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Editoriale
In questo numero...
I
n questo numero della rivista approfondiamo ancora il tema della riforma della legge n.
241/1990 con un articolo sul nuovo istituto
giuridico del silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni; si tratta di una ulteriore novità, oltre al
tema della conformazione, i cui effetti sono ancora
tutti da verificare essendo questo un istituto che si
pone in alternativa alla conferenza dei servizi. La
portata del silenzio assenso tra amministrazioni
dovrà quindi essere verificata sul campo alla luce
soprattutto della tempistica indicata dal d.P.R. n.
160/2010 sullo sportello unico per le imprese.
L e novità nel complesso della riforma della legge n. 241/1990 cominciamo a presentarsi più come
problematiche che come innovazioni e di certo non
se ne sentiva il bisogno di altri dubbi.
I l direttore
1
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Sommario
E
1
G 29
Agriturismo: cessione della sola attività
di somministrazione
5
Q
Facciamo il punto sulla disciplina
delle piscine in Toscana
7
ditoriale
In questo numero...
A
pprofondimenti
uesiti
di Riccardo Bracale
di Fabio Dori
14
Il Consiglio di Stato subordina il rilascio
della licenza dell’art. 88 in Lombardia
al rispetto delle previsioni della legge
regionale sulla ludopatia
19
Rapporti tra l’assegnazione di posteggi
su aree pubbliche e i beni culturali:
a che punto siamo in attesa del 2017
23
di Daniela Tedoldi
di Saverio Linguanti
Pista di pattinaggio e suolo pubblico Pubblico esercizio ed associazione D
ossier – Inserto staccabile
36
36

Nuove norme in materia di turismo
in Regione Lombardia
di Marco Massavelli
iurisprudenza
Disposizioni in materia di delitti
contro l’ambiente
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COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
3
H
anno collaborato a questo numero
Riccardo Bracale
Coordinatore struttura stabile attività normative, Servizio del commercio, Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia
Alessandra Codenotti
Dottoressa in giurisprudenza , tirocinante presso il Tribunale penale di Brescia
Fabio Dori
Assistente scelto Polizia Municipale del Comune di Grosseto
Marco Massavelli
Vice Comandante Polizia Municipale Druento (TO)
Daniela Tedoldi
Consulente marketing territoriale e legislazione del commercio
Collaborazioni:
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Approfondimenti
Agriturismo: cessione della sola attività
di somministrazione
„„ di Riccardo Bracale
Coordinatore struttura stabile attività normative, Servizio del commercio, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
La disciplina nazionale dell’agriturismo è attualmente contenuta nella legge (quadro) n. 96/2006
(abrogativa della pregressa legge n. 730/1985); tale disciplina va integrata anche con quanto disposto
dal decreto legislativo n. 228/2001 (Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma
dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001); in questa
sede si intende affrontare la problematica inerente
la possibilità, in relazione ad un’azienda agrituristica, di cedere a terzi (subingresso) la sola attività di
somministrazione.
L’articolo 2, comma 1, della citata legge n.
96/2006 intende per agrituristiche “le attività di ricezione e ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, anche
nella forma di società di capitali o di persone, oppure
associati fra loro, attraverso l’utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali”.
Il comma 3 del richiamato articolo 2135 cod.
civ. (come novellato dall’articolo 1 del decreto legislativo 228/2001) dispone che si intendono comunque connesse, tra le altre, “le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività’ agricola esercitata, ivi
comprese le attività di valorizzazione del territorio e
del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.
E queste attività di ricezione ed ospitalità, esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’articolo
2135 del codice civile, vengono “legislativamente definite” quali attività agrituristiche, già ai sensi dell’articolo 2, comma 1, dell’abrogata legge n.
730/1985 (come integrata dall’articolo 3 del decreto legislativo n. 228/2001), ora ai sensi della vigente legge n. 96/2006.
Si legge nel Dossier di documentazione della Camera dei Deputati (relativo alla nuova disciplina
dell’agriturismo) che l’esplicitato rapporto di connessione “ fa venir meno il riferimento alla complementarietà contenuto nella precedente disciplina” di
cui alla legge n. 730/1985 (“Il requisito della complementarietà implicava che dovesse esserci, anzitutto, un’attività imprenditoriale agricola alla quale si
aggiungeva l’ impegno dell’ imprenditore nell’attività
agrituristica: in tal modo, l’attività agrituristica era
vista solo come integrazione dell’attività agricola vera
e propria”); tra l’altro, “va tenuto presente che nel rapporto di connessione permane la prevalenza dell’attività agricola valutata rispetto al tempo di lavoro necessario all’esercizio delle stesse attività (articolo 4,
comma 2, della legge n. 96/2006”.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 2, comma 3, lettera b), e comma 4, della più volte citata legge n.
96/2006, il diretto “rapporto di connessione può
obiettivamente rintracciarsi nella somministrazione
di pasti e bevande costituiti da prodotti in prevalenza
propri, ossia prodotti e lavorati all’ interno dell’azienda, oppure di altre aziende della zona o di prodotti tipici e caratterizzati dai marchi. Un secondo elemento
di connessione diretta (articolo 3 della legge) può essere ravvisato nell’uso dell’abitazione dell’ imprenditore
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Approfondimenti
Agriturismo: cessione della sola attività di somministrazione
agricolo, nonché degli altri edifici già esistenti, purché
ubicati sul fondo. Solo se il fondo sia privo di fabbricati, e dopo che la regione abbia individuato i comuni
nei quali ciò sia possibile, è consentito l’utilizzo dell’abitazione dell’ imprenditore situata in un centro abitato. (cfr. Dossier di documentazione, cit.).
Sempre in merito al requisito del “rapporto di connessione”, la Consulta, con la sentenza n.
339/2007, ha ritenuto non fondata la questione di
legittimità costituzionale in riferimento al citato articolo 4, comma 2, della legge n. 96/2006, specificatamente nella parte in cui è sancito che “le regioni e le province autonome definiscono criteri per la
valutazione del rapporto di connessione delle attività
agrituristiche rispetto alle attività agricole che devono
rimanere prevalenti, con particolare riferimento
al tempo di lavoro necessario all’esercizio delle stesse attività”.
Il richiamato articolo 4, afferma la Corte, “se
da un lato si limita a ribadire il principio secondo
il quale l’attività agrituristica deve porsi in rapporto di connessione con quella agricola, così come previsto dall’art. 2135 del codice civile e dall’art.
2 della stessa legge impugnata, dall’altro, laddove prevede quale elemento determinante ai fini della comparazione tra le due tipologie di attività sopra indicate il tempo di lavoro necessario al loro rispettivo svolgimento, non lede alcuna competenza regionale. Invero, la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, costituisce una specificazione della previsione generale contenuta nel precedente comma, il quale, appunto, attribuisce alle Regioni il compito di dettare i criteri utili al fine di classificare un’azienda agrituristica; con
la conseguenza che deve intendersi demandata ai suddetti enti anche l’ individuazione delle regole in base
alle quali calcolare il tempo di lavoro cui fa riferimento la norma impugnata”.
In merito al più volte sottolineato principio di
connessione, la sez. trib. della Corte di Cassazione,
con la sentenza n. 24430/2008, ha evidenziato (per
quanto in riferimento all’abrogata legge n. 730/1985,
il principio, però, lo si ritiene tuttora valido) che “il
riconoscimento della qualità agrituristica dell’attività
di “ricezione ed ospitalità”, richiede la contemporanea
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
sussistenza (a) della qualifica di imprenditore agricolo
da parte del soggetto che la esercita, (b) dell’esistenza di
un “rapporto di connessione e (oramai non più) complementarità” con l’attività propriamente agricola e (c)
della permanenza della principalità di quest’ultima rispetto all’altra. A contrario, ovviamente, si deduce che
non può essere mai considerata “agrituristica”
una attività di “ricezione” e di “ospitalità” svolta da un imprenditore che non possa qualificarsi “agricolo” ovvero che non sia o non sia più nel
detto rapporto di “connessione (e complementarità)” con l’attività agricola o, comunque, che (evidentemente per il suo sviluppo o per l’impegno lavorativo richiesto o per l’entità dei capitali impiegati) releghi
quest’ ultima in posizione del tutto secondaria” (conforme: cfr. sempre Cass. sentenze nn. 8851/2007,
11076/2006 e 10187/2001).
Maggiormente illuminante, sul punto, la precedente sentenza sempre della Cassazione civile (sez.
III) n. 12142/2002: “Incontestato che gli affittuari non hanno ottenuto dal Comune di (…) la licenza per l’esercizio dell’attività agrituristica, perché l’azienda concessa in godimento (…) costituiva solo un
ramo di ridotte dimensioni della più ampia azienda
agricola, sì che l’attività di ristorazione non poteva esser connessa (e già complementare) a quelle di coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento del bestiame, che invece (ai sensi della disciplina precedente ed attuale), devono comunque
rimanere principali (Cass. n. 10187/2001), correttamente i giudici di appello hanno dichiarato la nullità del contratto, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 cod.
civ. per impossibilità giuridica dell’oggetto del medesimo, in quanto l’attività agrituristica di ristorazione
deve svolgersi utilizzando soltanto i beni aziendali”.
Infatti, la somministrazione di alimenti e bevande, così come disciplinata dalla normativa di
settore dell’agriturismo, costituisce uno dei naturali
contenuti dell’attività agrituristica, non potendo di
conseguenza trovare applicazione la legge 287/1991
(T.A.R. Lazio, Latina, sentenza n. 469/1999) e non
potendo nemmeno essere trasferita separatamente,
in virtù del rapporto di connessione che la caratterizza.
Approfondimenti
Facciamo il punto sulla disciplina
delle piscine in Toscana
„„ di Fabio Dori
Assistente scelto P.M. Comune di Grosseto
Premessa
Con l’approvazione della l.r. 9.3.2006, n. 8 la
Regione Toscana si è posta l’obiettivo di contribuire alla tutela della salute ed alla sicurezza dei bagnanti e del personale addetto alla gestione delle
piscine ad uso natatorio, mediante la definizione
dei requisiti per la costruzione delle stesse, le indicazioni per la loro manutenzione e per le specifiche attività di vigilanza. La suddetta normativa
che detta disposizioni inerenti i requisiti strutturali delle piscine e i requisiti chimici, fisici e microbiologici delle acque, ha in sostanza recepito i principi scaturiti dall’accordo tra il Ministero della salute, le regioni e le province autonome di Trento
e Bolzano del 16 gennaio 2003, che necessitavano di una dettagliata specificazione a livello regolamentare. Con queste linee guida sono stati introdotti nuovi principi ed indirizzi normativi derivanti dall’emanazione del d.lgs. n. 626/1994 (oggi
sostituito dal d.lgs. n. 81 del 2008, recante ”Norme per la tutela della salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro”, del decreto 18 marzo 1996 del Ministro dell’interno, recante “Norme di sicurezza per
la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi”,
della norma tecnica UNI 10637 del giugno 1997,
del d.lgs. n. 155 del 26 maggio 1997, emanato in
attuazione delle Direttive 93/43/CEE e 96/3/CE
concernenti l’igiene dei prodotti alimentari. È seguito l’accordo tra le regione e le province autonome c.d. “Disciplina Interregionale delle piscine”
del 16 dicembre 2004, elaborato da un gruppo di
lavoro che si è assunto l’onere di varare disposizioni interregionali in grado di sviluppare i principi
sanciti nell’accordo del 2003 e di tracciare le linee
di indirizzo generali su cui basare, tenendo conto
delle peculiarità di ciascuna regione, le future leggi
regionali. Si ricorda che la tutela e sicurezza del lavoro e la tutela della salute sono materie aventi potestà legislativa concorrente, tuttavia lo Stato non
ha ritenuto di varare alcuna normativa di dettaglio
sulle piscine. La legge è stata da ultimo modificata con l.r. 23 dicembre 2014, n. 84 (BURT n. 64
del 30.12.2014), entrata in vigore il 14.1.2015 e, a
distanza di alcuni mesi, con d.p.g.r. 13.5.2015, n.
54/R, è stato a sua volta adeguato il regolamento
di attuazione di cui al d.p.g.r. 26.2.2010, n. 23/R.
1. Definizione e classificazione delle piscine
La legge regionale definisce piscina “un complesso attrezzato per la balneazione che comporti la
presenza di uno o più bacini artificiali utilizzati per
attività ricreative, formative e sportive” e stabilisce
che non debba essere applicata nell’ambito delle piscine destinate ad usi speciali collocate all’interno di strutture di cura, di riabilitazione, di estetica, termali, la cui disciplina è definita da normative specifiche.
Le piscine, in base alla loro destinazione, sono
così classificate:
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
7
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Approfondimenti
Facciamo il punto sulla disciplina delle piscine in Toscana
a) le piscine, di proprietà pubblica o privata, destinate ad un’utenza pubblica, che si distinguono
a loro volta in:
1) piscine pubbliche, piscine private ma aperte al
pubblico;
2) piscine private ad uso collettivo (inserite
all’ interno di attività ricettive come alberghi,
campeggi, agriturismi e simili) o quelle a servizio di collettività, palestre o simili, accessibili ai soli ospiti, clienti o soci della struttura
stessa;
3) impianti finalizzati al gioco acquatico [c.d.
Acquapark];
b) piscine facenti parte di condomini e destinate
esclusivamente ad uso privato degli aventi titolo e loro ospiti ai sensi degli articoli 1117 e seguenti del codice civile (1).
1.1. I necessari titoli abilitativi
Gli articoli 13 e 14 della l.r. n. 8/2006, che prevedono rispettivamente il rilascio di una autorizzazione e la presentazione di una Scia, disciplinano il
procedimento per poter avviare l’esercizio degli impianti. Per le piscine pubbliche, quelle private aperte al pubblico e gli impianti finalizzati al gioco acquatico [v. lett. a), numeri 1) e 3) paragrafo precedente] il titolare della piscina deve presentare allo
SUAP del comune in cui è ubicata la richiesta di
autorizzazione all’esercizio dell’impianto. Per le piscine private ad uso collettivo [v. lett. a), numero 2)
paragrafo precedente] è invece sufficiente presentare la Scia ex art. 19, l. n. 241/1990. Il procedimento
dovrà adeguarsi ai nuovi principi dettati dalla legge n. 124/2015 che ha introdotto nuove modifiche
alla l. n. 241/1990, alcune delle quali di immediata applicazione, a partire dal 28.8.2015, quando la
legge n. 124/2015 è entrata in vigore. Il soggetto richiedente deve allegare sia alla domanda di autorizzazione che alla Scia una relazione tecnica in originale, in cui attesta la rispondenza della struttura
(1) Disciplinate dagli articoli della l.r. n. 8/2006 che vanno dal 20
al 26, gli stessi contengono disposizioni per la gestione ai fini
della tutela igienico-sanitaria e della sicurezza delle piscine costruite nei condomini.
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
ai requisiti stabiliti dal regolamento regionale mediante asseverazione di un professionista abilitato
(art. 50, comma 2 reg. att.). Deve inoltre dichiarare il possesso di una serie di documenti (art. 50,
comma 3 reg. att.). Pur essendo identici i contenuti
dell’asseverazione del tecnico e i documenti di cui
dichiarare il possesso, il legislatore regionale mantiene il doppio regime abilitativo. Tuttavia, dal momento che il procedimento per avviare queste attività non è soggetto a valutazioni tecniche discrezionali e a limiti o contingenti numerici o a specifici
strumenti di programmazione settoriale sussistevano tutti i presupposti per poter assoggettare la totalità delle tipologie di piscina previste dalla l.r. n.
8/2006 a Scia. Diverso è il caso degli impianti già
in attività alla data di entrata in vigore della legge e
del regolamento di attuazione che andremo a trattare nel paragrafo successivo.
1.2. I tempi di adeguamento delle piscine già
in attività e i requisiti oggetto di deroga definitiva
La normativa in questione ha posto alla realtà
delle piscine ad uso natatorio importanti obblighi a
tutela della sicurezza igienico-sanitaria della balneazione e della sicurezza dei bagnanti, con la conseguenza di inevitabili processi di adeguamento per
le piscine in esercizio all’entrata in vigore della legge. La complessità di tali processi è apparsa evidente
al legislatore, che ha infatti procrastinato più volte i
termini temporali degli stessi, inizialmente rimandando l’applicazione della l.r. n. 8/2006 al 20 marzo 2010, data di entrata in vigore del regolamento regionale, fino al termine ultimo del 31 marzo
2016 previsto dall’art. 7 della l.r. 23 dicembre 2014,
n. 84, che ha modificato l’art. 19, comma 1, della
l.r. n. 8/2006. Sempre l’art. 7, con l’aggiunta allo
stesso art. 19 del seguente comma 1-bis: “Sono considerate esistenti le piscine per le quali è stato conseguito titolo autorizzatorio edilizio conforme alla normativa con data antecedente all’entrata in vigore del regolamento regionale. Ad esse si applicano le disposizioni di cui al comma 1”, ha sostanzialmente equiparato le piscine dotate di idoneo titolo abilitativo edilizio conseguito prima del 20.3.2010 a quelle già in
esercizio a quella data. Il regolamento d’esecuzione
Approfondimenti
Facciamo il punto sulla disciplina delle piscine in Toscana
della l.r. n. 8/2006 ha riscontrato ulteriori difficoltà di attuazione rispetto alle deroghe previste dal
regolamento stesso, particolarmente per le piscine classificate dalla legge come “private ad uso collettivo” in esercizio. Sono emerse rilevanti difficoltà per quanto concerne gli aspetti legati al riciclo,
al rinnovo e al reintegro delle acque di balneazione in rapporto agli effettivi utenti delle piscine, alla disponibilità dei locali per alcuni servizi complementari obbligatori, ai presidi per ridurre il rischio
di scivolamento, alle modalità di realizzazione dei
processi per il mantenimento dei parametri chimico fisici delle acque nei livelli previsti per il loro
utilizzo in sicurezza. Si è dunque ritenuto opportuno di intervenire con alcune mirate modifiche alla legge che, per le piscine private ad uso collettivo, introducano procedure e adempimenti agevolati, particolarmente nell’alveo delle attività riconducibili all’autocontrollo, nel rispetto dei parametri a garanzia dell’igiene delle piscine e della sicurezza per la salute degli utenti. La l.r. n. 8/2006 attribuisce valore pregnante alle capacità organizzative e tecnico-gestionali degli operatori del settore.
Tali capacità si esplicano principalmente attraverso
la predisposizione delle procedure di autocontrollo come strumenti di adeguamento delle stesse alla propria specifica realtà, all’interno delle norme
di riferimento e della responsabilità dell’operatore.
Tali procedure costituiscono elementi di analisi e
valutazione per le attività di verifica degli organismi preposti ai controlli. Ai sensi dell’art. 19, comma 3, l.r. n. 8/2006 per le piscine in esercizio alla
data di entrata in vigore del regolamento regionale e quelle per le quali è stato conseguito alla stessa data titolo abilitativo edilizio conforme alla normativa, gli interessati, qualora non sia possibile l’adeguamento dei requisiti strutturali e degli adempimenti funzionali, limitatamente ai requisiti oggetto di deroga definitiva ai sensi del regolamento regionale di cui all’art. 5, potevano presentare istanza
di deroga allo SUAP del comune ove ha sede l’impianto entro il 30 settembre 2015 (2). Tale deroga è
concessa dal comune previa acquisizione del parere
(2) Al termine del procedimento il Comune dovrà rilasciare un
provvedimento espresso.
dell’azienda USL competente, applicando una riduzione del numero massimo dei bagnanti definito dal regolamento regionale di cui all’art. 5, rapportata alle carenze dell’impianto sulla base di linee
guida adottate con d.g.r. 21 settembre 2015, n. 883.
Per le piscine di cui all’art. 19, commi 1 e 1-bis della l.r. n. 8/2006, l’art. 51 del regolamento di attuazione elenca ai commi 1 e 2 gli articoli riconducibili a quei requisiti per i quali è prevista una deroga
definitiva. Le linee guida indicate nell’allegato “A”
alla d.g.r. n. 883/2015, per ciascuno di tali requisiti stabiliscono la riduzione, espressa in percentuale,
del numero massimo dei bagnanti che dovrà essere applicata. Agli interessati che avranno presentato istanza al comune entro i termini previsti, verrà
concessa deroga applicando la percentuale più alta
di riduzione del numero massimo dei bagnanti corrispondente a uno dei requisiti derogati a cui va aggiunto un punto in percentuale per ognuno degli
ulteriori requisiti derogati. Si allega al presente articolo il citato “Allegato A” affinché il lettore possa meglio comprendere le modalità di calcolo sopra
richiamate. Ai sensi dell’art. 7 della l.r. n. 84/2014
le piscine di cui al presente paragrafo avranno tempo fino al 31 marzo 2016 per adeguarsi alle disposizioni contenute nella legge e nel regolamento. Tale proroga comprende sia gli adempimenti formativi che gli adeguamenti tecnico-impiantistici, strutturali, accompagnati dal documento di autocontrollo. Pertanto, fino a quella data, non potranno
essere applicate le sanzioni amministrative previste
dall’art. 18 della l.r. n. 8/2006. Va da sé che comunque deve essere rispettato il termine del 30.9.2015
per presentare l’istanza di deroga definitiva. Qualora questo termine venisse disatteso e dovessero pervenire ai comuni dopo quella data ulteriori istanze,
gli enti dovranno porsi il dilemma se considerare il
termine citato ordinatorio o perentorio e una volta
sciolto il nodo potrebbero recepire in una delibera
di Giunta l’interpretazione di tale termine e instaurare, nel caso lo si ritenesse ordinatorio, un ulteriore procedimento riservato ai ritardatari. È possibile che giunga in soccorso la stessa giunta regionale
con una sua delibera volta a dipanare la questione.
Per quanto concerne il titolo abilitativo riguardante le vecchie piscine, quelle cioè in esercizio alla data del 20.3.2010, chi scrive ritiene che se aperte ad
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Approfondimenti
Facciamo il punto sulla disciplina delle piscine in Toscana
un pubblico indistinto dovevano essere abilitate ai
sensi dell’art. 86 del t.u.l.p.s., mentre quelle riconducibili all’attuale definizione di piscine private ad
uso collettivo, accessibili ai soli ospiti, clienti o soci della struttura stessa, non necessitavano di alcun
titolo abilitativo.
Con d.g.r. 11.4.2011, n. 235 la Regione Toscana aveva approvato gli indirizzi per la realizzazione delle attività formative di cui agli articoli 47 e 52 del regolamento di attuazione della l.r.
n. 8/2006 (3), per coloro che non erano in possesso dei titoli di studio previsti dall’art. 47, commi 2 e 4 del medesimo regolamento. Nello specifico i corsi di formazione per responsabile della piscina e per addetto agli impianti tecnologici hanno una durata rispettivamente di 30 e 20 ore. Per
quanto concerne gli obblighi formativi del personale che già svolgeva attività di gestione delle piscine, il regolamento di attuazione ha previsto percorsi formativi ridotti e il riconoscimento delle competenze tecniche già acquisite. Nello specifico, coloro che, alla data di entrata in vigore del regolamento, già svolgevano le funzioni di responsabile della piscina e di addetto agli impianti tecnologici dovevano presentare al comune competente una dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa
nelle forme previste dal d.P.R. n. 445/2000, in cui
attestare lo svolgimento in atto della relativa attività specificandone il periodo di inizio. La predetta
dichiarazione doveva essere presentata entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore del
regolamento, cioè entro il 20.3.2011 (4). In tal caso il responsabile della piscina e l’addetto agli impianti tecnologici avevano la possibilità di partecipare a corsi di formazione “abbreviati” rispettivamente di 15 e 10 ore. In seguito alle pressioni esercitate in particolare dalle associazioni di categoria
del settore turistico, la Regione Toscana con delibera di giunta (la n. 607 del 10.07.2012) (5) ha
modificato le linee di indirizzo di cui alla delibera
n. 235, prevedendo la possibilità di un corso di formazione unificato che abiliti ad entrambe le figure professionali, introducendo così uno strumento
di semplificazione soprattutto per i gestori delle piscine realizzate a servizio di strutture ricettive nelle quali molto spesso le funzioni del responsabile
della piscina e dell’addetto agli impianti tecnologici coincidono. Con successivo decreto dirigenziale
n. 3115 del 18 luglio 2012 sono state approvate le
schede di cui agli allegati A e B riguardanti i percorsi formativi rispettivamente ordinari e con percorso abbreviato (6). L’art. 52, comma 2 del regolamento di attuazione, come sostituito con d.p.g.r.
n. 54/R/2015, art. 30, ha prorogato il termine per
presentare la dichiarazione sostitutiva di atto notorio suddetta al 30.9.2015 ed è ragionevole ritenere
che in merito alla partecipazione ai corsi i responsabili di piscina e gli addetti agli impianti tecnologici debbano adeguarsi entro il 31.3.2016.
(3) Con successivo decreto dirigenziale n. 1494 del 28.4.2011
sono stati definiti nel dettaglio i contenuti e l’articolazione dei
corsi di formazione.
(4) Se la presentavano oltre tale termine dovevano svolgere
corsi completi senza poter accedere alla forma “abbreviata”.
(5) Tale delibera ha inoltre prorogato il termine per la partecipazione ai corsi formativi abbreviati al 10.7.2014.
(6) Il corso ordinario per entrambe le funzioni è di 38 ore, quello
abbreviato di 20 ore.
1.3. Gli adempimenti di chi già faceva il responsabile
della piscina e/o l’addetto agli impianti tecnologici
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
Approfondimenti
Facciamo il punto sulla disciplina delle piscine in Toscana
Prontuario inerente le sanzioni amministrative e le autorità competenti
Violazioni di cui all’art.18 l.r. 9/3/2006, n. 8 (per le piscine di cui all’art. 3, comma 1, lett. a)
Autorità amministrativa competente: Sindaco
Devoluzione dei proventi: Comune
Norma violata e motivazione
Sanzioni e note operative
1. Esercizio attività di piscina
• SANZIONE PECUNIARIA: da 500 a 6.000 € pagamento in misura ridotta: € 1.000
¨ senza avere ottenuto l’autorizzazione
• MISURE CAUTELARI: chiusura immediata dell’impianto
¨ senza avere presentato la Scia
art.18, comma 1, l.r. n. 8/2006
Note:
la violazione va contestata al titolare dell’impianto
2. Piscina priva di documentazione relativa al funziona- • SANZIONE PECUNIARIA: da 500 a 3.000 € pagamento in misura ridotta: € 1.000
mento degli elementi funzionali del complesso e all’au- • MISURE CAUTELARI: chiusura immediata dell’impianto
tocontrollo
art. 18, comma 2, l.r. n. 8/2006
Note:
la violazione va contestata al responsabile della piscina, il titolare può essere obbligato in solido ai sensi dell’art.
6, l. n. 689/1981.
3. Piscina priva dei requisiti strutturali, gestionali, tecni- • SANZIONE PECUNIARIA: da 500 a 3.000 € pagamento in misura ridotta: € 1.000
ci e igienico-ambientali dell’impianto piscina indicati nel • SANZIONE ACCESSORIA: sospensione attività da 3 a 30 giorni disposta dal Comune con ordinanza ingiunzione.
regola-mento regionale o nella l.r. n. 8/2006
art. 18, comma 3, l.r. n. 8/2006
Note:
la violazione va contestata al responsabile della piscina, il titolare può essere obbligato in solido ai sensi dell’art. 6,
l. n. 689/1981. Ai sensi dell’art. 51-bis del regolamento, inserito con l’art. 29 d.p.g.r. n. 54/R/2015, l’adempimento
delle prescrizioni impartite dalle aziende unità sanitarie locali in merito al rispetto dei requisiti di cui all’articolo 5,
comma 1, lett. a) della l.r. n. 8/2006, esclude l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’articolo 18, comma 3 della l.r. n. 8 del 2006, ad eccezione dei requisiti di cui all’ articolo 47, comma 6 e 48.
4. Piscina priva dei requisiti fisici, chimico-fisici, chimici • SANZIONE PECUNIARIA: da 500 a 3.000 € pagamento in misura ridotta: € 1.000
e microbiologici delle acque di vasca indicati nel regola- • SANIONE ACCESSORIA: sospensione attività da 3 a 30 giorni disposta dal Comune con ordinanza ingiunzione.
mento regionale
art. 18, comma 4, l.r. n. 8/2006
Note:
la violazione va contestata al responsabile della piscina, nel caso non adempia, nei termini indicati, alle prescrizioni impartite dall’Azienda USL. Non viene, quindi, comminata una sanzione immediata ma viene concesso un termine, congruo all’entità della non conformità, per potersi adeguare. Il titolare può essere obbligato in solido ai sensi dell’art.6, l. n. 689/1981.
5. Piscina priva del personale di assistenza ai bagnanti du- • SANZIONE PECUNIARIA: da 500 a 3.000 € pagamento in misura ridotta: € 1.000
rante l’orario di apertura
• SANZIONE ACCESSORIA: sospensione attività da 3 a 30 giorni disposta dal Comune con ordinanza ingiunzione.
art. 18, comma 5, l.r. n. 8/2006
Note:
la violazione va contestata al responsabile della piscina. Il titolare può essere obbligato in solido ai sensi dell’art. 6, l.
n. 689/1981. L’art. 12, comma 4, prevede che la presenza di assistenti ai bagnanti a bordo vasca in numero proporzionato al numero e alle caratteristiche delle vasche e al numero dei bagnanti, secondo quanto stabilito dal regolamento
regionale, sia assicurata in modo continuativo durante tutto l’orario di funzionamento della piscina. Tale sanzione non
si applica alle piscine realizzate all’interno di attività principale di albergo, campeggio, agriturismo, palestra e simili.
6. Omesso/a:
• SANZIONE PECUNIARIA: da 200 a 1.200 € pagamento in misura ridotta: € 400
a) svuotamento dell’acqua delle piscine;
b) esposizione del regolamento della piscina;
Note:
oppure
anche in questo caso la violazione va contestata al responsabile della piscina. Il titolare può essere obbligato in solic) presenza di bagnanti in numero superiore alla capienza do ai sensi dell’art. 6, l. n. 689/1981. Ai sensi dell’art. 9, comma 7, la vasca della piscina deve essere completamente
massima della piscina indicata nel regolamento interno svuotata, anche al fine di consentire una adeguata pulizia e sanificazione delle superfici della vasca medesima, almeno una volta l’anno e comunque ad ogni inizio di apertura stagionale. L’art. 10 prevede che all’ingresso dell’impianto sia esposto in maniera ben visibile ai frequentatori il regolamento della piscina nel quale devono essere disciplinate la capienza massima dell’impianto e le modalità di accesso alle vasche, sulla base delle disposizioni
contenute nella presente legge e nel regolamento regionale.
Autorità competenti all’accertamento delle violazioni:
Autorità competente all’applicazione delle sanzioni amministrative:
In primis
L’ufficio comunale competente, ricevuto il rapporto con allegata copia del verbale di contestazione:
il personale del Dipartimento di Prevenzione dell’Azien- • esamina gli scritti difensivi dell’eventuale ricorrente e, in caso di mancato accoglimento degli
da USL
stessi, emette apposita ordinanza ingiunzione;
• se ritiene, invece, fondate le argomentazioni del ricorrente emette ordinanza di archiviazione;
in subordine
• provvede ad introitare i proventi in caso di pagamento immediato o conseguente ad ordinanza
gli Ufficiali e gli Agenti di polizia giudiziaria secondo i poingiunzione;
teri conferiti dal codice di procedura penale.
• dispone ordinanza di chiusura o sospensione dell’attività dell’impianto di piscina.
NOTE CONCLUSIVE: Per quanto concerne le procedure relative all’accertamento ed all’irrogazione delle sanzioni, si applicano le disposizioni contenute nella legge regionale 28 dicembre 2000, n. 81.
(Disposizioni in materia di sanzioni amministrative). Rimane ferma la facoltà dell’autorità sanitaria di adottare provvedimenti contingibili ed urgenti che si rendessero necessari a tutela della salute pubblica.
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
11
12
Approfondimenti
Facciamo il punto sulla disciplina delle piscine in Toscana
Allegato A
D.P.G.R. n. 23/R/2010 – art.51 – Deroga ai requisiti delle piscine (Art. 19 l.r. n. 8/2006)
Riduzione
Articoli
Descrizione requisiti piscine
n. bagnanti
Indicazioni aggiuntive
in %
1. Per le piscine di cui all’art. 19, commi 1 e 1-bis, della l.r. n. 8/2006, è prevista una deroga definitiva ai soli requisiti sotto contemplati, ai sensi all’art. 19, commi 3 e 4, della l.r. n. 8/2006
Art. 5 comma 4
Nelle zone con profondità uniforme fino a 1 metro e 80 centimetri la pendenza del
- Indicazioni nel regolamento interno
10
Morfologia delle vasche
fondo non supera il limite dell’8 per cento.
- Norme di avvertimento e comportamento
Art. 6, comma 1
Per le piscine di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), c) e d), l’altezza del vano contenente la
- Indicazioni nel regolamento interno
Altezza del vano contenenvasca, misurata dal bordo della vasca stessa, è non inferiore in ogni suo punto a 3 me- Norme di avvertimento e comportamento
30
te la vasca
tri e 50 centimetri. Qualora sia presente un trampolino, la distanza tra questo e il soffitto è non inferiore a 5 metri.
Art. 8, comma 1
Qualora il dislivello tra bordo della vasca ed il fondo superi i 60 centimetri,l’ausilio di
- Indicazioni nel regolamento interno
Ausili di accesso all’acqua
accesso all’acqua è costituito da una o più scalette o gradini incassati in relazione alla
- Norme di avvertimento e comportamento
conformazione della vasca. Le scalette sono munite di mancorrenti e sono rigidamen15
te fissate alla struttura della vasca. La realizzazione di scale e gradini
sono realizzati nel rispetto delle norme UNI EN 13451 – 2.
Art. 9, comma 1
Sia il fondo che le pareti della vasca sono di colore chiaro, rifiniti con materiale imper- Indicazioni nel regolamento interno
Qualità dei materiali
meabile e resistente all’azione dei comuni disinfettanti.
- Norme di avvertimento e comportamento
25
- Valutazione del rischio nel piano di autocontrollo per qualità dei materiali
Art. 11 commi 1, 2, 3
1.Lungo il perimetro di ciascuna vasca sono realizzate banchine di idonea larghezza
- Indicazioni nel regolamento interno
Spazi perimetrali intorno
non inferiore a 1 metro e cinquanta centimetri rivestite con materiale antisdruccio- Norme di comporta-mento per il corretto
alla vasca
levole che siano facilmente lavabili e disinfettabili per garantire la sicurezza dei ba30
accesso in vasca
gnanti e il corretto svolgimento delle attività.
- Valutazione del rischio nel piano di autocon-trollo
2. In ogni caso la distanza minima di ostacoli fissi dal bordo vasca è non inferiore a 1
- Indicazioni nel regolamento interno
metro e 50 centimetri.
20
- Norme di comporta-mento per il corretto
accesso in vasca
3.L’area di bordo vasca è inoltre realizzata in piano con le seguenti caratteristiche:
- Valutazione del rischio nel piano di autoa) pendenza non superiore al 3 per cento verso l’esterno;
10
con-trollo
b) superficie complessiva non inferiore al 50 per cento di quella della vasca.
Art. 16, commi 3 e 5
Nelle piscine di cui all’art. 3, comma 1, lett. a) numero 1) e 3) della l.r. n. 8/2006
Valutazione del rischio nel piano di autoconSpogliatoi e deposito abiti
3. Negli spogliatoi è previsto un numero di cabine singole pari al 4 per cento del nutrollo
mero massimo di bagnanti di cui una, all’interno di ciascun settore, attrezzata e accessibile per coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impeProcedura specifica di pulizia degli ambienti
dita in forma permanente o temporanea.
5. Le cabine spogliatoio hanno pareti verticali distaccate dal pavimento per un’altez30
za non inferiore a 20 centimetri al fine di assicurare una facile pulizia anche con l’uso di idranti. Il pavimento, rivestito con materiali impermeabili e antisdrucciolevoli, è
fornito di griglie di scarico in grado di smaltire rapidamente le acque di lavaggio. Le
cabine hanno dimensione minime pari a 1 metro quadrato con un lato di lunghezza
minima di 90 centimetri.
Art. 21, comma 1,
1.Le piscine di cui all’art. 3, comma 1, lett. a) numero 1) e 3) della l.r. n. 8/2006 sono
Procedura specifica per disciplinare il primo
lettera a) e d)
dotate di un presidio di primo soccorso ad uso esclusivo degli utenti; tale ambiente ha
soccorso (alternativa)
Primo soccorso
le seguenti caratteristiche: a) una superficie non inferiore a 9 metri quadrati con la30
to minore non inferiore a 2 metri e 50 centimetri; d) una via di comunicazione con l’esterno in zona facilmente ai mezzi di emergenza sanitaria.
Procedura specifica per gli spogliatoi del perArt. 22, comma 1
Per il personale della piscina sono riservati appositi spogliatoi e servizi igienici. Almesonale
Locali destinati al personale no uno dei servizi igienici è attrezzato e accessibile per coloro che, per qualsiasi causa,
della piscina
hanno una capacità motoria ridotta o impedita, in forma permanente o temporanea.
10
(NB – Per le piscine di cui all’art.3, comma 1, lett. a) numero 2), della l.r. n. 8/2006 il
personale della piscina può avvalersi degli spogliatoi e i servizi igienici utilizzati dal
personale della struttura principale in cui la piscina è inserita).
èè
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
Approfondimenti
Facciamo il punto sulla disciplina delle piscine in Toscana
D.P.G.R. n. 23/R/2010 – art.51 – Deroga ai requisiti delle piscine (Art. 19 l.r. n. 8/2006)
Riduzione
Articoli
Descrizione requisiti piscine
n. bagnanti
Indicazioni aggiuntive
in %
2. Per le piscine di cui al comma 1, in cui le vasche siano approvvigionate ai sensi dell’art. 46, comma 1, è inoltre prevista una deroga definitiva anche ai seguenti requisiti:
Art. 25, commi 1 e 2
1. L’acqua di ogni vasca viene fatta ricircolare completamente nell’impianto di tratSpecifica procedura di autocontrollo
Ricicli dell’acqua
tamento rispettando i tempi massimi relativi alle seguenti categorie di vasche come
indicato dalle norme UNI 1063; per le piscine di cui all’articolo 3, comma 1, lettera
a) numero 2), della l.r. n. 8/2006 possono essere utilizzate procedure di autocontrollo che garantiscono il mantenimento di tutti i requisiti fisici, chimici e microbiologi10
co dell’acqua in vasca.
2. Deve essere installato un conta ore di portata alle pompe di ricircolo con registrazione giornaliera o qualsiasi altra idonea strumentazione per verificare il rispetto dei
parametri sopra indicati.
Art. 26, commi 1 e 2
1. Nelle vasche viene immessa con frequenza quotidiana e con uniforme continuiSpecifica procedura di autocontrollo
Reintegri e rinnovi dell’acqua tà, una quantità d’acqua di reintegro/rinnovo come previsto dalla norma UNI 10637.
2. Il responsabile delle piscine di cui all’art.3, comma 1, lett. a) numero 2) della l.r. n.
8/2006, che non adotta la norma UNI 10637 di cui al comma 1, stabilisce i criteri di autocontrollo sulla base di analisi chimiche e microbiologiche che dimostrano nel tem10
po di apertura stagionale e/o annuale, il mantenimento di tutti i parametri previsti
dall’Allegato A del d.p.g.r. n. 23/R/2010.
Tali criteri dovranno essere esibiti all’organo di vigilanza insieme alle analisi chimiche
e microbiologiche che ne comprovano il mantenimento.
N.B. La percentuale di riduzione dei bagnanti si applica con arrotondamento all’unità per difetto.
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
13
14
Approfondimenti
Nuove norme in materia di turismo
in Lombardia
„„ di Daniela Tedoldi
Consulente marketing territoriale e legislazione del commercio
La Regione Lombardia ha approvato la nuova legge regionale 1 ottobre 2015, n. 27, in vigore
dal 17 ottobre 2015, abrogando il precedente Testo
Unico sul Turismo approvato con legge regionale
16 luglio 2007, n. 15.
Si tratta di un provvedimento normativo innovativo, approvato in attuazione dell’articolo 117
della Costituzione e nel rispetto del principio di
sussidiarietà, contenente interessanti spunti di riflessione non ultima l’attenzione riservata dalla Regione alle persone con disabilità motorie, sensoriali e intellettive, ed alle persone che soffrono di temporanea mobilità ridotta; gli intendimenti del legislatore lombardo a questo ultimo proposito sono
stati di garantire ai suddetti la possibilità di fruire
dell’offerta turistica in modo completo e in autonomia, ricevendo servizi al medesimo livello di qualità
degli altri fruitori senza aggravi del prezzo.
La nuova legge regionale n. 27 provvede ad
esplicitare le funzioni dei vari enti territoriali, sancendo in particolare quelle delle province e della
città metropolitana di Milano all’articolo 6 in base
al quale le suddette esercitano le funzioni relative a:
a) abilitazioni per le professioni turistiche e vigilanza e controllo sull’esercizio delle stesse;
b) classificazione delle strutture ricettive sulla base dei
requisiti previsti con regolamento della giunta regionale e cura dei relativi elenchi da trasmettere
mensilmente alla stessa, ai fini della validazione dei
dati dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT);
c) vigilanza e controllo sul mantenimento dei requisiti di classificazione di cui alla lettera b);
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
d) raccolta e trasmissione alla regione dei dati statistici mensili sul movimento dei clienti nelle strutture ricettive, secondo criteri, termini e
modalità definiti dalla giunta regionale, nel rispetto degli indirizzi impartiti nell’ambito del
sistema statistico regionale, nazionale ed europeo;
e) comunicazioni concernenti le attrezzature e le
tariffe delle strutture ricettive;
f) raccolta e redazione di informazioni turistiche
locali ai fini dell’implementazione del portale
turistico regionale e connesso sviluppo delle attività on line;
g) collaborazione e sostegno alle reti di informazione e accoglienza;
h) vigilanza e controllo sulle attività delle associazioni pro loco;
i) raccolta e comunicazione delle segnalazioni dei
turisti relativamente alle attrezzature, ai prezzi
delle strutture ricettive e alle tariffe dei servizi e
delle professioni turistiche.
All’art. 7 sono invece descritte le competenze
dei comuni, i quali eventualmente anche in forma
associata, esercitano le funzioni relative alla:
a) valorizzazione delle proprie attrattive turistiche
e territoriali favorendo l’offerta integrata, l’espletamento dei servizi turistici di base e l’organizzazione di manifestazioni ed eventi, con facoltà di avvalersi delle associazioni, comprese le
pro loco, dei consorzi e di altri organismi associativi presenti sul territorio;
b) realizzazione di specifici progetti in materia di
Approfondimenti
Nuove norme in materia di turismo in Lombardia
valorizzazione dell’offerta turistica e integrata
del territorio approvati dalla Giunta regionale;
c) attivazione delle procedure amministrative per
l’avvio e le trasformazioni delle attività turistiche mediante l’applicazione delle disposizioni
relative allo sportello unico di cui all’articolo
38 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112 convertito
nella legge n. 133/2008;
d) raccolta e comunicazione, anche tramite le associazioni dei consumatori iscritte nell’elenco di cui all’articolo 2, comma 2, della l.r. n.
6/2003, delle segnalazioni dei turisti relativamente alle attrezzature, ai prezzi delle strutture
ricettive e alle tariffe dei servizi e delle professioni turistiche al fine di implementare il Sistema Informativo Regionale;
e) vigilanza e controllo, compresa la lotta all’abusivismo, sulle strutture ricettive, comprese case
e appartamenti per vacanze, e sull’attività di organizzazione e intermediazione di viaggi in forma professionale e non professionale.
Sotto il profilo della classificazione delle strutture la nuova legge regionale all’articolo 18 delinea
le strutture ricettive, mantenendo peraltro la precedente distinzione della legge regionale n. 15/2007,
distinguendole in:
a) strutture ricettive alberghiere;
b) strutture ricettive non alberghiere.
Sono definite strutture ricettive alberghiere
quelle organizzate per fornire al pubblico, con gestione unitaria, alloggio in almeno sette camere o
appartamenti, con o senza servizio autonomo di cucina, e altri servizi accessori per il soggiorno, compresi eventuali servizi di bar e ristorante.
Le strutture ricettive alberghiere si distinguono in:
a) alberghi o hotel;
b) residenze turistico-alberghiere;
c) alberghi diffusi;
d)condhotel.
Le strutture ricettive non alberghiere si distinguono in:
a) case per ferie;
b) ostelli per la gioventù;
c) foresterie lombarde;
d)locande;
e) case e appartamenti per vacanze;
f) bed & breakfast;
g) rifugi alpinistici, rifugi escursionistici e bivacchi fissi;
h) aziende ricettive all’aria aperta.
TABELLA COMPARATIVA TRA LEGGE REGIONALE n. 15/2007 E LEGGE REGIONALE n. 27/2015
Strutture ricettive ALBERGHIERE della l.r. n. 15/2007
Strutture ricettive ALBERGHIERE della l.r. n. 27/2015
a) alberghi o hotel;
Alberghi (quando offrono alloggio prevalentemente in camere):
a) motel;
b) residenze turistico-alberghiere;
b) villaggio albergo;
c) alberghi diffusi;
c) albergo meublé o garnì;
d) condhotel.
d) albergo – dimora storica;
e) albergo – centro benessere;
e-bis) albergo diffuso.
Residenze Turistico-Alberghiere (quando offrono alloggio in appartamenti costituiti da uno o più locali, dotati di servizio autonomo di cucina).
Strutture ricettive NON ALBERGHIERE della l.r. n. 15/2007
Strutture ricettive NON ALBERGHIERE della l.r. n. 27/2015
a) case per ferie;
a) case per ferie;
b) ostelli per la gioventù;
b) ostelli per la gioventù;
c) rifugi alpinistici e rifugi escursionistici;
c) foresterie lombarde;
d) esercizi di affittacamere;
d) locande;
e) case e appartamenti per vacanze;
e) case e appartamenti per vacanze;
f) bed & breakfast;
f) bed & breakfast;
g) bivacchi fissi.
g) rifugi alpinistici, rifugi escursionistici e bivacchi fissi;
h) aziende ricettive all’aria aperta.
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
15
16
Approfondimenti
Nuove norme in materia di turismo in Lombardia
Venendo subito ad individuare le novità introdotte dalla legge regionale n. 27, troviamo per prime le strutture denominate condhotel che l’articolo
19 comma 4 definisce in questo modo:
“I condhotel sono esercizi alberghieri aperti al
pubblico, a gestione unitaria, composti da uno o più
unità immobiliari ubicate nello stesso comune o da
parti di esse, che forniscono alloggio, servizi accessori
ed eventualmente vitto, in camere destinate alla ricettività e, in forma integrata e complementare, in unità
abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina, la cui superficie non può superare il quaranta per cento della superficie complessiva dei compendi immobiliari a destinazione alberghiera e, per la parte residenziale, non potrà in alcun
modo beneficiare degli aumenti delle cubature riservate dagli strumenti urbanistici alle superfici destinate a funzioni turistico-ricettive”.
L’art. 21 della legge regionale n. 27 stabilisce
anche le procedure per la classificazione, la dichiarazione dei servizi offerti e il rispetto degli standard
qualitativi prevedendo che il titolare della struttura ricettiva debba presentare al comune competente per territorio, contestualmente alla Scia o alle comunicazioni, la dichiarazione, su modello regionale, relativa alla classificazione, oppure la dichiarazione dei servizi offerti e del rispetto degli standard
qualitativi richiesti per le strutture ricettive disciplinate dalla legge.
Successivamente la provincia competente per
territorio, o la città metropolitana di Milano, verificano le dichiarazioni presentate anche mediante sopralluoghi presso le strutture ricettive, e verificano
che la denominazione della struttura ricettiva eviti omonimie nell’ambito territoriale delle stesso comune anche in relazione a diverse tipologie di strutture ricettive. Le verifiche sono effettuate secondo
le disposizioni previste per la Scia dall’articolo 19
della legge n. 241/1990.
Nell’ambito invece delle strutture ricettive non
alberghiere si evidenzia la scomparsa della fattispecie dell’affittacamere e la nuova entrata delle “foresterie lombarde” e delle “locande”.
La definizione di Foresterie è fornita dall’art.
27 secondo il quale sono strutture ricettive gestite
in forma imprenditoriale, in non più di sei camere,
con un massimo di quattordici posti letto da chi,
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
anche in un immobile diverso da quello di residenza, fornisce alloggio ed eventuali servizi complementari, compresa la somministrazione di alimenti e bevande esclusivamente per le persone alloggiate, nel rispetto del Regolamento CE 852 sull’igiene
dei prodotti alimentari. A ben vedere dunque una
fattispecie molto simile, seppur con differenze interessanti, ai precedenti affittacamere. La giunta regionale definirà un apposito contrassegno identificativo delle foresterie lombarde che dovrà essere affisso, a spese di chi esercita l’attività, all’esterno della residenza.
Da evidenziare anche che i locali destinati all’esercizio di foresteria lombarda devono possedere le
caratteristiche strutturali e igienico-sanitarie previste per i locali di civile abitazione. Vediamo in una
tabella comparativa le differenze tra nuove e vecchie tipologie (v. tabella a pagina seguente).
Sempre in relazione alle attività extra alberghiere, la legge regionale n. 27/2015 all’articolo 29 definizione il bed & breakfast e ne individua le caratteristiche.
È definito bed & breakfast l’attività svolta a conduzione familiare, in forma non imprenditoriale,da
chi, in maniera non continuativa, fornisce alloggio
e prima colazione in non più di quattro camere con
un massimo di dodici posti letto, avvalendosi della normale organizzazione familiare, ivi compresa
l’eventuale presenza di collaboratori domestici della famiglia.
L’attività di B&B deve essere esercitata al numero civico di residenza anagrafica del titolare, ivi
comprese le pertinenze e deve osservare un periodo
di interruzione dell’attività non inferiore a novanta
giorni anche non continuativi. Ogni periodo di interruzione dell’attività deve essere comunicato preventivamente alla provincia competente per territorio o alla città metropolitana di Milano.
L’esercizio dell’attività di bed&breakfast, secondo quanto previsto dalla normativa statale, non
necessita d’iscrizione nel registro delle imprese e di
apertura di partita IVA e beneficia delle agevolazioni previste dalla Regione. Si conferma dunque la
disciplina del B&B non professionale con i limiti
indicati dalla legge.
In base all’articolo 30 la giunta regionale definirà un apposito contrassegno identificativo dei
Approfondimenti
Nuove norme in materia di turismo in Lombardia
AFFITTACAMERE
FORESTERIE
Può essere esercitata in modo complemen- Strutture ricettive gestite in forma imprenditotare rispetto all’esercizio di somministra- riale.
zione di alimenti e bevande, qualora tale
attività sia svolta dal medesimo titolare in
una struttura immobiliare unitaria.
LOCANDE
Strutture ricettive COMPLEMENTARI all’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande,
gestite dallo stesso titolare in forma imprenditoriale.
MAX 6 CAMERE
MAX 6 CAMERE
MAX 6 CAMERE
12 POSTI LETTO
14 POSTI LETTO
14 POSTI LETTO
UBICATE in non più di due appartamenti am- UBICATE anche in un immobile diverso da quel- L’attività di locanda è svolta in modo unitario
mobiliati in uno stesso stabile.
lo di residenza.
nello stesso edificio in cui si svolge l’esercizio di
somministrazione di alimenti e bevande, comprese le pertinenze.
Somministrazione di alimenti e bevande esclu- Somministrazione di alimenti e bevande esclu- Somministrazione di alimenti e bevande AL
sivamente per le persone alloggiate, dietro pre- sivamente per le persone alloggiate, dietro pre- PUBBLICO.
sentazione di NOTIFICA n. 852/2004.
sentazione di NOTIFICA n. 852/2004.
I locali destinati all’esercizio di affittacamere I locali destinati all’esercizio di affittacamere I locali destinati all’esercizio di locanda possiedevono possedere le caratteristiche strutturali devono possedere le caratteristiche strutturali dono le caratteristiche strutturali e igienico-saed igienico-sanitarie previste per i locali di ci- ed igienico-sanitarie previste per i locali di ci- nitarie previste per i locali di civile abitazione.
I locali di NUOVA COSTRUZIONE destinati a lovile abitazione.
vile abitazione.
canda devono possedere le caratteristiche
strutturali e igienico-sanitarie previste per le
strutture ricettive alberghiere.
bed&breakfast che dovrà essere affisso, a spese di
chi esercita l’attività, all’esterno della residenza.
Per la somministrazione di alimenti e bevande riferita al servizio di prima colazione effettuata
dal titolare dell’attività di B&B, non sono necessari i requisiti professionali di cui all’articolo 66 della l.r. n. 6/2010 e quindi dell’articolo 71 del d.lgs.
n. 59/2010.
La legge regionale n. 27 detta anche disposizioni comuni alle attività ricettive alberghiere e non alberghiere, in particolare prevedendo all’articolo 37
l’emanazione, entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge (17 ottobre 2015) di un prossimo regolamento di attuazione della legge in base al quale
la Giunta regionale disciplinerà:
a) i criteri per il riconoscimento delle denominazioni specifiche delle strutture ricettive alberghiere, nonché di quelle aggiuntive;
b) i livelli di classificazione delle strutture ricettive;
c) le superfici e le cubature minime dei locali per
il pernottamento in relazione ai posti letto,
nonché le altezze minime dei locali di servizio,
tecnici e accessori all’attività alberghiera;
d) le attrezzature, le dotazioni, le aree comuni e i
servizi di interesse turistico;
e) gli ambiti degli alberghi diffusi;
f) i documenti da allegare alla domanda di classificazione;
g) i contrassegni identificativi delle strutture ricettive che devono essere affissi, a spese di chi
esercita l’attività, all’esterno della struttura;
h) i criteri per il mantenimento funzionale delle
strutture e dei servizi ai fini della classificazione;
i) l’utilizzo di caserme, scuole e altri edifici pubblici, o parti degli stessi, quali strutture ricettive temporanee legate a particolari eventi; l’uso
di detti immobili è subordinato alla preventiva
verifica delle idonee condizioni igienico-sanitarie, di abitabilità e di sicurezza da effettuarsi a
cura delle autorità preposte;
j) i servizi, gli standard qualitativi e le dotazioni minime obbligatorie delle case per ferie, ostelli della gioventù, case e appartamenti per vacanze, foresterie lombarde, locande e
bed&breakfast;
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
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Approfondimenti
Nuove norme in materia di turismo in Lombardia
k) i requisiti strutturali e igienico-sanitari, nonché
il periodo di apertura minimo dei rifugi alpinistici ed escursionistici;
l) quanto altro necessario per definire e qualificare le strutture ricettive.
Il regolamento potrà prevedere ulteriori specifiche norme la cui applicazione sia espressamente
ed esclusivamente riservata alle nuove costruzioni
e alle ristrutturazioni di strutture ricettive. Queste
nuove norme non si applicano alle strutture ricettive alberghiere già esistenti alla data di entrata in
vigore della legge n. 27, nonché agli interventi di
costruzione o ristrutturazione delle strutture i cui
progetti sono stati presentati agli uffici competenti entro la data di entrata in vigore del regolamento medesimo.
Sarà in ogni caso assicurato che le strutture precedentemente abilitate possano continuare a operare, eventualmente con diversa classificazione, nel
caso in cui le difformità derivino da opere murarie
o impiantistiche tecnicamente inattuabili.
Dal punto di vista della disciplina amministrativa, le attività ricettive alberghiere e non alberghiere disciplinate nei capi I, II, III e IV del titolo III
della legge, ad esclusione delle case e appartamenti per vacanze e dei bivacchi fissi per i quali occorre
la preventiva comunicazione al comune competente
per territorio, sono intraprese mediante la presentazione della Scia secondo le disposizioni dell’articolo
19 della legge n. 241/1990.
Inutile sottolineare come ancora una volta si
ipotizzi nelle intenzioni dei redattori della legge
una presunta distinzione tra comunicazione e segnalazione, quando invece nella legge n. 241/1990
(e neanche in nessun provvedimento normativo
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
regionale di disciplina del procedimento amministrativo) non esiste e non risulta disciplinato alcun
istituto giuridico della “comunicazione” che di fatto è, e deve essere, considerata una Scia.
La Scia deve essere presentata al comune competente per territorio corredata dalla documentazione comprovante la sussistenza dei requisiti richiesti in base alle disposizioni vigenti.
Novità delle legge: così come accade per i pubblici esercizi di somministrazione, la legge regionale prevede all’articolo 38 comma 2 che copia della Scia debba essere esposta visibilmente all’interno
dei locali dove è esercitata l’attività.
Inoltre è disciplinata la sospensione dell’attività ricettiva in quanto il comma 6 del citato articolo sancisce che il titolare delle strutture ricettive
alberghiere e non alberghiere che intende procedere alla cessazione temporanea o definitiva dell’attività debba darne preventiva comunicazione al comune.
Il periodo di cessazione temporanea dell’attività, fatta eccezione per i rifugi e per le attività ricettive svolte in modo non continuativo, non potrà essere superiore a sei mesi, prorogabile dal comune, per
fondati motivi, una sola volta di ulteriori sei mesi;
decorso tale termine, l’attività deve intendersi definitivamente cessata.
Un’ultima segnalazione riguarda la previsione del comma 9 dell’articolo 38 secondo cui per
le strutture ricettive non alberghiere Case per ferie, Ostelli per la Gioventù, Case e appartamenti
per vacanze, Foresterie lombarde, Locande e Bed &
Breakfast, non è richiesto il cambio di destinazione
d’uso per l’esercizio dell’attività e le stesse mantengono la destinazione urbanistica-residenziale.
novembre-dicembre 11-12/2015
Mensile in materia di commercio, pubblici esercizi, attività economiche, turismo e servizi locali
DOSSIER
Legge 22 maggio 2015, n. 68 – Disposizioni
in materia di delitti contro l’ambiente
DOSSIER
2
Legge 22 maggio 2015, n. 68 – Disposizioni
in materia di delitti contro l’ambiente
„„ di Alessandra Codenotti
La legge 22 maggio 2015, n. 68, pubblicata in
G.U. n. 122 del 28 maggio 2015, si compone di 3
articoli che introducono significative modifiche sia
al codice penale, sia al decreto legislativo 4 aprile
2006, n. 152 (anche detto Codice dell’ambiente),
sia alla legge 7 febbraio 1992, n. 150.
Articolo 1
Il corpus centrale del provvedimento è contenuto nel suo articolo 1 che inserisce nel Libro Secondo del codice penale un nuovo titolo VI-bis,
“Dei delitti contro l’ambiente” composto da 12 articoli (dal 452-bis al 452-terdecies) che prevede cinque nuove fattispecie delittuose:
- Inquinamento ambientale ex articolo 452-bis c.p.
- Disastro ambientale ex articolo 452-quater c.p.
- Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività ex articolo 452-sexies c.p.
- Impedimento del controllo ex articolo 452- septies c.p.
- Omessa bonifica ex articolo 452-terdecies c.p.
Il delitto di Inquinamento ambientale, previsto
dall’articolo 452-bis, punisce la compromissione o il
deterioramento delle acque o dell’aria, della qualità del suolo o del sottosuolo, ovvero dell’ecosistema,
della biodiversità, della flora e della fauna selvatica.
Viene previsto un aumento della pena per chi
causi l’inquinamento di un’area naturale protetta o
sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, sino ad arrivare alla pena più grave per morte o lesioni personali che non può superare il massimo edittale di anni 20 di reclusione.
Una precedente definizione di inquinamento si può individuare nell’articolo 5 del decreto
legislativo n. 152/2006 anche detto Codice dell’ambiente che definisce l’inquinamento ambientale come “l’introduzione diretta o indiretta, a seguito
di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore o
rumore o più in generale di agenti fisici o chimici, nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente, causare il deterioramento dei beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi
dell’ambiente o ad altri suoi legittimi usi”.
Il provvedimento in esame sembra aver rispettato tale definizione che viene ancora oggi utilizzata come linea guida per qualificare ogni singolo danneggiamento all’ambiente, lasciando così il compito alla nuova novella di disciplinare il momento nel quale
questo cambiamento ponga in essere un delitto.
Da evidenziare che, perché possa delinearsi il
fatto di reato, la “compromissione” e il “deterioramento” cagionati devono essere contemporaneamente “significativi e misurabili”, dando così ad intendere che l’inquinamento, di cui all’articolo 452bis, richiede una chiara evidenza e un’oggettiva possibilità di quantificazione.
Il testo di legge prosegue con l’articolo 452-quater che punisce, con la reclusione da cinque a quindici anni, chiunque cagioni abusivamente un disastro ambientale.
Prima dell’intervento legislativo del 22 maggio
2015, la giurisprudenza era solita ricondurre la fattispecie del disastro ambientale allo schema normativo del così detto “disastro innominato” (art. 434
codice penale) contenuto nel titolo VI relativo ai
“delitti contro l’incolumità pubblica”.
Così facendo veniva lasciato un ampio margine interpretativo che permetteva, rispetto all’attuale situazione, una più libera applicazione della fattispecie delittuosa ex articolo 434 c.p.
Con la nuova disposizione normativa il reato di danno ambientale diviene a forma vincolata:
DOSSIER
3
è quindi possibile chiarire e limitare il suo ambito applicativo ai soli casi di alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema in quanto tale, o
qualora la sua eliminazione risulti particolarmente onerosa e necessiti di provvedimenti eccezionali, ovvero in caso di offesa alla pubblica incolumità dovuta all’estensione della compromissione, o ai
suoi effetti lesivi, ovvero all’elevato numero di persone offese o esposte a pericolo.
Il traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, disciplinato dall’articolo articolo 452-sexies
c.p., impone la reclusione da due a sei anni e la multa
da 10.000 a 50.000 euro a chiunque abusivamente cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di materiale ad alta radioattività.
I commi successivi dell’articolo prevedono
un aggravamento della pena per casi di pericolo,
di compromissione o deterioramento della acque,
dell’aria, del suolo o del sottosuolo per poi includere
l’ipotesi di messa in pericolo di un ecosistema, della
biodiversità, della flora e della fauna.
La clausola di specialità richiamata all’inizio
della disposizione -“salvo che il fatto costituisca più
grave reato” – potrebbe ricondurre all’ipotesi disciplinata dall’articolo 260 Codice dell’ambiente e il
caso del “più grave reato” potrebbe riferirsi ai “rifiuti ad alta radioattività” per i quali sarebbe applicata la pena della reclusione da tre a otto anni.
Così facendo, il richiamo al decreto legislativo n.
152/2006 garantirebbe un più ampio raggio d’azione per la tutela contro questo tipo di illecito.
Per finire, la legge n. 68/2015 introduce nel codice penale italiano anche i delitti di impedimento
del controllo (articolo 452-septies c.p.) e di omessa
bonifica (452-terdecies c.p.).
La prima di queste due fattispecie delittuose punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque renda impossibili o difficoltosi, la vigilanza e il
controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro,
estendendo la punibilità anche per la compromissione
degli esiti di tali attività, mentre il successivo reato, di
omessa bonifica, prevede, al suo primo comma, la pena della reclusione da uno a quattro anni e la multa da
euro 20.000 a euro 80.000 per chiunque, per ordine
del giudice o dell’autorità pubblica, ometta di bonificare, ripristinare o recuperare lo stato dei luoghi.
La disposizione sopra citata, contenuta nell’articolo
452-terdecies c.p., parrebbe finalizzata alla sostituzione
del vigente articolo 275 – bonifica dei siti – Codice
dell’ambiente per il quale andrebbe punito chiunque
cagioni l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle
acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio e non
provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente.
Il legislatore, invece, non abrogando, ma limitandosi a modificare l’articolo 275 Codice dell’ambiente, esprime la volontà di mantenere contemporaneamente entrambe le diposizioni, introducendo solamente una clausola speciale al suo comma 1
“salvo che il fatto costituisca più grave reato”.
Secondo i lavori preparatori e l’Ufficio del massimario della Corte di Cassazione, la clausola speciale su menzionata permetterebbe di limitare l’ambito applicativo dell’art. 257, d.lgs. n. 152/2006
(bonifica dei siti) alla sola fattispecie di superamento delle soglie di rischio, escludendo il caso in cui
venga raggiunto il limite dell’inquinamento. Così
facendo le restanti ipotesi di reato andrebbero ricondotte alla disciplina del nuovo articolo 452-terdecies del codice penale.
Articolo 2 e articolo 3
L’articolo 2 della legge 22 maggio 2015, n. 68 apporta modifiche alla legge 7 febbraio 1992, n. 150 che
disciplina i “reati relativi all’applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle
specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla legge 19
dicembre 1975, n. 874, e del regolamento (CEE) n.
3626/1982, e successive modificazioni, nonché norme
per la commercializzazione e la detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire
pericolo per la salute e l’incolumità pubblica”.
Le modifiche, che interessano principalmente
alcuni articoli della legge n. 150/1992, nello specifico gli articoli 1, 2, 5, 6, 8-bis e 8-ter, prevedono un
inasprimento delle sanzioni previste per le contravvenzioni disciplinate dai suddetti articoli.
Per concludere l’articolo 3 disciplina l’entrata in
vigore della legge qui esaminata prevista per il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale.
DOSSIER
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LEGGE 22 MAGGIO 2015, N. 68
Legge 22 maggio 2015 n. 68
Articolo 452-bis – Inquinamento ambientale
PRIMA DELLA LEGGE 22 MAGGIO 2015, N. 68
D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 “Codice dell’Ambiente”
Articolo 300 – Danno ambientale
È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000
a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o
un deterioramento significativi e misurabili:
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o
del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.
1. È danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata
da quest’ultima.
2. Ai sensi della direttiva 2004/35/CE costituisce danno ambientale il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato:
a) alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale
e comunitaria di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme
per la protezione della fauna selvatica, che recepisce le direttive 79/409/
CEE del Consiglio del 2 aprile 1979; 85/411/CEE della Commissione del
25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del marzo 1991 ed attua le convenzioni di Parigi del 18 ottobre 1950 e di Berna del 19 settembre 1979, e di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, recante regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, nonché alle aree naturali protette di cui alla legge dicembre 1991, n. 394, e successive norme di attuazione;
b) alle acque interne, mediante azioni che incidano in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo oppure sul potenziale ecologico delle acque interessate, quali definiti nella direttiva 2000/60/CE, ad eccezione degli effetti negativi cui si applica l’articolo 4, paragrafo 7, di tale direttiva;
c) alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel mare territoriale mediante le azioni suddette, anche se svolte in acque internazionali;
d) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito
dell’introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente.
Codice penale
Articolo 434 – Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi
Legge 22 maggio 2015, n. 68
Articolo 452-quater – Disastro ambientale
Fuori dai casi previsti dall’articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale alternativamente: 1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema;
2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;
3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto
per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per
il numero delle persone offese o esposte a pericolo. Quando il disastro è
prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.
Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un
fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa
ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni.
La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene [449, 676, 677].
èè
DOSSIER
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LEGGE 22 MAGGIO 2015, N. 68
Legge 22 maggio 2015, n. 68
Articolo 452-sexies – Traffico e abbandono di materiale
ad alta radioattività
PRIMA DELLA LEGGE 22 MAGGIO 2015, N. 68
Codice dell’ambiente
Articolo 260 – attività organizzate per il traffico illecito
di rifiuti – comma 2
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione
da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000 chiunque
abusivamente cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di
materiale ad alta radioattività.
La pena di cui al primo comma è aumentata se dal fatto deriva il pericolo di compromissione o deterioramento:
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o
del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
Se dal fatto deriva pericolo per la vita o per l’incolumità delle persone, la
pena è aumentata fino alla metà.
1. Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno
a sei anni.
2. Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.
3. Alla condanna conseguono le pene accessorie di cui agli articoli 28,
30, 32-bis e 32-ter del codice penale, con la limitazione di cui all’articolo 33 del medesimo codice.
4. Il giudice, con la sentenza di condanna o con quella emessa ai sensi
dell’articolo 444 del codice di procedura penale, ordina il ripristino dello stato dell’ambiente e può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente.
D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 “Codice dell’Ambiente”
Articolo 137, comma 8
Legge 22 maggio 2015, n. 68
Articolo 452-septies – Impedimento del controllo
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
8. Il titolare di uno scarico che non consente l’accesso agli insediamenti da parte del soggetto incaricato del controllo ai fini di cui all’articolo
101, commi 3 e 4, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la pena dell’arresto fino a due anni. Restano fermi i poteri-doveri di interventi dei soggetti incaricati del controllo anche ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 689 del 1981 e degli articoli 55 e 354 del codice
di procedura penale.
èè
DOSSIER
6
LEGGE 22 MAGGIO 2015, N. 68
Legge 22 maggio 2015, n. 68
Articolo 452-terdecies – Omessa bonifica
PRIMA DELLA LEGGE 22 MAGGIO 2015, N. 68
D.lgs 3 aprile 2006, n. 152 “Codice dell’Ambiente”
Articolo 257 – Bonifica dei siti
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un’autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei
luoghi è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni e con
la multa da euro 20.000 a euro 80.000».
2. All’articolo 257 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1 sono premesse le seguenti parole: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato,»;
b) il comma 4 è sostituito dal seguente:
«4. L›osservanza dei progetti approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per le contravvenzioni
ambientali contemplate da altre leggi per il medesimo evento e per la
stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1».
1. Chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila
euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato
dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione della comunicazione
di cui all’articolo 242, il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da
tre mesi a un anno o con l’ammenda da mille euro a ventiseimila euro. 2.
Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro se l’inquinamento è provocato da sostanze pericolose.
3. Nella sentenza di condanna per la contravvenzione di cui ai commi 1 e
2, o nella sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può
essere subordinato alla esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e ripristino ambientale.
4. L’osservanza dei progetti approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per i reati ambientali contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1.
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P.IVA
Approfondimenti
Il Consiglio di Stato subordina il rilascio
della licenza dell’art. 88 in Lombardia
al rispetto delle previsioni della legge
regionale sulla ludopatia
„„ di Saverio Linguanti
Con sentenza del 1° ottobre 2015, n. 4593 il
Consiglio di Stato afferma la legittimità delle previsioni della legge regionale n. 8/2013 in merito alle distanze da rispettare per le nuove installazioni
di videogiochi e subordina la validità dell’autorizzazione rilasciata dal questore ai sensi dell’articolo
88 T.U.L.P.S. al rispetto della norma regionale sulla ludopatia ed alla successiva presentazione di una
Scia per l’esercizio dell’attività di gioco nei locali
oggetto dell’autorizzazione stessa.
Il fatto ha origine in relazione all’ordinanza
n. 12 dell’8 marzo 2014, con la quale il responsabile dello sportello unico delle attività produttive
del comune di Casalpusterlengo e comuni associati ha vietato la prosecuzione dell’attività di raccolta di gioco lecito mediante apparecchi da divertimento e intrattenimento collegati alla rete telematica di VLT presso alcuni locali, in quanto la Scia di
esercizio era stata presentata in data 7 marzo 2014
quindi in sede di vigenza delle nuove disposizioni
regionali sulle distanze dei videogiochi dai luoghi
sensibili.
Il T.A.R. in primo grado aveva accolto il ricorso del gestore, aderendo all’impostazione sostenuta secondo la quale la disciplina contenuta nell’art.
5, comma 1, della l.r. n. 8/2013 e nell’allegato A
alla deliberazione di giunta regionale n. X/1274,
non potevano trovare applicazione in quanto non
si trattava di “nuova collocazione” di apparecchi da
gioco: ciò poiché l’interessata aveva ottenuto in data 19 dicembre 2013 (ossia prima dell’entrata in vigore dei nuovi limiti di distanza dai luoghi sensibili) l’autorizzazione del questore di Lodi ex art. 88
T.U.L.P.S.
Il Consiglio di Stato nella sentenza n. 4593/2015
in commento, ha ribaltato la decisione del giudice
di primo grado accogliendo il ricorso della Regione
Lombardia ed affermando che l’autorizzazione del
questore non soddisferebbe tutti i requisiti necessari per l’esercizio dell’attività commerciale di gioco,
in aggiunta al fatto che nella sala scommesse non
si sarebbe in presenza di un’ordinaria attività commerciale trattandosi di attività potenzialmente lesiva degli interessi dei giocatori, quindi della salute dei cittadini.
Secondo i supremi giudici l’attività di raccolta di gioco lecito mediante apparecchi VLT è sottoposta ad un duplice vaglio da parte dell’amministrazione, dato che una volta ottenuta la licenza del
questore ex art. 88 del T.U.L.P.S., si rende necessario per il legittimo esercizio anche la presentazione
al comune della Scia che attesti il rispetto delle previsioni normative e dei limiti indicati dalla legge regionale n. 8/2013.
I giudici del Consiglio affermano infatti che
“mentre l’autorizzazione di polizia mira al
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Il C.d.S. subordina il rilascio della licenza dell’art. 88 in Lombardia al rispetto delle previsioni della l.r. sulla ludopatia
contrasto dei fenomeni di criminalità legati al
mondo delle scommesse, la Scia consente di verificare il rispetto di quegli altri interessi che
devono essere tutelati nell’esercizio dell’attività commerciale in questione, tra i quali spicca
quello della tutela del consumatore rispetto alla c.d. ludopatia”.
In particolare il Consiglio di Stato rileva che la
tutela del consumatore contro la ludopatia rappresenta un “motivo imperativo di interesse generale”
che giustifica restrizioni all’attività in questione,
senza che possa venire in dubbio un eventuale contrasto con la disciplina dell’Unione Europea. Pertanto il rilascio della licenza dell’articolo 88 del
T.U.L.P.S. da parte del questore non può prescindere dalla verifica delle disposizioni della legge regionale n. 8/2013 e la verifica dell’ipotesi di “nuova installazione “ deve avvenire rispetto alla realizzazione temporale delle fattispecie indicate dalla
DGR n. X/1274.
Consiglio di Stato, sez. V, 1 ottobre 2015, n. 4593
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6383 del 2015, proposto dalla Regione Lombardia, in persona del Presidente in carica, rappresentato e
difeso dall’avvocato …………………, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato ……………………………….;
contro
…………………...;
nei confronti di
Il Comune di Casalpusterlengo, Sportello Unico delle Attività Produttive e Comuni Associati;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, n. 149/2015, resa tra le parti, concernente il divieto di prosecuzione della attività di raccolta
di gioco lecito mediante apparecchi da divertimento e intrattenimento collegati alla rete telematica.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 agosto 2015 il Cons. ………………….. e udito per le parti l’avvocato ………………….
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per la Lombardia, l’odierna appellata invocava l’annullamento:
a) dell’ordinanza n. 12 dell’8 marzo 2014, con la quale il responsabile dello Sportello Unico delle Attività Produttive del Comune di Casalpusterlengo e Comuni associati ha vietato la prosecuzione dell’attività di raccolta di gioco lecito mediante apparecchi da divertimento e intrattenimento collegati alla rete telematica di VLT, presso i locali siti in ……………………;
b) del Provv. n. 4674/8.4 dell’11 marzo 2014, con cui il responsabile dello Sportello Unico ha vietato la somministrazione nello stesso locale di
alimenti e bevande, in quanto attività accessoria alla prima.
2. Il primo giudice accoglieva il ricorso, aderendo all’impostazione sostenuta dall’originaria ricorrente secondo la quale la disciplina contenu-
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ta nell’art. 5, comma 1, della L.r. n. 8/2013 e nell’Allegato A alla deliberazione di Giunta regionale n. X/1274, non potrebbe trovare applicazione
nei suoi confronti, dovendosi escludere che ricorra sia configurabile, nel caso di specie, un’ipotesi di “nuova collocazione” di apparecchi da gioco in ragione del fatto che l’interessata ha ottenuto in data 19 dicembre 2013 (ossia prima dell’entrata in vigore dei nuovi limiti di distanza dai
luoghi sensibili) l’autorizzazione del Questore di Lodi ex art. 88 T.U.L.P.S.
Due sono stati gli argomenti utilizzati dal T.A.R., per sostenere che il cd. distanziometro non possa applicarsi agli apparecchi collocati, giusta
autorizzazione del Questore, prima della sua entrata in vigore, anche se sprovvisti di SCIA:
I) l’applicazione al caso di specie del principio, di matrice giurisprudenziale, secondo il quale le norme comportanti restrizioni e vincoli allo svolgimento dell’attività commerciale privata devono essere interpretate, in caso di dubbio, in modo da consentire il più ampio svolgimento dell’iniziativa economica;
II) la previsione normativa contenuta nell’ art. 1, comma 2, del D.L. n. 1 del 2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 27 del 2012, secondo il
quale “le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all’accesso ed all’esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate e applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l’iniziativa economica privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti”.
3. Avverso la sentenza indicata in epigrafe propone appello la Regione Lombardia, sostenendo l’erroneità dell’esegesi offerta dal primo giudice,
in quanto l’autorizzazione del Questore non soddisferebbe tutti i requisiti necessari per l’esercizio dell’attività commerciale in questione, tanto che sarebbe necessaria la Scia. Inoltre, non si sarebbe in presenza di un’ordinaria attività commerciale, poiché potenzialmente lesiva degli
interessi dei giocatori, quindi della salute dei cittadini. In ragione di ciò, l’appellante ritiene che l’interpretazione del quadro normativo – fatta
propria dal T.A.R. – contrasterebbe con i principi dell’Unione Europea, avanzando sul punto la richiesta di rimessione alla Corte di Giustizia sulla questione concernente i limiti alle attività commerciali derivanti da interessi generali.
Precisa l’appellante, inoltre, che la Scia dovrebbe essere accompagnata da un progetto in ordine alla conformità urbanistica, edilizia e sanitaria.
Inoltre, il termine “collocazione” presupporrebbe il collegamento telematico, quindi, sarebbe necessariamente successivo alla Scia.
La correttezza di una simile interpretazione sarebbe, infine, stata ribadita dalla l.r. Lombardia n. 11 del 2015, che ha modificato la l.r. Lombardia, n. 8 del 2013, sostituendo il termine “collocazione” con quello di “installazione”.
4. Ritiene la Sezione che l’appello è fondato e deve essere accolto.
Occorre al riguardo rilevare che l’attività di raccolta di gioco lecito mediante apparecchi VLT è sottoposta ad un duplice vaglio
da parte dell’amministrazione, atteso che per poter essere legittimamente esercitata deve essere preceduta dall’autorizzazione del Questore ex art. 88 T.U.L.P.S. e dalla relativa Scia. Una simile disciplina è conforme ai principi dell’Unione Europea, come chiarito dalla Corte di Giustizia con la pronuncia del 12 settembre 2013, secondo la quale “Gli artt. 43 e 49 del Trattato C.E. non ostano a una normativa nazionale che imponga alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi d’azzardo l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di
polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attività, e che limiti il rilascio di una siffatta autorizzazione segnatamente ai richiedenti che già sono in possesso di una simile concessione”.
Si tratti di titoli che evidentemente sono preordinati al soddisfacimento di interessi diversi.
Infatti, mentre l’autorizzazione di polizia mira al contrasto dei fenomeni di criminalità legati al mondo delle scommesse, la
Scia consente di verificare il rispetto di quegli altri interessi che devono essere tutelati nell’esercizio dell’attività commerciale in questione, tra i quali spicca quello della tutela del consumatore rispetto alla c.d. ludopatia.
Quest’ultimo rappresenta un “motivo imperativo di interesse generale” che giustifica restrizioni all’attività in questione, senza che
possa venire in dubbio un eventuale contrasto con la disciplina dell’Unione Europea.
La differenza tra le tipologie di interessi tutelati dall’autorizzazione del Questore e dalla Scia è chiaramente desumibile anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. Corte Cost., n. 300/2011), che ha escluso che l’introduzione di una disciplina delle distanze in tale materia
sia invasiva della competenza del legislatore nazionale in materia di ordine pubblico.
È evidente, quindi, che la disciplina sulle distanze è tesa a regolamentare il fenomeno delle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell’impatto sul territorio dell’afflusso a detti giochi degli utenti. Si tratta, in definiti-
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va, di disposizioni che non incidono direttamente sulla individuazione e sulla installazione dei giochi leciti, ma su fattori (quali la prossimità a
determinati luoghi e la pubblicità) che potrebbero, da un canto, indurre al gioco un pubblico costituito da soggetti psicologicamente più vulnerabili od immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacità suggestiva dell’illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni e, dall’altro, influire sulla viabilità e sull’inquinamento acustico delle aree interessate (cfr. Cons. St., sez. VI, 11 settembre 2013, n. 4498).
5. Tanto premesso, non è condivisibile l’interpretazione che il T.A.R. ha dato alla disciplina contenuta nell’art. 5 della l.r. Lombardia, n. 8 del
2013, prima delle modifiche portate dalla l.r. Lombardia, n. 11/2015. Quest’ultima, infatti, ha portato, tra l’altro, le seguenti modifiche: “al comma 1 dell’articolo 5, le parole: “la nuova collocazione di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito” sono sostituite dalle seguenti: “la nuova installazione di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito di cui all’articolo 110, comma 6, del r.d. n. 773 del 1931”;
e) dopo il comma 1 dell’articolo 5 sono inseriti i seguenti:
“1-bis. Ai fini della presente legge per nuova installazione s’intende il collegamento degli apparecchi di cui al comma 1 alle reti telematiche
dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli in data successiva alla data di pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione della deliberazione
della Giunta regionale di cui al comma 1 relativa alla determinazione della distanza da luoghi sensibili”.
Pertanto, se il legislatore regionale con la novella del 2015 ha specificamente disposto che la disciplina regionale riguarda l’attivazione dell’attività commerciale all’esito anche della presentazione della Scia e dell’avvenuto collegamento telematico, occorre verificare un analogo principio riguarda le attività autorizzate dal Questore prima del 29 gennaio 2014, data di entrata in vigore della disciplina sul cd distanziometro, ma
non ancora abilitate a seguito di Scia.
Il collegio rileva che è proprio la disposizione richiamata dal primo giudice quale parametro esegetico di riferimento, ossia l’art. 1, comma 2, del
d.l. n. 1 del 2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 27 del 2012, a non consentire di aderire all’impostazione prescelta dal T.A.R.
Essa, infatti, da un lato, precisa che le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all’accesso ed all’esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate e applicate in senso tassativo, restrittivo; dall’altro, chiarisce che nell’interpretazione deve seguirsi un criterio di ragionevole proporzionalità rispetto alle perseguite finalità di interesse pubblico generale.
Nella materia in questione come sopra chiarito tra le finalità di interesse pubblico generale vi sono sicuramente quelle a tutela del ‘consumatore’ nei termini sopra indicati.
Pertanto, appare del tutto ragionevole ritenere che la disciplina regionale anche prima della novella del 2015, nell’utilizzare i termini di “collocazione” o di “installazione lecita”, non facesse riferimento soltanto all’ottenimento dell’autorizzazione del Questore, che come detto tutela
l’interesse all’ordine pubblico, ma dovesse intendersi riferita a quelle attività che fossero dotate di entrambi i titoli per essere legittimamente
avviate (non solo l’autorizzazione del Questore, ma anche la presentazione della Scia).
Pertanto, poiché nella fattispecie quest’ultima è stata presentata in data 7 marzo 2014, non v’è dubbio che dovessero applicarsi i limiti del cd.
distanziometro.
6. In definitiva, l’appello deve essere accolto, con ciò che ne consegue in termini di riforma della sentenza di primo grado e di rigetto del ricorso
introduttivo del giudizio. Le spese processuali dei due gradi seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 6383 del 2015, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado.
Condanna ..................................... al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, in favore della Regione Lombardia.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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Rapporti tra l’assegnazione di posteggi
su aree pubbliche e i beni culturali:
a che punto siamo in attesa del 2017
„„ di Marco Massavelli
Vice Comandante Polizia Municipale Druento (TO)
Il T.A.R. Lazio, con la sentenza 23 settembre
2015, n. 15284 è intervenuto per decidere una questione relativa alle graduatorie per l’assegnazione di
posteggi per una fiera organizzata annualmente dal
Comune di Roma: la decisione dei giudici amministrativi ci consente di approfondire l’argomento
del rinnovo delle autorizzazioni per lo svolgimento
dell’attività di commercio su area pubblica, in vista della prossima scadenza di maggio 2017, quando i comuni dovranno rivedere le procedure di selezione per l’assegnazione di posteggi su aree pubbliche. A norma del decreto legislativo del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114, per commercio
su aree pubbliche si intende l’attività di vendita di
merci al dettaglio e la somministrazione di alimenti
e bevande effettuate sulle aree pubbliche, comprese quelle del demanio marittimo o sulle aree private delle quali il comune abbia la disponibilità, attrezzate o meno, coperte o scoperte. In particolare,
le aree pubbliche sono le strade, i canali, le piazze,
comprese quelle di proprietà privata gravate da servitù di pubblico passaggio e ogni altra area di qualunque natura destinata a uso pubblico. In tali luoghi i comuni organizzano i mercati, l’area pubblica o privata della quale il comune abbia la disponibilità, composta da più posteggi, attrezzata o meno
e destinata all’esercizio dell’attività per uno o più o
tutti i giorni della settimana o del mese per l’offerta
integrata di merci al dettaglio, la somministrazione
di alimenti e bevande, l’erogazione di pubblici servizi. In particolare, per posteggio dobbiamo intendere la parte di area pubblica o di area privata della
quale il comune abbia la disponibilità che viene data in concessione all’operatore autorizzato all’esercizio dell’attività commerciale.
L’autorizzazione per l’esercizio dell’attività
L’articolo 28, decreto legislativo n. 114/1998,
individua due tipologie di autorizzazione per l’esercizio dell’attività del commercio su area pubblica:
a) su posteggi dati in concessione per dieci anni;
b) su qualsiasi area purché in forma itinerante.
Entrambe le tipologie sono soggette al rilascio di
apposita autorizzazione da parte del comune, secondo le modalità indicate dal medesimo articolo 28.
Su tale disposto normativo, è intervenuto il
decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, recante “Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno”, che, all’articolo
70, ha apportato significative modificazioni nella disciplina del commercio al dettaglio sulle aree
pubbliche.
Tale provvedimento è stato pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 94 del 23 aprile 2010, e, informazione rilevante per il proseguo del discorso, è
entrato in vigore in data 8 maggio 2010.
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Approfondimenti
Rapporti tra l’assegnazione di posteggi su aree pubbliche e i beni culturali
L’esercizio dell’attività di commercio al dettaglio sulle aree pubbliche è soggetto ad apposita autorizzazione che può essere rilasciata a:
• persone fisiche,
• società dì persone,
• società di capitali
•cooperative.
L’autorizzazione all’esercizio dell’attività di vendita sulle aree pubbliche esclusivamente in forma
itinerante è rilasciata, in base alla normativa emanata dalla regione, dal comune nel quale il richiedente, persona fisica o giuridica, intende avviare
l’attività. L’autorizzazione abilita anche alla vendita
al domicilio del consumatore, nonché nei locali ove
questi si trovi per motivi di lavoro, di studio, di cura, di intrattenimento o svago.
Di particolare rilievo, per quanto qui di interesse, è il comma 5, dell’articolo 70, che stabilisce che
con apposita intesa in sede di Conferenza unificata,
ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, sono individuati, senza discriminazioni basate sulla forma giuridica dell’impresa, i
criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione
dei posteggi per l’esercizio del commercio su aree
pubbliche e le disposizioni transitorie da applicare,
con le decorrenze previste, anche alle concessioni in
essere alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, ed a quelle prorogate
durante il periodo intercorrente fino all’applicazione di tali disposizioni transitorie.
Come è noto, l’intesa in sede di conferenza unificata è stata adottata in data 5 luglio 2012: si sono stabiliti così i criteri da applicare nelle procedure di selezione per l’assegnazione di posteggi su aree pubbliche, in attuazione dell’articolo 70, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, di recepimento della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel
mercato interno.
Cosa prevede l’intesa prima del 2017?
L’articolo 8, dell’intesa, recante “Disposizioni
transitorie”, stabilisce, tra l’altro che in fase di prima attuazione, le concessioni di posteggio scadute dopo la data di entrata in vigore del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, e già prorogate per
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effetto dell’articolo 70, comma 5, del citato decreto fino alla data della presente intesa, sono ulteriormente prorogate fino al compimento di sette anni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo; le concessioni di posteggio
che scadono nel periodo compreso fra la data della presente intesa e i cinque anni successivi all’intesa stessa, sono prorogate fino al termine di tale periodo.
Verificando le date, ciò significa che le concessioni di posteggio (decennali, di cui all’articolo 28,
comma 1, lettera a), decreto legislativo n. 114/1998)
scadute dopo l’8 maggio 2010, e già prorogate fino
alla data di entrata in vigore dell’intesa, sono prorogate fino al compimento di sette anni dalla data
di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo (entrato in vigore in data 8 maggio 2010), e cioè
fino all’8 maggio 2017.
Le concessioni di posteggio decennali che scadono nel periodo compreso il 5 luglio 2012 e i cinque anni successivi (5 luglio 2017) sono prorogate
tutte fino al 5 luglio 2017.
Da un punto di vista operativo, quindi, i soggetti titolari di autorizzazione per il commercio
su area pubblica di tipologia A, e, quindi, titolari di posteggio in concessione decennale, potranno usufruire del posteggio fino alle date sopraindicate: alla scadenza delle suddette date, i comuni dovranno, quindi, applicare i nuovi criteri stabiliti in sede di conferenza unificata, per le procedure di selezione per l’assegnazione dei posteggi su
aree pubbliche.
Ma l’intesa adottata in sede di conferenza unificata deve applicarsi ai soli mercati oppure può essere applicata anche per le fiere?
L’attività di commercio in zone vincolate
Per fiera, innanzitutto, deve intendersi, a norma del decreto legislativo n. 114/1998, la manifestazione caratterizzata dall’afflusso, nei giorni stabiliti sulle aree pubbliche o private delle quali il
comune abbia la disponibilità, di operatori autorizzati a esercitare il commercio su aree pubbliche,
in occasione di particolari ricorrenze, eventi o festività.
Approfondimenti
Rapporti tra l’assegnazione di posteggi su aree pubbliche e i beni culturali
In via di principio, l’amministrazione non
può comunque essere privata dei suoi poteri di
disciplina del territorio per la salvaguardia delle
esigenze di tutela del decoro del territorio e per
il rispetto delle misure di sicurezza per l’incolumità pubblica
Infatti, a mente dell’art. 52, comma 1, del
d.lgs. n. 42 del 2004, richiamato dall’articolo 70,
comma 4, decreto legislativo 59/2010, particolari esigenze di tutela del decoro urbano e del patrimonio culturale del Paese possono indurre i comuni, sentito il soprintendente, ad individuare le
aree pubbliche aventi valore archeologico, storico,
artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio.
In questi casi, l’interesse pubblico alla tutela del bene culturale non può certamente essere
compromesso in ragione della esistenza di un generale regime di proroga disposto dalla citata Intesa, quand’anche esso fosse ritenuto applicabile anche alle fiere e non solo ai mercati. Infatti, lo stesso d.lgs. n. 59/2010, all’ art. 70, comma 4, espressamente fa salva l’applicazione del citato art. 52 d.lgs.
n. 42/2004, con ciò confermando la priorità e prevalenza delle esigenze di tutela del bene culturale su
quelle degli operatori commerciali al mantenimento della pregressa concessione.
Tali esigenze sono state ben tenute presente dal
legislatore quando ha emanato il comma 1-ter del
citato art. 52 del d.lgs. n. 42/2004.
La stessa norma, come modificata dal decreto
legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, art. 4,
ha inoltre previsto che possano essere avviati procedimenti di revisione delle concessioni di suolo pubblico già in essere, anche in deroga tra l’altro “alle disposizioni transitorie stabilite nell’intesa in sede di conferenza unificata, ai sensi dell’articolo 8,
comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, prevista dall’articolo 70, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59.
Come è noto, la citata disposizione è stata oggetto di un recente intervento da parte della Corte
costituzionale con rifermento alla necessità di prevedere l’Intesa Stato-Regioni (cfr. sent. n.140 del 9
luglio 2015).
La Corte Costituzionale interviene tra commercio
e beni culturali
La Corte Costituzionale, infatti, è intervenuta,
tra l’altro, sul ricorso presentato avverso gli articoli
2-bis e 4-bis, del decreto legge n. 91/2013, convertito dalla legge 112/2013, e avverso l’articolo 4, comma 1, del decreto legge n. 83/2014, convertito dalla legge 106/2014, dichiarandone l’illegittimità costituzionale: i primi, nella parte in cui non prevedono l’intesa fra Stato e Regioni; il secondo nella parte
in cui non prevede alcuno strumento idoneo a garantire una leale collaborazione fra Stato e Regioni.
Entrambi gli interventi normativi hanno apportato significative modifiche all’articolo 52, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Per quanto qui di interesse, ci si riferisce al
comma 1-ter, dell’articolo 52, modificato dall’art.
4, comma 1, legge n. 106 del 2014 poi dall’art. 16,
comma 1-ter, legge n. 125 del 2015: in particolare il
nuovo testo prevede che:
1-ter. Al fine di assicurare il decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili del demanio
culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti, nonché delle aree a essi contermini, d’intesa con la Regione e i Comuni, adottano apposite determinazioni volte a vietare gli usi da ritenere
non compatibili con le specifiche esigenze di tutela e di valorizzazione, comprese le forme di uso pubblico non soggette a concessione di uso individuale,
quali le attività ambulanti senza posteggio, nonché,
ove se ne riscontri la necessità, l’uso individuale delle
aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio di concessioni di posteggio o di occupazione di suolo pubblico. In particolare, i competenti uffici territoriali
del Ministero, la Regione e i Comuni avviano, d’intesa, procedimenti di riesame, ai sensi dell’articolo
21-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, delle
autorizzazioni e delle concessioni di suolo pubblico,
anche a rotazione, che risultino non più compatibili con le esigenze di cui al presente comma, anche in
deroga a eventuali disposizioni regionali adottate in
base all’articolo 28, commi 12, 13 e 14, del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e successive modificazioni, nonché in deroga ai criteri per il rilascio e il
rinnovo della concessione dei posteggi per l’esercizio
del commercio su aree pubbliche e alle disposizioni
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Approfondimenti
Rapporti tra l’assegnazione di posteggi su aree pubbliche e i beni culturali
transitorie stabilite nell’intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, prevista dall’articolo
70, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2010,
n. 59 recante attuazione della direttiva 2006/123/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno.
In caso di revoca del titolo, ove non risulti possibile
il trasferimento dell’attività commerciale in una collocazione alternativa potenzialmente equivalente, al
titolare è corrisposto da parte dell’amministrazione
procedente l’indennizzo di cui all’articolo 21-quinquies, comma 1, terzo periodo, della legge 7 agosto
1990, n. 241, nel limite massimo della media dei ricavi annui dichiarati negli ultimi cinque anni di attività, aumentabile del 50 per cento in caso di comprovati investimenti effettuati nello stesso periodo per
adeguarsi alle nuove prescrizioni in materia emanate dagli enti locali.
In particolare, viene impugnato l’articolo 4,
comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2014, n.
83, come convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 29 luglio 2014, n. 106, che
ha integrato il rinumerato comma 1-ter dell’art. 52
del d.lgs. n. 42 del 2004, tra l’altro, attribuendo ai
competenti uffici territoriali del ministero, d’intesa
con i comuni, una potestà revocatoria delle autorizzazioni e delle concessioni di suolo pubblico ai fini
dell’esercizio di attività commerciali e artigianali.
Tale norma è impugnata in quanto non prevede, per l’approvazione del nuovo statuto, alcuna intesa con le Regioni e le Province autonome, le quali, dato il rinvio alla fonte statutaria dell’ente anche
per la disciplina dell’osservatorio nazionale del turismo, sono private di qualsiasi competenza al riguardo (pur vantando competenza residuale in materia
di turismo), così violando gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., ed al principio di leale collaborazione di cui all’art. 5 Cost.
Orbene, dal contenuto del modificato art. 52 del
codice dei beni culturali, emerge con chiarezza il fine (esplicitato dal legislatore statale ed attuato mediante specifica regolamentazione dell’“esercizio del
commercio in aree di valore culturale e nei locali storici tradizionali”) di assicurare la tutela, la salvaguardia ed il decoro, in particolare, “dei complessi monumentali e degli altri immobili del demanio culturale
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti, nonché delle aree a essi contermini”, attraverso “apposite determinazioni”, che i competenti uffici territoriali del ministero, d’intesa con i comuni,
adottano “volte a vietare gli usi da ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di tutela e di valorizzazione” (art. 52, comma 1-ter).
Risulta, pertanto, evidente come alle specifiche
esigenze di “tutela” si accompagnino contestualmente anche quelle di “valorizzazione” dei beni culturali de quibus, comprensive della attività di “promozione” del patrimonio culturale, ai sensi dell’art.
6 del d.lgs. n. 42 del 2004.
Ciò premesso, va (sotto altro profilo) riaffermato come la tutela dei beni culturali, inclusa nel secondo comma dell’art. 117 Cost., sotto la lettera s),
tra quelle di competenza legislativa esclusiva dello
Stato, sia materia dotata di un proprio àmbito, ma
nel contempo contenente l’indicazione di una finalità da perseguire in ogni campo in cui possano venire in rilievo beni culturali.
D’altro canto, è però significativo come lo stesso
art. 1 del codice dei beni culturali, nel dettare i princìpi della relativa disciplina, sancisca (al comma 2)
che “la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere
lo sviluppo della cultura”. Ciò implica, per un verso,
il riferimento a un “patrimonio” intrinsecamente comune, non suscettibile di arbitrarie o improponibili
frantumazioni ma, nello stesso tempo, naturalmente esposto alla molteplicità e al mutamento e, perciò
stesso, affidato, senza specificazioni, alle cure della
“Repubblica”; per altro verso, una sorta di ideale contiguità, nei limiti consentiti, fra le distinte funzioni di “tutela” e di “valorizzazione” di questo “patrimonio” medesimo, ciascuna identificata nel proprio
àmbito competenziale fissato dall’art. 117, secondo
comma, lettera s), e terzo comma, Cost.
Necessaria collaborazione tra Stato e Regioni
All’interno di questo sistema, appare indubbio
che “tutela” e “valorizzazione” esprimano – per
esplicito dettato costituzionale e per disposizione
del codice dei beni culturali – aree di intervento
Approfondimenti
Rapporti tra l’assegnazione di posteggi su aree pubbliche e i beni culturali
diversificate. E che, rispetto ad esse, è necessario che restino inequivocabilmente attribuiti allo
Stato, ai fini della tutela, la disciplina e l’esercizio
unitario delle funzioni destinate alla individuazione dei beni costituenti il patrimonio culturale
nonché alla loro protezione e conservazione; mentre alle regioni, ai fini della valorizzazione, spettino la disciplina e l’esercizio delle funzioni dirette alla migliore conoscenza, utilizzazione e fruizione di quel patrimonio. Tuttavia, nonostante tale diversificazione, l’ontologica e teleologica contiguità delle suddette aree determina, nella naturale dinamica della produzione legislativa, la possibilità (come nella specie) che alla predisposizione di strumenti concreti di tutela del patrimonio
culturale si accompagnino contestualmente, quali naturali appendici, anche interventi diretti alla
valorizzazione dello stesso; ciò comportando una
situazione di concreto concorso della competenza
esclusiva dello Stato con quella concorrente dello
Stato e delle Regioni.
Inoltre, nella specie, il legislatore statale –
sempre per i menzionati fini di tutela e valorizzazione – ha fatto ricorso anche ad ulteriori previsioni riguardanti le concrete modalità di individuazione dei locali di artigianato e commercio tradizionali da parte dei comuni, sentito il
sovrintendente, ovvero l’adozione da parte dei
competenti uffici territoriali del ministero, d’intesa con i comuni, di apposite determinazioni
volte a vietare gli usi da ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di tutela e di valorizzazione, comprese le forme di uso pubblico non
soggette a concessione di uso individuale, quali le attività ambulanti senza posteggio, nonché
il rilascio di concessioni di occupazione di suolo
pubblico; previsioni tutte che incidono direttamente sulla regolamentazione di attività riconducibili alle materie del “commercio” ed “artigianato”, appartenenti alla competenza residuale delle regioni (Corte Costituzionale, sentenze n. 49
del 2014, n. 251 del 2013 e n. 203 del 2012). Rispetto alle quali (con specifico riguardo alla attività del commercio in forma itinerante) è stato
sottolineato come vada ricompresa anche la possibilità per il legislatore regionale di disciplinarne nel concreto lo svolgimento, nonché quella di
vietarne l’esercizio in ragione della particolare situazione di talune aree metropolitane, di modo
che l’esercizio del commercio stesso avvenga entro i limiti qualificati invalicabili della tutela dei
beni ambientali e culturali, allo scopo di garantire, indirettamente, attraverso norme che ne salvaguardino la ordinata fruizione, la valorizzazione dei maggiori centri storici delle città d’arte a
forte vocazione turistica.
La norma censurata possiede un contenuto
strumentale per il conseguimento degli specifici
fini di tutela e di valorizzazione, predisponendo
(nel dettaglio) i mezzi per il conseguimento degli
stessi, attraverso limitazioni aventi ricadute dirette su attività e su rapporti, anche concessorii, altrimenti oggetto della competenza residuale delle regioni.
Nella specie, va dunque ravvisata una situazione di “concorrenza di competenze”, comprovata
dalla constatazione che la norma censurata si presta
ad incidere contestualmente su una pluralità di materie, ponendosi all’incrocio di diverse competenze
(“tutela dei beni culturali”, “valorizzazione dei beni culturali”, “commercio”, “artigianato”) attribuite dalla Costituzione rispettivamente, o alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, ovvero a quella
concorrente dello Stato e delle regioni, ovvero infine a quella residuale delle regioni, senza che (in termini “qualitativi” o “quantitativi”) sia individuabile un àmbito materiale che possa considerarsi prevalente sugli altri.
Orbene, in tale contesto, l’impossibilità di
comporre il concorso di competenze statali e regionali mediante l’applicazione del principio di
prevalenza, in assenza di criteri contemplati in
Costituzione e avendo riguardo alla natura unitaria delle esigenze di tutela e valorizzazione del
patrimonio culturale, giustifica l’applicazione del
principio di leale collaborazione, che deve, in ogni
caso, permeare di sé i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie.
Ciò tanto più in quanto, nel modificare il quadro costituzionale delle competenze di Stato e Regioni per la parte che qui interessa, è significativo che il legislatore costituzionale del 2001 ha tenuto conto delle caratteristiche diffuse del patrimonio storico-artistico italiano, disponendo
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Approfondimenti
Rapporti tra l’assegnazione di posteggi su aree pubbliche e i beni culturali
espressamente, al novellato terzo comma dell’art.
118 Cost., che la legge statale disciplini forme di
intesa e coordinamento tra Stato e regioni proprio
nella materia della tutela dei beni culturali (sentenza n. 232 del 2005). Norma, quest’ultima, di cui la
Corte Costituzionale, ha peraltro, auspicato un’applicazione che, attribuendo allo Stato la salvaguardia delle esigenze primarie della tutela che costituisce il fondamento di tutta la normativa sui beni culturali, non trascuri le peculiarità locali delle regioni
(sentenza n. 9 del 2004).
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
Normativa di riferimento
Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 – artt. 27 e 28
Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 – art. 52
Decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 – art. 70
Giurisprudenza di riferimento
T.A.R. Lazio, 23 settembre 2015, n. 15284
Corte Costituzionale 9 luglio 2015, n. 140
Giurisprudenza
E
nti locali – Ordinanza
“anti-kebab” per motivi di sicurezza – Illegittimità
L’art. 54, comma 4, del d.lgs. n.
267/2000 permette al sindaco di
adottare motivati provvedimenti
contingibili al fine di prevenire ed
eliminare gravi pericoli che minacciano l’ incolumità pubblica e la sicurezza urbana, tuttavia la norma specifica che questo deve avvenire nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento.
È illegittima l’ordinanza sindacale che riduce l’orario di apertura di un’attività di piadineria
– kebab a due sole ore per ogni
giorno lavorativo, dalle ore 12,00
a.m. alle 14,00, a causa della presenza frequente, nei pressi dell’attività in parola, di persone nullafacenti e/o dedite ad attività sospette, afferenti allo spaccio ed
al consumo di stupefacenti; persone che, specie in orario tardo
pomeridiano e serale, sarebbero
solite aggregarsi e trattenersi nel
sottoportico prospiciente l’esercizio, diventato luogo di abituale ritrovo dei medesimi soggetti.
Invero se anche l’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000 permette al sindaco di adottare motivati provvedimenti contingibili al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano
l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, tuttavia la norma
specifica che questo deve avvenire nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento.
Nel caso di specie la drastica riduzione d’orario imposta con
l’atto impugnato fino a tutto il
31.12.2015 risulta non aver in alcun modo valutato né l’impatto
sull’attività imprenditoriale, né la
validità di possibili soluzioni intermedie, tenuto conto del fatto
che, per quanto riguarda le possibili mancanze di tipo igienico
così come per la violazione della
normativa inerente il commercio
di bevande alcoliche, altri sono i
mezzi all’uopo previsti dall’ordinamento e che, invece, il collegamento tra l’attività del ricorrente ed i riscontrati assembramenti di persone “indesiderabili” non
risulta provato al di là di semplici illazioni, come invece sarebbe stato necessario data la gravità
della decisione presa.
Invece, proprio dalla documentazione istruttoria prodotta, si
rileva come sia stato riscontrato
che la presenza delle forze dell’ordine comportasse un’immediata
dispersione di tali assembramenti; pare quindi evidente che una
ancor maggiore presenza in loco da parte di polizia comunale o
di appartenenti alla pubblica sicurezza, con conseguente identificazione delle persone solite intrattenersi in loco, avrebbe permesso anzitutto di meglio chiarire i presunti rapporti tra l’esercizio interessato e persone coinvolte in attività illecite e forse anche di disincentivare le frequentazioni indesiderate, oltre a
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Giurisprudenza
permettere la verifica di eventuali infrazioni dell’esercizio in questione in relazione alla normativa di vendita, tutti elementi che
necessitano di riscontri precisi
ed oggettivi quali possono essere rinvenuti solo da accertamenti circostanziati e oggetto di relazioni immediate e precise, nel caso di specie non presenti.
(T.A.R. Veneto, sez. III, 29 ottobre 2015, n. 1115)
E
nti locali – Orario esercizi apparecchi da gioco – Ricorso contro ordinanza Sindaco – Competenza
del comune e non dello Stato – Tutela benessere e quiete pubblica – Artt. 3 e 5 d.lgs.
n. 267/2006
La normativa in materia di gioco d’azzardo – con riguardo alle
conseguenze sociali dell’offerta dei
giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché
dell’ impatto sul territorio dell’afflusso ai giochi degli utenti – non
è riferibile alla competenza statale esclusiva in materia di ordine
pubblico e sicurezza di cui all’art.
117, della Costituzione, ma alla
tutela del benessere psicofisico dei
soggetti maggiormente vulnerabili e della quiete pubblica, tutela
che rientra nelle attribuzioni del
Comune ex artt. 3 e 5 del d.lgs.
n. 267/2006. Pertanto, il potere
esercitato dal Sindaco nel definire gli orari di apertura delle sale
da gioco non interferisce con quello degli organi statali preposti alla tutela dell’ordine e della sicurezza.
1) … È stato sostenuto che gli
atti concernenti la gestione del
«gioco lecito» sarebbero attratti
nella competenza esclusiva dello
Stato in materia di ordine e sicurezza, come sarebbe stato rilevato
dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 237 del 2006 e n. 72
del 2010, mentre il contrasto della «ludopatia» rientrerebbe nelle
competenze non dei Sindaci, ma
della Agenzia delle Dogane e dei
Monopoli ex l. n. 189 del 2012.
La tesi non è condivisibile, atteso che la normativa in materia di
gioco d’azzardo – con riguardo
alle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell’impatto sul territorio dell’afflusso ai giochi degli utenti – non è riferibile alla
competenza statale esclusiva in
materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all’art. 117, comma secondo, lettera h), della Costituzione, ma alla tutela del benessere psico-fisico dei soggetti
maggiormente vulnerabili e della quiete pubblica (come rilevato dalla Corte Costituzionale
con sentenze 10 novembre 2011,
n. 300, e 21 aprile 2015, n. 995),
tutela che rientra nelle attribuzioni del Comune ex artt. 3 e 5
del d.lgs. n. 267 del 2006.
La disciplina degli orari delle sale
da gioco è infatti volta a tutelare
in via primaria non l’ordine pubblico, ma la salute ed il benessere psichico e socio economico dei
cittadini, compresi nelle attribuzioni del Comune ai sensi di dette norme.
Pertanto, il potere esercitato dal
Sindaco nel definire gli orari di
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apertura delle sale da gioco non
interferisce con quello degli organi statali preposti alla tutela
dell’ordine e della sicurezza, atteso che la competenza di questi
ha ad oggetto rilevanti aspetti di
pubblica sicurezza, mentre quella del Sindaco concerne in senso lato gli interessi della comunità locale, con la conseguenza che
le rispettive competenze operano
su piani diversi e non è configurabile alcuna violazione dell’art.
117, comma secondo, lett. h),
della Costituzione (Consiglio di
Stato, sez. V, 1° agosto 2015, n.
3778).
2) Il collegio ritiene … non condivisibile la tesi che l’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000
possa essere interpretato nel senso che la competenza del Sindaco non riguardi anche la materia
dei giochi, atteso che la disposizione gli attribuisce espressamente il compito di coordinare e riorganizzare, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell’ambito di eventuali criteri fissati dalla Regione, gli
orari degli esercizi commerciali,
dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici.
Dalla particolare ampiezza della nozione di “pubblico esercizio”
contenuta nella disposizione, deve ritenersi che rientrino senz’altro nella nozione anche le attività di intrattenimento espletate
all’interno delle sale giochi e degli esercizi in cui siano stati installati apparecchi di «gioco lecito»: il connotato tipizzante di un
pubblico esercizio è la fruibilità
delle attività ivi svolte da parte
della collettività indifferenziata, i
Giurisprudenza
cui componenti siano ammessi a
parteciparvi.
Le sale giochi e gli esercizi dotati di apparecchiature da gioco, in quanto locali ove si svolge l’attività attualmente consentita dalla legge, sono qualificabili, seguendo l’elencazione contenuta nell’art. 50, comma 7, d.lgs.
n. 267 del 2000, come «pubblici esercizi», di talché per dette sale il Sindaco può esercitare il proprio potere regolatorio, anche
quando si tratti dell’esercizio del
gioco d’azzardo, quando le relative determinazioni siano funzionali ad esigenze di tutela della salute e della quiete pubblica.
Tale principio è stato espressamente affermato con la sentenza di questa Sezione 30 giugno
2014, n. 3271, laddove ha riconosciuto che «L’art. 3 del d.l. n.
138/2011, convertito nella legge n. 148/2011, sempre in tema
di abrogazione delle restrizioni all’accesso e all’esercizio delle
professioni e delle attività economiche, ha poi disposto che “l’iniziativa e l’attività economica
privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge”, affermando un principio, derogabile
soltanto in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati (sicurezza,
libertà, dignità umana, utilità sociale, salute)».
Inoltre, la Corte Costituzionale, con la sentenza 18 luglio 2014,
n. 220, con riguardo alla individuazione dei poteri esercitabili
dal Sindaco ai sensi dell’art. 50,
comma 7, del d.lgs. n. 267 del
2000, ha al riguardo dichiarato
inammissibile, per mancato esame di possibili diverse soluzioni
ermeneutiche, la questione di legittimità costituzionale di detta
norma, in riferimento agli artt.
32 e 118 cost., nella parte in cui,
disciplinando i poteri normativi e
provvedimentali attribuiti al Sindaco in materia di gioco e scommesse, non prevede che tali poteri
possano essere esercitati con finalità di contrasto del fenomeno del
gioco di azzardo patologico.
Per la Corte Cost., come evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa di legittimità e di merito, la disposizione censurata può
fornire un fondamento legislativo al potere del Sindaco di disciplinare gli orari delle sale giochi
e degli esercizi nei quali sono installate le apparecchiature per il
gioco. In tale senso si sono collocate anche ulteriori pronunce,
con le quali è stato riconosciuto
che, sulla base della generale previsione dell’art. 50, comma 7, del
d.lgs. n. 267 del 2000, il Sindaco
può disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali siano installate apparecchiature per il gioco e che ciò può fare
per esigenze di tutela della salute (tra le quali è compresa la esigenza di contrasto alle ludopatie), della quiete pubblica, ovvero della circolazione stradale (oltre alla citata sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, sent.
3271 del 2014, cfr. le ordinanze della Sezione stessa nn. 3845
del 2014, 5826 del 2014 e 610
del 2014, alle cui argomentazioni
si rinvia integralmente anche ai
sensi e per gli effetti di cui all’art.
74 del c.p.a., seconda parte).
Con riguardo al particolare caso in esame, osserva in proposito
il collegio che con la determinazione sindacale impugnata, preso
atto di una relazione della A.S.L.
di Imperia circa la particolare
diffusione del fenomeno del gioco d’azzardo e della deliberazione del Consiglio comunale n. 50
del 2014 (di approvazione di un
atto di indirizzo per la disciplina
degli orari per l’esercizio delle attività di gioco lecito sul territorio
comunale), il Sindaco del Comune di Imperia, visto l’art. 50 del
d.lgs. n. 267 del 2000, ha deliberato di delimitare l’orario massimo di apertura delle attività inerenti il gioco d’azzardo.
La determinazione impugnata è
stata motivata con riferimento al
fatto che il Comune ha anche il
compito di contrastare i fenomeni di patologia sociale connessi al
gioco compulsivo, dal momento
che la moltiplicazione incontrollata della possibilità di accesso al
gioco costituisce accrescimento del rischio di diffusione di fenomeni di dipendenza, con conseguenze pregiudizievoli sia nella vita personale e familiare dei
cittadini, che a carico dei servizi
sociali comunali, chiamati a contrastare situazioni di disagio connesse alle ludopatie.
Tale determinazione, in quanto espressamente volta alla tutela della salute pubblica mediante il contrasto del fenomeno, rientrava quindi pienamente nelle
competenze sindacali di cui al citato art. 50, comma 7, del d.lgs.
n. 267 del 2000.
(Consiglio di Stato, sez. V, 20 ottobre 2015, n. 4794)
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
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Giurisprudenza
A
griturismo – Imprenditore agricolo – Attività
di ricezione e ospitalità
L’ inquadramento
dell’attività agrituristica in quella agricola
é subordinato alla condizione che
l’utilizzazione dell’azienda agricola a fine di agriturismo sia caratterizzata da un rapporto di
complementarietà rispetto all’attività di coltivazione del fondo, di
silvicoltura e di allevamento del
bestiame, che deve comunque rimanere principale.
Il riconoscimento della qualità
agrituristica dell’attività di “ricezione ed ospitalità” richiede la
contemporanea sussistenza della
qualifica di imprenditore agricolo da parte del soggetto che la esercita, dell’esistenza di un “rapporto di connessione e complementarietà” con l’attività propriamente
agricola e della permanenza della
principalità di quest’ultima rispetto all’altra.
Non può essere considerata agrituristica un’attività di ricezione e di
ospitalità svolta da un imprenditore che non possa qualificarsi come
agricolo, ovvero che non sia o non
sia più nel detto rapporto di “connessione e complementarietà” con
l’attività agricola o, comunque,
che releghi quest’ultima in posizione del tutto secondaria”.
… Va al riguardo rilevato, per
un ordinato iter motivazionale,
che già ai sensi della l. n. 730 del
1985 cit., art. 2 “per attività agrituristiche si intendono esclusivamente le attività di ricezione ed
ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’articolo
2135 c.c., singoli od associati, e
da loro familiari di cui all’articolo 230-bis c.c., attraverso l’utilizzazione della propria azienda, in
rapporto di connessione e complementarità rispetto alle attività di coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento del bestiame, che devono comunque rimanere principali. Lo svolgimento di attività agrituristiche, nel
rispetto delle norme di cui alla presente legge, non costituisce distrazione della destinazione
agricola dei fondi e degli edifici
interessati.
Rientrano fra tali attività: a) dare
stagionalmente ospitalità, anche
in spazi aperti destinati alla sosta di campeggiatori; b) somministrare per la consumazione sul
posto pasti e bevande costituiti
prevalentemente da prodotti propri, ivi compresi quelli a carattere
alcolico e superalcolico; c) organizzare attività ricreative o culturali nell’ambito dell’azienda. Sono considerati di propria produzione le bevande e i cibi prodotti e lavorati nell’azienda agricola
nonché quelli ricavati da materie
prime dell’azienda agricola anche
attraverso lavorazioni esterne”.
Il relazione a tale quadro normativo di riferimento si pronunciata la giurisprudenza di questa Corte (vedi Cass. 13 aprile
2007, n. 8851), affermando che
anche nella disciplina anteriore all’entrata in vigore del d.lgs.
18 maggio 2001, n. 228 – il cui
art. 1, aggiungendo un comma 3
all’art. 2135 cod. civ., ha espressamente compreso fra le attività
proprie dell’imprenditore agricolo la “ricezione ed ospitalità come definite dalla legge” – l’attività agrituristica rientrava, in
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
linea generale, fra le attività agricole “per connessione”, dovendo l’originaria previsione dell’art.
2135 cod. civ. venir integrata con
quella della L. 5 dicembre 1985,
n. 730, art. 2, che al comma secondo affermava il principio per
cui “lo svolgimento di attività
agrituristiche, nel rispetto delle
norme di cui alla presente legge,
non costituisce distrazione della destinazione agricola dei fondi e degli edifici interessasti” e,
perciò, ne permetteva l’attrazione alla sola condizione che l’utilizzazione dell’azienda a tali fini fosse caratterizzata da un rapporto di complementarità rispetto all’attività di coltivazione del
fondo, silvicoltura e allevamento
del bestiame, che doveva comunque rimanere principale (Cass.
12 maggio 2006, n. 11076; in
senso conf. Cass. n. 8849/05, n.
10280/04 e n. 12142/02).
Alla stregua degli esposti precedenti normativi e giurisprudenziali, va, quindi, ribadito che l’inquadramento dell’attività agrituristica in quella agricola è subordinato alla condizione che l’utilizzazione dell’azienda agricola a
fine di agriturismo sia caratterizzata da un rapporto di complementarietà rispetto all’attività di
coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento del bestiame, che deve comunque rimanere principale.
Nell’ottica descritta, il pronunciato oggetto di impugnazione,
si pone in linea con la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass.
18 maggio 2011, n. 10905, Cass.
2 ottobre 2008, n. 24430) secondo cui “il riconoscimento della
qualità agrituristica dell’attività
Giurisprudenza
di “ricezione ed ospitalità” richiede la contemporanea sussistenza della qualifica di imprenditore agricolo da parte del soggetto che la esercita, dell’esistenza di un “rapporto di connessione e complementarietà” con l’attività propriamente agricola e
della permanenza della principalità di quest’ultima rispetto all’altra; con la conseguenza che non
potrà essere considerata “agrituristica” un’attività di “ricezione”
e di “ospitalità” svolta da un imprenditore che non possa qualificarsi “agricolo” ovvero che non
sia o non sia più nel detto rapporto di “connessione e complementarietà” con l’attività agricola o,
comunque, che releghi quest’ultima in posizione del tutto secondaria”.
Come riportato nello storico di
lite, la Corte distrettuale ha infatti rimarcato gli elementi qualificativi di tale vincolo di connessione e complementarietà, facendo leva sull’accertamento della notevole consistenza dei redditi ricavati dalla attività di ristorazione, per il cui svolgimento si
era resa necessaria l’assunzione di
tre dipendenti; dell’impiego temporale per l’esercizio di attività di
ristorazione di gran lunga superiore a quello necessario per l’espletamento di attività agricola;
dall’utilizzo di prodotti provenienti dalla attività agricola, in
misura inferiore rispetto a quelli acquistati sul mercato.
E tale apprezzamento, coerente con i principi dianzi esposti,
neanche si pone in dissonanza
con le disposizioni di rango costituzionale invocate in tema di
ripartizione delle competenze
legislative Stato-Regioni, demandando a queste ultime la competenza esclusiva in tema di individuazione della natura della attività svolta da un imprenditore.
… La natura commerciale od
agricola di un’impresa, deve essere accertata sulla scorta di criteri generali ed uniformi, valevoli per l’intero territorio nazionale, sicché l’apprezzamento in
concreto della ricorrenza dei requisiti di connessione fra attività agrituristiche ed attività propriamente agricole e della prevalenza di queste ultime rispetto alle prime, in presenza dei quali deve essere esclusa l’assoggettabilità a fallimento dell’imprenditore che le eserciti, va principalmente condotto alla luce del disposto dell’art. 2135 c.c., comma 3, integrato dalle discipline di
legge dell’agriturismo”, che hanno fissato i principi fondamentali
cui le regioni devono uniformarsi
nell’emanare le proprie normative
in materia. Entro tale cornice, gli
specifici criteri valutativi previsti
dalle singole leggi regionali possono sicuramente fungere da supporto interpretativo, ma non possono rivestire carattere decisivo,
posto che la loro assunzione a parametri vincolanti per la definizione del rapporto di connessione
potrebbe condurre a risultati diversi da regione a regione pur partendo dall’analisi di identici dati aziendali quanto, ad esempio, a
percentuali di prodotti propri utilizzati od alle proporzioni fra prodotti locali ed esterni (vedi Cass.
10 aprile 2013, n. 8690 cui adde
Cass. 14 gennaio 2015, n. 490).
(Corte di Cassazione civile, 11
agosto 2015, n. 16685)
D
isturbo della quiete
pubblica – Immissioni
sonore – Illiceità – Art. 844
c.c. – Tutela del diritto al riposo notturno
In materia di immissioni, mentre
è illecito il superamento dei livelli
di accettabilità stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell’ interesse della collettività le modalità di rilevamento dei
rumori ed i limiti massimi di tollerabilità, l’eventuale rispetto degli stessi non può fare considerare
senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi in concreto alla
stregua dei principi di cui all’art.
844 c.c.
La sentenza impugnata appare
aver fatto corretta applicazione
della normativa vigente in materia di immissioni acustiche, laddove ha ricordato che sussistono due livelli di tutela di fronte
all’immissione rumorosa, da una
parte il regime amministrativo
deputato alla p.a. (disciplinato
dalla legge n. 447 del 1995 e dal
d.P.C.M. del 1997) e dall’altro
vigono i principi civilistici che
regolano i rapporti tra privati riconducibili nell’ambito del codice agli artt. 844 e 2043 c.c., dotati di fondamento costituzionale e comunitario.
Correttamente la Corte d’appello
ha ritenuto che l’eventuale rispetto da parte della ricorrente della normativa pubblicistica contenuta nel d.P.C.M. 14.11.1997
non faccia venir meno la possibilità che essa possa esser ritenuta responsabile sotto il profilo
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34
Giurisprudenza
civilistico, in caso di violazione dei sopra ricordati artt. 844
e 2043 c.c. laddove sia riscontrato, come accertato dal consulente tecnico, che vi siano state ripetute immissioni sonore in orario dedicato al riposo notturno
che superavano i tre dB(A) Leq
di rumore di fondo, soglia fissata da un consolidato orientamento giurisprudenziale come tetto
massimo di tollerabilità in orario
notturno.
Questa Corte ha avuto infatti
più volte modo di affermare, con
affermazioni rispetto alle quali non vi è ragione di discostarsi, che nell’ambito, non già della
tutela della quiete pubblica ovvero del rapporto tra privali e p.a.,
bensì dei rapporti tra privati, l’osservanza delle normative tecniche speciali, quali quelle qui invocate, non e dirimente nell’escludere l’intollerabilità delle immissioni (v. da ultimo Cass. n.
8474 del 2015); che la fattispecie
deve essere vagliata secondo l’ordinario criterio di cui alla disposizione generale dell’art. 844 cit.,
nel senso che il superamento della soglia codicistica di tollerabilità delle immissioni ben può essere riscontrata pur nell’accertato
rispetto dei limiti di cui alla normativa tecnica.
Si è in proposito affermato (Cass.
n. 1151 del 2003; Cass. n. 1418
del 2006; Cass. n. 939 del2011;
Cass. n. 17051 del 2011 e, più recentemente, in materia di rumorosità da sorvolo aereo: Cass. n.
15233 del 2014) che:
- in materia di immissioni, mentre è illecito il superamento dei livelli di accettabilità stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che,
disciplinando le attività produttive, fissano nell’interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti massimi di tollerabilità, l’eventuale rispetto degli stessi non può
fare considerare senz’altro lecite
le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi in concreto alla stregua dei
principi di cui all’art. 844 c.c.;
- che alla materia delle immissioni sonore o da vibrazioni o scuotimenti atte a turbare il bene della tranquillità nel godimento degli immobili adibiti ad abitazione
non è applicabile la l. 26 ottobre
1995, n. 447, sull’inquinamento acustico, poiché tale normativa, come quella contenuta nei regolamenti locali, persegue interessi pubblicistici disciplinando,
in via generale ed assoluta, e nei
rapporti c.d. verticali fra privati e la p.a., i livelli di accettabilità delle immissioni sonore al fine
di assicurare alla collettività il rispetto di livelli minimi di quiete;
- che la disciplina delle immissioni moleste in alieno nei rapporti fra privati va sempre rinvenuta nell’art. 844 c.c., sulla cui
base, quand’anche dette immissioni non superino i limiti fissati dalle norme di interesse generale, il giudizio in ordine alla loro tollerabilità va compiuto secondo il prudente apprezzamento del giudice, che tenga conto di
tutte le peculiarità della situazione concreta.
Analogamente è a dire per la normativa secondaria e regolamentare di attuazione la quale, nel
determinare le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti di tollerabilità in materia di
COMMERCIO & ATTIVITÀ PRODUTTIVE • 11-12/2015
immissioni rumorose, non può
per sua natura che perseguire finalità meramente esecutive di
carattere pubblicistico, così incidendo sui soli rapporti fra i privati e la p.a.; sicché i limiti tecnici in essa contenuti non escludono l’applicabilità dell’art. 844
c.c., nei rapporti tra i proprietari
di fondi vicini.
Va inoltre ribadito che la valutazione imposta al giudice ex art.
844 c.c., risponde – nel contemperamento delle esigenze della
produzione con le ragioni della
proprietà – alla tutela di preminenti diritti di rilievo costituzionale, come quello alla salute ed
alla qualità della vita.
(Corte di Cassazione civile, sez.
III, 16 ottobre 2015, n. 20927)
V
endita di sostanze alimentari in cattivo stato
di conservazione – Configurabilità del reato
Ai fini della configurabilità del
reato, non vi è la necessità di un
cattivo stato di conservazione riferito alle caratteristiche intrinseche
delle sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le
modalità estrinseche con cui si realizza, che devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a
regole di comune esperienza.
La natura di reato di danno non
richiede la produzione di un danno alla salute, poiché l’ interesse
protetto dalla norma è quello del
rispetto del c.d. ordine alimentare,
volto ad assicurare al consumatore
che la sostanza alimentare giunga
al consumo con le garanzie igieniche imposte per la sua natura.
Giurisprudenza
Come è noto, la contravvenzione
di cui all’art. 5, lettera b), della
legge n. 283 del 1962 vieta l’impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la
somministrazione, o comunque
la distribuzione per il consumo,
di sostanze alimentari in cattivo
stato di conservazione.
Secondo le sezioni Unite di questa Corte (sentenza 9 gennaio
2002, n. 443) si tratta di un reato di danno, perché la disposizione è finalizzata, non tanto a prevenire mutazioni che nelle altre
parti della legge n. 283 dei 1962,
art. 5, sono prese in considerazione come evento dannoso, quanto, piuttosto, a perseguire un autonomo fine di benessere, assicurando una protezione immediata
all’interesse del consumatore affinché il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura.
Conseguentemente, si è escluso
che la contravvenzione si inserisca
nella previsione di una progressione criminosa che contempla fatti
gradualmente più gravi in relazione alle successive lettere indicate
dall’art. 5, perché, rispetto ad essi,
è figura autonoma di reato, cosicché, ove ne ricorrano le condizioni, può anche configurarsi il concorso (sez. 3, 17 gennaio 2014, n.
6108, rv. 258861).
Le sezioni unite, sempre nella decisione in precedenza richiamata,
hanno anche precisato che, ai fini della configurabilità del reato,
non vi è la necessità di un cattivo
stato di conservazione riferito alle caratteristiche intrinseche delle
sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, che devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario,
a regole di comune esperienza (in
senso conforme, sez. 3, 20 aprile 2010, n. 15094; sez. 3, 21 settembre 2007, n. 35234; sez. 3, 10
giugno 2004, n. 26108; sez. 3, 24
marzo 2003, n. 123124; sez. 4, 18
novembre 2002, n. 38513; sez. 3,
8 novembre 2002, n. 37568; sez.
3, 3 gennaio 2002, n. 5).
Più in particolare, sez. 3, 2 settembre 2004, n. 35828 ha chiarito che la natura di reato di danno
attribuita dalle sezioni unite alla
contravvenzione in esame non richiede la produzione di un danno alla salute, poiché l’interesse
protetto dalla norma è quello del
rispetto del c.d. ordine alimentare, volto ad assicurare al consumatore che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte per la
sua natura. Si è inoltre affermato che è comunque necessario accertare che le modalità di conservazione siano in concreto idonee
a determinare il pericolo di un
danno o deterioramento delle sostanze (sez. 3, 11 gennaio 2012,
n. 439; sez. 3, 13 aprile 2007, n.
15049) escludendo, tuttavia, la
necessità di analisi di laboratorio
o perizie, ben potendo il giudice di merito considerare altri elementi di prova, come le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e, pertanto, rilevabile da una semplice
ispezione (sez. III, n. 35234, 21
settembre 2007, cit.).
(Corte di Cassazione penale, sez.
III, 12 ottobre 2015, n. 40772)
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Quesiti
Domande e risposte su casi pratici
Pista di pattinaggio e suolo pubblico
D
Un’associazione, avente nei propri scopi quello della
promozione dell’attività sportiva del pattinaggio dei
propri associati, intende installare una pista di pattinaggio, su area pubblica, per un periodo di tempo determinato. Nel caso di specie, nel caso in cui l’accesso e l’utilizzo dell’impianto fosse riservato ai soli associati dell’associazione, quali autorizzazioni dovrebbe rilasciare il comune?
R
Sulla base di quanto esposto nel quesito si osserva che le attività svolte da un’associazione
a favore dei propri soci devono obbligatoriamente svolgersi presso la sede dell’associazione medesima ai sensi dell’articolo 147 del T.u.i.r. L’occupazione di suolo pubblico verrebbe cioè a configurare un’apertura indiscriminata al pubblico e quindi una attività di pubblico trattenimento. Si rileva
inoltre quanto segue:
1. Se l’attività in questione fosse aperta al pubblico
rappresenterebbe un trattenimento autorizzabile con
l’articolo 68 o 69 del T.u.l.p.s., previa verifica di incolumità dell’articolo 80 del T.u.l.p.s. medesimo;
2. L’attività descritta, aperta al pubblico, configurerebbe attività imprenditoriale anche qualora la qualifica di socio fosse ottenuta all’atto della fruizione
del servizio e l’attività si svolgesse su area pubblica;
sul punto la giurisprudenza è costante nel ritenere
che la qualifica di socio debba essere ottenuta preventivamente all’ottenimento della prestazione riservata ai soci e che le prestazioni ai soci debbano
svolgersi presso la sede dell’associazione.
3. La Pista di Pattinaggio risulta ricompresa tra le
medie attrazioni dello spettacolo viaggiante sotto la
voce: PISTA PATTINAGGIO CON PATTINI DA
GHIACCIO O A ROTELLE – Trattasi di pista per
pattinaggio con pattini da ghiaccio o a rotelle installata al fine di offrire momenti ludici, non utilizzabile
per competizioni di carattere sportivo. Come tale per
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poter essere messa in esercizio deve essere dotata di
codice identificativo di registrazione.
Pubblico esercizio ed associazione
D
In un locale, avente accesso diretto dalla strada,
un imprenditore vorrebbe attivare un’attività di
somministrazione al pubblico di alimenti e bevande
di carattere stagionale. In relazione al carattere della
stagionalità, si chiede, quindi, quale possa essere il periodo massimo di apertura. Nello stesso locale, nel periodo di chiusura dell’attività di somministrazione al
pubblico di alimenti e bevande, vorrebbe insediarsi
un’associazione, la quale verrebbe ad operare attività
di somministrazione ai soli associati.
In che modo potrebbero essere legittimate queste due
diverse realtà?
R
In base all’articolo 35 del d.lgs. n. 59/2010 è ammesso che in un medesimo locale possano svolgersi più attività purché non incompatibili tra di loro; tale incompatibilità deve senza dubbio rilevarsi nell’esercizio congiunto nei medesimi locali di una somministrazione aperta al pubblico e contestualmente di una
somministrazione riservata ai soci di una associazione. Pertanto le due attività non possono coesistere ed i
medesimi locali dovranno essere utilizzati da una attività quando l’altra non risulterà in essere.
Relativamente poi alla stagionalità ed alla sua durata,
fatta salava ogni eventuale diversa determinazione della legge regionale, si ritiene che la suddetta possa realizzarsi per un tempo massimo di 180 giorni anche se
si evidenzia che con la possibilità di presentare una scia
per l’inizio attività ed una scia per la cessazione della
stessa in qualunque momento senza vincoli temporali stabiliti dall’articolo 19 della legge n. 241/1990, non
ha molto senso pratico individuare una durata stagionale dell’attività di somministrazione.