STAGIONE 2007-2008 DELIRI E ARMONIE Martedì 11 marzo 2008 ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Quartetto Rosamunde 16 Consiglieri di turno Direttore Artistico Mario Delli Ponti Luciano Martini Paolo Arcà Con il patrocinio di Con il contributo di Con il patrocinio e il contributo di Con il contributo di Sponsor istituzionali Con la partecipazione di Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di: • spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici; • limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...); • non lasciare la sala prima del congedo dell’artista. Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite, e che l’ingresso in sala a concerto iniziato è possibile solo durante gli applausi, salvo eccezioni consentite dagli artisti. Quartetto Rosamunde Andreas Reiner violino Diane Pascal violino Helmut Nicolai viola Anja Lechner violoncello Franz Joseph Haydn (Rohrau 1732 – Vienna 1809) Quartetto in re maggiore op. 76 n. 5 Hob.III.79 Thomas Larcher (Innsbruck 1963) Ixxu Intervallo Ludwig van Beethoven (Bonn 1770 – Vienna 1827) Quartetto n. 14 in do diesis minore op. 131 Il concerto è registrato da Franz Joseph Haydn Quartetto in re maggiore op. 76 n. 5 Hob.III.79 Allegretto – Allegro Largo. Cantabile e mesto Menuetto. Allegro Finale. Presto Al ritorno dal secondo soggiorno in Inghilterra, nel 1795, Haydn si trovò al servizio di un altro principe Esterházy, Nicolaus II, nipote del suo più importante protettore, Nicolaus I. L’anno precedente il nuovo Principe aveva scritto a Haydn per invitarlo a tornare al suo servizio come Kapellmeister, esprimendo il desiderio di formare di nuovo l’orchestra sciolta dal suo predecessore, il principe Anton. Haydn era stato congedato e percepiva un vitalizio, come segno di riconoscenza per i grandi servizi resi alla casa, quindi era un musicista del tutto libero e nessuno aveva il potere di farlo tornare dall’Inghilterra, dove la sua musica godeva in quegli anni di grandissimo successo. Benché all’inizio pensasse di rimanere a Londra, Haydn decise alla fine di accettare la proposta del principe Nicolaus II e accolse con gioia la proposta di tornare a Vienna. La capitale divenne d’ora in poi la sua residenza principale, dal momento che il giovane Principe preferiva di gran lunga la vita mondana della città all’isolamento della splendida corte del feudo, immersa nell’immobile scenario delle pianure ungheresi. Il castello di Esterháza, nel quale Haydn aveva trascorso la maggior parte della sua vita professionale, venne chiuso e la residenza principesca fu trasferita in parte a Vienna e in parte nel palazzo di famiglia a Eisenstadt. Negli anni successivi al ritorno da Londra, Haydn scrisse la serie di Quartetti dell’op. 76 e l’oratorio La creazione, che l’autore reputava la cosa migliore che avesse mai scritto. I sei nuovi Quartetti, però, benché pronti già nel 1797, non furono pubblicati fino al 1799, quando la casa editrice Longman Clementi & Co. a Londra e l’editore Artaria a Vienna misero in vendita quasi contemporaneamente l’intera op. 76 in due fascicoli. Il famoso connaisseur Charles Burney scrisse subito a Haydn da Chelsea, il 19 agosto 1799, per complimentarsi: «Ho avuto il grande piacere di ascoltare i vostri nuovi quartetti, ben eseguiti, prima di lasciare la città, e non ho mai ricevuto maggior piacere dalla musica strumentale». Nell’edizione di Vienna, l’op. 76 recava una dedica al conte Joseph Erdödy, che probabilmente aveva commissionato il lavoro. Benché la crisi economica e le spese di guerra avessero messo quasi in ginocchio la nobiltà viennese, la musica era ancora considerata un bene indispensabile. La nuova serie di Quartetti dimostrava l’inesauribile forza intellettuale di Haydn, che con le raccolte prece- denti dell’op. 71 e dell’op. 74 sembrava aver raggiunto il culmine della perfezione. Invece con il nuovo gruppo di Quartetti il vecchio compositore riusciva non solo a stupire il pubblico del suo tempo con una musica ancora fresca e piena d’idee, ma anche a spostare più avanti i confini del linguaggio musicale di quello che per convenzione viene definito lo stile classico. Il caso, come insegna H.C. Robbins Landon, “aveva ispirato i primi quartetti quarant’anni prima”, ma il genio di Haydn conferì a questo genere di lavori il compito di sperimentare ogni possibile alternativa ai cliché compositivi dominanti nella musica del suo tempo. I sei Quartetti dell’op. 76 non smentiscono il gusto ludico di Haydn per la sfida alle convenzioni. Uno degli aspetti certamente più interessanti del nuovo gruppo consiste nella maniera del tutto originale, per certi versi addirittura irriverente, di stabilire il rapporto tra la forma generale del lavoro e la forma sonata. Nel caso del Quartetto in re maggiore n. 5 la relazione tra queste due dimensioni dell’opera viene del tutto trasformata. Il Quartetto in re maggiore infatti sembra eludere il problema alla radice, presentando un primo movimento composto in una forma ternaria molto vicina alla variazione, contravvenendo alla consuetudine di iniziare un lavoro strumentale importante con una sonata. Il tema dell’“Allegretto” sembrerebbe indicare un carattere rustico e sognante, che viene ben presto smentito dalla trasformazione del tema nel modo minore. Questo nuovo episodio si svolge all’interno di un clima d’instabilità armonica e di nervosismo contrappuntistico culminante in una grande strappata su un accordo di mi bemolle maggiore, in fortissimo contrasto armonico e affettivo con l’ingenua semplicità del tema iniziale. Dall’aspro silenzio seguente, discende dolcemente un nuovo sentiero, che riporta gradualmente la musica a recuperare l’ingenua semplicità dell’inizio. Ma le sorprese non finiscono qui, perché l’ampia cadenza del violino conduce a un altro episodio, in tempo “Allegro”, il quale procura al movimento una coda trionfante e festosa, quasi un Alleluja profano per una modesta Cecchina dell’opera italiana. La forma più nobile è riservata invece al movimento lento. L’autore indica fin dall’intestazione non solo il tempo (“Largo”), ma anche il carattere (“Cantabile e mesto”). Il tema principale si sviluppa in una tonalità molto contrastante con il resto del Quartetto, fa diesis maggiore, ma appartiene in maniera inequivocabile al mondo del tema precedente. Entrambi scaturiscono infatti da un’identica testa, un intervallo di quarta in anacrusi, che fornirà del resto un marchio anche al tema del successivo “Menuetto”. Questa coerenza costituisce un aspetto sempre più marcato nella musica dell’ultimo Haydn, che cerca la maniera di conferire un carattere il più possibile organico alle sue composizioni. La parte che potremmo definire dello sviluppo, nel “Largo”, rappresenta una magnifica occasione per osservare la bottega compositiva di Haydn. Sfruttando nella maniera più naturale il processo di tensione del persorso armonico, Haydn ripete semplicemente il tema e rie- sce a conferire un carattere drammmatico all’arco dello sviluppo con la mera contrapposizione del modo maggiore e minore. Per ritrovare una scrittura altrettanto efficace ed economica di questo episodio, unico per spirito profetico nella produzione di Haydn, occorre attendere gli ultimi Quartetti di Beethoven. Thomas Larcher Ixxu Flüchtig, nervös Sehr schnell, präzise Ruhig Thomas Larcher figura tra i musicisti di spicco della nuova generazione di compositori austriaci, sebbene questo genere di suddivisioni nazionali abbiano perso oggi gran parte del loro significato. Tuttavia un legame con la grande tradizione musicale mitteleuropea forse si mantiene nella maniera estremamente puntigliosa di costruire le forme musicali, nonostante che la sua architettura sia spesso sconvolta con violenza dal rapido turbinare di vibranti passioni. Larcher possiede anche una solida formazione come pianista e la sua scrittura musicale risente in gran parte degli influssi di questo rapporto diretto con il patrimonio musicale. La formazione del quartetto d’archi costituisce uno dei media preferiti di Larcher, sin dagli inizi della sua produzione. Il suo primo lavoro di questo genere, intitolato Cold Farmer, risale infatti al 1990 e sgorgava dal desiderio di esprimere in maniera spontanea le proprie emozioni, dopo il lungo periodo di dominio sulla nuova musica delle correnti legate allo strutturalismo e alle forme d’arte concettuali. In contrasto con i precetti repressivi delle tendenze più rigorose della musica contemporanea, Larcher affidava al suono caldo e pastoso del quartetto d’archi il compito di esprimere le tensioni emotive del proprio mondo espressivo recuperando alcuni elementi caratteristici del linguaggio tradizionale di questa formazione. La distinzione tra voce principale e accompagnamento, il dialogo cantabile tra le parti, la contrapposizione di episodi ritmici e statici, la definizione di un colore tonale alle armonie costituiscono gli elementi principali della scrittura per quartetto di Larcher in questa prima fase del suo lavoro. La ricerca di un linguaggio originale all’interno di questa forma espressiva riprese diversi anni più tardi, quando Larcher iniziò a lavorare, nel 1998, su un secondo quartetto, che prende forma in maniera definitiva soltanto nel 2004. La versione finale del lavoro assume il titolo di Ixxu e viene registrata dal Quartetto Rosamunde l’anno successivo per la casa discografica Ecm, che aveva sviluppato nel frattempo un rapporto privilegiato sia con il compositore, sia con gli interpreti. L’origine di questo nuovo lavoro si trova ancora una volta nel desiderio di raggiungere una libertà di scrittura, che l’autore sentiva in quel momento minacciata. «Non avevo altra risorsa – spiega lo stesso Larcher – se non attaccare, più e più volte, la prigione del mio stile compositivo allora elaborato. Cercavo di liberarmene in maniera radicale, ma senza trovare una vera via d’uscita». Questa sensazione di lotta aspra e accanita rimane impressa all’ascolto di Ixxu, che sembra impiegare ogni risorsa del suono del quartetto per liberarsi dei frammenti del precedente lavoro, Cold Farmer, una congerie di resti fossili rimasti a ingombrare lo spazio della nuova forma. La permanenza di questo vecchio stile compositivo, distribuito lungo l’arco delle tre parti nelle quali si articola il lavoro, assume in certi momenti un carattere soffocante e si rispecchia nell’ossessivo ritorno al re diesis, inteso sia come nota singola, sia come tonalità. Il processo per liberare la scrittura dalla zavorra del proprio stesso stile è durato anni, durante i quali Larcher ha dovuto imparare a ripensare da capo tutto ciò che era stato fatto in precedenza, fino ad arrivare al punto di rimanere completamente disorientato di fronte al testo. In un certo senso l’autore sentiva la necessità di raggiungere per l’appunto questa sorta di grado zero della coscienza, per ritrovare di nuovo la condizione di completa pace interiore e di silenzio in grado di far nascere la musica. “Come se un quartetto d’archi fosse una testa con dentro quattro voci”, per usare un’immagine efficace del poeta Paul Griffiths. Ludwig van Beethoven Quartetto n. 14 in do diesis minore op. 131 n. 1 Adagio, ma non troppo e molto espressivo – n. 2 Allegro molto vivace – n. 3 Allegro moderato – n. 4 Andante, ma non troppo e molto cantabile – Più mosso – Andante moderato e lusinghiero – Adagio – Allegretto – Adagio, ma non troppo e semplice – Allegretto – n. 5 Presto – Molto poco adagio – n. 6 Adagio quasi un poco andante – n. 7 Allegro Il Quartetto in do diesis minore fu scritto tra la fine del 1825 e l’estate dell’anno successivo. Il lavoro reca il numero d’opus 131, sebbene sia posteriore al Quartetto in la minore op. 132, in quanto venne pubblicato dall’editore Schott di Magonza nel giugno 1827, mentre l’altro uscì presso l’editore Schlesinger di Berlino in settembre. Beethoven scomparve prima di poter assistere alla prima esecuzione del suo lavoro, che fu suonato per la prima volta il 5 giugno 1828 a Halberstadt dal Quartetto Müller, formato da quattro fratelli di una delle più prolifiche famiglie di musicisti della Sassonia. La magistrale padronanza della scrittura musicale consentì a Beethoven, nelle ultime opere e in particolare nella serie degli ultimi Quartetti, di trattare la forma con una libertà assoluta, lasciando sconcertati i suoi contemporanei non meno dei musicisti venuti dopo di lui. Una semplice occhiata alla struttura formale del Quartetto è sufficiente per capire quanto sia poco convenzionale la concezione di questo lavoro. In realtà, osservando con attenzione i processi che avvengono nel Quartetto in do diesis minore, balza all’occhio il desiderio di Beethoven di trovare un carattere assolutamente unitario. L’aspirazione a raggiungere un rapporto realmente organico tra le varie parti delle forme strumentali aveva costituito una delle preoccupazioni fondamentali non solo della musica di Beethoven, ma anche di quella di Mozart e di Haydn. L’ultimo Beethoven oltrepassa di gran lunga il confine al quale si erano fermati i predecessori, accettando l’idea di comporre musica non per i suoi contemporanei, bensì per i posteri. Liberato dalla necessità di scrivere musica comprensibile all’ascoltatore del suo tempo, Beethoven rinunciava a qualunque forma di approccio convenzionale, cercando di volta in volta le soluzioni che sembravano più appropriate ai problemi che si trovava di fronte. Vista sotto questa luce, la sequenza in apparenza frammentaria degli episodi del Quartetto in do diesis minore richiede semplicemente ai musicisti e agli ascoltatori di passare da un movimento all’altro, che Beethoven saggiamente indica con un numero, senza interrompere la concentrazione e riprendere fiato, come si usa fare di solito cambiando posizione sulla sedia, pulendo la gola con un colpo di tosse o accordando di nuovo lo strumento. L’autore voleva ottenere un senso di assoluta continuità, che nella dimensione della musica significa la ricerca di coerenti relazioni temporali all’interno dell’intero organismo. A parte questo aspetto, infatti, la musica non mostra di discostarsi in maniera clamorosa dall’articolazione consueta di un quartetto. In filigrana, la trama segue un percorso abbastanza riconoscibile. I nn. 1 e 2 formano una sorta di primo movimento, preceduto da un’introduzione lenta. Il n. 3 costituisce un breve episodio di transizione, che porta al complesso “Andante” del n. 4. Il “Presto” n. 5 ricopre il ruolo assai tipico dello scherzo, mentre l’“Allegro” n. 7 occupa il posto del Finale, preceduto anche in questo caso da un breve episodio di transizione di carattere meditativo (n. 6 “Adagio”). Quindi come si vede la spregiudicata forma scelta da Beethoven per questo lavoro mantiene un nesso logico con l’antica forma ben più saldo di quanto non appaia a prima vista. Il primo “movimento” è formato dai primi due numeri e nessuno dei due contie- ne una forma sonata. L’“Adagio” esprime con commovente mestizia un dolore irrimediabile, con un linguaggio del tutto influenzato dal contrappunto, senza giungere a definire una vera e propria fuga. Neppure l’“Allegro” successivo si discosta da una semplice forma ternaria. Il germe dialettico del contrasto consiste infatti non nella forma dei singoli elementi, quanto nella loro giustapposizione complessiva. La natura allo stesso tempo simile e opposta dei due numeri costituisce la trasfigurazione della forma sonata in una struttura dinamica svuotata della dimensione drammatica. Lo sviluppo tematico, ridotto quasi a zero, non rappresenta più il motore della forma. La tensione si esprime, per esempio, nella stridente contrapposizione delle tonalità, il do diesis minore dell’“Adagio” contro il re maggiore dell’“Allegro”, così come nel metro (in tempo tagliato l’uno, in 6/8 l’altro) e nello stile (contrappuntistico e moderno). Anche nel caso di questo lavoro, in maniera analoga a quanto avviene in diverse opere dell’ultimo periodo, Beethoven conferisce al movimento in forma di variazione un peso notevole. L’“Andante, ma non troppo e molto cantabile” n. 4 si sviluppa da un tema senza ombre, che conferisce all’intero numero una leggerezza campestre e un sorriso leggiadro di fanciulla. L’armonia di la maggiore rimane costante fino alla fine, senza neppure la canonica variazione in minore. La tonalità di la maggiore è in stretta relazione sia con l’“Allegro” precedente in re maggiore, sia con il successivo n. 5 “Presto” in mi maggiore. Quest’ultimo, una sorta di scherzo, rappresenta forse la cosa più vicina a una musica degli elfi che Beethoven abbia mai scritto. Di sicuro è stato una fonte d’ispirazione per le musiche del Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn. Solo arrivando al numero finale, “Allegro” n. 7, preceduto da un breve ma intenso “Adagio” (n. 6) in sol diesis minore, il progetto dell’intera forma prende corpo. Dopo aver evitato in ogni maniera la scrittura sonatistica nel corso dei movimenti precedenti, Beethoven corona il gigantesco blocco assemblato senza soluzione di continuità ritrovando la forma più connaturata al suo stile di musica, la sonata. Ogni tensione latente nelle varie forme attraversate in precedenza trova nel finale la soluzione, sia sul piano espressivo, sia su quello dialettico. Il finale del Quartetto in do diesis minore, con la sua potente forza espressiva e la sua chiarezza nello sciogliere gli enigmi accumulati nel processo degli avvenimenti, costituisce uno dei degli esempi più riusciti di compimento perfetto della traiettoria compositiva, iniziata sei numeri in precedenza. La dolorosa frase dell’inizio, che allora sembrava una domanda senza risposta, trova alla fine quello squarcio di cielo luminoso, al quale tendeva con penosa speranza. Oreste Bossini QUARTETTO ROSAMUNDE Dopo il debutto al Festival di Berlino nel 1992 e a Monaco di Baviera nel 1993, il Quartetto Rosamunde si è confermato tra i migliori e più innovativi quartetti per archi. I concerti per istituzioni musicali e festival di primo piano quali Herkulessaal a Monaco di Baviera, Wigmore Hall a Londra, Philharmonie a Berlino, Tonhalle a Zurigo, Concertgebouw di Amsterdam, festival di Bergen, Ludwigsburg, Schwetzingen, Stavanger, Wroclaw, Schleswig-Holstein, Mondsee, Schubertiade Schwarzenberg e Friburgo hanno avuto grande successo sia di pubblico sia di critica. I capolavori del periodo classico, ma anche curiosità e novità contemporanee formano il loro repertorio che spazia da Purcell a Haydn fino a Silvestrov, Mansurian, Larcher e alla musica del mito del bandoneon Dino Saluzzi, con il quale hanno dato vita al progetto “Kultrum”. Nell’estate 2007 ha eseguito l’integrale dei Quartetti di Schubert al Festival di Kuhmo in Finlandia. In ambito discografico, il Quartetto ha meritato una nomination al Grammy-Award per il CD dedicato a Silvestrov. Il CD con i Quartetti del compositore armeno Tigran Mansurian è stato presentato durante una tournée in Armenia con un concerto trasmesso in televisione dalla Eriwans Khatchaturian Hall. Nel 2006 ha pubblicato un CD dedicato al compositore austriaco Thomas Larcher che ha meritato il “Preis der deutschen Schallplattenkritik”. Il Quartetto ha inoltre realizzato il programma televisivo "Celibidaches Heritage - mit dem Rosamunde Quartett unterwegs" trasmesso in molti paesi del mondo. Il primo violino Andreas Reiner suona lo Stradivari "King Max-Joseph" del 1702. Il Quartetto è per la prima volta ospite della nostra Società. Prossimi concerti: martedì 18 marzo 2008, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Orchestre des Champs-Élysées Collegium Vocale Gent Philippe Herreweghe direttore Sine Bundgaard, Markus Werba solisti Da tempo i maggiori interpreti della musica del Seicento e del Settecento, abituati a un approccio scrupoloso con la lettura del testo e attenti a rispettare in maniera fedele le intenzioni dell’autore, hanno cominciato a confrontarsi anche con il repertorio dell’Ottocento, arricchendo questo patrimonio musicale con uno stile più fresco. Il direttore Philippe Herreweghe ha sempre manifestato un’inclinazione particolare verso un capolavoro umbratile e fortemente radicato nel mondo spirituale della Riforma come Ein deutsches Requiem di Brahms. Grazie al lavoro costante con i musicisti e i cantanti delle sue formazioni storiche, Herreweghe ha saputo conferire a questa solenne pagina una tinta unica per morbidezza e forza espressiva. Per completare questa pensosa riflessione sul tema della morte, il direttore ha scelto di accostare al Requiem il primo lavoro per orchestra di Mahler, Totenfeier, spunto precoce della futura Sinfonia n. 2 “Resurrezione”. Programma (Discografia minima) G. Mahler Totenfeier (Royal Concertgebouw Orchestra, Riccardo Chailly, DECCA 470283 2) J. Brahms Ein deutsches Requiem (Collegium Vocale Gent, Orchestre des Champs-Élysées, Philippe Herreweghe Harmonia Mundi HMC 901608) martedì 1° aprile 2008, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Leif Ove Andsnes pianoforte Bach, Beethoven, Sibelius, Grieg, Debussy Il programma di sala dei concerti in versione pdf è disponibile sul nostro sito, www.quartettomilano.it, dal venerdì pomeriggio precedente il concerto. Società del Quartetto di Milano via Durini 24 - 20122 Milano tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281 www.quartettomilano.it e-mail: [email protected] STRESA FESTIVAL 2008 L’accordo preso fra la Società del Quartetto e il Festival delle Settimane Musicali di Stresa e del Lago Maggiore consentirà anche quest’anno ai Soci di accedere a tutti i concerti del Festival con una riduzione del 30%. I concerti del Festival, giunto alla 47a edizione, si svolgono quest’anno dal 15 al 22 marzo (concerti di Pasqua), dal 2 all'11 maggio (concerti di Primavera) e poi nel mese di agosto. I biglietti ridotti devono essere prenotati via fax o per posta direttamente alla segreteria del Festival (tel. 0323 31095 / 30459 - [email protected] www.stresafestival.eu) QUARTETTO PER BRERA Il prossimo appuntamento con Quartetto per Brera è previsto per sabato 15 marzo, alle ore 17 nella Sala VIII della Pinacoteca di Brera con “Follia di Spagna”, il concerto del clavicembalista Ruggero Laganà. Ingresso alla Pinacoteca e al concerto € 5. I primi 20 Soci che acquisteranno il biglietto avranno un posto riservato nelle prime file. Per informazioni e prenotazioni rivolgersi alla segreteria della Società (tel. 02 795.393, [email protected]). QUARTETTO PER LA GIOVANE EUROPA Lunedì 17 marzo, alle ore 20 nella Sala Piccola del Teatro Dal Verme si esibirà il Galatea Quartett segnalato dal ISR – Centro culturale svizzero di Milano per la quinta edizione di Quartetto per la Giovane Europa in Musica realizzata grazie al sostegno della Fondazione Giancarlo ed Etta Rusconi e della Banca Intermobiliare. Posto unico € 5, Soci del Quartetto € 2.