli trecenteschi realizzati ex novo
tengono conto tanto del contemporaneo sviluppo delle armi quanto delle esperienze negative subite dalle costruzioni
difensive delle epoche precedenti, per cui se da un lato mostrano una maggiore robustezza, ottenuta sia aumentando lo
spessore murario sia selezionando i materiali e curando la loro posa in opera, dall’altro introducono gradualmente
espedienti costruttivi atti a prevenire ed attenuare gli assalti nemici. Elementi distintivi di questa nuova fase
dell’architettura munita sono: l’introduzione di torri circolari in luogo di quelle quadrangolari (per ridurre l’effetto
distruttivo dell’impatto dei colpi di artiglieria); l’uso di pietre e mattoni e non di legname negli elementi accessori
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posti a coronamento delle mura; la scarpatura di torri e cortine murarie; la duplicazione di fossati e l’allestimento di
barbacani ed altri ostacoli periferici per ovviare ai danni provocati dalle macchine da guerra; l’innalzamento di una
cerchia muraria interna (il dongione), più ristretta di quella principale, a protezione degli ambienti residenziali dalla
violenza dei proiettili sempre più grandi e scagliati da lontano. Oltre a ciò si assiste alla sostituzione di precedenti
apprestamenti di legno con nuove opere in muratura ed all’innalzamento di torri già esistenti, delle quali si chiudono le
aperture verso la gola e si proteggono gli ingressi moltiplicando gli ostacoli dinanzi ad essi con accorgimenti sempre
più sofisticati. Al contrario delle residenze munite, il più tradizionale palazzo-castello, situato a stretto contatto con il
centro abitato, presenta spesso una bivalenza connessa alla sua ubicazione: se rivolto verso l’abitato assume l’aspetto
di residenza urbana caratterizzata da elementi tipicamente signorili; se rivolto verso la campagna appare, invece,
ancora modulato secondo la tipologia castellana “classica", caratterizzata da mura piuttosto basse e di ridotto spessore,
da una cura formale della merlatura, da una sempre maggiore importanza del fossato (naturale o meno), fino a rendere
la fortezza una sorta di isola e da una tendenza al livellamento del mastio con l’altezza delle altre torri, spesso
simmetricamente disposte agli angoli della costruzione.
Esempi
Famosi esempi di castelli sorti grazie allo sviluppo comunale sono i fiorentini palazzo del Podestà (o
Bargello) e palazzo della Signoria, ma altrettanto note ed affascinanti sono le residenze munite volute da importanti
famiglie signorili, quali i Gonzaga a Mantova, gli Este a Ferrara, gli Sforza a Milano, oltre alla rocca scaligera di
Sirmione (figg. 5-6) e al castello visconteo di Pavia, con le sue quattro torri (di cui due cadute nel ‘500). Castelli
sorti quasi esclusivamente con funzione di rappresentanza si trovano, invece, a Verona e a Fenis, in Val d’Aosta,
mentre quelli di Ivrea, caratterizzato da quattro torri rosse, e di Gradara, ricostruito da Pandolfo Malatesta
raddoppiando e arricchendo una cinta esterna merlata e turrita precedentemente fortificata, conservano inalterato il
loro fascino di strutture a prevalente funzione difensiva, oltre che residenziale. Particolari sono anche il castello di
Castiglione della Pescaia (Grosseto) (figg. 3-4), in origine triangolare, con mura interrotte da 11 torri e 3 porte
d’accesso, ed il castello dei Balbi a Piovera (Alessandria) (fig. 2), mentre nell’Italia meridionale si distinguono il
castello Alfonsino di Brindisi, edificato sulle rovine di un’abbazia benedettina, il castello di Casarano (Lecce) (fig. 7) e
quello di Carovigno (Brindisi) (figg. 8-9), integrato alla preesistente cerchia muraria urbana, tutti sorti come
strumento di difesa dalle aggressioni dei pirati. All’estero magnifici esempi sono il castello di Karlštein, in Boemia,
fondato da Carlo IV di Boemia, e l’Alcázar di Segovia (figg. 1 e 10-12), nel quale i dettami dell’architettura militare
arabo-ispanica si fondono con il gotico castellano francese.
CASTELLUM
Fortilizio di modeste dimensioni costituito da una torre di vedetta, detta specula, protetta da uno sbarramento murato e
generalmente da un fossato.
Significato Vero problema semantico per generazioni di storiografi, sia che si presentasse come unica difesa, sia come
fortificazione accessoria, nelle fonti più antiche il termine castellum (diminutivo di castrum) designa tanto un centro
abitato munito di opere difensive lungo tutto il perimetro per garantire sicurezza e protezione agli abitanti che vi
dimorano stabilmente, quanto un recinto sufficientemente ampio da consentire alla popolazione locale di depositarvi
regolarmente i propri raccolti e di rifugiarvisi in caso di pericolo. Durante il dominio bizantino il termine si diffonde
con il significato di fortezza isolata o di struttura a sé stante all’interno di un più vasto insediamento fortificato, mentre
a partire dal X secolo viene utilizzato, progressivamente e quasi insensibilmente, per indicare dapprima un villaggio
fortificato, in seguito una dimora signorile fortificata, ed in questa accezione sembra destinato ad affermarsi in maniera
definitiva fino al Trecento.
Origini ed evoluzione storica Le prime varie forme di castellum nascono in rapporto alla difesa di un territorio di
modeste dimensioni, affidata per lo più agli abitanti del luogo in cambio della molto vantaggiosa cittadinanza romana
o del risarcimento mediante l’aggiudicazione di terre vicine generalmente non contestate da altri. Numerosi castella,
infatti, esistevano già nella tarda età romana, ma molti altri vengono costruiti dopo la conquista giustinianea del VI
secolo e caratterizzano le vicende della resistenza bizantina contro la rapida e dilagante invasione longobarda.
Nell’Italia settentrionale il castellum comincia a diffondersi soprattutto con funzione di protezione di centri abitati già
esistenti, specie contro le incursioni degli Ungari, mentre nel Centro-Sud viene introdotto preferibilmente in località
prima deserte e per ragioni essenzialmente economiche, oltre che legate alla continua necessità di riassetto del
territorio indotta dall’incremento demografico e dalla progressiva intraprendenza di ignoti signori in cerca di prestigio.
In alcune località, tuttavia, e specie nel XII secolo, il castellum tende ad essere identificato tanto con un abitato chiuso,
o comunque munito, quanto con l’edificio o il complesso fortificato del centro nel quale è ubicato.
Caratteristiche costruttive Nell’ambito dell’architettura militare dell’occidente medievale il castellum nasce come
opera fortificata sede di una guarnigione e con funzione di sorveglianza piuttosto che di difesa, eretta, soprattutto nelle
zone di confine, lungo una linea limitanea che ne comporta l’ubicazione sull’altura più elevata e tatticamente più
strategica della zona. La tipologia più antica di castellum contiene abitazioni occupabili in caso di emergenza ed uno
o più edifici per il culto, non presenta forme proprie, tipiche ed è probabile che utilizzi per scopi difensivi strutture di
epoca precedente opportunamente modificate. Tra gli impianti più diffusi si riscontrano costruzioni trapezoidali con
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torri cilindriche e cinte murarie con perimetro circolare, ottagonale o irregolare, ma la caratteristica dominante (specie
nei secoli XI e XII) è la posizione dell’edificio totalmente esterna rispetto al tessuto urbano.
Esempi I principali esempi di castella italiani tuttora visitabili si trovano nel Meridione, in particolare a: Venosa e
Lagopesole di Acerenza (Potenza), Massafra (Taranto) (figg. 2-3), Oria (Brindisi) (fig. 4) e, in provincia di Bari, a
Canosa e Gravina di Puglia.
Fra gli esempi siciliani, invece, degni di nota sono i castella di: Acicastello (Catania),
costruito in pietra lavica su una rupe basaltica a strapiombo sul mare (fig. 1 e fig. 5); il Castello di Lombardia o
Castrogiovanni di Enna, roccaforte della resistenza bizantina e poi fortezza musulmana (figg. 6-7); Erice (Trapani),
difeso su tre lati da rupi vertiginose (figg. 8-10); Mazzarino (Caltanissetta), del quale restano solo suggestive rovine
(figg. 12-13); Monreale (Palermo), noto come “Castellaccio” (figg. 14-15), ed infine Trapani (fig. 11).
CASTRUM
Accampamento delle milizie romane. Sempre di forma quadrilatera, viene protetto da un recinto costituito da una
semplice palizzata in legno, oppure in alcuni casi in muratura. Spesso veniva anche dotato di un fossato per una
maggiore difesa.
Significato Confuso spesso, sin dall’età classica, con castellum, il termine castrum comprende una gamma di
significati che, a seconda dei tempi, dei luoghi e dei diversi autori che lo riportano, comprende tanto l’antico fortilizio
romano quanto la dimora fortificata di un funzionario che esercita la sua autorità nella zona il cui la struttura sorge e
che può essere anche inserito in un rapporto di vassallaggio con altri. In altri casi designa uno spazio chiuso dotato di
una qualche forma di difesa, circondato da mura ed arroccato intorno al complesso (solitamente fortificato) della
cattedrale e del relativo palazzo vescovile, ma nello stesso tempo - specialmente nelle fonti letterarie - persino un
abitato di una certa consistenza non affatto fortificato. Nel XIII secolo il termine viene quindi associato da alcune
fonti, specificatamente, ad una semplice “casa forte” munita di torre a pianta quadrata, molto frequente in tutte le città
italiane, da altre ad una costruzione con funzione di supporto alle residenze regie fortificate ubicate all’interno dei
centri abitati. Nonostante ciò il concetto iniziale di castrum non scompare immediatamente e continua a convivere
accanto alle nuove accezioni ancora per lungo tempo, per cui, in relazione alle strutture e agli insediamenti muniti cui
viene riferito, indica, nella maggioranza dei casi: una fortificazione realizzata in un luogo inaccessibile, una semplice
palizzata con o senza fossato, una qualsiasi opera difensiva in legno, un muro di cinta a protezione di un particolare
edificio, una fortezza o un borgo munito.
Origini ed evoluzione storica Il castrum deve la sua origine e diffusione al mondo romano, che lo introduce ogni
qualvolta si dimostra necessaria la presenza di un insediamento munito, più o meno militarizzato, in un nuovo
territorio, e conserva questa valenza ancora per molti secoli, indicando strutture quasi esclusivamente difensive ma
dalle caratteristiche sempre più diverse dalle originarie. Il castrum bizantino, ad esempio, consiste frequentemente in
un accampamento militare, in un insediamento fortificato o in una città munita, ma non differisce dagli esempi del
secolo successivo, quando, nonostante il bisogno diffuso di traduzione ed adattamento di realtà preesistenti e
consolidate a lingue e culture nuove e spesso importate, rappresenta una realtà polivalente e mista, identificabile
talvolta con un semplice piccolo abitato munito, altre volte con il caso specifico di un vero e proprio fortilizio.
Nel corso della dominazione normanna, invece, l’elenco delle strutture fortificate demaniali corrisponde, tranne poche
eccezioni, all’insieme degli antichi castra che la Corona mantiene fino al Duecento e di cui si preoccupa di curare, in
tempi molto brevi, il recupero sia materiale che formale e giuridico, in modo da realizzare un’efficace rete di
fortificazioni diffusa su tutto il territorio e particolarmente presente nei punti di maggiore interesse strategico.
Questa realtà prosegue senza grandi variazioni nel secolo successivo, in piena dominazione sveva, quando il castrum
indica sempre più spesso il castello o la fortezza regia e sempre meno, come in passato, il complesso delle opere
difensive di un insediamento, il borgo fortificato o, ancora, il semplice accampamento militare.
Caratteristiche costruttive Se si trascura l’identificazione del castrum con il villaggio fortificato, difficilmente
caratterizzato da elementi materico-costruttivi omogenei, e si analizza l’accezione di edificio munito rispondente ad
una voluta e specifica visione d’insieme, si incorre nell’idea generalizzata del tipico castello medievale. In effetti, dal
punto di vista tipologico, bastano un fossato ed un terrapieno (ma talvolta anche solo una cortina muraria) affinché
l’area così munita possa essere definita castrum, anche se, rispetto agli esempi più antichi, si assiste alla sempre più
diffusa introduzione di torri all’interno dei recinti fortificati. Nel cortile interno è, inoltre, collocata spesso la
fortezza signorile, la rocca, residenza della massima autorità locale o del suo vicario, nonché sede delle milizie e degli
organi della sua curia. Nei casi in cui il castrum designa, invece, un’area non munita - come in alcuni esempi
siciliani dell’XI secolo - si assiste alla sua trasformazione in sobborgo del fortilizio e della zona più alta e protetta
dell’abitato dai quali viene ben controllato e protetto.
Esempi Vertine (Siena) (figg. 1-2 e 3-6), Nogara (Verona) (figg. 7-9) e Modica (Ragusa) (figg. 10-13) presentano
castra di particolare interesse che, per il discreto stato di conservazione in cui versano, rendono possibile un’agevole
comprensione della natura tipologica e della gerarchia di rapporti instaurata dall’organismo edilizio con l’abitato
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circostante.
In diverse località pugliesi, invece, notevoli per la posizione e la funzione strategica, si osservano resti
di castra che, pur senza perdere completamente i tratti originari, hanno subìto, nel corso dei secoli, manomissioni più o
meno vistose. È questo il caso, ad esempio, di San Severo, Lesina (fig. 18) e Monte Sant’Angelo (figg. 14-17), fondato
nell’XI secolo, nel Foggiano, di Trani (fig. 19) e Polignano nel barese e di Castro ed Oria (fig. 20) nel Salento.
CERCHIA URBANA
Significato Primo elemento difensivo di una città, la cerchia urbana consiste in una muratura fortificata, di varia
forma e spessore, che circonda l’abitato e consente eccezionali raggruppamenti di truppe al suo interno.
Rappresenta, inoltre, un elemento ornamentale in tempo di pace ed un valido strumento di salvaguardia in tempo di
guerra, ma anche un impaccio per lo svolgimento della vita normale, in quanto se le porte di accesso alla città,
distribuite lungo il suo perimetro, restano aperte a nulla giova la protezione offerta dalle sue mura, mentre se sono
chiuse rendono l’abitato molto simile ad un carcere.
Origini ed evoluzione storica Frequente nell’Europa e nell’Italia settentrionale piuttosto che in quella meridionale, la
cerchia urbana ha varie origini ed una storia frammentaria che la vede, dopo i validi esempi antichi, decadere dal X al
XII secolo, essere nuovamente reintrodotta nel XIII e XIV secolo, grazie allo sviluppo dei Comuni e alla loro
progressiva trasformazione in Signorie, e giungere, infine, sino al pieno Rinascimento. La presenza della cerchia
urbana è attestata già nel corso del III e IV secolo, quando, di fronte alle ripetute penetrazioni barbariche, le città
dell’Occidente romanizzato ancora efficienti e, soprattutto, ubicate in posizione strategica nel territorio, si dotano di
questa prima ed imponente opera di fortificazione, assente, generalmente, solo laddove il ciclo vitale del centro si è
ormai esaurito. In età tardo antica un simile dispositivo di difesa risulta adottato in numerosi centri abitati
(solitamente quelli in cui le fonti scritte accertano la presenza di una fortezza urbana anteriore almeno al X secolo) e
mostra caratteristiche tecnico-materiche intimamente connesse sia alla tradizione costruttiva locale che, soprattutto,
alle potenzialità politico-economiche offerte dal centro da proteggere. Durante l’invasione longobarda la presenza di
una cerchia urbana è ritenuta talmente necessaria da indurre i devastatori delle città che oppongono resistenza a
cominciare i lavori di ricostruzione, a conquista avvenuta, proprio a partire da tale manufatto e a sottoporlo a continua
ed accorta vigilanza. All’inizio dell’XI secolo cerchia murate delimitano la maggior parte delle città italiane,
rafforzate gradualmente in relazione alle lotte in cui vengono coinvolte, ma nel momento in cui il consolidamento
delle prime istituzioni comunali porta alla conquista del contado, tra la fine del secolo e l’inizio del XII, la loro
configurazione non appare più idonea a contenere la popolazione che affluisce dalle campagne e sorge la necessità di
ampliare gli antichi circuiti per poter includere i sobborghi nati in periferia.Si assiste, dunque, alla trasformazione dei
manufatti e dei procedimenti costruttivi molto modesti del primo Medioevo in opere fortificate in grado di garantire la
sicurezza all'intero contado, mediante l'integrazione con una serie di torri o di campanili di sorveglianza che, in caso di
avvistamento del nemico, vengono illuminati da uno o più falò di segnalazione. La fine del ricorso alla cerchia
urbana comincia nel XVI secolo con la cimatura delle torri tardomedievali o di quelle ancora visibili all'interno della
città, troppo esposte al tiro, pericolose in caso di crollo e ormai inutili per dominare cortine murarie che nessuno tenta
più di scavalcare senza averle prima sbrecciate con il fuoco, da lontano, o minate da sottoterra.
Caratteristiche costruttive Dal punto di vista generale dell’architettura militare la cerchia urbana segue la stessa
evoluzione tecnica dei castelli: simbolo dell’autonomia e della potenza cittadina appare bella in tempo di pace e
necessaria in tempo di guerra e da essa dipende il successo o il declino del centro che ingloba e difende, ma salvo le
dimensioni ripete, nei limiti consentiti dalla tipologia edilizia, la disposizione del castrum, dal quale trae ispirazione, e
molto spesso si abbina ad un castello o ad una rocca. Elemento comune di questo tipo di fortificazione, sviluppato
prevalentemente in senso orizzontale, è la necessità di tempi lunghi e di grande tenacia per la sua costruzione, in
quanto richiede, lungo tutto il perimetro, una larga fascia priva di costruzioni e coltivazioni, nella quale realizzare
baluardi, cortine, fossati ed altre opere difensive addizionali. A ciò vanno inoltre aggiunti i dispendiosi investimenti
legati alla realizzazione dell’impianto iniziale e la non meno onerosa e necessaria manutenzione ordinaria, oltre al
bisogno di garantire costantemente il suo presidio, in caso di pericolo, con un elevato numero di soldati effettivi non
sempre facilmente reperibili. Di conseguenza, ove la situazione lo consente, si preferisce restringere la difesa ad un
recinto fortificato vicino all’abitato che, pur richiedendo altri sacrifici, riesce più semplice, pratico ed economico, ma,
naturalmente, non altrettanto efficace, anche se si annoverano città importanti che non presentano una cerchia murata
vera e propria ed altre che, pur avendola, non sono sempre sufficientemente al sicuro da attacchi nemici. Ai primi
secoli del Medioevo risalgono cerchia urbane realizzate con materiali di recupero o con grossi ciottoli di fiume
variamente apparecchiati e non sempre ben legati da ricorsi di mattoni, spesso utilizzati soltanto per rinforzare gli
spigoli della cortina muraria con la curiosa connessione a “dente di sega“ verticale incastrata nella massa centrale
della muratura.
In età comunale, invece, le nuove mura nascono non solo sulla base di progetti studiati nel dettaglio
e secondo criteri edificatori perfettamente rispondenti alle caratteristiche topografiche della città, ma anche in perfetta
sintonia con il tessuto urbano esistente e con le aree occupate da edifici istituzionalmente più importanti, protetti da
opere fortificatorie che assicurano lo sbarramento immediato delle vie tattiche principali. Durante la costruzione delle
nuove mura si prevede persino, nei casi di emergenza, di sospendere i lavori in muratura e di allestire opere
provvisorie di difesa in legno, utilizzando scorte accantonate in precedenza. L’accesso al centro abitato è reso
possibile dalle porte, realizzate, come nell’antichità, fra due torri che ne assicurano la difesa oppure ai piedi di alcune
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di esse (come Torresotto di San Vitale di Porta Piella a Bologna, Porta San Niccolò a Firenze, etc.), chiuse mediante
un doppio ordine di cateratte e difese da caditoie soprastanti l’ingresso o dal rivellino, un’opera fortificata staccata che
la protegge da urti e tiri frontali.
Il coronamento difensivo di torri e cortine è, a sua volta, assicurato dai merli, da
ulteriori caditoie e dalle bertesche, oltre che da un “cammino di ronda” che corrisponde allo spessore del muro
sottostante o che risulta, nel caso più semplice, di poco più ampio in quanto allargato con pochi corsi di mattoni a
sbalzo verso l’interno o con maggiori sporgenze variamente ottenute.
È solo dopo le invasioni francesi dell’ultimo
decennio del ’500 che le città si decidono a cimare le torri, abbassare le cortine, sopprimere merlature e caditoie,
fasciare con scarpate la base delle mura, allargare i fossati difensivi ed applicare le prime opere bastionate e le cinte
poligonali progettate dagli architetti militari, elementi, questi, in grado di contrastare solo con la loro contemporanea
messa in opera l’offensiva indotta dalle nuove armi da fuoco. Nel secolo successivo si tende, dunque, a spostare in
avanti, verso il nemico, la fortificazione, per cui si cominciano a realizzare tracciati murari speciali atti a garantire il
possesso di posizioni dominanti la città o strategicamente più importanti o, ancora, a presidiarne altre più lontane dalla
cinta poligonale.
Esempi La cinta bastionata di Lucca (figg. 3-4) è la meglio conservata d’Italia, anche se, ideata nel 1490, viene
cominciata nel 1544 e completata solo nel 1678, quando ormai il progresso delle armi ha già superato le difese messe
in opera. Genova, invece, rappresenta un’autentica innovazione per quanto riguarda il tracciato (fig. 5), non più
aderente ai limiti dell’area destinata ad ospitare il futuro incremento edilizio, ma spinto a grande distanza dall’abitato,
sui crinali dei monti circostanti. Erice, infine, costituisce in Sicilia il più interessante esempio di mura antiche (figg. 67) riutilizzate quasi per intero in età altomedievale. Esempi di particolare rilevanza per la eccezionale vastità
dell’impianto sono le mura di Castelfranco Veneto (Treviso), del 1189 (figg. 8-9), e quelle di Lucera (Foggia), del
1233, nonché la quattrocentesca cinta di Cesena (Forlì; fig. 10). Interessanti sono anche quelle di: Milano,
Monteriggioni (Siena; fig. 11), Udine, Verona (fig. 12) e Prato. All’estero sono celebri le cinte murate di
Carcassonne (figg. 2, 13-14), di Avignone (fig. 16) e di Avila (figg. 1 e 15).
CORTINA MURARIA
Significato Nel contesto dell’architettura difensiva indica la costruzione perimetrale in muratura che delimita e
protegge una città, una fortezza, un castello o anche solo un edificio dimensionalmente rilevante.
Origini ed evoluzione storica L’introduzione della cortina muraria risale all’antichità ed è comune a numerose
civiltà, in quanto consente di rispondere in maniera semplice ed efficace tanto alle esigenze difensive di collettività
medio-grandi, quanto a quelle abitative dei singoli. Di conseguenza rappresenta una soluzione costruttiva dalle
caratteristiche estremamente legate alle alterne vicende della storia e, per questo, uno dei principali simboli del potere
e della ricchezza delle popolazioni che ad essa hanno fatto ricorso. Limitando l’indagine alla Penisola si osserva,
infatti, che le genti italiche edificano mura con enormi blocchi trapezoidali giustapposti a secco e disposti secondo un
andamento poligonale; i Greci importano dalla madrepatria una soluzione basata su due cortine murarie di conci
collegate da elementi trasversali (“conci diatoni”, cioè di lunghezza pari allo spessore murario) e da un riempimento
interno di terra battuta; i Romani realizzano mura “a sacco” di grande spessore, con nucleo interno in malta cementizia
e paramenti accurati in opera quadrata o laterizia; le popolazioni altomedievali, infine, introducono semplici cortine
spesse poco più di un metro, rivestite da paramenti con blocchetti di piccole dimensioni talvolta intervallati da mattoni
(“opera listata”), oppure mura in ciottoli fluviali o in “opera incerta”. A partire dall’ultimo Medioevo, invece, la
cortina muraria si arricchisce di nuovi elementi, come la scarpatura delle mura verticali, la realizzazione di fossati
protettivi e vari espedienti architettonici di supporto, trasformandosi così in un’opera sempre più complessa e dalla
progettazione riservata a veri esperti.
Caratteristiche costruttive Considerando prevalente l’aspetto difensivo su quello architettonico, nello studio della
tecnica di realizzazione di una cortina muraria occorre fare una netta distinzione tra l’antichità e l’inizio dell’epoca
medievale, in quanto si assiste ad un progressivo e rapido affinamento della tecnica costruttiva in risposta a strategie
belliche in continua evoluzione. Una cortina interna deve infatti comandare quella più esterna che la raddoppia
sfruttando una differenza di altezza che, nel caso migliore di due difese concordi, consente ai rispettivi ordini di fuoco
di sommarsi tra loro per battere il terreno antistante. Quando la cortina muraria, alta intorno ai 10 metri (cioè la
misura di due scale sovrapposte), non viene munita con torri, risulta difesa da salienti, vale a dire opere murarie di
forma angolata con il vertice verso il nemico, sempre distanti tra loro meno della gittata delle armi disponibili, in modo
da permettere all’assediato di colpire lateralmente l’aggressore che si muove frontalmente contro la cortina perché,
vedendola sguarnita di torri, la ritiene più vulnerabile. Normalmente, però, le opere fiancheggianti del Medioevo
comandano dall’alto le opere frontali: il fiancheggiamento, date le scarse gittate delle armi disponibili presenta aspetti
ancora incerti. Infatti, per garantire la consistenza dei muri contro il tiro diretto dell’avversario, si evitano particolari
inclinazioni della proiezione a terra degli elementi superiori mediante altezze dell’ultimo piano calpestabile rispetto al
piano di campagna pari a due quinti della larghezza dell’antistante fossato.
Ove presenti, le torri non sono più piene
nelle parti inferiori come quelle antiche, ma vuote, per sistemarvi piani a diversi livelli in corrispondenza delle feritoie
(le fessure dalle quali i soldati rispondevano con le armi all’attacco esterno) e, in un primo momento, sopravanzano
notevolmente in altezza le cortine stesse, delle quali non risulta pratico né economico aumentare oltre misura l’altezza
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e alle quali non è possibile fornire, in caso di pericolo, altro che pochi difensori. Non sono troppo sporgenti dal piano
di facciata, hanno pareti esterne verticali e pianta quadrata o rettangolare, più raramente circolare o poligonale, e
devono, a loro volta, interrompere la continuità della cortina con porte ben robuste, scale fisse o mobili o, ancora, con
piccoli ponti levatoi gettati su slarghi realizzati appositamente lungo un camminamento superiore o, infine, con tutti
questi accorgimenti insieme. In alcuni casi sono addirittura semicircolari, staccate dal recinto murario e ad esso
collegate per mezzo di una gola.
Quando la scalata nemica si indirizza verso una cortina non irrobustita
esternamente, e quindi presunta meno efficiente, la difesa si attua o procurando un preventivo concentramento di forze
dietro le loro merlature o richiamando tali aiuti, solo nel momento del bisogno, attraverso linee interne dette cammino
di ronda (fig. 3), di larghezza pari allo spessore del muro sottostante, eventualmente allargato (nel caso più
elementare) con pochi corsi di mattoni a sbalzo verso l’interno se la merlatura è a filo della parete oppure con maggiori
sporgenze ottenute in maniera più o meno complessa, la cui più completa intercettabilità viene raggiunta e realizzata in
quasi tutti gli esempi dal XII secolo in poi.
A partire dall’ultimo Medioevo si provvede ad incrementare la difesa
delle cortine e delle relative torri mediante la scarpatura delle mura verticali, con camiciature aggiunte contro la base
del muro, per evitare il gioco delle mine sotterranee e l’approccio delle scale e delle torri d’assalto, e si ritiene utile
riempire una striscia del fosso e contenere il rinterro con un secondo argine in muratura. Nel basso antemurale così
ottenuto a spese dell’ampiezza del fossato, oltre ad ottenere una più valida sede per la difesa leggera vicina e radente
della controscarpa, si aggiunge un cuscinetto di ammortamento e difesa del muro. Tuttavia l’espediente dei terrapieni
elevati nel fosso, intesi tanto come cuscinetti di copertura del muro quanto come traverse di copertura dei fossati
(capannati) o come elementi ammortizzatori misti (false braghe), pur apprezzato per la sua economica rapidità, viene
abbandonato quando, per l’aumentata potenza dei proiettili, si presenta il pericolo che queste opere, sfasciandosi e
riempiendo il fosso, facilitino troppo la scalata e l’urto del nemico, per cui si preferiscono ad essi ripari più leggeri
volanti e meno impegnativi come gabbionate o barriere di pali infissi nel terreno (per le diverse fasi evolutive vedi la
fig. 3).
Esempi A causa della sua ampia diffusione (figg. 4-7), la cortina muraria consente di individuare non singoli e
specifici esempi, ma piuttosto insiemi di realizzazioni accomunate dalla omogeneità delle caratteristiche costruttive e
morfologiche. È questo il caso delle fortezze greche, dei castra romani, dei primi esempi di castella medievali e poi, a
seguire, degli edifici fortificati dell’epoca moderna, fino al momento in cui la cortina viene fusa con il circuito murario
urbano e diventa un elemento di difesa complesso e variamente articolato.
Concio: blocco cubico di grosse dimensioni utilizzato per costruzioni.
Controscarpa: muro di sostegno della strada coperto dalla parte del fossato.
Cortina: tratto rettilineo delle mura compreso tra due torri o due bastioni.
DONGIONE
la parte più attrezzata da un punto di vista difensivo di una rocca, di una fortezza o di un castello: vi si trovava la
residenza del signore, il tesoro, le scorte alimentari e le armi.
Due esempi di dongione
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Significato Organismo architettonico citato per la prima volta nel lessico fortificatorio italiano in documenti dell'area
padana della metà del XII secolo nelle forme «domigno» e «donionum», indicanti un ridotto difensivo interno al
castello, una torre quadrangolare di legno elevata sulla motta (un accumulo artificiale di terra battuta contornato da
fossato e palizzata), talvolta dotata sia di cinta muraria che di fossato proprio, cui si accede da apposito ingresso non
comunicante direttamente con l'esterno, e destinata ad ospitare, insieme con edifici sussidiari e di servizio (come il
pozzo, il forno e la cucina), un magazzino, una dispensa e la residenza del signore. Il termine, tuttavia, risulta molto
spesso ignorato dai cronisti dell'epoca e relegato all'ambito tecnico dal quale trae origine, per cui viene sempre più
confuso con il donjon francese, anch'esso un massiccio torrione a pianta quadrangolare, ma realizzato interamente in
muratura ed utilizzato, nel corso del tempo, per sostituire con sempre maggiore frequenza la motta stessa e la torre di
legno elevata su di essa.
Origini ed evoluzione storica Diffusosi inizialmente solo nell'area lunigiana, a partire dal secondo decennio del
Duecento la presenza del dongione si estende tanto ai castelli di nuova costruzione quanto a vecchie fortezze risalenti
al X secolo ed indica sia il passaggio da un detentore ad un altro sia, soprattutto, un segno di rinnovamento. Nel
momento, infatti, in cui un feudatario - anche se modesto - diventa unico proprietario dell'area fortificata in luogo
dell'intera popolazione su cui governa, il dongione assume una configurazione tale da poter racchiudere, al proprio
interno, gli edifici più importanti del castello: «palacium castri», cioè l'edificio residenziale e talvolta, a suo contatto
diretto, il torrione con il tesoro e le scorte, la costruzione difensiva per eccellenza, elevata ben presto a simbolo del
potere personale sul territorio circostante.
Il dongione raggiunge la massima diffusione fra il XII ed il XIII secolo,
ma, pur costituendo una difesa sempre più importante nell'organizzazione strutturale dei castelli medievali, a partire
dal XIV secolo viene frequentemente confuso con altre strutture munite (ad esempio il cassarum o cassero,
proveniente dall'area toscana) e da queste sostituito.
Caratteristiche costruttive Le soluzioni tecniche utilizzate per edificare un dongione non sono comuni a tutto il
territorio nazionale e variano notevolmente (fig. 1) in funzione del ruolo assunto dal manufatto, ma, se considerate nel
complesso, presentano tra loro importanti affinità, come l'ubicazione in relazione alle difese di supporto, i materiali
impiegati e la distribuzione delle destinazioni d'uso al proprio interno. La genesi di tale manufatto difensivo è
duplice: vi sono dongioni o torri maestre disposte al centro di un recinto che, a sua volta, si avvicina alla cortina
muraria esterna o, meno spesso e quasi sistematicamente in tempi più recenti, se ne dispone a cavaliere, e dongioni
che nascono isolati e che solo in un secondo momento vengono dotati di una propria cerchia muraria. Nel primo caso
la progressiva, anche se non sistematica eccentricità del dongione rispetto al recinto riflette prudenti ragioni di
sicurezza e richiede complesse risorse della difesa; nel secondo, invece, la costruzione appare come una massa
parallelepipeda a pianta rettangolare, e risulta talvolta arricchita, alla base, con una cinta dotata di piccole torri
angolari. Al dongione si contrappone, di conseguenza, l'altra parte del castello, il cosiddetto "castello piano",
comunicante con l'ingresso della perimetrazione interna e dotato di una propria recinzione muraria accessibile solo
tramite una seconda porta, accanto alla quale sono ubicati una torretta e gli alloggi delle guardie.
L'organismo
strutturale, inizialmente in legno, viene presto sostituito con più solide murature di spessore compreso fra i 2 ed i 2,60
metri e frequentemente realizzate ad «opus incertum», tranne che in corrispondenza dei cantonali, dove si riscontrano
conci lapidei perfettamente squadrati.
All'interno l'edificio è diviso in tre o quattro piani coperti con volte o solai
lignei e comunicanti per mezzo di piccole scale, anch'esse in legno o pietra, appoggiate ai muri o ricavate nel loro
spessore.
Il piano terra solitamente presenta un unico accesso, rialzato di alcuni metri rispetto al piano di
campagna e raggiungibile mediante una scalinata, ed è ripartito in pochi, grandi ambienti, mentre gli altri livelli,
variamente organizzati, costituiscono i cosiddetti "piani nobili", con funzione di rappresentanza e dimora permanente
del signore e della sua famiglia. I piani alti sono illuminati quasi sempre mediante monofore dotate di serramenti
lignei, mentre i piani bassi, meno ricchi di aperture per ragioni difensive, traggono aria e luce diretta soltanto tramite
feritoie distribuite in maniera piuttosto omogenea su tutti i prospetti. Frequente è anche la presenza, all'interno, di una
cappella absidata ricavata negli spessori murari ed invisibile dall'esterno. La copertura, infine, è piana e cinta da
parapetti rafforzati da merlature o bertesche lignee.
Esempi La maggior parte dei complessi fortificati definiti con il termine dongione sono da tempo scomparsi, tranne
pochi casi, in quanto ampiamente trasformati nei secoli successivi. All'estero molto noti sono la Torre Bianca,
all'interno della Torre di Londra del 1070 (fig. 2-3), il mastio di Canterbury, del 1080 (fig. 4), quello di Vincennes
(Parigi) (fig. 5), e il dongione di Chateau Gaillard, del 1202-1203 (figg. 6-7).
In Italia uno dei primi esempi si
osserva a Fosdinovo (figg. 8-11), nella Lunigiana, ma il dongione più grandioso e geniale come concezione si trova nel
circuito murario del palazzo imperiale di Lucera (Foggia), voluto da Federico II di Svevia. Interessanti, infine, sono
anche i dongioni di Castel Lagopesole (Potenza), di tre castelli in provincia di Catania, Adrano (figg. 12-14), Paternò
(figg. 15-18) e Motta S. Anastasia (fig. 19), ed i ruderi di Rado, nella pianura vercellese.
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FERITOIA
fessura verticale o orizzontale attraverso la quale si bersagliava il nemico assicurandosi la massima protezione dai suoi
colpi. All'interno presenta strombatura per avere un più ampio settore di tiro.
A sinistra, feritoia dell'Ospedale di San Giovanni a Magione (Perugia); a destra, Castel Sant'Angelo a Roma, feritoia
del circuito murario interno.
Significato Con il termine feritoia si designa una sorta di nicchia ricavata nello spessore murario delle torri e degli
edifici muniti, coperta da una voltina ribassata o da un architrave in pietra e destinata, a partire dall’XI secolo, ad
ospitare almeno un difensore. La porzione di muro ad essa corrispondente, che in tal modo si assottiglia e perde parte
della propria resistenza, viene inoltre attraversata da una fessura verticale, contenuta spesso in una lastra lapidea di
forma più o meno regolare, con la quale si realizza un settore di tiro orizzontale e si completa la funzione difensiva di
questo espediente.
Origini ed evoluzione storica Dopo uno sviluppo iniziale piuttosto contenuto e limitato alle fortificazioni più
imponenti ed importanti, verso la fine del XII secolo si assiste ad una inversione di orientamento. Infatti nel
momento in cui cominciano a migliorare le armi da lancio manuale, il tiro “piombante”, effettuato dalle merlature
presenti a coronamento della costruzione, non sembra più sufficiente ad arrestare l’avversario, per cui si ricorre ad una
moltiplicazione e ad una distribuzione di feritoie, “arciere” e “balestriere” - elementi costruttivi, questi ultimi, che
derivano il proprio nome dalle armi in funzione delle quali vengono realizzati - nella porzione inferiore della cortina
muraria da difendere, più vicina alla quota del piano di campagna, in luogo della fascia superiore, difendibile
direttamente dalle caditoie e quindi dall’alto. Tale soluzione consente, inoltre, tanto di difendere meglio le mura dal
continuo pericolo delle mine, le gallerie continue o sovrapposte scavate dagli attaccanti dentro il suo spessore, quanto
di aggiungere, verso l’interno e senza pericolo per la stabilità delle strutture, balconate a sbalzo, anche multiple, di
servizio e di tiro ad uso degli uomini posti in difesa. Tuttavia già verso la fine del Trecento si comincia ad avvertire
la rinuncia alle feritoie ai piani inferiori, poiché quelle lunghe aperture visibili nel circuito murario indicano all’esterno
proprio i punti più deboli contro i quali indirizzare più fruttuosamente le azioni di scardinamento e la tecnica della
mina, già perfezionata, consente di raggiungere con precisione la porzione di paramento compresa fra due feritoie,
provocandone la caduta, di aprire una breccia e di trascinarvi dietro un largo tratto di muro. Di conseguenza in
vantaggio offerto dal tiro radente, punto di partenza delle trasformazioni degli elementi difensivi, diventa insufficiente
a compensare il maggior pericolo insito nella disposizione discontinua e puntiforme che lo rende possibile. Tra il XV
ed il XVI secolo, infine, la feritoia muta la forma da quella originaria a fenditura rettangolare verticale (propria delle
“arciere”) o a croce (delle “balestriere”) a quella circolare con svasatura conica, semplice o doppia, rivelatasi
necessaria al fine di consentire la più ampia manovra e la mira di un “moschetto” o di un “archibugio” con mirino
sovrastante.
Caratteristiche costruttive La conformazione e distribuzione della feritoia trovano giustificazione nel suo utilizzo
per tiri quasi esclusivamente frontali, ma ciò non senza il necessario supporto di tiri ausiliari di fiancheggiamento e di
una lunga attesa finalizzata alla individuazione e allo sfruttamento del momento più opportuno per colpire
efficacemente l’avversario. Per questo motivo l’apertura nel muro presenta, nella parte inferiore, sia un piano molto
inclinato che consente di battere la zona morta al piede della cortina muraria che sedili realizzati intorno a gradini
centrali per rendere più agevole il servizio e meno scomoda l’attesa. Nei muri di minore spessore, invece, la feritoia
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non presentata la tipica nicchia e consiste, quindi, esclusivamente in un’ampia “strombatura”, cioè in un’apertura che
si allarga gradualmente verso l’interno dell’ambiente.
Esempi Non esiste castello, fortezza o edificio munito, italiano o straniero, che non conservi, anche in posizione
diversa da quella originaria, almeno una delle feritoie utilizzate per la propria difesa. Il castello aragonese di Otranto
(Lecce) offre, ad esempio, un ampio repertorio di feritoie, diverse sia per forma che per funzione e distribuzione nel
tessuto murario, mentre Castel Sant'Angelo (figg. 2 e 3-4) a Roma ne presenta di particolari per tipologia ed uso.
Questi due esempi, e gli altri sotto riportati, dal castello Volterraio di Portoferraio (Livorno) a quello di Cosenza (figg.
5-6), dal complesso castellare di Avetrana (Taranto) sino alle opere difensive approntate sui vari fronti all'epoca della
prima guerra mondiale (figg. 18-19), rappresentano comunque una scelta assolutamente non esaustiva.
Fiancheggiamento: tiro difensivo di protezione delle mura, esercitato da torri o bastioni sporgenti dal profilo
generale della pianta, volto a colpire l'assalitore sul fianco.
FOSSATO
Fig. 1. Attacco ad un castello: le macchine belliche e il fossato, in un disegno tratto dalla rivista «Medioevo».
Significato Opera difensiva consistente in un profondo ed ampio scavo facilmente allagabile introdotto, lungo il
perimetro esterno di una costruzione fortificata (fig. 2), per ottenere un isolamento controllato dalla pianura circostante
e sopperire all'assenza o alla elementarità di altre difese.
Origini ed evoluzione storica Un fosso perimetrale della stessa estensione delle mura, talvolta persino più vasto
dell'area interna che protegge, rappresenta la soluzione tecnica più elementare e preziosa per qualunque popolazione,
tanto che lo si trova adottato dai Barbari ancora prima che dai Romani (esperti strateghi) per l'immediata facilità
dell'impianto e l'utilità dell'impiego. Dopo un utilizzo praticamente ininterrotto subisce, nel Medioevo, alterne vicende
legate al generale clima di trasformazione dell'epoca; cade leggermente in disuso quando le merlature consentono in
modo più semplice e diretto di sfuggire al tiro delle balestre; si riafferma a partire dalla seconda metà del XII secolo,
quando le torri d'assedio, consentendo nuovamente di ridurre il coronamento degli edifici per sminuire gli effetti
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dell'artiglieria, rendono necessaria un'opportuna distanza di mira, ed infine torna ad essere indispensabile in tempi più
moderni, quando la fortificazione è costretta ad appiattirsi e quasi a scomparire dentro il terreno.
Caratteristiche costruttive Le caratteristiche costruttive del fossato dipendono in misura quasi esclusiva dalla
morfologia e dalla natura dell'area in cui deve essere realizzato, ma tutte le possibili variazioni conducono sempre a
due tipologie fondamentali: il fossato asciutto e quello allagabile, in tutto o in parte, ognuna delle quali mostra pregi e
difetti rilevanti, ma spesso troppo dipendenti dall'epoca di realizzazione.
Il fossato asciutto, infatti, oltre a richiedere
solo adeguate opere di scarpatura (cioè un irrobustimento secondo un piano inclinato invece che verticale) e protezione
della parte bassa dell'edificio da difendere, molte volte viene preferito a quello allagabile per il bisogno eccezionale di
ospitare gli "sfollati" - sia persone che animali - accorsi a chiedere protezione dalle zone limitrofe e non ammessi
all'interno della costruzione per motivi di sicurezza, ma anche perché consente di mantenere punti di contatto
controllati con la terraferma e di sorprendere l'avversario, in qualsiasi momento, con sortite accuratamente organizzate.
La rilevante pendenza usata frequentemente nella scarpatura della cortina muraria e del muro difeso viene
inizialmente adottata per tenere lontano le scale e le torri del nemico e per inquadrare più favorevolmente il campo di
tiro degli archi e delle balestre, ma successivamente viene praticata per procurare la cosiddetta «incamiciatura di
rinforzo», un irrobustimento introdotto tanto a sostegno della spinta del terrapieno costipato internamente, quanto a
difesa contro le mine e l'uso dell'ariete, nonché come rinforzo dei piani di appoggio degli affusti della difesa. Tuttavia
la necessaria pendenza, raramente realizzata per l'elevato costo di costruzione che richiede, varia da 45° a 60° in un
fosso asciutto ed in presenza di terreno incoerente ed aumenta fino a raggiungere i 75° ed i 90° nel caso di terreni
sostenuti da appositi muri.
Al fossato asciutto si contrappone quello acqueo, che offre l'indiscutibile vantaggio di
poter allagare gli eventuali cunicoli di mina che tentino di sottopassarlo, ma presenta sempre lo svantaggio di impedire
sia il ritorno controffensivo del difensore che l'afflusso dei vettovagliamenti e dei rinforzi necessari agli assediati, ed
inoltre, se viene riempito dalla caduta di un muro o di quella della scarpata o, ancora, dal materiale riversato
dall'attaccante, richiede lunghe e complesse opere di svuotamento. Oltre a ciò spesso, per non sprecare eccessive
quantità di acqua, si usa limitare la zona bagnata alla sola metà del fosso adiacente la cinta muraria, ricorrendo ad un
fondo a doppio livello che lascia alla controscarpa il proprio pendio naturale, oppure si riduce ulteriormente la parte
bagnata ad una cunetta centrale a sezione triangolare chiamata «fustigata di fondo», con lo scopo di conservare
qualche vantaggio su eventuali operazioni di scavo sotterraneo da parte del nemico.
Tuttavia l'acqua del fossato
quasi sempre si impantana, provocando cattivi odori e precarie condizioni igieniche, oppure gela, concedendo più
facile passo all'assediante, ma soprattutto, in molti casi, può persino venire dirottata dal nemico al di fuori del percorso
voluto, venendo, così, meno al suo specifico compito proprio nel momento in cui serve di più. Contro tale pericolo di
dirottamento e svuotamento dell'acqua si opera di solito con uno speciale castelletto a rinforzo della chiusa a valle o
con una serie di conche successive con scarico per affioramento a «troppo pieno», ma nessun ingegno può prevedere
l'evolversi del combattimento e dell'assedio, per cui l'apporto concreto fornito da questa soluzione difensiva finisce
spesso con l'essere inferiore alle possibilità di sconfitta.
Esempi I più antichi terrapieni, con il conseguente scarpamento del muro che li sostiene, si trovano nelle mura di
Monza (1333) e, al principio del secolo XV, a Bologna, Firenze (fig. 3), Pesaro, Brescia (fig. 4) e numerose altre città
dell'Italia centro-settentrionale. Suggestivi fossati si possono osservare nel Castellaccio di Lentini (Catania) (figg. 5-6),
dove raggiungono una profondità di circa 20 metri, o nel castello di Otranto (Lecce) (figg. 7-11), allagabile
direttamente dal mare, in quello di Udine e nel Castel Nuovo di Napoli (figg. 12-14).
Garitta: piccola costruzione di legno o di muratura posta all'esterno di costruzioni da custodire, per riparare guardie
e sentinelle.
Isodomi: blocchi di pietra disposti in filari di uguale altezza e spessore, secondo l'uso dell'"opera quadrata" greca,
etrusca e romana.
Lizza: area interna destinata a corse, gare e tornei cavallereschi.
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MASTIO
torre principale di un castello, di una rocca, di una fortezza, detta anche "maschio".
Fig. 1. Particolare del maschio ottagonale di Civitavecchia (Roma).
Significato Torre principale di un complesso fortificato, in caso di pericolo rappresenta, con la sua mole e le sue
difese, l’ultimo e solido rifugio per la famiglia signorile in attesa di un aiuto esterno che scongiurasse l’altrimenti certa
capitolazione.
Origini ed evoluzione storica L’adozione del torrione come massiccio elemento centrale di una struttura difensiva
variamente articolata risale alla dominazione normanna della fine del X secolo, ma il suo utilizzo come dimora
protetta, dimensionalmente maggiore rispetto alle altre torri dello stesso circuito murario che domina sia all’esterno
che all’interno, trova ampia diffusione solo nel XII secolo. Solitamente realizzato vicino all’edificio padronale il
mastio, in quanto ultimo riparo in caso di caduta in mano nemica delle restanti difese, risulta essere
contemporaneamente abitazione, palazzo e ridotta, per cui ospita, negli ambienti distribuiti su più livelli: il tesoro,
l’armeria, talvolta la cappella, la cisterna dell’acqua e le provviste di viveri a lunga conservazione (rinnovate
periodicamente in vista di probabili assedi) costituite da: frumento, vino, sale, olio, orzo, miglio, fave, ceci, carne
salata, formaggio e, in alcuni casi, “tonnina”, un alimento a base di tonno. Tuttavia con il passare del tempo le
mutevoli esigenze difensive inducono funzioni tanto diverse a separarsi ed insediarsi in più edifici specifici, che però
continuano a garantire reciproche e rapide comunicazioni interne coperte e protette.
Caratteristiche costruttive In principio il mastio rappresenta soltanto una torre di avvistamento, ma ben presto si
trasforma in torre-residenza e, in seguito, in una sorta di saldo castello situato all’interno del complesso castellare vero
e proprio, in posizione solitamente decentrata (ad esempio un angolo) o, al contrario, centrale (per sfruttarne le difese)
o ancora, più spesso, a cavaliere della cinta muraria per facilitare l’arrivo dei soccorsi o una eventuale fuga. In
quest’ultimo caso, quando non si oppongano ragioni legate alla tattica difensiva e alla topografia, spesso un lato della
costruzione risulta orientato a Nord, al fine sia di consentire, nell’opposta facciata prospiciente la corte interna (meno
esposta alle insidie nemiche), l’apertura di finestrature sia di evitare l’ombra nel recinto murato. Nella maggior parte
dei casi il mastio consiste in un robusto torrione di forma cubica o cilindrica dotato di piccole aperture, accessibile
mediante un proprio ponte levatoio, distributivamente caratterizzato da ambienti organizzati in maniera piuttosto
elementare e spesso poco consona alla funzione residenziale, protetto da feritoie e terminante con un coronamento
merlato. Quello tipico dell’XI secolo è rappresentato da una torre a pianta quadrata alta circa trenta metri,
internamente suddivisa su tre livelli ospitanti ciascuno un ambiente unico, di cui solo quello intermedio raccordato ad
una scala esterna per mezzo di un piccolo ponte levatoio.
Esempi Dalla specializzazione dei vari settori costituenti il mastio nasce il collegamento tra Castel S. Angelo ed il
Vaticano, ma altri edifici tipologicamente più organici sorgono in numerose località dell’Italia centro-meridionale.
Certamente e tipicamente normanni sono il torrione del castello di Deliceto (Foggia) (fig. 10) ed il cosiddetto “torrione
maestro” del castello di Conversano (Bari); duecentesco è, invece, quello della rocca di Sermoneta (fig. 3).
Il
mastio medievale dominante il castello di Alvignano (fig. 11), in Campania, è inglobato in strutture del XV secolo,
mentre quello angioino del castello di Copertino (Lecce) ha impianto quadrangolare organizzato su tre livelli collegati
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da una scala a chiocciola interna. Alla fine del ’400 risalgono il mastio ottagonale, alto 24 metri, del forte di Civita
Castellana, fortificata da Antonio da Sangallo (figg. 4-5), quello della rocca montefeltresca di S. Leo nel Pesarese
(figg. 6-7), formalmente raffinato dal punto di vista architettonico e ideato per avviluppare e difendere una sontuosa
dimora, ed il possente torrione merlato e munito di piombatoie del castello di Ceglie Messapico (Brindisi).
Altrettanto degni di interesse sono: il mastio a pianta rettangolare del castello di Avetrana (Taranto), quello ottagonale
del forte di Civitavecchia (figg. 1 e 2-3), con lato di 12 metri, il torrione della rocca di Bagnara di Romagna nel
Ravennate (figg. 8-9), ottimamente conservato e caratterizzato da casamatte a filo di fossato, ed infine quello
quadrato, con interposte cortine, del castello di Venafro, in Molise (figg. 12-13).
MERLO
Elemento costruttivo verticale posto, a intervalli regolari, a coronamento di un edificio a scopo difensivo. In alcuni
casi i merli hanno una feritoia a sguincio che serviva per ridurre maggiormente gli spazi scoperti, senza limitarne la
visibilità. I merli possono essere a filo di muro, o sporgere su arcatelle, come nelle torri di Pacentro, e con caditoie. Si
distinguono i merli "guelfi", a semplice forma parallelepipeda e quelli "ghibellini", a coda di rondine
Significato Elemento architettonico pieno, in muratura, eretto sulla sommità di cortine murarie a scopo difensivo od
ornamentale ed intervallato ritmicamente con interruzioni aperte.
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Origini ed evoluzione storica Nel complesso delle opere secondarie di difesa il merlo riveste un ruolo particolare
perché, nato da concrete esigenze legate alle strategie di guerra, acquista gradualmente autonomia fino a perdere del
tutto il ruolo originario e a divenire elemento decorativo rappresentativo della “fazione” di appartenenza dell’edificio
che corona. La sua origine può essere fatta risalire ai bassi pinnacoli di legno che coronavano gli aggeri, i terrapieni
romani, ma l’idea di un parapetto più o meno alternato a spazi vuoti dietro al quale, a seconda delle necessità, ripararsi
ed offendere può considerarsi un’idea universale. Nonostante ciò il merulus viene citato, per la prima volta, solo
verso la fine del primo millennio nei “diplomi di concessione”, che, pur essendo atti giuridici, elencano molti degli
elementi che, in seguito, diverranno tipici dell’architettura militare. In età romana questo particolare riparo risulta
largo a sufficienza per difendere un uomo, ma nel corso dei secoli viene progressivamente allargato ed attraversato da
strette aperture, le arciere, per il tiro delle balestre a mano. In età medievale la costruzione di merlature, cioè di
successioni di merli di lunghezza variabile in funzione delle diverse esigenze belliche, sembra riservata solo agli
edifici eretti - per così dire - con regolare licenza edilizia regia, e sfrutta, come elemento di copertura, i tetti in legno
delle caditoie, le botole aperte in successione lungo il camminamento più elevato dell’edificio. Nel XV secolo il merlo
viene invece munito di apertura con svasatura esterna pronunciata e profilata in modo tale da impedire rimbalzi dei
proiettili nemici, ma l’introduzione delle artiglierie rende ormai inutile la sua funzione, per cui nel Cinquecento si
passa ad utilizzare il merlone, cioè quella parte del parapetto murario interposta fra due bombardiere.
Caratteristiche costruttive Il merlo rappresenta una delle caratteristiche costanti della fortificazione di tutti i tempi, in
quanto la sua massa coprente offre al difensore un riparo più o meno sicuro, ma sempre apprezzabile
psicologicamente. L’elemento più diffuso di protezione è una robusta mantelletta in legno, incernierata
orizzontalmente e pronta ad essere ruotata in avanti al momento opportuno con un solo gesto della mano o, se troppo
pesante, con un rinvio a carrucola comandata alle spalle da un secondo uomo. Si conoscono anche merli con traverse
laterali disposte in direzione perpendicolare al tiro laterale del nemico, altri contenenti una modesta nicchia con
feritoia o con arciera (fessure sagomate in modo da consentire la difesa dall’alto con armi da lancio), e ancora merli
con la sommità piana (merli guelfi), bifida (merli ghibellini), a triplice dentatura, a fiore, a piramide, a semicerchio, e
così via, tutti nati per rispondere a diverse forme di attacco.
Per la loro realizzazione non si preferisce un materiale
ad altri, ma si utilizza quello che il luogo offre in maggior abbondanza, si tratti di sassi di fiume come di pietre
calcaree, di arenarie, di tufo, o addirittura di materiali di riuso sottratti alle macerie di edifici preesistenti, murati con
malte scadenti e talvolta persino a secco, cioè per semplice sovrapposizione di elementi.
Nel corso del tempo, come
qualunque altro manufatto architettonico, anche la merlatura subisce trasformazioni tipologiche più o meno articolate,
ed infatti inizialmente contenuta nel piano del muro esterno evolve in un tipo intermedio costruito sempre a filo della
parete, ma con la necessaria caditoia inclinata ricavata nello spessore del muro sottostante, e successivamente in un
elemento realizzato direttamente in aggetto, cioè al di fuori del profilo murario esterno e, dunque, poggiante su
beccatelli (mensole multiple sovrapposte) o su ampi archi di scarico longitudinali, paralleli al muro stesso e sostenuti a
loro volta da contrafforti esterni o da mensole più robuste e distanziate.
L’uso di merlature sporgenti come
espediente per sfruttare in maniera sistematica le caditoie risale, in Italia, alla metà del XIV secolo, ma laddove questo
espediente difensivo non si renda esplicitamente necessario, le merlature a filo di parete continuano ad essere costruite
senza problemi, in quanto molto più stabili ed economiche. Al contrario, in molti esempi coevi francesi ed in qualcuno
italiano di influenza angioina, è facile riscontrare come tanto il parapetto interposto quanto i merli che lo
fiancheggiano tendano ad inclinarsi verso l’interno della costruzione, e ad essere coronati con un cordone lapideo
risvoltato a greca verso il basso, per deviare o arrestare la freccia radente scoccata dal basso che, in tal modo, perde
quasi tutta la potenza.
Esempi Magnifiche merlature possono essere osservate, nel loro complesso, nei castelli di Nozzano (Lucca) (figg. 23) e di Fénis (Aosta) (figg. 4-6), nonché nella rocca di Soncino (Cremona) (fig. 1 e figg. 7-9). Al contrario, per
un’indagine specifica, a Pompei e nelle antiche mura di Roma, del V secolo d.C., si rilevano merli con traverse di
protezione dal tiro laterale dell’avversario; a Rodi merli a triplice dentatura (fig. 10); nel Palazzo dei Papi ad
Avignone (fig. 11) merli su ampi archi di scarico longitudinali, paralleli al muro stesso e poggianti a loro volta su
ulteriori elementi di sostegno; infine nella rocca viscontea di Castell’Arquato (Piacenza) (fig. 1 e figg. 12-16),
ricostruita da Luchino e Galeazzo Maria nel 1410, nel Palazzo Pepoli a Bologna e nel Palazzo del Podestà di Firenze,
entrambi del Trecento, merli a filo di parete.
Merloni: parte superiore della muraglia interrotta per l'affaccio delle bocche da fuoco e arrotondata per resistere alle
cannonate e per deviare i colpi nella fortificazione moderna.
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MINA
Fig. 1. Treviso. Sbocco della biforcazione del cunicolo difensivo passante sotto il torrione di Santa Sofia (epoca
rinascimentale).
Significato Tecnica di assedio consistente nella escavazione, mediante picconi e barre metalliche, di gallerie
sotterranee al di sotto della cortina muraria della struttura difensiva da conquistare.
Origini ed evoluzione storica L'attacco mediante scavo di cunicoli sotto le fortificazioni nemiche, particolarmente
insidioso per i difensori e praticato in Francia già nella seconda metà del XII secolo, compare nell'Italia settentrionale,
e poi in quella meridionale, solo nei primi decenni del Trecento. Inizialmente affidato all'utilizzo di strumenti e
materiali semplici, facilmente reperibili nell'area oggetto degli scontri, subisce, nel corso dei secoli, trasformazioni
legate allo sviluppo dell'arte bellica e comporta continui adeguamenti delle strutture difensive alle nuove tecniche di
attacco, ma con l'avvento della polvere da sparo entra in disuso, a causa delle più rapide applicazioni di questa
invenzione, e viene citato dalle fonti documentarie sino agli assedi delle fortezze piemontesi nel Sei e Settecento.
Caratteristiche costruttive Le operazioni di mina si svolgono in due sole fasi: il lavoro di scavo e successivo
puntellamento dei cunicoli condotto dai genieri al lume di torce ed il momento in cui si appicca il fuoco ai puntelli.
La cava inizia, di solito, con un pozzo molto profondo proseguito con un cunicolo progressivamente risalente verso
l'obiettivo. Man mano che la galleria procede, la volta viene puntellata con travi di legno avvolte da fascine e
sterpaglie che, non appena completata l'operazione di scavo, vengono incendiati provocandone il crollo insieme al
tratto di mura sovrastante. Solitamente si ricorre a questa tecnica quando si vogliono far crollare le torri di difesa o
radere al suolo città o fortificazioni già conquistate. Tuttavia richiede tempo, personale specializzato e notevole
attenzione sia per la difficoltà di conservare l'orientamento dello scavo in galleria, sia per la possibilità, lasciata alla
difesa, di sentire gli inevitabili rumori prodotti dall'avanzamento dei lavori e quindi di controbatterli in tempo utile.
Al contrario, i vantaggi di un simile sistema di demolizione sono due: la rapidità di esecuzione e la produzione di
quantità notevoli di materiale di ingombro, tali da obbligare il nemico, qualora decida di liberare il terreno dalle rovine
per ricostruire un nuovo edificio, a frantumarlo in pezzi più minuti e, quindi, ad impiegare per i lavori più tempo del
previsto.
Rimedi contro la mina sono la scarpatura, ossia l'aggiunta di un muro inclinato alla base della cinta
muraria, oppure la cosiddetta contromina, vale a dire lo scavo di una galleria in grado di intercettare quella degli
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assedianti, nel tentativo di bloccarne l'avanzamento. Quest'ultima, in particolare, risulta spesso costituita da una
ragnatela di tessuti sotterranei, accessibili dalla "gola" del bastione, di sezione mediamente pari a 2 x 2 metri e serviti a
loro volta da un anello primario, contenuto nei contrafforti di scarpatura e tale da metterli in comunicazione con veri e
propri cunicoli di emergenza, protesi a spinapesce verso la campagna e percorribili solo strisciando. Talvolta, tuttavia,
l'avversario, invece di "controcavare" dall'interno, allaga inaspettatamente la cava in via di esecuzione con acqua
prelevata dalla cisterna o dal fossato e, così facendo, pur senza risolvere completamente il problema della difesa,
prende tempo ritardando l'attacco.
Esempi La natura non statica dell'opera fortificata descritta non consente, purtroppo, di citare esempi atti a
comprenderne esaurientemente le caratteristiche, ad eccezione della torre di Montecastrese, a Camaiore (Lucca) (fig.
7-10), nella quale sono ancora visibili le tracce lasciate da antiche operazioni di mina. Più documentabili i resti di
cunicoli e gallerie di contromina, ad esempio a Treviso (fig. 1 e figg. 2-3), Torino (fig. 4 e fig. 5), Firenze (fig. 6), e in
altre località.
MOTTA
Resti del castello di Restormel, in Cornovaglia, edificato su una motta.
Significato Il termine motta compare nel X secolo ed indica una collina artificiale eretta con il terreno di risulta
proveniente dallo scavo del fossato che circonda l’altura stessa ed il sistema di difese in terra e legno, più o meno
articolato e di forma solitamente circolare o ellittica, contenuto all’interno del recinto. Diffusosi dapprima nei
territori d’Oltralpe, a partire dal Duecento diventa comune anche nell’Italia settentrionale nella specifica accezione di
rialzo di terra dotato di struttura difensiva di non grande importanza e di forma anche poligonale, mentre, nel secolo
successivo, assume il significato specifico e particolare di abitato munito di nuova fortificazione e generalmente privo
di organi amministrativi, come testimoniano, a ricordo di ciò, toponimi quali Motta Visconti (Milano), Motta di
Livenza (Treviso), Motta Baluffi (Cremona), Motta Vagnoni (Torino).
Origini ed evoluzione storica Dopo un periodo iniziale di scarsa diffusione, la motta comincia ad imporsi a larga
scala nella prima metà dell’XI secolo e resta largamente in uso per tutto il Trecento, anche se con radicali
trasformazioni, come il restringimento dei grandi recinti tipici dell’epoca precedente, per poi divenire, nel XIV secolo,
parte o apprestamento difensivo del castello ad essa sussidiario, posto a distanza più o meno ravvicinata ed utilizzato
contemporaneamente durante le operazioni di difesa. Le ragioni della durata piuttosto limitata del ricorso a questo
insieme elementare di difese (essenzialmente tumuli di terra più o meno battuta), risiedono nel clima di generale
disorganizzazione e diffuso cattivo armamento europeo dal quale hanno origine. Tuttavia proprio dai primi esempi di
motta tronco-conica deriva l’espediente della torre centrale, quella che, successivamente, fornirà lo spunto per il
castello-torre normanno ed il dongione francese.
Caratteristiche costruttive Nell’arco di tempo che va dal X al XII secolo la realizzazione di edifici fortificati in
muratura è subordinata a quella delle difese in terra e legno che, pur essendo indubbiamente meno efficaci, risultano di
gran lunga più economiche e, soprattutto, più “flessibili” nell’organizzazione distributiva e nella varietà di tecniche
costruttive utilizzabili per la loro realizzazione. Questi presupposti sono alla base del ricorso alla tipologia difensiva
della motta, che in numerosi casi diventa anche, per la nobiltà feudale delle regioni italiane e centroeuropee, strumento
di potere dalla doppia funzione di mezzo difensivo contro possibili attacchi esterni e di valido simbolo di affermazione
sociale tanto sugli altri signori quanto sulla popolazione dell’area governata. Come primo atto, dunque, si provvede a
delimitare l’area ammassando una quantità di terra dalla forma tronco-piramidale del diametro variabile tra i 30 ed i
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300 metri ed altezza tra i 3 ed i 20 metri rispetto al piano di campagna, e a munirla scavandovi intorno un fossato il più
largo e profondo possibile e circondando il basamento di questo terrapieno con un recinto di assi di legno compatto
come un muro di pietra e, a seconda delle possibilità, con una o più torri disposte perimetralmente con funzione di
arricchimento della difesa. Successivamente, per dominare tutta la zona circostante, si edifica, all’interno e
tangenzialmente all’area munita, un secondo tronco di cono, anch’esso in terra ma più piccolo del primo e coronato da
una seconda palizzata legata alla prima e da una fortezza in struttura lignea (arcem), che funge da abitazione e rifugio
sicuro del signore ed è articolata in modo da garantire l’accesso alla porta d’ingresso alla motta solo attraverso un
ponte che, estendendosi sino all’estremità più lontana del fossato e appoggiandosi su coppie di pilastri in legno o
muratura collocati ad intervalli regolari, lo scavalchi e giunga all’altezza del terrapieno, toccandone l’estremità e
terminando direttamente dinanzi alla porta. È molto probabile che il fossato, nell’XI secolo, fosse difeso da una
palizzata e da una torre di legno e che, nel secolo successivo, le scarpate fossero progressivamente sostituite da cinte
in muratura e da una torre di fiancheggiamento.
Esempi Molti sono i resti di questo tipologia difensiva nei territori un tempo dominati dai normanni, specie in Gran
Bretagna - la motta normanna del XII sec. a Elsdon Castel, la motta con relativo castello di Restormel (figg. 1-2, 4-5),
e i castelli di Dover (fig. 6) e Windsor (figg. 7-9) - e nel nord della Francia; più scarsi quelli italiani, anche se il
Meridione, avendo subito l’invasione normanna, conserva numerosi toponimi legati a scarse tracce, come motta di San
Marco Argentano (figg. 10-11), Cosenza; motta di Scribla, Cosenza (figg. 12-14); motta Vaccarizza presso Troia,
Foggia; motta di Petralia Soprana, a sud-est di Cefalù, Palermo; i ponticelli di Segesta sul monte Barbaro, nel
trapanese.
Piombante (Difesa piombante): difesa esercitata manualmente dall'alto mediante la semplice caduta di oggetti
contundenti o di liquidi portati ad ebollizione.
PONTE LEVATOIO
Figg. 1-2. In alto, un modello di ponte levatoio; in basso, il ponte levatoio del castello di Romena (Pratovecchio,
Firenze).
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Significato Rafforzamento difensivo di strutture fortificate più o meno articolate consistente in un tavolato a ribalta
attraverso il fossato che frequentemente oltrepassa alto quanto la porta che va a chiudere, sostenuto con catene e
“bolzoni”, dotato di travi in bilico che ne permettono il sollevamento dall’interno della fortezza mediante un gioco di
minime differenze tra peso e contrappeso (solitamente una grossa pietra o cassoni pieni di sassi), e difeso, a sua volta,
da caditoie interne alle mura realizzate al di sopra dell’ingresso.
Origini ed evoluzione storica Il ponte levatoio, diffusosi in modo particolare a partire dal XII secolo, nasce
dall’esigenza di sopperire sia alla debolezza congenita delle porte di accesso ai complessi fortificati di una certa
importanza (vulnerabilità legata alla difficoltà di aprire brecce nelle mura) che alla incertezza di manovra delle
saracinesche a verricello. Tuttavia non è difficile trovare anche castelli di minore importanza arricchiti con porte e
ponti con difese multiple rappresentate, per esempio, da un ponte levatoio, da una saracinesca a scorrimento verticale
e da doppia porta a volante, tutti distanziati e azionabili in successione e secondo varie modalità.
Caratteristiche costruttive La rapida ed ampia diffusione del ponte levatoio permette di raggiungere in breve tempo
tecnologie quasi standardizzate e forme e dimensioni pressoché costanti. Nella maggior parte dei casi risulta, infatti,
largo da 3 a 3,5 metri e alto poco più di 5, azionato da due “bolzoni” nel caso generale di ponte carraio o da un solo
“bolzone” ed una “forcella” in ferro nel caso di “pusterle” pedonali aperte di dimensione ridotta, solitamente realizzate
a lato delle prime. Funzione del “bolzone” è fungere da contrappeso, per cui, alzandosi e disponendosi in una fessura
verticale appositamente predisposta sopra il fulcro, nello spessore murario soprastante la porta, rende possibile e rapida
l’apertura del ponte. Tipologie di ponte levatoio meno frequenti di quello “a contrappeso”, sono il ponte “a stadera”,
cioè autobilanciato in quanto metà all’interno e metà all’esterno della porta, ed il ponte detto “cascante”, perché, in
caso di apertura, fatto scivolare al di sotto della soglia della porta, dentro il fossato e contro la cortina muraria; in
quest’ultimo caso il vano della porta viene chiuso barricandone i soli battenti o la saracinesca. Nella maggior parte
dei casi il ponte levatoio serve a valicare il fossato realizzato intorno al complesso difensivo, ma poiché spesso non è
in grado, in virtù delle sole citate dimensioni, di offrire lunghezza sufficiente a raggiungere con un’unica campata la
riva opposta, solitamente poggia le estremità libere su una traversa intermedia, parallela alla porta e detta “battiponte”,
che consente di raggiungere la sponda con una o più campate di ponte fisso (in muratura o in legno) che, al momento
dell’attacco nemico, si possono smontare facilmente o addirittura distruggere con tiri praticati dalle bertesche
soprastanti l’entrata del castello.
Esempi La deperibilità del materiale con cui per secoli è stato realizzato e l’esposizione diretta ed immediata
all’attacco nemico cui è sempre stato soggetto hanno reso il ponte levatoio un elemento difensivo difficile da
conservare allo stato integro. Tuttavia laddove si conserva quasi intatto o ben restaurato, come nel castello di Romena
(figg. 1 e 7-9), presso Pratovecchio (Firenze), nel Castelvecchio di Verona (1354-75) (fig. 6), a Sirmione (figg. 3-5),
sul lago di Garda (castello, questo, costruito nel 1259 su resti romani), o ancora nella rocca marchigiana trecentesca di
Gradara, è difficile non avvertire il fascino della sua presenza. Nonostante tali sporadici casi, spesso - come nei
castelli toscani di Strozzavolpe (figg. 10-11) e Scarlino (figg. 12-13); in quello trentino di Ivano (figg. 15-16); in
quello svizzero di Bellinzona (fig. 14); in quelli di Fano (figg. 17-18) e Dozza (figg. 19-21): ma sono solo alcuni tra i
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possibili esempi - sono osservabili tracce della sua struttura e dell’elaborato apparato di carrucole, pesi e contrappesi
necessario al suo efficiente funzionamento.
PORTA
Figg. 1-2. In alto, un assedio medievale; in basso, il Crac des Chevaliers, Homs, Siria.
Significato Termine utilizzato, nelle opere di fortificazione, per indicare l'elemento architettonico studiato
appositamente per svolgere la duplice funzione di filtro dell'utenza ammessa all'interno dell'area protetta e di accesso
protetto ad una costruzione o ad una cinta urbana.
Origini ed evoluzione storica L'origine della porta (sempre nell'ambito difensivo) è antichissimo, tanto da poter
essere considerato insito alla nascita stessa di una qualsiasi fortificazione di tipo "chiuso". Dopo gli imponenti ed
accurati prototipi messi a punto nelle difese di epoca pre-classica, in area sia mediorientale che mediterranea, si
giunge, con l'Alto Medioevo, ad un utilizzo più specifico della porta come elemento di per sé munito grazie ad una
serie di accorgimenti tecnici di supporto alla difesa passiva offerta dalla massa muraria. Tuttavia il livello raggiunto
non è lo stesso degli esempi antichi, in quanto nelle case forti, nei castelli minori e nelle torri baronali il presidio è
spesso scarso, la sorpresa facile e gli effetti disperati. Di conseguenza ci si limita, solitamente, a realizzare a notevole
altezza una piccola apertura da utilizzare per introdurre rifornimenti con carrucole e alla quale accedere soltanto con
scale a pioli lasciate poi cadere o portate all'interno in caso di pericolo.
Per sopperire alla limitatezza di tale
soluzione difensiva, nella maggior parte dei castelli feudali dal XII al XIV secolo si entra, subito dopo la soglia, in un
atrio spazioso con doppia chiusura a comparto stagno che, per mezzo di una seconda porta situata di fronte alla prima
o spesso ad angolo con essa, immette nel vero e proprio cortile interno. Due o più caditoie praticate nella volta
dell'atrio d'ingresso o su una sua parete laterale danno poi modo ai difensori di attaccare chi, eventualmente forzato
l'accesso, comincia a svellere o a scardinare la seconda saracinesca.
La chiusura delle porte viene assicurata, come
in età romana, da un doppio ordine di cateratte manovrabili da un locale protetto ricavato sopra l'ingresso e di norma
staccato ed inaccessibile alle guardie che, così divise dal grosso delle forze, non possono accordarsi tra loro per tradire
gli ordini. Molto spesso, infine, le due porte risultano notevolmente distanziate l'una dall'altra, consentendo così
l'organizzazione migliore dell'uscita dei diversi gruppi di soldati, mentre particolari meccanismi combinati nell'atrio
rendono le stesse porte apribili in due momenti separati, ma con un'unica manovra alternata, per garantire
manualmente almeno una possibilità su due di sicurezza.
Caratteristiche costruttive Parte delicata e molto curata delle mura di cinta, la porta è difesa da alte cortine e da
anditi, è protetta, oltre al fossato, da opere esterne come i rivellini ed è munita di ponte levatoio. La storia antica
insegna che le porte di una qualsiasi fortificazione ne costituiscono il punto più debole e che per questo vanno protette
o munendole con più valide difese piombanti (cioè dall'alto) e con adeguate torri laterali oppure, più semplicemente,
collocandole in recessi delle mura opportunamente angolati tra loro, quando l'accesso non risulta condizionato da
speciali passaggi obbligati sotto tiro.
Nel Medioevo si assiste ad un utilizzo diffuso delle porte, per ragioni legate
ad un'arte bellica ancora abbastanza semplice e basata sull'assalto diretto.
La situazione più frequente è, tuttavia, la trasposizione pedissequa delle soluzioni utilizzate in edifici muniti di piccola
dimensione in altri organismi di maggiore importanza, con conseguenti inevitabili pericoli, perché in questi l'esigenza
principale da soddisfare è resistere a pressioni maggiori, continue, più articolate e meglio organizzate. In questi casi
si ricorre, quindi, ad angusti corridoi e porticine alte poco più di un metro, espedienti ottimi per rallentare ed arrestare
l'avanzata degli attaccanti, costretti a muoversi incolonnati, ma altrettanto d'intralcio per gli stessi difensori, ostacolati
nella corsa necessaria per rispondere ad inaspettati tentativi di breccia, nella possibilità di concentrare il fuoco dove
maggiormente necessario e nell'accumulo dei materiali e proiettili necessari al combattimento.
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Esempi Il Crac des Chevaliers ad Homs, in Siria, mostra la più ingegnosa serie di espedienti contro ogni eventuale
infiltrazione offensiva, che deve riuscire prima a passare sotto il fuoco delle feritoie poste a difesa dell'accesso esterno,
poi a forzare l'ingresso inferiore della fortezza, quindi inoltrarsi nella ripida galleria sotto un fitto fuoco piombante,
sostare necessariamente nello stretto gomito della galleria (a rischio di venire sorpresa alle spalle dal corpo di guardia)
ed infine riuscire a varcare la vera porta del castello. Il castello di Gioia del Colle (Bari) rappresenta il primo caso
pugliese di difesa piombante delle porte di accesso alla fortezza, costituita da doppie caditoie integrate nella cortina
muraria mediante beccatelli in pietra a mensole multiple sovrapposte.
Nel castello di Bari è possibile osservare la
sequenza delle due porte variamente angolate utilizzate come "filtro" prima del grande cortile interno. Una porte
munita ben conservata si trova a Loretello (Ancona), mentre nel fronte d'ingresso del castello medievale di Pozzolo
Formigaro (Alessandria), di epoca sforzesca, si apre un'altrettanto interessante porta carraia.
Nella fortezza di Lucera (Foggia) l'ingresso principale si apre lungo l'allineamento di un ridotto a livello della base
delle mura di cinta e la porta (con arco ribassato all'esterno e ogivale all'interno) occupa la rientranza del muro, con
una torre che la maschera in corrispondenza del fronte, interrompendolo, come accade in molti altri castelli francesi.
Puntone: torre ad angolo sporgente dalle mura verso l'assediante. Per lo più pentagona, è opera di transizione tra torri
e bastioni. Indicò all'inizio, nel sec. XV, il bastione stesso; se ne ricordano esempi antichissimi.
Pusterla: piccola porta, di solito soltanto pedonale, aperta nelle mura. Spesso laterale alle porte maggiori e con
propria levatoia.
Redondone: cordone orizzontale anti scalata posto nell'aggiunzione tra il tratto verticale della cortina e l'inizio della
scarpa.
RIVELLINO
Mezzaluna o Rivillino: elemento addizionale avanzato spesso a forma di semicerchio, anteposto e più basso della
cortina, che difende.
Modellino che riproduce un disegno di rivellino di Leonardo da Vinci (dal Museo della Scienza).
Significato Opera difensiva simile ad un piccolo castello indipendente dal resto della struttura che, costituendo
l’ampliamento turrito del battiponte (il sostegno verticale sul quale si congiungono le due metà del ponte levatoio),
difende la porta di accesso alla fortificazione da urti e tiri frontali e fornisce lateralmente un ottimo tiro fiancheggiante
per la difesa del fossato che domina.
Origini ed evoluzione storica Il rivellino, realizzato in posizione avanzata rispetto al perimetro murario esterno,
compare verso la metà del XV secolo come una piccola fortezza completa di espedienti di offesa e difesa e dalla forma
varia (triangolare, quadrata, a mezzaluna, pentagonale). È tuttavia nel XVI secolo che quest’opera assume una chiara
ed inconfondibile configurazione triangolare, affidata a due facce (e spesso anche a due fianchi) e ad una gola libera
aperta verso la piazza, con la quale comunica attraverso un cunicolo o un piccolo ponte volante. Divenuto elemento
di spicco della cosiddetta “architettura di transizione”, quella tipica delle fortezze nelle quali accanto a difese di tipo
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tradizionale vengono introdotte, nel Rinascimento, innovazioni indotte dall’ingresso delle armi da fuoco nell’arte
bellica, il rivellino continua ad essere introdotto per l’intera durata dei due secoli successivi, arricchendosi di sempre
più sofisticati espedienti difensivi e divenendo un elemento visivamente significativo in relazione all’intero complesso
fortificato.
Caratteristiche costruttive Fattore caratterizzante il rivellino è la versatilità del suo impianto, caratterizzato da
geometrie diversificate a seconda delle singole esigenze topografiche e difensive. Al loro interno, poi, le singole
tipologie d’impianto presentano un’ulteriore differenziazione legata all’evoluzione delle armi e delle tecniche di
combattimento, come testimonia l’impianto quattrocentesco a mezzaluna (opera esterna ad andamento semicircolare),
che nel secolo successivo compare con andamento triangolare all’esterno e semicircolare all’interno, mentre nel
Seicento prevede solo un unico andamento triangolare. Tra le varie geometrie utilizzate per il rivellino è quella
triangolare a riscuotere maggiore successo, in quanto in grado, più delle altre, di garantire una efficace difesa non solo
della propria struttura, ma anche del complesso fortificato vero e proprio situato in posizione più arretrata. Il suo
tracciamento si ottiene facendo centro sul vertice dell’angolo di fianco al bastione stesso con raggio pari alla distanza
da questo ed il vertice di spalla opposto, intersecando la perpendicolare e congiungendo tale punto di incontro con il
vertice. Spesso questo tipo di rivellino ha fianchi perpendicolari al tracciato della controscarpa, per meglio battere il
fossato circostante i bastioni, oppure è protetto verso l’interno da un ramo del fossato che si aggiunge a quello esterno
con relativi controscarpa, strada coperta e controspalto, complicando, così, l’andamento perimetrale delle mura ed il
labirinto dei fossati. Con criteri analoghi si arricchiscono ulteriormente gli angoli interni della strada coperta con
numerose piazze d’armi, orientate strategicamente contro il nemico e talvolta separate dal rivellino mediante un
ulteriore fossato. Nel ‘700 il rivellino si protende ancora di più in avanti con una forma molto snella e copre il
fianco del bastione, consentendo sia di battere il fianco dell’attaccante nella sua avanzata contro gli spalti sia di
riprenderlo sotto il tiro di rovescio, qualora fosse riuscito ad impadronirsene. Contemporaneamente si attribuisce
sempre maggiore importanza alle ridotte interne per cui, allo scopo di difendere il retro, si comincia a chiudere la gola,
ad aggiungere altre ridotte con tre facce in luogo di due e a realizzare pontili aerei e frequenti gallerie sotterranee di
collegamento con la tenaglia (un ulteriore apparato difensivo dalla forma richiamante l’omonimo strumento).
Esempi Rivellini triangolari esistevano già nell’XI secolo davanti alle porte della città di Milano. Nola, Crema,
Brescia e Parma ne presentano, nel Trecento, di semicircolari, mentre Genova e Lucca, nel Quattrocento, di quadrati.
Un esempio degno di attenzione particolare è il rivellino di Gallipoli (Lecce) che, costruito congiunto al castello nel
XVI secolo su progetto di Francesco di Giorgio Martini, presenta una mole notevole rispetto alla costruzione
principale ed una rarissima forma “a puntone” molto allungato con torrione all’estremità. Allo stesso architetto si
devono i rivellini di Monte S. Angelo (Foggia) e Fossombrone, e forse anche quello di Taranto, a pianta triangolare sul
mare, la cui cortina muraria viene innalzata come cassero o mastio e perciò sopraelevata rispetto ai volumi contigui.
Altrettanto degni di nota sono quelli dei castelli di Sirmione (provincia di Brescia), sul Lago di Garda, e Loretello
(provincia di Ancona), conservatisi quasi intatti.
ROCCA
Significato Sinonimo di rupe, il termine rocca
compare in origine con il significato di edificio
fortificato omogeneo a destinazione mista
(militare e residenziale), elevato su un’altura
rocciosa e munito di torre, ma successivamente,
trasformato dal processo semantico tipico di tutte
le lingue, viene utilizzato per designare, specie
nel Quattrocento (periodo del suo massimo
sviluppo), un castello di pianura con prevalente
funzione militare, destinato ad ospitare non più il
signore feudale, ma le truppe stanziate sul
territorio ed il loro comandante, e spesso
costruito ex novo come rinforzo della cinta
muraria cittadina già esistente. Esistono,
tuttavia, alcune località italiane nelle quali si
assiste, durante tutta l’età medievale, al
contemporaneo ricorso al termine rocca per
indicare tanto la vera e propria “fortezza” quanto
la “roccia” sulla quale sorge la costruzione, a
sottolinearne la posizione strategica.
La rocca di San Leo (Pesaro).
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Origini ed evoluzione storica L’utilizzo della rocca, durante il Medioevo, per scopi quasi esclusivamente militari fa
sì che le sue caratteristiche funzionali, strutturali e materiche non si differenzino tipologicamente da altri edifici
difensivi coevi, come i castelli e le fortezze. L’edificio presenta, quindi, pianta quadrata, rettangolare o, comunque,
regolare simmetrica e reca in corrispondenza degli angoli possenti torri cilindriche dette “rondelle”, di altezza pari a
quella delle mura, base scarpata e apparato aggettante (merli, beccatelli e caditoie) esteso a tutto il perimetro
difensivo. Il progressivo perfezionamento dell’arte bellica ed il sempre più esteso uso dell’artigliglieria rendono
necessario l’adeguamento delle costruzioni difensive alle nuove tecniche di guerra, per cui anche la rocca subisce una
evoluzione generale che trasforma l’edificio planivolumetricamente elementare delle origini in un complesso
variamente articolato. È quindi possibile stilarne una classificazione cronologica e tipologico-strutturale:
° rocca - torre: edificio semplice e serrato costituito da un blocco murario compatto contraddistinto da un rapporto con
l’abitato che è, contemporaneamente, di isolamento e di integrazione.
° rocca con recinto, torre e costruzioni annesse secondarie: complesso costituito da recinti dal profilo più o meno
regolare, con caseggiati diversi e, solitamente, una torre di altezza notevolmente maggiore rispetto alle altre
costruzioni e pianta quadrata o pentagonale, ubicata lungo uno dei lati del recinto o al centro per consentire il controllo
e la difesa di tutto il territorio circostante. In questo caso la residenza conserva uno spazio limitato e sicuramente
accessorio.
° rocca con recinto, torre ed organismi residenziali: organismi costruttivi ancora imperniati su una torre emergente,
ma dotati di edifici esclusivamente residenziali e situati al centro di un borgo abitato fortificato. All’interno del
complesso sono ricavati ambienti con funzioni diverse, mentre la torre, fondamentale per la difesa, si presenta in
alcuni casi ancora isolata o inserita nella cinta muraria esterna, più frequentemente, invece, collocata al centro del
complesso.
° rocca con recinto rettangolare ed organismi residenziali: complesso costituito da corpi eterogenei, distinguibile dalla
tipologia precedente per la presenza di un recinto piuttosto esteso, in genere di forma rettangolare secondo la
morfologia del sito, utilizzato come piazza d’armi interna all’area fortificata. I magazzini e gli ambienti residenziali,
disposti in serie fino a coprire i tre quarti del perimetro irregolare della cinta, presentano coperture voltate e sono
intervallati da archi, mentre i prospetti esterni, scanditi da vani murari e bifore, sono difesi da scarti di piani, aggetti e
scarpate.
° rocca con recinto, torre e palazzo: l’edificio principale, la rocca propriamente detta, presenta configurazione
morfologica unitaria, destinazione d’uso quasi esclusivamente residenziale e veste architettonica curata grazie ad un
sempre più marcato gusto per l’articolazione degli spazi e la presenza di notevoli elementi di finitura e di decorazione
muraria e scultorea. Di conseguenza ogni funzione difensiva viene riservata alla torre ed, in parte, al recinto, per cui
più che un esempio di ingegneria difensiva, in questo caso si può parlare di un tentativo di adattare la residenza
nobiliare alle esigenze fortificatorie.
° rocca a due componenti: questo esempio di architettura fortificata coniuga la compattezza delle forme regolari rese
necessarie dalle esigenze difensive con quelle residenziali di palazzo munito, per cui si presenta come un organismo
suddiviso in due corpi edilizi, specializzati uno nella funzione difensiva e l’altro in quella residenziale. Esternamente
l’aspetto severo e la continuità delle pareti piene rivelano la funzione eminentemente difensiva e di controllo della
costruzione, mentre, nel corpo residenziale, solitamente a due piani e copertura inclinata, prendono posto finestre più
ampie e vani dal profilo accurato ed elegante. Inoltre la parte difensiva, composta da un torrione, da un piazzale
esterno protetto da un recinto e da ambienti di servizio, funge da baluardo; quella residenziale si articola in spazi più
complessi e soluzioni formali più sofisticate. La scomparsa di uno dei due poli della rocca a due componenti può
avvenire a discapito sia della parte fortificata che di quella residenziale. Nel primo caso si ottiene una rocca-palazzo;
nel secondo, una rocca ad organismo compatto.
° rocca-palazzo: rappresenta la sintesi architettonica del motivo difensivo e di quello residenziale, con l’impiego di
torri aggettanti rispetto al filo dell’edificio, l’elegante paramento murario a vista e l’inserimento di vani sobri e
regolari.
° rocca ad organismo compatto: organismo omogeneo costituito da un insieme di elementi diversi come il mastio, le
torri angolari, i corpi residenziali ed altri annessi. In tal caso l’assimilazione comporta, solitamente, la riduzione o
l’annullamento del ruolo predominante del mastio, l’omologazione dimensionale ed architettonica di ogni parte del
complesso, una sempre maggiore rilevanza dei corpi residenziali e la scomparsa del recinto.
Caratteristiche costruttive Nella progettazione di una rocca l’obiettivo principale è ottenere la migliore profilatura
balistica possibile, per cui si attuano soluzioni tali da sfruttare, oltre alla resistenza propria offerta dai materiali da
costruzione, anche la forma stessa dell’edificio. Soluzioni tecniche desunte da tipologie difensive già ampiamente
sperimentate vengono dunque rivisitate ed aggiornate, come nel caso dei merli, non costruiti più alla vecchia maniera
in quanto non all’altezza di garantire un’adeguata protezione contro le nuove armi, o delle antiche torri, spesso
soppalcate in legno e dotate di una struttura troppo fragile, ora irrobustite per reggere alle sollecitazioni indotte dal
sempre più frequente utilizzo dei pezzi di artiglieria e dai complessi movimenti di caricamento delle armi.
Tuttavia il semplice adeguamento di apparati e mezzi finisce per rivelarsi insufficiente, per cui, a dispetto della sua
rapida diffusione, la rocca, con i suoi sempre più frequenti annessi, viene prima trasformata e poi, nel giro di mezzo
secolo, abbandonata. La soluzione difensiva ottimale viene, invece, individuata nelle difese ottenute con terra
pressata rivestite esternamente in mattoni o pietra “morta”, cioè una pietra che, se colpita da proiettili, produce una
quantità limitata di schegge. Ampi e spessi terrapieni sono infatti in grado sia di assorbire, con rischi limitati di crollo,
i proiettili di pietra o di ferro delle artiglierie avversarie che, non essendo ancora di tipo esplosivo, vi si conficcano
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senza provocare troppi danni, sia di allontanare il pericolo di eventuali facili sbrecciamenti e di fungere, per i difensori,
anche da stabile piattaforma per la manovra dei pesanti affusti di artiglieria. In questo caso si utilizza la terra di
riporto dello scavo del fossato come ulteriore protezione, per costruire una controscarpatura, o rialzo del terreno che
obblighi l’artiglieria assediante ad utilizzare una linea di tiro sfavorevole o ad avvicinarsi in modo pericoloso al
fossato.
Esempi L’impianto misto residenza-costruzione difensiva è chiaramente visibile nelle rocche laziali di Sermoneta
(fig. 2), Colleferro (fig. 3) e Ninfa (fig. 4), mentre la tipologia di rocca a due componenti trova l’esempio più
sofisticato e perfetto nel castello di Fondi (fig. 5).
Ben conservate sono le rocche di Imola (Bologna), Bardi
(Parma) (fig. 8), Soncino (Cremona) (fig. 9), Sarzanello (La Spezia) (fig. 10) e Rocchetta Sant’Antonio (Foggia) (fig.
12), ma particolarmente degne di nota sono: la rocca del Sasso di Montefeltro, che ben realizza le teorie degli architetti
quattrocenteschi; la rocca Pia di Tivoli (fig. 6), con strutture angolari basse e tozze; la rocca di San Leo (Pesaro) (fig.
1), costruita, nel 1479, sui resti di una roccaforte longobarda su progetto di Francesco di Giorgio Martini; la rocca
aragonese di Castiglione della Pescaia (Grosseto) (fig. 11), munita di torri angolari squadrate ed eretta su uno sperone
roccioso a picco sul mare; ed infine il castello-palazzo di Fontanellato (fig. 7), in Emilia, noto come “rocca dei
Sanvitale”. L'ultima immagine (fig. 13) esemplifica le strutture esterne ed interne di una rocca dell'arcipelago toscano.
Rondella: bastionetto tondo per lo più angolare
Scarpa: parete del fossato contro la piazza o aggiunta di muro inclinato posta alla base dell'opera fortificata allo
scopo di rinforzarla, annullare gli angoli morti antistanti, allontanare le torri mobili degli assedianti, diminuire il
pericolo delle mine sotterranee.
SCARPATURA
Particolare della Rocca di
Gradara (Pesaro-Urbino).
Significato Opera difensiva
consistente nell’integrazione o
nel semplice accostamento di
un muro inclinato alla base
della cinta muraria di una città
o di una fortificazione, allo
scopo sia di rafforzarne le
fondazioni ed aumentarne la
stabilità strutturale sia, nello
stesso tempo, di tenere a
maggior distanza possibile dal
perimetro murario torri
d’assedio e scale nemiche.
Origini ed evoluzione storica
Le prime scarpe alla base di
pareti esterne cominciano a
comparire nel Trecento, per
evitare che i proiettili
colpiscano frontalmente il muro, ma quasi contemporaneamente si comincia ad aumentare anche la pendenza
dell’elemento inclinato, al fine di ottenere la cosiddetta “incamiciatura di rinforzo”, cioè un irrobustimento della
struttura muraria introdotto tanto per contrastare la spinta della parte interna del terrapieno quanto per arrestare
l’eventuale avanzata delle mine sotterranee e l’uso dell’ariete. Questo accorgimento trova ampia applicazione nei
secoli successivi laddove ancora non presente e viene spesso accompagnato ad un ispessimento delle mura esterne
delle costruzioni. Nel Settecento, infine, si assiste alla diffusione di opere avanzate rispetto al fronte principale della
fortificazione dotate di scarpatura “a mezzo rivestimento”, vale a dire di murature rialzate solo fino alla cornice
interposta fra l’elemento inclinato e la parete verticale, in quanto l’esperienza ha dimostrato che le mura irrobustite
fino alla sommità cadono facilmente sotto i colpi avversari e fanno strada alle brecce.
Caratteristiche costruttive Nonostante l’alto costo di realizzazione, il muro di controscarpa, oltre agli intrinseci
vantaggi statici e strategici a corto raggio, consente spesso di raggiungere altri due obiettivi importanti per gli
assediati: rendere difficile la discesa del nemico (grazie anche alla previdente infissione di opportuni arpioni metallici
nella muratura) e permettere, una volta prolungata l’altezza della scarpa al di sopra del “redondone”, di elevare lo
spalto con il suo rinterro esterno, in modo da assicurare ulteriore protezione e defilamento ai muri della piazza
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antistante la fortezza. Nel XIV secolo, per impedire che la scarpatura faciliti la scalata delle mura da parte
dell’attaccante, si adotta il sistema di limitarla a due terzi dell’altezza della cortina e di inserire, sul bordo superiore
così individuato, un cordone lapideo di forma torica lievemente sporgente dal filo della parete soprastante (il
“redondone”), accorgimento che nel Cinquecento, con l’introduzione dei primi bastioni, verrà regolarmente adottato.
Come si rileva da alcuni trattati di architettura militare cinquecenteschi, il muro di scarpa è preferibile che sia alto
circa 10,40 metri e quello di controscarpa circa la metà, in quanto la difesa contro l’avversario schierato frontalmente
ad essi è assicurata dal “ramparo” (cioè dal piano superiore del terrapieno in cui si schierano le artiglierie) e dalla
cosiddetta strada coperta, una striscia di terra battuta, larga circa tre passi, creata intorno alla controscarpa con il
triplice scopo di permettere alle truppe, coperte dal rilievo dello spalto, di sorvegliare il piano di campagna esterno; di
provvedere ad una difesa radente e vicina, e di agevolare, infine, gli spostamenti laterali delle truppe ed il loro riordino
dopo le sortite.
Esempi I più antichi “terrapieni”, con la conseguente scarpatura del muro che li sostiene, si osservano lungo la cinta
urbana trecentesca di Monza e lungo quelle quattrocentesche di Bologna, Firenze (figg. 2-4), Pesaro, oltre che in
diverse strutture fortificate europee, ad esempio nei resti della motta normanna del castello gallese di Caernarfon (fig.
10). La semplice aggiunta di corpi bassi a formare la scarpatura è testimoniata ad Arpino (figg. 7-9), provincia di
Frosinone, mentre molto particolari sono le scarpature della Rocca Arcadia del castello di Gradara (e fig. 1), della
torre circolare del castello di Brescia, del castello di Montale (nelle Marche, provincia di Ancona) e di Castelnuovo a
Napoli, nel quale la soluzione al problema dell’avanzata delle mine sotterranee si unisce ad una raffinata decorazione
di elegante carattere aragonese. È, tuttavia, nelle grandi architetture difensive del Quattrocento e Cinquecento che la
scarpatura delle mura trova ampio utilizzo e sviluppo, soprattutto nelle fortezze progettate interamente o fortificate da
grandi architetti militari del calibro di Giuliano da Sangallo, Francesco di Giorgio Martini e Michelangelo Buonarroti
in varie località italiane, su incarico di principi o di importanti famiglie nobiliari. In questo contesto si inserisce la
rocca di Sora (figg. 5-6), nel Lazio, le cui strutture esterne vengono rafforzate nel ‘400 mediante una scarpa molto
accentuata
Spalto: fascia rilevata di terreno inclinato verso il nemico; protegge la strada coperta di controscarpa e la costeggia.
Spesso è forato con scale sotterranee e intervallato da piazze d'armi .
TORRE A PIANTA CIRCOLARE
Significato Opera edilizia introdotta nelle costruzioni
munite con funzione di arricchimento della difesa,
ottenuto sfruttando la linearità ed omogeneità della
geometria che, non presentando punti di discontinuità,
permette di ampliare il campo delle visuali e del tiro e
di resistere meglio inizialmente all’attacco dell’ariete e
delle grosse artiglierie da lancio e successivamente
(XV secolo) all’impatto dei proiettili dei cannoni.
Origini ed evoluzione storica La torre a pianta
circolare nasce nell’antichità, ma compare in forma
diffusa soltanto verso la fine delle Crociate, in
occasione delle quali emergono tutti i vantaggi legati
alla sua forma cilindrica rispetto a quelli offerti dalla
struttura parallelepipeda della più frequente torre a
pianta quadrata. In virtù delle prestazioni belliche
rese possibili dalla sua stessa natura, questa opera
munita continua ad essere utilizzata anche durante i
La torre della Leonessa nel castello angioino di
Lucera (Foggia).
secoli successivi, fino a costituire, con la dominazione
angioina dell’Italia Meridionale, un vero caposaldo del programma costruttivo reale, in quanto, ispessita rispetto agli
esempi precedenti ed arricchita, alla base, con mura a scarpa, risulta più adatta di altre tipologie al tiro di
fiancheggiamento. Sul finire del XIV secolo la torre a pianta circolare è ancora presente nell’arte edificatoria
militare, ma esclusivamente inserita agli angoli delle fortezze o delle cinte murarie e, per scopi tattici, con una
conformazione sempre più bassa, più ampia di diametro e più massiccia. Nonostante ciò, mutate le armi e le tecniche
di combattimento, la sua sagoma vistosa risulta ancora troppo esposta al tiro nemico, per cui si opta per soluzioni
difensive che offrono maggiori garanzie in caso di attacco, come, ad esempio, il bastione.
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Caratteristiche costruttive I primi esempi di torre a pianta circolare, con impianto-tipo caratterizzato dal diametro
compreso fra gli 8 ed i 10 metri, compaiono in area francese e di lì, grazie agli spostamenti delle maestranze chiamate
nei diversi cantieri dei regni, si diffondono nel Sud della penisola, con alcune eccezioni nel territorio laziale ed in altre
località settentrionali non collegate tra loro. A queste costruzioni, caratterizzate da mura robuste realizzate con
materiale omogeneo e quindi compositivamente alquanto tozze per ragioni funzionali, fanno seguito le torri di età
angioina, che, non dovendo temere l’effetto devastante delle artiglierie (ancora sconosciute), si presentano esili e
slanciate ed arricchite da un cordonato lapideo in rilievo - il “redondone” - nel punto di giunzione tra la base scarpata
e la parete verticale. Quando l’arte bellica comincia a modificare le tecniche di assalto, anche la difesa, prima di
riuscire a costruirne di nuovi, è costretta ad adeguare in tempi piuttosto brevi i mezzi in suo possesso, per cui cima le
torri, irrobustisce la base delle mura di cinta ed introduce espedienti che diminuiscono le probabilità di avvicinamento
del nemico alla fortezza.
In questo contesto, quindi, le torri a pianta circolare si presentano caratterizzate da:
spessore murario imponente, compreso fra i 4 ed i 5 metri; accesso costituito da un angusto passaggio alto mediamente
1,5 metri e largo circa 80 centimetri; poche finestre e feritoie strombate disposte su più livelli in funzione della
migliore possibilità di difesa. All’interno gli ambienti si dispongono su tre o quattro livelli, di cui solitamente il più
basso (talvolta anche al di sotto del piano di campagna) viene adibito a cisterna per la raccolta dell’acqua piovana e
quelli superiori vengono organizzati in modo da ospitare sale di rappresentanza e funzioni residenziali. Il
collegamento verticale è reso possibile, tra il piano terra ed il primo piano mediante una scala retraibile in caso di
pericolo, ai livelli superiori mediante anguste scale in muratura ricavate nello stesso spessore murario. In alcuni casi,
infine, si riscontra anche una porticina di emergenza che, attraverso un cunicolo coperto, collega la torre con la cinta
muraria che la fiancheggia.
Esempi Esaminando la dislocazione delle torri cilindriche nell’ambito dell’intero contesto europeo, si riscontra che
in nessun’altra nazione risultano numericamente rilevanti come in Italia ed in particolare in quella meridionale, anche
se non mancano esempi degni di nota anche in altre regioni, come le torri ben conservate del castello di Bracciano
(costruito nel 1470-1485), in provincia di Roma; la maestosa torre del castello di Rocca Grimalda (Alessandria), del
XIV secolo, alta più di 20 metri (figg. 2-3); la torre di Giglio Porto, primo nucleo abitato dell’isola toscana, e la Torre
Medicea, costruita tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, nella vicina baia di Campese (figg. 4-8) (Grosseto).
Particolarmente ricche di fascino sono, inoltre, le trecentesche torri, dette del “Salto” e del “Cavaliere”, del castello di
Oria (Brindisi) (figg. 9-10), che conservano l’altezza ed i beccatelli originari, la torre della Motta di San Marco
Argentano (Cosenza), la torre di Tricarico (figg. 11-12), in provincia di Matera, e quella della Mola di Gaeta a Formia
(Latina) (figg. 13-15). Famose, invece, sono le torri “della Regina” e “del Leone”, costruite, nel XIII secolo, nel lato
orientale delle mura del castello di Lucera (Foggia) (fig. 1) e rivestite con blocchi calcarei delle Murge accuratamente
scalpellati, nonché, sempre in provincia di Foggia, le tre torri di epoca angioina collocate negli angoli del perimetro
murario del castello di Manfredonia. Particolare per forma ed epoca di realizzazione è, infine, la torre cilindrica di
Bitonto (Bari), voluta dagli Angioini, e che, nota con il termine “castello”, ripete il tipo edilizio del donjon francese.
TORRE A PIANTA QUADRATA
Le torri di San
Gimignano (Siena).
Significato Il
termine turris viene
utilizzato dalle fonti
documentarie per
indicare tanto la
torre di cortina o
quella isolata
quanto la casa di
campagna in pietra
o il piccolo
fortilizio.
Origini ed
evoluzione storica
Nota anche come
casa forte, in
quanto
autosufficiente dal
punto di vista
difensivo, la torre a
pianta quadrata è
l’organismo architettonico per antonomasia dell’alto Medioevo e, per questo, segue le diverse tradizioni costruttive
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locali. Le sue dimensioni, soprattutto se paragonate a quelle delle torri edificate nei secoli successivi, risultano
piuttosto ridotte e pari, mediamente, a circa quattro metri per quattro in pianta e sei-sette metri in altezza. Quando il
piano terra viene utilizzato come cisterna d’acqua, particolarmente curato è il sistema di adduzione e di emissione
dell’acqua stessa, utilizzato, ove possibile, per mettere in movimento una vicina mola. Ai piani superiori, invece, la
costruzione è arricchita con strutture aggettanti rispetto al filo murario e coperture provvisorie in legno che rendono
attuabili azioni di difesa piombante. Pur non escludendo la funzione residenziale, a partire dal XII secolo le mutate
esigenze della difesa inducono trasformazioni sempre più vistose nella tipologia della torre a pianta quadrata e tali da
limitare la sua diffusione, insieme a quella della torre a pianta rettangolare, agli avamposti militari destinati ad
ospitare una sola guarnigione. Infatti la sua configurazione morfologica lascia verso l’esterno una porzione piuttosto
ampia di terreno preclusa al tiro dei difensori (il cosiddetto angolo morto), nella quale l’aggressore deve temere solo le
offese che provenivano dall’alto delle mura, per cui nel XV secolo si assiste alla completa sostituzione, nelle strutture
difensive, delle torri a pianta quadrata con quelle a pianta circolare.
Caratteristiche costruttive La torre a pianta quadrata, simbolo della cultura e della società medievale, presenta
solitamente pianta con lato di lunghezza variabile dai quattro agli otto metri e spessore compreso fra gli ottanta
centimetri ed i due metri e prospetti compatti di altezza proporzionale alla base (dai dodici ai trentacinque metri circa);
orizzontamenti interni consistenti, al piano terra e all’ultimo piano, rispettivamente in volte a botte e volte a crociera e,
ai livelli intermedi, in solai lignei; apparecchi murari, infine, realizzati con blocchi lapidei di varia natura e
dimensione, solitamente edificati con scarso impiego di malta. A livello del piano di campagna una cisterna
raccoglie l’acqua piovana; alcuni metri più in alto, per motivi di sicurezza, è ricavato l’unico ingresso, raggiungibile
solo mediante una scala di legno che può essere facilmente ritirata al suo interno in caso di necessità, mentre lungo
tutto il perimetro si aprono strette feritoie e balestriere ai livelli inferiori e, al contrario, più ampie finestre strombate
nei tratti centrali e sommitali dell’alzato. Le facciate sono alquanto simili, in quanto rispondenti ad
un’organizzazione rigorosamente simmetrica che trova giustificazione tanto nelle esigenze militari quanto in quelle
statiche ed impone la realizzazione di una struttura il più possibile equilibrata nella distribuzione dei carichi e nel
posizionamento delle bucature sia in pianta che in alzato. Elementi introdotti per intensificare la difesa possono
essere: l’attacco a terra a scarpa e l’ampia distribuzione di “buche pontate” (nelle quali incastrare le testate delle travi
di legno per realizzare quelle strutture oggi note come “ponteggi”) in posizione evidente, ma la costruzione è in grado
di difendersi già con la sua mole, i suoi spessori, la sua robustezza, tanto che, eccetto pochi esempi, non si riscontra
neanche la presenza di merlature, necessarie in futuro, ma pressoché inutili al momento, in quanto nessuna gittata, dal
basso, riesce ancora a raggiungere l’altezza del difensore, peraltro ben riparato dalla copertura.
Esempi Degne di nota sono la torre centrale di rocca Sillana e del castello di Ripafratta , entrambe in provincia di
Pisa, la torre di Casa Fagiolo a Malfolle (Marzabotto, Bologna), quella trecentesca di Cento nel Ferrarese, le torri
quattrocentesche di San Gimignano in provincia di Siena e quelle di Lugo, tenute dagli Estensi dal 1436 al 1579.
TORRE A CAVALIERA
Bovino, il castello. La torre «a cavaliere» vista da S-O così come si
presenta oggi, dopo notevoli trasformazioni connesse al suo
ininterrotto utilizzo nel corso dei secoli.
Significato Con questa espressione si indica una particolare tipologia
di torri circolari angolari che, realizzate in corrispondenza degli
spigoli formati dall’incontro di due cortine murarie piane inclinate a
scarpa, richiamano alla mente l’immagine di un cavaliere in sella al
proprio cavallo.
Origini ed evoluzione storica L’origine di questa particolare
tipologia costruttiva, propria solo delle costruzioni militari, risale
all’epoca delle Crociate (secoli XI-XIII), quando i territori siriani e
palestinesi vengono conquistati dalle milizie cristiane e muniti di
imponenti fortificazioni contro gli attacchi musulmani. In questa
occasione i costruttori europei danno prova di notevole competenza
nell’arte dell’edificare raggiungendo, in alcuni casi, livelli notevoli,
soprattutto nella realizzazione di particolari apparecchi murari e nella
lavorazione di superfici curve. Tuttavia la peculiarità di tali tecniche
costruttive, legate alla necessità di realizzare, in territori molto diversi
da quelli tipici degli scontri medievali, manufatti che con la sola
semplicità della forma e con la perfetta aderenza alle caratteristiche
morfologiche del sito fossero in grado di aumentare la percentuale di
vittoria sull’avversario, ha limitato notevolmente la diffusione delle
soluzioni sperimentate in Terrasanta, decretandone, così, il rapido e quasi inavvertito declino.
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Caratteristiche costruttive Le torri «a cavaliere» rappresentano una soluzione costruttiva insolita rispetto alle altre
tipologie di torri angolari per diversi motivi. Innanzitutto costituiscono un efficace apparato aggettante, capace sia di
garantire una buona copertura per il tiro di infilata sia di conservare un’ottima funzionalità per quello piombante. In
secondo luogo richiedono, per la loro costruzione, la soluzione di complessi problemi legati all’apparecchiatura dei
blocchi di pietra, che devono infatti contenere, nello stesso tempo, spinte verticali ed oblique, il che comporta talvolta
piani di posa opportunamente inclinati verso l’interno in luogo di quelli orizzontali. Inoltre, gli elementi lapidei che
appartengono contemporaneamente alla muratura a scarpa e a quella del cilindro verticale - e che risultano collocati
sull’ellisse d’intersezione - molto spesso devono essere progettati e realizzati fuori opera e solo successivamente
rifiniti in situ. Dagli studi condotti sugli esempi superstiti di tali manufatti e, più ampiamente, sugli organismi
difensivi dei quali sono parte integrante, emergono informazioni affidabili in merito alla configurazione architettonica
dell’impianto-tipo. Il primo atto insediativo consisteva nella scelta, per ovvi scopi strategici, di un luogo
sufficientemente rialzato rispetto all’area circostante, dopo di che si procedeva all’esecuzione di suture murarie tra le
rocce ed alla regolarizzazione dei loro differenti livelli per mezzo di localizzati riporti di terra e, in maniera più
limitata, di tagli. Sul costone roccioso che degradava verso valle, si articolava, quindi, la cortina muraria con tratti
rettilinei e torri, in numero variabile a seconda della conformazione del suolo e del rischio di attacco nemico e
sporgenti dalla scarpa della cortina stessa, mentre sui lati dove le pareti rocciose erano quasi a picco, si costruivano
murature con andamento verticale e senza alcuna torre o elemento fortificato sporgente. L’ingresso al castello, lungo il
lato meglio difendibile dall’uomo, era invece preceduto da una rampa più o meno articolata, sostenuta da muri adattati
anch’essi alla superficie rocciosa del terreno e coperta generalmente con volte accuratamente innestate tanto
reciprocamente quanto alle pareti verticali mediante conci lapidei perfettamente sagomati allo scopo. Il cassero, infine,
una sorta di torre-residenza destinata ad ospitare le principali autorità (a seconda dei casi militari o civili) presenti sul
posto, occupava un’area corrispondente a circa la metà della superficie di tutto il castello, strategicamente la meglio
protetta con i due lati corrispondenti ai tratti della cortina costruiti nella parte più scoscesa. Gli spessori dei muri in
elevato, variabili a seconda della peculiarità delle caratteristiche morfologiche dei punti di appoggio alla roccia e della
funzione che il muro doveva svolgere, venivano realizzati con la tecnica «a sacco», cioè esternamente con elementi da
spacco di dimensioni variabili, apparecchiati su piani di posa preferibilmente orizzontali, talvolta regolarizzati da più o
meno limitati strati di malta di allettamento, ed internamente con un riempimento, gettato in opera, costituito da malta
cementizia ed inerti di dimensioni variabili apparecchiati con una certa regolarità. Il frequente necessario ricorso a
consistenti getti di malta si giustifica considerando che i conci erano solitamente di taglia ridotta e non regolare, perché
quelli di taglia maggiore risultavano impiegati come elementi di cucitura d’angolo. Per la realizzazione dei solai si
ricorreva, infine, alla creazione di riseghe di profondità costante che, correndo su due lati paralleli o perimetralmente
ai vani da coprire, consentivano la posa in opera di tavolati sorretti da travi lignee opportunamente intestate negli
spessori murari sottostanti.
Esempi Gli esempi superstiti di torri «a cavaliere» non sono molti e risultano dislocati in diverse aree geografiche,
come a Marquab, in Siria (Torre dello Sperone), nel Crac des Chevaliers ad Homs (dove si possono ammirare le più
belle torri di questo tipo, costruite prevalentemente a ridosso di cortine murarie piane inclinate) (fig. 4), nel castello di
Amboise ed in quello di Coca a Segovia. I pochi esempi italiani sono, invece, singolarmente documentati nei castelli
di Termoli (fig. 2), Tufara (fig. 3), Bovino (fig. 1) e Roccamandolfi (fig. 5), tutte installazioni militari che, a loro volta,
presentano anche elementi di somiglianza con gli altri membri del sistema castellare bizantino esteso dalla Daunia al
Molise.
TORRE COSTIERA
Santa Cesarea Terme (Lecce): Torre
Sant'Emiliano.
Significato Costruzione difensiva sorta lungo le
coste del Centro e Sud Italia con l'intento non
solo di avvistare il nemico proveniente dal mare
in tempo utile per organizzare la difesa, ma di
impedirgli persino di toccare terra.
Origini ed evoluzione storica I primi esempi di
torre costiera risalgono all'epoca romana,
quando il ruolo centrale e lo sviluppo notevole
delle coste italiane, in rapporto all'intera area
mediterranea, diventano un problema strategicomilitare sempre più rilevante. In seguito al
costante incremento di incursioni nemiche, nel
VI secolo d. C., dopo la conquista bizantina del nord-Africa, si assiste ad una graduale e sistematica fortificazione
delle aree litoranee centro-meridionali italiane con un sistema organico di torri di vedetta e di avvistamento, spesso
edificate in prossimità di antiche torri romane ripristinate e riarmate. È a tale periodo, pertanto, che risalgono le
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cosiddette torri "semaforiche", utilizzate quotidianamente - e per un intervallo di tempo che copre l'arco dell'intera
giornata - per dare l'allarme in caso di avvistamento del nemico. Tuttavia è solo con la dominazione angioina che
questo impianto vive il periodo di massimo sviluppo, in quanto il litorale viene continuamente infestato dagli sbarchi
dei Turchi ed il ricorso all'intensificazione dei controlli del profilo costiero appare l'unica soluzione al problema.
Dopo una lunga fase di tregua apparente e relativa, la conquista ottomana di Costantinopoli (1453) e la nuova ondata
espansiva dell'Islam verso Occidente assurgono nuovamente la difesa dei litorali a problema di primaria importanza
per l'Italia meridionale, per cui si provvede nuovamente ad intensificare la presenza di torri costiere specie nelle aree
più esposte, come le coste calabresi. La stessa soluzione viene adoperata anche nel secolo successivo, quando
l'evoluzione dell'arte bellica ed il mutamento delle modalità di assalto dal mare rendono questa tipologia di costruzione
munita incapace di garantire una difesa efficace e costante. Il Governo spagnolo, infatti, arricchisce le coste
dall'Adriatico al Tirreno con nuove torri, affiancate alle precedenti allo scopo di creare un'ininterrotta catena difensiva,
e prepone al comando di ciascuna di quelle ubicate in posizioni strategiche un caporale (con qualifica di "castellano" e
raramente di "torriere") cui viene affidato il comando militare di un piccolo distaccamento di soldati e
l'amministrazione di tutto quanto costituisce la dotazione della costruzione stessa. In questo periodo, inoltre, accanto
alle torri cilindriche ne compaiono di quadrate, specie nei punti nevralgici e maggiormente esposti, denominate torri
"cavallare" perché poste sotto la guardia di un uomo a cavallo, in grado, quindi, di poter dare rapidamente l'allarme al
più vicino presidio militare. Nonostante ciò, salvo pochi casi particolari, le torri vengono fatte costruire con grande
parsimonia, sia per gli alti oneri che comportano sia per la frequente presenza di numerose città costiere fortificate a
distanza ravvicinata l'una dall'altra. Nel XVIII secolo, invece, oltre ad essere considerata elemento difensivo della
costa, la torre costiera viene utilizzata tanto come "sbarra" doganale, presidiata per impedire il contrabbando, quanto
come presidio sanitario.
Caratteristiche costruttive Da un punto di vista puramente tecnico la torre costiera non suscita molto più interesse
degli esempi più antichi latini ed etruschi, ma il suo valore risiede interamente nell'efficacia della funzione svolta e
nella necessità di saper offrire garanzie tangibili in qualunque momento si verifichi l'attacco nemico. L'avvicinamento
di navi sospette è, infatti, annunciato di giorno con l'elevazione di colonne di fumo, di notte con l'accensione di
fiaccole, il cui numero di fuochi deve essere pari al numero delle imbarcazioni nemiche avvistate. La tipica torre
costiera medievale, destinata ad ospitare una vedetta o un piccolo presidio militare, ha pianta quadrata (10 x 10 metri)
o rettangolare, con lati di dimensione compresa tra i 5/6 ed i 10/12 metri, basamento pieno di forma troncopiramidale,
mura in pietra sbozzata di spessore variabile dai 2 ai 4 metri, altezza fino a 20 metri, talvolta merlature alte anche 2,50
metri e copertura piana. Internamente si sviluppa in alcuni casi su un unico piano destinato ad ambiente anch'esso
unico, in altri su due o tre livelli, coperti a volta e destinati ad ospitare, in ordine crescente di altezza: la mangiatoia per
i cavalli ed il magazzino delle vettovaglie, l'alloggio e l'armamento, consistente in "colubrine", "petriere" ed un
fornello per le fumate ed i fuochi di segnalazione. L'accesso alla torre è consentito mediante una scala volante o fissa
ed un piccolo ponte levatoio collocati entrambi sulla parete a monte, poiché la parete rivolta verso il mare è cieca (dal
momento che è la più esposta al pericolo) e le due laterali sono munite solo di feritoie, mentre l'accesso al terrazzo è
sempre ricavato nello spessore della muratura, solitamente sopra la porta d'ingresso. Diffusa è la presenza di caditoie
che, realizzate quasi sempre negli sporti e nei ballatoi della "controscarpa", servono a riversare sugli assalitori sassi,
liquidi bollenti e materiale infiammato. Accanto alle torri a pianta quadrangolare, destinate non solo alla difesa, ma
anche al rifugio in caso di incursioni nemiche, sono presenti, fino alla metà del XVI secolo, le torri cilindriche o
tronco-coniche, di dimensioni inferiori rispetto a quelle a pianta regolare e spesso dotate di base scarpata, spessore
murario, in corrispondenza del piano terra, pari a circa tre metri e copertura a cupola ribassata. Spesso, in questi
esempi, al primo piano lo spessore dei muri arriva persino a dimezzarsi e a presentare anche una sola apertura in
corrispondenza del lato dal quale eseguire gli avvistamenti, mentre il coronamento presenta merlature esili ed alte indicativa della preesistenza della torre rispetto a quelle di nuova costruzione - caratterizzate da un'estrema semplicità
formale. La distanza tra le torri varia in funzione della morfologia della costa lungo la quale sono distribuite; in
particolare può raggiungere i 30 chilometri nel caso di zone concave di spiaggia o di coste rocciose senza insenature e
ridursi a circa 10 chilometri nel caso di costa frastagliata. Debite eccezioni sono costituite dai punti in cui deve essere
controllata e protetta la foce di un fiume o una sorgente d'acqua importante o, ancora, in corrispondenza di cale
profonde, dove si preferisce edificare una torre in più rispetto al numero previsto e al di fuori del "passo" costante
stabilito nelle aree limitrofe. In ogni caso non è la lunghezza del percorso interno attraverso sentieri o mulattiere il
fattore importante, ma piuttosto la distanza necessaria alla vista reciproca da un presidio all'altro, dato indispensabile,
questo, per garantire una efficace e reciproca segnalazione. Quando, al contrario, la costa è convessa, l'impianto può
essere di due tipi: "piatto" o "rilevato". Nel primo caso non è richiesta una presenza diffusa dell'impianto lungo il
litorale, a patto che manchi vegetazione a medio ed alto fusto; nel secondo, invece, e generalmente anche su terreni
scoscesi, il numero di torri va infittito, in quanto la costa è più battuta dal mare e più ricca di anfratti nei quali il
nemico può nascondersi in attesa di attaccare. In ogni caso, nell'eventualità si presentino difficoltà esecutive, nella
difesa c'è sempre la riserva dei "cavallari", che possono perlustrare i tratti di costa parzialmente o totalmente defilati.
Esempi Elencare singolarmente tutte le torri costiere è impresa impossibile in questa sede, data la notevole quantità
e diffusione di questa tipologia difensiva, per cui si fa generico riferimento agli esempi distribuiti strategicamente
lungo le coste della Spagna, della Calabria, della Sicilia, della Corsica, della Maremma toscana .
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