Bonum coniugum e simulazione del consenso matrimoniale nella giurisprudenza del Tribunale Ecclesiastico pugliese PAOLO STEFANÌ – UNIVERSITÀ DI BARI 1. Introduzione. Uno dei nodi più problematici ed allo stesso tempo ancora irrisolti della disciplina delle nullità matrimoniali canoniche è quello che concerne la “simulazione parziale” relativa al bene dei coniugi (bonum coniugum), che in base alla norma di cui al can. 1055 del codice di diritto canonico del 1983 è riconosciuto quale fine del matrimonio canonico, in aggiunta al bonum prolis, che rappresentava, nel vigore del precedente codice del 1917, il «fine primario» del matrimonio della Chiesa 1. Il senso di queste riflessioni consiste nel fatto che, l’assenza sull’argomento di una esauriente giurisprudenza rotale – che non è riuscita ancora a pervenire ad una chiara enucleazione di un concetto giuridico di simulazione relativa al bonum coniugum, distinto da altre figure di “simulazione parziale” e dalla stessa “simulazione totale” – 2, ha reso protagonista la giurisprudenza dei Tribunali Sulla disciplina generale del matrimonio canonico, sulla sua essenza, fini e proprietà essenziali la bibliografia è, naturalmente sterminata. Per tutti, cfr., P.A. BONNET, Matrimonio canonico, in Enciclopedia del diritto, secondo aggiornamento, Milano 1998, 525-536. 1 Cfr., A D’AURIA, Il consenso matrimoniale. Dottrina e giurisprudenza canonica, Aracne, Roma 2007, 469-473. E’ stato recentemente osservato che “nonostante la stretta connessione tra questa ipotesi di nullità – l’esclusione del bene dei coniugi – e la concezione di matrimonio fatta propria dal legislatore, essa non ha trovato sino ad ora frequenti applicazioni nella pratica giudiziaria. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che molte ipotesi che potrebbero propriamente rientrare nell’esclusione del bonum coniugum tendono ad essere trattate come ipotesi di simulazione totale, adottando un orientamento interpretativo … che porta a considerare l’esclusione dei contenuti personali ed esistenziali del rapporto matrimoniale come esclusione dello stesso matrimonio” (P. MONETA, Il matrimonio nullo nel diritto canonico e 2 1 regionali, che assumono, in questo ambito specifico, il ruolo di giurisprudenza «pilota» 3. La Rota romana ha evidenziato la preoccupazione di accostare il bonum coniugum all’amore coniugale. Ciò perché questa operazione avrebbe potuto comportare il pericolo di soggettivizzare le decisioni di nullità, finendo per «erodere il principio di indissolubilità del matrimonio» 4. 2. Bonum coniugum, Concilio Vaticano II e nuova concezione del matrimonio cristiano. La difficoltà principale che, sia la dottrina sia la giurisprudenza, incontrano nella costruzione di un “concetto giuridico” di bonum coniugum va sicuramente individuata nello stretto legame che esiste tra questo e l’ecclesiologia conciliare 5. Non vi può essere dubbio alcuno, infatti, che l’inserimento del concetto di bonum coniugum nell’articolazione dei fini e dell’essenza del matrimonio canonico rappresenti una “rilevante novità della codificazione del 1983”. Per la sua collocazione “in uno di quei punti critici sui quali si concentrano le spinte e le controspinte che animano il diritto vivente determinandone la fisionomia effettiva, il bonum coniugum concordatario, Bari, 2008, pp. 89-90). Come si cercherà di chiarire più oltre, siamo persuasi che i contenuti del bonum coniugum, che rappresenta senza ombra di dubbio l’esaltazione degli elementi personali ed esistenziali del “nuovo matrimonio canonico”, possono essere colti in misura più precisa non tanto ricostruendo un’ipotesi patologica matrimoniale, quanto sottolineando che lo stesso bene dei coniugi costituisce una chiave interpretativa per rileggere il matrimonio canonico alla luce del “bene delle persone” 3 Cfr. L. MUSSELLI, L’esclusione del «bonum coniugum» come caso di simulazione parziale, in Il diritto ecclesiastico, 1995, 82. Dello stesso autore, cfr. <<Bonum coniugum>> e nullità del matrimonio canonico, in Il diritto di famiglia e delle persone, 1994, pp. 1340-1346. 4 E. MONTAGNA, In merito all’esclusione del «bonum coniugum» come causa di nullità del matrimonio canonico, in Il diritto ecclesiastico, 1993, 55-56. Cfr., F. POSA, Il bonum coniugum nel quadro della disciplina del matrimonio canonico, Vivere In, Roma 1999, 109. 5 2 costituisce una visuale privilegiata per ricostruire la tuttora problematica concezione del matrimonio” 6 E’ stato sottolineato che, l’inserimento del bene dei coniugi nel can. 1055 del «codice del postconcilio» 7, è stato teso all’affermazione di una nuova visione del matrimonio, meno dommatico - giuridica e più pastorale 8. Il codice del 1983, cioè, «ha voluto rompere con la forse sbrigativa, ma prevalente lettura della previgente disciplina matrimoniale da parte della dottrina contemporanea, che rimproverava al discorso giuridico di aver messo da parte l’idea che il matrimonio è un incontro di persone prima che uno scambio di diritti, di essersi interessata più della validità che dell’autenticità» 9. Si coglie in queste parole la svolta epocale determinata dal Concilio Vaticano II, non soltanto in relazione alla disciplina matrimoniale, ma, in senso più ampio, come momento di antitesi al fenomeno del giuridismo 10. E. DIENI, Bonum coniugum, Tripartitum bonum e tradizione <<jus corporalista>>. (ovvero: si è già alle viste di una adeguata elaborazione teroico-giuridica del <<Personalismo>>?), in Il diritto ecclesiastico, 1996, I, 349. 7 Cfr. V. FAGIOLO, Il codice del postconcilio, I, Introduzione, Città Nuova, Roma 1984, 172. 6 Cfr. J.M. SERRANO RUIZ, Il bonum coniugum e la dottrina tradizionale dei bona matrimonii, in AA.VV., Il bonum coniugum nel matrimonio canonico, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1996, 149. 8 R. BERTOLINO, Matrimonio canonico e bonum coniugum. Per una lettura personalista del matrimonio cristiano, Giappichelli, Torino 1995, 60; ID, Gli elementi costitutivi del bonum coniugum, in AA.VV., Il bonum coniugum nel matrimonio canonico, 9-10. 9 Cfr. S. BERLINGÒ, Diritto canonico, Giappichelli, Torino 1995, 22 ss. Per quanto concerne, in maniera più specifica, il diritto matrimoniale si è potuto affermare che il periodo che intercorre tra la Gaudium et Spes ed il codice del 1983 può essere considerato come un momento «in cui si registra una delle più gravi tensioni che sia dato ricordare tra due orientamenti non solo dottrinali, ma anche giurisprudenziali, tra di loro nettamente opposti...- tra - fattori di ordine pastorale, sotto la spinta del vento nuovo che portava a considerare il matrimonio soprattutto come “rapporto d’amore” e ... la reazione di chi... ha cercato di ridurre al minimo il valore innovativo del Concilio Vaticano secondo, sul piano giuridico» (L. DE LUCA, L’esclusione del bonum coniugum, in AA.VV., La simulazione del consenso matrimoniale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1990, 127). 10 3 Ciò spiega la reticenza della Rota romana nei confronti del rapporto tra simulazione e bonum coniugum 11. Un concetto che presenta degli aspetti metagiuridici talmente rilevanti che riesce difficile “separarlo” dal matrimonio, inteso quale comunità di vita e di amore, attraverso la quale i coniugi «avanzano incessantemente verso la loro perfezione come anche la mutua santificazione» (Gaudium et Spes, n. 48) 12. 3. La dottrina canonistica dinanzi al bonum coniugum. La difficoltà di ricostruzione del concetto nella patologia del matrimonio. Da queste brevi premesse un dato emerge con evidenza: La qualificazione giuridico formale del bonum coniugum è quella di essere fine del «nuovo diritto matrimoniale canonico» 13. Da ciò consegue che, nell’accostarsi alla celebrazione delle nozze, i coniugi Cfr. M. L. Lo GIACCO, L’incapacità a contrarre matrimonio: il can. 1095 n. 3, in Il matrimonio nel diritto canonico e nella legislazione concordataria italiana, a cura di R. COPPOLA, Mottola (TA), 2003, pp. 142-143. Emblematica sul punto una coram Burke del marzo del 1998 (in Monitor ecclesiasticus, 1999, II, p. 210). 12 Non si può, crediamo, convenire, su questo specifico punto, con quella parte della dottrina, che ha affermato la necessità di separare, in seguito alla lettura del can. 1055, gli aspetti giuridici da quelli metagiuridici sullo specifico dell’oggetto del bene dei coniugi (cfr. E. MONTAGNA, In merito, 57). Si finirebbe in questo modo per assumere, nella dialettica dei rapporti fra momento giuridico e momento teologico - pastorale dell’interpretazione delle norme di diritto canonico, una posizione troppo netta e decisa, che, la natura peculiare dell’ordinamento canonico, non consente. Va, infatti, colto “il significato nuovo e analogico di bonum nella indicazione conciliare … per essere fedeli al Concilio, al quale la nuova legge canonica <<ha inteso conformarsi pienamente>>, occorre partire dall’esse del matrimonio della ordinatio Creatoris, per conoscere quali siano i contenuti operativamente essenziali al bonum coniugum ed al bonum prolis” (L. SABBARESE, Il matrimonio canonico nell’ordine della natura e della grazia. Commento al Codice di Diritto Canonico, Libro IV, Parte I, Titolo VII, II ed. ampliata, Città del Vaticano, 2006, p. 77). 11 Cfr. R. BERTOLINO, Gli elementi costitutivi, 11. “Con il nuovo codice, tale gerarchia è venuta meno: infatti nel can. 1055 par. 1 sono indicati, in posizione di perfetta parità, il bonum coniugum e la generatio et educatio prolis. Segno, questo, dell’influenza del magistero conciliare, ispirato alla valorizzazione della persona umana” (E. VITALI – S. BERLINGO’, Il matrimonio canonico, III ed., Milano, 2007, p. 18). 13 4 devono ordinare il proprio consenso matrimoniale al “bene delle persone”. La deordinazione a tale bene costituirebbe, quindi, ipotesi di simulazione parziale del consenso prestato, che, in base al disposto di cui al can. 1101 par. 2 del codice rende nullo il matrimonio. E’, dunque, l’ordinatio ad bonum coniugum 14 che deve essere presente nella volontà dei nubenti nel momento in cui questi si accostano alla celebrazione delle nozze, nel momento, cioè, del matrimonio in fieri 15. Ma, la particolarità del bonum coniugum sta nel fatto che questo è fine delle persone e non del matrimonio 16, che esso si realizza in maniera più specifica rispetto al bonum prolis nel matrimonio rapporto (in facto esse). Esso va considerato come finis operantis più 14 Cfr. R. BERTOLINO, Gli elementi costitutivi, 19; P.A. BONNET, L’essenza del matrimonio e il bonum coniugum, in AA.VV., Il bonum coniugum nel matrimonio canonico, 129-130. Dello stesso autore, cfr., Introduzione al consenso matrimoniale canonico, Giuffrè, Milano 1985, 24-27. “A nostro parere una siffatta ordinatio può dirsi presente nello stato di vita coniugale se i nubendi all’atto del consenso, hanno inteso, o almeno non hanno escluso … di volere l’altro quale proprio ‘con-sorte’, partecipe di un cammino non soltanto da percorrere insieme, ma veramente comune” (P. A. BONNET, Introduzione al consenso matrimoniale canonico, 26) 16 Cfr. C. BURKE, L’oggetto del consenso matrimoniale. Un’analisi personalista, Giappichelli, Torino 1997, 91-92. Osserva, l’illustre giudice rotale, che «è evidente che il termine «bonum coniugum» non esprime un valore o proprietà o attributo del matrimonio. Il «bonum» di questo nuovo termine va predicato non del matrimonio, ma dei coniugi... non denota una proprietà del matrimonio bensì qualcosa - il bene dei coniugi - che il matrimonio deve causare o originare.. Il matrimonio, istituzione caratterizzata dalla esclusività, dalla permanenza e dalla procreatività tende al bene dei coniugi». Dunque vi sarebbe compenetrazione tra bonum coniugum e bona agostiniani, nel senso che questi vivono di luce diversa, non più solo dommaticamente considerati, ma vivificati dall’essere diretti al bene delle persone, che, quindi, si realizzerebbe attraverso questi, nel matrimonio. Sul punto si notino le osservazioni di Mons. Serrano Ruiz, Il bonum coniugum, 152, per il quale il bonum coniugum rappresenterebbe i tre bona agostiniani, vissuti in funzione personalista. Seguendo queste tesi sarebbe impossibile pervenire ad una identificazione autonoma del bonum coniugum rispetto agli altri beni del matrimonio, con l’evidente conseguenza, per quel che concerne le ipotesi patologiche del matrimonio, di rinunciare alla possibilità che questo possa essere oggetto di simulazione, al di fuori dell’esclusione dei tria bona o della simulazione totale. In senso inverso vanno quelle posizioni dottrinali che, rifiutando la contrapposizione tra bonum coniugum e bona agostiniani, ed anzi configurando il bonum coniugum quale “quarto bene” del matrimonio, affermano la necessità che, sia la dottrina, ma soprattutto la giurisprudenza rotale, elaborino concettualmente una qualificazione autonoma del bonum coniugum (Cfr. L. DE LUCA, L’esclusione del bonum coniugum, 131 ss.). 15 5 che come finis operis 17, per questo motivo la sua esclusione difficilmente la si potrà rinvenire in un atto positivo di volontà esplicito ed informato, antecedente al matrimonio. Piuttosto, si dovrà volgere l’attenzione al contenuto stesso della «vita matrimoniale» 18 per percepire, dai concreti comportamenti dei coniugi, se questi abbiano o meno escluso il bonum coniugum, dal consenso prestato. E’ importante sottolineare, però, che «non sono puramente e semplicemente i singoli comportamenti esclusi a rendere valido o meno il matrimonio - ma - il fatto che tali comportamenti siano stati negati al nubente in funzione del bonum coniugum, cioè del suo benessere e perfezionamento» 19. Non è dunque la qualificazione formale il problema, ma la sua concettualizzazione sostanziale. Ed in particolare, emerge la difficoltà di affermare la distinzione tra bonum coniugum e matrimonio, inteso in senso globale 20. Per esigenze della presente trattazione possiamo soltanto passare rapidamente in rassegna quelle che sono state le diverse posizioni assunte dalla dottrina e dalla giurisprudenza in tema di esclusione del bonum coniugum. Queste lo hanno inizialmente considerato quale sinonimo dello ius ad vitae communionem o del consortium totius vitae 21, ma, sul presupposto che in questi termini non lo si potesse distinguere dal matrimonium ipsum, altri hanno cercato soluzioni che potessero garantire al nuovo fine personalista l’autonomia dai due concetti su menzionati. Ci si è rivolti a 17 Cfr. R. BERTOLINO, Gli elementi, 11. Cfr. G. FELICIANI, Le basi del diritto canonico, Il Mulino, Bologna 1999, il quale osserva che «la Chiesa ha per così dire superato la tradizionale impostazione del problema, preferendo insistere più sull’essenza della vita matrimoniale che sulle sue specifiche finalità» (Ibidem, 137). 18 19 E. MONTAGNA, In merito, 72. Come osserva il Bertolino, il bonum coniugum, caratterizzazione della coniugalità, accanto ed insieme alla genitorialità, implica che «volere l’altro come e nella sua persona, anzitutto; e volerlo altresì nella caratteristica di coniuge... porta a concludere coerentemente per la assolutezza e l’universalità del concetto e del contenuto del bonum coniugum» (Gli elementi, 22). 20 Sulla relazione teologico-giuridica tra bonum coniugum e consortium totius vitae, cfr., G. MANTUANO, Consenso matrimoniale e consortium totius vitae, Macerata 2006, 91-118. 21 6 considerare questo bene quale sinonimo dell’amore coniugale, distinguendo l’amore - sentimento, che non può assumere una configurazione giuridica perché sottratto all’impero della volontà, dall’amore inteso come impegno nella costituzione della comunione di vita 22. Ma anche questa soluzione è apparsa insoddisfacente, perché si è detto che l’amore è elemento portante anche del bonum prolis, quindi non vi può essere identificazione tra amore coniugale e bene dei coniugi 23. Vi è stato chi ha considerato il bonum coniugum come la trasposizione, nella nuova codificazione canonica, dei due fini secondari del matrimonio contratto, così come disciplinato nel vigore del codice del 1917. Questi verrebbero riletti alla luce della nuova dottrina personalista, significanti la scomparsa della “vecchia” gradazione dei fini matrimoniali 24. Una soluzione che, se da un punto di vista formale appare certamente condivisibile, avrebbe il difetto di operare una sorta di deminutio del senso più propriamente fisiologico del bene personale. Questo ci sembra essere di più rispetto al mutuo aiuto ed alla soddisfazione dell’istinto sessuale, è simbolo dell’impegno che i due coniugi hanno il dovere di profondere per fare della famiglia un’autentica «Chiesa domestica», luogo di maturazione e di crescita umana ma, soprattutto, cristiana 25. Cfr. P. PELLEGRINO, Il bonum coniugum: Essenza e fine del matrimonio canonico, in Il diritto eclesiastico, 1996, 817. 22 23 Cfr. R BERTOLINO, Gli elementi, 24-25; ID, Matrimonio canonico e bonum coniugum, 103-106. «Certamente ... nel bonum coniugum vengono ricompresi i tradizionali fini secondari, che, con una innovazione di grandissima importanza, vengono ad acquisire rilevanza in ordine alla validità del matrimonio» (E. MONTAGNA, Considerazioni intorno al bonum coniugum nel diritto matrimoniale canonico, in Il diritto ecclesiastico, 1993, 693). 24 “Ben altra è l’essenza del matrimonio ed il valore unitivo che, a nostro parere, possono cogliersi nelle sacre scritture e negli insegnamenti sia pontifici che conciliari, ed in modo specialissimo di quelli del Concilio Vaticano II. Lo stesso bonum prolis del resto, prospettato nel contesto di una più ricca coniugalità radicata nelle ampie e profonde dimensioni dell’ homo totus viene singolarmente esaltato in tutto il suo valore” (P. A. BONNET, Comunione di vita, <<ordinatio ad bonum coniugum>> e <<honor matrimonii>>, in Il diritto ecclesiastico, 1982, II, 529. E’ interessante notare che lo scritto del Bonnet è antecedente al Codice, ma 25 7 Si è così guardato all’esclusione del bonum coniugum in riferimento agli elementi essenziali di cui al can. 1101 par. 2, considerati unitariamente. Che quindi l’esclusione del bonum coniugum si avrebbe quando questi siano esclusi tutti ed in modo indistinto. Ma in questo caso non si considera che in quegli elementi è ricompreso anche il bonum coniugum, rendendo questa una pura soluzione tautologica; ed inoltre, che in ogni caso una simile ricostruzione non distaccherebbe il bonum coniugum dalla simulazione totale 26, da quella particolare forma di simulazione totale che si realizza qualora i nubendi escludono non tanto la dimensione istituzionale del matrimonio, l’impegno giuridicamente vincolante ed obbligante, quanto il contenuto esistenziale dello stesso 27. Autorevole dottrina 28 ha evidenziato la necessità di distinguere una concezione più ampia del bonum coniugum, da un’accezione più strettamente dommatico-giuridica. L’esclusione del bene dei coniugi si verificherebbe nelle seguenti tre ipotesi: quella di chi escluda un impegno anche minimale all’aiuto ed alla collaborazione verso l’altro coniuge ed al bene di questi; quella di chi impedisca all’altro coniuge il godimento di diritti fondamentali, tutelati dall’ordinamento canonico (ad es. il diritto di libertà religiosa o della dignità della persona); infine, quella di chi sposi una persona successivo al Concilio Vaticano II, il che rende l’idea della grande influenza che l’assise conciliare ebbe sulla redazione del Codice del 1983). 26 Cfr. E. MONTAGNA, In merito, 60-61. “Una nuova figura di simulazione totale diversa da quella ora considerata si verifica … allorché la voluntas excludendi si appunta non sullo ius coniugii … ma sul contenuto sostanziale di esso … Il nubente non rifugge cioè totalmente da ciò che il matrimonio può rappresentare in termini di impegno e di vincolo giuridico, ma lo svuota del suo contenuto più specificamente caratterizzante sul piano esistenziale … Indubbiamente questa ipotesi presenta stretti punti di contatto con quella nuova figura di simulazione parziale che il legislatore del 1983 ha senza dubbio inteso declinare: quella che deriva dall’esclusione del bonum coniugum” (P. MONETA, La simulazione totale, in AA.VV., Diritto matrimoniale canonico, vol. II, Il consenso, Città del Vaticano, 2003, 253). Si potrebbe però affermare che proprio l’inserimento del fine personalista abbia in qualche modo consentito la rilettura della simulazione totale, aprendo alla possibilità di una elaborazione dell’esclusione della dimensione esistenziale del matrimonio. Non dunque confusione normativa tra i due concetti, bensì compenetrazione dell’uno nell’altro. 28 Cfr. L. MUSSELLI, Manuale di diritto canonico e matrimoniale, Monduzzi, Bologna 1997, 211 ss. 27 8 con il fine di allontanarla dalla fede cattolica, dalla morale cattolica, inducendola ad una vita peccaminosa. Una teoria che presenta, indubbiamente, un certo spirito innovativo, ma che difficilmente nella prassi processuale riuscirebbe, a nostro parere, a distinguere nell’atto positivo di volontà del soggetto autore della simulazione, il bonum coniugum (l’esclusione dell’ordinatio ad) dalla simulazione totale. Per cogliere nella sua reale portata innovativa, si potrebbe dire in un certo senso rivoluzionaria, la presenza del bonum coniugum nella disciplina del matrimonio canonico, quale fine e/o elemento essenziale dello stesso matrimonio, occorre non soltanto sottolineare il legame pur indiscutibile con l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, ma individuare la svolta operata in rapporto all’essenza del matrimonio canonico così come disciplinato nel codice del 1917. La disciplina normativa del codice Piano – Benedettino era legata alla tradizione dei Padri della Chiesa e segnatamente alla teologia medioevale. Questa, come osservava lo Jemolo, era orientata alla separazione di tre aspetti della vita coniugale: il primo, l’aspetto specificatamente sessuale “di questa unione durevole e legittima dell’uomo alla donna. Il secondo, l’unione delle anime … Il terzo è l’aspetto sacramentale … I teologi medioevali, seguendo fedelmente le direttive dei Padri, insistono sul primo elemento … resta nell’ombra il secondo aspetto … sta in fatto che i teologi considerano il matrimonio quasi soltanto sotto l’aspetto di società sessuale … le sue relazioni con la concupiscenza … segnata da S. Agostino” 29. Alla teoria agostiniana del tripartitum bonum, oggettivista ma condizionata dalla concezione ius corporalista, segue la concezione tomista, la quale supera la teoria oggettivista agostiniana e giunge alla individuazione della centralità della “categoria tecnica di jus … che colloca l’individuo, suo titolare in primo piano … si verificava cioè un processo di ulteriore razionalizzazione o idealizzazione che 29 A. C. JEMOLO, Il matrimonio nel diritto canonico. Dal Concilio di Trento al Codice del 1917, Bologna, 1993, 125-126. 9 proiettava sul soggetto le note caratteristiche del rapporto così come qualificato dall’ordinamento” 30. Dunque, alla tradizione iuscorporalista, legata all’aspetto sessuale, si aggiungeva quella individualista e contrattualista, attorno alla quale declinavano i tria bona agostiniani. L’essenza del matrimonio era dunque condizionata dallo ius in corpus, inserito nella dinamica contrattualista della traditio – acceptatio. Da questo punto di vista, si può cogliere la reale portata innovativa dell’inserimento dell’elemento personalista, ad opera del Concilio Vaticano II prima e del Codice del 1983 poi, se si afferma l’idea secondo la quale il “bonum coniugum si vede invece affidato il compito di veicolare le istanze <<progressive>>, concernenti la visione personalista … è opportuno – cioè – prendere atto delle diverse ascendenze dottrinali e culturali che rispettivamente supportano i tria bona e il bonum coniugum” 31. Occorre, quindi, guardare al “fine personalista”da un lato come al ridimensionamento della dimensione sessual/corporalista, per affermare di converso l’esaltazione della dimensione spirituale, dall’altro emancipare lo studio e l’analisi del bonum coniugum dalla visione individualistico/contrattualista, per ancorarlo ad una concezione del matrimonio in se considerato, quale strumento di perfezionamento della vita cristiana e di salvezza ultraterrena. Non dunque jus oggetto di una traditio iuris, bensì bonum del matrimonio considerato alla luce della visione del personalismo. Una rilettura, in chiave personalista, di tutti gli elementi del matrimonio cristiano. Non dunque quarto bonum, ma chiave interpretativa dei bona 32. E. DIENI, op. cit., 378 e 385. Ibidem, 393-394. 32 Ibidem, 402-403. Aggiunge l’autore con straordinaria efficacia che “limitandosi a considerare quella parte del sistema che è <<coperta>>dai tria bona agostiniani, si potrebbe pensare che quanto più il bonum coniugum venga interpretato come contrapposto ad essi, tanto più questi risulterebbero circoscritti alloro significato tradizionale, e/o potrebbero essere parzialmente rimodellati in un senso non più soltanto sessuale, per cedimento alla vis espansiva del nuovo valore” (404). 30 31 10 Da ciò crediamo emerga la necessità di emancipare in qualche modo lo studio del bonum coniugum dall’analisi patologica del matrimonio canonico e dalle cause di nullità matrimoniale. Ciò, perché nei processi di nullità si articola la concezione contrattualista, il matrimonio è riguardato dall’angolo visuale della traditio iuris. Si potrebbe in questo modo ottenere un duplice effetto positivo: da un lato, guardare al bonum coniugum come ad un valore, che permea tutta la sostanza del “nuovo” matrimonio canonico, così come gli elementi essenziali dello stesso matrimonio (la rilettura in chiave personalista dei bona agostiniani); da un altro lato, risolvere lo smarrimento dei giudici ecclesiastici, i quali mostrano serie difficoltà nel ricostruire il concetto e le dimensioni del fine personalista nell’elaborazione delle decisioni giurisprudenziali. Letto, infatti, dal punto di vista della patologia matrimoniale, esso – il bonum coniugum – rischia sempre il riassorbimento nelle altre ipotesi di simulazione del consenso matrimoniale, senza però che ne venga colta la specificità. 4. Il Tribunale Ecclesiastico Regionale Pugliese alla prova della simulazione del consenso matrimoniale relativa al bonum coniugum. Le sentenze del Tribunale ecclesiastico regionale pugliese, oggetto della nostra breve disamina, sono ricomprese in un arco temporale va dal 1996 al 2008. La prima tra queste è una coram Neri del 14 febbraio del 1996. I capi di nullità concordati sono l’esclusione del bonum coniugum e della fedeltà. Nella parte in iure si rinviene il principio della differenziazione tra un concetto più ampio, che si riferirebbe ad una costruzione positiva del bonum coniugum, ed un concetto più limitato, specularmente utilizzabile nelle fattispecie di nullità. Da ciò, il bonum coniugum diviene la «capacità di stabilire con l’altra parte una relazione interpersonale tollerabile». Questa soluzione reca in se il pericolo di rendere troppo soggettive le decisioni 11 giurisprudenziali, nel momento in cui si passi a determinare quando una convivenza possa dirsi tollerabile o meno. La parte in diritto continua affermando la possibile confusione fra simulazione parziale relativa al bene dei coniugi e la simulazione totale. Questa potrebbe essere risolta considerando l’esclusione del matrimonio stesso sotto due diversi profili: quello di chi rifiuti l’istituzione matrimonio, con i suoi diritti e doveri; e quello di chi, dello stesso matrimonio, rifiuti la componente più strettamente esistenziale. In quest’ultimo caso si configurerebbe l’esclusione parziale, relativa al bonum coniugum. Una tesi che parrebbe riprendere la distinzione dello Jemolo tra colui che «proferisce le parole del consenso, ma non ha l’intenzione di consentire - e colui - che ha l’intenzione di contrarre, ma non già di obbligarsi» 33. Lo stesso Maestro, però, ammetteva la difficoltà di rinvenire una tale precisa distinzione di volontà nei soggetti che si accostano alla celebrazione delle nozze. E’ veramente difficile, per non dire impossibile, che una persona possa discernere con atto positivo di volontà, l’esclusione del momento esistenziale da quello istituzionale. Comunque sia, l’esclusione della dimensione esistenziale del matrimonio può essere considerata una simulazione totale, proprio in riferimento al matrimonio non più e non soltanto considerato come un’istituzione giuridica, bensì un luogo di vita e di amore, un percorso esistenziale di maturazione cristiana delle persone. Dello stesso Giudice è la seconda sentenza, del 26 novembre 1997. E’ interessante notare che in questa vicenda di nullità il bonum coniugum, inizialmente concordato unitamente alla simulazione totale, nella stesura della sentenza è stato completamente riassorbito in quest’ultima, quasi a voler dimostrare l’impossibilità, almeno nel caso di specie, di distinguere logicamente le due ipotesi di invalidità. A.C. JEMOLO, Il matrimonio nel diritto canonico. Dal concilio di Trento al codice del 1917, Il Mulino, Bologna 1993, 267. 33 12 Trattasi della storia matrimoniale di una persona «che individua e lega a sé un’altra al solo fine di trasformarla in fonte di reddito, senza un minimo rispetto per la sua dignità di donna». Pare quindi recepire l’opinione del Musselli, il quale aveva affermato l’esclusione del bonum coniugum nella volontà di chi «si sposi unicamente ed egoisticamente per avere a propria disposizione una donna”, negandole però il diritto alla sua dignità 34, che l’autore ricollegava al fine del mutuo aiuto. Una tale vicenda è la riprova di come i tentativi di affermare l’esclusione del bonum coniugum abbiano molta difficoltà a trovar conferma nella prassi processuale. Da ciò, è certamente da condividere l’opinione di chi rileva “l’assurdità di siffatta esclusione, specialmente al di fuori della simulazione assoluta» 35. In una coram Caricato del 2 dicembre 1997 si rinviene l’esclusione del bonum coniugum nella forma dell’esclusione dell’amore coniugale, «intendendo questo non come mera attrattiva erotica, ma come profondo sentimento che porta l’uomo e la donna a donarsi l’uno all’altra ed essere desiderosi e solleciti dell’altrui bene e dell’altrui felicità»: L’amor benevolentiae 36. Le dichiarazioni del soggetto simulante sono, però, ancora una volta la prova della difficoltà di scindere il concetto di bonum coniugum dalla simulazione totale: «Io durante lo scambio del consenso mantenni il mio proposito e cioè quello di voler una semplice convivenza e non di celebrare il matrimonio». Poco prima aveva affermato che «accettai la proposta di matrimonio non 34 Cfr. L. MUSSELLI, L’esclusione del bonum coniugum, 83. R. BERTOLINO, Gli elementi, 31. Osserva il Burke che «una esclusione positiva del bonum coniugum sarebbe senz’altro invalidante; ma nella pratica sembrerà coincidere con l’esclusione di uno dei bona matrimoniali o di tutti i tre» (C. BURKE, L’oggetto del consenso matrimoniale, 108). In nota lo stesso autore si spinge oltre ad affermare che «non c’è dunque un diritto al «bonum coniugum»; esiste invece il diritto ad un consenso matrimoniale che accetta i tre «bona» agostiniani: quelle proprietà essenziali, dalle quali dipende principalmente la realizzazione del bene dei coniugi». Un’opinione forse eccessivamente categorica, ma che dimostra la difficoltà del bonum coniugum di affermarsi quale concetto autonomo, nelle vicende di nullità matrimoniali canoniche. 35 36 Cfr. P. PELLEGRINO, Il bonum coniugum, 821. 13 desiderando però assumere tutte le responsabilità derivanti dal vincolo coniugale». Rifiuta sia di consentire sia di adempiere, quindi, seguendo lo schema dello Jemolo, simula totalmente il proprio connsenso. La coram Larocca del 4 maggio 1998 riprende la teoria del bonum coniugum somma di diritti e doveri, unitariamente considerati. Cioè «tutti quei diritti che gli sposi offrono e accettano scambievolmente al fine di ottenere l’intima unione e congiunzione di persone e di opere... quei doveri e obblighi senza dei quali è moralmente impossibile l’intima unione di persone e opere». Il bonum coniugum, per il tramite dei diritti e doveri unitariamente considerati, diviene sinonimo dello ius ad vitae communionem. Ma, come ha osservato parte autorevole della canonistica, «la coniugalità (bonum coniugum) e la genitorialità (bonum prolis), quantunque intese a realizzare la intima comunità di vita e di amore coniugale, quantunque elementi essenziali e ultimamente significativi della stessa, non possono confondersi con la comunità di tutta la vita» 37, vale a dire non può confondersi, per il principio di non contraddizione che sovrintende all’attività del giurista, la parte con il tutto. Stesso discorso vale per una coram Murolo del 17 giugno 1998, per la quale «l’oggetto, o meglio, il contenuto di tale bene, secondo quanto emerge dal codice e secondo l’interpretazione giurisprudenziale» 38, è la communio totius vitae, tutta quella serie di obbligazioni - diritti che comporta il realizzare autenticamente la commnunio vitae. Atteso l’aspetto dinamico di questa realtà, la 37 R. BERTOLINO, Matrimonio canonico e bonum coniugum, 48. E’ chiaro che il riferimento è fatto a quella giurisprudenza rotale che «pretendendo efficacia immediatamente giuridica per l’insegnamento conciliare», aveva stabilito la rilevanza giuridica allo ius ad vitae communionem (R. BERTOLINO, Matrimonio canonico e bonum coniugum, 45-46). Va però rilevato che «lo stesso legislatore... abbandonava nel 1981 la formulazione originaria della disciplina della simulazione, in cui compariva come capo autonomo di nullità l’esclusione dello ius ad vitae communionem» (E. MONTAGNA, Considerazioni in tema di bonum coniugum, 695), proprio per la difficoltà di dare a questo contenuto autonomo in particolare in relazione al matrimonium ipsum. 38 14 communio vitae va presa in considerazione, dal punto di vista giuridico, come ius ad vitae communionem. Vi è però un importante riferimento al bonum coniugum, che quale «oggetto ed effetto delle relazioni interpersonali, è il bene di tutta la persona, bene cioè spirituale, morale, sociale, intellettuale e fisico», che è testimonianza dell’importanza notevole che questo nuovo fine del matrimonio canonico ha per l’ecclesiologia del matrimonio: il messaggio della Chiesa alla società contemporanea. Nella coram Murolo del 24 giugno 1998, torna il rapporto tra bonum coniugum, amore coniugale e communio vitae. Pertanto, si rinvia a quanto già detto nell’analisi delle altre decisioni. Varie sono state le decisioni che hanno affermato il legame inscindibile tra il bonum coniugum e l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II (coram Salvo del 21 dicembre 2000; coram Larocca del 17 novembre 2001; coram Di Leo del 3 luglio 2002), così come in alcune altre si coglie il tenativo di rileggere in chiave post conciliare i fini secondari del precedente codice piano – benedettino del 1917(coram Magnocavallo 16 maggio 2000). In una coram Pica del 9 dicembre del 2002 si legge, infatti, che «l’esclusione del bonum coniugum può essere visto come rifiuto della comparte quale coniuge ed unicamente considerato, ad esempio, alla stregua di un socio nell’amministrazione della casa, senza alcuna intenzione di instaurare e condurre con lui una vita coniugale». In una coram Murolo del 26 giugno 2002, si torna ad una visione ampia ed omnicomprensiva del bonum coniugum. Che, se da un lato corre il pericolo di non giungere ad un concetto giuridicamente e processualmente determinato, dall’altro coglie la straordinaria importanza “fisiologica” del bene dei coniugi. Infatti, citando le parole di Giovanni Paolo II, il Giudice afferma che è «attraverso l’impegno, lo sforzo, il sacrificio, specialmente se fatto per amore degli altri, che le persone massimamente crescono e maturano. In questo modo ognuno esce fuori dal proprio io e si innalza sopra se stesso. Lealtà all’impegno della vita coniugale, essere reciprocamente fedeli, perseverare in questa fedeltà fino alla morte, ed avere ed educare i figli contribuiscono più di ogni altra 15 cosa al vero bene dei coniugi». Tutti gli elementi essenziali del matrimonio riferiti al bene della persona. I bona agostiniani riportati ad una visione che non li considera più solo diritti oggetto di scambio tra i nubendi all’atto dell’espressione del consenso, ma finalisticamente orientati ad una concezione del matrimonio inteso come unione delle persone, per le persone. In una decisione coram Dotti del 22 aprile 2004 39si coglie il tentativo di ricostruire il bonum coniugum in chiave più tecnico – giuridica, attraverso il riferimento alla negazione alla controparte dei diritti innati della persona umana (ad es. la libertà), nonché la negazione della stessa dignità di coniuge. Scrive il Giudice che «con l’esclusione del bene reciproco dei coniugi si mette in gioco non solo il contenuto del legame coniugale, ma il fatto stesso del voler edificare qualcosa di comune». Ciò che appare interessante sottolineare è che mai il bonum coniugum, come ipotesi di simulazione parziale del consenso matrimoniale, viene concordato come capo esclusivo di nullità; quasi sempre le sentenze respingono il capo di nullità relativo all’esclusione del bene dei coniugi, ed in molti casi esso viene riassorbito in altre ipotesi di simulazione del consenso matrimoniale. La maggior parte delle decisioni si dilunga nella descrizione della fisiologia del nuovo diritto matrimoniale canonico, del diritto “matrimoniale personalista”. Quando però entrano nel vivo della causa di nullità rivelano la difficoltà di differenziare l’esclusione del bonum coniugum, dell’ordinatio ad bonum coniugum dalle ipotesi di simulazione relativa agli altri elementi essenziali del matrimonio o alla simulazione totale. Emerge la difficoltà in concreto di ricostruire i comportamenti che possano estrinsecarsi in ipotesi di simulazione del consenso relativamente al bene dei coniugi. Emblematiche sul punto sono una coram Neri del 9 marzo 2005 ed una coram Caricato del 15 marzo 2005. Nella prima sentenza si legge che “la base del rapporto matrimoniale è data dalla completa 39 La sentenza è pubblicata sulla rivista Diritto e Religioni, 2006, 1-2, 531-548. 16 unione della loro vita spirituale, intellettuale, sentimentale, economica, fisica, sociale”, cioè dal matrimonio inteso in senso globalmente esistenziale, come unione tra le persone, che investe la totalità della loro esistenza. Il bene dei coniugi, in tal senso, non sarebbe “un quarto bene che va ad aggiungersi ai tria bona agostiniani ma piuttosto il fine istituzionale del matrimonio … inteso nella visione personalista è l’esaltazione alla integrazione psico sessuale”. Escluderebbe il bonum coniugum chi si sposa nell’intento di vendicarsi del coniuge o della sua famiglia o, ancora con l’intento di coartare le altrui scelte, negando un qualche aspetto della dignità umana, come la libertà fisica, religiosa, morale. Ancora, chi esclude il suo impegno per il benessere e perfezionamento dell’altro. Il riferimento qui è ad un contributo del giudice rotale Cormac Burke 40, il quale però, è noto, ha una posizione di contrarietà rispetto all’autonomia del bonum coniugum come capo di nullità matrimoniale, in relazione ad altre ipotesi di simulazione del consenso matrimoniale. Lo stretto legame tra bonum coniugum ed interpretazione personalista è colto da una coram Magnocavallo dell’11 maggio 2005: “L’interpretazione personalista dell’istituto matrimoniale è avvenuto grazie al dibattito del Concilio Vaticano II. Il Concilio infatti ha interpretato con parole nuove una realtà antica. Infatti, il matrimonio, come una comunione di vita e di amore, era descritto già dal famoso canonista Ugo da San Vittore. Egli sosteneva che il matrimonio è un patto avente come finalità immediata la creazione di una indivisibile comunità di vita tra i coniugi, da cui derivava come conseguenza naturale anche il consenso dell’atto generativo. Più vicino a noi, nel 1934, il teologo morale Prummer prendendo le mosse dalla riflessione sul significato della unione carnale dei coniugi, giunge ad affermare che il fine principale della vita coniugale e dell’atto sessuale degli sposi è il bonum spirituale. Poco 40 C. BURKE, Il <<bonum coniugum>> e il <<bonum prolis>>: fini o proprietà del matrimonio?, in Apollinaris, 1990, 564-565. 17 dopo il dibattito si arricchisce grazie all’apporto del Doms secondo cui il matrimonio è ordinato anzitutto all’unione degli sposi in una relazione specifica attraverso la quale soltanto essi possono raggiungere lo sviluppo completo e l’attuazione della potenzialità che è in loro. Tale relazione trova la sua origine nella sfera spirituale, non ha il suo perfezionamento nell’atto sessuale”. Una corposa parte dottrinale, cui però segue un’elencazione di dimensioni cui si sostanzierebbe l’esclusione del bonum coniugum, che non è lontana da ipotesi di simulazione totale del consenso matrimoniale: 1) crescere insieme nella comunione di vita; 2) aiuto reciproco; 3) amore coniugale, spirito, affettività e corporeità, amore donativo. Sul piano più strettamente dogmatico molto interessante appare una coram Pica del 6 luglio 2005. In essa pare emergere una concezione che conduca a rileggere il matrimonio ed i suoi elementi e proprietà essenziali in ottica nuova, si direbbe con spirito rinnovato: “da alcuni si ritiene che anche l’indissolubilità del matrimonio, in quanto è un diritto – dovere quae pertinet ad consortium totius vitae, sia da annoverare nel complesso dei diritti e doveri che costituiscono il bonum coniugum. E non senza ragione, se il Concilio Vaticano II descrive l’amore coniugale come Indissolubiliter fidelis (Gaudium et spes, n. 48), unendo l’indissolubilità alla fedeltà. Sicché, la proprietà essenziale dell’indissolubilità, intesa come diritto – dovere dei coniugi, la cui esclusione provoca già di per se la nullità del consenso, si verrebbe ad assorbire nel bonum coniugum … Quest’ultimo, infatti, alla luce del Magistero conciliare che va al di la dello schema concettuale agostiniano (cfr. Gaudium et Spes, n. 48) … è costituito dal complesso dei diritti e doveri indivisibili e tutti essenziali, comprendente innanzitutto quello della comunione di vita … Non si tratta di comunione di mensa, di letto e di abitazione … quanto invece di quella intima relazione interpersonale propria del coniugio … sul progetto di volere e fare il bene della persona amata … Tale diritto – dovere è cosa ben diversa dal ius in corpus e dal remedium concupiscentiae … Fa ancora parte del bonum coniugum il diritto – dovere della fedeltà coniugale”. 18 Coglie, questa decisione, l’esigenza, fortemente avvertita dal Concilio Vaticano II, di emanciparsi da una visione del matrimonio sessual corporalista, ma non riesce ad andare a nostro parere sino in fondo a queste considerazioni: liberare il bonum coniugum dal vincolo della teoria contrattualista. Tornare cioè ad una visione oggettivista del matrimonio, pur abbandonando la centralità della sessualità, del rimedio alla sessualità come peccato. La difficoltà di svincolare l’esclusione del bonum coniugum dall’ipotesi di esclusione del matrimonium ipsum è comune a molte decisioni (coram Salvo, 2 luglio 2007; coram Di Leo, 2 luglio 2007; coram Oliva, 10 maggio 2007; coram De Punzio, 13 settembre 2006). In una coram Salvo del 19 dicembre 2005, nella quale l’esclusione relativa al bonum coniugum era stata concordata unitamente alla simulazione totale, si legge espressamente che “il presente capo di nullità presenta diversi aspetti ancora non chiariti e si sente in questo campo la lacuna di un chiaro indirizzo giurisprudenziale … Alcune delle annotazioni fatte per i precedenti capi di nullità valgono anche per questo”. Molte si rifanno al concetto di comunione di vita e di consorzio di tutta la vita (coram Lia, 16 dicembre 2005). In una coram Giampetruzzi del 5 marzo 2008, vi è il riferimento ad una nuova antropologia posta in luce nel Vaticano II, dalla quale si trae l’accentuazione degli elementi soggettivi del matrimonio. Da ciò, il bonum coniugum da mero prerequisito è divenuto vero e proprio principio formale, come tale riportato al can. 1101 par. 2. Formalmente, dunque, l’esclusione del bonum coniugum diviene esclusione di un elemento essenziale o di una proprietà essenziale del matrimonio. Quando, però, la decisione giunge a delineare in concreto l’esclusione, calandola nel “fatto”, giunge anch’essa alle considerazioni di Cormac Burke, per le quali si rinvia a quanto già detto in precedenza. 5. Conclusioni. 19 Pur potendo apparire contraddittorio, siamo persuasi del fatto che l’angolo visuale delle ipotesi di simulazione del consenso matrimoniale possa rivelarsi utile a cogliere la reale portata innovativa del bonum coniugum. Infatti, la difficoltà di ricostruirne le dimensioni attraverso la prospettiva delle patologie matrimoniali consente di svelarne la sua vera essenza: il superamento della concezione del matrimonio, così come emergeva nel can. 1082 del codice del 1917, utile a liberare la concezione del matrimonio dalla dimensione sessuale, orientato all’esclusiva finalità procreativa. Dall’esame di questa breve rassegna giurisprudenziale emerge, infatti, la natura essenzialmente fisiologica del bonum coniugum, fine del matrimonio postconciliare. Il matrimonio delle persone, per le persone, non soltanto i coniugi, ma anche i figli, la qual cosa rende in ottica nuova anche il bonum prolis. Il matrimonio diviene istituto creatore della Chiesa domestica, nella quale vivono e si formano i cristiani, che, con la loro opera, vivificano l’intera comunità ecclesiale 41. La famiglia, luogo di maturazione della persona, perché si possa affermare, con le parole del Concilio, che «il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità coniugale e familiare» (Gaudium et Spes, n. 47). Il matrimonio, in quest’ottica, diviene «realtà terrena inserita nella salvezza», nel quale «l’amore costituisce l’anima della comunità coniugale» 42. Sul rapporto inscindibile tra matrimonio e famiglia nel diritto canonico, cfr. P.V. PINTO, Il matrimonio come fondamento dell’istituzione familiare dall’osservatorio della giurisprudenza rotale, in Giornate canonistiche baresi, Atti IV, a cura di R. COPPOLA, Bari 2007, 41-64. Per un’interessante e suggestiva disamina sull’esistenza di un vero e proprio bonum familiare, cfr., J. M. SERRANO RUIZ, Il “bonum familiare” nelle cause canoniche di nullità di matrimonio: incapacità ed esclusione, 65-82. Dello stesso autore, cfr. Il bonum familiare nella struttura essenziale del matrimonio. Relazione tenuta all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario del Tribunale Interdiocesano Salernitano – Lucano, Salerno, 10 febbraio 2001, 2. 41 42 E. SCHILLEBEECKX, Il matrimonio. Realtà terrena e mistero di salvezza, Edizioni Paoline, Roma 1968, I, 438. Come è stato detto, questa “ordinazione ed integrazione significa che una dimensione del bene coniugale, come finalità del matrimonio, consiste nella progressiva maturazione congiunta dell’amore coniugale, dalla concupiscenza alla benevolenza attraverso tutta la vita matrimoniale … fare del matrimonio un percorso di maturazione fisica, psichica e spirituale della persone” (P. J. VILLADRICH, Il consenso matrimoniale, Milano, 2001, 378-379. 20 La rottura con la concezione dello ius in corpus della tradizione iuscorporalista e la rilettura di tutti gli elementi tradizionali in ottica inter ed intrapersonale, apre la via, infatti, ad “una lettura più costituzionalista della nozione di persona, non privatistica soltanto” 43 43 R. BERTOLINO, Matrimonio canonico e bonum coniugum, 81. 21