Articolo di Paolo Stefanì - Associazione Canonistica Italiana

Bonum
coniugum
e simulazione del consenso
matrimoniale nella giurisprudenza del Tribunale
Ecclesiastico pugliese
PAOLO STEFANÌ – UNIVERSITÀ DI BARI
1. Introduzione.
Uno dei nodi più problematici ed allo stesso tempo ancora
irrisolti della disciplina delle nullità matrimoniali canoniche è quello
che concerne la “simulazione parziale” relativa al bene dei coniugi
(bonum coniugum), che in base alla norma di cui al can. 1055 del
codice di diritto canonico del 1983 è riconosciuto quale fine del
matrimonio canonico, in aggiunta al bonum prolis, che rappresentava,
nel vigore del precedente codice del 1917, il «fine primario» del
matrimonio della Chiesa 1.
Il senso di queste riflessioni consiste nel fatto che, l’assenza
sull’argomento di una esauriente giurisprudenza rotale – che non è
riuscita ancora a pervenire ad una chiara enucleazione di un
concetto giuridico di simulazione relativa al bonum coniugum, distinto
da altre figure di “simulazione parziale” e dalla stessa “simulazione
totale” – 2, ha reso protagonista la giurisprudenza dei Tribunali
Sulla disciplina generale del matrimonio canonico, sulla sua essenza, fini e proprietà
essenziali la bibliografia è, naturalmente sterminata. Per tutti, cfr., P.A. BONNET, Matrimonio
canonico, in Enciclopedia del diritto, secondo aggiornamento, Milano 1998, 525-536.
1
Cfr., A D’AURIA, Il consenso matrimoniale. Dottrina e giurisprudenza canonica, Aracne, Roma
2007, 469-473. E’ stato recentemente osservato che “nonostante la stretta connessione tra
questa ipotesi di nullità – l’esclusione del bene dei coniugi – e la concezione di matrimonio
fatta propria dal legislatore, essa non ha trovato sino ad ora frequenti applicazioni nella
pratica giudiziaria. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che molte ipotesi che potrebbero
propriamente rientrare nell’esclusione del bonum coniugum tendono ad essere trattate come
ipotesi di simulazione totale, adottando un orientamento interpretativo … che porta a
considerare l’esclusione dei contenuti personali ed esistenziali del rapporto matrimoniale
come esclusione dello stesso matrimonio” (P. MONETA, Il matrimonio nullo nel diritto canonico e
2
1
regionali, che assumono, in questo ambito specifico, il ruolo di
giurisprudenza «pilota» 3. La Rota romana ha evidenziato la
preoccupazione di accostare il bonum coniugum all’amore coniugale.
Ciò perché questa operazione avrebbe potuto comportare il
pericolo di soggettivizzare le decisioni di nullità, finendo per
«erodere il principio di indissolubilità del matrimonio» 4.
2. Bonum coniugum, Concilio Vaticano II e nuova concezione del
matrimonio cristiano.
La difficoltà principale che, sia la dottrina sia la giurisprudenza,
incontrano nella costruzione di un “concetto giuridico” di bonum
coniugum va sicuramente individuata nello stretto legame che esiste
tra questo e l’ecclesiologia conciliare 5. Non vi può essere dubbio
alcuno, infatti, che l’inserimento del concetto di bonum coniugum
nell’articolazione dei fini e dell’essenza del matrimonio canonico
rappresenti una “rilevante novità della codificazione del 1983”. Per
la sua collocazione “in uno di quei punti critici sui quali si
concentrano le spinte e le controspinte che animano il diritto
vivente determinandone la fisionomia effettiva, il bonum coniugum
concordatario, Bari, 2008, pp. 89-90). Come si cercherà di chiarire più oltre, siamo persuasi che
i contenuti del bonum coniugum, che rappresenta senza ombra di dubbio l’esaltazione degli
elementi personali ed esistenziali del “nuovo matrimonio canonico”, possono essere colti in
misura più precisa non tanto ricostruendo un’ipotesi patologica matrimoniale, quanto
sottolineando che lo stesso bene dei coniugi costituisce una chiave interpretativa per
rileggere il matrimonio canonico alla luce del “bene delle persone”
3
Cfr. L. MUSSELLI, L’esclusione del «bonum coniugum» come caso di simulazione parziale, in Il diritto
ecclesiastico, 1995, 82. Dello stesso autore, cfr. <<Bonum coniugum>> e nullità del matrimonio
canonico, in Il diritto di famiglia e delle persone, 1994, pp. 1340-1346.
4
E. MONTAGNA, In merito all’esclusione del «bonum coniugum» come causa di nullità del matrimonio
canonico, in Il diritto ecclesiastico, 1993, 55-56.
Cfr., F. POSA, Il bonum coniugum nel quadro della disciplina del matrimonio canonico, Vivere In,
Roma 1999, 109.
5
2
costituisce una visuale privilegiata per ricostruire la tuttora
problematica concezione del matrimonio” 6
E’ stato sottolineato che, l’inserimento del bene dei coniugi nel
can. 1055 del «codice del postconcilio» 7, è stato teso
all’affermazione di una nuova visione del matrimonio, meno
dommatico - giuridica e più pastorale 8. Il codice del 1983, cioè, «ha
voluto rompere con la forse sbrigativa, ma prevalente lettura della
previgente disciplina matrimoniale da parte della dottrina
contemporanea, che rimproverava al discorso giuridico di aver
messo da parte l’idea che il matrimonio è un incontro di persone
prima che uno scambio di diritti, di essersi interessata più della
validità che dell’autenticità» 9.
Si coglie in queste parole la svolta epocale determinata dal
Concilio Vaticano II, non soltanto in relazione alla disciplina
matrimoniale, ma, in senso più ampio, come momento di antitesi al
fenomeno del giuridismo 10.
E. DIENI, Bonum coniugum, Tripartitum bonum e tradizione <<jus corporalista>>. (ovvero: si è già
alle viste di una adeguata elaborazione teroico-giuridica del <<Personalismo>>?), in Il diritto ecclesiastico,
1996, I, 349.
7
Cfr. V. FAGIOLO, Il codice del postconcilio, I, Introduzione, Città Nuova, Roma 1984, 172.
6
Cfr. J.M. SERRANO RUIZ, Il bonum coniugum e la dottrina tradizionale dei bona matrimonii, in
AA.VV., Il bonum coniugum nel matrimonio canonico, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano
1996, 149.
8
R. BERTOLINO, Matrimonio canonico e bonum coniugum. Per una lettura personalista del matrimonio
cristiano, Giappichelli, Torino 1995, 60; ID, Gli elementi costitutivi del bonum coniugum, in AA.VV.,
Il bonum coniugum nel matrimonio canonico, 9-10.
9
Cfr. S. BERLINGÒ, Diritto canonico, Giappichelli, Torino 1995, 22 ss. Per quanto concerne,
in maniera più specifica, il diritto matrimoniale si è potuto affermare che il periodo che
intercorre tra la Gaudium et Spes ed il codice del 1983 può essere considerato come un
momento «in cui si registra una delle più gravi tensioni che sia dato ricordare tra due
orientamenti non solo dottrinali, ma anche giurisprudenziali, tra di loro nettamente
opposti...- tra - fattori di ordine pastorale, sotto la spinta del vento nuovo che portava a
considerare il matrimonio soprattutto come “rapporto d’amore” e ... la reazione di chi... ha
cercato di ridurre al minimo il valore innovativo del Concilio Vaticano secondo, sul piano
giuridico» (L. DE LUCA, L’esclusione del bonum coniugum, in AA.VV., La simulazione del consenso
matrimoniale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1990, 127).
10
3
Ciò spiega la reticenza della Rota romana nei confronti del
rapporto tra simulazione e bonum coniugum 11. Un concetto che
presenta degli aspetti metagiuridici talmente rilevanti che riesce
difficile “separarlo” dal matrimonio, inteso quale comunità di vita e
di amore, attraverso la quale i coniugi «avanzano incessantemente
verso la loro perfezione come anche la mutua santificazione»
(Gaudium et Spes, n. 48) 12.
3. La dottrina canonistica dinanzi al bonum coniugum. La difficoltà
di ricostruzione del concetto nella patologia del matrimonio.
Da queste brevi premesse un dato emerge con evidenza: La
qualificazione giuridico formale del bonum coniugum è quella di
essere fine del «nuovo diritto matrimoniale canonico» 13. Da ciò
consegue che, nell’accostarsi alla celebrazione delle nozze, i coniugi
Cfr. M. L. Lo GIACCO, L’incapacità a contrarre matrimonio: il can. 1095 n. 3, in Il matrimonio
nel diritto canonico e nella legislazione concordataria italiana, a cura di R. COPPOLA, Mottola (TA),
2003, pp. 142-143. Emblematica sul punto una coram Burke del marzo del 1998 (in Monitor
ecclesiasticus, 1999, II, p. 210).
12
Non si può, crediamo, convenire, su questo specifico punto, con quella parte della
dottrina, che ha affermato la necessità di separare, in seguito alla lettura del can. 1055, gli
aspetti giuridici da quelli metagiuridici sullo specifico dell’oggetto del bene dei coniugi (cfr.
E. MONTAGNA, In merito, 57). Si finirebbe in questo modo per assumere, nella dialettica dei
rapporti fra momento giuridico e momento teologico - pastorale dell’interpretazione delle
norme di diritto canonico, una posizione troppo netta e decisa, che, la natura peculiare
dell’ordinamento canonico, non consente. Va, infatti, colto “il significato nuovo e analogico
di bonum nella indicazione conciliare … per essere fedeli al Concilio, al quale la nuova legge
canonica <<ha inteso conformarsi pienamente>>, occorre partire dall’esse del matrimonio
della ordinatio Creatoris, per conoscere quali siano i contenuti operativamente essenziali al
bonum coniugum ed al bonum prolis” (L. SABBARESE, Il matrimonio canonico nell’ordine della natura
e della grazia. Commento al Codice di Diritto Canonico, Libro IV, Parte I, Titolo VII, II ed. ampliata,
Città del Vaticano, 2006, p. 77).
11
Cfr. R. BERTOLINO, Gli elementi costitutivi, 11. “Con il nuovo codice, tale gerarchia è venuta
meno: infatti nel can. 1055 par. 1 sono indicati, in posizione di perfetta parità, il bonum
coniugum e la generatio et educatio prolis. Segno, questo, dell’influenza del magistero conciliare,
ispirato alla valorizzazione della persona umana” (E. VITALI – S. BERLINGO’, Il
matrimonio canonico, III ed., Milano, 2007, p. 18).
13
4
devono ordinare il proprio consenso matrimoniale al “bene delle
persone”. La deordinazione a tale bene costituirebbe, quindi,
ipotesi di simulazione parziale del consenso prestato, che, in base
al disposto di cui al can. 1101 par. 2 del codice rende nullo il
matrimonio.
E’, dunque, l’ordinatio ad bonum coniugum 14 che deve essere
presente nella volontà dei nubenti nel momento in cui questi si
accostano alla celebrazione delle nozze, nel momento, cioè, del
matrimonio in fieri 15.
Ma, la particolarità del bonum coniugum sta nel fatto che questo è
fine delle persone e non del matrimonio 16, che esso si realizza in
maniera più specifica rispetto al bonum prolis nel matrimonio rapporto (in facto esse). Esso va considerato come finis operantis più
14
Cfr. R. BERTOLINO, Gli elementi costitutivi, 19; P.A. BONNET, L’essenza del matrimonio e il
bonum coniugum, in AA.VV., Il bonum coniugum nel matrimonio canonico, 129-130. Dello stesso
autore, cfr., Introduzione al consenso matrimoniale canonico, Giuffrè, Milano 1985, 24-27.
“A nostro parere una siffatta ordinatio può dirsi presente nello stato di vita coniugale se i
nubendi all’atto del consenso, hanno inteso, o almeno non hanno escluso … di volere l’altro
quale proprio ‘con-sorte’, partecipe di un cammino non soltanto da percorrere insieme, ma
veramente comune” (P. A. BONNET, Introduzione al consenso matrimoniale canonico, 26)
16
Cfr. C. BURKE, L’oggetto del consenso matrimoniale. Un’analisi personalista, Giappichelli, Torino
1997, 91-92. Osserva, l’illustre giudice rotale, che «è evidente che il termine «bonum coniugum»
non esprime un valore o proprietà o attributo del matrimonio. Il «bonum» di questo nuovo
termine va predicato non del matrimonio, ma dei coniugi... non denota una proprietà del
matrimonio bensì qualcosa - il bene dei coniugi - che il matrimonio deve causare o
originare.. Il matrimonio, istituzione caratterizzata dalla esclusività, dalla permanenza e dalla
procreatività tende al bene dei coniugi». Dunque vi sarebbe compenetrazione tra bonum
coniugum e bona agostiniani, nel senso che questi vivono di luce diversa, non più solo
dommaticamente considerati, ma vivificati dall’essere diretti al bene delle persone, che,
quindi, si realizzerebbe attraverso questi, nel matrimonio. Sul punto si notino le
osservazioni di Mons. Serrano Ruiz, Il bonum coniugum, 152, per il quale il bonum coniugum
rappresenterebbe i tre bona agostiniani, vissuti in funzione personalista. Seguendo queste tesi
sarebbe impossibile pervenire ad una identificazione autonoma del bonum coniugum rispetto
agli altri beni del matrimonio, con l’evidente conseguenza, per quel che concerne le ipotesi
patologiche del matrimonio, di rinunciare alla possibilità che questo possa essere oggetto di
simulazione, al di fuori dell’esclusione dei tria bona o della simulazione totale. In senso
inverso vanno quelle posizioni dottrinali che, rifiutando la contrapposizione tra bonum
coniugum e bona agostiniani, ed anzi configurando il bonum coniugum quale “quarto bene” del
matrimonio, affermano la necessità che, sia la dottrina, ma soprattutto la giurisprudenza
rotale, elaborino concettualmente una qualificazione autonoma del bonum coniugum (Cfr. L.
DE LUCA, L’esclusione del bonum coniugum, 131 ss.).
15
5
che come finis operis 17, per questo motivo la sua esclusione
difficilmente la si potrà rinvenire in un atto positivo di volontà
esplicito ed informato, antecedente al matrimonio. Piuttosto, si
dovrà volgere l’attenzione al contenuto stesso della «vita
matrimoniale» 18 per percepire, dai concreti comportamenti dei
coniugi, se questi abbiano o meno escluso il bonum coniugum, dal
consenso prestato. E’ importante sottolineare, però, che «non sono
puramente e semplicemente i singoli comportamenti esclusi a
rendere valido o meno il matrimonio - ma - il fatto che tali
comportamenti siano stati negati al nubente in funzione del bonum
coniugum, cioè del suo benessere e perfezionamento» 19.
Non è dunque la qualificazione formale il problema, ma la sua
concettualizzazione sostanziale. Ed in particolare, emerge la
difficoltà di affermare la distinzione tra bonum coniugum e
matrimonio, inteso in senso globale 20.
Per esigenze della presente trattazione possiamo soltanto
passare rapidamente in rassegna quelle che sono state le diverse
posizioni assunte dalla dottrina e dalla giurisprudenza in tema di
esclusione del bonum coniugum. Queste lo hanno inizialmente
considerato quale sinonimo dello ius ad vitae communionem o del
consortium totius vitae 21, ma, sul presupposto che in questi termini
non lo si potesse distinguere dal matrimonium ipsum, altri hanno
cercato soluzioni che potessero garantire al nuovo fine personalista
l’autonomia dai due concetti su menzionati. Ci si è rivolti a
17
Cfr. R. BERTOLINO, Gli elementi, 11.
Cfr. G. FELICIANI, Le basi del diritto canonico, Il Mulino, Bologna 1999, il quale osserva che
«la Chiesa ha per così dire superato la tradizionale impostazione del problema, preferendo
insistere più sull’essenza della vita matrimoniale che sulle sue specifiche finalità» (Ibidem,
137).
18
19
E. MONTAGNA, In merito, 72.
Come osserva il Bertolino, il bonum coniugum, caratterizzazione della coniugalità, accanto ed
insieme alla genitorialità, implica che «volere l’altro come e nella sua persona, anzitutto; e
volerlo altresì nella caratteristica di coniuge... porta a concludere coerentemente per la
assolutezza e l’universalità del concetto e del contenuto del bonum coniugum» (Gli elementi, 22).
20
Sulla relazione teologico-giuridica tra bonum coniugum e consortium totius vitae, cfr., G.
MANTUANO, Consenso matrimoniale e consortium totius vitae, Macerata 2006, 91-118.
21
6
considerare questo bene quale sinonimo dell’amore coniugale,
distinguendo l’amore - sentimento, che non può assumere una
configurazione giuridica perché sottratto all’impero della volontà,
dall’amore inteso come impegno nella costituzione della
comunione di vita 22. Ma anche questa soluzione è apparsa
insoddisfacente, perché si è detto che l’amore è elemento portante
anche del bonum prolis, quindi non vi può essere identificazione tra
amore coniugale e bene dei coniugi 23.
Vi è stato chi ha considerato il bonum coniugum come la
trasposizione, nella nuova codificazione canonica, dei due fini
secondari del matrimonio contratto, così come disciplinato nel
vigore del codice del 1917. Questi verrebbero riletti alla luce della
nuova dottrina personalista, significanti la scomparsa della
“vecchia” gradazione dei fini matrimoniali 24. Una soluzione che, se
da un punto di vista formale appare certamente condivisibile,
avrebbe il difetto di operare una sorta di deminutio del senso più
propriamente fisiologico del bene personale. Questo ci sembra
essere di più rispetto al mutuo aiuto ed alla soddisfazione
dell’istinto sessuale, è simbolo dell’impegno che i due coniugi
hanno il dovere di profondere per fare della famiglia un’autentica
«Chiesa domestica», luogo di maturazione e di crescita umana ma,
soprattutto, cristiana 25.
Cfr. P. PELLEGRINO, Il bonum coniugum: Essenza e fine del matrimonio canonico, in Il diritto
eclesiastico, 1996, 817.
22
23
Cfr. R BERTOLINO, Gli elementi, 24-25; ID, Matrimonio canonico e bonum coniugum, 103-106.
«Certamente ... nel bonum coniugum vengono ricompresi i tradizionali fini secondari,
che, con una innovazione di grandissima importanza, vengono ad acquisire rilevanza in
ordine alla validità del matrimonio» (E. MONTAGNA, Considerazioni intorno al bonum coniugum
nel diritto matrimoniale canonico, in Il diritto ecclesiastico, 1993, 693).
24
“Ben altra è l’essenza del matrimonio ed il valore unitivo che, a nostro parere, possono
cogliersi nelle sacre scritture e negli insegnamenti sia pontifici che conciliari, ed in modo
specialissimo di quelli del Concilio Vaticano II. Lo stesso bonum prolis del resto, prospettato
nel contesto di una più ricca coniugalità radicata nelle ampie e profonde dimensioni dell’
homo totus viene singolarmente esaltato in tutto il suo valore” (P. A. BONNET, Comunione di
vita, <<ordinatio ad bonum coniugum>> e <<honor matrimonii>>, in Il diritto ecclesiastico,
1982, II, 529. E’ interessante notare che lo scritto del Bonnet è antecedente al Codice, ma
25
7
Si è così guardato all’esclusione del bonum coniugum in riferimento
agli elementi essenziali di cui al can. 1101 par. 2, considerati
unitariamente. Che quindi l’esclusione del bonum coniugum si avrebbe
quando questi siano esclusi tutti ed in modo indistinto. Ma in
questo caso non si considera che in quegli elementi è ricompreso
anche il bonum coniugum, rendendo questa una pura soluzione
tautologica; ed inoltre, che in ogni caso una simile ricostruzione
non distaccherebbe il bonum coniugum dalla simulazione totale 26, da
quella particolare forma di simulazione totale che si realizza qualora
i nubendi escludono non tanto la dimensione istituzionale del
matrimonio, l’impegno giuridicamente vincolante ed obbligante,
quanto il contenuto esistenziale dello stesso 27.
Autorevole dottrina 28 ha evidenziato la necessità di distinguere
una concezione più ampia del bonum coniugum, da un’accezione più
strettamente dommatico-giuridica. L’esclusione del bene dei
coniugi si verificherebbe nelle seguenti tre ipotesi: quella di chi
escluda un impegno anche minimale all’aiuto ed alla collaborazione
verso l’altro coniuge ed al bene di questi; quella di chi impedisca
all’altro coniuge il godimento di diritti fondamentali, tutelati
dall’ordinamento canonico (ad es. il diritto di libertà religiosa o
della dignità della persona); infine, quella di chi sposi una persona
successivo al Concilio Vaticano II, il che rende l’idea della grande influenza che l’assise
conciliare ebbe sulla redazione del Codice del 1983).
26
Cfr. E. MONTAGNA, In merito, 60-61.
“Una nuova figura di simulazione totale diversa da quella ora considerata si verifica …
allorché la voluntas excludendi si appunta non sullo ius coniugii … ma sul contenuto sostanziale
di esso … Il nubente non rifugge cioè totalmente da ciò che il matrimonio può
rappresentare in termini di impegno e di vincolo giuridico, ma lo svuota del suo contenuto
più specificamente caratterizzante sul piano esistenziale … Indubbiamente questa ipotesi
presenta stretti punti di contatto con quella nuova figura di simulazione parziale che il
legislatore del 1983 ha senza dubbio inteso declinare: quella che deriva dall’esclusione del
bonum coniugum” (P. MONETA, La simulazione totale, in AA.VV., Diritto matrimoniale canonico,
vol. II, Il consenso, Città del Vaticano, 2003, 253). Si potrebbe però affermare che proprio
l’inserimento del fine personalista abbia in qualche modo consentito la rilettura della
simulazione totale, aprendo alla possibilità di una elaborazione dell’esclusione della
dimensione esistenziale del matrimonio. Non dunque confusione normativa tra i due
concetti, bensì compenetrazione dell’uno nell’altro.
28
Cfr. L. MUSSELLI, Manuale di diritto canonico e matrimoniale, Monduzzi, Bologna 1997, 211 ss.
27
8
con il fine di allontanarla dalla fede cattolica, dalla morale cattolica,
inducendola ad una vita peccaminosa.
Una teoria che presenta, indubbiamente, un certo spirito
innovativo, ma che difficilmente nella prassi processuale
riuscirebbe, a nostro parere, a distinguere nell’atto positivo di
volontà del soggetto autore della simulazione, il bonum coniugum
(l’esclusione dell’ordinatio ad) dalla simulazione totale.
Per cogliere nella sua reale portata innovativa, si potrebbe dire
in un certo senso rivoluzionaria, la presenza del bonum coniugum
nella disciplina del matrimonio canonico, quale fine e/o elemento
essenziale dello stesso matrimonio, occorre non soltanto
sottolineare il legame pur indiscutibile con l’ecclesiologia del
Concilio Vaticano II, ma individuare la svolta operata in rapporto
all’essenza del matrimonio canonico così come disciplinato nel
codice del 1917. La disciplina normativa del codice Piano –
Benedettino era legata alla tradizione dei Padri della Chiesa e
segnatamente alla teologia medioevale. Questa, come osservava lo
Jemolo, era orientata alla separazione di tre aspetti della vita
coniugale: il primo, l’aspetto specificatamente sessuale “di questa
unione durevole e legittima dell’uomo alla donna. Il secondo,
l’unione delle anime … Il terzo è l’aspetto sacramentale … I
teologi medioevali, seguendo fedelmente le direttive dei Padri,
insistono sul primo elemento … resta nell’ombra il secondo
aspetto … sta in fatto che i teologi considerano il matrimonio
quasi soltanto sotto l’aspetto di società sessuale … le sue relazioni
con la concupiscenza … segnata da S. Agostino” 29.
Alla teoria agostiniana del tripartitum bonum, oggettivista ma
condizionata dalla concezione ius corporalista, segue la concezione
tomista, la quale supera la teoria oggettivista agostiniana e giunge
alla individuazione della centralità della “categoria tecnica di jus …
che colloca l’individuo, suo titolare in primo piano … si verificava
cioè un processo di ulteriore razionalizzazione o idealizzazione che
29
A. C. JEMOLO, Il matrimonio nel diritto canonico. Dal Concilio di Trento al Codice del 1917,
Bologna, 1993, 125-126.
9
proiettava sul soggetto le note caratteristiche del rapporto così
come qualificato dall’ordinamento” 30.
Dunque, alla tradizione iuscorporalista, legata all’aspetto sessuale,
si aggiungeva quella individualista e contrattualista, attorno alla
quale declinavano i tria bona agostiniani. L’essenza del matrimonio
era dunque condizionata dallo ius in corpus, inserito nella dinamica
contrattualista della traditio – acceptatio.
Da questo punto di vista, si può cogliere la reale portata
innovativa dell’inserimento dell’elemento personalista, ad opera del
Concilio Vaticano II prima e del Codice del 1983 poi, se si afferma
l’idea secondo la quale il “bonum coniugum si vede invece affidato il
compito di veicolare le istanze <<progressive>>, concernenti la
visione personalista … è opportuno – cioè – prendere atto delle
diverse ascendenze dottrinali e culturali che rispettivamente
supportano i tria bona e il bonum coniugum” 31. Occorre, quindi,
guardare al “fine personalista”da un lato come al
ridimensionamento della dimensione sessual/corporalista, per
affermare di converso l’esaltazione della dimensione spirituale,
dall’altro emancipare lo studio e l’analisi del bonum coniugum dalla
visione individualistico/contrattualista, per ancorarlo ad una
concezione del matrimonio in se considerato, quale strumento di
perfezionamento della vita cristiana e di salvezza ultraterrena. Non
dunque jus oggetto di una traditio iuris, bensì bonum del matrimonio
considerato alla luce della visione del personalismo.
Una rilettura, in chiave personalista, di tutti gli elementi del
matrimonio cristiano. Non dunque quarto bonum, ma chiave
interpretativa dei bona 32.
E. DIENI, op. cit., 378 e 385.
Ibidem, 393-394.
32
Ibidem, 402-403. Aggiunge l’autore con straordinaria efficacia che “limitandosi a
considerare quella parte del sistema che è <<coperta>>dai tria bona agostiniani, si potrebbe
pensare che quanto più il bonum coniugum venga interpretato come contrapposto ad essi,
tanto più questi risulterebbero circoscritti alloro significato tradizionale, e/o potrebbero
essere parzialmente rimodellati in un senso non più soltanto sessuale, per cedimento alla vis
espansiva del nuovo valore” (404).
30
31
10
Da ciò crediamo emerga la necessità di emancipare in qualche
modo lo studio del bonum coniugum dall’analisi patologica del
matrimonio canonico e dalle cause di nullità matrimoniale. Ciò,
perché nei processi di nullità si articola la concezione
contrattualista, il matrimonio è riguardato dall’angolo visuale della
traditio iuris. Si potrebbe in questo modo ottenere un duplice effetto
positivo: da un lato, guardare al bonum coniugum come ad un valore,
che permea tutta la sostanza del “nuovo” matrimonio canonico,
così come gli elementi essenziali dello stesso matrimonio (la
rilettura in chiave personalista dei bona agostiniani); da un altro lato,
risolvere lo smarrimento dei giudici ecclesiastici, i quali mostrano
serie difficoltà nel ricostruire il concetto e le dimensioni del fine
personalista nell’elaborazione delle decisioni giurisprudenziali.
Letto, infatti, dal punto di vista della patologia matrimoniale,
esso – il bonum coniugum – rischia sempre il riassorbimento nelle
altre ipotesi di simulazione del consenso matrimoniale, senza però
che ne venga colta la specificità.
4. Il Tribunale Ecclesiastico Regionale Pugliese alla prova della simulazione
del consenso matrimoniale relativa al bonum coniugum.
Le sentenze del Tribunale ecclesiastico regionale pugliese,
oggetto della nostra breve disamina, sono ricomprese in un arco
temporale va dal 1996 al 2008.
La prima tra queste è una coram Neri del 14 febbraio del 1996. I
capi di nullità concordati sono l’esclusione del bonum coniugum e
della fedeltà. Nella parte in iure si rinviene il principio della
differenziazione tra un concetto più ampio, che si riferirebbe ad
una costruzione positiva del bonum coniugum, ed un concetto più
limitato, specularmente utilizzabile nelle fattispecie di nullità. Da
ciò, il bonum coniugum diviene la «capacità di stabilire con l’altra parte
una relazione interpersonale tollerabile». Questa soluzione reca in
se il pericolo di rendere troppo soggettive le decisioni
11
giurisprudenziali, nel momento in cui si passi a determinare quando
una convivenza possa dirsi tollerabile o meno.
La parte in diritto continua affermando la possibile confusione
fra simulazione parziale relativa al bene dei coniugi e la simulazione
totale. Questa potrebbe essere risolta considerando l’esclusione del
matrimonio stesso sotto due diversi profili: quello di chi rifiuti
l’istituzione matrimonio, con i suoi diritti e doveri; e quello di chi,
dello stesso matrimonio, rifiuti la componente più strettamente
esistenziale. In quest’ultimo caso si configurerebbe l’esclusione
parziale, relativa al bonum coniugum. Una tesi che parrebbe riprendere
la distinzione dello Jemolo tra colui che «proferisce le parole del
consenso, ma non ha l’intenzione di consentire - e colui - che ha
l’intenzione di contrarre, ma non già di obbligarsi» 33. Lo stesso
Maestro, però, ammetteva la difficoltà di rinvenire una tale precisa
distinzione di volontà nei soggetti che si accostano alla
celebrazione delle nozze. E’ veramente difficile, per non dire
impossibile, che una persona possa discernere con atto positivo di
volontà, l’esclusione del momento esistenziale da quello
istituzionale. Comunque sia, l’esclusione della dimensione
esistenziale del matrimonio può essere considerata una simulazione
totale, proprio in riferimento al matrimonio non più e non soltanto
considerato come un’istituzione giuridica, bensì un luogo di vita e
di amore, un percorso esistenziale di maturazione cristiana delle
persone.
Dello stesso Giudice è la seconda sentenza, del 26 novembre
1997. E’ interessante notare che in questa vicenda di nullità il bonum
coniugum, inizialmente concordato unitamente alla simulazione
totale, nella stesura della sentenza è stato completamente
riassorbito in quest’ultima, quasi a voler dimostrare l’impossibilità,
almeno nel caso di specie, di distinguere logicamente le due ipotesi
di invalidità.
A.C. JEMOLO, Il matrimonio nel diritto canonico. Dal concilio di Trento al codice del 1917, Il
Mulino, Bologna 1993, 267.
33
12
Trattasi della storia matrimoniale di una persona «che individua
e lega a sé un’altra al solo fine di trasformarla in fonte di reddito,
senza un minimo rispetto per la sua dignità di donna». Pare quindi
recepire l’opinione del Musselli, il quale aveva affermato
l’esclusione del bonum coniugum nella volontà di chi «si sposi
unicamente ed egoisticamente per avere a propria disposizione una
donna”, negandole però il diritto alla sua dignità 34, che l’autore
ricollegava al fine del mutuo aiuto. Una tale vicenda è la riprova di
come i tentativi di affermare l’esclusione del bonum coniugum
abbiano molta difficoltà a trovar conferma nella prassi processuale.
Da ciò, è certamente da condividere l’opinione di chi rileva
“l’assurdità di siffatta esclusione, specialmente al di fuori della
simulazione assoluta» 35.
In una coram Caricato del 2 dicembre 1997 si rinviene
l’esclusione del bonum coniugum nella forma dell’esclusione
dell’amore coniugale, «intendendo questo non come mera attrattiva
erotica, ma come profondo sentimento che porta l’uomo e la
donna a donarsi l’uno all’altra ed essere desiderosi e solleciti
dell’altrui bene e dell’altrui felicità»: L’amor benevolentiae 36.
Le dichiarazioni del soggetto simulante sono, però, ancora una
volta la prova della difficoltà di scindere il concetto di bonum
coniugum dalla simulazione totale: «Io durante lo scambio del
consenso mantenni il mio proposito e cioè quello di voler una
semplice convivenza e non di celebrare il matrimonio». Poco prima
aveva affermato che «accettai la proposta di matrimonio non
34
Cfr. L. MUSSELLI, L’esclusione del bonum coniugum, 83.
R. BERTOLINO, Gli elementi, 31. Osserva il Burke che «una esclusione positiva del bonum
coniugum sarebbe senz’altro invalidante; ma nella pratica sembrerà coincidere con
l’esclusione di uno dei bona matrimoniali o di tutti i tre» (C. BURKE, L’oggetto del consenso
matrimoniale, 108). In nota lo stesso autore si spinge oltre ad affermare che «non c’è dunque
un diritto al «bonum coniugum»; esiste invece il diritto ad un consenso matrimoniale che
accetta i tre «bona» agostiniani: quelle proprietà essenziali, dalle quali dipende principalmente
la realizzazione del bene dei coniugi». Un’opinione forse eccessivamente categorica, ma che
dimostra la difficoltà del bonum coniugum di affermarsi quale concetto autonomo, nelle
vicende di nullità matrimoniali canoniche.
35
36
Cfr. P. PELLEGRINO, Il bonum coniugum, 821.
13
desiderando però assumere tutte le responsabilità derivanti dal
vincolo coniugale». Rifiuta sia di consentire sia di adempiere,
quindi, seguendo lo schema dello Jemolo, simula totalmente il
proprio connsenso.
La coram Larocca del 4 maggio 1998 riprende la teoria del bonum
coniugum somma di diritti e doveri, unitariamente considerati. Cioè
«tutti quei diritti che gli sposi offrono e accettano scambievolmente
al fine di ottenere l’intima unione e congiunzione di persone e di
opere... quei doveri e obblighi senza dei quali è moralmente
impossibile l’intima unione di persone e opere».
Il bonum coniugum, per il tramite dei diritti e doveri unitariamente
considerati, diviene sinonimo dello ius ad vitae communionem. Ma,
come ha osservato parte autorevole della canonistica, «la
coniugalità (bonum coniugum) e la genitorialità (bonum prolis),
quantunque intese a realizzare la intima comunità di vita e di amore
coniugale, quantunque elementi essenziali e ultimamente
significativi della stessa, non possono confondersi con la comunità
di tutta la vita» 37, vale a dire non può confondersi, per il principio
di non contraddizione che sovrintende all’attività del giurista, la
parte con il tutto.
Stesso discorso vale per una coram Murolo del 17 giugno 1998,
per la quale «l’oggetto, o meglio, il contenuto di tale bene, secondo
quanto emerge dal codice e secondo l’interpretazione
giurisprudenziale» 38, è la communio totius vitae, tutta quella serie di
obbligazioni - diritti che comporta il realizzare autenticamente la
commnunio vitae. Atteso l’aspetto dinamico di questa realtà, la
37
R. BERTOLINO, Matrimonio canonico e bonum coniugum, 48.
E’ chiaro che il riferimento è fatto a quella giurisprudenza rotale che «pretendendo
efficacia immediatamente giuridica per l’insegnamento conciliare», aveva stabilito la
rilevanza giuridica allo ius ad vitae communionem (R. BERTOLINO, Matrimonio canonico e bonum
coniugum, 45-46). Va però rilevato che «lo stesso legislatore... abbandonava nel 1981 la
formulazione originaria della disciplina della simulazione, in cui compariva come capo
autonomo di nullità l’esclusione dello ius ad vitae communionem» (E. MONTAGNA, Considerazioni
in tema di bonum coniugum, 695), proprio per la difficoltà di dare a questo contenuto autonomo
in particolare in relazione al matrimonium ipsum.
38
14
communio vitae va presa in considerazione, dal punto di vista giuridico, come
ius ad vitae communionem.
Vi è però un importante riferimento al bonum coniugum, che quale
«oggetto ed effetto delle relazioni interpersonali, è il bene di tutta la
persona, bene cioè spirituale, morale, sociale, intellettuale e fisico»,
che è testimonianza dell’importanza notevole che questo nuovo
fine del matrimonio canonico ha per l’ecclesiologia del
matrimonio: il messaggio della Chiesa alla società contemporanea.
Nella coram Murolo del 24 giugno 1998, torna il rapporto tra
bonum coniugum, amore coniugale e communio vitae. Pertanto, si rinvia
a quanto già detto nell’analisi delle altre decisioni.
Varie sono state le decisioni che hanno affermato il legame
inscindibile tra il bonum coniugum e l’ecclesiologia del Concilio
Vaticano II (coram Salvo del 21 dicembre 2000; coram Larocca del
17 novembre 2001; coram Di Leo del 3 luglio 2002), così come in
alcune altre si coglie il tenativo di rileggere in chiave post conciliare
i fini secondari del precedente codice piano – benedettino del
1917(coram Magnocavallo 16 maggio 2000). In una coram Pica del
9 dicembre del 2002 si legge, infatti, che «l’esclusione del bonum
coniugum può essere visto come rifiuto della comparte quale coniuge
ed unicamente considerato, ad esempio, alla stregua di un socio
nell’amministrazione della casa, senza alcuna intenzione di
instaurare e condurre con lui una vita coniugale».
In una coram Murolo del 26 giugno 2002, si torna ad una
visione ampia ed omnicomprensiva del bonum coniugum. Che, se da
un lato corre il pericolo di non giungere ad un concetto
giuridicamente e processualmente determinato, dall’altro coglie la
straordinaria importanza “fisiologica” del bene dei coniugi. Infatti,
citando le parole di Giovanni Paolo II, il Giudice afferma che è
«attraverso l’impegno, lo sforzo, il sacrificio, specialmente se fatto
per amore degli altri, che le persone massimamente crescono e
maturano. In questo modo ognuno esce fuori dal proprio io e si
innalza sopra se stesso. Lealtà all’impegno della vita coniugale,
essere reciprocamente fedeli, perseverare in questa fedeltà fino alla
morte, ed avere ed educare i figli contribuiscono più di ogni altra
15
cosa al vero bene dei coniugi». Tutti gli elementi essenziali del
matrimonio riferiti al bene della persona. I bona agostiniani riportati
ad una visione che non li considera più solo diritti oggetto di
scambio tra i nubendi all’atto dell’espressione del consenso, ma
finalisticamente orientati ad una concezione del matrimonio inteso
come unione delle persone, per le persone.
In una decisione coram Dotti del 22 aprile 2004 39si coglie il
tentativo di ricostruire il bonum coniugum in chiave più tecnico –
giuridica, attraverso il riferimento alla negazione alla controparte
dei diritti innati della persona umana (ad es. la libertà), nonché la
negazione della stessa dignità di coniuge. Scrive il Giudice che «con
l’esclusione del bene reciproco dei coniugi si mette in gioco non
solo il contenuto del legame coniugale, ma il fatto stesso del voler
edificare qualcosa di comune».
Ciò che appare interessante sottolineare è che mai il bonum
coniugum, come ipotesi di simulazione parziale del consenso
matrimoniale, viene concordato come capo esclusivo di nullità;
quasi sempre le sentenze respingono il capo di nullità relativo
all’esclusione del bene dei coniugi, ed in molti casi esso viene
riassorbito in altre ipotesi di simulazione del consenso
matrimoniale.
La maggior parte delle decisioni si dilunga nella descrizione della
fisiologia del nuovo diritto matrimoniale canonico, del diritto
“matrimoniale personalista”. Quando però entrano nel vivo della
causa di nullità rivelano la difficoltà di differenziare l’esclusione del
bonum coniugum, dell’ordinatio ad bonum coniugum dalle ipotesi di
simulazione relativa agli altri elementi essenziali del matrimonio o
alla simulazione totale. Emerge la difficoltà in concreto di
ricostruire i comportamenti che possano estrinsecarsi in ipotesi di
simulazione del consenso relativamente al bene dei coniugi.
Emblematiche sul punto sono una coram Neri del 9 marzo 2005
ed una coram Caricato del 15 marzo 2005. Nella prima sentenza si
legge che “la base del rapporto matrimoniale è data dalla completa
39
La sentenza è pubblicata sulla rivista Diritto e Religioni, 2006, 1-2, 531-548.
16
unione della loro vita spirituale, intellettuale, sentimentale,
economica, fisica, sociale”, cioè dal matrimonio inteso in senso
globalmente esistenziale, come unione tra le persone, che investe la
totalità della loro esistenza. Il bene dei coniugi, in tal senso, non
sarebbe “un quarto bene che va ad aggiungersi ai tria bona
agostiniani ma piuttosto il fine istituzionale del matrimonio …
inteso nella visione personalista è l’esaltazione alla integrazione
psico sessuale”.
Escluderebbe il bonum coniugum chi si sposa nell’intento di
vendicarsi del coniuge o della sua famiglia o, ancora con l’intento
di coartare le altrui scelte, negando un qualche aspetto della dignità
umana, come la libertà fisica, religiosa, morale. Ancora, chi esclude
il suo impegno per il benessere e perfezionamento dell’altro. Il
riferimento qui è ad un contributo del giudice rotale Cormac
Burke 40, il quale però, è noto, ha una posizione di contrarietà
rispetto all’autonomia del bonum coniugum come capo di nullità
matrimoniale, in relazione ad altre ipotesi di simulazione del
consenso matrimoniale.
Lo stretto legame tra bonum coniugum ed interpretazione
personalista è colto da una coram Magnocavallo dell’11 maggio
2005: “L’interpretazione personalista dell’istituto matrimoniale è
avvenuto grazie al dibattito del Concilio Vaticano II. Il Concilio
infatti ha interpretato con parole nuove una realtà antica. Infatti, il
matrimonio, come una comunione di vita e di amore, era descritto
già dal famoso canonista Ugo da San Vittore. Egli sosteneva che il
matrimonio è un patto avente come finalità immediata la creazione
di una indivisibile comunità di vita tra i coniugi, da cui derivava
come conseguenza naturale anche il consenso dell’atto generativo.
Più vicino a noi, nel 1934, il teologo morale Prummer prendendo
le mosse dalla riflessione sul significato della unione carnale dei
coniugi, giunge ad affermare che il fine principale della vita
coniugale e dell’atto sessuale degli sposi è il bonum spirituale. Poco
40
C. BURKE, Il <<bonum coniugum>> e il <<bonum prolis>>: fini o proprietà del matrimonio?, in
Apollinaris, 1990, 564-565.
17
dopo il dibattito si arricchisce grazie all’apporto del Doms secondo
cui il matrimonio è ordinato anzitutto all’unione degli sposi in una
relazione specifica attraverso la quale soltanto essi possono
raggiungere lo sviluppo completo e l’attuazione della potenzialità
che è in loro. Tale relazione trova la sua origine nella sfera
spirituale, non ha il suo perfezionamento nell’atto sessuale”. Una
corposa parte dottrinale, cui però segue un’elencazione di
dimensioni cui si sostanzierebbe l’esclusione del bonum coniugum,
che non è lontana da ipotesi di simulazione totale del consenso
matrimoniale: 1) crescere insieme nella comunione di vita; 2) aiuto
reciproco; 3) amore coniugale, spirito, affettività e corporeità,
amore donativo.
Sul piano più strettamente dogmatico molto interessante appare
una coram Pica del 6 luglio 2005. In essa pare emergere una
concezione che conduca a rileggere il matrimonio ed i suoi
elementi e proprietà essenziali in ottica nuova, si direbbe con
spirito rinnovato: “da alcuni si ritiene che anche l’indissolubilità del
matrimonio, in quanto è un diritto – dovere quae pertinet ad
consortium totius vitae, sia da annoverare nel complesso dei diritti e
doveri che costituiscono il bonum coniugum. E non senza ragione, se
il Concilio Vaticano II descrive l’amore coniugale come
Indissolubiliter fidelis (Gaudium et spes, n. 48), unendo l’indissolubilità
alla fedeltà. Sicché, la proprietà essenziale dell’indissolubilità, intesa
come diritto – dovere dei coniugi, la cui esclusione provoca già di
per se la nullità del consenso, si verrebbe ad assorbire nel bonum
coniugum … Quest’ultimo, infatti, alla luce del Magistero conciliare
che va al di la dello schema concettuale agostiniano (cfr. Gaudium et
Spes, n. 48) … è costituito dal complesso dei diritti e doveri
indivisibili e tutti essenziali, comprendente innanzitutto quello della
comunione di vita … Non si tratta di comunione di mensa, di letto
e di abitazione … quanto invece di quella intima relazione
interpersonale propria del coniugio … sul progetto di volere e fare
il bene della persona amata … Tale diritto – dovere è cosa ben
diversa dal ius in corpus e dal remedium concupiscentiae … Fa ancora
parte del bonum coniugum il diritto – dovere della fedeltà coniugale”.
18
Coglie, questa decisione, l’esigenza, fortemente avvertita dal
Concilio Vaticano II, di emanciparsi da una visione del matrimonio
sessual corporalista, ma non riesce ad andare a nostro parere sino
in fondo a queste considerazioni: liberare il bonum coniugum dal
vincolo della teoria contrattualista. Tornare cioè ad una visione
oggettivista del matrimonio, pur abbandonando la centralità della
sessualità, del rimedio alla sessualità come peccato.
La difficoltà di svincolare l’esclusione del bonum coniugum
dall’ipotesi di esclusione del matrimonium ipsum è comune a molte
decisioni (coram Salvo, 2 luglio 2007; coram Di Leo, 2 luglio 2007;
coram Oliva, 10 maggio 2007; coram De Punzio, 13 settembre 2006).
In una coram Salvo del 19 dicembre 2005, nella quale l’esclusione
relativa al bonum coniugum era stata concordata unitamente alla
simulazione totale, si legge espressamente che “il presente capo di
nullità presenta diversi aspetti ancora non chiariti e si sente in
questo campo la lacuna di un chiaro indirizzo giurisprudenziale …
Alcune delle annotazioni fatte per i precedenti capi di nullità
valgono anche per questo”.
Molte si rifanno al concetto di comunione di vita e di consorzio
di tutta la vita (coram Lia, 16 dicembre 2005). In una coram
Giampetruzzi del 5 marzo 2008, vi è il riferimento ad una nuova
antropologia posta in luce nel Vaticano II, dalla quale si trae
l’accentuazione degli elementi soggettivi del matrimonio. Da ciò, il
bonum coniugum da mero prerequisito è divenuto vero e proprio
principio formale, come tale riportato al can. 1101 par. 2.
Formalmente, dunque, l’esclusione del bonum coniugum diviene
esclusione di un elemento essenziale o di una proprietà essenziale
del matrimonio. Quando, però, la decisione giunge a delineare in
concreto l’esclusione, calandola nel “fatto”, giunge anch’essa alle
considerazioni di Cormac Burke, per le quali si rinvia a quanto già
detto in precedenza.
5. Conclusioni.
19
Pur potendo apparire contraddittorio, siamo persuasi del fatto
che l’angolo visuale delle ipotesi di simulazione del consenso
matrimoniale possa rivelarsi utile a cogliere la reale portata
innovativa del bonum coniugum. Infatti, la difficoltà di ricostruirne le
dimensioni attraverso la prospettiva delle patologie matrimoniali
consente di svelarne la sua vera essenza: il superamento della
concezione del matrimonio, così come emergeva nel can. 1082 del
codice del 1917, utile a liberare la concezione del matrimonio dalla
dimensione sessuale, orientato all’esclusiva finalità procreativa.
Dall’esame di questa breve rassegna giurisprudenziale emerge,
infatti, la natura essenzialmente fisiologica del bonum coniugum, fine
del matrimonio postconciliare. Il matrimonio delle persone, per le
persone, non soltanto i coniugi, ma anche i figli, la qual cosa rende
in ottica nuova anche il bonum prolis. Il matrimonio diviene istituto
creatore della Chiesa domestica, nella quale vivono e si formano i
cristiani, che, con la loro opera, vivificano l’intera comunità
ecclesiale 41. La famiglia, luogo di maturazione della persona, perché
si possa affermare, con le parole del Concilio, che «il bene della
persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso
con una felice situazione della comunità coniugale e familiare»
(Gaudium et Spes, n. 47). Il matrimonio, in quest’ottica, diviene
«realtà terrena inserita nella salvezza», nel quale «l’amore costituisce
l’anima della comunità coniugale» 42.
Sul rapporto inscindibile tra matrimonio e famiglia nel diritto canonico, cfr. P.V. PINTO, Il
matrimonio come fondamento dell’istituzione familiare dall’osservatorio della giurisprudenza rotale, in
Giornate canonistiche baresi, Atti IV, a cura di R. COPPOLA, Bari 2007, 41-64. Per
un’interessante e suggestiva disamina sull’esistenza di un vero e proprio bonum familiare, cfr.,
J. M. SERRANO RUIZ, Il “bonum familiare” nelle cause canoniche di nullità di matrimonio: incapacità ed
esclusione, 65-82. Dello stesso autore, cfr. Il bonum familiare nella struttura essenziale del
matrimonio. Relazione tenuta all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario del Tribunale
Interdiocesano Salernitano – Lucano, Salerno, 10 febbraio 2001, 2.
41
42
E. SCHILLEBEECKX, Il matrimonio. Realtà terrena e mistero di salvezza, Edizioni Paoline, Roma
1968, I, 438. Come è stato detto, questa “ordinazione ed integrazione significa che una
dimensione del bene coniugale, come finalità del matrimonio, consiste nella progressiva
maturazione congiunta dell’amore coniugale, dalla concupiscenza alla benevolenza
attraverso tutta la vita matrimoniale … fare del matrimonio un percorso di maturazione
fisica, psichica e spirituale della persone” (P. J. VILLADRICH, Il consenso matrimoniale,
Milano, 2001, 378-379.
20
La rottura con la concezione dello ius in corpus della tradizione
iuscorporalista e la rilettura di tutti gli elementi tradizionali in ottica
inter ed intrapersonale, apre la via, infatti, ad “una lettura più
costituzionalista della nozione di persona, non privatistica
soltanto” 43
43
R. BERTOLINO, Matrimonio canonico e bonum coniugum, 81.
21