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XXVIII CONFERENZA ITALIANA DI SCENZE REGIONALI
MERCATO, CONCORRENZA E GOVERNANCE NELLE IMPRESE PUBBLICHE CHE
GESTISCONO SERVIZI LOCALI.
Cristina Bargero, Graziella Fornengo1
1 Dipartimento di Economia, Università degli Studi di Torino, via Po 53, 10124 Torino
Sommario
Il seguente paper vuole essere un contributo al dibattito, ormai in corso da un decennio nel
nostro Paese, sulle problematiche economiche e giuridiche, relative, in particolare alla
concorrenza, ma anche alla corporate governance, connesse alle imprese pubbliche che
gestiscono servizi locali. Un nodo particolarmente problematico deriva dal fatto che le
imprese pubbliche spesso non solo svolgono servizi di pubblica utilità, che hanno cioè per
oggetto la produzione di beni e servizi e attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere
lo sviluppo economico e civile delle comunità locali, ma sono vere e proprie mulitiliutilities,
che attraverso le numerose partecipate svolgono attività che vanno dalla gestione ordinaria e
straordinaria di impianti elettrici e termici, alla manutenzione ordinaria e straordinaria di
edifici, alla posa di cavi in fibra ottica, alle farmacie comunali. Tale dibattito è reso ancora più
attuale dagli interventi legislativi del Parlamento italiano, recentemente approvati o in corso
d’approvazione.
1. Premessa
I servizi pubblici locali si pongono in un quadro complesso di governance in cui
si affiancano diversi livelli di intervento, da quello comunitario a quello nazionale
fino al livello regionale e degli Enti locali. Le modalità di gestione e di organizzazione
dei servizi pubblici locali subiscono quindi i condizionamenti derivanti dalla normativa
ai diversi livelli di governo. Anche per queste ragioni, l’obiettivo della liberalizzazione
dell’offerta dei servizi pubblici allo scopo di aumentarne l’efficienza si arena ormai in Italia
da oltre un decennio nel dibattito politico, mentre negli altri paesi europei e dell’OCSE
procede a ritmi assai più spediti.
Nel corso degli ultimi due decenni, si è iniziato a favorirne la privatizzazione con la legge n.
142 del 1990, anche se la disciplina è stata più volte cambiata. Le privatizzazioni sono state
per lo più formali (semplici adozioni della struttura giuridica della società per azioni, che ha,
peraltro, avuto quanto meno l'effetto di rendere più trasparenti i risultati di gestione di imprese
sottoposte alla disciplina contabile privatistica); più raramente si sono avute nel campo dei
servizi pubblici delle privatizzazioni sostanziali (cessioni a privati di partecipazioni – di
controllo o meno – delle imprese di proprietà pubblica).
Si è comunque in tal modo evidenziato che si tratta pur sempre di attività di impresa che si
svolgono in un contesto di mercato fornendo servizi che rappresentano quote importanti dei
bilanci delle famiglie oltre che input necessari in molti settori manifatturieri del mercato
devono, quindi, rispettare le regole e, in primo luogo, quelle di concorrenza , anche se le
esigenze di tutela della concorrenza si manifestano particolarmente quando l’attività svolta
non presenta i connotati del servizio pubblico puro.
La proprietà pubblica pone, inoltre, un problema di governance – vale a dire di rapporto fra la
proprietà e la gestione – che diventa particolarmente acuto quando si tratta società miste (in
cui l’ente pubblico non ha il controllo totalitario) tanto più se organizzate in gruppi
(multiutilities) o quotate nei mercati regolamentati.
In questo lavoro ci proponiamo di analizzare alcune implicazioni economiche della
privatizzazione delle attività di gestione dei servizi pubblici locali, per verificare se i recenti
provvedimenti legislativi (compresi quelli oggi in discussione in Parlamento) forniscono
indirizzi utili a chiarire i problemi citati.
Nel paragrafo 2 esamineremo l’insieme delle attività economiche svolte, che non sempre
presentano i caratteri del servizio pubblico, ma talora sono semplicemente manifestazioni di
produzione pubblica di beni o servizi di mercato (farmacie, centrali del latte ad esempio) e
producono quindi reazioni dei produttori privati sul mercato, (come è accaduto nel caso
dell’informatica che richiamiamo) e richieste di intervento di tutela d a parte dell’Autorità di
Garanzia della Concorrenza sul Mercato.
Nel paragrafo 3 porremo l’attenzione sulle implicazioni che l’affidamento dei servizi implica
in materia di concorrenza.
Ci soffermeremo, nel paragrafo 4, sulle caratteristiche della proprietà delle imprese che
producono servizi pubblici locali, le quali possono essere controllate da un ente unico (e
pongono in tal caso al diritto societario il problema dell’azionista unico, solo di recente risolto
dalla nuova legislazione sulle società per azioni) ma anche da più enti pubblici (o da consorzi
di essi) o da imprese holding- pubbliche o meno – quando sono organizzate in gruppi, o
ancora essere società miste (a proprietà pubblica e privata con differenti poteri di controllo),
richiamando le difficoltà di trovare meccanismi di corporate governance adeguati.
Intendiamo in tal modo argomentare che gli interventi legislativi attuati (decreto Bersani I poi
convertito nella legge 248/06) e in corso (disegno di legge Lanzillotta) non sono certo
sufficienti ad affrontare i problemi trattati.
2. Le attività
Non esiste una nozione generale di servizio pubblico, quando ci si allontana dai tradizionali
caratteri di non escludibilità e non rivalità tipici del servizio pubblico puro e si affrontano
invece i servizi misti (talora escludibili ma non rivali, talora rivali ma non escludibili) che
costituiscono l’attività prevalente degli Enti locali. La tradizionale definizione e anche l’uso
di questo termine –che deriva dal diritto amministrativo – sempre più si contrappongono alla
nozione di public utilities dei paesi anglosassoni, dove il servizio è inteso come servizio di
interesse generale, non fa riferimento al soggetto che lo fornisce, ma assicura che sia un
servizio universale attraverso l’azione di regolamentazione di autorità indipendenti.
I servizi pubblici sono storicamente individuati da una serie di elementi specifici:
- la produzione da parte di un soggetto pubblico (ente o azienda) o quanto meno da parte
pubblica l’esercizio di un potere di programmazione e controllo;
- l’esercizio in regime di monopolio, che spesso è un monopolio naturale per la presenza di un
unica infrastruttura fisica che consente l’erogazione del servizio (la rete);
- l’esistenza di un pubblico interesse, cioè di un interesse diffuso nella collettività al
soddisfacimento di un particolare bisogno cui il mercato non era in grado di provvedere.
Subentrano inoltre valutazioni di natura politica, sociale ed economica relativamente
all’interesse della collettività nei confronti dell’erogazione di determinate prestazioni.
Nel rapporto con i destinatari del servizio (la collettività) si usa distinguere:
- servizi o beni pubblici collettivi non escludibili e non divisibili;
- servizi pubblici a uso individuale la cui disponibilità viene ritenuta di interesse generale per
la comunità e pertanto e tutelata da regole diverse da quelle di mercato:
Fra questi ultimi poi si può distinguere fra servizi reali, legati alla presenza di
un’infrastruttura nel territorio, (cioè alla rete) o personali (a punto) come quasi tutti i servizi
sociali (istruzione, sanità ecc.
Il ruolo della collettività come stakeholder è svolto dall’ente pubblico e può andare dalla
fornitura diretto del servizio in regime di monopolio legale –come per lo più tuttora accade
per la maggior parte dei servizi locali –fino alla semplice regolamentazione del mercato
attraverso autorità indipendenti, quando la produzione è affidata al mercato in regimi che
raramente sono concorrenziali, ma che, anche quando lo sono, potrebbero non soddisfare
l’interesse pubblico per il servizio:
-per la presenza di esternalità, per cui il prezzo non corrisponde al costo per la collettività;
-per le asimmetrie informative, per cui il consumatore non è in grado di valutare la qualità;
-per l’incapacità di assicurare continuità e disponibilità del servizio (trasporto).
L’Unione Europea, nello sforzo di regolamentare attività cosi diverse e cercare di fare
chiarezza, ha presentato il 21.5.2003 il Libro verde sui servizi di interesse generale
(Commissione Europea, 2003).Vi si ricorda anzitutto che negli Stati membri per i servizi in
questione si usano termini e definizioni diverse, che determinano qualche confusione sul
piano semantico.
L’Unione ricorda anzitutto il che Trattato di Amsterdam riconosce la collocazione dei servizi
di interesse economico generale fra i valori condivisi dall’unione poiché all’art.16 così recita:
“fatti salvi gli articoli 73,86 e 87, in considerazione dell’importanza dei servizi di interesse
economico generale nell’ambito dei valori comuni dell’Unione, nonché del loro ruolo nella
promozione della coesione sociale e territoriale, la Comunità e gli stati membri, secondo le
loro rispettive competenze e nell’ambito del campo di applicazione del presente trattato
provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni che consentano
loro di assolvere il loro compito”.
Inoltre la carta dei diritti fondamentali all’art.36 stabilisce che “ al fine di promuovere la
coesione sociale e territoriale dell’Unione, questa riconosce e rispetta l’accesso ai servizi di
interesse economico generale quale previsto dalle legislazioni e prassi nazionali,
conformemente al trattato che istituisce la Comunità europea”.
L’espressione servizi di interesse economico generale è utilizzata anche nell’art 86 par. 2 del
Trattato che recita:
“ le imprese incaricate della gestione dei servizi di interesse economico generale sono
sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei
limiti in cui l’applicazione delle norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e, di fatto,
della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso
da misure contrarie agli interessi della Comunità”.
Come si vede, si tratta sempre di riferimenti a “servizi di interesse economico generale”e
riguarda servizi di natura economica che, in virtù di un criterio di interesse generale, gli Stati
membri o l’Unione assoggettano a particolari obblighi di servizio pubblico, quali in genere
quelli forniti dalle grandi industrie di rete come i trasporti, l’energia, la comunicazione e i
servizi postali, mentre la dizione “servizi di interesse generale”, che è più ampia e non
compare nei trattati, riguarda servizi sia di mercato che non di mercato.
Queste espressioni non devono essere confuse con il termine “servizio pubblico”, che può
avere significati diversi riferendosi o a servizi offerti alla collettività, o al fatto che un servizio
sia stato attribuito uno specifico interesse pubblico o ancora che sia fornito da un’impresa o
da un’autorità pubblica. Più chiara l’espressione“obblighi di servizio pubblico”, che si
riferisce a requisiti specifici imposti dalle autorità pubbliche al fornitore del servizio e anche
“impresa pubblica”, che definisce la proprietà di chi il servizio offre ed è irrilevante rispetto
al diritto comunitario poiché il trattato impone gli stessi diritti ed obblighi indipendentemente
dalla proprietà a tutte le imprese, ivi comprese quelle che forniscono un servizio di interesse
generale.
L’Unione Europea esclude che sia possibile pervenire a una comune definizione di servizi di
interesse generale, ma tratteggia sulla base della vigente normativa comunitaria gli elementi
che potrebbero condurre almeno a una definizione comune di servizi di interesse economico
generale.
E’ opportuno ricordare questa serie comune di obblighi che si applicano a tutti i servizi.
1. Servizio universale: stabilisce il diritto di ogni cittadino di accedere a taluni servizi
considerati essenziali a prescindere dalla sua localizzazione geografica e a un prezzo
accessibile e impone di conseguenza alle imprese di fornire un servizio definito a condizioni
specificate, che includono tra l’altro la copertura territoriale totale. Interessa in particolare per
industrie di rete quali l’energia, le telecomunicazioni, le poste, i trasporti.
2.Continuità: il prestatore del servizio è tenuto a garantirlo senza interruzioni,
compatibilmente con il diritto di sciopero dei lavoratori e il rispetto delle norme di legge.
3.Qualità: la definizione, il monitoraggio e l’applicazione di requisiti di qualità da parte delle
autorità pubbliche sono un requisito fondamentale della regolamentazione.
4.Accessibilità delle tariffe: impone che un servizio di interesse economico generale sia
offerto a un prezzo abbordabile per renderlo accessibile a tutti. Il prezzo accessibile deve
essere determinato dall’autorità pubblica competente con riferimenti particolari al reddito
disponibile di particolari categorie di utenti e alla tutela delle esigenze di soggetti deboli o
emarginati. L’autorità pubblica deve poi assicurarsi che il prezzo sia effettivamente offerto ed
eventualmente sussidiare i più deboli.
5.Tutela degli utenti e dei consumatori: dovrebbero essere assicurati, oltre alla buona qualità
del servizio, elevati livelli di protezione sanitaria e di sicurezza fisica, trasparenza (sulle
tariffe, sui contratti, sulla scelta e il finanziamento dei fornitori) e inoltre l’effettiva
concorrenza tra fornitori, l’esistenza di organismi di regolazione, la disponibilità di
meccanismi di ricorso, la rappresentanza e la partecipazione attiva di consumatori e utenti alla
definizione e alla valutazione dei servizi.
Livello e dinamica delle tariffe e qualità delle prestazioni determinano infatti il grado con cui i
servizi pubblici diffondono esternalità positive nell’area, incidendo sul benessere delle
famiglie e sulla competitività delle imprese.
Tutti i soggetti gestori di servizi di pubblica utilità locali (di differente forma societaria ed
assetto istituzionale) che operano nei settori a rilevanza industriale - acqua, gas, energia
elettrica, igiene ambientale, trasporti locali - e nei servizi sociali e alla persona - sanità,
farmacie, cultura, edilizia residenziale pubblica- sono per lo più aderenti al sistema
Confservizi, che annovera nel 2006 (Confservizi, 2006) ben 1691 associati, di cui circa la
metà (874) sono costituiti in forma di società di capitali (Graf.1).
Grafico 1 Distribuzione associati Confservizi per settore
Fonte Annuario Confservizi 2006
La distribuzione degli associati per settore mostra la varietà delle attività che da queste
imprese vengono svolte, e che non sempre hanno le caratteristiche di servizi di pubblica
utilità. Ma non coglie i diffusi processi di mutamento organizzativo e industriale che si sono
succeduti con grande frequenza negli ultimi anni nelle imprese di servizio pubblico locale e
hanno riguardato sia la trasformazione istituzionale, con l’affermazione delle società di
capitale, sia le aggregazioni e fusioni tra imprese in seguito a cui sono state costituite aziende
operanti su scala multiutility e su aree territoriali vaste (Gilardoni-Lorenzoni, 2003).
E’ così venuto meno il tradizionale rapporto prevalentemente “biunivoco” tra aziende ed enti
locali; è anche venuta meno la coincidenza tra l’ubicazione delle aziende e i bacini territoriali
di erogazione dei servizi; infine in seguito agli accordi imprenditoriali ed industriali, le
aziende detengono quote di partecipazione di altre società operanti nello stesso o in altri
settori. Risulta difficile, senza un’apposita ricerca, identificare all’interno di questa vasta
gamma di partecipate quelle che sono costituite “ per la produzione di beni e servizi
strumentali all’attività degli enti locali o per lo svolgimento esternalizzato di funzioni
amministrative di loro competenza” da quelle che effettivamente svolgono servizi di pubblica
utilità, che hanno cioè per oggetto la produzione di beni e servizi e attività rivolte a realizzare
fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali ai sensi
dell’art.112 del TUEL.
Basta peraltro riferirsi alle multiutilies quotate per rendersi conto che esse non operano solo
nel campo dei servizi pubblici (igiene ambientale, servizio idrico integrato, gas, energia
elettrica) ma svolgono anche attraverso le loro numerose partecipate attività che vanno dalla
gestione ordinaria e straordinaria di impianti elettrici e termici, alla manutenzione ordinaria e
straordinaria di edifici, alla posa di cavi in fibra ottica, ecc (Tabella 1).
E se si guarda alle imprese controllate dai principali comuni italiani analizzate dal servizio
studi Mediobanca per conto della Fondazione Civicum (Civicum2006) si osserva ugualmente
come soli 6 comuni (Milano, Roma, Napoli, Bologna, Brescia, Torino) operano nei servizi
pubblici attraverso 33 società, le quali però a loro volta agiscono attraverso una rete di ben
125 aziende.
Tabella 1 Ambiti di attività delle multiutilities
Attività svolte
ACEA
IRIDE
ACSM
AEM Mi
HERA
ACEGAS APS
ASM
Produzione energia elettrica
X
X
X
X
X
X
X
Acquisto energia elettrica
Distribuzione
X
X
X
(Trasmissione energia
elettrica)
X
X
X
X
X
Trasformazione energia elettrica
X
X
Vendita energia elettrica
X
X
Trading energia elettrica
X
X
Distribuzione e trattamento acque
Ciclo idrico integrato
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Produzione gas
X
X
Trasporto gas
X
X
Manipolazione gas
X
X
Acquisto (importazione) gas
X
Distribuzione gas
X
Trading gas
X
Vendita gas
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Raccolta rifiuti
X
Recupero rifiuti
X
X
Termovalorizzazione
X
X
Smaltimento dei rifiuti
X
X
X
X
Spazzamento
X
X
X
X
X
X
Riciclaggio industriale
Teleriscaldamento
X
X
X
X
X
X
X
Gestione calore
X
X
X
X
X
X
Cogenerazione
X
X
X
X
Illuminazione pubblica
X
Impianti semaforici
X
X
X
X
X
X
Servizi cimiteriali e funerari
X
Relining
X
Telecomunicazioni (fibra ottica)
Call center, Customer services
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Fonte Confservizi-Nomisma 2007
3. La concorrenza
La fornitura dei servizi di base è una responsabilità primaria delle autorità pubbliche con il
contributo eventuale offerto dalle forze di mercato e può assumere forme diverse in relazione
a fattori tecnologici, economici e sociali. In Europa tali servizi sono stati tradizionalmente
offerti dalle stesse autorità pubbliche, ma sempre più essi vengono affidati a imprese
pubbliche o private, o a partenariati pubblico-privati, limitando il ruolo delle autorità alla
definizione degli obiettivi pubblici, al monitoraggio, alla regolamentazione e all’eventuale
finanziamento. Questa evoluzione dalle prestazioni in proprio alle prestazioni tramite soggetti
distinti ha certamente reso più trasparenti le modalità con cui questi servizi sono organizzati e
finanziati, ma ha messo anche in evidenza le difficoltà del passaggio.
L’intervento pubblico nei servizi di pubblica utilità era tradizionalmente giustificato dalla
presenza di monopoli naturali, in cui, grazie alle economie di scala una sola impresa può
produrre a costi minori di più imprese, ma tende a massimizzare il proprio profitto e non il
benessere sociale (misurato dalla vendita a un prezzo pari al costo marginale). L’intervento
pubblico si manifestava attraverso la fornitura diretta del servizio e attraverso la regolazione
di prezzo (fissazione delle tariffe) per tentare di avvicinare quantità e prezzi al livello
ottimale. Ovviamente, imponendo un prezzo pari al costo marginale (inferiore a quello medio)
non si coprivano i costi fissi e, per evitare perdite alle imprese, si interveniva con sussidi.
Si è però riconosciuto negli ultimi decenni che la condizione del monopolio naturale non è
tanto la presenza di economie di scala, quanto piuttosto la subadditività dei costi (i costi
sopportati da una sola impresa per produrre una data quantità di output sono inferiori a quelli
che sosterrebbero due o più imprese ripartendosi in qualsiasi modo la quantità da produrre). E,
mentre nel caso di imprese monoprodotto le economie di scala implicano subadditività dei
costi, non è vero il contrario, per cui non è più possibile far discendere le condizioni di
monopolio naturale dalla presenza di economie di scala.
Si è anche scoperto che è possibile raggiungere l’efficienza anche in assenza di concorrenza
dentro il mercato, purché si abbia concorrenza potenziale o per il mercato (alla Demsetz):
l’intervento pubblico è allora rivolto a creare condizioni di libertà di entrata. Si riconosce
infatti che anche in presenza di una sola impresa il mercato può ottenere una soluzione
efficiente (prezzo uguale al costo medio, cioè un second best) se il mercato è contendibile,
cioè se esiste perfetta libertà di entrata e uscita dal mercato. L’impresa esistente sarebbe in
questo caso sottoposta alla concorrenza potenziale delle imprese esterne – pronte a entrare nel
settore se vi si conseguono profitti – e sarebbe pertanto spinta a non realizzarli praticando un
prezzo superiore al costo medio.
Affinché vi sia contendibilità, è però necessario che non vi siano costi irrecuperabili, dovuti a
investimenti che l’impresa non riesce a riutilizzare una volta uscita da quel mercato e che
renderebbero poco attraente l’entrata. Ma non necessariamente la contendibilità, che permette
di raggiungere una soluzione efficiente, assicura che la configurazione industriale che ne
deriva sia stabile, cioè sostenibile, vale a dire che nessuna impresa trovi conveniente entrare
in quel mercato a un prezzo inferiore a quello che lì si pratica.
Le condizioni di contendibilità e sostenibilità sono però difficili da realizzare, perché è
difficile che non ci siano costi irrecuperabili. Tuttavia, il riconoscimento di questa possibilità
ha spinto l’intervento pubblico sempre più lontano dalla proprietà di imprese nei settori
tradizionalmente identificati come monopoli naturali e sempre più diretto non solo alla
regolamentazione del prezzo, ma soprattutto alla creazione di condizioni di libertà di entrata
che consentano di esplicarsi, se non alla concorrenza effettiva, quanto meno a quella
potenziale.
Tuttavia, anche le aste per i diritti di entrata si sono mostrare difficili da realizzare e non
sempre hanno garantito i risultati di efficienza teoricamente attesi.
L’Unione Europea, nell’ambito dei servizi di interesse generale, sottopone i servizi ad
interesse economico alle norme del Trattato di Amsterdam sulla concorrenza, la cui
applicazione può subire deroghe giustificate dalle finalità del servizio.
Nell’introdurre la concorrenza a livello di settore, l’Unione ha voluto però garantire la
continuità dei servizi e consentire agli operatori interessati di adattarsi a condizioni di mercato
in evoluzione.
La legislazione comunitaria non si è limitata alla semplice introduzione della concorrenza, ma
ha anche accompagnato la liberalizzazione a garanzie sugli standard qualitativi dei servizi,
applicando tre principi fondamentali:
- quello di neutralità circa la proprietà pubblica o privata delle imprese (art. 295 del Trattato),
secondo cui, indipendentemente dal fatto che la proprietà delle medesime sia pubblica o
privata, tali imprese godono degli stessi diritti e soprattutto hanno gli stessi doveri;
- quello secondo cui gli Stati membri hanno la libertà di definire i servizi di interesse generale
e il loro funzionamento, disponendo di un ampio margine di manovra per l’elaborazione delle
politiche nazionali riguardanti i settori non specificamente disciplinati dalla normativa
comunitaria;
- il principio di proporzionalità, che dispone che le restrizioni alla concorrenza e le limitazioni
apportate agli scambi non devono eccedere quanto necessario per il buon svolgimento della
missione di servizio pubblico.
Gli Stati membri sono liberi di decidere le modalità con cui il servizio deve essere fornito e
possono anche stabilire di fornirlo essi stessi, direttamente o indirettamente attraverso altri
enti pubblici; qualora decidano di incaricare un terzo della fornitura del servizio, devono
attenersi ai principi procedurali e alle norme comunitarie che regolano la selezione del
fornitore.
E’ lasciata alle autorità pubbliche competenti ai vari livelli (in base al principio di
sussidiarietà possono essere locali, nazionali o comunitarie) il compito di definire ciò che
considerano servizio di interesse generale, l’imposizione di obblighi ai fornitori dei servizi
decidere se fornire direttamente quei servizi attraverso la propria amministrazione oppure
affidarli a terzi (pubblici o privati), che sono in ogni caso imprese e quindi soggette alle
norme sulla concorrenza.
A tutela della concorrenza vigila sul mercato nazionale l’Autorità Garante della Concorrenza
sul Mercato, i cui interventi nell’ambito dei servizi pubblici sono sempre più numerosi e
spesso sostenuti da apposite indagini conoscitive 1.
Un caso emblematico è quello delle società ICT possedute o controllate dalle
Amministrazioni Regionali e/ o locali italiane, che sono state oggetto di una polemica da parte
dei rappresentanti delle imprese private che operano nel settore, i quali sottolineano il ricorso
agli affidamenti in-house alle imprese pubbliche come fattore di disturbo della concorrenza,
specie quando tali società partecipano con successo a gare indette da amministrazioni locali
diverse da quelle proprietarie. Questo rilievo riguarda l’intero comparto pubblico dell’ICT,
comprendendo quindi anche società o consorzi posseduti o controllati da enti locali (Province,
Comuni) o dalle cosiddette “local utilities” (le ex “municipalizzate”).
Le Regioni che non possono contare su una società “in house” o su un ente strumentale o
agenzia affidano queste risorse al mercato, con gare per ogni singolo progetto. Quelle che
invece possono ricorrere ad affidamenti in house trasferiscono il contratto al soggetto
posseduto o controllato, al netto di quelle attività ordinarie che vengono gestite direttamente
ricorrendo a consulenti esterni o a commesse a piccole e medie imprese locali.
Il vantaggio derivante dal ricorso alle proprie controllate starebbe nella maggiore capacità di
governo delle relazioni con i fornitori, oltre che nelle maggiori capacità di risolvere i problemi
di integrazione.
1
Basti ricordare fra quelle in corso l’indagine sul trasporto pubblico locale .
Tabella 2 Le imprese ICT di proprietà degli enti locali
Fonte Netics 2006
L’accusa è pesante: si parla di monopoli de facto, di spregiudicato ricorso agli affidamenti inhouse come fattore di disturbo della concorrenza; ma si parla anche di inefficienza
complessiva del sistema, di scarsa qualità e di “minaccia” per le PMI di settore, il tutto in un
periodo caratterizzato dalla “invasione territoriale” delle società regionali ICT.
La reazione delle imprese private ICT (con particolare riferimento alle più grandi,
ovviamente) non poteva farsi attendere, ma il dibattito è acceso anche all’interno degli Enti
“proprietari” delle società. Resta da vedere quale sia la soluzione migliore, e – soprattutto – a
favore di chi.
Non dimenticando che il primo interesse da salvaguardare, prima ancora di quelli privati, è
quello pubblico: quale che sia la strada che gli Enti locali decideranno di intraprendere, e
tenendo conto del fatto che già in numerosi contesti la presenza privata in posizioni di
minoranza è un fatto consolidato, è fondamentale che non vada disperso un patrimonio
cognitivo di rilevanza assoluta. Soprattutto, non va persa la vocazione naturale delle società
ICT pubbliche locali: il supporto agli enti proprietari nel governo delle scelte strategiche nel
campo della Società dell’Informazione. Spesso infatti non solo l’amministrazione
proprietaria,ma anche gli enti pubblici della regione di riferimento costituiscono clienti
importanti per le imprese pubbliche di ICT e solo in pochi casi è forte la presenza fuori del
territorio geografico e istituzionale di riferimento.
4. La Corporate governance
I diffusi processi di mutamento organizzativo e industriale, che si sono succeduti con grande
frequenza negli ultimi anni nelle imprese di servizio pubblico locale, hanno prodotto anche
sensibili mutamenti di ordine giuridico: le aziende hanno quasi sempre cambiato la propria
denominazione sociale ed, essendo venuto meno il tradizionale rapporto prevalentemente
“biunivoco” tra aziende ed enti locali, è anche venuta meno la coincidenza tra l’ubicazione
delle aziende e i bacini territoriali di erogazione dei servizi.
La creazione delle multiutilities ha poi prodotto un aumento della concentrazione nel settore,
nel quale sono emersi gruppo di notevoli dimensioni, che riuniscono società operanti in
diversi settori,in alcuni casi sono anche quotate in borsa.
Tabella 3 Le utilities quotate in borsa a fine 2006 (indici dei prezzi a fine anno, gennaio
2003 =100)
Fonte Fondazione Civicum, Le imprese controllate dai comuni.Bilanci (edizione 2007).
Il capitalismo municipale emerge in una recente ricerca (Bortolotti 2007) come modello
prevalente nel sistema delle partecipazioni pubbliche. Le imprese partecipate dalle
amministrazioni comunali rappresentano il intorno ai ¾ delle imprese partecipate da governi
locali .
La rilevanza economica di queste imprese per i governi locali è giustificata da una
molteplicità di ragioni :
- i dividendi rappresentano talora una quota non trascurabile delle entrate non tributarie
dell’ente ;
-la privatizzazione giuridica delle attività svolte, insieme con l’apertura del capitale ai privati,
può consentire di eludere taluni vincoli di finanza pubblica e in particolare il patto di stabilità
interno;
- il controllo diretto o indiretto di queste imprese consente ai politici locali di affidare loro
compiti economici, politici e finanziari che vanno al di là di quelli che potrebbero assicurare
efficienza e concorrenzialità nel mercato dei servizi, tanto più che non operano solo nelle
industrie a rete che forniscono servizi di interesse generale, ma anche in settori concorrenziali
quali il manifatturiero, le costruzioni, i servizi e il commercio.
La rilevanza economica di queste partecipazioni sembra tuttavia modesta in rapporto alle
economie locali, anche se è cospicua rispetto ai bilanci degli enti proprietari.
In complesso le società a controllo pubblico – in particolare comunale –hanno una incidenza
media modesta sul Pil e sull’occupazione nazionale (rispettivamente 1,14 per Pil e 0,89 per
occupazione nel 2005), anche se in alcune regioni (come la Valle d’Aosta) arrivano a
superare il 6% del Pil e il 2% dell’occupazione; la loro incidenza sull’economia locale è più
marcata nelle Regioni del Centro Nord che in quelle del Sud e delle Isole e nelle Province
sede di Città metropolitane rispetto alle altre.
Queste imprese costituiscono una parte importante dell’attività di servizio svolta dai grandi
comuni : i costi dell’insieme delle imprese analizzate da Civicum nel corso dell’ultimo anno e
relative a soli sei comuni, equivalgono nel loro insieme alle spese correnti che i comuni
sostengono per attività dirette. A Milano l’attività svolta tramite società partecipate sarebbe
addirittura una volta e mezza quella diretta.
Le imprese a partecipazione totalitaria, in cui la proprietà del capitale interamente detenuta
dagli enti locali e che possono essere considerate società in house ,coprono quasi il 60% delle
partecipazioni locali e sono concentrate nei settori del trasporto locale, in quello delle acque e
della gestione dei rifiuti, e nelle multiutilities, mentre sono meno frequenti nel settore
manifatturiero e nei servizi. Ma se si determina il potere di controllo dei governi locali nelle
società in cui sono presenti anche azionisti privati, attraverso il concetto di weakest link 2si
rileva che il controllo pubblico si estende ben al di là delle partecipazioni totalitarie, essendo
il socio pubblico il maggior azionista nel 91% delle imprese considerate (con una netta
prevalenza dei comuni) mentre qualche eccezione si registra a favore delle regioni solo nel
comparto ferroviario.
Il potere di controllo dei soci privati appare trascurabile, dato che soltanto il 5,69% delle
società considerate (sopratutto concessionarie autostradali) ha un azionista privato come socio
di riferimento e anche la presenza di soci esteri arriva appena al 3%3.
2
Secondo questo criterio i diritti di controllo finali di un dato azionista sono dati dal valore minimo delle
partecipazioni indirette lungo la catena di controllo Per esempio si supponga che un azionista possieda il 50%
della società A e il 30% della società B. La società A possiede a sua volta il 30% della società C, mentre la
società B ne possiede il 10%. Di conseguenza i diritti finali di controllo dell’azionista sono pari a min(50,30) +
min(30,10) = 40 (Bortolotti,2007)
3
Con l’inglese Arriva nel trasporto pubblico locale, la francese Veolia nel settore idrico con Acqualatina e nelle
farmacie comunali di Bologna e Prato cedute alla tedesca Celesio
Lo sviluppo delle società per azioni a controllo comunale e provinciale, anche nelle varianti
di società mista e multiutility in un contesto privo di regole di concorrenza, riduce ovviamente
gli spazi di mercato degli altri operatori (imprese private, ma anche vecchie aziende
municipalizzate e gestioni in economia), ma pone anche problemi di governance e di diritto
societario. Essi sono in genere scarsamente presi in considerazione, anche se nei più recenti
interventi legislativi, come la legge finanziaria 2007 (l. 296 del 27 dicembre 2006)ci si
sofferma sulla composizione dei consigli di amministrazione e sulla conseguente pletora e
retribuzioni dei consiglieri, preoccupandosi cioè della “riduzione dei costi degli apparati
pubblici regionali e locali” già obiettivo del decreto Bersani .
Sull’efficiente distribuzione dei poteri all’interno della impresa fra proprietà e gestione, al
cuore di ogni discussione sulla corporate governance è intervenuta la Corte di Giustizia
europea disponendo con la sentenza n.458/03 del 13 ottobre 2005 che:
“è escluso che l’autorità pubblica concedente eserciti un controllo analogo a quello esercitato
sui propri servizi nel caso in cui nell’ente concessionario –una società per azioni nata dalla
trasformazione di un’azienda speciale –il consiglio di amministrazione possieda amplissimi
poteri di gestione che può esercitare autonomamente”.
Sorgono alcuni quesiti su quali siano le finalità che le società a controllo comunali debbano
perseguire. In generale queste finalità si riassumono nella prestazione di servizi pubblici
locali, ma occorre precisarne i vincoli in termini di costo, qualità e quantità. La seconda
questione riguarda il tipo di controllo che il Comune nella sua veste di principale azionista
può esercitare. La risposta è complicata dal fatto che molte attività sono regolate da norme
che attribuiscono poteri ad altri enti, principalmente Province e Regioni. Inoltre sussiste un
problema anche sul tipo di azione esercitabile dal management di queste aziende. Una parte
importante dei ricavi, quella che discende dai prezzi dei servizi prestati, è decisa da enti
esterni e una parte importante delle risorse (ad esempio, il lavoro) sconta le rigidità tipiche
del pubblico impiego. Infine ci si chiede in quale modo i cittadini utenti siano in grado di
richiedere qualità ed efficienza dei servizi prestati da queste società, quali siano le forme di
controllo, di intervento analitico e di protesta, tenuto conto che si tratta di attività che possono
essere svolte da società con differenti assetti azionari.
Questi risultati possono essere ottenuto solo se la gestione delle imprese a controllo comunale
viene condotta secondo modalità industrialmente efficienti, le quali presuppongono un assetto
di governance almeno simile alla best practice delle società quotate.
La Fondazione Civicum propone che le società controllate dai Comuni italiani adottino un
sistema esplicito di regole atte a disciplinarne la gestione e le modalità in base alle quali viene
esercitato il controllo da parte del socio di maggioranza. Ciò sulla base di varie
considerazioni, fra cui emerge il fatto che “ la gestione efficiente può realizzarsi solo
attraverso strutture di comando e di esecuzione composte da amministratori e dirigenti
adeguati, che basino i loro comportamenti su criteri che siano al tempo stesso professionali e
trasparenti rispetto alla comunità locale; mentre la definizione degli indirizzi strategici di
lungo periodo rappresenta un diritto-dovere del Sindaco, il quale agisce sulla base dei poteri
di nomina e revoca dei rappresentanti del Comune stabiliti dal D.Lgs. 18-8-2000 n. 267
(Testo unico sull’ordinamento degli enti locali); secondo lo stesso decreto, il Consiglio
comunale fissa gli indirizzi sui quali deve basarsi l’esercizio di questo potere e la nomina e la
revoca dei rappresentanti del Comune debbono avvenire in assoluta trasparenza rispetto alla
comunità locale.”
5. Gli interventi legislativi recenti
I problemi di tutela della concorrenza e di corporate governance cui si è fatto cenno hanno
cominciato ad essere affrontati con la L. 248/06, che converte con modificazioni il D.L.223
del 2006 recante “disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento
e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di
contrasto all’evasione fiscale” L’art. 13, come si desume dal titolo dello stesso ha l’obiettivo
della “ riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e di tutela della
concorrenza” e il comma 1 ribadisce la finalità di “evitare alterazioni o distorsioni della
concorrenza e del mercato e di assicurare parità tra gli operatori”.
Essendo stati esclusi in sede di conversione dall’ambito di applicazione della legge i servizi
pubblici locali (che erano inclusi del decreto) oltre alle società finanziarie degli enti pubblici,
la norma si applica oggi solo alle società a capitale pubblico o misto che svolgono produzioni
di beni e servizi strumentali all’attività degli enti locali, le quali debbono operare
“esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere
prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara,
e non possono partecipare ad altre società o enti”. La norma è molto stringente: non è solo
un divieto di attività extraterritoriale per le società pubbliche, ma di identità del soggetto a
favore del quale le prestazioni sono rese, e impedisce la fornitura anche a soggetti pubblici e
privati residenti nel territorio degli enti costituenti e dunque costringe queste imprese a
rinunciare a eventuali espansioni di mercato a favore di imprese private.
Il primo comma dell’art. 13 conclude stabilendo che le società pubbliche o miste “non
possono partecipare a società od enti”,al fine di impedire che, tramite la partecipazione a
società o enti, le società pubbliche o miste possano eludere l’obbligo di operare
esclusivamente per i propri azionisti, acquisendo contratti per servizi o attività da parte di Enti
Locali diversi da questi ultimi per il tramite di tali società. Si intende inoltre vietare qualsiasi
fattore distorsivo del mercato e della concorrenza. La possibilità di agire tramite società
controllate consentirebbe, in sé e per sé, alle società in house di sfruttare il vantaggio
competitivo che deriva loro dall’essere affidatarie dirette e privilegiate di alcuni servizi,
affrontando la concorrenza da una posizione di vantaggio. La norma ha dunque l’intento di
circoscrivere l’azione delle società in house e miste non solo spazialmente ma anche
finalisticamente: alla società pubblica o mista sarebbe consentito effettuare le proprie attività
solo in via diretta e la stessa partecipazione a società sarebbe, di per sé stessa, illegittima.
La norma pone un divieto assoluto e viene rafforzata dal successivo comma 2 che specifica
che “ Le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo”, limitando quindi la
sempre più diffusa tendenza delle società pubbliche alla creazione di multiutilities, per la
diversificazione rispetto al core business, tradizionalmente rappresentato dai servizi pubblici
locali. Sarebbe, di conseguenza, vietata anche la partecipazione alle società attualmente
detenute o partecipate, che potrebbero essere incorporate, giuridicamente trasformando le
attuali società c.d. di terzo grado in business unit della società pubblica o mista. (ed
eliminandone di conseguenza gli organi societari). Nei casi in cui ciò non fosse praticabile (ad
esempio, nel caso di partecipazione rilevante ma non maggioritaria) l’alternativa sarebbe
rappresentata solo dalla cessione delle partecipazioni, entro il termine fissato dalla legge a
pena della nullità dei contratti conclusi in violazione delle prescrizioni. In caso di inerzia oltre
il termine di legge il rischio sarebbe estremamente rilevante: qualsiasi interessato ed in
qualunque tempo, ai sensi dell’art. 1421 del codice civile, potrebbe adire il giudice ordinario
con azione di accertamento, onde ottenere declaratoria di nullità del contratto e ciò senza
possibilità di sanatoria (art. 1423 codice civile).
L’intenzione di incidere sulle spese direttamente sostenute dagli enti pubblici a favore delle
proprie società - la cui proliferazione nel corso degli ultimi anni ha alimentato non solo un
vivace dibattito politico economico sul costo degli organi societari ma anche una crescente
attenzione delle autorità amministrative a queste società - limita la portata dell’intervento
diretto della norma a fini di tutela della concorrenza. Ma il successivo art. 14 introduce nel
rispetto e in attuazione del quadro normativo stabilito dal regolamento CE n. 1/03 alcuni
poteri volti a rendere più efficace l’intervento dell’Autorità garante della concorrenza e del
mercato. In particolare al comma 1 introduce quei poteri cautelari, istruttori e sanzionatori che
da tempo sono attribuiti alla Commissione Europea (nell'ambito delle sue funzioni di organo
preposto alla tutela della normativa antitrust comunitaria) e alle autorità antitrust dei principali
paesi europei ed extracomunitari. In particolare, l'Autorità dispone ora di nuovi poteri
cautelari, da esercitare d'ufficio, mediante decisione da adottarsi prima o durante l'istruttoria
avviata per l'accertamento di una condotta anticoncorrenziale vietata, ai sensi 81 e 82 del
Trattato CE. L'esercizio di tale potere è subordinato alla sussistenza di due condizioni:
- il requisito dell'urgenza, cioè il rischio di un danno grave ed irreparabile per la concorrenza
nel caso in cui la condotta anticoncorrenziale alla quale la misura cautelare deve essere
applicata non venga neutralizzata al più presto ;
- la probabile sussistenza di una infrazione degli art. 2 o 3, Legge 287/1990, o degli artt. 81 o
82 del Trattato CE.
Sul tema dei servizi pubblici locali, espunto in sede di conversione del decreto Bersani,
interviene il recente disegno di legge Lanzillotta, che attende ancora l’approvazione delle
Camere, e prevede alcune modifiche al regime di gestione dei servizi pubblici locali.
Esso costituisce un ulteriore passo della lunga fase di attività legislativa, che ha ridisegnato il
sistema dei servizi pubblici locali nell'ambito delle competenze degli Enti Pubblici, dei
soggetti erogatori e dei cittadini utenti, e ha contribuito anche a modificare sensibilmente le
strutture aziendali di proprietà degli enti locali. Con l’art. 35 L.448/2001 e il DL. 269/2003
già si era cercato di adeguare la materia dei servizi pubblici locali alle direttive comunitarie,
introducendo la distinzione tra “servizi economici” e “servizi non economici” ai fini
dell’affidamento a gara del servizio, e dell’affidamento diretto a società a capitale pubblico
controllato dall’Ente Locale secondo il modello in house, o a società a capitale pubblicoprivato.
Il disegno di legge Lanzillotta riprende questa distinzione e identifica i servizi pubblici locali
nei “servizi di interesse generale a carattere economico”, riprendendo la formulazione
presente nel Libro Verde europeo.
Il disegno di legge 772 ha l’obiettivo di uniformare la frammentaria disciplina dei servizi
pubblici locali, per i quali sono applicabili norme sia a tutela della concorrenza nel mercato
che della concorrenza per il mercato, disciplina che è sottoposta a ricorrenti e parziali
revisioni, riconducendola ad un ordinamento organico ed unitario.
A tale fine viene previsto che le norme contenute nei decreti legislativi derivanti dalla delega
vengano applicate in modo univoco per l’affidamento di tutti i servizi pubblici locali di
rilevanza economica e che, quindi, le vigenti normative di settore in materia di smaltimento
dei rifiuti urbani, trasporti, energia elettrica e gas vengano conseguentemente modificate.
Con il disegno di legge 772 si intende:
1) favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza e “di libera prestazione dei
servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale
di rilevanza economica in ambito locale”con modalità tali da garantire il diritto di universalità
ed accessibilità dei servizi per tutti gli utenti nonché il livello essenziale delle prestazioni ai
sensi dell’art. 117 della Costituzione;
2) prevedere che l’affidamento delle nuove gestioni e/o il rinnovo delle gestioni in essere
debbano avvenire mediante procedure competitive ad evidenza pubblica per l’individuazione
del gestore, salvaguardando la proprietà delle reti e dei beni strumentali pubblici.
Il disegno di legge si sviluppa attorno ai seguenti punti principali:
1) la proprietà pubblica delle reti e degli altri beni strumentali all’esercizio;
2) l’obbligo, per gli Enti Locali, di ricorrere a procedure competitive ad evidenza pubblica per
la scelta del gestore dei servizi pubblici locali, ad esclusione del servizio idrico, per il quale
viene esplicitata una riserva di gestione pubblica;
3) la restrizione del ricorso ad affidamenti diretti e in house a “specifiche e tassative
fattispecie”;
4) l’impossibilità di acquisire la gestione di servizi diversi o di estendersi in ambiti territoriali
diversi per soggetti già titolari della gestione di servizi pubblici locali non affidati sulla base
di gare;
5) la limitazione dei casi in cui la gestione del servizio viene assegnata in regime di esclusiva
(per favorire, lì dove possibile, la pluralità dell’offerta);
6) la possibilità, da parte dei soggetti già affidatari diretti, di concorrere fino al 31 Dicembre
2011 all’affidamento mediante procedura competitiva;
7) l’introduzione di misure a tutela degli utenti: carta dei servizi, valutazione periodica per il
permanere dell’affidamento, forme di vigilanza da parte delle Autorità di regolazione
settoriali.
Per i nuovi affidamenti e per il rinnovo di quelli in essere diviene obbligatoria la gara; le altre
due forme di affidamento diretto in house o a società mista vengono trattate o in deroga alla
gara e considerate temporanee o ammesse per alcune fattispecie di servizi pubblici locali. Il
ricorso al mercato costituisce la regola, mentre altre soluzioni (l’in house e la società mista)
sono eccezioni da motivare in base ad analisi di mercato che dimostrino l’inadeguatezza
dell’offerta privata, soggette a verifica da parte delle Autorità nazionali di regolazione o, in
mancanza, dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Riguardo agli affidamenti le
novità rispetto al precedente ordinamento sono rilevanti. Mentre prima erano previste tre
possibilità, poste sullo stesso piano, con il disegno di legge Lanzillotta si opera una gerarchia:
la regola per i nuovi affidamenti e per il rinnovo di quelli in essere è costituita dalla gara; le
altre due forme, e cioè l’affidamento in house a società interamente pubbliche e quello a
società a partecipazione mista vengono trattate come eccezioni e considerate entrambe
affidamenti. In un successivo emendamento del Governo all’art 2, in effetti, non si parla più
di eccezioni, bensì di deroghe limitate ai casi in cui,“per le peculiari caratteristiche
economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento”,
non risulta efficace ed utile il ricorso al mercato. Gli emendamenti del Governo all’art. 2 del
D.L 772 introducono un’ulteriore possibilità non prevista nelle precedenti norme generali e
settoriali, ossia la gestione in economia e mediante azienda speciale, che rappresentano un
significativo ritorno indietro sul piano della liberalizzazione, riproponendo i problemi di
commistione tra ruoli di controllo e attività di gestione del servizio.
L’art. 3 del disegno di legge si occupa delle misure di tutela degli utenti, anche se con
strumenti poco incisivi, soprattutto sotto il profilo del collegamento tra sistemi regolatori e
qualità. Esso prevede un doppio impegno del gestore: pena la revoca dell’affidamento,
quest’ultimo deve predisporre e pubblicizzare una Carta dei servizi e sottoporsi a periodiche
verifiche circa la soddisfazione degli utenti (sulla base di reclami e di indagini di customer
satisfaction), il cui riscontro positivo diventa condizione per il mantenimento
dell’affidamento.
Se da un lato si attribuisce un peso sproporzionato alla disponibilità della Carta dei servizi e al
risultato delle indagini di customer satisfaction, considerati condizioni per il mantenimento
dell’affidamenti, d’altro canto non si forniscono indicazioni su come definire gli standard di
qualità garantiti agli utenti e su come venga trattato il loro conseguimento o mancato
conseguimento, poiché manca un quadro organico di regolazione,che potrebbe essere
assicurato solo dalle Autorità nazionali di regolazione previste dall’art. 2. In sostanza la posta
in gioco è l’intero affidamento del servizio, in un contesto in cui non viene definito il metro di
valutazione delle indagini di customer satisfaction, mentre sull’affidamento del servizio
incidono maggiormente i contratti di servizio, in cui sono presenti misure più credibili di
incentivi e sanzioni commisurati ai risultati conseguiti.
5. Conclusioni
In tema di corporate governance, l’art. 13 della legge 248/6, nato con l’intento di ridurre i
costi che gli enti locali sopportano per le società controllate dovrebbe incentivare la riduzione
degli organi societari incentivando operazioni di fusione per incorporazione o cessioni sul
mercato delle società sottoposte ai vincoli territoriali e di attività .
Ai fini di un aumento della concorrenza sui mercati dei beni e servizi strumentali all’attività
svolta dagli enti locali a cui il provvedimento è ristretto, le conseguenze delle limitazioni di
attività possono essere assai diverse a seconda delle caratteristiche delle imprese interessate e
della dimensione dei mercati coinvolti.
Le società interessate potrebbero incorrere in riduzioni di fatturato, sia a causa del divieto di
agire al di fuori del territorio di riferimento, sia perché dovrebbero dismettere attività a favore
dei soggetti pubblici e privati del territorio di riferimento che non sono costituenti o
partecipanti. I danni patrimoniali che derivano dall’applicazione dell’art. 13 riguardano non
solo l’obbligo di dismettere le attività non consentite, attraverso cessione di rami d’azienda o
scorporo e costituzione di società ad-hoc da collocare sul mercato con procedure ad evidenza
pubblica, ma anche il divieto di partecipazione in altre società ed enti, che impone di cedere
entro gli stessi termini le proprie partecipazioni. Molti soggetti a capitale pubblico dovrebbero
dismettere partecipazioni anche importanti, che- non potendo più contare su affidamenti
diretti- dovrebbero riconquistarsi quote di mercato attraverso le gare.
A tutela della concorrenza l’art. 13 della l. 4 agosto 2006 n. 248 si inserisce in un processo
che tende a rafforzare l’apertura dei mercati pubblici secondo le direttive comunitarie,
attivando meccanismi di scelta dei fornitori delle attività da esternalizzare sulla base di
meccanismi competitivi.
Il processo avviato per alcuni mercati - e che dovrebbe essere ampliato ad altri col successivo
ddl772 - rischia però di avere anche delle conseguenze indesiderate proprio sui meccanismi
concorrenziali che intendeva rafforzare poiché:
- impone sempre il ricorso alla gara mediante procedure ad evidenza pubblica, salvo il ricorso
all’affidamento in house a un’impresa pubblica che rinuncia alla possibilità di muoversi fuori
dall’ambito locale (come del resto già accadeva per i servizi pubblici locali sulla base
dell’art. 35 della legge 488 del 2001 e del collegato alla finanziaria del 2004) e il ripristino
della gestione in economia e mediante azienda speciale;
Occorre però rilevare che i limiti posti all’attività delle imprese che hanno ricevuto
affidamenti in house (quella cioè di avere come oggetto esclusivo la prestazione di quel
determinato servizio e di svolgerlo all’interno del territorio dell’ente concedente) riducono di
molto la possibilità di sfruttare economie di scala e di scopo, riportando molte imprese
pubbliche ai limiti territoriali delle ex municipalizzate, che costituivano una delle cause della
loro inefficienza. Infatti, i processi di affidamento e identificazione e dei fornitori sono
stabiliti da ciascun ente locale a prescindere dalle dimensioni del contratto e quindi dai volumi
di domanda che possono consentire il raggiungimento della dimensione ottima minima
all’impresa che svolga quella attività come oggetto sociale esclusivo.
Le informazioni disponibili consentono di confermare che le società a controllo pubblico sono
sopratutto presenti nei servizi di pubblica utilità e nei trasporti, settori in cui da un lato si è
tradizionalmente ritenuta opportuna una presenza pubblica e dall’altro si riconosce una
complessità che richiede una gestione professionale separata da quella burocratica delle
amministrazioni.
Proprio in taluni di questi settori, come abbiamo documentato, nel caso dell’informatica, ma
anche in altri lavori nel trasporto pubblico locale, il fatto che i committenti del servizio siano
le stesse amministrazioni pubbliche che controllano le società affidatarie, fa sorgere non solo
il problema del conflitto d’interessi (e dunque anche il dubbio sulle condizioni di efficienza
in cui il servizio viene prestato), ma anche limita l’accesso al mercato di altri potenziali
concorrenti.
Inoltre non si può ignorare che la separazione giuridica tra la sfera politica delle
amministrazioni e quella gestionale delle ex-municipalizzate trasformate in società per azioni
abbia condotto a una separazione effettiva tra la programmazione del servizio, la sua gestione
e il controllo dei risultati, che si è tradotta in un danno per i cittadini interessati, che hanno
visto aumentare le tariffe del servizio, ma diminuirne la qualità.
Si deve infine ricordare che secondo Bortolotti i rari casi di gestioni aperte al capitale privato
(le cd. società miste) presentano una redditività e una efficienza gestionale significativamente
superiori a quelle delle imprese e in cui la presenza pubblica e totalitaria.
Molto c’è ancora da fare per risolvere i problemi di concorrenza sul e per il mercato e di
corporate governance che abbiamo delineato, come del resto non si stanca di ricordare il
presidente dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, anche se deve riconoscere,
come nella recente presentazione al Parlamento della relazione annuale 2007, che si registra
oggi con preoccupazione una fase di stallo delle liberalizzazioni perché “le lobby si
riorganizzano e trovano appoggi nei due schieramenti politici”.
Specificando poi nella relazione sull’attività svolta che “ è a tutti nota l’entità del fenomeno
che vede gli enti territoriali partecipare direttamente al mercato mediante imprese controllate.
Il dato quantitativo meriterebbe una riflessione sul ruolo che i pubblici poteri devono avere in
un’economia che si ispira ai principi del mercato aperto. Se un’amministrazione locale decide
di intraprendere un’attività economica non per questo costituisce un ostacolo al corretto
funzionamento del mercato a danno delle imprese private. Ma ciò inevitabilmente accade
quando il medesimo soggetto agisce nella veste di regolatore e regolato. Un principio ben
chiaro dovrebbe ispirare il Parlamento nella riforma che sta per varare: in ogni mercato, senza
eccezioni, pubblico e privato devono competere a parità di condizioni. Troppe volte l’Autorità
si è sentita inerme di fronte a palesi vantaggi concessi all’impresa pubblica da atti di imperio
comunali o addirittura dalle leggi regionali: leggi e regolamenti troppo spesso
ingiustificatamente invasivi”.(Agcm 2007).
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Abstract
Local public services in Italy are subject to an ongoing reform process, that started more than
ten years ago with the legal privatisation of the activities previously directly carried on by the
local administrations. The new local capitalism is becoming more and more important and
gives rise to different problems. Some of them are analysed in the present paper, namely
1).the extent of the activities of these public owned but privately regulated firms, sometimes
difficult to include in any notion of public services (ICT services for instance); 2) the
competition rules to be applied on the market and for the market in their different activities; 3)
the corporate governance problems arising from the conflicts between the political interests
of the public owners and the efficiency objectives of the managers. After a short review of the
more recent policy interventions in the field (the Law n.248/06 and the actually discussed
Law proposal n.772) we conclude that they couldn’t yet solve the above mentioned problems,
even though they move in the right direction.
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