Alice Ferroni
INTRODUZIONE
Il blues è nato e si è sviluppato in seguito alla schiavitù delle comunità nere, nelle
regioni del sud degli Stati Uniti. È da considerarsi la manifestazione profana di un
sentimento e di un dolore che ha avuto un lungo ed inesorabile tracciato umano e
civile, che ha trovato la sua ampia ed angosciosa possibilità di espressione nella
parola poetica prima e nel canto e l’accompagnamento in un secondo momento.
Non c'è una precisa data di nascita per questo genere musicale: la traccia più
antica di una forma musicale simile al blues è il racconto che, nel 1901, fece un
archeologo del Mississippi, descrivendo il canto di lavoratori neri che sembra
avere affinità melodiche e liriche con il blues. Le voci dei neri si dispiegavano tra i
latifondi delle rive del fiume, riecheggiando il dolore della schiavitù, della
deportazione, del taglio delle radici. Ma quali sono le vere origini del blues?
LA SCHIAVITÙ DEI NERI IN AMERICA
La tratta dei neri, ossia il commercio di schiavi africani, iniziò subito dopo la
scoperta dell’America, ma assunse dimensioni impressionanti nel XVII/XVIII
secolo.
Fra gli Europei, i primi mercanti di schiavi neri
furono i Portoghesi, presto seguiti da tutti i
paesi che avevano colonie in America. Gli
schiavi erano impegnati soprattutto nel
massacrante lavoro delle miniere e delle
piantagioni di tabacco, canna da zucchero,
cacao, caffè, cotone.
In un primo momento i coloni provarono a servirsi delle popolazioni indigene
dell’America, ma gli Indios erano pochi, indeboliti dalla fame e dalle malattie, e
non resistevano alla fatica. Furono impiegati anche degli europei, soprattutto
criminali condannati al lavoro forzato, ma anche adulti e bambini rapiti. Il loro
numero, tuttavia, rimaneva sempre insufficiente. La manodopera nera invece non
solo resisteva ai climi caldi, ma costava poco e sembrava inesauribile.
Dai luoghi di cattura all’interno del continente gli schiavi venivano incolonnati
verso i porti d’imbarco. Vi
giungevano in lunghe file,
a volte dopo mesi di cammino,
stretti l’uno all’altro
da collari chiusi intorno al
collo. Chi non resisteva alla
lunga marcia veniva
abbandonato o lasciato morire.
Prima dell'imbarco gli schiavi
erano marchiati con un ferro rovente e battezzati con una frettolosa cerimonia.
Iniziava poi il tormentoso viaggio verso l'America, su navi stipate fino
all'inverosimile, e si compivano traversate che potevano durare anche due o tre
mesi.
Naturalmente, la mortalità era altissima. Molti si ammalavano per il sudiciume, la
facilità di contagio, l'alimentazione inadatta: alcuni, spinti dalla disperazione, si
suicidavano. Li attendeva nelle piantagioni e nelle miniere una vita durissima e
logorante, a cui si aggiungeva spesso la ferocia di padroni disumani.
A causa del loro forzato trasferimento, famiglie e villaggi furono distrutti, intere
regioni si spopolarono e lo sviluppo dell'Africa fu interrotto, con conseguenze che
pesano ancora oggi sull'economia del continente.
LE ORIGINI
Sebbene non sia possibile stabilire con esattezza una data che segni l'origine del
genere, un anno fondamentale fu il 1865, anno dell'abolizione della schiavitù negli
Stati Uniti d'America: ottenuta la libertà, numerosi ex schiavi-musicisti iniziarono
a portare la loro musica fuori dalle piantagioni, come segno di denuncia di una
comunità che trovava all’improvviso la forza e il coraggio di esprimere la propria
angoscia, in un grido provocato dalla miseria, dal vuoto che si lasciava alle spalle.
Nel giro di qualche decennio, questo genere fu noto ai più fino a giungere alle
prime attestazioni che ci sono pervenute. Prima di quella data, agli schiavi era
solitamente proibito parlare nella loro lingua d’origine, suonare le percussioni e
praticare danze e riti religiosi. Inoltre gli schiavi venivano da comunità e zone
dell’Africa differenti e molto spesso non riuscivano a comunicare tra loro se non
utilizzando i rudimenti della lingua inglese. Queste difficoltà favorirono la nascita
di forme linguistiche e musicali originali.
Uno dei più importanti antenati del blues è senz'altro lo spiritual. Di argomento
malinconico e appassionato, rispetto al blues gli spiritual avevano accenti meno
personali, riferendosi spesso alla condizione dell'umanità in generale e al suo
rapporto con Dio, mentre i testi erano corrispondentemente meno profani.
Altri antenati del blues
vanno cercati fra le work
songs degli schiavi di
colore (field hollers) e di
altra provenienza (canti dei
portuali o stevedore; canti
dei manovali
o roustabout), che
risuonavano in America
all'epoca della Guerra di
secessione, ma anche negli
anni successivi, in cui la condizione di soggezione e povertà degli afroamericani
persistette nonostante l'abolizione della schiavitù. Da questi il blues ereditò
probabilmente la sua struttura di call and response ("chiamata e risposta"), di
origine Africana.
L’AFRICA E IL BLUES
Il Reverendo Jonathan Boucher, un missionario filologo che
trascorse molto tempo in Virginia ed in Maryland, testimoniò che
lo strumento favorito e pressoché unico degli schiavi in Virginia
e nel Maryland era, a metà Settecento, il bandore. Il corpo era
costituito da una grossa zucca vuota, con un lungo manico
attaccato, fornito di corde di budello e veniva suonato con le dita.
Il canto auto-accompagnato da uno strumento a corde pizzicate del tipo africano
centro-occidentale aveva dato vita ad un ponte culturale nel sudest degli Stati
Uniti ed era divenuto uno dei passatempi preferiti degli schiavi della regione.
Il blues è un genere sia letterario che musicale
secondo il concetto, diffuso in molte culture africane, che il significato della
canzone deriva dal testo e non dalla melodia o dal ritmo. Ecco perché dunque, i
primi Blues tendevano ad essere più letterari che puramente musicali. Esistono
delle connessioni tra la letteratura orale dell’Africa occidentale e il simbolismo e
la testualità del blues.
Molte delle caratteristiche del blues, a cominciare dalla struttura antifonale e
dall'uso delle blue notes, possono essere fatte risalire alla musica africana.
Sylviane Diouf ha individuato molti tratti, tra cui l'uso di melismi e la pesante
intonazione nasale, che fanno pensare a parentele con la musica dell'Africa
centrale e occidentale. L'etnomusicologo Gerhard Kubik, professore all'Università
di Magonza, in Germania, e autore di uno dei più completi trattati sulle origini
africane del blues (Africa and the Blues), è stato forse il primo ad attribuire certi
elementi del blues alla musica islamica dell'Africa Centrale e Occidentale:
"Gli strumenti a corda (i preferiti dagli schiavi provenienti dalle regioni
islamiche) erano generalmente tollerati dai padroni che li consideravano simili
agli strumenti europei come il violino. Per questo motivo gli schiavi che
riuscivano a procurarsi un banjo avevano più possibilità di suonare in pubblico.
Questa musica solista degli schiavi aveva alcune caratteristiche dello stile di
canzone Arabo-Islamica che era stata presente per secoli nell'Africa centrooccidentale".
La cetra monocorde è all’origine della chitarra slide, tecnica ereditata dall’Africa
centrale, ed anche alcuni elementi della tecnica usata per il flauto di Pan e il flauto
diritto sono stati incorporati dall’armonia blues.
Stilisticamente, la musica suonata nella savana dell’entroterra dell’Africa
occidentale, come ad esempio quella di certi strumenti a corda, specialmente liuti
e violini a una corda, è caratterizzata:
1. dalla preponderanza di modelli di accordatura pentatonici
2. da una struttura motoria relativamente semplice mancante di poliritmia
complessa, ma caratterizzata da lievi accenti OFF-BEAT
3. da uno stile vocale declamatorio, con melismi, eterofonia.
Un genere dunque, le cui origini vanno ricercate, prima che in America, nel cuore
dell’Africa.
Alice Ferroni