Il territorio - Progetto Policoro

Cefalù, 14-15 maggio 2004
“Stavano riassettando le reti”
Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e
Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in
mare;
erano
infatti
pescatori.
Gesù
disse
loro:“Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”.
E subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando un poco
oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedèo e
Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti (Mc
1,16-19).
Le immagini della pesca e della rete accompagnano fin dal suo nascere il Progetto
Policoro.
In questi anni il Progetto è passato da 16 AdC nel 1999, a 19 nel 2000, a 31 nel 2001,
a 36 nel 2002, a 57 nel 2003 a 64 nel 2004.
64 diocesi su 102 presenti nelle regioni del Sud hanno un animatore di comunità, un
giovane che dedica alcuni anni della sua vita a servizio della evangelizzazione e della
promozione umana di altri giovani della sua diocesi. Una nuova figura di laico a
servizio delle nostre comunità.
Ho bisogno dell’altro
Per sostenere e sviluppare ulteriormente questo prezioso lavoro, occorre recuperare
aver coscienza di alcuni valori condivisi.
Primo fra tutto quanto ci ricorda la costituzione pastorale del Concilio Vaticano II°
Gaudium et spes (n.12):” L'uomo, per sua intima natura è un essere sociale, e senza
i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti”.
Sono, esisto, sono felice , non nonostante l’altro o per l’utilità che traggo dall’altro,
ma perché l’altro mi ri-guarda (Levinas).
Far emergere questa dimensione costitutiva del nostro essere, senza l’altro non posso
vivere.
Nella Centesimus annus al n. 58 il Papa insiste:
” la promozione della giustizia non potrà mai essere pienamente realizzata, se gli
uomini non riconosceranno nel bisognoso, che chiede un sostegno della sua vita, non
un importuno o un fardello, ma l'occasione di bene in sé, la possibilità di una
ricchezza più grande. Solo questa consapevolezza infonderà il coraggio per
affrontare il rischio e il cambiamento implicito in ogni autentico tentativo di venire in
soccorso dell’altro uomo.”
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Dio ha amato il mondo
“Quando leggiamo ‘Dio ha amato il mondo’ – scrive Romano Guardini in il
Messaggio di S. Giovanni, Morcelliana, Brescia 1982 – bisogna che diamo il suo
peso reale a questa affermazione, e cioè che Dio ama realmente, effettivamente. Dopo
l’incarnazione, Cristo appartiene definitivamente al mondo e, nello stesso tempo, il
mondo appartiene definitivamente a Dio”; … l’umanità del Cristo, e con essa la
creazione, il mondo, dovranno sedere alla destra del Padre”.
Gesù mi insegna ad essere responsabile
Nel primo convegno dei gesti concreti nati dal Progetto Policoro svoltosi ad Assisi
nel novembre scorso, il biblista don Andreozzi ci ricordava come Gesù è colui che
assume la responsabilità della nostra vita davanti al Padre suo, senza farsi sconti e
senza giocare al risparmio; che Gesù si presenta come il go’el (redentore), come colui
che mette la sua firma come garanzia sull’esistenza umana ed è pronto a rimetterci di
persona perché l’uomo sia sempre libero da ogni forma di schiavitù; che Gesù sente
compassione della vita dell’uomo e delle situazioni che gli si presentano davanti; che
dal sentimento di compassione nasce in Lui il coinvolgimento e la decisione di agire
e di intervenire.
Gesù che sa rendere conto, ricordava Andreozzi, chiama ciascuno a rendere conto
dinanzi a lui.
La responsabilità dunque è la categoria centrale della vita.
La responsabilità a cui siamo chiamati non è qualcosa che pesa, che fa soccombere.
La nostra responsabilità è sempre una responsabilità limitata e penultima. L’iniziativa
viene da un Altro che ci ha coinvolti nel suo progetto e che ha scommesso su di noi
dandoci fiducia. Il suo progetto è realizzare il Regno di Dio. E la collaborazione alla
realizzazione del Regno chiede di adottare la logica del dare tempo, del seme che
muore cresce e germoglia, per poi dare frutto.
Come si inserisce il Progetto Policoro nella realizzazione del regno di Dio ?
Quali sono gli obiettivi su cui si fonda?
Il primo certamente è la responsabilità verso gli altri, che si traduce in una nuova
evangelizzazione, nell’annunciare con la vita e le parole il Vangelo e il progetto del
Regno di Dio.
L’evangelizzazione
In uno dei documenti che hanno ispirato il Progetto Policoro, Con il dono della carità
dentro la storia, al n. 9 si legge: “ Il nostro contributo prezioso al bene del paese non
può essere altro che una nuova evangelizzazione, incentrata sul Vangelo della carità,
che congiunge insieme la verità di Dio che è amore e la verità dell’uomo che è
chiamato all’amore”.
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Nell’enciclica Sollecitudo rei Socialis n. 41 si legge: ” … la Chiesa è “esperta in
umanità” e ciò la spinge a estendere necessariamente la sua missione religiosa ai
diversi campi in cui gli uomini e donne dispiegano la loro attività. … Ecco perché la
Chiesa ha una parola da dire oggi. … Così facendo la Chiesa adempie la sua
missione di evangelizzazione”.
E in Chiesa italiana e Mezzogiorno: sviluppo nella solidarietà al n. 15: “la Chiesa
italiana e in particolare le chiese meridionali hanno un compito grande e non
rinunciabile nel contribuire a romper i meccanismi perversi e nel proporre una
logica nuova di sviluppo del Mezzogiorno. … Le vere prospettive di rinnovamento e
di sviluppo non consistono nell’entusiasmo momentaneo, ma in una profonda e
costante maturazione personale, comunitaria e sociale, da realizzarsi sulla base delle
grandi potenzialità culturali ed etiche degli uomini e delle donne del sud, all’interno
di un progetto proprio, non importato, e in una illuminata tensione collettiva per far
crescere la società meridionale”.
Evangelizzare da laici
In “il laico nella Chiesa e nel Mondo” di Giorgio Campanili, EdB 2004, nel capitolo
laici e nuova evangelizzazione si legge: “ Dopo una lunga stagione nella quale
l’evangelizzazione è stata di fatto consegnata quasi esclusivamente ai presbiteri e ai
religiosi, si affaccia un’era, per certi aspetti simile a quella dei primi secoli del
cristianesimo, in cui l’evangelizzazione o sarà opera congiunta di tutte le componenti
della Chiesa o non sarà; e questa evangelizzazione non potrà che riguardare insieme
l’annuncio di Dio e l’annuncio dell’uomo, negli spazi del sacro ma anche negli spazi
dlla storia, senza alcuna contrapposizione o dicotomia fra clero e laici, ma anche con
una chiara percezione delle rispettive responsabilità e delle corrispondenti priorità di
attenzione. Alla fine, la questione della laicità si risolve non tanto sul piano del fare
quanto su quello dell’essere. … Ma essere laici, nella Chiesa non significa prestare
servizi diversi … significa piuttosto essere per il mondo, in forme e modalità diverse
rispetto a quelle del presbitero o del religioso, per porre al centro del proprio servizio
al mondo la costruzione di una società più giusta”.
Una immagine per sintetizzare
Tutto ciò si può sintetizzare nell’immagine del gettare la rete.
“Sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5,5).
Gettare le reti è il compito che ci è affidatoci da Gesù affinché ogni uomo e donna,
ogni giovane del nostro territorio incontri la sua persona.
Gettare le reti richiede spirito di sacrificio (si pesca spesso di notte) e di
collaborazione (si pesca insieme); richiede di abbandonare la sicurezza della riva,
prendere il largo, esporsi agli imprevisti del mare (tempo, vento).
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La Chiesa italiana già dal dicembre 1995 ha voluto raccogliere con il Progetto
Policoro la sfida di prendere il largo, di uscire dai recinti chiusi degli ambiti ecclesiali
di attività (giovani, carità, lavoro) e delle associazioni (di evangelizzazione e di
formazione), per gettare insieme, sulla parola del suo Signore, Gesù, la rete in acque
mai prima navigate.
In una parola, con il Progetto Policoro, la Chiesa italiana, per la prima volta, con una
inedita collaborazione fra uffici e associazioni, ha cercato e cerca di risponde in modo
concreto ad una domanda precisa: che messaggio ha il Vangelo da offrire ad un
giovane disoccupato o con un cattivo lavoro ? Come può mantenere vivo, nonostante
tutto, il senso della sua dignità ?
Dispensatori di speranza per giovani disoccupati
E’ questo il secondo obiettivo: dispensatori di fiducia e di speranza a giovani
disoccupati o con cattivi lavori.
La sera del 30 aprile ho partecipato in S. Pietro ad un momento di preghiera per il
mondo del lavoro organizzato dall’Azione Cattolica, all’interno del quale è stato letto
un messaggio del Papa indirizzato ai presenti di cui vi leggo alcuni interessanti
passaggi:
“Il mistero di Nazaret non finisce di sorprenderci! Perché il Figlio di Dio, venuto
sulla terra, ha voluto trascorrere un tempo così prolungato assoggettandosi alla dura
fatica del lavoro? Che cosa ha rappresentato per lui questa esperienza? Che cosa
rappresenta per noi ?
… Gesù è stato uomo del lavoro e il lavoro gli ha permesso di sviluppare la sua
umanità, imparando a progettare con creatività, ad operare con coraggio e tenacia,
a contribuire al sostentamento della famiglia, ad aprirsi alla più ampia cerchia
sociale attraverso una solidarietà consapevole e concreta.
Anche il lavoro a Nazaret ha costituito per Gesù un modo per dedicarsi alle “cose
del Padre” (Lc 2,49).
… Secondo il piano provvidenziale di Dio, lavorando l’uomo realizza la propria e
altrui umanità”.
A questo riguardo l’enciclica Laborem Exercens così si esprime: “La disoccupazione
è in ogni caso un male e quando assume certe dimensioni diventa una vera calamità
sociale”(LE 18).
Continua la citazione del papa:
“… Ma il lavoro, ci insegna Gesù, è un valore che è stato profanato dal peccato e
inquinato dall’egoismo e perciò, come ogni realtà umana, ha bisogno di essere
redento. Lo si deve riscattare dalla logica del profitto, dalla mancanza di solidarietà,
dalla smania di guadagnare sempre di più, dalla voglia di accumulare e di
consumare. … Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi si perde o
rovina se stesso ? (Lc 9,25). Il divin Lavoratore di Nazaret ci ricorda che “la vita
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vale più del cibo” (Lc 12,23) e che il lavoro è per l’uomo, non l’uomo per il lavoro.
Ciò che fa grande una vita non è l’entità del guadagno né la quantità dei consumi, né
il tipo di professione o il livello della carriera. L’uomo vale infinitamente più dei beni
che produce o possiede. Non si deve mai vivere per lavorare; si deve piuttosto
lavorare per vivere e far vivere”.
Vengono alla mente i giovani arricchiti del nord a cui il lavoro non manca, ma per i
quali occorre rimettere al centro del lavoro la vita e non la facilità del guadagno, la
fraternità e non l’individualismo. I rapporti di reciprocità potrebbero in questo
costituire una grande opportunità educativa.
Una proposta educativa:
da individui a cittadini
Dobbiamo fare i conti con quella che possiamo chiamare l’ ideologia
dell’individualismo che oggi tutti, in particolare i giovani, respiriamo a pieni
polmoni.
“L'individuo è il peggior nemico del cittadino” diceva Tocqueville. Il nostro impegno
di evangelizzazione mira a formare dei cittadini consapevoli.
Nel documento della commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro dal
titolo: Le comunità cristiane educano al sociale e al politico al n. 4: “ Per una
evangelizzazione integrale occorre educare cristiani che sappiano essere cittadini
consapevoli e attivi, che sul territorio facciano la loro parte e non subiscano
passivamente gli avvenimenti; lavoratori coscienti e non solo dipendenti; intellettuali
che non vivano le loro competenze chiusi nelle élite culturali, ma sappiano portare
energie alla ricerca di un futuro umanizzato; politici non più maestri di tattiche e
strategie estranee alla gente, ma che riscoprano idealità e competenze per la
costruzione del bene comune che è nelle aspirazioni profonde di tutti”.
Mentre l'individuo tende a mostrarsi freddo, scettico o diffidente nei confronti della
“causa comune”, del “bene comune”, della “società giusta”, il cittadino ricerca il
proprio benessere attraverso il benessere della collettività, della città .
La cultura della solidarietà
Alla cultura che spinge verso l’individualismo siamo chiamati a contrappone la
cultura della solidarietà e del “lavorare insieme”. Ciò vale dentro gli uffici e le
associazioni, ciò vale per la collaborazione fra gli uffici e le associazioni.
Quali sono i pilastri su cui si fonda la cultura della solidarietà nel Progetto Policoro?
Il territorio
Cosa è il territorio?
È una zona dove abita una determinata popolazione che ha una cultura, delle
tradizioni, una lingua, una storia.
È un paesaggio dai connotati fisici, biologici e sociologici.
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È un luogo che comprende più luoghi di vita.
È uno spazio nel e sul quale si svolge la vita.
È un luogo teologico perché è il luogo dell' incarnazione.
Il territorio come:
luogo dell' uomo concreto che nasce, cresce e muore.
vita comune, associata, vissuta insieme ad altri.
opportunità e sfida.
Il territorio è una realtà complessa e articolata. È un «luogo» e uno «spazio» che
interpella la comunità cristiana, ma nello stesso tempo è un «luogo» e uno «spazio»
che è costantemente interpellato dalla comunità cristiana.
Il territorio è formato da strade e le strade sono «luoghi» e «spazi» aperti a tutti.
Il lavorare insieme
La rete è lo strumento indispensabile per una pesca fruttuosa.
Come i figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, in queste giornate vogliamo
“riassettare la rete” sostare cioè insieme, animatori di comunità, direttori di uffici
diocesani della Pastorale giovani, della Caritas, dei problemi sociali e il lavoro, tutor,
per verificare lo stato di salute della “rete”, cioè dello strumento che in questi anni ci
siamo dati come Progetto Policoro per una più incisiva azione di evangelizzazione e
promozione umana.
La rete che è fatta di nodi, di fili, di corde, deve essere costantemente controllata dai
pescatori per evitare che vi siano dei nodi che cedono, dei fili che non collegano,
delle corde che non tengono.
L’immagine della rete esprime con efficacia un modello nuovo ed inedito di azione
pastorale che il Progetto Policoro ha inserito nel cammino della Chiesa Italiana.
I nodi rappresentano le singole realtà (i tre uffici diocesani, le associazioni) con le
loro caratteristiche e le loro specificità;
i fili che collegano i nodi, le indispensabili relazioni reciproche;
le corde, che collegano insieme e permettono alla rete di distendersi, di chiudere, di
pescare, la progettualità comune che esprime l’animatore di comunità.
Sostare per “riassettare la rete” è il compito di queste giornate insieme.
Occorre porci alcune domande.
Qual è lo stato di salute dei nodi ?
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Esistono i direttori degli uffici (Pastorale giovanile, caritas, Problemi sociali e il
lavoro) in ogni diocesi ? Quanto tempo dedicano all’ufficio ? Conoscono il Progetto
Policoro ? Quanto tempo vi dedicano ?
Qual è il coinvolgimento e il contributo delle associazioni ?
“Riassettare la rete” vuol dire chiederci quali tipo di relazioni intercorrono fra i vari
soggetti ora ricordati. Quale tipo di relazione e di comunicazione fra gli uffici ? Quale
programmazione insieme ?
Come i progetti dei singoli uffici e delle associazioni tengono conto del Progetto
Policoro ?
Le corde tengono? Come il tutor e i responsabili degli uffici e delle filiere
accompagnano l’animatore di comunità ? Quale progettualità comune ? Quale
sostegno personale e alla realizzazione del Progetto ? Quale formazione ? Quale
condivisione di responsabilità e di accompagnamento nella creazione dei vecchi e
nuovi gesti concreti ? Quale rapporto con le altre diocesi della regione ? Quali
iniziative per la reciprocità con regioni e diocesi del Nord ?
La sussidiarietà
Il termine sussidiarietà deriva dal latino subsidium che nella terminologia militare
romana indicava le truppe di riserva che stavano oltre il fronte e che erano pronte ad
intervenire in aiuto a chi conduceva la battaglia sul campo. La sua formulazione
moderna si trova nella dottrina sociale della Chiesa per definire i rapporti fra stato e
società. In sostanza afferma che lo stato non deve fare di più, ma neanche di meno di
ciò che può fare il singolo, la famiglia, le associazioni (i corpi intermedi). Nella
quadragesimo anno di Pio XI è così definita:”siccome è illecito togliere agli individui
ciò che essi possono compiere con le loro forze e l’industria propria per affidarlo
alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che
dalle minori comunità si può fare”. Ed è questo insieme un grave danno e uno
sconvolgimento del retto ordine della società, perché l’oggetto naturale di qualsiasi
intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra
del corpo sociale, non già di distruggerle ed assorbirle” (n.80).
Nella Centesimus annus si riprende il tema della sussidiarietà:” una società di ordine
superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore,
privandola di competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e
aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista
del bene comune” (48).
Oggi si parla di sussidiarietà orizzontale e verticale.
Applicando questo principio al nostro progetto, si può parlare di sussidiarietà
orizzontale fra i soggetti che collaborano al Progetto Policoro in una stessa diocesi; di
verticale nel rapporto fra diocesi, coordinamento regionale, segreteria nazionale.
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La reciprocità
“Il paese non crescerà se non insieme”. Con questa affermazione del documento La
chiesa italiana e le prospettive del paese si apriva il documento su Chiesa e
Mezzogiorno.
Un metodo per “riassettare la rete”:
le 7 «C» della collaborazione:
1. la prima «C»,la COMUNIONE.
La comunione è unità nella diversità. La comunione nasce dall' incontro di posizioni
diverse, attorno ai principi condivisi e a bisogni concreti ed esigenze reali.
Lo stile di comunione spinge a concentrarsi sui punti d'incontro e di convergenza, ad
una progettualità comune.
2. La seconda «C» la CO-PRESENZA
Co-presenza sottolinea il valore di essere presenti nella programmazione e
realizzazione del progetto. Significa scegliere di non stare «fuori» delegando ad altri;
di non stare «contro», ma di “esserci”.
3. La terza «C» la CORRESPONSABILITÀ
E’ la condivisione della responsabilità del progetto, delle gioie e delle fatiche,
consiste nel mettersi in gioco.
4. La quarta «C» è la COMPLEMENTARITÀ
La complementarità fa vivere la bellezza dell' incastro e dell' essere necessari l'uno
all'altro; è nemica della concorrenza e della competizione. La complementarità è
disponibilità a completare e a farsi completare: l'uno completa l'altro per il bene
comune.
5. La quinta «C» è la COMUNICAZIONE
Educarsi a far girare le informazioni. Educare al feed back e al «doppio senso di
marcia della comunicazione»: io a te... tu a me... fino a fare il noi.
6. La sesta «C» è la CONDIVISIONE
Lo stile della condivisione fa vivere l'avventura dello “stare con”, esprime comunione
e partecipazione e lentamente fa spostare sull' essere «per».
7. La settima «C» è la COMPASSIONE
Lo stile della com-passione spinge a vivere ogni cosa con pathos: fa vivere coinvolti
nella vita e nella storia dell'altro, del proprio territorio e del mondo intero.
La compassione spinge a vivere con pathos ciò che si è, ogni cosa che si ha e ogni
cosa che si fa.
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La compassione si concretizza nell' empatia: nella capacità di ascolto dell' altro fino a
immedesimarsi nell' altro; nella capacità di comprendere ciò che l'altro vive, sente,
prova; nella capacità di distaccarsi dal proprio modo di vedere per immergersi nel
mondo soggettivo dell'altro. È la capacità di mettersi al posto dell' altro per vedere il
mondo con i suoi occhi.
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