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OTTOBRE 19, 2016 BY IL BARATTOLO DELLE IDEE LEAVE A COMMENT
Il rinascimento in filosofia
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IL RINASCIMENTO:
COORDINATE STORICHE GENERALI (1400-1500):
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Formazione dei stati nazionali (monarchie feudali) e signorie in Italia
(evoluzioni dei comuni)
Ascesa della borghesia mercantile
Tramonto delle visoni universalistiche (di un un grande impero che
unificasse tutta l’Europa, sotto la guida di una chiesa altrettanto
universale)
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In Italia la pace di Lodi (1454) permette un periodo di relativa stabilità
interna, mentre le divisioni tra le varie potenze italiane, la rendono facile
preda di tentativi di conquista da parte di potenze straniere
Con il rifiorire dei centri urbani (le città), che diventano centri di scambio
economico e culturale nasce la cosiddetta “civiltà urbana”, nella quale
dominava l’economia di scambio (aperta), contro l’economia chiusa dei
centri rurali medievali (economia chiusa). Si forma così una aristocrazia
cittadina
CULTURA:
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E’ proprio in Italia nell’ambito di queste civiltà urbano-borghesi (si tratta di
proto-borghesia in realtà) che nasce la nuova cultura umanisticorinascimentale diffusasi poi in tutta Europa. L’umanesimo rappresenta
l’esplicita elaborazione di una cultura nuova, che intende spezzare ogni
legame con i vecchi schemi mentali, rispecchiando le nuove esigenze
delle nuovi classi dirigenti e dei nuovi intellettuali (per lo più laici). La
chiesa perde infatti il predominio nell’organizzazione e nella direzione
della cultura.
Nascono a questo proposito le ACCADEMIE, centri culturali che si
ispiravano la modello della nota Accademia ateniese). Pur non essendo
centri educativi ma piuttosto poli di incontro fra coloro che coltivano
discipline affini e pur non sostituendo l’insegnamento delle università, le
accademie si pongono come centri di elaborazione di una cultura di alto
livello, contrapponendosi al sapere rigido delle Università (organizzate
ancora secondo il modello della scolastica).
Mentre si forma una intellettualità laica (non direttamente legata né alla
chiesa, né ai luoghi di diffusione della cultura medievale) cambia anche il
pubblico (adesso è l’evoluta borghesia comunale) . Il pubblico cui si
riferisce l’intellettuale rinascimentale resta pur sempre elitario. Ciò lo si
vede nella scelta della lingua latina come lingua di comunicazione.
Mentre l’alto medioevo aveva cominciato a fare uso del volgare (si pensi
a Dante, Petrarca e Boccaccio). I rinascimentali per operare un rottura
con periodo precedente tornarono al latino. Non tuttavia quello
medievale, ma al latino degli antichi (Cicerone fra i primi), nell’ottica di
dover recuperare lo stile e l’eleganza di un’epoca, che era stata oscurata
dal “periodo di mezzo” (medio-evo).
LA STORIA DELLA PERIODIZZAZIONE (UMANESIMO-RINASCIMETO):
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All’inizio vengono usati quasi come sinonimi e stavano ad indicare il
rifiorimento culturale avvenuto in Italia tra il 400 e il 500. Nella seconda
metà dell’Ottocento vengono però distinti nettamente (J. Burckhardt) e si
intende con l’espressione Umanesimo (1400) il momento iniziale di
riscoperta dell’antico (momento essenzialmente filologico-letterario) e
con l’espressione Rinascimento (1500) la successiva rielaborazione
autonoma (momento filosofico-scientifico). si credeva dunque che
l’Umanesimo (la riscoperta dell’antico) fosse una delle cause del
Rinascimento. Nel novecento (K. Burdach) i due termini vengono invece
nuovamente avvicinati intendendo l’umanesimo come prima parte del
movimento rinnovatore culminato poi con il rinascimento vero e proprio.
Si crede perciò che Il rifiorire degli studi classici è già un effetto del
nuovo spirito rinascimentale, per rinascimento in questo caso si intende
tutto il periodo che va dal 1440 a 1500, di cui la fase iniziale è detta
Umanesimo.
LA NUOVA CONCEZIONE DEL SAPERE:

Tratto saliente della civiltà medievale era stato l’universalismo:
1) Unitaria era la lingua (gli scolastici parlavano in latino),
2) Unitario era la concezione dell’impero (si pensi all’Impero romano,
all’impero di Carlo Magno [centro la Francia], al Sacro Romano Impero
[dinastia degli Ottoni; centro la Germania] e ai tentativi di riunificare l’impero di
Carlo V, e Filippo II [Centro la Spagna[), 3) Unitaria era la visione del mondo
cristiana. Ovviamente non si sta dicendo che tale universalità era nei fatti
realizzata, ma piuttosto che questo era l’ideale cui tendere.
Il tratto saliente era l’unità dello scibile umano intorno alla teologia,
rispetto alla quale tutte le altre discipline erano a suo sostegno (ancillae
theologiae).

Il periodo rinascimentale invece opera una rottura storica con
l’universalismo medievale:
1) Nascono gli stati feudali (Francia, Inghilterra, Germania, Spagna, i comuni
in Italia),
2) comincia il movimento di nazionalizzazione della religione cristiana che
culminerà nella riforma protestante (Lutero).
Si afferma così una laicizzazione del sapere (in rottura con il sapere
enciclopedico della scolastica medievale) e una lenta affermazione
dell’individualismo (visione per la quale al centro dell’interesse storico
culturale si trova l’individuo).
3) Alla scomposizione dell’idea di impero (frammentato negli stati nazionali) e
di Chiesa (frammentata dallo scisma protestante), corrisponde una
frammentazione della cultura. Le varie discipline (arte, scienza, filosofia etc.
etc. rivendicano una loro autonomia e libertà operativa).
Il processo di laicizzazione e autonomizzazione affonda chiaramente le sue
radici nella mentalità degli intellettuali laici (non ecclesiasti: non preti). Questo
non significa che la cultura rinascimentale è anticristiana, ma solo il fatto che
la Teologia comincia a non essere considerata più come il completamento del
sapere umano, ma sempre più una disciplina a se stante.
Mentre il medievale è per lo più trascendentalista (crede nella trascendenza
di Dio dal mondo) il rinascimentale è un immanentista (resta convinto delle
verità di fede, ma è propenso a guardare il divino che c’è nell’uomo e nel
mondo.
IL RAPPORTO TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO:
– Il rinascimento si autodefinisce tale (rinascita), proprio perché intende
segnare una rottura netta col passato (l’espressione medio-evo è coniata
dagli stessi rinascimentali). Molti degli stereotipi che si hanno sulla definizione
e lo studio del medioevo risalgono perciò proprio a questo periodo. La tesi
della completa rottura viene poi rinvigorita dalla successiva opposizione tra
illuministi (che celebravano i valori rinascimentali, intendendo il rinascimento
come la crociata della ragione contro l’oscurantismo medievale) e romantici
(che invece difendevano la religiosità e lo spirito comunitario del medioevo,
apprezzandone il misticismo).
Burckhardt (autore della tesi di una distinzione tra umanesimo e rinasciemnto)
è uno dei piùillustri schematizzatori di questa tesi che intende il rinascimento
come una completa rottura con il periodo precedente. Il rinascimento avrebbe
emancipato l’uomo da una visione metafisica della vita, lacerando il velo “di
fede, d’ignoranza infantile e di vane illusioni”. Egli elabora perciò una serie di
opposizioni: religiosità-irreligiosità; astrattezza-realismo; spiritualismosensualismo, dogmatismo-scetticismo, trascendentista e universalistico/
immanestista e antropocentrico.
– Questa tesi viene superata nel novecento, nella cosiddetta “teoria della
continuità”, che rifiuta di contrapporre rigidamente Medioevo e Rinascimento e
si concentra perciò sui momenti di continuità. La rinascita allora comincerebbe
assai prima con lo sviluppo dei comuni.
– la critica contemporanea tenta di mediare queste due tesi con la teoria della
“originalità nella continuità”, non nega cioè che nel medioevo ci sia notevoli
anticipazioni dello spirito rinascimentale e tuttavia considera il Rinascimento
un periodo di rinnovamento non riducibile alla sensibilità medievale.
Infine occorre certamente distinguere tra Rinascimento e Età
moderna,(Galieli, Bacone) il rinascimento resta un periodo di mezzo tra
Medioevo e Modernità. Un movimento che affonda le sue radici nel passato
(medioevo), ma che propone una spinta propulsiva verso la modernità.
LA VISIONE DELL’UOMO:
Per il rinascimentale l’uomo è artefice del proprio destino nel mondo. La
caratteristica dell’uomo (ciò che lo rende diverso dagli altri animali). Pico della
Mirandola definisce l’uomo “libero e sovrano, artefice di se stesso”. La frattura
con il medioevo risulta quindi evidente: mentre quest’ultimo pensava che
l’uomo fosse parte di un ordine cosmico già dato, ordine che si dovesse
soltanto conoscere intellettualmente e rispettare, l’uomo rinascimentale che
l’uomo debba costruire e conquistare il proprio posto nell’essere.
L’UOMO E DIO:
Nel rinascimento l’idea dell’uomo artefice del proprio destino non assume
però, come avverrà in seguito, un significato anti-reliogoso. Anzi la natura
dell’uomo viene glorificata proprio perché è quella che più si avvicina alla
potenza creatrice di Dio. Inoltre è Dio stesso che concede all’uomo tale
superiorità: “dopo che Dio ebbe creato gli uomini, li benedisse e li fece
padroni di tutte le cose create e sovrani e signori assoluti sulla terra” (Garin). Il
riconoscimento di Dio tuttavia avviene non all’interno di una concezione
teocentrica, bensì antropocentrica. Ovvero nel rapporto tra Dio e l’uomo,
viene adesso considerato centro l’uomo e Dio periferica.
L’UOMO E LA LIBERTA’:
In questa visione, dunque, benché l’uomo sia artefice del proprio destino,
eserciti cioè la libertà di determinare se stesso, non è concepita come
potenza illimitata. La virtù umana deve infatti fare i conti con la Fortuna, con il
Caso, ma sopratutto con la Provvidenza. In questa fase tuttavia il rapporto tra
ciò che è in potere dell’uomo e ciò che non lo è è sbilanciato a favore
dell’uomo.
L’UOMO NEI CONFRONTI DELLA VITA:
L’uomo si intende un anello di congiunzione tra il mondo terreno e quello
divino (“copula mundi”), essere finito che però tende all’infinito e perciò sintesi
vivente del tutto e centro del mondo. Egli rifiuta perciò l’ascetismo medievale
(l’idea che la virtù consistesse in un allontanamento dal mondo e in una
elevazione spirituale a Dio) e concepisce il proprio stare nel mondo, come
impegno attivo e non come fuga. Egli sottolineano perciò l’aldiqua, non
disdegnando i piaceri della vita e l’importanza del denaro. Non è un caso che
ricompaiono all’orizzonte le morali eudaimonistiche, che pongono come fine
dell’uomo la felicità intesa come realizzazione armonica e completa delle
capacità umane.
RINASCIMENTO COME RITORNO AL PRINCIPIO:
– La “rinascita” era intesa da medievali nel senso di un “ritorno a Dio, ovvero
restituzione a quella vita che egli ha perduto a causa del peccato originale.
Nel rinascimento il concetto indica invece il rinnovamento globale dell’uomo
nei suoi rapporti con se stesso, con gli altri e con Dio.

Lo strumento principale del rinnovamento è il “ritorno al principio”. Nella
convinzione che il medioevo fosse un periodo “oscuro” si cercò di
recuperare il rapporto con l’antichità perduta (il mondo classico),
rinunciando all’intermediazione della cultura clericale. Il “ritorno al
principio”, si caratterizzò perciò come una riscoperta (avvolte solo
scoperta) dei testi, dei costumi della civiltà classica: è perciò un ritorno
alle comunità antiche. Esso è anche un ritorno alla natura intesa come
forza che produce e vivifica le cose: Il “principio” è inteso dai
rinascimentali come quella realtà rapportandosi alla quale l’uomo
autentica se stesso , realizzandosi nella sua natura, è ciò dunque che
permette la rinascita, che restituisce all’uomo e al mondo al sua forma
ottimale.
L’UMANESIMO:
Coincide con l’inizio della rinascita e condivide con tutto il rinascimento la
necessità di £tornare al principio”. Gli umanisti più che preoccuparsi di
costruire, completare o perfezionare la filosofia degli antichi (come era
avvenuto per Tutto il medioevo), erano interessati a restituirgli l’antico
splendore. Il ritorno al principio è per l’umanista un ritorno ai testi originali
degli antichi. Nella convinzione che l’antichità possa costituire un criterio un
ideale cui ridare purezza.
Il PLATONISMO RINASCIMENTALE:
In questa ottica sopratutto nelle Accademie si ha una vera e propria riscoperta
di Platone. Esso veniva apprezzato in particolar modo perché facilmente si
contrapponeva all’aristotelismo scolastico (si pensi a S. Tommaso) e nutriva
dunque le esigenze di un rinnovamento. A facilitare la riscoperta di Platone fu
anche l’afflusso del corpus completo dei suoi dialoghi (di cui fino al allora si
conosceva sono il Menone, il Fedone e il Timeo). Platone continuò ad essere
comunque letto in chiave neo-platonica (con la mediazione di Plotino) e
dunque come filosofo più vicino al vero spirito religioso.
L’ARISTOTELIAMO RINASCIMENTALE:
Benché la vitalità maggiore si svolgesse nelle Accademie, anche le
Università, tuttavia ancora legati agli schemi della scolastica, subirono l’effetto
del rinnovamento culturale. In quest’ottica nasce l’aristotelismo
rinascimentale, inteso come esigenza di ricoprire Aristotele.
Scartata l’interpretazione “ortodossa” di S. Tommaso, l’aristotelismo si divise
sostanzialmente i due filosi. Gli averroisti e gli alessandrini, che discussero
allungo sul problema dell’immortalità dell’anima.


Per gli averroisti esisteva un unico intelletto attivo, separato dalle cose
ed immortale, cui ritornava l’intelletto attivo del singolo individuo: gli
averroisti concepivano dunque l’individuo concreto come mortale.
Gli alessandrini non solo consideravano l’individuo mortale, ma
negavano l’esistenza di un intelletto separato e immortale, giudicando
che nulla esiste o sopravvive al corpo, essendo l’anima funzione del
corpo, indissolubilmente legato ad esso.
TEORIA DELLA DOPPIA VERITA’: Entrambe le posizioni (sopratutto quella
degli alessandrini) contraddicevano i dogmi della chiesa. Le due
interpretazione di Aristotele sarebbero dunque apparse entrambe implausibili
per l’uomo del medioevo. Il ritorno all’antico ha perciò come effetto
l’elaborazione della teoria della doppia verità. Essa infrangeva l’assunto
medievale (elaborato dai dialettici) che le verità di ragione dovessero
confermare e preparare alle verità di fede, anche se non giunge ancora adire
che nel caso in cui ci sia un opposizione si debbano preferire le verità di
ragione a quelle di fede. La filosofia può anche condurre a soluzioni false in
teologia (nel caso specifico Aristotele si era sbagliato sulla concezione
dell’anima), ma vere in filosofia, benché un credente sarebbe certamente
dovuto giungere a ritenere in questo caso errate le verità filosofiche. Che il
filosofo rinascimentale credesse veramente a questa teoria o la usasse solo
per giustificarsi di fronte alle autorità clericali, fatto sta che grazie ad essa,
molti studiosi del periodo poterono difendersi, dagli inquisitori ecclesiastici e
professare con una certa libertà le nuove dottrine, facilitando il processo di
laicizzazione della cultura.
La nascita di un platonismo accademico e un aristotelismo rinascimentale,
favorì e facilità la storica contesa (agli occhi di un contemporaneo stupida) su
quali dei due colossi della classicità (Platone o Aristotele) fosse il più grande.
Tale polemica ha tuttavia effetti sull’interpretazione dei due filosofi che per
lungo tempo si incentrò sul sottolineare le differenze tra i due filosofi,
piuttosto ceh i momenti di continuità.
CUSANO:
La vita: Vedi libro.
La conosce è possibile soltanto come proporzione: La conoscenza è un
rapportare il noto all’ignoto. L’assolutamente noto sono i principi primi,
necessari e notissimi, più le cose che si vogliono conoscere saranno vicine a
questi principi e più facili e precise saranno le nostre conoscenze su di esso,
al contrario più distanti sono dalle cose note e più le cose ci appariranno
sfocate e difficili.
La dotta ignoranza: Quando le cose che conosciamo e quelle che intendiamo
conoscere NON HANNO ALCUNA PROPORZIONE (ovvero alcuna
relazione), ci è assolutamente impossibili conoscerle e l’unico atto che
possiamo compiere è la proclamazione della nostra ignoranza, che perciò
viene detta “dotta” (ossia consapevole). La coscienza umana non è dotta se
non ha coscienza di questi proprio limiti.


Caso di dotta ignoranza è per Cusano Dio, egli in quanto essere infinito è
totalmente irrelato (non ha alcuna relazione con) le sostanze finite e
dunque neanche con i principi notissimi su cui si fonda la conoscenza
umana. Tra il finito e l’infinito non v’è alcuna proporzione. Cusano perciò
elabora la teoria della coincidenza degli opposti, secondo la quale tutte le
caratteristiche del finito elevate all’infinito si annullano (ec. Poligoni),
ragione per cui l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo coincidono.
Dio è dunque coincidenza dei opposti ed è perciò stesso privo di
determinazioni e capace di accoglie in sé tutte le qualità dell’essere (che
si dicono perciò cum-plicate, ovvero poste assieme).
Essendo Dio la punto più lontano dalle sue verità note (il punto
infinitamente lontano) egli potrà indefinitivamente avvicinarsi ad esso, ma
mai raggiungerlo. La verità assoluta è dunque irraggiungibile, partendo
dal nostro punto di vista, può soltanto essere intravista dall’intellectus
intuitivo (platonicamente distinto dalla ragione che conosce le cose).
L’intelletto ha il compito di far intravedere i limiti della ragione e del suo
principio di non contraddizione, presentandosi come un socratico “so di
non sapere” (vedi docta ignorantia).
La consocenza acongetturale
Se l’assoluta verità (che è in Dio) non mai raggiungibile. La nostra
conoscenza può solo essere congetturale, ipotetica. Nessuna conoscenza è,
per Cusano, definitiva perché pur approssimandosi al proprio oggetto, la
differenza tra i due è destinata a rimanere incolmabile. Per indicare ciò
Cusano si serve della matematica: il rapporto tra verità e conoscenza è come
quello tra una circonferenza e il poligono in essa inscritto (quest’ultimo si
approssimerà tanto più alla circonferenza quanti più angoli avrà, ma, in
quanto poligono, non potrà mai coincidere con essa).
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