Skip to primary navigation Skip to content Skip to footer IL BARATTOLO DELLE IDEE LA FILOSOFIA PER TUTTI header-right Main navigation o o o o o o Filosofia Gli spilli Filosofia Pre-socratica Filosofia antica Filosofia medievale Filosofia moderna Filosofia post hegeliana Appunti traduzioni Claudia Rademacher Arte In cucina Ai fornelli il lievito Il pane pizza Poesie Rime e congiuntivi A corpo libero Dall’amore All’amore Rabbia e colpa Ricomporsi Disegni A Francoforte Primi disegni Ritorno A colori I parte A colori II parte A colori III parte o o o o o Il bianco Il nero Maxi Ultimi lavori Il diario Relazione Riflessioni Vecchi post Social plus+ Forum plus Libri, Film, Opere D’Arte Relazioni Pensieri Presentati Login Chi sono OTTOBRE 19, 2016 BY IL BARATTOLO DELLE IDEE LEAVE A COMMENT Il rinascimento in filosofia Tweet IL RINASCIMENTO: COORDINATE STORICHE GENERALI (1400-1500): Formazione dei stati nazionali (monarchie feudali) e signorie in Italia (evoluzioni dei comuni) Ascesa della borghesia mercantile Tramonto delle visoni universalistiche (di un un grande impero che unificasse tutta l’Europa, sotto la guida di una chiesa altrettanto universale) In Italia la pace di Lodi (1454) permette un periodo di relativa stabilità interna, mentre le divisioni tra le varie potenze italiane, la rendono facile preda di tentativi di conquista da parte di potenze straniere Con il rifiorire dei centri urbani (le città), che diventano centri di scambio economico e culturale nasce la cosiddetta “civiltà urbana”, nella quale dominava l’economia di scambio (aperta), contro l’economia chiusa dei centri rurali medievali (economia chiusa). Si forma così una aristocrazia cittadina CULTURA: E’ proprio in Italia nell’ambito di queste civiltà urbano-borghesi (si tratta di proto-borghesia in realtà) che nasce la nuova cultura umanisticorinascimentale diffusasi poi in tutta Europa. L’umanesimo rappresenta l’esplicita elaborazione di una cultura nuova, che intende spezzare ogni legame con i vecchi schemi mentali, rispecchiando le nuove esigenze delle nuovi classi dirigenti e dei nuovi intellettuali (per lo più laici). La chiesa perde infatti il predominio nell’organizzazione e nella direzione della cultura. Nascono a questo proposito le ACCADEMIE, centri culturali che si ispiravano la modello della nota Accademia ateniese). Pur non essendo centri educativi ma piuttosto poli di incontro fra coloro che coltivano discipline affini e pur non sostituendo l’insegnamento delle università, le accademie si pongono come centri di elaborazione di una cultura di alto livello, contrapponendosi al sapere rigido delle Università (organizzate ancora secondo il modello della scolastica). Mentre si forma una intellettualità laica (non direttamente legata né alla chiesa, né ai luoghi di diffusione della cultura medievale) cambia anche il pubblico (adesso è l’evoluta borghesia comunale) . Il pubblico cui si riferisce l’intellettuale rinascimentale resta pur sempre elitario. Ciò lo si vede nella scelta della lingua latina come lingua di comunicazione. Mentre l’alto medioevo aveva cominciato a fare uso del volgare (si pensi a Dante, Petrarca e Boccaccio). I rinascimentali per operare un rottura con periodo precedente tornarono al latino. Non tuttavia quello medievale, ma al latino degli antichi (Cicerone fra i primi), nell’ottica di dover recuperare lo stile e l’eleganza di un’epoca, che era stata oscurata dal “periodo di mezzo” (medio-evo). LA STORIA DELLA PERIODIZZAZIONE (UMANESIMO-RINASCIMETO): All’inizio vengono usati quasi come sinonimi e stavano ad indicare il rifiorimento culturale avvenuto in Italia tra il 400 e il 500. Nella seconda metà dell’Ottocento vengono però distinti nettamente (J. Burckhardt) e si intende con l’espressione Umanesimo (1400) il momento iniziale di riscoperta dell’antico (momento essenzialmente filologico-letterario) e con l’espressione Rinascimento (1500) la successiva rielaborazione autonoma (momento filosofico-scientifico). si credeva dunque che l’Umanesimo (la riscoperta dell’antico) fosse una delle cause del Rinascimento. Nel novecento (K. Burdach) i due termini vengono invece nuovamente avvicinati intendendo l’umanesimo come prima parte del movimento rinnovatore culminato poi con il rinascimento vero e proprio. Si crede perciò che Il rifiorire degli studi classici è già un effetto del nuovo spirito rinascimentale, per rinascimento in questo caso si intende tutto il periodo che va dal 1440 a 1500, di cui la fase iniziale è detta Umanesimo. LA NUOVA CONCEZIONE DEL SAPERE: Tratto saliente della civiltà medievale era stato l’universalismo: 1) Unitaria era la lingua (gli scolastici parlavano in latino), 2) Unitario era la concezione dell’impero (si pensi all’Impero romano, all’impero di Carlo Magno [centro la Francia], al Sacro Romano Impero [dinastia degli Ottoni; centro la Germania] e ai tentativi di riunificare l’impero di Carlo V, e Filippo II [Centro la Spagna[), 3) Unitaria era la visione del mondo cristiana. Ovviamente non si sta dicendo che tale universalità era nei fatti realizzata, ma piuttosto che questo era l’ideale cui tendere. Il tratto saliente era l’unità dello scibile umano intorno alla teologia, rispetto alla quale tutte le altre discipline erano a suo sostegno (ancillae theologiae). Il periodo rinascimentale invece opera una rottura storica con l’universalismo medievale: 1) Nascono gli stati feudali (Francia, Inghilterra, Germania, Spagna, i comuni in Italia), 2) comincia il movimento di nazionalizzazione della religione cristiana che culminerà nella riforma protestante (Lutero). Si afferma così una laicizzazione del sapere (in rottura con il sapere enciclopedico della scolastica medievale) e una lenta affermazione dell’individualismo (visione per la quale al centro dell’interesse storico culturale si trova l’individuo). 3) Alla scomposizione dell’idea di impero (frammentato negli stati nazionali) e di Chiesa (frammentata dallo scisma protestante), corrisponde una frammentazione della cultura. Le varie discipline (arte, scienza, filosofia etc. etc. rivendicano una loro autonomia e libertà operativa). Il processo di laicizzazione e autonomizzazione affonda chiaramente le sue radici nella mentalità degli intellettuali laici (non ecclesiasti: non preti). Questo non significa che la cultura rinascimentale è anticristiana, ma solo il fatto che la Teologia comincia a non essere considerata più come il completamento del sapere umano, ma sempre più una disciplina a se stante. Mentre il medievale è per lo più trascendentalista (crede nella trascendenza di Dio dal mondo) il rinascimentale è un immanentista (resta convinto delle verità di fede, ma è propenso a guardare il divino che c’è nell’uomo e nel mondo. IL RAPPORTO TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO: – Il rinascimento si autodefinisce tale (rinascita), proprio perché intende segnare una rottura netta col passato (l’espressione medio-evo è coniata dagli stessi rinascimentali). Molti degli stereotipi che si hanno sulla definizione e lo studio del medioevo risalgono perciò proprio a questo periodo. La tesi della completa rottura viene poi rinvigorita dalla successiva opposizione tra illuministi (che celebravano i valori rinascimentali, intendendo il rinascimento come la crociata della ragione contro l’oscurantismo medievale) e romantici (che invece difendevano la religiosità e lo spirito comunitario del medioevo, apprezzandone il misticismo). Burckhardt (autore della tesi di una distinzione tra umanesimo e rinasciemnto) è uno dei piùillustri schematizzatori di questa tesi che intende il rinascimento come una completa rottura con il periodo precedente. Il rinascimento avrebbe emancipato l’uomo da una visione metafisica della vita, lacerando il velo “di fede, d’ignoranza infantile e di vane illusioni”. Egli elabora perciò una serie di opposizioni: religiosità-irreligiosità; astrattezza-realismo; spiritualismosensualismo, dogmatismo-scetticismo, trascendentista e universalistico/ immanestista e antropocentrico. – Questa tesi viene superata nel novecento, nella cosiddetta “teoria della continuità”, che rifiuta di contrapporre rigidamente Medioevo e Rinascimento e si concentra perciò sui momenti di continuità. La rinascita allora comincerebbe assai prima con lo sviluppo dei comuni. – la critica contemporanea tenta di mediare queste due tesi con la teoria della “originalità nella continuità”, non nega cioè che nel medioevo ci sia notevoli anticipazioni dello spirito rinascimentale e tuttavia considera il Rinascimento un periodo di rinnovamento non riducibile alla sensibilità medievale. Infine occorre certamente distinguere tra Rinascimento e Età moderna,(Galieli, Bacone) il rinascimento resta un periodo di mezzo tra Medioevo e Modernità. Un movimento che affonda le sue radici nel passato (medioevo), ma che propone una spinta propulsiva verso la modernità. LA VISIONE DELL’UOMO: Per il rinascimentale l’uomo è artefice del proprio destino nel mondo. La caratteristica dell’uomo (ciò che lo rende diverso dagli altri animali). Pico della Mirandola definisce l’uomo “libero e sovrano, artefice di se stesso”. La frattura con il medioevo risulta quindi evidente: mentre quest’ultimo pensava che l’uomo fosse parte di un ordine cosmico già dato, ordine che si dovesse soltanto conoscere intellettualmente e rispettare, l’uomo rinascimentale che l’uomo debba costruire e conquistare il proprio posto nell’essere. L’UOMO E DIO: Nel rinascimento l’idea dell’uomo artefice del proprio destino non assume però, come avverrà in seguito, un significato anti-reliogoso. Anzi la natura dell’uomo viene glorificata proprio perché è quella che più si avvicina alla potenza creatrice di Dio. Inoltre è Dio stesso che concede all’uomo tale superiorità: “dopo che Dio ebbe creato gli uomini, li benedisse e li fece padroni di tutte le cose create e sovrani e signori assoluti sulla terra” (Garin). Il riconoscimento di Dio tuttavia avviene non all’interno di una concezione teocentrica, bensì antropocentrica. Ovvero nel rapporto tra Dio e l’uomo, viene adesso considerato centro l’uomo e Dio periferica. L’UOMO E LA LIBERTA’: In questa visione, dunque, benché l’uomo sia artefice del proprio destino, eserciti cioè la libertà di determinare se stesso, non è concepita come potenza illimitata. La virtù umana deve infatti fare i conti con la Fortuna, con il Caso, ma sopratutto con la Provvidenza. In questa fase tuttavia il rapporto tra ciò che è in potere dell’uomo e ciò che non lo è è sbilanciato a favore dell’uomo. L’UOMO NEI CONFRONTI DELLA VITA: L’uomo si intende un anello di congiunzione tra il mondo terreno e quello divino (“copula mundi”), essere finito che però tende all’infinito e perciò sintesi vivente del tutto e centro del mondo. Egli rifiuta perciò l’ascetismo medievale (l’idea che la virtù consistesse in un allontanamento dal mondo e in una elevazione spirituale a Dio) e concepisce il proprio stare nel mondo, come impegno attivo e non come fuga. Egli sottolineano perciò l’aldiqua, non disdegnando i piaceri della vita e l’importanza del denaro. Non è un caso che ricompaiono all’orizzonte le morali eudaimonistiche, che pongono come fine dell’uomo la felicità intesa come realizzazione armonica e completa delle capacità umane. RINASCIMENTO COME RITORNO AL PRINCIPIO: – La “rinascita” era intesa da medievali nel senso di un “ritorno a Dio, ovvero restituzione a quella vita che egli ha perduto a causa del peccato originale. Nel rinascimento il concetto indica invece il rinnovamento globale dell’uomo nei suoi rapporti con se stesso, con gli altri e con Dio. Lo strumento principale del rinnovamento è il “ritorno al principio”. Nella convinzione che il medioevo fosse un periodo “oscuro” si cercò di recuperare il rapporto con l’antichità perduta (il mondo classico), rinunciando all’intermediazione della cultura clericale. Il “ritorno al principio”, si caratterizzò perciò come una riscoperta (avvolte solo scoperta) dei testi, dei costumi della civiltà classica: è perciò un ritorno alle comunità antiche. Esso è anche un ritorno alla natura intesa come forza che produce e vivifica le cose: Il “principio” è inteso dai rinascimentali come quella realtà rapportandosi alla quale l’uomo autentica se stesso , realizzandosi nella sua natura, è ciò dunque che permette la rinascita, che restituisce all’uomo e al mondo al sua forma ottimale. L’UMANESIMO: Coincide con l’inizio della rinascita e condivide con tutto il rinascimento la necessità di £tornare al principio”. Gli umanisti più che preoccuparsi di costruire, completare o perfezionare la filosofia degli antichi (come era avvenuto per Tutto il medioevo), erano interessati a restituirgli l’antico splendore. Il ritorno al principio è per l’umanista un ritorno ai testi originali degli antichi. Nella convinzione che l’antichità possa costituire un criterio un ideale cui ridare purezza. Il PLATONISMO RINASCIMENTALE: In questa ottica sopratutto nelle Accademie si ha una vera e propria riscoperta di Platone. Esso veniva apprezzato in particolar modo perché facilmente si contrapponeva all’aristotelismo scolastico (si pensi a S. Tommaso) e nutriva dunque le esigenze di un rinnovamento. A facilitare la riscoperta di Platone fu anche l’afflusso del corpus completo dei suoi dialoghi (di cui fino al allora si conosceva sono il Menone, il Fedone e il Timeo). Platone continuò ad essere comunque letto in chiave neo-platonica (con la mediazione di Plotino) e dunque come filosofo più vicino al vero spirito religioso. L’ARISTOTELIAMO RINASCIMENTALE: Benché la vitalità maggiore si svolgesse nelle Accademie, anche le Università, tuttavia ancora legati agli schemi della scolastica, subirono l’effetto del rinnovamento culturale. In quest’ottica nasce l’aristotelismo rinascimentale, inteso come esigenza di ricoprire Aristotele. Scartata l’interpretazione “ortodossa” di S. Tommaso, l’aristotelismo si divise sostanzialmente i due filosi. Gli averroisti e gli alessandrini, che discussero allungo sul problema dell’immortalità dell’anima. Per gli averroisti esisteva un unico intelletto attivo, separato dalle cose ed immortale, cui ritornava l’intelletto attivo del singolo individuo: gli averroisti concepivano dunque l’individuo concreto come mortale. Gli alessandrini non solo consideravano l’individuo mortale, ma negavano l’esistenza di un intelletto separato e immortale, giudicando che nulla esiste o sopravvive al corpo, essendo l’anima funzione del corpo, indissolubilmente legato ad esso. TEORIA DELLA DOPPIA VERITA’: Entrambe le posizioni (sopratutto quella degli alessandrini) contraddicevano i dogmi della chiesa. Le due interpretazione di Aristotele sarebbero dunque apparse entrambe implausibili per l’uomo del medioevo. Il ritorno all’antico ha perciò come effetto l’elaborazione della teoria della doppia verità. Essa infrangeva l’assunto medievale (elaborato dai dialettici) che le verità di ragione dovessero confermare e preparare alle verità di fede, anche se non giunge ancora adire che nel caso in cui ci sia un opposizione si debbano preferire le verità di ragione a quelle di fede. La filosofia può anche condurre a soluzioni false in teologia (nel caso specifico Aristotele si era sbagliato sulla concezione dell’anima), ma vere in filosofia, benché un credente sarebbe certamente dovuto giungere a ritenere in questo caso errate le verità filosofiche. Che il filosofo rinascimentale credesse veramente a questa teoria o la usasse solo per giustificarsi di fronte alle autorità clericali, fatto sta che grazie ad essa, molti studiosi del periodo poterono difendersi, dagli inquisitori ecclesiastici e professare con una certa libertà le nuove dottrine, facilitando il processo di laicizzazione della cultura. La nascita di un platonismo accademico e un aristotelismo rinascimentale, favorì e facilità la storica contesa (agli occhi di un contemporaneo stupida) su quali dei due colossi della classicità (Platone o Aristotele) fosse il più grande. Tale polemica ha tuttavia effetti sull’interpretazione dei due filosofi che per lungo tempo si incentrò sul sottolineare le differenze tra i due filosofi, piuttosto ceh i momenti di continuità. CUSANO: La vita: Vedi libro. La conosce è possibile soltanto come proporzione: La conoscenza è un rapportare il noto all’ignoto. L’assolutamente noto sono i principi primi, necessari e notissimi, più le cose che si vogliono conoscere saranno vicine a questi principi e più facili e precise saranno le nostre conoscenze su di esso, al contrario più distanti sono dalle cose note e più le cose ci appariranno sfocate e difficili. La dotta ignoranza: Quando le cose che conosciamo e quelle che intendiamo conoscere NON HANNO ALCUNA PROPORZIONE (ovvero alcuna relazione), ci è assolutamente impossibili conoscerle e l’unico atto che possiamo compiere è la proclamazione della nostra ignoranza, che perciò viene detta “dotta” (ossia consapevole). La coscienza umana non è dotta se non ha coscienza di questi proprio limiti. Caso di dotta ignoranza è per Cusano Dio, egli in quanto essere infinito è totalmente irrelato (non ha alcuna relazione con) le sostanze finite e dunque neanche con i principi notissimi su cui si fonda la conoscenza umana. Tra il finito e l’infinito non v’è alcuna proporzione. Cusano perciò elabora la teoria della coincidenza degli opposti, secondo la quale tutte le caratteristiche del finito elevate all’infinito si annullano (ec. Poligoni), ragione per cui l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo coincidono. Dio è dunque coincidenza dei opposti ed è perciò stesso privo di determinazioni e capace di accoglie in sé tutte le qualità dell’essere (che si dicono perciò cum-plicate, ovvero poste assieme). Essendo Dio la punto più lontano dalle sue verità note (il punto infinitamente lontano) egli potrà indefinitivamente avvicinarsi ad esso, ma mai raggiungerlo. La verità assoluta è dunque irraggiungibile, partendo dal nostro punto di vista, può soltanto essere intravista dall’intellectus intuitivo (platonicamente distinto dalla ragione che conosce le cose). L’intelletto ha il compito di far intravedere i limiti della ragione e del suo principio di non contraddizione, presentandosi come un socratico “so di non sapere” (vedi docta ignorantia). La consocenza acongetturale Se l’assoluta verità (che è in Dio) non mai raggiungibile. La nostra conoscenza può solo essere congetturale, ipotetica. Nessuna conoscenza è, per Cusano, definitiva perché pur approssimandosi al proprio oggetto, la differenza tra i due è destinata a rimanere incolmabile. Per indicare ciò Cusano si serve della matematica: il rapporto tra verità e conoscenza è come quello tra una circonferenza e il poligono in essa inscritto (quest’ultimo si approssimerà tanto più alla circonferenza quanti più angoli avrà, ma, in quanto poligono, non potrà mai coincidere con essa). More from my site Feuerbach: Riassunto. La critica alla dialettica La teoria delle passioni. 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Crema di piselli, latte di avena, soia,… https://t.co/FipiA0Lj28 Yesterday at 4:19 pm Footer Filosofia Appunti Gli spilli o Filosofia antica o Filosofia medievale o Filosofia moderna o Filosofia post hegeliana Percorsi Traduzioni o Claudia Rademacher Più letti Capire la Fenomenologia: Chi ha paura di Hegel? Protagora: riassunto. Il padre della sofistica Gorgia: riassunto. Il dire, il pensare e l'essere Etica e morale. Felicità o senso del dovere? Aristotele: riassunto. La metafisica Grace VanderWaal: il successo della prima volta Aristotele: riassunto. La Logica Schelling: riassunto. L'identità di Spirito e Natura La teoria delle passioni. Cartesio e l'etica provvisoria Tweets Pizza vegana: Farina di tumminia 300 gr., 200 gr, tipo 1 macinata a pietra. Crema di piselli, latte di avena, soia,… https://t.co/FipiA0Lj28 Yesterday at 4:19 pm @vincenzocacace4 Ci lavoro da un anno :) maggio 30, 2017 5:01 pm Posts MALATO TERMINALE IO ROM AL PROFESSORE CHANGE GITANI LA FORMA DELL'ACQUA ARTICOLO 32 IL DUBBIO FELICITA' E DOVERE GLI SPILLI I CAVALIERI DELLO ZODIACO Copyright © 2017 Il barattolo delle idee Il barattolo delle idee WordPress.org o Documentazione o Forum di supporto o Riscontro LoginRegistrati