Materiale didattico

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ALLEGATO V:
Schema concettuale di C. MELZI, Antropologia Pedagogica, a cura di G. U. Cavallera, Pensa
MultiMedia, Lecce, 20081
Il volume di Costantino Melzi, Antropologia Pedagogica (1899), è un documento
estremamente interessante sia per le riflessioni che manifesta sul significato e sullo sviluppo della
pedagogia scientifica. Dedicato a Giuseppe Sergi e a Tullo Cantoni, al primo come riferimento
scientifico e al secondo per gli aiuti ricevuti per la concreta nascita del I Gabinetto italiano di
Antropologia pedagogica istituito dallo stesso Melzi in Arona.
. La Prefazione, datata Roma 1899, è del Sergi ed esprime molto bene il significato della
positivistica pedagogia scientifica.
Sergi, dopo aver ricordato che esiste nella Penisola una gloriosa storia della direzione
razionale dell’educazione che risale almeno a Vittorino da Feltre, annota, con una punta di
amarezza, che la pedagogia scientifica al presente ha svolto e svolge un ruolo teorico importante,
ma non ha una vera e propria attuazione. Sergi sottolinea che compito della scuola, dell’attività
educativa, come va cercando di fare il Melzi nel suo istituto, è di prendere in considerazione, per
ogni alunno, «le individualità umane con tutte le tendenze latenti al bene e al male, con le
potenzialità dormienti, o deste in parte che servono a formare intelligenze comuni o superiori». E
tutto questo va fatto utilizzando l’approccio scientifico elaborato nel corso degli anni dalla
pedagogia moderna – che è quella positivista -, in modo da contribuire non solo alla piena
affermazione del singolo, ma allo stesso miglioramento sociale. Ciò che Sergi auspica è, quindi, una
pratica educativa illuminata dalla riflessione scientifica e al tempo stesso attenta alla concreta natura
del soggetto da educare.
Tale, d’altronde, per lo studioso italiano, è l’impostazione educativa presente nello spirito del
tempo e nelle più importanti nazioni dell’Occidente.
La breve Prefazione di Sergi è significativa per il ruolo che lo studioso ricopre in Italia.
Giuseppe Sergi nasce a Messina il 20 marzo 1841. Da garibaldino partecipa alla battaglia di
Milazzo; successivamente è professore di filosofia nei licei. Dopo aver scritto un interessante
volume in cui riconsidera la filosofia presocratica, si occupa, tra i primi in Italia, di psicologia in
una prospettiva fisio-evoluzionista scrivendo numerosi volumi che hanno non poca eco in Italia e
all’estero. Nel 1876 non esita a chiedere al ministro della Pubblica Istruzione l’istituzione di una
cattedra di Psicologia nelle università e nella secondaria superiore. L’attenzione alla psicologia
scientifica è netta, con una precisa separazione da ogni aspetto di natura metafisica. Ciò non
Si sono qui riportate le parti più significative dell’introduzione al volume stilata da G. U. Cavallera. Per un maggiore
approfondimento è richiesta la lettura integrale del testo.
1
I
nasconde un più vasto interesse antropologico. Per Sergi si può giungere alla conoscenza dell’uomo
«studiandolo nel suo sviluppo storico, e nel suo sviluppo di età, e nel suo sviluppo nella natura di
cui è parte essenziale. Lo studio e la ricerca di questi tre elementi sono oggetto di tutta la scienza
antropologica». Lo studioso si interessa altresì di pedagogia, collegandola con la psicologia e
l’antropologia. Nel 1879 è professore incaricato di Filosofia teoretica presso l’Accademia
Scientifico-Letteraria di Milano. Nel 1880 è professore incaricato di Antropologia all’Università di
Bologna. Nel 1883 diventa ordinario di Antropologia e nel 1884 si trasferisce da Bologna a Roma.
In tale Università fonda, nel 1889 il primo Laboratorio italiano di Psicologia sperimentale, quindi la
“Società Romana d’Antropologia” e la «Rivista Italiana di Sociologia». Notevole la sua produzione
scientifica sulle origini e razze umane. Muore a Roma il 17 ottobre 1936. Di Sergi scrive Giuseppe
Montesano (1868-1951), già suo collaboratore e allora direttore della Scuola Ortofrenica di Roma,
che ne ricorda i benifici che dalle sue ricerche ha tratto l’ortofrenia, cioè l’educazione e l’istruzione
dei soggetti anormali psichici, come alle sue tesi si sono informati i programmi delle scuole
magistrali ortofreniche.
La questione, assai dibattuta a fine secolo, dei soggetti anormali comporta, appunto, la
necessità, fondamentale per Costantino Melzi, ma certo non solo per lui, di una conoscenza esatta
della natura del fanciullo per poter prevenire o correggere secondo i bisogni, nell’esigenza di una
sana crescita della persona. Di qui la fiducia nel contributo positivo di un gabinetto di antropologia
pedagogica.
Su questo insiste per primo in Italia Giuseppe Sergi come emerge da Educazione e
istruzione (1895), che raccoglie scritti precedenti. Sergi aggiunge che l’esperienza di ogni istitutore
è semplicemente empirica, mentre quella di coloro che scrivono dei trattati rischia di essere un
prodotto fantastico… Occorre, pertanto, sostituire alle osservazioni empiriche un metodo razionale.
Per fondarlo, continua Sergi, bisogna rendersi conto che la diversità delle tendenze umane e
delle manifestazioni intellettive e volitive nasconde il fondo comune che gli uomini hanno tra loro.
Ne segue che la pedagogia scientifica può ricavare i dati necessari per una corretta applicazione
solo dall’analisi individuale dei fanciulli. «Fin dal 1885 io proposi che si raccogliessero nelle scuole
i dati elementari che potessero servire come base alla pedagogia scientifica, per mezzo di
osservazioni registrate in una cartella di scuola,l nella stessa cartella, cioè, che viene adoperata nelle
classi, e che io denominai Carta biografica. In quell’epoca […] nessuno era preparato, e la carta
biografica fu poco discussa, e in parte combattuta; ma ora, da parecchi mesi, è divenuta intelligibile
[...] e quindi, spero, prossimo ad entrare nel campo pratico. La Carta biografica si compone […] di
due tabelle2, una per le osservazioni fisiche, e l’altra per le psicologiche, comprese quelle degli
organi sensori. Ogni tabella comprende due divisioni, perché le osservazioni devono essere fatte
2
Riportate in appendice al volume.
II
all’entrata e all’uscita dalla classe di ogni alunno, cominciando possibilmente dai giardini di
infanzia, a tutte le elementari, e se, fosse anche possibile, fino a tutte le classi dell’insegnamento
secondario e tecnico [...]. La carta biografica è un mezzo metodico di osservazioni dirette a
conoscere il corpo e lo spirito del discente; e un primo vantaggio dell’applicazione sarebbe che
l’educatore verrebbe a sapere i dati fisici e mentali di ciascuno dei suoi alunni e sperimentalmente, e
registrandoli nella cartella di scuola e nel suo memoriale giornaliero, acquisterebbe una tale
cognizione della natura infantile, delle sue forze e del modo di esplicarsi, da potere educare e
dirigere razionalmente e con minor fatica i suoi alunni». Attraverso la carta biografica si fa così luce
l’idea di una conoscenza delle natura del soggetto educando considerato nella sua evoluzione sì da
poter essere non solo meglio conosciuto, ma meglio guidato. È un’idea che si concretizzerà più
volte nella scuola italiana del Novecento, fino alla scheda scolastica e al portfolio elaborato nel XXI
secolo.
Sergi spiega chiaramente come un nuovo maestro, per il tramite della carta biografica avrebbe
piena conoscenza dell’allievo e potrebbe correggere i difetti, più di quanto possano fare i genitori,
con i quali, tuttavia, instaurare adeguati rapporti per informarli. In ciò sarebbe appunto l’inizio di
una vera pedagogia scientifica, che non esclude, anzi include, per l’antropologo di Messina, i
caratteri etnici fondamentali per meglio conoscere i soggetti. «Siccome l’indice cefalico e il
facciale3, la colorazione della pelle e dei capelli e degli occhi, sono caratteri fisici di razza, se non
tutti, in parte essi ci daranno un indizio dei diversi elementi etnici che abbiamo nella scuola. E
Siccome accanto ai caratteri fisici si trovano i psicologici, con qualche sicurezza si può conoscere,
quando i dati siano numerosi, se e quanta variazione vi sia nello sviluppo e nelle manifestazioni
psicologiche delle diverse razze che compongono la popolazione. Sergi è chiaramente legato alla
tesi positivista che ad ogni etnia corrispondano caratteri peculiari.
Ebbene, Melzi ad Arona non solo realizza il progetto di Sergi, ma ne spiega con chiarezza la
genesi e la realizzazione, sì che il suo volume è un documento fondamentale per comprendere
un’importante scuola di pensiero.
L’illustrazione di Melzi, molto documentata, potrebbe essere compendiata in tre punti
essenziali, ricchi al loro interno di ulteriori ramificazioni concettuali. 1° il significato raggiunto
dall’evoluzione della pedagogia scientifica; 2° il funzionamento del gabinetto di Antropologia
pedagogica di Arona; 3° questioni specifiche, quali l’educazione sessuale e la fatica del cervello.
Il primo punto è un po’ la storia del movimento della pedagogia scientifica e positiva, di cui
Melzi è un sostenitore e si concentra nei primi due capitoli. Il punto di partenza, anzi di svolta
3
Per Sergi l’ Indice cefalico è dato dalla larghezza x 100 e l’Indice facciale dall’altezza x 100
lunghezza
larghezza
III
rispetto al vecchio empirismo ascientifico, è dipeso dall’affermazione della scienza sociale o
sociologia. L’obiettivo sembrava già definito.
«La scuola si adattò alle esigenze nuove che le si imponevano, e al sapere strumentale e meccanico,
aggiunse il sapere reale, trasfuso nelle giovani intelligenze con metodi razionali, per formare nel
piccolo uomo l’abito di concepire il vero, di sentire il bello e di amare il buono». Se non che,
precisa Melzi ricordando Aristide Gabelli, una civiltà non si improvvisa e, di là da un generico
consenso, non si è davvero attuata la riforma del metodo d’insegnamento, metodo, basato sul
provare e riprovare, che deve essere applicato a scienze quali la psicologia, la morale, la pedagogia.
Così Melzi, che cita Spencer, Ardigò, Angiulli, De Dominicis, i programmi del 1888 per le scuole
elementari redatti da Gabelli, spiega che «oggi non si comprende la scuola che non prepari alla vita,
che non sia un tirocinio della ragione; e lo spirito d’osservazione, che, con frase indovinata, fu detto
la leva nel campo scientifico, è base dell’insegnamento, il quale mira all’alto scopo di avviare
l’alunno a leggere nel gran libro della natura, a conoscere le leggi che governano il mondo fisico e
morale. I libri non sono altro che un mezzo indiretto per imparare, quando i mezzi diretti ci
manchino. Gli educatori debbono convincersi che è meglio vedere coi proprii occhi, anziché con
quelli degli altri, siano pure di vista più acuta dei nostri». L’influsso metodologico del Gabelli è
evidente: scrive questi, infatti, in un articolo del 1888: «La scuola dovrebbe consistere in un
continuo e svariato esercizio di osservare, di parlare, di scrivere, di conteggiare a memoria, di
misurare, di disegnare in cui l’alunno traesse quanto più è possibile dalla esperienza sua propria e
dalla propria riflessione, o, se meglio piace, una specie di officina, dove gli scolari lavorassero ora
collettivamente, ora ciascuno per sé, a modo di operai sotto la vigilanza e la guida del loro capo».
Da parte sua, Melzi non esita ad affermare che l’istruzione deve essere educativa e formare, di
conseguenza, gli abiti mentali e morali. Ne segue l’esaltazione della cultura scientifica. «La coltura
scientifica è indispensabile a tutti, dal primo uomo di stato al più umile degli industriali, ma in
modo speciale a chi intende all’educazione della gioventù, che si deve preparare alla lotta per la
vita. La conoscenza dell’uomo fisico e morale deve costituire la base della coltura dell’educatore».
Ciò implica che gli educatori devono essere esperti della psicologia positiva, come ribadisce
Sergi, ma ciò non avviene. Ed ecco che “la nuova scuola” deve badare alla concretezza, liberandosi
dalla tradizione, dal dogmatismo, da quell’astratto idealismo che aprioristicamente ha parlato di una
pretesa eguaglianza spirituale prescindendo dalle analisi concrete dei singoli casi umani. Si
riaffaccia altresì lo spirito anticlericale contro la realtà dei collegi entro cui vigeva un eccessivo
autoritarismo. Al contrario la scuola rinnovata deve ispirarsi ai princìpi della filosofia positiva
fecondata dalla legge dell’evoluzione.
IV
Tutto il discorso di Melzi è, come si vede, impostato su una salda accettazione dei princìpi
positivisti, ancorati all’evoluzionismo di Spencer, con una forte attenzione, però, sulla concretezza
metodologica e un rifiuto di ogni vuota retorica, che lo spinge a individuare con precisione alcuni
limiti dell’organismo scolastico. «Poche norme imparaticce studiate sui libri (non sempre i migliori)
costituiscono, per buona parte di insegnanti, le cognizioni del metodo e le basi dei processi didattici.
Noi ci siamo così formato un tipo di scolaro che in natura non esiste». Al contrario, prosegue Melzi,
considerato che la scuola deve in primo luogo formare il carattere, bisogna chiarire che raggiungere
tale obiettivo non sono sufficienti le cognizioni scientifiche e letterarie. A tal proposito l’autore,
citando Saverio De Dominicis, ma serbando impliciti gli scritti psicologici e pedagogici di Sergi,
afferma che «il carattere ha le sue profonde radici nella compagine organica, quindi è di natura
molto complessa, e la sua educazione dipende assolutamente da cognizioni fisiche e psichiche,
richiedendo esso lo svolgimento armonico e progressivo del corpo e dell’intelligenza, dei sentimenti
e della volontà. Il carattere è azione coerente al pensiero; il sentimento è dinamica della psiche, il
quale spinge ad operare secondo un principio di ragione, non assoluto, ma relativo e dedotto
dall’esperienza. Nei fenomeni morali, dunque, hanno il primo posto i sentimenti, le emozioni». Il
richiamo alle emozioni sembrerebbe aprire per un attimo lo spazio dell’immaginario, tanto più che
qualche riga dopo Melzi puntualizza che è un grave errore confondere i fenomeni emotivi con quelli
intellettuali, ma è chiaro che per lo studioso di Arona, da buon positivista, le emozioni, i sentimenti
hanno le loro radici nel substrato biologico, quindi nei bisogni e negli istinti e, pertanto, nei
movimenti. Emerge lo scientismo naturalistico di matrice biologica di cui è intrisa la psicologia di
Sergi, che è stato il caposcuola della psicologia scientifica italiana.
Per Sergi, i sentimenti, tra cui i principali sono il dolore e il piacere, «sono le alterazioni delle
funzioni della vita organica, rese coscienti per le vie cerebrali, dominate da un centro encefalico,
centro dei centri d’origine dei nervi che regolano le funzioni vitali, la midolla allungata». Dal dolore
e dal piacere derivano forme emozionali come paura, terrore, gioia, allegrezza, e quindi ira, odio,
amore, tenerezza. Ma se il dolore e il piacere hanno una localizzazione fisica, le emozioni vere e
proprie riguardano, pur scaturite da effetti fisici, la dimensione psichica ed hanno una loro
caratterizzazione. Se il suo riferimento al campo intellettivo e ideale fa intravedere lo spazio
dell’immaginario, il discorso è comunque sempre ricondotto alle radici, per così dire, fisiologiche
dei sentimenti.
In tal modo, in Melzi, l’attenzione al vissuto, al concreto, propria dell’educatore, si coniuga
con la conoscenza biologica e fisiologica. Riferendosi alle Linee di Pedagogia elementare del De
Dominicis, Melzi afferma: «Scopo precipuo e diretto della Pedagogia associata all’Antropologia è
quello di osservare l’uomo in formazione, scoprirne le tendenze buone e cattive, le leggi di
V
svolgimento, i rapporti intimi delle varie potenze, le virtualità latenti delle medesime, i fenomeni
atavici ed ereditari, non che gli effetti degli agenti esterni, perché l’educatore mantenga l’attività
psichica in condizioni proporzionali e proporzionate all’attività fisiologica». Le emozioni sono,
quindi, in rapporto alle forze organiche, «giacché la psiche è funzione dell’organismo,
principalmente del cervello». Ad esempio, continua Melzi, un anemico ha percezione debole e
fiacchezza di spirito, pertanto non può competere con un coetaneo di sana e normale costituzione
psico-fisica. La scuola dovrebbe tener presente la struttura psichica e fisica degli alunni e non
trattarli tutti allo stesso modo.
Nell’illustrazione del Melzi si manifesta tutta la complessità della pedagogia scientifica
positivista, per tanti aspetti, a fine secolo, determinata dall’antropologia del Lombroso. Da un lato,
essa sottolinea come ogni alunno è quello che è per sé stesso e la scuola non può, per bene educare,
ignorare le diversità che possono essere sessuali, fisiologiche, economiche, culturali e così via,
dall’altro, riconduce il tutto ad una datità materiale, con il rischio del determinismo. Melzi giudica
opportuno, diversamente da quanto ritengono gli hegeliani «dalla vista corta», che i bambini
vengano pesati, che ci si informi sulla loro nutrizione, sulla loro condizione sociale ecc. per poterli
meglio educare. Il discorso pedagogico deve pertanto essere strettamente ancorato a quello
antropologico, altrimenti «la scuola senza questa condizione potrà erudire le menti, non formarle;
farà degli atleti, non degli uomini sani; dei cialtroni, non mai dei ragionatori; degli sfruttatori e dei
furbi matricolati; non già degli uomini onesti, dei cittadini probi, degli uomini di carattere».
Nell’azione educativa sono erronei sia l’empirismo sia l’idealismo; occorre che vi sia un’analisi
minuziosa da cui derivare le leggi dell’insegnamento, sicché ogni educatore prima di una un
pedagogista deve possedere le competenze di un antropologo dell’infanzia.
Di qui lo scopo generale delle ricerche antropologiche applicate all’educazione che Melzi
ricava dal volume Antropologia e Pedagogia di Paolo Riccardi: «1° Osservare le leggi di
accrescimento, di sviluppo normale e anormale nell’organismo degli scolari; 2° Ricercare a grandi
linee le leggi etniche e i caratteri etnici della razza e della varietà; 3° Da quelle e da queste leggi
dedurre il grado individuale e complessivo di robustezza e resistenza fisica e di plasticità psichica e
morale, avendo sempre l’occhio ai fenomeni atavici ed ereditari». Tali princìpi sono presenti nel suo
Gabinetto di Antropologia Pedagogica.
Melzi è è un sostenitore convinto di quella pedagogia scientifica che, sorta in Italia con
Angiulli e Siciliani e arricchita dalle analisi di Spencer e Ribot, si é gradualmente commista alle tesi
antropologiche di Sergi e Lombroso. In qualche modo, del resto, proprio l’antropologia e la
psicologia fisiologica possono consentire che il discorso positivista, ancora fortemente teoretico in
Fusco, Angiulli e Siciliani, prevalentemente didattico e metodico in Gabelli, assuma una
VI
dimensione che possa sembrare indubitabilmente scientifica. Vero è che l’incontro, senza dubbio
fausto e necessario per Melzi come per buona parte della cultura del tempo, malgrado la presenza di
spiritualisti e di hegeliani, i quali ultimi, di là a non molto, con l’inizio del nuovo secolo avrebbero
guadagnato sempre più consenso, non sarebbe stato infecondo non solo per una effettiva attenzione
agli “anormali” (basti considerare gli studi di Sante De Sanctis e poi quelli della Montessori, allieva
di Sergi), ma altresì per il senso di riorganizzazione e di efficienza del mondo della scuola. Il
Gabinetto del Melzi ne è un esempio.
Melzi, prima di illustrare la struttura e la metodologia del Gabinetto, ne ricostruisce
brevemente le vicende che hanno condotto alla sua istituzione. Ricorda che, quando era maestro
assistente nel R. Istituto dei Sordomuti di Milano, aveva pensato di raccogliere delle osservazioni
antropologiche sui sordomuti e si rivolse, per trarre utili indicazioni sull’argomento, al prof.
Nicolussi, ma dalla collaborazione non era sortita alcuna pubblicazione. Il prof. Sergi fu il primo in
Italia che volse l’Antropologia all’educazione col proporre fin dal 1886 la Carta Biografica per le
scuole. La lettura è determinante per il Melzi, che, da buon materialista, giudica fondamentale,
all’interno dell’antropologia, l’antropometria, già promossa dall’antropologo belga Quételet4, volta
alle misurazioni del corpo umano per ricavarne utili indicazioni non solo intorno alla crescita psicofisica, ma ai necessari interventi per un miglioramento del soggetto umano.
Melzi, convinto che la pedagogia dovrebbe nella scuola studiare e osservare gli scolari come
capita, in medicina, per clinica che osserva gli ammalati, riesce ad istituire ad Arona il Gabinetto di
Antropologia Pedagogica che viene inaugurato il 20 ottobre 1897. Tra le numerose adesioni
all’iniziativa Melzi riporta quelle di alcuni illustri positivisti: Cesare Lombroso5, Paolo Mantegazza6
ed Enrico Morselli7. E si felicita naturalmente Giuseppe Sergi che rammenta che tali gabinetti sono
già presenti negli Stati Uniti, in una proficua collaborazione tra università e scuole come avviene
nell’Università di Worcester ad opera del prof. Stanley Hall 8, né mancano nell’America del sud e
nel Regno Unito.
Melzi, dopo aver ribadito che «lo scopo del Gabinetto di Antropologia
pedagogica è quello appunto di ordinare una serie di osservazioni e di esperienze nella scuola, dove
4
Adolphe Quételet (1796-1864) fu un noto matematico, astronomo e statistico belga. Fondatore e direttore
dell’Osservatorio astronomico di Bruxelles, viene ritenuto uno fondatori della statistica moderna, sostenendo che
l’umanità è sottoposta a regole simili a quelle fisiche e, pertanto, denominò l’insieme di tali regole fisica sociale.
5
Cesare Lombroso (1835-1909), professore di igiene Pubblica e Medicina Legale a Torino nel 1876, di Psichiatria nel
1896 e di Antropologia Criminale nel 1905, fu il fondatore della scuola di antropologia criminale ed ebbe fama
internazionale.
6
Paolo Mantegazza (1831-1910), professore di Patologia Generale a Pavia dal 1861 e dal 1870 di Antropologia a
Firenze, deputato e dal 1876 senatore del Regno, fu tra i fondatori dell’antropologia italiana.
7
Enrico Morselli (1852-1929), professore di Psichiatria a Torino e a Genova, fu promotore del rinnovamento degli
ospedali psichiatrici e si occupò anche di psicologia sperimentale, antropologia e metapsichica. Fu direttore dal 1881 al
1891 della «Rivista di Filosofia Scientifica».
8
Granville Stanley Hall (1846-1924), psicologo statunitense, fu uno dei seguaci più eminenti della psicologia
d’indirizzo evoluzionistico.
VII
si accolgono i “figli del popolo” – dando una larga importanza alle misure antropometriche, con le
quali stabilire la media dello sviluppo organico, in rapporto all’età, al sesso, alla regione, al
temperamento, alla condizione della famiglia, per poi poter operare in maniera educativamente
proficua, aggiunge che le osservazioni che si raccolgono, in apposite schede, nel gabinetto sono di
sue specie: «1° Osservazioni fisiologiche; 2° Osservazioni psicologiche. Le prime comprendono: a)
le misure antropometriche; b) l’esame degli organi dei sensi; c) la costituzione fisica e lo stato di
salute. Le seconde abbracciano: a) i fenomeni intellettuali; b) i fenomeni affettivi e morali, c) il
temperamento. A queste osservazioni fisio-psichiche fatte sugli alunni, si aggiungono quelle sullo
stato fisico intellettuale e morale della famiglia, per studiare le leggi dell’abitudine ereditaria,
organica, che è congenita, di fronte all’abitudine individuale, che è acquisita». Sono evidenti, nella
concezione del Melzi, non solo il retaggio della distinzione tra educazione fisica, intellettuale e
morale propria dello Spencer e assai accettata nella Penisola, ma la tesi che mentre l’ereditarietà ha
un peso rilevante sulla specie, il singolo individuo può acquisire differenti abitudini. In altri termini,
il lavoro dell’educatore, in questa impostazione, è scientifico in quanto individua le determinanti
dovute all’ereditarietà, all’ambiente e così via, ma conserva una sua forza innovativa in quanto deve
confrontarsi e sollecitare le caratteristiche individuali che possono essere non necessariamente
implicite nelle condizionanti ataviche e sociali. In questo spazio, ben precisato della conoscenza
antropologica, aiutata dall’antropometria, s’inserisce la capacità dell’educatore ed ha senso
peculiare la pedagogia.
Preziose, nel testo del Melzi, le carte che riportano il Registro antropologico, la Scheda
biografica, la Tavola comparativa e riassuntiva ecc. Sono documenti fondamentali, molto accurati e
per tanti aspetti significativi del sentire del tempo in cui sono stati composti. Melzi, per quello che
riguarda la scheda biografica, afferma di aver tenuto presenti l’Antropologia e Pedagogia di
Riccardi, la Carta Biografica di Sergi, gli Studi sui Romagnoli e sulle Romagnole di V. Vitali, le
memorie di un educatore di S. Giuffrida. Viene confermato il metodo sperimentale, composto da
quattro elementi: osservazione, esperimento, induzione e deduzione.
Melzi risponde inoltre a quattro obiezioni che potrebbero essergli mosse: complessità della
scheda, fenomeni affettivi e morali, suscettibilità dei parenti, notizie sulla famiglia. La prima
riguarderebbe la complessità della scheda a cui egli risponde che per ben compilarla occorrerebbe
conoscere le misure antropometriche. Alla seconda riguardante i fenomeni affettivi e morali, egli
spiega che la loro descrizione avverrebbe facendo proprio il metodo sperimentale. Se qualcuno poi,
e siamo alla terza obiezione, sollevasse la questione della suscettibilità che i parenti proverebbero
nel leggere la scheda, l’autore risponde che in essa non è indicato il nome e cognome dello studente,
bensì vi è un numero progressivo rispondente a quello dell’alunno sul registro dell’iscrizione, sicché
VIII
verrebbe mantenuta quella che oggi chiameremmo privacy. Alla quarta obiezione che sosterrebbe
che le notizie intorno alla famiglia dovrebbero precedere tutte le altre, Melzi precisa che «la
famiglia vien dopo come necessario complemento, inquantoché il fanciullo è un uomo in
formazione, epperò esso è un prodotto della natura e della storia. Come prodotto della natura
subisce la legge ereditaria e dell’atavismo, quindi la necessità che lo studio del soggetto si completi
collo studio della famiglia da cui proviene e di cui è parte naturale» Il che spiega come nell’autore
la dimensione naturale, biologica preceda quella sociale e comunque composita e storica, propria
della realtà familiare. Ciò lo spinge a puntualizzare l’attenzione sulla “materialità”, per così dire, del
soggetto. «È troppo chiaro che l’educatore, il quale intende allo sviluppo armonico di tutto l’uomo,
debba avere l’occhio anche al graduale sviluppo delle diverse parti del corpo, giacché se
l’esperienza secolare ha dimostrato vero l’aforisma “Mens sana in corpo [sic] sano”, oggi la scienza
antropologica ci afferma il fatto contrario “imbecillis mens in imbecillo corpore”».
Pagine interessanti sono poi dedicate alle anomalie di concetto e di linguaggio, alle voci e i
modi dialettali ed errati, agli errori comuni di ortografia e di grammatica, con conseguente
attenzione alla grafologia su cui si era soffermato il Lombroso.
Le tesi di quest’ultimo, come d’altronde quelle di Nordau9 e Sergi10, sulla ereditarietà e
atavicità delle forme criminali e degerative, sono presenti in Melzi, che si rende conto che esse,
nella loro pienezza, renderebbero inutile, anzi impossibile l’educazione. Come nemmeno reputa che
l’educazione possa tutto. Melzi, che esplicitamente accetta la mediazione operata da Pietro Siciliani
ne La scienza nell’educazione11, afferma che malgrado attualmente non si possa ignorare il peso
dell’ereditarietà, nulla esclude a priori che lo sviluppo della scienza pedagogica possa modificare in
positivo le realtà. Certo, a dire del Melzi, l’educazione non può tutto, ma se divenisse veramente
scientifica potrebbe non poco. «La conclusione è questa, che si devono iniziare e sistemare le
osservazioni antropologiche sui fanciulli e sui bambini ricorrendo, in modo speciale, al maestro e
alla maestra dell’Asilo e delle scuole Elementari, dove affluiscono i figli del povero, dell’agiato e
del ricco, e per ciò vi sono rappresentati tutti gli strati sociali. È appunto la psicologia del
degenerato o dell’anormale che deve gettare molta luce nella psicologia generale del bambino e
9
Max Simon Südfeld detto Max Nordau (1849-1923), medico e scrittore ungherese, fu autore di numerosi e noti saggi
contro la degenerazione del pensiero e dell’arte europea del tempo.
10
Sergi aveva sostenuto che le diseguaglianze tra gli uomini dipendono da elementi biologici, socio-culturali e dalla
stessa evoluzione organica, elementi che sono determinanti per la costituzione della realtà individuale sia nell’aspetto
degenerativo sia in quello evolutivo. «Dico che l’evoluzione avviene, tanto fisica nel senso di un perfezionamento delle
forme umane, e di attitudini acquistate per selezione e per uso degli organi, quanto psichica nelle funzioni generali e
speciali del cervello, sia come manifestazioni dei fenomeni intellettivi che degli emozionali» (G. SERGI, Le
degenerazioni umane, Dumolard, Milano 1889, pp. 12-13).
11
Scriveva, tra l’altro, Siciliani: «Si può dir che l’arte dell’educatore assomigli per più rispetti, chi ben guardi, all’arte
del medico. Vi somiglia sopra tutto per questo: che al pari dell’arte medica esercita anch’ella una duplice funzione:
igienica e terapeutica» (P. SICILIANI, La scienza nell’educazione, III ed., Pedagogia Teoretica, Zanichelli, Bologna
1884, p. 480).
IX
dell’adulto. La Pedagogia Antropologica non deve limitarsi ad osservare i fenomeni pato-psichici,
ma bensì anche le stimmate della degenerazione, quali sono la statura in eccesso o in difetto, le
deformità del corpo, la sproporzione fra la statura e la tesa , la posizione dei denti, la conformazione
e disposizione degli occhi e del padiglione dell’orecchio, le labbra leporine, la bocca deforme, le
pupille ineguali, le mandibole grosse, gli zigomi sporgenti, l’idrocefalia e va dicendo».
Sono le tesi del Lombroso che Melzi non rigetta, ma, facendole proprie, le propone come
superabili alla luce di rimedi di cui deve farsi portatrice l’azione dell’educatore rischiarata dalla luce
della pedagogia scientifica. In questo senso l’associazione tra antropologia e pedagogia darebbe
veramente luogo ad una educazione scientifica.
Melzi tende a connettere l’antropologia all’interno della pedagogia, sì da individuare una serie
di problemi (dalla sentimento dell’ordine ai rapporti tra sensibilità fisica e intelligenza, dal controllo
da parte dell’educazione sui fenomeni ereditari alle caratteristiche fisiologiche (ritardata dentizione,
ostruzione nasale, ecc.), dal collegamento tra profitto scolastico e intelligenza al ruolo dell’amor
proprio. Ne scaturisce il primato della pedagogica antropologica. La Pedagogia Antropologica deve
essere insomma una vera ominicoltura, la quale, con la scorta delle scienze positive, e specialmente
della Fisiologia associata alla Psicologia e all’Antropologia, deve attenuare, se non vincere, le forze
occulti e potenti dell’eredità e dell’atavismo, rendendo l’uomo più libero di sé medesimo, col
sottrarlo all’impero di brutali passioni. Si tratta, allora, della formazione del carattere, che Melzi
vede delineato da un elemento fondamentale, che è quello ereditario, e da uno avventizio, legato
alle vicende della vita e che pertanto può modificare quello ereditario. Di qui l’importanza e il
ruolo dell’educazione.
L’antropometria avrebbe così il compito di agevolare la conoscenza dei soggetti attraverso
metodologie scientifiche che si giovano di particolari strumenti. L’antropometro, che consiste in
una base orizzontale di legno, su cui si eleva un’asta d’acciaio divisa in millimetri, serve a misurare
la statura. Melzi suggerisce che quando la si misura il soggetto deve essere diritto e tranquillo, e la
misurazione deve avvenire di mattina quando l’individuo non è affaticato. La conoscenza della
statura, che varia secondo l’età, il senso, il luogo, l’intelligenza e così via, è anche utile a
provvedere per la presenza, in classe, di banchi adeguati che evitino lo sviluppo di scoliosi, cifosi,
lordosi. Se un alunno presenta un’altezza di molto inferiore o superiore alla media dell’età, il
maestro deve limitare il lavoro intellettuale e favorire la vita all’aria aperta. Altre osservazioni
riguardano il fatto che le donne, per quanto riguarda l’altezza, sono più precoci degli uomini; che
l’eccessiva tensione mentale rallenta la crescita fisica; che chi cresce troppo in fretta è esposto alla
magrezza e alla debolezza. Il doppio metro di legno serve a misurare la grande apertura di braccia, o
tesa. Quest’ultima dipende dalla razza e dall’etnografia. In ogni caso l’apertura delle braccia è bene
X
che sia inferiore alla statura. Le esagerazioni corrispondono a deficienza di facoltà e a istinti
egoistici. La bascule serve a misurare il peso del corpo. Una carenza di peso, oltre ad indicare
particolari sofferenze, non giova all’energia e all’attività intellettuali. Molte volte, nota Melzi, la
cattiva nutrizione è collegata a difficoltà economiche familiari. Lo spirometro serve a misurare
l’elasticità e la capacità aerea degli organi respiratori. La capacità polmonare della donna è
solitamente inferiore a quella maschile. L’educazione fisica deve servire a irrobustire i muscoli
toracici. Da condannare gli esercizi fisici nei banchi, mentre devono essere favoriti la ginnastica
fuori classe, il nuoto, il pattinaggio, le passeggiate, tutte le attività all’aria aperta. Melzi illustra con
cura gli strumenti gli strumenti che giudica importanti e che devono essere presenti in ogni
Gabinetto di antropologia pedagogica. La fettuccia metrica di pelle misura il perimetro toracico. Va
fatta passare intorno al torace al livello del capezzolo delle due mammelle. Al di dietro la fettuccia
deve incrociare gli assi degli omoplati. L’operazione è da eseguire a petto nudo. Occorre favorire
l’irrobustimento del torace soprattutto nell’età della pubertà. Il dinamometro serve a conoscere la
forza muscolare di compressione e di trazione. Tale forza va misurata più volte nello stesso giorno,
prima e dopo un lavoro fisico o intellettuale. L’apparecchio consiste in una ellissi di acciaio, che
riporta, nella parte più stretta, i chilogrammi di forza prodotta. Attraverso l’uso del dinamometro si
possono inoltre osservare il destrismo, l’ambidestrismo, il mancinismo. Malgrado Melzi dichiari
che, nell’economia della vita, la mano sinistra vale quanto la mano destra e deve pertanto essere
adeguatamente addestrata poiché è più debole della mano destra in quanto meno irrorata di corrente
sanguigna, egli ritiene che occorre correggere il mancinismo. Occorre ricordarsi che pensiero e
sentimenti non sono solo funzioni del cervello, ma di tutto il tessuto organico. La circonferenza
cranica è misurata dalla fettuccia metrica di acciaio. Un cranio non corrispondente alla media può
essere indizio di ritardo nello sviluppo encefalico o di idrocefalia. Il diametro del cranio si misura o
col quadrato a massima di Broca o col goniometro, preferito da Melzi perché più pratico e preciso.
L’autore tiene presente gli indici cefalici riportati nella Antropologia di Giovanni Canestrini12 e
rileva, riprendendo Sergi, che l’indice cefalico può servire a illustrare i caratteri etnici e di razza.
L’italiano è una somma di caratteristiche etniche. Come scrive Sergi in Arii e Italici13, precisa
Melzi, nell’Italia del Nord prevale il tipo celtico più adatto alla vita e al dinamismo sociale;
nell’Italia del Sud prevale il tipo mediterraneo, più vivace, più individualista, più geniale. «Ora
presso queste due razze alle quali si riducono le diverse forme etnografiche del popolo italiano,
l’educazione, proponendosi di conseguire il medesimo fine, deve far capo a mezzi differenti: dove
la fantasia è accesa, la riflessione deve far sentire la sua influenza; il sentimento egoistico
12
Giovanni Canestrini (1835-1900), zoologo, professore a Modena e a Padova, tradusse in italiano le opere di Charles
Darwin.
13
G. SERGI, Arii e Italici, Bocca, Torino 1898.
XI
dell’individualismo vuole essere corretto ed elevato coll’innesto altruistico della socievolezza,
mantenendo sempre vivo il carattere di nazionalità, il quale è fusione di elementi etnici diversi, nel
concetto unico della reciproca difesa e prosperità fisica, intellettuale e morale». Mentre il discorso
tende a indugiare sugli elementi etnici, razziali (vengono illustrate le diverse resistenze alla fatica
dei lombardi, dei liguri, dei piemontesi), Melzi ha cura di riaffermare la necessaria unità degli
italiani, sì che le differenze esistenti devono tra loro interagire nei loro caratteri positivi, aiutandosi
tra loro. È così messo da parte ogni velleitarismo di supremazia etnica, malgrado, secondo la
scienza del tempo, si insista sulle diverse peculiarità psichiche che trovano riscontro nelle
caratteristiche craniometriche, che Giuseppe Sergi avrebbe a lungo studiato.
Un altro strumento molto particolare è il compasso scorridore che serve a misurare l’altezza
della faccia. Il rapporto centesimale fra l’altezza e la larghezza della faccia dà l’indice facciale.
L’indice facciale ha anche un’importanza etnica, oltre che a far comprendere le connessioni del
resto del corpo con l’attività mentale. Il goniometro facciale mediano di Broca14, che non tutti gli
antropologi ritengono aver valore scientifico utilizzato sui fanciulli, misura la forma della faccia e
delle ossa frontali. Il compasso di Weber o estesiometro misura la sensibilità e la percezione tattile.
A parità di età i maschi hanno meno tatto fine delle femmine. Non è detto, prosegue Melzi, che la
normale funzionalità del tatto corrisponda all’acutezza della mente. La slitta di Dubois Reymond
serve a misurare la sensibilità dolorifica. Alla slitta è applicata una pila che sviluppa corrente
elettrica. Vi sono, infine, la scala metrica per misurare l’acutezza visiva, il senso cromatico e il
senso luminoso, di Wecker e Massellon e il fischietto di Galton per misurare l’acutezza dell’udito.
In verità, a scorrere tali strumenti e i loro compiti si ha l’impressione non dico di trovarsi di
fronte a strumenti di tortura, anche se non potevano che essere quantomeno fastidiosi, ma una forte
impostazione materialistica che riconduceva tutto l’immaginario a dei processi fisiologici.
Puntualizza Melzi: «l’azione della scuola educativa non deve risolversi in una meccanica dello
spirito, ma in quella vece, deve essere intesa a mettere in moto tutti i fattori educativi per formare
nell’uomo la libera personalità fisica, morale e giuridica, seguendo le leggi che natura pone». E il
discorso potrebbe essere chiaro e chiuso, se non altro per le attenzioni che Melzi mostra nella
volontà di rimuovere le carenze che provengono da situazioni familiari, sociali, fisiologiche non
felici. Tuttavia nelle sue parole, anche l’insistenza sulle leggi poste dalla natura, sugli aggettivi
fisica e giuridica che accompagnano, per quanto riguarda la personalità, altri (libera e morale) di
differente qualità, sembra cogliersi molto bene lo spirito della tarda cultura positivista, decisa a
preservare e potenziare lo spirituale con l’irrobustimento e la normalizzazione del corpo, che
14
Paul Broca (1824-1880), professore di Patologia Chirurgica a Parigi, al laboratorio di Antropologia di Studi Superiori
e in seguito all’Istituto Antropologico. È considerato il fondatore dell’antropologia moderna.
XII
sarebbe stato un modo di esporsi di lì a non molto alle frecciate che su «La Critica» avrebbero
mosso Croce e Gentile.
Melzi intende protrarre la sua indagine affrontando ciò che distingue l’uomo dalla donna. È
il tema della natura della sessualità e dell’educazione sessuale che in quegli anni riscuoteva non
poco interesse e che aveva arrecato molta notorietà a Paolo Mantegazza.
Considerato che, come ha chiarito Spencer, l’educazione deve riguardare sia l’intelletto, sia la
morale, sia il fisico dell’educando e considerato che l’elezione sessuale ha lasciato impronte
fondamentali fisio-psichiche nell’uomo e nella donna, è opportuno pervenire ad una educazione
sessuale che assecondi le leggi della natura, fermo restando, continua Melzi, che esistono una serie
di domande (tra cui se bisogna educare allo stesso modo uomo e donna, se occorre nella scuola
separare in classi distinte i due sessi, se pedagogicamente corretto affidare la direzioni delle scuole
maschili alle maestre e di quelle miste ai maestri, se vi sono differenti attività fisio-psichiche da
favorire negli uomini e nelle donne, se la donna può fare concorrenza all’uomo, se ha un senso
l’emancipazione della donna e così via) a cui occorre rispondere, domande che tradiscono in verità
le preoccupazioni, le perplessità, le riserve di un mondo ancora ben saldamente retto dagli uomini e
impostato in un’ottica prevalente rivolta a rinchiudere all’interno della famiglia la figura femminile,
per quanto la si voglia emancipata. Non a caso Melzi, dopo aver affermato che le differenze
sessuali devono essere tenute presenti per una corretta educazione, precisa: «e siccome la società
moderna riconosce nella donna il diritto della cultura per essere preparata a compiere più
degnamente i suoi doveri di sposa e di madre, così bisogna che le giovinette siano educate secondo
le leggi della loro costituzione psico-fisica, la cui conoscenza renderà possibili ed efficaci quelle
riforme nell’insegnamento, che sono suggerite dalle scienze antropologiche e sociologiche». Si
vede, pertanto, molto bene che l’emancipazione della donna consiste in una più adeguata
preparazione alla vita coniugale. Così Melzi, dopo aver affermato che cinquant’anni prima si
preferiva tener la donna ignorante e l’istruzione era solo riservata alla donna delle classi agiate, ma
nei collegi o conventi religiosi «nei quali essa perdeva l’amore alla famiglia, che è il centro della
vita femminile», aggiunge che «oggi la società, con vero sentimento cristiano, chiamando la donna
a far parte del patrimonio della coltura, compie un atto di sovrana giustizia. Ma non bisogna
scordare che essa non è nata a supplire l’uomo nell’arringo della scienza e dell’arte; madre natura
non le ha dato una costituzione maschile da reggere nella vita tumultuosa della politica e del
commercio. Educando la donna senza avere di mira la donna è una terribile anomalia,
un’aberrazione pedagogica che porta strane conseguenze.
Asserzioni solo apparentemente strane, o per lo meno strane allorché mentre si condanna
l’educazione dei collegi religiosi, giudica “ vero sentimento cristiano” educare la donna. Ma poi
XIII
tanto strano non è perché è tipico di certa distinzione del tempo, in cui si condanna il clericalismo e
si sostiene, come diceva Siciliani in un testo molto polemico, essere il cristianesimo altra cosa. La
questione essenziale è che il positivista e progressista Melzi reputa, come del resto altri studiosi15
del tempo suo, che l’educazione della donna deve esser volta al suo destino coniugale e, pertanto, la
sua educazione va a lei commisurata, considerate le differenze sessuali fisiologiche e psicologiche
che il maestro deve conoscere.
Su queste Melzi, che cita De Dominicis, Mantegazza, Riccardi, Sergi, si sofferma
ampiamente. Le donne hanno solitamente statura inferiore alla maschile e ossa meno resistenti e
muscoli meno forti. Per questo il loro sviluppo non è per gradi, bensì a ondate con momenti di
accelerazione e di sosta. Così il peso del corpo è di norma inferiore a quello dei maschi. Precoce,
invece, la pubertà e l’educatore, a detta di Melzi, deve sorvegliare i sentimenti erotici delle
fanciulle. Nella età in cui esplode l’impulso sessuale si diventa meno inclini allo studio e in
ambedue i sessi si manifesta una perturbazione psichica. Per quanto riguarda il cervello, per volume
e peso è maggiore nel maschio, ma diviene prima maturo nella femmina. Per quanto riguarda il
cranio, prosegue l’autore, la donna tende alla dolicocefalia e l’uomo alla brachicefalia. Si può
osservare che la donna, pur avendo un cervello più piccolo e leggero, è superiore all’uomo nelle
attività cogitative. La donna, inoltre, supera l’uomo nelle pulsazioni arteriali e la sua respirazione,
come quella dei bambini, è di tipo costale, mentre quella dell’uomo è diaframmatica. Ha inoltre
minore capacità polmonare. Sotto il profilo fisio-psicologico la donna è più irritabile che sensibile, e
l’irritabilità può generare isterismo, ira, rabbia. La donna «resiste più dell’uomo nei dolori fisici e
morali, donde quello spirito di tolleranza e di rassegnazione che costituiscono il fondo del suo
carattere. La minore sensibilità fisica e morale spiega la limitata intelligenza femminile, il senso
pratico delle donne conservato da un maggiore equilibrio mentale, e quel suo spirito analitico per
cui può delle cose che la circonda avere una cognizione chiara, se non profonda. La donna, però, ha
il sentimento più atto a inspirare l’uomo». Ad ogni modo la donna va istruita come l’uomo, solo che
la cultura deve assumere un aspetto femminile. Ne segue che nella donna «le potenzialità mentali
sono inferiori a quelle dell’uomo, il quale ha più intensa e resistente l’attenzione, più profondo e
sicuro il giudizio, più largo il raziocinio, mostrando una virtualità di sintesi maggiore che non nel
sesso debole». E Melzi prosegue dicendo che la mente femminile è più superficiale e disposta
all’analisi, quindi non le si addicono gli studi elevati. Le donne hanno inoltre una memoria più
automatica che riflessiva e sono preda della curiosità, oltre che facile a commuoversi e ad
affezionarsi. Ha infine scarso senso della giustizia, ma è più disciplinata dell’uomo.
15
Da considerare la figura di Scipio Sighele (1868-1931). Di questi, per quello che qui interessa, cfr. Eva moderna,
Treves, Milano 1910; La donna e l’amore, Treves, Milano 1913; La coppia criminale (Psicologia degli amori morbosi),
III ed. Bocca, Torino 1927.
XIV
L’educazione sessuale di cui parla Melzi è sostanzialmente un’educazione che deve tener conto di
quello che la donna naturalmente è dal punto di vista della sua sessualità. Ne segue, per quello che
riguarda l’istruzione, che la formazione del carattere femminile e maschile implica la conoscenza
delle principali differenze fisio-psichiche dei due sessi, e quindi la necessità assoluta di svecchiare
gli attuali ordinamenti scolastici, uniformandoli meglio alle leggi di sviluppo, e in modo speciale al
formarsi e allo svolgersi della sentimentalità fisica e morale della donna e dell’uomo, fermo
restando che la prima vocazione della donna è quella della famiglia.
Considerato che la donna non deve far concorrenza all’uomo e deve invece comprendere che
la sua missione si attua nella famiglia, a lei si addice meglio, per Melzi, la cultura scientifica che
consente di meglio comprendere il mondo fisico e morale, ossia biologico e storico. Così, ella potrà
rinvigorire lo spirito di osservazione, rafforzare l’attenzione, allargare il ragionamento, rendere la
memoria meno automatica. Del resto, se le le scienze disciplinano l’intelligenza e fortificano le basi
del carattere, l’esclusiva cultura letteraria allontana la donna dal pensiero logico, esponendola al
gioco delle emozioni. L’immagine della donna del futuro, quale prospettata da Melzi, è di un
soggetto culturalmente evoluto, soprattutto sotto la prospettiva delle conoscenze scientifiche, e
indubbiamente più autonoma rispetto al passato, anche se naturalmente destinata a svolgere la parte
più significativa della sua esistenza nelle sue funzioni di moglie e madre. L’ultimo capitolo del
volume di Melzi è dedicato allo “strapazzo” del cervello. Riprendendo Angelo Mosso (1846-1910),
professore di Farmacologia e poi di Fisiologia a Torino, Melzi spiega che la fatica è un processo di
natura chimica e nella riconduzione del problema alla fisiologia, afferma che di essa deve tener
conto l’educatore per l’educazione fisica, intellettuale e morale dell’allievo. Le tre dimensioni
dell’educazione non devono essere separate, considerando che dalla compagine traggono origine i
sentimenti, da quelli più elevati a quelli peggiori.
Ciò spiega l’insistenza di Melzi affinché, soprattutto nell’infanzia e nella fanciullezza, età
molto delicate, il cervello dei piccoli non venga sottoposto ad eccessiva tensione, anche perché,
come spiega Ardigò, il fenomeno psichico è una conseguenza di quello fisiologico. Pertanto,
secondo l’autore, occorre che il riposo fisiologico segua una fase di forte concentrazione o attività.
Tutto questo implica, sempre a detta di Melzi, il rifiuto del lavoro manuale educativo e della
ginnastica acrobatica e pedante che si fa nelle scuole elementari, mentre sono utili esercizi all’aria
aperta; come è da respingere l’eccessivo lavoro intellettuale imposto dai programmi. Melzi si rende
conto che la scuola elementare, essendo aperta a tutti, non può procedere secondo ritmi standard
possibili solo per coloro che hanno dietro una situazione familiare più serena e agiata. Le
annotazioni fisiologiche che vogliono tradursi in pratica educativa si accompagnano, sotto tale
profilo, alla consapevolezza delle diseguaglianze sociali, oltre che fisiologiche. Melzi individua ,
XV
sempre alla luce degli studi di Mosso, come l’eccessiva fatica cerebrale si ripercuote
sull’organismo: lo spossato orina frequentemente, presenta una cattiva digestione, soffre di cefalea,
ecc.
Costantino Melzi non è, verosimilmente, un ingegno innovatore, ma un lettore attento dei più
significativi studiosi del tempo suo, la cui lezione sa ben ripetere e armonizzare. Il suo volume
presenta molto bene il punto d’arrivo dell’antropologia pedagogica italiana positivista, della quale
sa ben rappresentare la diligenza, l’accuratezza, l’attenzione al rispetto alle diversità, lo scrupolo
delle conoscenze scientifiche, la disponibilità ad essere in funzione dell’avvaloramento e del
potenziamento delle migliori potenzialità degli allievi.
In appendice al volume sono state pubblicate le due tabelle dalla Carta biografica di Giuseppe
Sergi, presenti alle pp. 116 e 117 del volume Educazione e istruzione. Pensieri, Trevisini, Milano
1892.
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