Dalla psicoanalisi ad oggi

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Fabio Vanni
Dalla psicoanalisi ad oggi
Penso possa essere interessante all'interno di questo corso fare un breve excursus storico
sull’evoluzione della psicoanalisi, o dalla psicoanalisi.
I modelli scientifici evolvono nel tempo ed arrivano anche a trasformarsi radicalmente
attraverso processi piuttosto complicati.
Si possono descrivere questi processi dall’interno, attraverso una disamina delle idee
emergenti e di quelle caduche, dei movimenti e dei nodi teorici; ma si possono anche
descrivere i processi evolutivi di una disciplina attraverso la sua interazione con il mondo
esterno, sia inteso come ‘il resto del mondo culturale e scientifico’ sia inteso come la
realtà fattuale della quale essa si occupa.
La cosa migliore, più esaustiva, è provare ad intrecciare queste due dimensioni internoesterno, ma naturalmente è anche la cosa più complessa. Proviamoci.
Nel caso di quel dominio del sapere che più di un secolo fa si chiamava ‘psicoanalisi’, ve
lo anticipo, proveremo a mostrare che ha oggi davvero poco in comune con il suo punto
di partenza, ma forse sarebbe più esatto dire, se non pecco di ottimismo, che ha
mantenuto le cose migliori ed ha buttato ciò che poteva essere lasciato per strada.
Se partiamo dalla base fattuale della psicoanalisi possiamo intanto dire che essa in
origine era alquanto circoscritta: Freud fonda le sue ipotesi sul funzionamento psichico
su una pratica clinica che comprendeva all’inizio una ben selezionata clientela. Egli
utilizza i metodi che aveva appreso nelle sue frequentazioni francesi e nei suoi scambi
epistolari con colleghi con lui sintonici: parte dall’ipnosi e poi inventa un metodo rimasto
famoso: ‘le libere associazioni’, ma soprattutto costruisce un modello della psiche che
vuol avere, fin da subito, una portata generale.
La base fattuale quindi è circoscritta ma l'ambizione è di costituire un nuovo dominio del
sapere sull'essere umano. Prima, nel ‘Progetto di una psicologia’, opera pubblicata
postuma, egli, a dispetto del nome, ipotizza un modello neurologico del funzionamento
psichico ma, non a caso, non lo pubblica. Qualche anno dopo, nel ’99, descrive invece
un modello psicologico (7° capitolo de ‘L’interpretazione dei sogni’) e a questa scelta di
campo si atterrà, non senza qualche rimpianto, fino alla fine dei suoi giorni. Nei decenni
successivi introdurrà infatti, in modo più o meno sistematico ed a più riprese, nuovi
concetti teorici che non stravolgeranno però l’impostazione di fondo pur apportando
ampi correttivi e complessificazioni.
Un punto vorrei richiamare alla vostra attenzione: egli costruisce una 'psicologia
generale', così scrive nel ’95 nel ‘Progetto’ a partire da, tutto sommato, pochi casi clinici.
E’ un punto molto importante perché contiene quattro questioni che condizioneranno,
nel bene e nel male, tutta la psicoanalisi del ‘900:
- La fondazione della psicoanalisi all’interno del contesto della cura,
- La limitatezza della base fattuale
- La psicopatologia come terreno di osservazione, ma
- L’ambizione ad un modello generale del funzionamento psichico
Freud allargherà man mano la sua casistica, e dopo di lui i suoi epigoni. Dalle isteriche
iniziali si occuperà di quadri paranoidi, di depressioni, etc e modificherà il suo modello
provando ad introdurre idee che spieghino meglio ciò che altrimenti non riusciva a
spiegare.
Egli era partito da una concezione totalmente intrapsichica del funzionamento, ma
quando si occupa di patologie più gravi introduce un secondo asse esplicativo, accanto a
quello sessualità-difesa, l’asse Io-oggetto. Lo fa in maniera tale da non modificare i suoi
assunti epistemici e saranno solo i suoi successori che porteranno avanti in maniera più
determinata questa prospettiva mettendo al centro della scena teorica il concetto di
relazione, concetto che per Freud è comunque assai subordinato alla dimensione
intrapsichica. La relazione per lui è solo un’occasione di manifestazione di quanto
avviene a livello intrapsichico.
L’allargamento della base fattuale clinica prosegue con gli psicoanalisti che, a partire dagli
anni venti e trenta, si interessano di universi che Freud aveva solo trattato in maniera
indiretta: le psicosi, i bambini, etc
Fino agli anni trenta infatti la teoria psicoanalitica, che dava un grande rilievo alla storia
evolutiva e che collocava nell’infanzia il momento costitutivo dell’individuo adulto, aveva
conosciuto i bambini solo dai racconti degli adulti.
Fu con M. Klein, A. Freud, sua figlia, e poi D. Winnicott, che i bambini vennero visti
direttamente e curati con metodologia psicoanalitica.
L'osservazione diretta dei bambini, di bambini disturbati, amplia la casistica e spinge gli
psicoanalisti a ripensare i modelli teorici.
Per esempio, per Freud, il complesso edipico, che raggiungeva il suo climax intorno ai
cinque-sei anni, era un momento centrale nella strutturazione della patologia.
L'osservazione delle patologie gravi e dei bambini induce a sviluppare l'idea che alcune
questioni costitutive della psiche hanno luogo già prima, fin dai primi mesi ed anni di
vita, in epoca, come si dice, pre-edipica. Alcuni autori arrivano a dare rilievo fondativo
addirittura all'epoca prenatale e perinatale (O. Rank).
Nell'ambito dello studio dei bambini vengono in realtà introdotti strumenti osservativi
che riguardano l'infanzia normale ('Infant Observation') e metodiche cliniche del tutto
peculiari. I bambini non si siedono sul lettino per fare libere associazioni. Giocano con
l'analista piuttosto e la terapia con loro prevede un mix di azioni ludiche e di pensiero
che viene scambiato fra i due.
Anche il ruolo dei genitori viene discusso ed introdotto in varie forme.
Anche grazie alle patologie gravi la psicoanalisi è costretta a confrontarsi con la scarsa
capacità esplicativa dei modelli esistenti e con l'esigenza di immaginarne di nuovi, ma
anche i modi di lavorare saranno necessariamente diversi. Anche qui il vis a vis
sostituisce spesso il lettino; ma metodi assai più innovativi giungono ad essere
sperimentati nel secondo dopo guerra: i gruppi e le comunità.
E' la psicoanalisi inglese che fornisce i contributi più importanti, forse anche perchè in
Gran Bretagna e negli Stati Uniti si erano trasferiti molti degli psicoanalisti del
continente, a partire da Freud stesso, che morirà a Londra nel 1939.
Il gruppo nasce per una ragione molto semplice: si curano più persone insieme e dunque
con meno costi e con la possibilità di utilizzare i pochi professionisti capaci a fronte del
grande bisogno di cura che la guerra aveva lasciato dietro di sè. W. Bion, e poi S.E.
Foulkes sono due autori che sviluppano la metodologia gruppale, che ha oggi ampia
diffusione, dandole dignità di opzione clinica.
Molti concetti nuovi nascono dalla riflessione di questi autori e la psicoanalisi allarga
quindi sia i tipi di pazienti dei quali si occupa sia le tecniche che può utilizzare.
Sempre in Gran Bretagna nascono le prime comunità terapeutiche che avranno poi
grandi sviluppi applicativi sia rispetto alle patologie gravi che con i tossicodipendenti,
categoria clinica che emerge con prepotenza nell'ultimo quarto del secolo scorso.
Ma come vedete il metodo psicoanalitico, fino ad una trentina d'anni fa, segue la stessa
logica: esso si fonda sulla clinica e sviluppa i concetti utili a spiegare i fenomeni della
psicopatologia. E’ quello che Freud chiama lo junktim, il 'legame inscindibile' fra clinica
e teoria, un legame che diviene vieppiù angusto ed infine soffocante.
Freud in realtà, e dopo di lui altri analisti (E. Kris, per esempio), utilizzano la psicoanalisi
per interpretare altri aspetti del comportamento umano, dai motti di spirito, ai lapsus, ai
sogni, ai fenomeni culturali e sociali ed infine le produzioni artistiche e cinematografiche,
ma queste operazioni erano sostanzialmente delle applicazioni del sapere psicoanalitico a
questi contenuti senza attribuire a questo tipo di relazione un potere costitutivo della
teoria, teoria che rimaneva costruita sulla clinica e sulla patologia.
Siamo ancora lontani quindi, quando gli 'Studi sull'isteria' compiono cent'anni, dalla
realizzazione del programma scientifico che Freud aveva enunciato: la costruzione di una
psicologia generale.
La psicoanalisi della seconda metà del novecento è affiancata da modelli teorici e
metodologie cliniche diverse (il comportamentismo, il cognitivismo, la teoria dei sistemi,
la psicologia umanistica, per citare solo le grandi scuole di pensiero) ed al suo interno
stesso il pensiero che in origine era detenuto da un unico autore, Freud, diviene
appannaggio di molti personaggi che sviluppano sistemi teorici e metodi clinici diversi e,
a volte, conflittualmente contrapposti.
Inoltre la filosofia della scienza sottopone a critica molta parte della psicoanalisi
tradizionale, le conoscenze scientifiche relative al cervello umano si sviluppano in
maniera considerevole, il sistema economico e culturale, sempre più interconnesso e
mondializzato, chiede sempre più efficacia dimostrabile e risultati tangibili.
Vengono sviluppati modelli teorici psicoanalitici per spiegare il funzionamento familiare,
di coppia e dell’adolescenza, ma soprattutto vi è una progressiva permeabilità dei
modelli scientifici.
Negli anni ’80 del secolo scorso la ricerca clinica e quella sperimentale relativa al
bambino trovano una relazione feconda: l’”Infant Research”.
Il ‘bambino clinico’ ed il ‘bambino osservato’, per usare la nota espressione di Daniel
Stern, lasciano il campo allo studio integrato ed unitario del bambino. Studi successivi di
ricercatori come Donnel Stern ed E.Z. Tronick, danno fondamento ad una nuova clinica
dell’infanzia e potenzialmente a nuove pratiche educative maggiormente fondate sul
piano scientifico.
Trova qui spazio una mole di dati di natura non clinica e dunque relativa al bambino
come persona che fa da correttivo alle deformazioni adultomorfiche e patomorfiche
(E. Peterfreund) della prima psicoanalisi.
Anche per l’età adolescenziale, per decenni lasciata a margine della psicoanalisi,
diventa possibile integrare dati e modelli non clinici con le conoscenze che man mano si
sono sviluppate relativamente alle condizioni psicopatologiche, all’antisocialità, alla
tossicofilia,
rendendo
possibile
adolescenziale e giovanile.
una
comprensione più equilibrata
dell’epoca
L’abbandono dell’opzione che collocava in maniera pressoché esclusiva la costruzione
dell’apparato psichico nell’infanzia e la sua riparazione all’età adulta consente di
considerare l’adolescenza come un’epoca di grande plasticità e potenzialità terapeutica.
Dal punto di vista dei modelli teorici prevalenti, quindi con uno sguardo più
dall’interno, potrebbe essere utile rileggere la storia della psicoanalisi alla luce della
classica tassonomia di S. Mitchell e J.R. Greenberg che descrive una prima parte della
storia della psicoanalisi nella quale la spiegazione del comportamento umano veniva
collocata all’interno dell’individuo, nelle pulsioni e negli equilibri energetici intrapsichici,
nella conflittualità fra istanze psichiche presenti nel soggetto (‘Modelli del conflitto’); in
un secondo momento, anche in relazione allo studio di soggetti più gravemente
patologici, il pendolo esplicativo si è collocato su un piano più orizzontale, dando
maggiore importanza nell'eziopatogenesi dei disturbi alle carenze di cure realmente
avvenute nella storia individuale precoce (‘Modelli del deficit’).
Vi è infine l’emergere di ‘modelli relazionali’ che tentano di superare la dicotomia fra
una causalità interna ed una esterna a favore di una visione che individua nella relazione
il momento costitutivo e potenzialmente ridefinitorio nella storia dell’individuo.
Ma gli sviluppi più recenti che provano ad integrare idee derivate dalla teoria
dell’attaccamento, dalle neuroscienze, dalla ricerca sperimentale e clinica, sembra portino
a convergere su meta-modelli come i Sistemi Dinamici Non Lineari o la Psicopatologia
Evolutiva che, salvando l’originaria intuizione freudiana della necessità di costituire una
teoria generale della persona, sembrano lasciare maggiormente sullo sfondo le
appartenenze e gli steccati di scuola, o almeno questo è quello che auspichiamo e
perseguiamo, a favore di una disponibilità ad utilizzare pensieri più capaci di dar conto
della complessità dell’essere umano inserito nel suo ecosistema. (E. Morin).
Delle quattro questioni che hanno orientato la psicoanalisi del ‘900:
- La fondazione della psicoanalisi all’interno del contesto della cura,
- La limitatezza della base fattuale
- La psicopatologia come terreno di osservazione
- L’ambizione ad un modello generale del funzionamento psichico
all’inizio del terzo millennio possiamo dire che la disciplina post-psicoanalitica
mantiene l’ambizione ad un modello generale del funzionamento della persona e di
conseguenza
sostiene
l’ampliamento
della
dimensione
applicativa
oltre
la
psicopatologia, che pure è affrontata in tutti i suoi aspetti ed in tutte le epoche della
vita, ad orientare le pratiche della consultazione ma anche ad informare le metodiche
educative dell’infanzia ed adolescenza ed oltre.
La base fattuale è oramai amplissima, come si conviene ad un modello che voglia avere
portata generale, e la sua capacità di rispondere ai criteri della verifica di efficacia è più
che soddisfacente.
Le tecniche sono peraltro assai variegate (individuale, di coppia, familiare, di gruppo) e
con numerose varianti interne ad ognuna di esse da declinare in relazione alle peculiarità
dell'essere umano che ne usufruisce.
Cosa resta dunque oggi della psicoanalisi in tutto ciò? Direi che è una domanda di scarsa
importanza.
Venerdì 13 marzo 2009
Università di Parma, Facoltà di Psicologia
Corso di Psicologia Dinamica (prof.ssa V. Bozzuffi)
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