ASPETTATIVE SU DI SÉ E AZIONE NEL RITARDO MENTALE: LO SVILUPPO DEL SENSO DI AUTOEFFICACIA ATTRAVERSO LA T.O. Intervento al Convegno “Teoria e Prassi della Terapia Occupazionale” Ercolano (NA) 25-26 ottobre 2003 1 D’Ambrosio M., 2 Scuccimarra G., 3 Vertucci P. Riassunto Gli autori, dopo avere illustrato il concetto di autoefficacia e le sue implicazioni sui comportamenti adattivi, si soffermano sui rapporti tra Ritardo Mentale e senso di autoefficacia e sull’importanza, che può avere la Terapia Occupazionale nella ristrutturazione e nel rafforzamento della self-eccicacy. Essi, inoltre, presentano gli aspetti metodologici di un’esperienza realizzata presso il Centro Medico-Riabilitativo “Antoniano” nel trattamento abilitativo di adolescenti con Ritardo Mentale, nella quale si è cercato di elaborare strumenti di valutazione per la programmazione degli interventi rivolti ad incidere in modo significativo sul senso di autoefficacia. Summary. The authors describe the concept of self-efficacy and its implications on the adaptive behavior. Therefore, they analyze the relationship between Mental Retardation and self-efficacy and emphasize the important part played by Occupational Therapy in the reorganization and the reinforcement of sense of self-efficacy. Methodological aspects of the management of adolescents with Mental Retardation, that performed in Rehabilitation Center “Antoniano” in order to reorganize the sense of self-efficacy, are described Introduzione Nella teoria relativa all’autoefficacia (self efficacy), Bandura (1977,1982,1986) concepisce la mente come un sistema proattivo in grado di produrre un’azione trasformativa nei confronti dell’ambiente e del soggetto. Egli ritiene, cioè, che la consapevolezza da parte dell’individuo di poter influenzare gli eventi, consente di considerarli in maniera vantaggiosa, mentre il percepirli al di fuori della propria sfera d’azione comporta ansia, apatia o depressione. Il senso di autoefficacia, derivante da tale consapevolezza, si configura come un modo di rapportarsi alla realtà, che nasce e si alimenta con l’esperienza; e come tale rientra tra i più importanti meccanismi di autoregolazione. Numerose ricerche (Bandura, 1996) hanno, poi, dimostrato che le modificazioni in positivo della percezione della propria disponibilità di risorse, migliora il livello delle prestazioni, il tono dell’umore, l’efficienza dei processi di pensiero, il senso di benessere e, non ultima, la condizione stessa di salute. Tali modificazioni sono strettamente legate alle esperienze effettuate in specifici ambiti di attività o in determinate “famiglie” di prove e situazioni. Senso di autoefficacia e sua strutturazione 1 Psicologo-Psicoterapeuta Direttore Scientifico Istituto Antoniano 3 Direttore Sanitario Istituto Antoniano 2 Dott. Mario D’ambrosio [email protected] http://www.mariodambrosio.it 1 Nell’accezione prima considerata, il senso di efficacia personale deriva dalla convinzione di essere in grado di fronteggiare un determinato evento e si esplica nel funzionamento umano attraverso l’azione integrata di quattro tipi di processi principali: cognitivi, motivazionali, affettivi e decisionali. Un adeguato senso di autoefficacia permette al soggetto di produrre e perseguire il benessere personale in quanto consente di: - affrontare le prove difficili considerandole come sfide da vincere e non come pericoli; - proporsi obiettivi ambiziosi, anche se raggiungibili con forte impegno e perseveranza; - recuperare velocemente il senso di autoefficacia dopo eventuali insuccessi; - attribuire gli insuccessi a cause esterne o transitorie e comunque modificabili; - affrontare situazioni minacciose con la sensazione di poterle controllare; - ottenere, di fatto, un maggior numero di successi personali. Al contrario, l’inadeguatezza del senso di autoefficacia compromette i livelli di qualità della vita in quanto determina la tendenza a: - evitare le attività “difficili” percepite come minacce alla integrità personale; - presentare bassi livelli di aspirazione nel perseguire i propri obiettivi; - sviluppare un’attenzione selettiva per i propri limiti e le proprie difficoltà riconoscendoli come tratti personali permanenti piuttosto che ricercare strategie efficaci per la rimozione degli ostacoli; - ridurre il proprio impegno di fronte alle difficoltà; - recuperare solo molto lentamente il senso di autoefficacia dopo un insuccesso; - presentare ulteriori decrementi del senso di auto-efficacia e una maggiore vulnerabilità di fronte a futuri insuccessi; - essere maggiormente esposti ad esperienze emotive spiacevoli. Genesi del senso di autoefficacia L’autopercepirsi come persona capace e competente in situazioni determinate dipende, come si è accennato, da processi autovalutativi, fondati non su semplici dichiarazioni, ma sulla produzione di emozioni positive, sulla mobilizzazione di tutte le proprie energie nei momenti di difficoltà o di intenso sforzo e sulla effettiva capacità di operare scelte adeguate al raggiungimento degli obiettivi. Nella genesi del senso di autoefficacia Bandura individua quattro fondamentali fattori rappresentati da (Fig. 1): - le esperienze di una efficace gestione degli eventi, vale a dire da tutte quelle esperienze, nelle quali il soggetto ha affrontato con relativo successo determinate situazioni e dalle quali ha ricevuto un esplicito feedback delle proprie capacità di utilizzare bene le risorse per riuscire nel compito. Lo sviluppo del senso di autoefficacia, conseguente a positive esperienze di gestione della realtà, comporta, d’altra parte, il consolidarsi degli strumenti cognitivo-comportamentali e di autoregolazione, necessari per pianificare e per mettere in atto comportamenti adeguati alle situazioni mutevoli dell’ambiente; - l’esperienza vicaria, vale a dire l’esperienza fornita dai modelli in azione rilevati nell’ambiente. L’osservazione di persone, per molti versi simili, che riescono a raggiungere i propri obiettivi o ad affrontare situazioni problematiche attraverso l’impegno e l’azione personale, accresce nell’osservatore la convinzione di possedere anch’egli le abilità necessarie per ottenere una buona riuscita in analoghe situazioni. L’impatto positivo dell’esposizione a tali modelli è tanto maggiore quanto più numerosi sono gli elementi di somiglianza tra l’osservatore ed il modello. Le possibilità di apprendimento non riguardano solo le abilità specifiche mostrate nel setting modellante, ma anche le modalità di fronteggiamento della situazione problematica mostrate dal modello; - la persuasione, esercitata dalle persone significative dell’ambiente, le quali possono sollecitare verbalmente il soggetto, sottolineando le sue potenzialità a risolvere la situazione problematica Dott. Mario D’ambrosio [email protected] http://www.mariodambrosio.it 2 (Litt, 1988). Ma, dal momento che la sola persuasione non elimina completamente il rischio di un abbassamento del senso di autoefficacia in caso di insuccesso, è necessario organizzare nell’ambito educativo, setting adeguati, che prevedano compiti di crescente difficoltà, in modo da garantire, per quanto è possibile, esperienze di successo; - la capacità del soggetto di percepire in senso positivo le condizioni fisiche ed emotive in cui viene a trovarsi mentre affronta le situazioni. I vari stati di attivazione, infatti, possono essere percepiti in modo differente in rapporto all’elaborazione cognitiva che viene effettuata nelle varie circostanze, e cioè come affaticamento o come mobilizzazione di energie necessarie al superamento del compito, con inevitabili conseguenze sul comportamento del soggetto nei confronti dei compiti. Stadi evolutivi del senso di autoefficacia Flammer (1996) ha svolto un’analisi accurata in termini evolutivi del senso di autoefficacia, vale a dire dello sviluppo delle “rappresentazioni soggettive delle proprie capacità di controllo” sulle situazioni, che sottostanno alla self-efficacy. Il tipo di analisi proposto da Flammer consente non solo una conoscenza più precisa dei processi che sono alla base del senso di autoefficacia, ma anche Dott. Mario D’ambrosio [email protected] http://www.mariodambrosio.it 3 una più approfondita comprensione dei comportamenti indicativi dei vari livelli di funzionamento, che permettono di individuare le strategie da mettere in atto per favorire l’ulteriore sviluppo dell’autostima. Flammer, sulla base dei dati di una rassegna della letteratura, individua cinque importanti tappe evolutive, che, partono da un repertorio comportamentale innato in grado di innescare azioni e retroazioni con l’ambiente e che, al tempo stesso, richiedono un contesto esperienziale ricco di accadimenti ed in continua trasformazione: Il primo livello è costituito dalla cosiddetta esperienza funzionale ed è caratterizzato dal piacere di agire secondo rapporti di contingenza, che richiamano le reazioni circolari primarie descritte da Piaget (1936). Il secondo è rappresentato dalle cosiddette azioni elementari finalizzate ed è correlato al concetto di causalità. I comportamenti in questo livello sono determinati da processi di apprendimento sulla base degli effetti ottenuti in precedenti esperienze secondo i criteri del condizionamento operante. Il terzo prevede l'attribuzione causale interna e richiede la distinzione tra sé e gli altri, e tra gli elementi che intervengono nel controllo degli eventi. Tale capacità permette al soggetto di controllare personalmente alcuni eventi e di gestire meglio alcune fonti di frustrazione. Il quarto livello permette l’inquadramento del successo e dell’insuccesso come questioni di rilevanza personale. Il successo, inteso come il raggiungimento di qualcosa che corrisponde ad uno standard personale, ha come corrispettivo emotivo l’orgoglio, l’insuccesso risulta fonte di vergogna e di disistima. Il quinto ed ultimo livello comporta la convinzione di controllo e richiede una serie di passaggi cognitivi che vanno da un’area più indifferenziata in cui il concetto di abilità è presente ai livelli più semplici, a quella in cui l’organizzazione concettuale della performance si svolge su più parametri quali l’impegno, la difficoltà del compito, ed infine, nel funzionamento più completo, alla comprensione della relazione reciproca fra abilità ed impegno. Autoefficacia e Ritardo Mentale Nei soggetti con Ritardo Mentale (RM), a causa del deficit intellettivo e delle ridotte capacità adattive, il senso di autoefficacia è generalmente molto basso. Esso interferisce significativamente sulle modalità di adattamento all’ambiente, contribuendo a determinare disturbi psichici aggiuntivi, che hanno come denominatore comune un basso investimento energetico negli scambi con l’ambiente e si distribuiscono su un continuum patologico correlato al deficit intellettivo: ai livelli di funzionamento più basso corrispondono disturbi della relazione, mentre a livelli deficitari più lievi disturbi di tipo depressivo. I soggetti con R.M, come è noto, vanno incontro molto frequentemente ad esperienze di insuccesso a causa del deficit intellettivo, e pertanto sono maggiormente esposti a situazioni frustranti che minano alle radici lo strutturarsi del senso di autoefficacia. In particolare, la compromissione di abilità fondamentali, che sono alla base dei comportamenti di adattamento ai cambiamenti ambientali, quali i processi di “generalizzazione” e di “trasferimento”, non consente l’innesco dei meccanismi determinanti la costruzione e il rafforzamento del senso di autoeffecacia. Per tali motivi qualsiasi intervento abilitativo non può prescindere sia da un’adeguata organizzazione dell’ambiente e da un’opportuna programmazione dei compiti (goal setting) per fare in modo che il soggetto con RM venga posto di fronte a richieste commisurate alle sue capacità, sia dalla messa in atto di proposte razionalmente variegate per attivare processi di trasferimento e di generalizzazione finalizzate ad estendere in più ambiti esperienziali il senso di autoefficacia. In situazioni normali, inoltre, i soggetti con RM possono attingere in modo molto parziale dall’esperienza vicaria, in quanto, molto spesso, i modelli offerti dall’ambiente sono alquanto distanti dalle loro caratteristiche sia per le abilità esibite, sia per la complessità delle situazioni alle Dott. Mario D’ambrosio [email protected] http://www.mariodambrosio.it 4 quali sono socialmente chiamati a rispondere, sia, talora, per gli stessi aspetti fisici. Tali difficoltà, che comportano nei soggetti con RM una riduzione di quei comportamenti di imitazione (Kozloff, 1974), sottostanti i meccanismi di identificazione necessari allo sviluppo della personalità, contribuiscono a ridurre i livelli di autostima. Per tale motivo, nel momento in cui si organizzano le attività educative, nelle quali il soggetto con RM dev’essere messo in condizione di attivare i processi di imitazione, è necessario che vengano proposti come modelli non solo operatori idonei, ma anche compagni aggregati secondo criteri di omogeneità in base al livello prestazionale in primo luogo e, secondariamente, in base all’età ed all’emergenza adattiva di specifici comportamenti. I soggetti con RM, nella maggior parte dei casi, hanno anche ridotte probabilità di poter beneficiare di feedback sociali positivi, perchè più frequentemente questi sono orientati ad evidenziare l’inadeguatezza dei loro comportamenti. Di conseguenza la sola azione persuasiva, attuata per promuovere esperienze di successo, difficilmente risulta efficace se nel contempo non si organizza il contesto ambientale in modo tale da garantire la possibilità di raggiungere l’obiettivo. In tal modo, la constatazione da parte del soggetto di essere in grado superare il compito, rende più efficace l’azione persuasiva degli operatori e dei pari, in quanto essa contribuisce a polarizzare l’attenzione e del soggetto e della famiglia sulle sue potenzialità. Bisogna, infine, sottolineare che le ridotte capacità intellettive espongono i soggetti ad un maggior “affaticamento” o “stress”, in quanto lo stato emotivo attivato dall’impegno nel compito non è inserito in modo naturale in un progetto che ne giustifichi (Schachter & Singer, 1962) o che addirittura ne renda auspicabili gli effetti al fine di raggiungere lo scopo. Per tale motivo è utile che in ambito abilitativo i soggetti con RM facciano esperienze ampie di attivazione fisiologica ed emotiva in situazioni predisposte o occasionali (attività di laboratorio, ricreative e motorie), nelle quali vengano attivati training di riconoscimento e di gestione delle emozioni. Per quanto riguarda i livelli di strutturazione, bisogna dire che nei soggetti con RM si può parlare di consapevolezza del senso di autoefficacia solo nei casi di ritardo lieve o moderato, nei quali esistono le condizioni cognitive di base e una struttura del Sé sufficientemente rappresentata, indispensabili per l’elaborazione intrapsichica delle esperienze.. I soggetti con ritardo mentale severo, che tendono a strutturare comportamenti altamente ripetitivi e con feedback sensoriali fissati sulla propria azione, presentano livelli evolutivi del senso di autoefficacia molto bassi, corrispondenti, cioè, a quelli relativi all’esperienza funzionale e alle azioni elementari finalizzate. In tali casi, il trattamento abilitativo deve conseguentemente programmare interventi, che favoriscano l’acquisizione del controllo della realtà sulla base dei paradigmi più semplici dell’apprendimento. Opportune esperienze, sviluppate secondo questi criteri, possono rafforzare lo schema dell’evento e incrementare quantitativamente e qualitativamente i comportamenti necessari per raggiungere gli obiettivi, rafforzando il concetto di causalità e consentendo lo sviluppo di comportamenti ad alto valore adattivo. I soggetti con RM lieve e moderato, che hanno raggiunto livelli evolutivi più elevati del senso di autoefficacia, pur non essendo in grado di acquisire le abilità ed i concetti autoregolativi, che attengono al massimo livello, possono essere motivati all’azione da piccole sfide con se stessi, in quanto sensibili al rinforzo sociale ed agli stimoli di autorinforzo. Terapia occupazionale e senso di autoefficacia In relazione a tutti gli aspetti prima descritti, risulta evidente che nel RM è frequente il riscontro di un basso senso di autoefficacia e che, pertanto, l’intervento abilitativo deve avere come obiettivo primario il miglioramento della percezione dell’efficacia personale attraverso proposte di attività e di situazioni di gruppo, che possano favorire esperienze di successo. Ciò vale in modo particolare per la terapia occupazionale (TO), che utilizza come strumento riabilitativo il “fare”, coinvolgendo la globalità della persona in situazioni di gruppo e favorendo l’acquisizione di tutti quei comportamenti adattivi, necessari a migliorare la qualità della vita. Dott. Mario D’ambrosio [email protected] http://www.mariodambrosio.it 5 Per organizzare in modo adeguato le attività che vanno proposte in TO è, però, necessario effettuare una precisa valutazione delle capacità del soggetto nelle varie aree del funzionamento adattivo al fine di ottenere un profilo funzionale, che possa aiutare l’operatore ad individuare le aree più significative ed utilizzare, con maggiore possibilità di successo, quelle connesse ad una sufficiente disponibilità di competenze. La valutazione deve consentire, in altre parole, la programmazione e la messa in atto di tutti quegli interventi relativi agli spazi, alle regole, ai compiti e alle relazioni sociali, necessari a far vivere ai soggetti con RM esperienze di gestione efficace delle proprie azioni ed a fornire loro i modelli adeguati e i processi informazionali necessari per accrescere il livello di autostima. Dott. Mario D’ambrosio [email protected] http://www.mariodambrosio.it 6 In tale prospettiva, gia a partire dagli anni novanta, si è cercato di mettere a punto strumenti di valutazione, che consentissero di programmare (Gardner et al., 1985), in modo efficace le attività abilitative nell’ambito della TO, rivolta ad adolescenti con RM seguiti in trattamento abilitativo semiresidenziale presso il Centro Medico-Riabilitativo “Antoniano” di Ercolano. Nella scelta dello strumento di valutazione (Fig. 2) si è tenuto conto di due aspetti fondamentali: - primo, che fosse in grado di fornire informazioni complete sulle caratteristiche comportamentali del soggetto e sui livelli di funzionamento adattivo nelle varie aree; - secondo, che rispondesse alle esigenze della TO in ordine sia alla programmazione delle attività ed all’organizzazione dei gruppi di lavoro, sia alla verifica delle modificazioni ottenute nel corso del trattamento. Valutazione del comportamento adattivo. Nella valutazione si è considerato in primo luogo l’esame del comportamento adattivo, inteso nell’accezione ecologica di risposta integrativa e interattiva con l’ambiente di appartenenza. Tra le diverse scale considerate è stata scelta una adattata dall’Adaptive Behavior Scale (Nihira et al., 1975) dell’AAMD., proposta da Meazzini e Battagliese (1995). La scala si compone di 64 items aggregati in nove aree; a ciascun item viene attribuita una valutazione di competenza in ordine percentuale. La media complessiva ottenuta in ogni area indica il livello di competenza raggiunto dal soggetto. Le aree prese in considerazione si riferiscono a: - Indipendenza, comprendente le abilità di autonomia personale, le competenze motorie, l’autonomia negli spostamenti, la cura dell’igiene personale; - Attività economica,e specificamente le capacità di gestire il denaro, di effettuare risparmi e di fare acquisti; - Linguaggio, nei vari aspetti comunicativi e cioè l’espressione preverbale, il livello d’intelligibilità, la struttura della frase, l’ampiezza del vocabolario, la comprensione delle consegne, l’abilità di lettoscrittura, la capacità di conversazione e l’uso del telefono; - Numeri e tempo, dalle abilità aritmetiche semplici, alla cognizione del tempo, alla lettura dell’orologio; - Attività domestiche, vale a dire la cura degli spazi di vita e degli indumenti, la preparazione dei pasti, la pulizia delle stoviglie, i livelli d’iniziativa nella gestione delle attività quotidiane; - Lavori manuali, relativamente alle difficoltà del compito, alla diligenza nell’esecuzione, alle abitudini lavorative. In quest’area, la valutazione è integrata con schede d’osservazione sviluppate sulle attività svolte nel laboratorio frequentato. - Autogestione, relativamente alla capacità di assumere l’iniziativa, ai livelli motivazionali nelle attività, ai tempi di attenzione, alla perseveranza nelle attività, alla capacità di gestione del tempo libero; - Senso di responsabilità, sia nei confronti degli oggetti di proprietà che nei confronti dei compiti assegnati; - Socializzazione, con riferimento alla considerazione e alla conoscenza degli altri, alla qualità dell’interazione, al grado di partecipazione alle attività di gruppo, alla maturità sociale. Valutazione del comportamento disadattivo. La valutazione viene estesa anche ai comportamenti disadattivi in considerazione del fatto che nel RM si verifica frequentemente lo sviluppo di altri disturbi, che interferiscono con le capacità di adattamento del soggetto. Il loro monitoraggio, anche se non funzionale ad interventi diretti sul comportamento, resta un indice validissimo per la misura dell’andamento del trattamento riabilitativo in TO. Dott. Mario D’ambrosio [email protected] http://www.mariodambrosio.it 7 Anche per la valutazione del comportamento disadattivo, si è fatto ricorso all’Adaptive Behavior Scale dell’AAMD, che prevede la rilevazione su una chek-list dell’incidenza di comportamenti compresi in 13 aree relative a: comportamenti violenti e distruttivi, comportamenti antisociali, comportamenti ribelli, comportamenti inaffidabili, ritrosia, stereotipie e manierismi, condotte interpersonali inappropriate, abitudini verbali inaccettabili, abitudini eccentriche, autolesionismo, iperattività, aberrazioni sessuali, disturbi psichici. Valutazione delle abilità lavorative. La valutazione delle abilità nelle attività di laboratorio viene effettuata con schede articolate in moduli integrati con le scale generali del comportamento adattivo. Ogni scheda è strutturata con una task analysis delle principali attività (Fig. 3). Per ogni scala sono utilizzate alcune decine di items. Nei soggetti con deficit più rilevanti l’analisi è spostata verso i livelli più bassi della tassonomia di Gagné (1973), quali le catene motorie o le abilità di discriminazione, mentre in quelli con ritardo più lieve prevede prerequisiti posizionati ai più alti livelli della tassonomia. Dott. Mario D’ambrosio [email protected] http://www.mariodambrosio.it 8 Per ogni item corrispondente ad un'abilità è indicata una scala con un punteggio che va da 0 a 4 in relazione ai diversi gradi di padronanza . L'operatore indica la propria valutazione apponendo una croce sul valore che rappresenta meglio, a proprio giudizio, il livello del soggetto nel comportamento in esame, utilizzando 0 se l'abilità è completamente assente, 1 se presente a livello altamente insufficiente con bassa disponibilità di prerequisiti, 2 se presente ma scarsamente padroneggiata, 3 sufficientemente padroneggiata, 4 ampiamente padroneggiata. La valutazione nei vari settori viene effettuata nella fase iniziale del trattamento (baseline) in modo da ottenere un profilo funzionale individuale di partenza, rappresentabile in un grafico nel quale sono facilmente leggibili le aree deficitarie e quelle relative alle abilità maggiormente sviluppate dal soggetto. La valutazione è ripetuta dopo un ciclo terapeutico compreso tra i sei e i dodici mesi e rielaborata nel grafico in modo da rendere il più evidente possibile le modificazioni che si sono verificate nel corso del trattamento. Considerazioni conclusive Il senso di autoefficacia, come si è potuto rilevare, assume una notevole importanza nell’economia del funzionamento adattivo dell’individuo, in quanto condiziona l’atteggiamento con cui vengono affrontati gli eventi della vita e conseguentemente i risultati che ne derivano. L’acquisizione di comportamenti adattivi efficaci è, infatti, il risultato di una sfida cognitiva e motivazionale che l’individuo deve affrontare durante la crescita per il raggiungimento delle competenze necessarie sia nel campo dell’autonomia personale che in quelli dell’apprendimento scolastico e delle attività sociali e lavorative. Il senso di autoefficacia, che via via si sviluppa sulla base di tali esperienze, rappresenta a sua volta la principale determinante del successo finale di tutto il processo adattivo. Gli insuccessi, che inevitabilmente si verificano durante il percorso evolutivo dell’individuo, non sembrano incidere significativamente sul senso di autoefficacia quando sono poco frequenti e/o quando sono adeguatamente compensati dell’ambiente. Purtroppo la maggior parte dei soggetti portatori di handicap, hanno ridotte probabilità di sviluppare un adeguato senso di autoefficacia, in quanto le occasioni in cui essi possono sperimentare successi sono molto rare a causa sia della disabilità sia di problemi emotivi aggiuntivi. Particolarmente emblematica è la condizione dei soggetti con RM, specialmente quando non è precocemente riconosciuta, in quanto sono molto frequentemente esposti a continue esperienze di insuccesso oltre che per le limitate risorse personali, anche perché le richieste dell'ambiente sono solitamente superiori alle sue reali capacità. Ne consegue che il senso di autoefficacia è più o meno severamente compromesso e l’atteggiamento del soggetto nei confronti dell’ambiente è segnato da condotte di rinuncia, di dimissione, di scarso investimento. Per tale motivo, nella presa in carico riabilitativa dei soggetti con RM, è sempre necessario organizzare contesti terapeutici, che favoriscano la ristrutturazione ed il consolidamento del senso di autoefficacia, contrastando gli effetti dell’impotenza appresa (Abramson et al., 1977) in anni di insuccessi per modificare gradualmente la convinzione di non essere in grado di far fronte ai problemi dell’adattamento. In tale ottica, la Terapia Occupazionale dev’essere organizzata in modo da favorire esperienze di successo attraverso la proposta di compiti piacevoli, di per sé gratificanti e strutturati secondo gradienti di difficoltà commisurati alle competenze acquisite ed attraverso la creazione di tutte quelle condizioni (esperienze di successo, apprendimento osservativo, persuasione, attivazione emotiva) che sono alla base del senso di autoefficacia. Per realizzare adeguatamente tale obiettivo è Dott. Mario D’ambrosio [email protected] http://www.mariodambrosio.it 9 indispensabile poter effettuare una precisa valutazione per tracciare un profilo funzionale, che non solo possa essere un utile strumento di guida e di verifica per l’operatore, ma anche un riferimento oggettivo per il soggetto che può constatare i traguardi raggiunti. Gli strumenti valutativi, di cui ci siamo serviti nella gestione del trattamento abilitativo di adolescenti con RM, si sono dimostrati di facile impiego, chiari nella chiave di lettura e soprattutto efficaci per la programmazione e la verifica del trattamento. Bibliografia Abramson L.Y., Seligman M., Teasdale J.D. (1977) Learned helplessness in human: critique and reformulation. J. Abnormal Psychol., 87, 49-74 Bandura A. (1977), Self-efficacy: Toward a unifyng theory of behavioral change, Psychol. Rev., 84, 191-215 Bandura A. (1982), Self-efficacy mechanism in human agency, Am. Psychol., 37, 122-147 Bandura A. (1986), Social foundations of thought and action: A social cognitive theory, Englewood Cliffs, NJ, Prentice-Hall Bandura A. (1996), Il senso di autoefficacia personale e collettivo, in Bandura A.: Il senso di autoefficacia, Erickson, Trento Flammer A. (1996), Analisi evolutiva delle convinzioni di controllo, in Bandura A.:Il senso di autoefficacia. Erickson, Trento Gagné R. M. (1973), Le condizioni dell’apprendimento, Armando Editore, Roma Gardner J, Murphy J. e Crawford N., (1985), Programmazione educativa individualizzata, Edizioni Centro Studi Erckson, Trento Litt M.D. (1988), Self-efficacy and perceived control: Cognitive mediators of pain tolerance, J. Person. Social Psychol., 54, 149-160 Kozloff M.A. (1974) Educating children with learning and behavior problems, Wiley & Sons, New York, trad. it. (1981) Il bambino handicappato, Giunti, Firenze Meazzini P. e Battagliese G. (1995), Psicopatologia dell’handicap, Masson, Milano Nihira K., Foster R., Shellhaas M. e Leland H, (1975), AAMD - Adaptive behavior scale – Manual, C. J. Fogelman, Washington Piaget J. (1936), La naissance de l’inteligence chez l’enfant, Neuchatel, Delachaux et Niestlé, trad. it. (1977) La nascita dell’intelligenza nel bambino. La Nuova Italia Scientifica, Firenze Schachter S., Singer E. (1962), Cognitive, social and physiological determinants of emotional state. Psychol. Rev., 69, 379-399 Dott. Mario D’ambrosio [email protected] http://www.mariodambrosio.it 10